251-300|it|298 La componente laicale della Comunità Salesiana

10.


LA COMPONENTE LAICALE

DELLA COMUNITÀ SALESIANA


1. Il volto originale della nostra Società. - 2. La figura del Salesiano coadiutore: Descrizione delle sue svariate prestazioni - La sua nota qualificante. - 3. Delicato travaglio di identificazione: Il Coadiutore è un “religioso” - Non è un “secolare consacrato” - È pienamente “salesiano” - Ha scelto la “dimensione laicale”. - 4. In che consiste questa “dimensione laicale”?: “Laicità” a livello di creazione - “Laicità” a livello di missione della Chiesa - “Laicità” come dimensione realizzabile nella vita religiosa. - 5. Il vero contrassegno del Salesiano coadiutore: Senso d’appartenenza comunitaria - Coscienza di una “apertura secolare” della Congregazione. - 6. Situazione problematica: Alcuni dati statistici - Un suggerimento di prospettiva - Fiducia nell’azione dello Spirito Santo. - 7. L’impegno oggi più urgente. - 8. Il compito strategico della formazione: Unità della formazione - Formazione specifica - Formazione permanente. - 9. Due autorevoli appelli.

Lettera pubblicata in ACS n. 298



Roma, 24 agosto 1980


Cari Confratelli,


è da tempo che desideravo conversare con voi su un tema vitale: quello del “Salesiano coadiutore”. Esso ha bisogno di attenta riflessione e di particolare cura, oggi, in tutte le Ispettorie, in ogni Casa, e nella mentalità e nel cuore di ciascun Confratello.

I due ultimi Capitoli Generali ne hanno discusso con particolare preoccupazione; e la realtà ci interpella su di esso con urgenza. Si tratta non solo del Confratello coadiutore, ma di ciascuno di noi; di tutti insieme, della comunità, di una dimensione della nostra Società: non solo “lui”, ma “noi”. Tocchiamo un tema capitale per la Congregazione; entra nella sua stessa compagine; forma parte viva della sua identità e costituisce una componente dinamica e qualificante della sua missione.

Conosciamo il pensiero creativo di Don Bosco al riguardo. Ancora lui vivente, si è trattato di questo tema nei primi quattro Capitoli Generali, e poi in quasi tutti i seguenti.

I Rettori maggiori ne hanno parlato in vari modi con visione congregazionale, persuasi di presentare una nostra originalità comunitaria. Don Albera, alla fine della sua vita, aveva preparato degli appunti per una circolare sopra “Don Bosco modello dei Coadiutori”, parallela a quella sua memorabile del 1921 su “Don Bosco modello del Sacerdote salesiano”. Don Rinaldi scrisse nel 1927 una lettera veramente fondamentale su “Il Coadiutore salesiano nel pensiero di Don Bosco” (ACS, n. 40, 572-580); essa merita ancora — anzi soprattutto oggi — di essere riletta e meditata perché rivela gli orizzonti del pensiero di Don Bosco.

I profondi cambiamenti sociali ed ecclesiali hanno spinto i due ultimi Capitoli Generali a ritornare su questo tema con particolare determinazione. Lo ha fatto in modo più sistematico il CG21 nel documento 2° su «Il Salesiano coadiutore: una vocazione di “religioso laico” a servizio della missione salesiana» (CG21, 166-211); e nel documento 3° su «La formazione alla vita salesiana» (CG21, 299-306). Io ne vorrei commentare qui gli aspetti più rinnovatori e richiamare seriamente alla memoria vari orientamenti illuminanti e alcune esigenze operative.



1. Il volto originale della nostra Società


Don Rinaldi ha scritto che «il Coadiutore salesiano è una geniale creazione del gran cuore di Don Bosco, ispirato dall’Ausiliatrice» (ACS, n. 40, 574). Egli ha insistito sulla «geniale modernità» di tale figura di socio e ne ha esposto i motivi. «Il Coadiutore salesiano — afferma egli con chiarezza — non è il secondo, né l’aiuto, né il braccio destro dei sacerdoti suoi fratelli di religione, ma un loro uguale che nella perfezione li può precedere e superare, come l’esperienza quotidiana conferma ampiamente» (ib.).

Se non allontaniamo dal suo contesto questa affermazione così nitida, dovremo cercar di capire come la «genialità creativa» di cui parla don Rinaldi si ripercuote di fatto sull’essere stesso di tutta la Congregazione. Essa ci aiuterà a ripensare la figura di ogni socio al di dentro della Comunità salesiana.

Dopo il Concilio, la “Comunità” è stata oggetto di particolare approfondimento, e questo influisce non superficialmente sulla caratteristica dei suoi membri. La nostra Società, ci dicono le Costituzioni, consta di ecclesiastici e laici (Cost 3); e aggiungono che «vivere e lavorare insieme è per noi Salesiani un’esigenza fondamentale e una via sicura per realizzare la nostra vocazione» (Cost 50); la stessa nostra «missione è affidata in primo luogo alla comunità, ispettoriale e locale. I suoi membri hanno funzioni complementari con compiti tutti importanti» (Cost 34).

Da queste indicazioni costituzionali scaturisce una costatazione che deve toccare l’interiorità e la mentalità di ogni socio. Il salesiano deve sentire scolpita nel suo cuore di “membro della comunità” una relazione congenita di riferimento di se stesso a una oggettiva complementarità con altre figure di confratelli tipologicamente differenti nella loro caratteristica di Salesiani. Così il Salesiano prete o chierico (e diacono permanente, che avrebbe bisogno di una riflessione a parte) deve sentirsi riferito spontaneamente, per la forza comunionale della sua stessa salesianità, al Coadiutore; e il Salesiano coadiutore deve sperimentare altrettanto verso il confratello Prete o Chierico.

La nostra vocazione, radicalmente comunitaria, esige una comunione effettiva non solo di fraternità tra le persone, ma anche, e in modo altamente significativo, di mutuo riferimento delle sue due componenti fondamentali: quella “sacerdotale” e quella “laicale”. Ogni confratello, Prete, Chierico o Coadiutore, vive la sua vocazione sacerdotale o laicale in stretto rapporto d’integrazione con l’altra, e non già da solo e per sé, come se essa fosse una caratteristica indipendente o magari anche indifferente.

Le due dimensioni fondamentali di scelta esigono un mutuo rapporto vitale tra le differenti persone che le vivono; esse si sviluppano in una simbiosi comunitaria, secondo un dosaggio armonico che cerca di compenetrare dal di dentro l’una con l’altra nel progetto di quella “geniale modernità” e di quella missione comune che costituiscono “l’indole propria” della nostra Congregazione religiosa (cf. CG21, 194). Don Bosco infatti volle che la Società di san Francesco di Sales fosse una «radunanza di Preti, Chierici e Laici, specialmente artigiani, i quali desiderano di unirsi insieme, cercando così di farsi del bene tra loro e anche di fare del bene agli altri. [...] Notate eziandio — continua Don Bosco — che tra i soci della Congregazione non vi è distinzione alcuna; sono trattati tutti allo stesso modo, siano artigiani, siano chierici, siano preti; noi ci consideriamo tutti come fratelli» (MB XII, 151 e 152).

Il nostro Fondatore, dunque, nel dare struttura alla Congregazione determinò che fosse costituita di “ecclesiastici” e di “laici”: non di soli “ecclesiastici”, e non di soli “laici”; ma “ecclesiastici e laici”, in un’unica comunione di vita e di apostolato.

Il CG21 ha chiarito l’importanza e l’influsso della componente del Coadiutore salesiano nella prassi pedagogico-pastorale del “Sistema Preventivo”. Ha precisato e approfondito la mutua complementarità della doppia scelta “sacerdotale” e “laicale”; ha calibrato un delicato dosaggio di permeabilità tra l’una e l’altra nell’organicità di una comunità religiosa “pastorale”, servita e animata da una guida avvalorata dai carismi dell’Ordinazione sacerdotale (CG21, n. 196. 235; e tutta l’impostazione del delicato problema: n. 212-239); ma lascia aperta una ricchezza d’approfondimento e di ricerca, una problematica di purificazione della mentalità, e una prospettiva di ripensamento coraggioso in consonanza con la forte evoluzione culturale e con il rinnovamento ecclesiale in cui ci troviamo intensamente coinvolti.

