251-300|it|300 Profilo del Salesiano nel sogno del personaggio dai dieci diamanti

12.


PROFILO DEL SALESIANO NEL SOGNO

DEL PERSONAGGIO DAI DIECI DIAMANTI



Introduzione. - «Il modello del vero salesiano». - Rilievo dato al Sogno da Don Bosco. - Sua importanza nella nostra tradizione. - Il suo più acuto interprete: Don Rinaldi. - Descrizione del nostro profilo spirituale: il Personaggio; le sue due prospettive «di fronte» e «a tergo». - Il volto: fisionomia; lineamenti portanti; attraenti fattezze del Cristo - La nervatura: centralità dell’Obbedienza; concretezza della Povertà; esigenze della Castità; senso del Paradiso. - Lo «specifico» salesiano. - La rovina della sua identità: adulterazione del volto; sfasciamento della nervatura. - Appello alla formazione e al discernimento vocazionale con lo sguardo rivolto al futuro. - Conclusione.

Lettera pubblicata in ACS n. 300



Roma, 1 aprile 1981


Cari Confratelli,


vi invito innanzitutto ad unirvi al giubilo ed alla speranza dei numerosi confratelli della Spagna che celebrano, dal 16 febbraio e durante tutto quest’anno, il centenario del trapianto del carisma di Don Bosco in Spagna. Insieme alla quarta spedizione missionaria, verso la fine del gennaio 1881, partiva da Torino don Giovanni Branda con altri quattro confratelli e un laico per andare in Andalusia dove iniziavano la presenza salesiana ad Utrera. Li accompagnava e li guidava l’intrepido don Giovanni Cagliero, «esperto nel trapianto» da ormai cinque anni in America Latina.

Oggi la Spagna conta più di 3.200 Salesiani e Figlie di Maria Ausiliatrice, con numerosi missionari e missionarie, con migliaia di Cooperatori, con innumerevoli Ex-allievi, con un forte gruppetto di Volontarie di Don Bosco e con tanti Amici sparsi in tutta la penisola. I «primi» portavano con sé il segreto della fecondità e il coraggio del futuro: formati a Valdocco, avevano come modello il cuore di Don Bosco!

Noi ci congratuliamo con i confratelli della Spagna per l’intuizione e la generosità con cui hanno percepito e hanno saputo condividere così magnanimamente quest’«esperienza di Spirito Santo», seminata umilmente in una loro cittadina del sud. Ma inoltre vorremmo approfondire, imitando il loro impegno spirituale di quest’anno, il segreto di quel «modello del vero salesiano», che seppero testimoniare con intensità i nostri grandi della prima generazione.

A tal fine potrà servirci riflettere attentamente su un’altra ricorrenza per noi significativa: nel prossimo mese di settembre si contano cent’anni da quando Don Bosco ebbe un Sogno assai indicativo dell’avvenire del suo carisma. È quello dell’«augusto Personaggio» ricoperto di «un ricco manto a guisa di mantello», su cui brillavano intensamente «dieci diamanti di grossezza e splendore straordinario». Don Bosco lo ebbe a San Benigno Canavese nella notte dal 10 all’11settembre 1881.



«Il modello del vero salesiano»


Il Sogno si svolge in tre scene. Nella prima il Personaggio incarna il profilo del salesiano: nel lato anteriore del suo manto presenta cinque diamanti, tre sul petto, che sono «Fede» «Speranza» e «Carità», e due sulle spalle, che sono «Lavoro» e «Temperanza»; nel lato posteriore presenta altri cinque diamanti, che indicano «Obbedienza» «Voto di Povertà» «Premio» «Voto di Castità» «Digiuno».

Don Rinaldi definisce questo Personaggio coi dieci diamanti: «Il modello del vero Salesiano».1

Nella seconda scena il Personaggio mostra l’adulterazione del modello: il suo manto «era divenuto scolorato, tarlato e sdruscito. Nel sito dove stavano fissi i diamanti eravi invece un profondo guasto cagionato dal tarlo e da altri piccoli insetti».

Questa scena tanto triste e deprimente mostra «il rovescio del vero salesiano»,2 l’antisalesiano.

Nella terza scena appare «un avvenente giovanetto vestito di abito bianco lavorato con fili d’oro e d’argento [... dall’] aspetto maestoso, ma dolce ed amabile». Egli è portatore di un messaggio. Esorta i Salesiani ad «ascoltare», a «intendere», a mantenersi «forti e animosi», a «testimoniare» con le parole e con la vita, ad «essere oculati» nell’accettazione e nella formazione delle nuove generazioni, a far crescere sanamente la loro Congregazione.

Le tre scene del Sogno sono vivaci e provocanti; ci presentano una sintesi agile, personalizzata e drammatizzata, della spiritualità salesiana.

Il contenuto del Sogno comporta certamente, nella mente di Don Bosco, un importante quadro di riferimento per la nostra identità vocazionale. La scelta e presentazione organica di determinate caratteristiche è da considerarsi come un’autorevole carta d’identità del volto salesiano; in esse troviamo un abbozzo qualificato della nostra fisionomia. Per questo Don Bosco ci dice che la cura di queste caratteristiche assicura l’avvenire della nostra vocazione nella Chiesa, mentre la loro negligenza e trascuratezza ne distrugge l’esistenza.

Narrando il sogno, Don Bosco fa rimarcare due dati: il primo, che il 10 settembre era «giorno che Santa Chiesa consacra al glorioso Nome di Maria»; 3 e il secondo, che i Salesiani riuniti a S. Benigno Canavese «facevano gli Esercizi Spirituali» e a lui sembrava «di passeggiare coi Direttori». Sono due osservazioni che hanno un loro valore suggestivo per la nostra riflessione: quanto Don Bosco sta narrando ha un suo speciale aggancio mariano; e il tema trattato è specialmente opportuno per «tempi forti» di raccoglimento e di approfondimento, come sono gli Esercizi Spirituali, e per animatori particolarmente responsabili, come sono i Superiori. È un Sogno offerto al salesiano in quanto tale. In esso non si parla direttamente dei giovani, anche se tutto, evidentemente, è orientato a loro favore. Don Bosco parla a noi, in casa; a noi, riuniti in Esercizi Spirituali; a noi, animatori ed educatori; tratta un importante tema d’intimità: ci chiede una revisione di vita.



Rilievo dato al sogno da Don Bosco


Quel Sogno impressionò talmente il nostro Padre «che non si contentò di esporlo a voce, ma lo mise anche per iscritto».4

Negli archivi possediamo il suo testo autografo, che don Ceria non aveva potuto rintracciare per la redazione del volume 15° delle Memorie Biografiche, e, grazie al paziente e valido lavoro di una Figlia di Maria Ausiliatrice, potremo usufuirne anche l’edizione critica.5

Tale testo è posteriore all’11 settembre di alcune settimane; esso rivela la preoccupazione personale di Don Bosco per assicurare la conoscenza del Sogno e la sua applicazione nella nostra tradizione vissuta.

La minuta autografa comporta parecchie correzioni e manifesta non solo «le angustie che Don Bosco suole provare quando redige pagine destinate alla divulgazione scritta»,6 ma anche lo sforzo che egli fa per ricordare con esattezza quello che ha visto in sogno: uno «sforzo di fedeltà» a quello che lui stesso umilmente pensa essere un avviso dall’alto. Don Bosco dà una misteriosa solennità e una dimensione profetica al Sogno già nella premessa: «La grazia dello Spirito Santo illumini i nostri sensi e i nostri cuori. Amen».

Da questa «tormentata» minuta don Berto trasse una bella copia, riveduta poi da Don Bosco stesso; vi aggiunse ancora una postilla o «promemoria», in cui annota: «Questo sogno mi durò quasi l’intera notte, e sul mattino mi trovai stremato di forze. Tuttavia pel timore di dimenticarmene mi sono levato in fretta e presi alcuni appunti, che mi servirono come di richiamo a ricordare quanto qui ho esposto nel giorno della Presentazione di Maria SS. al Tempio», ossia il 21 novembre.

Osserviamo la sollecitudine di Don Bosco: subito prende degli appunti, e in seguito personalmente redige per iscritto il Sogno. Si vede che lo considera importante! Non è superfluo anche aggiungere come lui stesso riconosca che «non mi fu possibile ricordare tutto».