In particolare il Capitolo ci ha chiamati a dar vita a un tipo di comunità che nel suo stesso essere costitutivo renda possibile «l’evangelizzare educando e l’educare evangelizzando» su cui ha tanto insistito. La correlazione profonda tra Preti, Chierici e Coadiutori — ci ricorda il Capitolo — «non significa subordinazione o contrapposizione, e neanche la perdita o la fusione delle proprie caratteristiche. Al contrario, è qualcosa che caratterizza le persone e la comunità salesiana apostolica» (CG21, 194).

Le differenze nella figura e nel ruolo dei soci non vanno considerate “limitazioni” o “gradi”, ma sorgenti di ricchezza comune; non mancanza di qualcosa, ma potenziale integrativo dei valori degli altri (cf. CG21, 179); apporto armonico a un tipo di comunità religioso-apostolica originale.

La perdita e lo squilibrio di tale organica differenziazione nuoce gravemente all’identità della Congregazione nel suo essere comunitario e quindi nel suo stile di apostolato. L’attuale crisi che attraversiamo intacca sia la nostra dimensione laicale come anche quella sacerdotale, e soprattutto l’armonico dosaggio della loro mutua permeabilità. La dimensione sacerdotale, tuttavia, usufruendo di una lunga tradizione ecclesiale, ha avuto in questo nostro primo secolo di vita una certa preponderanza e ha fatto maggiore progresso (anche se oggi ha bisogno di profonda revisione dottrinale e di maggior fedeltà alla sua genuina natura); mentre la dimensione laicale, che Don Bosco voleva “nuova” nel suo genere («geniale creazione» secondo don Albera e don Rinaldi), mancando di una più ricca tradizione dottrinale, ha avuto uno sviluppo piuttosto contenuto, nonostante luminose indicazioni di Superiori e di studiosi. Questa differenza ha scosso poco a poco anche l’equilibrio dell’indole propria che caratterizza la nostra Società. Questo fatto ci deve impegnare a riflettere esplicitamente e con serietà su questo tema, per saper correre ai ripari con tutte le forze.

Il Vaticano II e gli ultimi Capitoli Generali apportano nuova luce per approfondire e sviluppare quanto già contenuto nel germe fondazionale.



2. La figura del Salesiano coadiutore


Il Coadiutore in Congregazione, come anche il laico nella Chiesa, ha una svariata possibilità di ruoli (cf. CG21, 166): ciò potrebbe anche trarre in inganno sull’essenza della sua vocazione e quindi della componente laicale delle nostre comunità.


Descrizione delle sue svariate prestazioni


In linea di massima, per questi nostri primi cento anni di vita, si potrebbero qualificare le differenti mansioni disimpegnate da Coadiutori, secondo il seguente schema:

1. Coadiutori per funzioni educativo-sociali-pastorali-formative, ossia impegnati in attività culturali e scolastiche, soprattutto in scuole tecnico-professionali; in iniziative associazionistiche, circoli apostolici, gruppi sportivi, musicali e drammatici; in servizi di animazione per il tempo libero, nei mezzi di comunicazione sociale, nell’avviamento al mondo del lavoro, nella formazione sociale, ecc.;

2. Coadiutori per attività cosiddette terziarie, ossia dediti a lavori d’ufficio, economici, contabili, commissionieri, segretari, rappresentanti di settori, infermieri, sacristi, organizzatori del personale di impiego, ecc.;

3. Coadiutori per servizi domestici, ossia collaboratori generosi in casa, disposti a occuparsi di qualunque lavoro in cui si sentano sufficientemente competenti; per esempio, cura dell’ordine e della pulizia, lavori vari in campagna, in cucina, in panetteria, nell’ordinamento materiale delle opere, in portineria, spesso preziosi “factotum”, ecc.


Anche se molto sommario e incompleto, questo schema evidenzia chiaramente che si tratta di attività e servizi molto disparati che richiedono attitudini e preparazione distinte; con proiezioni ben differenti per la programmazione della formazione del Salesiano coadiutore.

La materialità di queste attività e servizi, però, la si vede realizzata di fatto (e non necessariamente in forma abusiva) anche da Preti e da Chierici, almeno per necessità e come espressione di collaborazione fraterna e di praticità di convivenza. Anzi, è da desiderare e da promuovere che certi servizi domestici giornalieri e d’impegno passeggero siano sempre più assunti insieme, in semplicità di collaborazione, da tutti i componenti della comunità.

Riferendoci però agli svariati tipi di prestazioni dei Coadiutori, lo schema suindicato serve a sottolineare la loro pluriforme dedizione — diciamo “a tempo pieno” — a un tipo di attività o di servizio che costituisce una specie di loro professionalità.


La sua nota qualificante


Ora, prima di proiettare questa diversità di servizi su una ragionevole pluriformità di pastorale vocazionale e di formazione, è necessario cercare di percepire ciò che — sotto le diverse attività — costituisce il valore di fondo comune, l’elemento caratterizzante e la fisionomia essenziale della figura del Coadiutore in distinzione da quella del Prete e del Chierico.

Alla radice della differenza infatti non c’è una negazione o una carenza di qualificazione ecclesiale, bensì una scelta differente: il Coadiutore ha optato per un ideale cristiano positivo che non è definito dal sacramento dell’Ordine, ma è costituito da un insieme di valori che formano per se stessi un vero obiettivo vocazionale di alta qualità. L’articolo 37 delle Costituzioni rinnovate sottolinea l’identità di tale scelta, qualificandola di “vocazione” e propriamente di una vocazione che è in se stessa “concreta” (con propria fisionomia), “completa” (senza carenze), “originale” (frutto della genialità del Fondatore), “significativa” (di particolare attualità) (cf. CG21, 173).

Ma qual è l’oggetto essenziale e distintivo della scelta vocazionale del Salesiano coadiutore? Il CG21 ci parla di una sua opzione esplicita di “laicità”: «La dimensione laicale è la forma concreta con cui il SC vive e agisce come religioso salesiano. È, questa sua caratteristica specifica, un valore rilevante ed essenziale della sua identità.

La laicità non va quindi intesa come qualcosa di negativo; non si riduce neppure a un servizio o a una semplice funzione; è invece l’insieme dei valori che caratterizzano il cristiano laico qualificato dalla consacrazione religiosa salesiana» (CG21, 178).



3. Delicato travaglio di identificazione


Questa risposta, che cioè il Coadiutore ha fatto la scelta esplicita di un tipo di laicità, è a prima vista chiara ma va precisata con serenità e diligenza.

Purtroppo ci muoviamo qui su un terreno appena aperto a una feconda ricerca, in cui la stessa terminologia in uso non è nitida; essa è perlomeno ambivalente, non ancora precisata e rassodata né nel campo del linguaggio profano, né in quello ecclesiastico. Eppure è assolutamente necessario per noi capire bene ciò che ha voluto affermare il CG21 asserendo che «la dimensione laicale è la forma concreta con cui il Salesiano coadiutore vive e agisce come religioso salesiano». Se non percepiamo la verità contenuta in tale dichiarazione, come potremo fondamentare e sviluppare il significato della nostra identità comunitaria e tutta una programmazione rinnovata per il rilancio di questa vocazione originale?

Ci sono in essa alcuni aspetti chiari (cf. CG21, 172-180); ma ce ne sono anche altri che abbisognano di chiarimento. Chiediamo allo Spirito del Signore un po’ di luce, per approfondire meglio la componente laicale della nostra comunità, centrando la nostra attenzione sull’identità del Salesiano coadiutore. Qui, ci contenteremo di offrire solo un qualche apporto di riflessione sul testo capitolare, che serva da presupposto indispensabile al lavoro vocazionale e formativo da intraprendere.


Il Coadiutore è un “religioso”


Innanzitutto è chiaro che il Salesiano coadiutore è un vero “religioso”, e non un “laico” nel senso descritto dalla Costituzione dogmatica Lumen Gentium (cf. LG 31). Ciò significa che egli non ha come distintivo della sua vita nella Chiesa “l’indole secolare” indicata dal Concilio come caratteristica di esistenza nel mondo, trattando le cose temporali della famiglia, del lavoro, della cultura e della politica secondo Dio.