Va rimarcato inoltre che anche nella postilla Don Bosco si rifà, con delicata e insistente attenzione, a una data mariana.

Considerando questa sollecita cura di Don Bosco di non lasciar cadere in dimenticanza il Sogno, giustamente nelle Memorie Biografiche don Ceria ha qualificato, questo di S. Benigno Canavese, come «uno dei sogni più importanti» del nostro Padre.7



Sua importanza nella nostra tradizione


A S. Benigno Canavese si indica ancor oggi la camera e il letto ove Don Bosco ebbe il Sogno. Si è voluto sempre finora curarne la memoria.

Si può dire che quasi immediatamente i contenuti del Sogno sono serviti a orientare la riflessione, la revisione di vita e la formazione dei Salesiani.

L’edizione stampata più antica che possediamo ha il titolo in latino: «Futura Salesianorum Societatem respicientia...». È stata oggetto di conferenze e di predicazioni, soprattutto di Esercizi Spirituali.

Don Albera ne fa un accenno, come di tema familiare, in una sua celebre lettera-circolare del 1920. È sintomatico che l’argomento in essa sviluppato sia quello di «Don Bosco nostro modello».8

Don Rinaldi ne ha parlato frequentemente e ne scrive più di una volta negli Atti del Consiglio (allora «Capitolo») Superiore;9 anzi, ha pubblicato lo stesso Sogno ben due volte, nel 1924 10 e nel 1930:11 la prima volta riproducendo tutto di seguito il testo a cui abbiamo fatto allusione sopra; la seconda volta adattandone la presentazione tipografica, introducendo la traduzione delle espressioni latine ed eliminando certe date che potevano far perdere attualità al contenuto. E fu distribuita copia del Sogno a tutti i confratelli.

Don Rinaldi pensa che le luci dei dieci diamanti «trovano il loro naturale, più ampio e genuino commento pratico nelle opere di S. Francesco di Sales, particolarmente nel “Teotimo”, nei “Sermoni” e nei “Trattenimenti spirituali”»,12 che erano cibo quotidiano per la formazione salesiana. Inoltre, in due delle sue circolari più note ha legato la riflessione dei confratelli sugli insegnamenti del Sogno alle fonti più altamente qualificate della nostra spiritualità: prima, con le Costituzioni, nella ricorrenza del loro giubileo d’oro, e anche con i Regolamenti da poco riveduti, ossia con quei testi qualificati e autorevoli che costituiscono quasi «l’anima della nostra Società»;l3 inoltre con le nostre Tradizioni più genuine, giacché esse «danno il colore e imprimono il carattere alla nostra Società e missione. Se questo colore svanisce, se questo carattere si perde, potremo ancora essere religiosi, ancora educatori praticando puramente la lettera delle Regole, ma non saremo più Salesiani di Don Bosco».l4

Ne fece poi argomento delle sue conferenze e delle sue prediche, soprattutto negli ultimi anni del suo Rettorato.

Il Sogno, dunque, viene presentato da don Rinaldi unitamente alle Costituzioni e alle Tradizioni vive, come quadro di riferimento per fotografare l’identità salesiana.

Anche don Renato Ziggiotti, quinto successore di Don Bosco, ha richiamato l’attenzione dei confratelli su questo Sogno in occasione della Strenna del 1964; egli lo ha distribuito a tutti e lo ha offerto come un metro accreditato per un processo di revisione e di conversione, e per una crescita nel delicato processo di identificazione: «il sogno dei dieci diamanti — scriveva — ci invita a praticare le virtù per noi più essenziali».

A ragione dunque si è potuto affermare di questo Sogno che «è fra quelli più conosciuti e più meditati nella tradizione salesiana».l5 Io considero utile anche per noi, oggi, tornare a riflettere sui significati che ci presenta.

Forse qualcuno, in vista delle esigenze di un certo tipo di studi, potrà giustamente osservare che «occorre vagliare la tradizione documentaria dei sogni, prima di accingersi a farne l’analisi psicologica, teologica o pedagogica». Noi non intendiamo in questa sede mettere in questione i livelli scientifici sia dello studio critico del testo sia della natura specifica dei sogni di Don Bosco. Ci manteniamo invece a un livello più alto e più importante, che è quello dell’esperienza viva e qualificata della nostra spiritualità. La vita, infatti, è anteriore ad ogni suo studio, e gli elementi che la possono nutrire e stimolare devono poter intervenire ed agire non semplicemente per una ben calibrata programmazione scientifica (arriverebbe troppo tardi!), ma per un’autorevole e tempestiva mediazione carismatica; così come l’hanno fatto, con autorevolezza, Don Bosco e i suoi Successori, in particolare don Rinaldi, e i loro collaboratori nella formazione salesiana: ossia, attraverso i canali di trasmissione viva della nostra esperienza spirituale.

Le seguenti parole di don Rinaldi ci devono far riflettere al riguardo: il modello presentato dal Sogno «lo si studi e si approfondisca con la meditazione quotidiana: se ne parli in ogni circostanza; se ne illuminino convenientemente i vari aspetti della visione [...]. Prego vivamente i cari Ispettori e Direttori di convergere le loro conferenze su questo modello; e così pure i predicatori degli Esercizi Spirituali, i quali ne trarranno gli argomenti delle loro istruzioni, in modo che la spiritualità salesiana s’imprima bellamente negli animi degli uditori».16



Il suo più acuto interprete: don Rinaldi


Chi più d’ogni altro sembra aver riflettuto su questo Sogno e ne ha fatto spesso tema d’orientamento per tutta la Congregazione è certamente don Filippo Rinaldi. Egli era di casa a S. Benigno quando Don Bosco fece e narrò il Sogno; ne riportò perciò una particolare impressione.

Da Rettor Maggiore, terzo successore di Don Bosco, ne scrisse, come abbiamo detto, varie volte ai confratelli. Sono ancora molti in Congregazione coloro che intesero direttamente le sue spiegazioni: ad esempio nella predica dei ricordi fatta ai giovani confratelli in formazione a Foglizzo, ai primi dell’estate del 1931, di cui si conservano in archivio alcuni appunti fedeli.

Una diligente lettura dei testi di don Rinaldi lascia intravvedere in lui un processo di attenta riflessione e di progressivo approfondimento. Così negli ultimi suoi interventi egli presenta una interpretazione originale e organica del Sogno, maturata in una puntualizzazione penetrante, frutto di lunga meditazione e di assidua osservazione: ha cioè identificato per noi la figura del Personaggio e ha fatto luce sulla disposizione dei diamanti. Questi, infatti, incastonati sul petto o nel verso e con il rilievo di luce e di collocazione che ad ognuno compete, danno la visione «organica» e «dinamica» della caratteristica spirituale del salesiano. «Si faccia risaltare — scrive appunto don Rinaldi — la disposizione dei diamanti, che, spostati, non renderebbero più lo splendore della nostra vita».17

Egli afferma più volte che in questo Sogno è descritto «il modello del vero salesiano» o «del perfetto salesiano»,18 quale lo vide Don Bosco, che lo «tramandò a noi, perché fosse non solo un ricordo, ma la realtà della nostra vita».19

Dunque: il Personaggio del manto e la disposizione stessa dei diamanti hanno (secondo don Rinaldi) un loro significato rilevante perché concorrono a tracciare il profilo spirituale della nostra «indole propria». E questa è un’osservazione di grande interesse, confermata da quanto affermano, circa la specificità di ogni vocazione, gli studiosi delle diverse spiritualità religiose.

Essendo don Rinaldi uno dei più fedeli testimoni della nostra spiritualità salesiana ed avendo espresso le sue riflessioni sul Sogno soprattutto negli ultimi anni di vita come Rettor Maggiore, è nostra convinzione che egli sia arrivato a questa sua interpretazione come a una maturazione di sintesi, dopo lunga meditazione fatta in sintonia e responsabilità vocazionale, non senza preghiera e forse con qualche speciale luce dall’alto.

Le riflessioni che qui mi sono impegnato ad annotare e che vi offro, si muovono su questa visione «rinaldiana», acuta e penetrante, e di cui intendo sviluppare alcuni aspetti.

Spero che servano a farci crescere nella fedeltà alla nostra vocazione nella Chiesa e ad approfondirne sempre meglio l’identità.


Descrizione del nostro profilo spirituale


La prima scena del Sogno ci presenta il Modello del salesiano, non tanto nei singoli diamanti, direi, quanto nell’insieme della visione.


Il personaggio


Innanzitutto il protagonista del Sogno è «un uomo di aspetto maestoso» che rappresenta l’immagine ideale della nostra spiritualità. In esso «ogni salesiano, presente e futuro, deve rispecchiarsi».20 Oggi, a distanza di un secolo, possiamo comunque affermare che proprio lo stesso Don Bosco «è stato sempre in tutta la sua vita l’incarnazione vivente di questo simbolico personaggio!». Anzi possiamo ripetere, ancor più suggestivamente con don Rinaldi, che «tutti i diamanti hanno una luce propria, ma tutte queste luci non sono che una luce sola: Don Bosco!».21

Il nostro Padre certamente non ha spiegato il Sogno in questa prospettiva; non gli sarà neppur passato per la mente. Ma l’interpretazione perspicace di don Rinaldi ne precisa e concretizza il vero significato.

Anche il testo delle Costituzioni rinnovate ci parla di «Don Bosco, nostro modello concreto», asserendo che «il salesiano studia e imita più da vicino Don Bosco, datogli come padre da Dio e dalla Chiesa».22


La duplice sua prospettiva: «di fronte» e «a tergo»

La visione del Sogno mostra il Personaggio in due posizioni assai differenti ma complementari, contemplato prima di faccia e poi di spalle.

Sembrerebbe, questa, un’osservazione più che ovvia; ma risulta assai acuta e più profonda di quanto non appaia a prima vista. D’altra parte, è una considerazione originale di don Rinaldi, che non a tutti era apparsa altrettanto suggestiva e pregnante. La espone in più di una conferenza a viva voce (per es.: nella citata predica dei Ricordi a Foglizzo nel 1931) e la troviamo descritta, in forma succinta ma sufficientemente chiara, anche nella sua circolare dell’aprile di quello stesso anno: la vita salesiana innanzitutto «nella sua attività» (i diamanti del lato anteriore) e poi «nella sua spiritualità interiore» (i diamanti a tergo).23

Si tratta, diciamo così, delle due facce del medaglione salesiano. Se si vuole, davanti: la sua figura sociale, il volto, il «da mihi animas»; e a tergo: il segreto di costanza e di ascesi, la nervatura, il «cetera tolle»!



Il volto


Di fronte, la luce dei cinque diamanti (Fede - Speranza - Carità - Lavoro - Temperanza) presenta il salesiano nella testimonianza pubblica della sua visibile donazione ai giovani.

Qui, in quest’ottica frontale, egli non appare con le note caratteristiche dello stato religioso in quanto tale, ma piuttosto con quelle del credente, esuberante di entusiasmo per il mistero di Cristo e impastato di bontà con un cuore forgiato dalla carità; egli, così, è dinamico ed equilibrato, operoso e temperante, creativo e di buon senso. Questo «lavoro» e questa «temperanza» sostengono tutto il suo manto.

Se la guardiamo di fronte, scrive don Rinaldi, «la vita salesiana, considerata nella sua attività, è lavoro e temperanza, vivificati dalla carità del cuore nella luce sempre più luminosa della fede e della speranza».24

Non è qui mia intenzione sviluppare una riflessione salesiana su questi primi cinque diamanti. Credo, però, utile suggerire alcune osservazioni più generali, che potranno essere prese in considerazione da ciascuno nella propria meditazione personale.


Fisionomia


Una prima osservazione: i diamanti del Sogno non devono venir interpretati troppo semplicemente come una specie di «elenco di virtù» generiche, da considerarsi poi una per una secondo gli schemi di un trattato; non interessa neppure che i loro nomi entrino tutti nella lista classica delle virtù. Essi vanno piuttosto considerati come atteggiamenti esistenziali e, in particolare (qui stiamo parlando della parte anteriore del manto), come lineamenti esternamente e chiaramente percettibili. I diamanti costituiscono, infatti, le fattezze fotografiche della fisionomia salesiana; precisano i lineamenti che caratterizzano il volto del discepolo del Cristo così come Don Bosco volle che apparisse in una società che purtroppo non sembrava ormai più apprezzare le forme allora classiche della vita religiosa.

Vi ho scritto recentemente nella circolare sul salesiano coadiutore che la nostra Congregazione fu fondata con una sua insolita «apertura secolare».25 Ebbene: leggendo gli scritti di don Rinaldi mi colpì la sua insistenza su certi «principii nuovi di modernità — sono sue parole — che [Don Bosco] era stato ispirato di mettere a base di tutto il suo Istituto e che sono il nostro più prezioso patrimonio».26

La maniera migliore di illustrare tali «principii» è citare le «memorabili parole» dette da Pio IX al nostro Padre nell’udienza del 21 gennaio 1877, accordatagli — nientemeno — che nella sua camera da letto: «Io credo di svelarvi un mistero — disse il Papa —; io sono certo che la vostra Congregazione sia stata suscitata dalla Divina Provvidenza per mostrare la potenza di Dio; sono certo che Dio ha voluto tener nascosto fino al presente un importante segreto, sconosciuto a tanti secoli e a tante altre Congregazioni passate. La vostra Congregazione è nuova nella Chiesa perché di genere nuovo, perché venne a sorgere in questi tempi in maniera che possa essere ordine religioso e secolare; che abbia voto di povertà ed insieme possedere; che partecipi del mondo e del chiostro, i cui membri siano religiosi e secolari, claustrali e liberi cittadini. [...] Fu istituita perché si vegga e vi sia il modo di dare a Dio quello che è di Dio e a Cesare quello che è di Cesare».27

Dunque, le fattezze del volto salesiano tracciate dai primi cinque diamanti non mettono primariamente in luce la nostra modalità religiosa anche se, come vedremo, noi siamo veramente e robustamente religiosi.

Il primo e principale aspetto del Personaggio è quello del concittadino laborioso e leale fortemente animato dalle ricchezze del mistero di Cristo. Il fatto che sia anche religioso al cento per cento non dovrebbe provocare nessun rigetto né dar fastidio ad alcuno. Il salesiano dovrebbe trovarsi in situazione normale e quasi a suo agio anche in una società secolarizzata: volto di concittadino attivo e responsabile, ma con tutta la carica di contenuto cristiano che viene da una interiorità strenuamente coltivata.

Questa acuta osservazione trova anche una sua proiezione feconda nel cerchio più ampio della Famiglia Salesiana, nella quale gruppi assai numerosi di non-religiosi «si impegnano a vivere e praticare tutto lo spirito dei Salesiani, in un pluralismo di forme, secondo la situazione concreta di ognuno ed i bisogni reali della gioventù in un determinato luogo, in una determinata ora».28


Lineamenti portanti


Un’altra osservazione: il manto del Personaggio pende dalle spalle e appare sorretto dai due grossi diamanti del Lavoro e della Temperanza. Troviamo qui il famoso stemma proclamato più volte da Don Bosco: «lavoro e temperanza»!29 Nel sogno del toro furibondo (1876) si leggono le condizioni per il futuro della nostra vocazione: «Guarda: bisogna che tu faccia stampare queste parole che saranno come il vostro stemma, la vostra parola d’ordine, il vostro distintivo. Notale bene: Il lavoro e la temperanza faranno fiorire la Congregazione Salesiana. Queste parole le farai spiegare, le ripeterai, insisterai. Farai stampare il manuale che le spieghi e faccia capir bene che il lavoro e la temperanza sono l’eredità che lasci alla Congregazione, e nello stesso tempo ne saranno anche la gloria».30

Il diamante del Lavoro è posto sulla spalla destra quasi ad indicare, per noi, il primato di quell’«estasi dell’azione» di cui parla S. Francesco di Sales nel Teotimo 31 e che è tutta animata dai profondi dinamismi della Fede, della Speranza e, soprattutto, della Carità. Questo tipo di azione non adegua il Salesiano a un semplice «faccendone», ma a un genuino «operatore di salvezza» anche se agisce nell’area dell’educazione attraverso una continua e aggiornata promozione umana.

Il diamante della Temperanza, posto sull’altra spalla, non va confuso con quello del Digiuno (situato nel verso), precisamente perché questi due diamanti, a prima vista simili, sono disposti in due posizioni tanto differenti: l’uno sul davanti e l’altro a tergo.