A lui corrisponde in proprio la forma di vita religiosa; quindi ha nella Chiesa una vocazione con cui «testimonia in modo splendido e singolare che il mondo non può essere trasfigurato e offerto a Dio senza lo spirito delle beatitudini» (LG 31); il suo impegno ecclesiale, come anche degli altri confratelli, è quello di «lavorare, secondo le forze e il genere della propria vocazione, sia con la preghiera, sia anche con l’offerta attiva, a radicare e consolidare negli animi il Regno di Cristo e a dilatarlo in ogni parte della terra» (LG 44).


Non è un “secolare consacrato”


In secondo luogo è ugualmente chiaro, per la stessa ragione, che il rilancio del Coadiutore non può far leva sulla secolarità consacrata; essa infatti è propria dei laici membri di un Istituto secolare (cf. la mia lettera alle VDB, in ACS, n. 295). Quindi certi stili di inserzione apostolica individuale, certe interpretazioni dell’obbedienza e della povertà, certi impegni temporali al di là della missione specifica della Congregazione, non corrispondono all’autenticità della sua professione religiosa.

Rimane fondamentale e indispensabile per lui la dimensione comunitaria, così esplicitamente voluta da Don Bosco e fortemente affermata nelle Costituzioni. La coscienza di membro, il senso di “complementarità”, la partecipazione alla missione giovanile e popolare, la disponibilità nell’obbedienza, la “comunione dei beni” e la dipendenza dal superiore nel loro uso, la castità come fondamento di comunione fraterna, la quotidiana adesione alla comunità orante, ecc., sono un suo specifico patrimonio spirituale. Un patrimonio che egli ha in comune con tutti i confratelli, a pieni diritti e a pieni doveri. «I Coadiutori — scrive sempre don Rinaldi — sono veri Salesiani obbligati alla medesima perfezione, e ad esercitare, ciascuno nella propria professione, arte o mestiere, l’identico apostolato educativo che forma l’essenza della Società salesiana» (ACS, n. 40, 574).


È pienamente “salesiano”

I

n terzo luogo, è anche particolarmente chiaro che, essendo “religioso salesiano” a pieno diritto, il Coadiutore è portatore di tutto lo spirito e di tutta la missione della Società di san Francesco di Sales. La nostra però è una Congregazione di vita attiva, particolarmente inserita nella storia e quindi interessata a determinati valori temporali e spazi profani.

La sua missione è evidentemente religiosa, dedita all’evangelizzazione, ma è vincolata necessariamente alla grande area culturale umana, specialmente nel settore dell’educazione, con un influsso nel sociale e nel politico, anche se la sua attività è di ben altra natura. Comporta infatti una profonda compenetrazione tra Vangelo e cultura, tra sacro e profano, tra Chiesa e mondo, tra spirito delle beatitudini e promozione umana; è impegnata a vivere una santità di impatto, che coinvolga la gioventù e influisca nella costruzione di una nuova società.

Ora la collaborazione a rinnovare la Città umana, anche se fatta con specifica missione religiosa, implica conoscere e coltivare la densità caratteristica di tanti valori profani. La nuova cultura emergente porta con sé la scoperta del profano con al centro una civiltà del lavoro in cui il cittadino si applica a umanizzare la natura e le forze del cosmo.

Come conseguenza di una missione evangelizzatrice tanto inserita nel divenire storico, ci sarà bisogno nella comunità (che è il soggetto portatore di tale missione) di una molteplicità di ruoli e di approcci alla realtà che implicano non solo funzioni diverse e complementari, ma anche atteggiamenti differenti e mutuamente permeabili.

E così troviamo nell’unità vocazionale della Congregazione le due dimensioni fondamentali: quella di tipo “sacerdotale” e quella di tipo “laicale”. Non si tratta semplicemente di questo o quel socio che, per conto suo e in modo sciolto e quasi arbitrario, abbia un gusto personale più o meno ministeriale o profano; si tratta della comunità salesiana nella sua vitalità organica, ossia della Congregazione in quanto tale, che ha come componente essenziale della sua fisionomia un peculiare e simultaneo senso della consacrazione dell’Ordine e della situazione laicale, permeantesi in una sintesi originale di vita comune.

Quindi tutti i membri della comunità salesiana debbono sentire e vivere come propria, sia una certa sensibilità “laicale”, sia una specifica sensibilità “sacerdotale”, oggetto di comunione fraterna e di corresponsabilità, anche se ognuno realizza la sintesi con atteggiamenti e con ruoli differenti: evitando da una parte le tentazioni di laicismo e di secolarismo, e dall’altra quelle di clericalismo o di un certo “populismo” ecclesiologico.

Evidentemente il Coadiutore ha un atteggiamento e dei ruoli che privilegiano la dimensione laicale, mentre il Prete e il Chierico li hanno a favore di quella sacerdotale; ma entrambi si sentono intimamente e indissolubilmente correlati, in tale forma che questa mutua e armonica permeazione costituisce parte della loro peculiare e comune spiritualità salesiana. Perciò, dicevo al principio che ogni confratello deve sentire scolpita nel suo cuore di “membro” della comunità una vincolazione congenita: se è Prete o Chierico verso il Coadiutore, e se è Coadiutore verso il Prete o il Chierico.

Purtroppo qua e là chi ci osserva parla erroneamente di “Padri Salesiani”, quasi che la comunità o l’Ispettoria fosse riservata unicamente a sacerdoti o caratterizzata solo da loro. E a volte, anche tra noi, per differenti ragioni, si formulano dei progetti d’impegno apostolico che emarginano nella loro stessa programmazione il ruolo del Coadiutore, implicando così, di fatto, uno squilibrio vocazionale pe-ricoloso.

Il pericolo è che la comunità può cadere in due deviazioni di opposto significato ma di comune radice “clericalista” (più che clericale): la riduzione del progetto apostolico salesiano a sola attività cultuale e catechistica; oppure una specie di monopolio secolarista da parte dei Preti che mimetizzano la loro dimensione sacerdotale e invadono l’ambito proprio dei Coadiutori e dei laici, svuotando rischiosamente l’indispensabile genuinità del loro ministero.

I membri di una comunità salesiana dovrebbero saper pensare e ricercare sempre l’apporto specifico ed essenziale del Salesiano coadiutore anche quando egli non ci fosse ancora (le soluzioni di supplenza però dovrebbero essere transitorie). Solo così si apprezzerà giustamente la sua essenzialità costitutiva e solo così ci si darà da fare sul serio per riempirne l’eventuale deleterio vuoto.

Purtroppo sembra, a volte, che ciò non sia sentito da tutti in Congregazione. In una recente inchiesta, promossa dal Dicastero per la formazione presso le Ispettorie, fu chiesto: «Alla luce della salesianità come è sentita nell’Ispettoria la mancanza del Salesiano coadiutore?». Ci fu chi rispose: «vi ci stiamo abituando...»! Se di fronte a questa dolorosa realtà si assume un atteggiamento di tale rassegnazione, penso con pena che ci si avvia alla perdita di un aspetto qualificante la natura stessa della Congregazione.


Ha scelto la “dimensione laicale”


c’è un quarto aspetto sufficientemente chiaro, almeno come affermazione, della caratteristica distintiva del Coadiutore: il fatto che la dimensione laicale è, in Congregazione, la forma concreta con cui egli vive e agisce come religioso salesiano.

Qui, più che descrivere gli svariati ruoli del Salesiano coadiutore, vorremmo saper penetrare l’atteggiamento interiore che è alla base di questa sua caratteristica vocazionale, per cui il cuore salesiano del Coadiutore (e quindi la pastorale vocazionale e la formazione che gli si dovranno riferire) si distingue per peculiari valori positivi da quello del Prete e del Chierico: una differenza che è ricchezza per la comunione! È appunto in vista di questa sua cosciente diversità che il Coadiutore diviene, nella comunità, elemento indispensabile di identità comunitaria e apporta una “geniale modernità” all’essere e all’agire salesiano.