Se, come vedremo, il «Digiuno» è posto a indicare l’ascesi della mortificazione dei sensi, la «Temperanza» sta a indicare piuttosto un generale dominio di sé in uno stile di vita spartano, fatto di sacrificio e di orario esigente e accompagnato da un senso di misura e di equilibrio come frutto della capacità di frenare le proprie reazioni. Questo atteggiamento di temperanza va unito a un certo contegno generale di simpatico stile popolano, ricco di buon senso e con sufficienti spazi per una sana dose di furbizia. «Il salesiano — diceva don Rinaldi — deve sapere frenarsi, non va con gli occhi chiusi, li apre ma non va più in là: se questo non sta bene, si ferma. Dominatore di sé anche nel gioco; misurato con il ragazzo che lo fa disperare; capace di tacere, di dissimulare, di parlare a tempo debito, di essere furbo!».


Attraenti fattezze del Cristo


Una terza osservazione: i tre magnifici diamanti sul petto testimoniano la fonte zampillante di tutta la personalità del salesiano: la sua costante apertura al mistero di Dio nella sequela del Cristo. È questo il segreto fondamentale della vocazione di Don Bosco e, quindi, di tutta la spiritualità salesiana.

Mi è già toccato sottolineare, nella circolare sul Sistema Preventivo,32 che lo spirito salesiano sgorga dall’adesione entusiasta e totale a Gesù Cristo e tende, sotto la guida di Maria, a rendere presente nel mondo, oggi, il mistero del Cristo «benedicente i ragazzi e facente del bene a tutti», come afferma il Concilio.33

Qui non possiamo sviluppare i contenuti salesiani proclamati dai tre diamanti «Fede - Speranza - Carità».

Dobbiamo però annotare che il diamante della Fede viene ad indicare tutta una visione soprannaturale della realtà in cui siamo immersi, visione permeata di ottimismo: «è la nostra fede che ci dà la vittoria sul mondo!».34 Essa offre con chiarezza le motivazioni pastorali della nostra azione e permea e sorregge quel tono di sano umanesimo che caratterizza l’apostolato salesiano.35

Il diamante della Speranza sta a segnalare la certezza dell’aiuto dall’alto (... anche Maria è vista come «Ausiliatrice»!) in una vita tutta creativa, impegnata cioè a progettare quotidianamente delle attività pratiche per la salvezza soprattutto della gioventù.36

Il diamante della Carità merita un’attenzione particolare: sta, infatti, «sul cuore»; e la prima scena del Sogno si chiude appunto presentando don Costamagna che detta a don Fagnano le seguenti parole: «La carità capisce tutto, sopporta tutto, vince tutto; predichiamola colle parole e coi fatti».

La carità per Don Bosco è un costante atteggiamento di sincero amore verso le persone, in quanto ogni persona o è Dio stesso o è Sua immagine: è immersione nel Cristo per vivere in Lui la filiazione verso Dio Padre (= ininterrotto spirito di preghiera), e per testimoniare con Lui la dedizione più generosa al prossimo (= dedizione totale ai giovani). E qui troviamo tutto il cuore di Don Bosco esuberante di bontà e

rivestito del singolare dono «della predilezione verso i giovani».

Per una carità caratterizzata da questo «dono» non basta al salesiano, scrive don Albera, «sentire per i giovani una certa qual naturale attrazione, ma bisogna veramente prediligerli. Questa predilezione, al suo stato iniziale, è un dono di Dio, è la stessa vocazione salesiana, ma spetta alla nostra intelligenza e al nostro cuore svilupparla e perfezionarla».37

Si tratta, insomma, di quella «carità pastorale» che è il centro dello «spirito salesiano»38 e la fonte perenne di una originale «bontà» che ne caratterizza tutta la pedagogia mentre la circonda con un clima di gioia e di spontanea allegria.

E così i cinque diamanti del lato anteriore mostrano quasi una fotografia essenziale del «volto salesiano»: un concittadino laborioso e temperante, dedicato ad apportare nella società la sua speciale e utile vocazione cristiana; è un uomo saggio e ottimista per la Fede che lo anima, è dinamico e creativo per la Speranza che lo muove, è sempre orante e umanamente buono per la Carità che lo permea.

Sul triangolo luminoso dei tre diamanti «Fede - Speranza - Carità» noi potremmo anche vedere scritto, quale sintesi di questo documento d’identità spirituale: «Gesù Cristo ieri, oggi e per sempre, in qualità di grande amico dei giovani»!



La nervatura


Sul tergo, la luce dei cinque diamanti (Obbedienza - Voto di Povertà - Premio - Voto di Castità - Digiuno) presenta il salesiano nella sua nervatura nascosta e robusta, dove si scopre concretamente il significato della seconda parte del nostro motto: «cetera tolle!»; e dove si appoggia il nostro peculiare stile di vita consacrata.

Anche qui dobbiamo osservare che i cinque diamanti non propongono tanto una «lista di virtù», quanto delle linee portanti che caratterizzano una modalità ascetica nella sequela del Cristo.

Mi sembra importante, secondo la lettura di don Rinaldi, rimarcare che queste linee portanti, disposte nel retro del manto, sono caratterizzanti interiormente il salesiano; esse non si presentano direttamente come lineamenti o tratti fisionomici, ma piuttosto come una struttura nascosta anche se assolutamente indispensabile.

È stata certamente preoccupazione di Don Bosco (guidato in ciò anche dai consigli di Pio IX) quella di non presentare in pubblico i suoi figli con una fisionomia di monaci o di frati; egli non voleva (e ci sono tanti fatti e testi che lo provano) che il Salesiano apparisse al di fuori con le modalità esterne (abito, costumi e stile) del religioso di tipo tradizionale per non dar nell’occhio e non provocare rigetto in una società ormai guidata da uno spirito laicista, anche se poi voleva che i suoi fossero «preti» e «fedeli» al cento per cento in qualsiasi tipo di società.

Però, quanto più nascosta, tanto più profonda doveva essere per lui la consapevolezza e il proposito di un progetto ascetico di sequela del Cristo: la considerava come indispensabile «vis a tergo» o «vis ab intus», una inesauribile energia di spinta scaturita da posizioni strategiche ben difese e non appariscenti, «il quadrilatero» del retro-manto (Giovanni Cagliero aveva ben capito: — Frate o non frate, io resto con Don Bosco!).

Se la fisionomia visibile del salesiano si legge di fronte, perché è il suo volto in società e tra i giovani, il segreto della sua robustezza spirituale, della sua costanza e della sua capacità d’intervento operoso si trova nella solidità della sua coscienza di consacrato, del conseguente esercizio di ascesi.

Anche qui, più che analizzare i cinque diamanti, penso sia utile fare alcune osservazioni più generali su di essi.


Centralità dell’Obbedienza


Innanzitutto ciò che colpisce di più nella visione del verso è la centralità data al diamante dell’Obbedienza: «la spiritualità interiore [del salesiano] — scrive don Rinaldi — è guidata dall’obbedienza».39

Nelle Costituzioni Don Bosco mise sempre come primo voto dei suoi religiosi quello dell’obbedienza. Parlando della formazione ascetica da impartire ai confratelli ha insistito sull’obbedienza come il primo valore religioso da coltivare: «in Congregazione — diceva — l’obbedienza è tutto»;40 «è la base e il sostegno di ogni virtù»;41 «è l’anima delle Congregazioni Religiose».42 Vi insistette chiaramente nell’Introduzione alle Regole citando S. Girolamo, S. Bonaventura e S. Gregorio Magno e aggiungendo inoltre che questo «primo posto» dell’obbedienza si sperimenta anche in senso negativo e contrario quando si provoca la caduta dell’identità e dell’appartenenza, sostituendo all’obbedienza la propria volontà: «da quel giorno — scrive Don Bosco — voi comincerete a non trovarvi più contenti del vostro stato».43

Possiamo anche trovare un’ispirazione mariana di tale centralità nel sogno del nastro,44 dove proprio Maria SS. suggerisce a Don Bosco: «legali con l’obbedienza».