Ma qui sorgono degli interrogativi non facili, anche se affascinanti. Il problema di fondo non sta nella materialità pratica delle attività del Coadiutore, ma nel “perché” radicale della psicologia che lo anima. Per capire la “dimensione laicale”, non dobbiamo mettere in primo piano che cosa il Coadiutore voglia o possa “fare” ma come egli debba “essere nel fare”. Ossia quale sia la nota interiore caratterizzante la sua “scelta di vita”, il suo “modo di essere” nel pensare, nel testimoniare, nell’agire e nell’influire sullo stile religioso di tutta la comunità salesiana.

Certo, questa sua condizione porterà come conseguenza anche delle preferenze e delle differenze nelle sue attività e responsabilità concrete; ci saranno nella missione comunitaria delle cose necessarie e opportune che appariranno come proprie del Salesiano coadiutore, non in forma stereotipata secondo uno schema fisso, ma secondo le svariate e mutevoli esigenze culturali o congiunturali. Don Bosco disse con acuto e ampio realismo: «Vi sono delle cose che i Preti e i Chierici non possono fare e le farete voi!» (MB XVI, 313).

La “dimensione laicale” non comporta dunque un aspetto “negativo” (il non essere Prete) e un atteggiamento “passivo” (l’aspettare indicazioni per collaborare) quasi egli fosse uno strumento in mano d’altri; esige invece nel Coadiutore un “dinamismo positivo” proprio di un socio attivo e corresponsabile anche nell’inventiva e nella programmazione apostolica. Esprime infatti un aspetto essenziale della stessa vocazione salesiana.

Molto opportunamente perciò l’ultimo Capitolo ha voluto precisare alcuni tratti concreti, distintivi e attraenti della vita spirituale del Salesiano coadiutore (cf. CG21, 186-191); e lo ha fatto perché all’interno della sua identità ci deve essere un’anima viva, ossia una spiritualità che lo nutra, lo sviluppi, lo dinamizzi e lo renda apportatore di entusiasmo e di ricchezze evangeliche per gli altri.

Ma quali sono i contenuti e gli orizzonti della sua dimensione laicale? Una simile domanda è divenuta per noi ormai ineludibile; e tentare di darle una risposta significa, in definitiva, approfondire l’identità stessa della nostra Congregazione.

La poca chiarezza e conoscenza della “laicità” sta probabilmente alla base dell’incomprensione dell’idea del nostro Padre e Fondatore sia circa il Coadiutore, sia circa il “Cooperatore” e tutta la “Famiglia Salesiana”. Ma rimaniamo, qui, nell’ambito della componente laicale della comunità religiosa dei Salesiani di Don Bosco.



4. In che cosa consiste questa “dimensione laicale”?


La professione religiosa salesiana assegna al Coadiutore un ideale caratteristico, vissuto con una intensa e originale carica spirituale, specificata appunto dalla sua “dimensione laicale”. La cosiddetta “laicità”, a cui si riferisce la scelta vocazionale del Coadiutore, presenta però un’estensione assai vasta di significati diversi: alcuni precisi, altri vaghi, altri sviati; ci si potrebbe perdere nel volerli elencare e spiegare.1 Ma in essi c’è pure un nucleo comune, a fondamento dei pregi e valori che stiamo cercando.

Limitiamoci ad alcune precisazioni più assodate nell’attuale riflessione del pensiero cristiano. Indichiamo brevemente tre grandi livelli di significazione della laicità, che a noi interessano.


Laicità” a livello della creazione


Innanzitutto, c’è un livello di “laicità” che sottolinea la condizione universale dei valori della creazione: essa è anteriore ed esterna alla Chiesa, e quindi attinge tutta la realtà della natura nella sua verità

fondamentale. Si riferisce alle realtà create in quanto tutte hanno una propria bontà congenita (cf. Gen. 1, 25. 31 e anche AA, 7).

Tale laicità è alla base di ogni conoscenza, di ogni scienza e della tecnica. È importante annotare che le cose create non sono eterne e non sono apparse per una necessità determinista, ma sono state oggetto della libertà di Dio che sapeva sia “quello” che voleva, sia “perché” lo voleva; costituiscono quindi l’inizio primo di un dialogo di Dio verso l’uomo antecedentemente a ogni parola umana, a ogni interpretazione e anche a ogni religione.

Non è inutile osservare subito che la coscienza di questo livello di laicità può essere fonte di un atteggiamento spirituale e di un dialogo universale, tanto importante oggi in un mondo che è appassionato di scienza e di tecnica ma che soffre di una grave mancanza del senso della creazione e di un’incapacità di riferimento all’unità del cosmo e al suo significato per l’uomo. Quindi una mentalità sanamente laicale, a questo livello, evita di lasciarsi plagiare da qualsiasi indottrinamento ideologico, ma ama umilmente e sacrificatamente la verifica dell’oggettività nella serietà complessa delle cose.

Anche la fede cristiana trova qui un metro inflessibile per chiarire se stessa ed evitare o correggere eventuali sovrastrutture mitologiche e irrazionali. L’attuale processo di secolarizzazione, in ciò che ha di positivo, può essere considerato una giusta maturazione di ragione e di fede in riferimento alla verità creaturale. Dio e le cose non sono due universi antagonistici che spartiscono tra loro l’ambito del “sacro” e quello del “profano”. Tra Dio e le cose c’è unità, nel senso che la natura è quello che è ed esiste proprio in quanto il Creatore la vuole.

Una mentalità laicale, quindi, guarda al profano non solo con simpatia ma anche con senso spirituale, in riconoscimento della sua nativa bontà. La tentazione di separare Dio e le cose è ugualmente perniciosa sia nell’atteggiamento del “laicista” che considera la natura come una realtà avulsa da Dio, sia nell’atteggiamento del “clericalista” (di qualunque fede) che manipola i valori temporali secondo un arbitrio falsamente religioso. La fede cristiana ci assicura che Cristo non è alternativa del cosmo, ma ne è la pienezza; che Egli «tiene insieme tutto l’universo... e per mezzo di Lui (Dio) ha voluto rifare amicizia con tutte le cose, con quelle della terra e con quelle del cielo» (Col 1, 17. 20).

È una miopia materialista e una banale mitologia, purtroppo invadente, quella che insegna che per liberare l’uomo e renderlo Prometeo dell’universo occorre eliminare Dio: questa non è mentalità laicale, ma la degenerazione di un laicismo ateo. Al contrario, la conoscenza della oggettiva realtà delle cose è un presupposto basilare di ogni tipo di laicità.

Potremmo dire che, a questo livello, una “mentalità laicale” s’interessa della realtà oggettiva delle cose; si dedica ad esse con costanza anche se sono complesse ed esigono studio, pazienza, scienza, tecnica e sperimentazione; coltiva un’attenta considerazione e rispetto delle constatazioni del reale, un alto senso della professionalità, la coscienza che ogni mestiere è importante e spesso non facile, un realismo di approccio all’esistenza, una serietà di programmazione, l’istinto della collaborazione e un non comune apprezzamento dell’organizzazione. Sì: l’universo insegna!

Tutte queste qualità non sono facili da incontrarsi in chi crede di poter prescindere dai valori laicali. Per far volare un aereo non basta né l’intuizione, né la poesia, né la buona volontà, né la preghiera. Come bellamente ha scritto Gilson: «Ci si dice che è la fede che ha costruito le cattedrali del medioevo; certo, ma la fede non avrebbe costruito nulla se non ci fossero stati anche architetti... Noi cattolici, che professiamo il valore eminente della natura, perché è l’opera di Dio, dobbiamo dimostrare il nostro rispetto per essa ponendo come prima regola della nostra azione che la devozione non dispensa mai dalla tecnica!».2


Laicità” a livello di missione della Chiesa


C’è, in secondo luogo, un altro livello di “laicità”, quello proprio e specifico della Chiesa nella storia. Si riferisce a quei discepoli di Cristo, chiamati ecclesiasticamente “laici”, che «cercano il Regno di Dio trattando le cose temporali e ordinandole secondo Dio. Essi vivono nel secolo, cioè implicati in tutti e singoli gli impieghi e gli affari del mondo e nelle ordinarie condizioni della vita familiare e sociale, di cui la loro esistenza è come intessuta» (LG 31).

Questa laicità riguarda il “mondo” non tanto come creazione ma come realtà degli uomini, in quanto «è teatro della storia del genere umano e reca i segni del suo lavoro, dei suoi insuccessi e delle sue vittorie... il mondo certamente posto sotto la schiavitù del peccato, ma liberato dal Cristo» (GS 2).