Una delle ragioni principali di questa priorità dell’obbedienza per il salesiano va cercata nell’importanza peculiare che ha la «missione» nella nostra vita 45 e nella sua modalità comunitaria.46 Per un salesiano la «disponibilità» è alla base stessa della Professione religiosa;47 per Don Bosco una genuina ed appropriata virtù di ubbidienza era richiesta come elemento prioritario anche nei giovani per la loro educazione.48

E nella redazione del Sogno Don Bosco afferma appunto che il diamante «più grosso e più folgoreggiante stava in mezzo come il centro di un quadrilatero, e portava scritto Obbedienza». Gli altri quattro diamanti del retro ripiegavano i luminosi loro raggi verso il diamante del centro!

È anche sintomatico osservare che il diamante dell’Obbedienza è al centro, in corrispondenza a quello della Carità: l’ubbidienza salesiana, infatti, deve concorrere ad esprimere il «cuor solo e un’anima sola» della nostra vita di comunità, frutto di quel vincolo della carità fraterna che fonda e vivifica la nostra comunione.49


Concretezza della Povertà


Una seconda osservazione si riferisce al diamante della Povertà. Sui suoi raggi si legge: «La povertà non si vive a parole, ma con l’amore e con i fatti». Al suo posto poi, il tarlo rabbioso del manto scolorato e sdruscito della seconda parte del Sogno porta la scritta: «Letto, vestito, bevande e denaro».

Il voto di povertà a cui fa riferimento questo diamante deve, anch’esso, venir considerato nell’insieme del quadro caratteristico del «verso», ossia di ciò che non è posto immediatamente in vista; fa parte dell’impegno di rinuncia e di ascesi proprio di chi è consacrato, sia individualmente come persona, sia comunitariamente nella casa in cui vive.

Don Bosco diceva che «il decoro del religioso è la povertà»,50 «accompagnata però dalla pulitezza della persona»;51 che noi dobbiamo «fuggire dall’abuso del superfluo... quello che abbiamo non è nostro ma dei poveri: guai a noi se non ne faremo buon uso»;52 e che «dobbiamo amare la povertà e i compagni della povertà»,53 quindi niente agiatezze, ma spartanità di vita: dobbiamo «avere la povertà nel cuore per praticarla!».

Il diamante della Povertà ricorda, dunque, un atteggiamento del cuore e uno stile personale e comunitario di vita, per cui «come gli Apostoli all’invito del Signore, ci liberiamo dalla sollecitudine immediata dei beni terreni, e, ponendo la nostra fiducia nella Provvidenza del Padre, ci doniamo pienamente al servizio del Vangelo».54

L’aspetto apostolico e più direttamente visibile della nostra povertà viene piuttosto riflesso dai diamanti della parte anteriore; Don Bosco diceva infatti che «lo spirito di povertà dobbiamo averlo non solo nel cuore e nel distacco del medesimo dalle cose materiali, ma dimostrarlo anche esternamente in faccia al mondo».55

Ora questa dimostrazione si percepisce non solo nel tipo di destinatari a cui ci dedichiamo, ma, in particolare, nel nostro stile pubblico di vita e di apostolato. I diamanti del «Lavoro» e della «Temperanza» vanno anche considerati giustamente quale espressione sociale della nostra povertà,56 non solo perché con essi ci associamo ai poveri, ma anche perché vogliamo con essi testimoniare un tipo di convivenza ispirata alla povertà di Cristo nel discorso della montagna. Tale testimonianza è chiamata a suggerire al mondo nientemeno che gli elementi ispiratori di una società alternativa non materialistica; come si è detto a Puebla: «nel mondo di oggi questa povertà (ispirata al Vangelo) è una sfida al materialismo e apre le porte a soluzioni alternative della società di consumo».57 Infatti il nostro deve essere un genere di vita in antitesi sia con gli schemi capitalistici che con quelli socio-politici: non per plagio ideologico o per scelta classista, bensì per una esplicita e chiara ispirazione evangelica, nutrita e aggiornata continuamente dal mistero di Cristo ed espressa in quell’equilibrio di buon senso e in quella capacità di dialogo con tutti, che ha caratterizzato la condotta di Don Bosco in una società travagliata dalla ricerca di una sua nuova strutturazione.


Esigenze della Castità


Un’altra osservazione da annotare si riferisce al diamante del voto di Castità: «Lo splendore di questo — si legge nel Sogno — mandava una luce tutta speciale, e mirandolo traeva ed attaccava lo sguardo come la calamita tira il ferro».

Don Bosco insisteva spesso sullo «splendore» della castità nel salesiano; egli vuol esprimere qualcosa di più della Regola benedettina che dice di «amare la castità»: non solo amarla e praticarla, ma farla «splendere»!

Sappiamo bene quanto insistesse il nostro Padre sui valori della castità. Il salesiano è fatto per i giovani e deve mostrare a tutti un cuore simpaticamente ripieno di carità pastorale per costruire amicizia; per lui, «non basta amare»; deve inoltre «farsi amare»! Ciò non è facile.58 Per questo la formazione ascetica del salesiano esige di saper testimoniare una insospettabile castità, e tante precauzioni di prevenzione e di difesa: l’amorevolezza salesiana è impraticabile senza la purezza!

La castità è per noi «la virtù sommamente necessaria», anche in rapporto alla nostra missione educatrice che deve apportare un messaggio speciale circa l’amore nel mondo giovanile, oggi tanto erotizzato. D’altra parte, come scrive Don Bosco nell’Introduzione alle Regole, «questa perla inestimabile è assai insidiata dal nemico delle nostre anime, perché egli sa che se riesce a rapircela, l’affare della nostra santificazione può dirsi rovinato».59 Di qui la necessità di tante precauzioni di prevenzione e di difesa che devono accompagnare intelligentemente l’ascesi salesiana.

Tali precauzioni le possiamo concentrare sul diamante del «Digiuno».

Nel Sogno questo diamante appare chiaramente distinto, come abbiamo detto, da quello della «Temperanza». La sua collocazione sul tergo sta ad indicare un elemento indispensabile di formazione ascetica; il diamante della Temperanza, invece, indica un lineamento fisionomico che caratterizza il volto stesso del salesiano.

Per don Rinaldi il diamante del Digiuno voleva significare tutto il vasto settore ascetico della mortificazione dei sensi: non si è mai visto castità senza mortificazione: Don Bosco parlava spesso della «bella virtù», ma sempre in collegamento con uno spirito di mortificazione fatta di molteplici e quotidiane iniziative. Lo preoccupava di più il come si possa custodire la castità che non la sua stessa bellezza, peraltro chiaramente e spesso da lui affermata. È, questa, una conferma dell’acuto senso di praticità pedagogica caratteristico nella mentalità del nostro Padre.


Senso del Paradiso


Non può mancare, infine, un’osservazione sul diamante del «Premio», da non confondersi con quello della «Speranza».

Il diamante della Speranza, infatti, è situato frontalmente sul petto e mette in luce visibilmente il dinamismo e l’attività del salesiano nella costruzione del Regno; la costanza dei suoi sforzi e l’entusiasmo del suo impegno si fondano sulla certezza dell’aiuto di Dio, reso presente dalla mediazione e intercessione dei due risuscitati: Cristo e Maria.

Sul tergo, invece, il diamante del Premio sottolinea piuttosto un atteggiamento costante della coscienza che permea ed anima tutto lo sforzo ascetico: «un pezzo di paradiso aggiusta tutto!».

Il salesiano — diceva Don Bosco — «è pronto a sopportare il caldo e il freddo, la sete e la fame, le fatiche e il disprezzo ogni volta che si tratti della gloria di Dio e della salvezza delle anime»;60 il sostegno interiore di questa esigente capacità ascetica è il pensiero del paradiso come riflesso della buona coscienza con cui lavora e vive. «In ogni nostro ufficio, in ogni nostro lavoro, pena o dispiacere, non dimentichiamo mai che [...] Egli tiene minutissimo conto di ogni più piccola cosa fatta pel suo santo nome, ed è di fede, che a suo tempo ci compenserà con abbondante misura. In fin di vita, quando ci presenteremo al suo divin tribunale, mirandoci con volto amorevole, Egli ci dirà: “Bene, servo buono e fedele; perché nel poco sei stato fedele, ti farò padrone del molto; entra nel gaudio del tuo Signore” (Mt 25,2l).61 «Nelle fatiche e nei patimenti non dimenticare mai che abbiamo un gran premio preparato in cielo».62 E quando il nostro Padre dice che il salesiano stremato dal troppo lavoro rappresenta una vittoria per tutta la Congregazione, sembra suggerire addirittura una dimensione di fraterna comunione nel Premio: quasi un senso comunitario del paradiso!

Il pensiero e la coscienza continua del paradiso è una delle idee sovrane e uno dei valori di spinta della tipica spiritualità e anche della pedagogia di Don Bosco. È come un far luce e un approfondire l’istinto fondamentale dell’anima che tende vitalmente al proprio fine ultimo (cf. le sette Buonenotti date sul «perché dobbiamo tenere per fermo che Dio vuol darci il paradiso»).63



Lo specifico salesiano


Se alla luce dell’unità complementare delle due prospettive del Personaggio ci domandiamo quale sia la nostra specificità o — come diceva don Rinaldi — l’originalità propria alla «spiritualità della vita salesiana»,64 mi sembra non risulti difficile rispondere con l’aiuto del Sogno: è tutto l’insieme armonico di questi dieci diamanti, nell’unità viva e luminosa del Personaggio che porta il manto. È infatti fin troppo evidente che «fronte» e «verso» indicano realtà complementari non separabili: si tratta di una persona (o di una comunità fedele), tutta rivolta al mistero di Dio, convinta della vittoria finale del bene sul male, impegnata instancabilmente nella costruzione del Regno, con il cuore permeato di quella carità pastorale che è amore tradotto in bontà e decisa a un costante e ben concreto esercizio di ascesi. Tutto ciò si è espresso storicamente, in forma percettibile e viva, nel capolavoro dello Spirito Santo che è la persona stessa di Don Bosco. Come indicavamo sopra, citando don Rinaldi: «tutti i diamanti hanno una luce propria, ma tutte queste luci non sono che una luce sola: Don Bosco!».

Lo «specifico», quindi, dello spirito salesiano, più che una nota o una virtù, è un insieme di atteggiamenti, di convinzioni profonde e di esperienze metodologiche ben collaudate, che confluiscono armonicamente nella creazione di uno stile originale e peculiare di santità e di apostolato. Per individuare tale specificità serve di più la descrizione del Sogno di S. Benigno che una definizione astratta; serve di più guardare Don Bosco che una schematizzazione teorica.

Per mettere in pratica, poi, le caratteristiche di questo specifico salesiano, ossia per renderci — come scrive don Rinaldi — «una vera incarnazione di questo vivente personaggio»,65 c’è bisogno di tutto un clima di convivenza e di formazione ispirato alle Costituzioni e alle genuine Tradizioni; esse ci aiutano a trasmettere vitalmente e genuinamente quell’«esperienza di Spirito Santo» che fu suscitata e vissuta alle origini in comunione con il nostro Padre e Fondatore.

Don Rinaldi ci esorta a ricopiare il modello del Sogno (non solo individualmente ma anche comunitariamente) «nei suoi minuti particolari, onde la Società Salesiana rifulga quale dev’essere nell’universo mondo. Perché nell’augusto Personaggio della visione, il “Beato” ha contemplato proprio la Società Salesiana in tutta la magnificenza del suo manto e delle sue luci, che siamo noi. [...] Ora noi Salesiani, individualmente dobbiamo sì curare l’acquisto e la lavorazione progressiva dei preziosi diamanti; ma se vogliamo che essi brillino in tutto il loro splendore, dobbiamo essere UNO SOLO, come il ricco manto del Personaggio-modello, con l’osservanza delle Costituzioni praticate in conformità dei Regolamenti e delle tradizioni paterne».66



La rovina della sua identità


La seconda scena del Sogno è drammatica. Descrive «il rovescio del vero salesiano»,67 l’antisalesiano! Ci butta negli occhi la terribile dialettica «salesianità - antisalesianità» che è come una spada di Damocle che minaccia la nostra vita e contro cui dobbiamo saperci difendere continuamente.

La scena è sembrata assai deprimente alle nostre prime generazioni. Per noi oggi, dopo la grave crisi soprattutto degli anni ’60 e ’70, essa deve costituire uno speciale quadro di riferimento per riflettere su certi abbandoni troppo numerosi in questi anni.

Tra coloro che mi hanno sollecitato di offrire ai confratelli alcune riflessioni su questo Sogno, ce n’è stato uno che ha insistito nel farmi osservare la possibilità di percepire una speciale suggestione per noi nella data «1900» posta all’inizio della seconda scena: «La Pia Società Salesiana quale corre pericolo di diventare nell’anno 1900».

Potrebbe costituire — mi diceva — un’interpellanza di attualità, se quel «1900» significasse una data aperta dalle prime due cifre ma da definirsi poi lungo il secolo; oggi mancherebbero meno di vent’anni per individuarla; e non le pare che la forte crisi di questi ultimi tempi potrebbe anche venir approfondita con il grave monito sgorgante dal manto sdruscito?

Prescindendo da questa ipotesi curiosa, è ugualmente attuale e fruttifero che ci intratteniamo a meditare ciò che Don Bosco ha voluto dirci. Moniti severi sull’avvenire della nostra vocazione, Don Bosco li ha dati più di una volta nelle conferenze e nei sogni. Pensiamo, ad esempio, a quello dei demoni riuniti per distruggere la Congregazione.68 Questa scena sconcertante del nostro Sogno ha una sua forza drammatica e ammonitrice che non c’è bisogno di legare a una data. In tempi di travaglio come il nostro, il monito del Sogno può acquistare senz’altro una più incisiva attualità, ma esso travalica certamente la contingenza anche di questa congiuntura storica.

Abbiamo già meditato sul tema allarmante della crisi della vita religiosa, oggi, nella lettera circolare «Dar forza ai fratelli», presentata l’anno scorso negli Atti.69 Qui ci limitiamo semplicemente a sottolineare la gravità e serietà dell’avvertimento del Sogno.

Il Personaggio, questa volta, ha un «aspetto malinconico simile a colui che incomincia a piangere. Il suo manto era divenuto scolorato, tarlato e sdruscito. Nel sito dove stavano fissi i diamanti eravi invece un profondo guasto cagionato dal tarlo e da altri piccoli insetti [...], i dieci diamanti erano divenuti altrettanti tarli che rabbiosi rodevano il manto».


Adulterazione del volto

Di fronte: invece dei diamanti della Fede, Speranza e Carità, ci sono delle scritte che indicano l’indebolimento assoluto del senso soprannaturale con il conseguente grave decadimento spirituale; noi sappiamo, poi, che esso suole venir sostituito con scelte ideologiche del momento, tendenti a giustificare in vari modi il profondo cambio di identità in corso: e ciò porta facilmente alla conseguenza ultima dell’abbandono.

Evidentemente, al posto del Lavoro e della Temperanza sottentreranno l’Ozio con la negligenza pastorale, e l’Imborghesimento con le leggerezze e le superficialità delle mode consumistiche e di una qualche bandiera ideologica di passaggio.


Sfasciamento della nervatura


Di tergo: c’è il progressivo disfacimento di tutta la struttura ascetica, incominciando con l’emarginazione dell’Obbedienza; così si distrugge il fondamento pratico della nostra spiritualità, si tagliano i legami della comunione, si ingigantisce l’individualismo e si allontana persino la possibilità di ricupero.

Invece della Castità subentra la concupiscenza con un bisogno immaturo e compulsivo di affetto sensibile che porta facilmente alle cadute più impensate.

La Povertà, con le sue esigenze concrete di distacco, di dipendenza, di messa in comune e di regole d’uso, è giudicata culturalmente superata e al suo posto appare un continuo affanno di comodità guidato ormai solo dall’egoismo e accompagnato da una malsana indipendenza nell’uso del denaro.

Al posto del Premio: non si alza più lo sguardo verso il Paradiso perché non si sente affatto il bisogno di sostenere e nutrire quotidianamente un impegno di ascesi. Invece va crescendo uno sguardo temporalista, secondo un più o meno elegante orizzontalismo, che crede di saper scoprire l’ideale di tutto all’interno stesso del divenire umano e nella vita presente.

Infine, dove c’era il diamante del Digiuno, si vede solo «un guasto, ma niente di scritto». Con la soppressione della custodia dei sensi si apre la porta a ogni genere di tentazioni e di deviazioni.