Il cristiano “laico” vive come membro di una Chiesa che è servitrice dell’uomo e Sacramento universale di salvezza: Essa ha una missione che comporta anche «di permeare e perfezionare l’ordine delle realtà temporali con lo spirito evangelico» (AA 5). E il “laico” si sente incaricato precisamente di questo specifico ruolo vivendo il suo battesimo attraverso la caratteristica della “secolarità” (LG 31). S’impegna perciò con senso vocazionale nelle svariate realtà temporali: quelle della famiglia, della demografia, della salute, dell’educazione e della cultura, del lavoro e delle professioni, delle scienze, dell’industria, dell’economia, della giustizia, della politica, delle relazioni tra i popoli, della pace, ecc.

I settori umani da permeare e da perfezionare con lo spirito del Vangelo sono numerosi e complessi; esigono molteplici funzioni e professioni, stili differenti d’impegno, in forma individuale e associata e con distinti stati di vita che vanno dal matrimonio alla secolarità consacrata. C’è così uno svariato e benefico pluralismo tra i laici nella Chiesa, ma con la comune convergenza sul loro identico “carattere secolare”.

Il laico però constata fortemente e quotidianamente che nella storia è attivamente presente il mistero del male con gli intramontabili idoli dell’eros, della ricchezza e del potere; sente il peso della limitatezza umana, dell’ignoranza e del peccato che impediscono all’uomo di percepire e rispettare la laicità fondamentale della creazione, di dilatarsi alla trascendenza e di aprire le porte a Cristo. Capisce chiaramente che il male non è nelle cose, ma nel cuore dell’uomo e in certe strutture da lui fabbricate: è la libertà umana che manipola disordinatamente i valori temporali.

Il laico si sente così chiamato a una lotta permanente e immane; comprende — dal di dentro del mondo — l’indispensabilità di Cristo e la necessità della Chiesa; e gode di sentirsi parte complementare di un Corpo mistico più vasto e divinamente efficace. Guarda all’Ordine sacerdotale e alla vita religiosa come a componenti essenziali del suo essere cristiano e a fonti indispensabili di ispirazione, di energia e di spiritualità; vede in tutta la Comunità ecclesiale la feconda matrice della salvezza.

A questo secondo livello della laicità, più che di una mentalità laicale (che è presupposta già dal precedente livello), si deve parlare di una vocazione laicale; si tratta infatti di vivere una partecipazione alla missione della Chiesa. Con tale vocazione il laico carica di senso evangelico l’impegno temporale; sente che non può essere autentico laico senza l’aiuto della grazia; che non può esercitare una professione o un mestiere con purezza senza superare la tentazione di mettere il proprio tornaconto al di sopra dei valori oggettivi; ed è sperimentalmente convinto che non si può essere uomo integrale senza quel Cristo che è il Signore della storia!

La vocazione laicale porta a una volontà di presenza utile nella storia; a optare coraggiosamente per l’uomo e a sentirsi solidale con il suo tragico divenire; a considerare il mondo come lo spazio teologico, e non puramente sociologico, della sua vita di fede; ad acquisire vera perizia in qualcuna delle attività temporali; ad avere coscienza dell’estrema complessità di non poche di esse; a sviluppare il senso del possibile e del probabile nelle congiunture socio-culturali e politiche. Di conseguenza non assume un tono dogmatico, non sacralizza ciò che è discutibile, rispetta il pluralismo e apre il dialogo con tutti verso la laicità fondamentale delle cose e verso il mistero di Cristo.

La vocazione laicale forma a una psicologia nutrita di realismo e di concretezza, basata sulla convinzione che l’azione apostolica è opera di serietà, di dedizione, di studio, di programmazione, di sacrificio, di umiltà, di preghiera e di coraggio.

Il laico non disconosce né rifugge le complicazioni annesse all’organizzazione, alle strutture, alle istituzioni; anzi si meraviglia che in certi settori del clero e dei religiosi ci possa essere una concezione dell’impegno cristiano così astratta e superficiale da renderlo come disincarnato e confinarlo nel solo ambito di uno spiritualismo, forse attraente ma lontano dalle esigenze della realtà.

Fondandosi sulla sua qualificazione battesimale di membro sacerdotale, profetico e regale del Popolo di Dio (LG 34-36), si applica a fare del Mondo il vero Tempio del Signore, e della pluriforme attività umana un’espressione cosciente e vitale di liturgia da incorporare esistenzialmente nella Eucaristia del Cristo. Di modo che, in definitiva, l’universo creato divenga, attraverso la storia della salvezza, la grande Parola del dialogo d’amore tra Dio e l’Uomo, e il Mondo si presenti come mediazione sacramentale della loro mutua intercomunione.

Con una tale vocazione il laico scava nel profano una ricca miniera di santità, attingendo anche a spiritualità iniziate da santi Fondatori di peculiari movimenti evangelici. Tra questi noi ringraziamo lo Spirito del Signore d’aver suscitato, agli albori della civiltà industriale, Don Bosco, la cui spiritualità di azione apostolica è aperta a tutti, e può essere vissuta sia nella vocazione laicale, sia in quella del ministero ordinato, sia in quella della vita religiosa.


Laicità” come dimensione realizzabile nella vita religiosa


C’è infine un terzo livello di “laicità” nell’ambito della Chiesa, con un significato più delimitato, come dimensione realizzabile anche nella vocazione religiosa: essa non presenta il carattere della “secolarità”, ma si situa nella tipologia ecclesiale propria della “forma di vita religiosa”. Non comporta un’inserzione immediata nel mondo con una attività temporale dal di dentro di esso, ma implica un’appartenenza diretta e pubblica a una comunità di religiosi dediti a testimoniare lo spirito delle beatitudini; è alimentata da un “soffio escatologico” che sottolinea i valori della risurrezione come già presenti e operanti nella storia dopo la vittoria della Pasqua.

I “religiosi” sono dei gruppi di discepoli del Cristo risorto che testimoniano pubblicamente, per riconoscimento e incarico ecclesiale, il primato della carità diffusa definitivamente nel mondo a Pentecoste dallo Spirito del Signore risorto. Per questo il loro carattere specifico è «il dono totale di sé a Dio sommamente amato», da Lui ratificato con «una consacrazione più intima» di docilità allo Spirito Santo (LG 44).

Questo carattere specifico appare chiaramente differente dalla “secolarità” per quanto si traduce in una forma di vita che implica incorporazione a una determinata comunità con il vincolo di voti pubblici (che contestano i tre famosi idoli del male), con la professione di un Progetto evangelico sancito da proprie Costituzioni, con riferimento d’obbedienza a una legittima autorità e con una partecipazione specifica alla missione della Chiesa secondo il proposito del Fondatore.

È da notare che, di per sé, la vita religiosa non esclude — tenendo in conto la struttura organica della Chiesa — né la condizione del Prete o Chierico, né quella del Laico, «ma da entrambe le parti alcuni discepoli di Cristo sono chiamati da Dio a vivere nella Chiesa un dono speciale e a collaborare, ciascuno a suo modo, alla missione salvifica di Essa» (LG 43). Dunque la vita religiosa non è unidimensionale, e non può essere interpretata in forma univoca, come se in essa non fossero numerosi e diversi i carismi suscitati dallo Spirito di Cristo attraverso i Fondatori.

Nel pluralismo degli Istituti di vita attiva c’è una vera possibilità di assumere in differenti modi anche una certa dimensione laicale. Molti Istituti di vita attiva sono solo “laicali” e altri, come la nostra Congregazione, hanno una specifica e originale dimensione “laicale”. Tale caratteristica non dovrà essere interpretata e vissuta come “secolarità”; ma tuttavia conserverà, secondo i differenti carismi, un vero aggancio e una certa sintonia di mentalità e di attività con i due livelli anteriormente descritti della laicità. La dimensione contemplativa, propria di ogni vita religiosa, non obbliga una Congregazione di vita attiva ad avere “un’anima monastica”, bensì a coltivare la sua “spinta escatologica” nell’apostolato tra gli uomini.

Sarebbe un misconoscere i fatti voler difendere una concezione religiosa che emargini la nostra Congregazione, nei riguardi del mondo e della sua problematica di salvezza, dall’area della cultura popolare e dell’educazione della gioventù. Lo stesso Concilio esclama: «né pensi alcuno che i Religiosi con la loro consacrazione diventino o estranei agli uomini o inutili nella città terrena» (LG 46).

E il grande Papa Paolo VI, nell’esortazione apostolica Evangelica testificatio dice appunto ai Religiosi: «Un interrogativo bruciante oggi ci assilla: come far penetrare il messaggio evangelico nella civiltà delle masse? Come agire ai livelli in cui si elabora una nuova cultura, in cui si instaura un nuovo tipo d’uomo?... Voi dovete seguire con occhi bene aperti le necessità degli uomini, i loro problemi, le loro ricerche, testimoniando in mezzo a loro, con la preghiera e con l’azione, l’efficacia della Buona Novella d’amore, di giustizia e di pace... Una tale missione, che è comune a tutto il Popolo di Dio, è vostra ad un titolo particolare» (ET 52).

Infatti l’“indole secolare”, che è caratteristica dei Laici, riflette e incarna in essi una dimensione di realismo storico che è propria di tutta la Chiesa nella sua missione di Sacramento universale di salvezza; può essere quindi in qualche modo partecipata, nella forma di vita a loro propria, anche da vari carismi religiosi. È il nostro caso. Sappiamo bene che la Società dei Salesiani di Don Bosco è nata agli albori della civiltà industriale per collaborare “religiosamente” nella costruzione della nuova società.

In quegli Istituti di vita attiva che hanno una propria dimensione laicale, saranno soprattutto i “confratelli laici” a svolgere il ruolo specifico di assicurare all’Istituto e di realizzare in pratica questa sua peculiare dimensione. Tale ruolo è una “vocazione”, e non semplicemente un “mestiere” di servizio; esso implica il consolidamento quotidiano di tre aspetti complementari e tra loro inseparabili che costituiscono la grande sorgente dell’identità di vita del Religioso-laico:

la “consacrazione religiosa”, come sua opzione fondamentale nella sequela del Cristo;

lo “spirito del Fondatore”, come suo clima evangelico di esistenza e di animazione dei destinatari del proprio apostolato;

la “scelta della dimensione laicale”, come suo ideale positivo di vocazione percepito e voluto alla luce del carisma globale del proprio Istituto.

E in questo terzo aspetto è chiaro che l’aggancio alle qualità laicali degli altri due livelli anteriormente descritti non può essere precisato in forma arbitraria e aprioristica, ma dovrà essere oggetto di aggiornata e concreta riflessione in ognuno degli Istituti interessati.



5. Il vero contrassegno del Salesiano coadiutore


Per determinare i contenuti e gli orizzonti propri della dimensione laicale del Salesiano coadiutore non bastava, come abbiamo visto, descrivere dei mestieri (o un suo “fare”), ma bisognava approfondire il suo “essere nel fare”. Abbiamo visto che il suo atteggiamento interiore comporta una consacrazione religiosa animata dallo spirito di Don Bosco e specificata dalla scelta cosciente e positiva di quel tipo di aggancio all’aspetto laicale che è proprio della Società di san Francesco di Sales.


Senso d’appartenenza comunitaria


Ritorniamo così, in certo qual modo, al punto da dove eravamo partiti; ma vi torniamo con un arricchimento di riflessione e di chiarificazione.

Eravamo partiti dal significato globale della vocazione salesiana considerando la Congregazione come un tutto o una comunione di figure di soci complementari: solo partendo dalla caratteristica specifica della nostra comunità (soggetto della vita e della missione salesiana) potevamo impostare rettamente un approfondimento della figura del Coadiutore. Ebbene, analizzando i differenti livelli della laicità, appunto per chiarire meglio la figura e il ruolo di tale confratello, ci vediamo spinti a riflettere di nuovo sul significato globale della Congregazione come tale.

È sintomatico che non si possa spiegare la figura di un Salesiano senza partire dalla nostra genuina comunità e senza arrivare ad essa. Infatti la famosa “dimensione laicale” che abbiamo cercato di esaminare, anche se un po’ alla svelta, ci ha rimandato, nell’analisi del suo terzo aspetto vocazionale, all’ideale unitario percepito e voluto alla luce del carisma globale del proprio Istituto religioso.

Ed è giusto. Anzi è solo con questa specie di ricircolazione che troviamo i vari elementi che stabiliscono il vero contrassegno del Salesiano coadiutore. In più, tale ricerca dimostra ancora una volta che non ci troviamo in presenza di una crisi esclusiva di una categoria di soci, ma a quella della tipologia stessa della nostra Comunità di fronte alla sfida della nuova cultura.

A ragione gli ultimi Capitoli Generali hanno introdotto una significativa variazione anche nella terminologia in uso: non “Coadiutore o Chierico o Prete-salesiano”, ma “Salesiano-coadiutore o chierico o prete”. E ciò non è un semplice gioco di parole, ma un significativo frutto (capitolare) dell’approfondimento della nostra identità. Il Coadiutore in quanto tale, ossia proprio in vista della scelta che ha fatto della dimensione laicale, è un vero Salesiano che porta le responsabilità (insieme agli altri soci) di tutta la Comunità.

Perciò si comprende anche perché, dopo l’approfondimento di questi ultimi anni, lo stesso termine di “Coadiutore” — ormai per noi familiare per il suo uso storico — faccia in certa maniera problema: un po” lo ha sempre fatto, anche ai tempi di Don Bosco, il quale si adattò all’uso ufficiale che ne faceva l’allora Congregazione dei Vescovi e Regolari.3 Forse esso non si adatta chiaramente alla “geniale” originalità del progetto del Fondatore. L’uso in Congregazione degli altri termini, Salesiano “prete” o “chierico” o “diacono”, viene a indicare la natura o caratteristica ecclesiale di un tipo di socio, mentre quello di Salesiano “coadiutore” indica di per sé piuttosto una funzione e deriva da una terminologia ecclesiastica (“Fratres coadiutores”) di altri tempi. Anche certe incomprensioni del vero progetto di Don Bosco potrebbero venire attribuite all’uso ecclesiastico di questo termine. Di fatto nel linguaggio comune, esterno alla Congregazione, esso è risultato sempre alquanto ermetico e poco espressivo di un ideale originale; anzi caricato in alcuni luoghi di una interpretazione piuttosto riduttiva e negativa.

Purtroppo non è stato facile trovare un altro termine più appropriato che lo potesse sostituire con chiarezza e precisione. Ad ogni modo, dopo gli ultimi approfondimenti capitolari e dopo le riflessioni che abbiamo fatto sopra, si capisce perché la denominazione di “Salesiano-laico” vada acquistando maggiori consensi, sempre che si dia al vocabolo “Salesiano” il contenuto sostantivo della condizione ecclesiale di “religioso”, membro della Società di san Francesco di Sales fondata da Don Bosco.

Dobbiamo saper riconoscere che anche il linguaggio ha le sue esigenze per esprimere l’originalità della “componente laicale” della nostra Congregazione.

Essa, come stavamo dicendo, è un caratteristico Istituto di vita attiva esplicitamente inserito nelle preoccupazioni anche secolari della vita umana, tanto è vero che è al centro di tutta una vasta Famiglia che coinvolge numerosissimi laici. Non ha, diciamo così, un’“anima monastica” di fuga dal mondo (pur intesa questa nel senso positivo e caratteristico di tanti benemeriti Ordini), ma coltiva in sé una “spinta profana” di fermento apostolico nella storia (tant’è vero che ha dato già origine ad alcuni Istituti secolari) per cui vive “religiosamente” immersa e interessata alle vicissitudini concrete della società umana.

La dinamica della consacrazione del Salesiano coadiutore (identica a quella di tutti gli altri soci) si muove in forma indissolubilmente unita a determinati problemi di promozione umana.