Come si vede, il quadro della crisi è così più che sufficientemente rappresentato. Oggi diremmo:

— davanti, sul volto: indebolimento del senso soprannaturale; con sostituzioni ideologiche per una pseudo giustificazione del cambio avvenuto; e con l’imborghesimento nello stile di vita;

— sul retro, invece della nervatura ascetica: individualismo; concupiscenza; danaro; orizzontalismo; proscrizione della mortificazione.

C’è qui tutto un materiale di ammonimento per una esigente revisione di vita!



Appello alla formazione e al discernimento vocazionale

con lo sguardo al futuro


La terza scena del Sogno presenta un giovane biancovestito che incoraggia ed esorta i Salesiani.

Ci ricorda che non lavoriamo da soli, ma che siamo «servi e strumenti» del Signore; perciò, anche se la sfida è angustiante, noi possiamo davvero resistere e vincere: «siate forti e animosi!» ci dice.

Sappiamo benissimo di essere, per noi stessi, deboli e volubili: ne parlavamo nella circolare «Dar forza, ai fratelli».70 Dio solo è il forte. Egli solo, perciò, può fortificarci, Egli solo ci manterrà saldi fino alla fine perché ci ha messi nel solido fondamento di Cristo; Egli è per essenza fedele e ci proteggerà dal male; a Lui appartiene la potenza nei secoli!

Dunque, la prima esortazione che ci dirige il giovane è quella del coraggio e della speranza.

Ma poi ricorda alcuni mezzi indispensabili di difesa e di crescita, che noi sentiamo particolarmente attuali dopo la recente pubblicazione della «Ratio».

Il primo di essi è di dedicarci a tradurre i molteplici insegnamenti del Sogno in formazione permanente: «fate attenzione», «intendete bene», «prevedete e predicate», «le cose che predicate fatele costantemente sicché le vostre opere siano come una luce», «amate la tradizione e trasmettetela di generazione in generazione»!

Il secondo mezzo ricordato dal giovane è la cura delle vocazioni e la formazione delle nuove generazioni: «siate oculati nell’accettare i novizi», «siate forti nel coltivarli», «siate prudenti nell’ammetterli», «provateli», «mandate via i leggeri e volubili»!

Infine, il terzo grande mezzo indicato è la fedeltà al Fondatore vissuta concretamente e quotidianamente attraverso la conoscenza, l’amore e la pratica delle Costituzioni: ciò stia sempre al centro della coscienza personale e comunitaria come argomento di riflessione «del mattino e della sera»!

Il salesiano di oggi, la comunità di ogni casa ascolterà questi moniti? Ecco una angustiante domanda che si affaccia sull’orizzonte del futuro e propone il problema dell’avvenire della Congregazione. È un dubbio che si è posto, primo fra tutti, lo stesso Don Bosco. Quando fece il Sogno, nel 1881, la sua vita volgeva al tramonto; in Italia era stato abbattuto il potere temporale dei Papi; la Chiesa era travagliata da nuove e grandi difficoltà; morto il Fondatore, un Istituto incipiente avrebbe potuto continuare? Non era, per certo, una domanda retorica: noi sappiamo che, morto Don Bosco, sotto il Pontificato di Leone XIII fu fatta la proposta di una nostra annessione agli Scolopi.71

Ebbene: il Sogno, in questa prospettiva, assicurava allora, in forma di vaticinio concreto, l’avvenire della nostra Congregazione fino alla fine del secolo XIX e all’inizio del presente.

A ragione, quindi, questo Sogno è stato letto dalla prima generazione di Salesiani con una intensa ottica profetica; aiutavano a interpretarlo in tal senso le varie date in esso inserite, tanto da designarlo come il Sogno dell’Avvenire della Congregazione.

Questo aspetto costituisce un dato più che interessante; esso può suggerire anche a noi, oggi, un’occasione per scandagliare un po’ il futuro della nostra vocazione. L’identità vocazionale e l’avvenire, la fedeltà e il futuro, sono strettamente e mutuamente vincolati in una vocazione.

Una tale riflessione la si può condurre in differenti maniere.

Una, a maniera di santa utopia, un po’ come lo hanno fatto, a volte, Pio IX e lo stesso Don Bosco. Pio IX, per esempio, parlando quasi come un veggente, considerò con intuizione pastorale l’attualità e l’originalità del carisma di Don Bosco; e permeato della sua acuta sensibilità di uomo di Dio, «Vi predico — disse a Don Bosco nel 1877 — e voi scrivetelo ai vostri figliuoli, che la Congregazione fiorirà, si dilaterà miracolosamente, durerà nei secoli venturi [...], infino a tanto che cercherà di promuovere lo spirito di pietà e di religione, ma specialmente di moralità e di castità».72

Anche Don Bosco lo ha fatto in senso profetico a due livelli distinti: quello dei secoli (come Pio IX) e quello dei decenni immediatamente futuri. Lo ha fatto, partendo da ispirazioni dall’alto e convinto di vaticinare lo sviluppo di una vocazione suscitata da Dio e tanto utile alla nuova società. Al primo livello, vari sono i testi, diciamo così, «utopistici», in cui il nostro Padre ci offre delle affermazioni che sembrano quasi incredibili se non partissero dalla sua ferma convinzione d’aver a che fare con un’iniziativa del Signore stesso: «Se potessi imbalsamare e conservare vivi un cinquanta Salesiani di quelli che ora sono fra di noi — esclamò un giorno —, da qui a cinquecento anni vedrebbero quali stupendi destini ci riserba la Provvidenza, se saremo fedeli. [...] Potrà essere qualche testa matta che ci voglia distrutti, ma saranno progetti isolati e senza appoggio degli altri. Tutto sta che i Salesiani non si lascino prendere dall’amore delle comodità e quindi rifuggano dal lavoro».73

Al secondo livello ci sono anche numerose affermazioni e vari sogni, con indicazioni concrete e con precisazioni inspiegabilmente esatte.74 Il Sogno di S. Benigno fu considerato da lui stesso come «il Sogno sopra il futuro stato della Congregazione»; vi pose anche delle date: nella prima parte «1881»; nella seconda parte «1900»; e poi, nel Promemoria: «ho potuto eziandio rilevare che ci sono imminenti molte spine, molte fatiche, cui terranno dietro grandi consolazioni. Circa il 1890 gran timore, circa il 1895 gran trionfo».75

Certo, di fatto la Congregazione ha superato quei decenni godendo di buona salute; non fu annessa ad un altro Istituto religioso; è cresciuta tanto in tutto il mondo da far esclamare al Papa Paolo VI che nell’ultimo secolo di storia della Chiesa bisogna riconoscere l’apparizione di un «fenomeno salesiano».

Abbiamo già detto che più tardi, 50 anni dopo, don Rinaldi, considerando che Don Bosco ebbe speciale cura di tramandare questo Sogno «a nostro ammaestramento e per la preservazione della Società nell’avvenire», lo fece pubblicare negli Atti del dicembre 1930 omettendo tutte quelle date ormai superate: «lo troverete più sotto — scriveva — nella sua primitiva stesura, spoglia delle osservazioni personali del Beato che nella limitazione del tempo sminuivano la sua universale importanza».76

Così presentato, il Sogno è divenuto messaggio vivo e ammaestramento premonitore per l’avvenire della Congregazione in tutti i tempi; una visione originale su cui riflettere e un ricco tema da studiare come quadro di riferimento della salesianità dei figli di Don Bosco nei secoli.

Bisogna, quindi, anche oggi, «fare attenzione e intendere bene» ciò che in esso si dice.

E così, un’altra maniera di riflettere sull’avvenire della Congregazione, l’unica praticamente realista per noi, oggi, è quella che abbiamo tentato di fare insieme nel meditare la circolare «Dar forza ai fratelli».77 Lì abbiamo insinuato una lettura della crisi che stiamo attraversando, proponendoci di percepirne i sintomi positivi e approfondendo l’ora straordinaria di Spirito Santo che sta vivendo la Chiesa; ma anche ci siam dovuti fermare seriamente sul fenomeno dei cedimenti. Risulterà senza dubbio utile il meditare questo Sogno partendo dalla nostra situazione critica di questi anni.