Il nostro “essere salesiano” non ci costringe a catalogarci in qualche schema prefabbricato. E l’approfondimento della figura del Coadiutore ci offre un “test”, che potremmo qualificare con don Rinaldi di “geniale”, per la chiarificazione della componente laicale della nostra comunità. Don Bosco infatti, come abbiamo già detto, fondò agli albori della civiltà industriale la Società di san Francesco di Sales per la gioventù popolare, considerata come la «porzione la più delicata e la più preziosa della umana società, su cui si fondano le speranze di un felice avvenire» (MB II, 45); e nelle primitive Regole egli stesso affermò che «dalla buona o cattiva educazione di essa dipende un buono o tristo avvenire della società» (MB V, 931). C’è chiaramente nella mente di Don Bosco Fondatore una preoccupazione “sociale”. Anzi, credo sia giusto parlare di un certo “taglio laicale”, sia per le circostanze storiche della fondazione, sia per l’originalità della forma di vita voluta, sia per la natura stessa della missione apostolica scelta. Ne accenno brevemente.


Coscienza di un’“apertura secolare” della Congregazione


Don Bosco ha inteso iniziare un ampio movimento apostolico giovanile e popolare, adattato e immerso nella nuova era socioculturale che nasceva. Quando si propose di condensare in una “Regola” i suoi ideali, redasse anche un capitolo “Sugli Esterni” il cui primo articolo esprimeva assai bene questa sua novità di concezione: «Qualunque persona — scriveva — anche vivendo nel secolo, nella propria casa, in seno alla propria famiglia, può appartenere alla nostra Società, ecc.» (MB X, 88 e 1308).

Si scopre qui un profondo interesse e un’esplicita apertura alla condizione storica della secolarità; più tardi don Rinaldi ha cercato di realizzarla — almeno in parte — nell’ambito femminile, iniziando quel gruppo di zelatrici che oggi è divenuto l’Istituto Secolare delle VDB.

Al constatare poi, anche per ispirazione dall’alto e per consiglio del Papa Pio IX, che risultava indispensabile per tale scopo assicurare un nucleo centrale animatore che avesse la stabilità e la consistenza di una vera Congregazione Religiosa, fondò la nostra Società. Lo stile di tale Congregazione doveva essere “nuovo” cercando il modo di adattarsi nella forma a certe esigenze della nascente società civile; glielo consigliava anche e nientemeno che l’anticlericale ministro Rattazzi.

Così la forma di vita, l’agilità nelle strutture, il modo di proprietà dei beni, l’abito, la duttilità di adattamento, la maniera familiare di convivenza, la terminologia da usare (Casa, Ispettore, Sig. Direttore, Sig. Assistente...), le aree apostoliche da affrontare, l’attinenza al mondo del lavoro, ecc. dovevano essere consone il più possibile a certe esigenze ineludibili del processo di secolarizzazione verso cui si stava avviando celermente la società.

Infine, la natura stessa dell’attività congregazionale è orientata costitutivamente verso una testimonianza e un servizio aperto al secolo: la spiritualità dell’azione ispirata all’umanesimo di san Francesco di Sales, esplicitamente interessata ai valori temporali, traduce le ricchezze della dimensione contemplativa e dei voti religiosi in energie di educazione per costruire tra i cittadini una civiltà dell’amore; la missione giovanile e popolare, concentrata vitalmente nella prassi vissuta del “Sistema Preventivo”, muove il Salesiano ad essere evangelizzatore attraverso impegni di cultura profana e ad essere educatore sociale aprendo gli orizzonti della crescita umana all’indispensabile mistero di Cristo.

In una simile Congregazione ci dovrebbe essere tutto lo spazio e un’aria salutare per la presenza e la crescita della figura del Salesiano coadiutore. Don Rinaldi nella sua penetrante circolare insiste espressamente su questo (e vale la pena riportarne il testo anche se lungo).

Dice che Don Bosco «rese la perfezione religiosa accessibile ad ogni ceto di persone», e perciò sottolinea, pensando ai laici nel secolo, che «il campo è vastissimo e la messe biondeggia da tutte le parti: è necessario chiamare a raccolta quelli ai quali il Signore ha fatto balenare la visione lontana d’una vocazione superiore. E non si pensi che sia piccolo il numero di questi tali che abbraccerebbero volentieri il genere di vita spirituale che è brillato alle loro anime in certi momenti di maggior unione con Dio. Ma non si decidono perché credono che quel genere di vita di perfezione e d’apostolato sia solo per quelli che sono chiamati al sacerdozio [...].

È necessario, o miei cari, che ci mettiamo tutti a diffondere e a rendere familiare con la parola, con lo scritto e con ogni altro mezzo che sia a nostra disposizione, la verità troppo poco conosciuta che, cioè, la vocazione religiosa non è solo per i chiamati al sacerdozio, ma anche per quelli che sentono dentro di sé il desiderio di menare una vita più perfetta onde poter servire meglio il Signore nell’esercizio delle svariatissime mansioni dell’apostolato. È necessario mettere in tutta la sua luce la bellezza e la grandezza della vocazione alla semplice vita religiosa, dono divino di un valore inestimabile [...].

Sì, o carissimi, facciamo conoscere tutta la bellezza e la grandezza del Coadiutore salesiano e prepariamone molti e buoni per tutte le professioni, arti e mestieri. Al principio Don Bosco si è preoccupato in particolare delle vocazioni sacerdotali, sia perché senza di esse non avrebbe potuto dar vita alla sua Società, e sia perché in quel tempo v’era tanta scarsità di vocazioni sacerdotali [...]. Egli però nelle sue Costituzioni ha sancito il principio della semplice vocazione religiosa elevata alla perfetta uguaglianza con la vocazione religiosa-sacerdotale, eccetto la dignità propria del carattere, per far intendere che la sua Società avrebbe avuto col tempo un gran numero di semplici religiosi laici destinati ad esercitare un vero apostolato in tutto il mondo» (ACS, n. 4, 575-577).

Chi voglia riconquistare quota profetica nell’orbita della componente laicale della nostra Congregazione, si dedichi a meditare questa preziosa circolare di don Rinaldi.



6. Situazione problematica


A questo punto credo utile, anche se ciò che dirò si presenta come costatazione dolorosamente incomoda, indicarvi qualche cifra sulla situazione critica che attraversiamo oggi al riguardo in Congregazione.

Fatte le debite eccezioni, forse varie nostre Comunità non hanno capito a fondo la “geniale creazione” del progetto di Don Bosco; forse non hanno saputo o potuto ancora sperimentare la portata del valore costitutivo e dell’influsso arricchente della componente laicale assicurata in Congregazione dalla presenza del Salesiano coadiutore. C’è stata anche, senza dubbio e per molti anni, una certa carenza di formazione adeguata. Per questo uno sguardo ai numeri concreti ci può svegliare da un pericoloso torpore.


Alcuni dati statistici


Mentre nel 1880, vivente Don Bosco, il rapporto numerico tra i Coadiutori e i Preti e Chierici era di 1 a 2, cioè un “laico” per ogni due “ecclesiastici”, oggi, dopo cento anni esatti, il rapporto è di 1 a 4,62, con una tendenza ad aumentare nello stesso senso. Infatti negli ultimi 14 anni — cioè dal 1966 quando fu raggiunta la punta massima di Coadiutori (4.294) — il loro calo è stato del 31,02% (ossia fino agli attuali 2.962). Invece il calo dei Preti e dei Chierici negli ultimi 13 anni — cioè dal 1967 punta massima da loro raggiunta (17.346) — è stato del 20,65% (ossia fino agli attuali 13.764). La differenza del calo tra i due gruppi è del 10,37% a svantaggio dei Coadiutori.

Se poi si osserva l’andamento numerico dei candidati alla Congregazione, si riscontra che il rapporto tra Coadiutori e Chierici al momento di entrare al Noviziato è — oggi — di 1 a 9,88 (ossia di 44 Coadiutori in confronto a 435 Chierici).

Il numero massimo di Coadiutori-novizi è stato di 293 nel 1956. Da quella punta massima ad oggi i candidati Coadiutori sono calati dell’84,98%. Per i Chierici-novizi il numero massimo di 1.225 fu raggiunto nel 1966; da quella punta sono calati del 64,49%. La differenza del calo numerico fra i due gruppi è del 20,49% a svantaggio dei Coadiutori.