Il contrasto tra la prima e la seconda scena del Sogno è veramente drammatico: «corruptio optimi pessima». Ognuno di noi, purtroppo, ha potuto vedere in questi tempi con i suoi propri occhi anche «il rovescio del salesiano», qua e là, in carne ed ossa! Il rischio che corre la Congregazione non è immaginario. Certe linee portanti, così intensamente coltivate alle origini, come il «Lavoro» e la «Temperanza», hanno, oggi, lo spessore e la chiarezza dei tempi di Don Bosco?

Il clima soprannaturale e la genuinità della spinta pastorale, ossia quell’amore che è dono dello Spirito del Signore, è ancora la vera anima delle nostre attività e l’atmosfera quotidiana delle nostre case? Alla radice di tutti i nostri impegni c’è davvero un motivo d’ubbidienza religiosa? Crediamo ancora all’indispensabilità di una sana disciplina che ci faccia essere nella pratica di ogni giorno autentici discepoli del Cristo casto, povero, ubbidiente?

Ecco: questo Sogno di cento anni fa ci interpella ancora; in certo modo, il «qualis esse periclitatur» è più attuale oggi che allora.

Meditiamo, dunque, individualmente e in comunità questo Sogno ammonitore; riflettiamo sull’appello accorato del giovane; e, soprattutto, entusiasmiamoci per i valori della nostra vocazione, coltiviamoli con cura e trasmettiamoli con fedeltà. Consideriamo sempre la crescita della nostra vocazione come un’iniziativa dell’Alto e sentiamoci invitati anche noi a cantare con sincera gratitudine: «Non a noi, Signore, non a noi, ma al tuo Nome da’ gloria!».

Cari confratelli, eccovi un piccolo patrimonio spirituale da riprendere oggi in considerazione, da meditare, da applicare.

Immaginiamoci che la voce ammonitrice della terza scena del Sogno si levi per noi da tanta gioventù bisognosa che ci interpella.

La vocazione salesiana è stata suscitata per i giovani. Don Bosco è un regalo di Dio fatto ai giovani; è il loro amico, segno e portatore per loro della predilezione di Cristo. Essi hanno grande bisogno della sua amicizia. Iddio ha dato in dote alla gioventù che ci circonda una specie di «diritto» alla vocazione salesiana, nel senso che Cristo e Maria hanno voluto questa vocazione proprio per essi: ricordare il sogno dei nove anni!78 Urge, dunque, offrirla ai giovani di oggi nei suoi più genuini valori, testimoniati con robusta vitalità

Approfittiamo della ricorrenza dei cento anni del Sogno per rinnovarne il ricordo e l’approfondimento. Facciamo tesoro dei suoi insegnamenti e dei suoi ammonimenti.

Ci sia d’ispirazione e di aiuto Maria, del cui santo Nome aveva fatto memoria liturgica Don Bosco prima di iniziare il Sogno.

Invio ad ognuno i miei più cordiali saluti, mentre assicuro un ricordo quotidiano nell’Eucaristia e nel Rosario.

Con stima ed affetto,

D. Egidio Viganò





NOTE LETTERA 12 ------------------------------------------------


1 ACS 55, 1950, pag. 923

2 ib., pag. 924

3 La festa del S. Nome di Maria fu istituita dal Papa B. Innocenzo XI in memoria della vittoria delle armate cristiane contro i Turchi a Vienna, il 13 settembre 1683. Egli la fissò alla prima domenica dopo la Natività di Maria. L’anno 1881, di cui parla Don Bosco nel «Sogno», la domenica dopo la Natività della Madonna (e cioè dopo l’8 settembre) era appunto il giorno 10 e quindi «giorno che Santa Chiesa consacra al glorioso nome di Maria». Più tardi, all’inizio del nostro secolo, S. Pio X, per non impedire una domenica, fissò la festa del Nome di Maria il giorno 12 settembre.

4 MB XV, 182.

5 Cecilia Romero: I Sogni di Don Bosco - Edizione critica, Torino, 1978, LDC.

L’Autrice presenta questo Sogno insieme a un gruppetto di altri, fatti da Don Bosco nell’ultimo periodo della sua vita: 1870-1887.

«Tale circostanza — scrive la Romero a pag. 10 — si riflette notevolmente sul contenuto dei sogni medesimi.

Il momento storico in cui sono situati, dopo la fine del potere temporale dei papi, è caratterizzato da un profondo cambiamento socio-politico-religioso. Tra i problemi che ne derivano, uno dei più gravi è quello delle vocazioni religiose e sacerdotali.

Inoltre, per Don Bosco questo è un periodo di ripensamento sulla sua opera educativa e sulla Congregazione. Essa deve essere rinsaldata per rispondere alle attese della Chiesa e della società del presente e dell’avvenire. Pertanto ha bisogno di un vigoroso incremento, anche per adeguarsi alla rapida e vasta espansione missionaria che caratterizza il secondo Ottocento.

Tale situazione di ripensamento è pure dimostrata da varie opere che Don Bosco scrisse in questo periodo. Ci basti citare fra le altre: Le Memorie dell’Oratorio (1873-1875), e l’opuscolo sul Sistema Preventivo (1877).

Visti da questa angolazione, i suddetti sogni rivestono tutti una spiccata importanza, sia per il contenuto in sé, sia per le loro caratteristiche comuni e particolari, che offrono possibilità di analisi in diverse dimensioni: psicologica, parapsicologica, pedagogica, teologica, storia, ecc.».

6 P. Stella, Don Bosco nella storia della religiosità cattolica, vol. II, pag. 527

7 MB XV, 182

8 Lettere circolari di Don Paolo Albera ai Salesiani, edizione 1965, pag. 370

9 cf. ACS n. 23, pag. 197; 55, 923-924; 56, 933-934; 57, 965.

10 ACS n. 23, pag. 200-203

11 ACS n. 55, pag. 925-930

12 ACS n. 23, pag. 175

13 ACS n. 23, pag. 174ss

14 ACS n. 56, pag. 933ss

15 Romero, I sogni di Don Bosco, cf. nota 5

16 ACS n. 56, pag. 934

17 ACS n. 56, pag. 934

18 ACS n. 57, pag. 965

19 ACS n. 56, pag. 933-934

20 ACS n. 55, pag. 923

21 ib.

22 Cost 49

23 ACS n. 56, pag. 934

24 ib.

25 cf. ACS n. 298, pag. 629-680

26 ACS n. 23, pag. 184

27 Citato da don Rinaldi, ACS: vedere MB XIII, 82-83

28 CGS 729

29 cf. Cost 42, 43, 87

30 MB XII, 466-467

31 Traité de l’amour de Dieu, libr. 7, cap. 7, in Opera Omnia V, 29-32

32 ACS n. 290, 1978

33 LG 46

34 cf. 1 Gv 5,4

35 cf. Cost 47

36 cf. Cost 43

37 Lettere circolari di Don Paolo Albera ai Salesiani, edizione 1965, pag. 372

38 Cost 40; cf. 41,48

39 ACS n. 56, pag. 934

40 MB X, 1059

41 MB XVII, 459

42 MB XII, 459

43 Cost, Appendice, pag. 237

44 MB II, 298ss

45 Cost 3

46 Cost 34. 50

47 cf. al riguardo P. Stella, Don Bosco nella storia della religiosità cattolica, vol. II, pag. 402-407

48 cf. nello stesso volume, pag. 227-240

49 Cost 51

50 MB XIV, 549

51 MB XV, 682

52 ib.

53 MB X, 1046

54 Cost 81; cf. 82 e 83

55 MB V, 675

56 Cost 87

57 Documento di Puebla 1152

58 Ricordiamo il sogno del pergolato delle rose: MB III, 32ss

59 Cost, Appendice, pag. 241

60 Cost 42

61 Cost, Appendice, Introduzione alle Regole, pag. 256-257

62 MB VI, 442

63 MB V, 554-556

64 ACS n. 55, pag. 923

65 ib., pag. 924

66 ACS n. 56, pag. 934-935

67 Don Rinaldi, ACS 55, pag. 924

68 MB XVII, 385ss

69 cf. ACS n. 295, 1980

70 cf. ACS n. 295

71 cf. E. Ceria, Annali della Società Salesiana, I, pag. 747-748

72 cf. ACS n. 23, pag. 184-185

73 MB XVII, 645

74 cf. per es., il sogno della ruota, MB VI, 897ss

75 ACS n. 15, pag. 187

76 ACS n. 55, pag. 923

77 ACS n. 295

78 MB I, 123ss