Nei primi mesi di quest’anno 1980, c’erano ben 57 Ispettorie senza Coadiutori-novizi; nove Ispettorie ne avevano l; sette ne avevano 2; una ne aveva 6; e una (Madrid) ne aveva 15. Varie Ispettorie non ne hanno da vari anni: alcune da più di 10 anni; una da 14, ossia fin dal 1967.4


Un suggerimento di prospettiva


Tutto questo accade proprio oggi, mentre non sarebbe erroneo pensare a una nuova proporzione più favorevole alla dimensione laicale, diversa da quella sperimentata finora tra “laici” ed “ecclesiastici” in Congregazione. Tale possibilità sembra suggerita e anche favorita dall’approfondimento ecclesiologico del Vaticano II: in esso infatti si è in certo modo riscoperta e rilanciata la vocazione del “laico”, e si è dato inizio a un’evoluzione ecclesiale e apostolica che modifica non solo l’importanza e la funzione, ma bensì la stessa proporzione dei laici impegnati e del loro ruolo apostolico.

Una simile osservazione non è certo arbitraria, e non dovrebbe venire interpretata “categorialmente” a favore di un gruppo prescindendo dall’altro, ma unitariamente, come maturazione storica, come crescita omogenea. Una crescita che non intacca l’indole propria della Congregazione, ma le infonde maggior possibilità di efficacia apostolica in vista di un rinnovamento globale della comunità, e quindi in definitiva a favore dell’autenticità delle sue due dimensioni fondamentali, quella sacerdotale e quella laicale secondo la loro mutua permeabilità.

Permettetemi di avvalermi, qui, di una riflessione curiosa, e a un certo punto anche umoristica ma assai audace, di don Rinaldi: «Secondo lo spirito delle altre Congregazioni — egli scrive — (non parlo degli antichi Ordini monastici nei quali la cosa correva diversamente), il numero dei fratelli laici [...] doveva sottostare alle esigenze dei servizi secondari occorrenti [...]: quando il numero richiesto era raggiunto, la chiamata divina doveva in certo modo sospendere la sua attività perché per i poveri laici non v’era più luogo [...].

Con la sua Società — prosegue don Rinaldi — Don Bosco ha aperto la via della perfezione religiosa non solo a un dato numero, ma a tutti i laici che si sentono chiamati a santificarsi nella vita della comunità, esercitando l’apostolato dell’educazione in mezzo alla gioventù povera e abbandonata, o quello missionario [...]. In tal modo Don Bosco, con la sua Società, rese la perfezione religiosa accessibile a ogni ceto di persone, nell’esercizio medesimo delle più svariate professioni culturali, artistiche, meccaniche e agricole. Nella Società salesiana v’è posto per le più svariate categorie: i meno istruiti si santificheranno negli umili lavori delle singole case; i professori sulle cattedre, dalla prima elementare alle universitarie; i maestri d’arte nelle loro officine e gli agricoltori nei campi» (ACS, n. 40, 574-575).

Di fronte a questa prospettiva profetica di don Rinaldi, i dati statistici che abbiamo indicato ci scuotono e in qualche modo ci feriscono: ci obbligano a un serio esame di coscienza e a risvegliarci da una specie di letargo a cui forse ci ha indotti una certa prolungata superficialità e la tormenta dell’accelerazione dei cambiamenti.

Certo, le nostre statistiche vanno inserite nel vasto movimento del trapasso culturale in corso. Alcune delle sue componenti, per esempio, hanno influito pesantemente su certi aspetti della vita salesiana più direttamente riferiti al mondo del lavoro.

La civiltà della società industriale è intimamente legata al progresso scientifico-tecnico; perciò è andata soggetta a un’accelerazione particolarmente intensa; inoltre, insieme al continuo perfezionamento dei mezzi e all’abbagliante novità, comporta una visione dell’uomo sempre più chiusa in se stessa, con una permanente tentazione di laicismo — sia borghese che operaio — che svilisce i grandi ideali del Vangelo. È una civiltà ricca di tecnica, ma povera di sapienza; aperta al consumismo e chiusa al sacrificio; essa ricolma soprattutto il mondo del lavoro di un’atmosfera materialista assai sottile e penetrante: l’uomo (l’homo faber!) sarebbe il “protagonista” unico che può tutto.

Anche dove si senta un’interpretazione più intelligente ci si appella a filosofie immanentiste che vorrebbero ridurre tutto a secolarismo. Così l’originale figura del “laico cristiano” che realizza una vocazione ecclesiale nella gestione del mondo, appare diminuita e adulterata. Dobbiamo riconoscere che è in atto una vasta crisi della vocazionale laicale nelle sue differenti espressioni.

È un grosso tema che ci sorpassa ma che ci coinvolge. Non supereremo le difficoltà della vocazione del Coadiutore con nostalgie o restaurazioni, ma con una rinnovata coscienza delle realtà del Mondo e della missione della Chiesa, in cui ci sia un posto chiaro e privilegiato per ripensare a fondo la “laicità cristiana” nelle sue svariate forme e per scoprirne e intensificarne l’indispensabile dinamismo. È ciò che sta accadendo nella Chiesa, al riguardo, e già aurora di una nuova epoca più positiva e promettente.


Fiducia nell’azione dello Spirito Santo


Lo Spirito Santo ha assistito in questi decenni il rinnovamento del Popolo di Dio attraverso il Concilio Vaticano II dando un’impostazione nuova all’argomento della vocazione laicale: ha suscitato dei gruppi originali che assumono vasti campi della laicità come oggetto di consacrazione secolare (Istituti Secolari); ha spinto la Chiesa a battezzare il segno dei tempi della promozione della donna (immensa e feconda frangia di laicità); e, infine, ispira le molteplici vocazioni “laicali” maschili di vita religiosa a belle inventive di riattualizzazione.

Il CG21 poi ha invitato noi Salesiani a constatare che durante un secolo di esistenza la dimensione laicale della nostra Congregazione ha avuto una sua fioritura originale e che molti Coadiutori hanno raggiunto di fatto la perfezione della carità in grado eroico. «Ogni confratello ha presente qualche figura che ha realizzato questa pienezza in luoghi diversi e in svariate situazioni, anche le più nascoste e sacrificate. Molti sono entrati nella storia della Congregazione; alcuni di essi, martiri per la fede o eroi nella carità, sono candidati alla glorificazione dei santi» (CG21, 191). Come non ricordare ad esempio che è in corso la causa di beatificazione del signor Simone Srugi (della Palestina) e quella del signor Artemide Zatti (della Patagonia)? 5 Tutti questi interventi di ieri e di oggi suscitati dallo Spirito del Signore invitano la nostra Congregazione a schierarsi con speranza su una linea di aggiornato ricupero.

La visione cristiana della creazione, l’ecclesiologia conciliare, i dati statistici, i cambiamenti culturali, i segni dei tempi e tutto il travaglio della Chiesa, ci interpellano ad assumere la responsabilità di cercare insieme una risposta fedele e profetica, mentre ci aprono gli orizzonti di un nuovo futuro. A questo ci deve incoraggiare l’impegno di rinnovamento di questi anni, la recente ampliazione concreta delle responsabilità ai Salesiani coadiutori, i significativi risultati di alcune Ispettorie impegnate, il serio lavoro vocazionale e formativo postcapitolare. Sono tutti passi positivi verso un vero rilancio.



7. L’impegno oggi più urgente


Il Capitolo Generale Speciale aveva affermato che «il lavoro più importante e decisivo da compiere rimane però la sensibilizzazione o mentalizzazione, come si dice, dell’intera Congregazione di fronte al Coadiutore salesiano» (CGS, 184).

A tale scopo si sono fatti, nel sessennio susseguente, dei Convegni ispettoriali e regionali e un Convegno mondiale; ma, dobbiamo riconoscerlo umilmente, non sono stati sufficienti. Urge perciò lanciare altre iniziative, ispirate alla maturazione e agli orientamenti del CG21, che penetrino più a fondo nelle singole Ispettorie, in ogni Casa e in ciascuno dei Confratelli.

In non pochi Salesiani c’è bisogno di una vera conversione di mentalità che, come abbiamo visto, tocca in definitiva la concezione stessa della Congregazione. Penso che un po’ tutti dobbiamo ripensare in coscienza, per fedeltà salesiana, quest’aspetto vitale della nostra identità. Tutte le iniziative pratiche potrebbero risultare pericolosamente transitorie e “categoriali”, se non ci fosse alla base un tale esplicito ripensamento.

Sì, anche questa mia lettera che voleva essere “breve e pratica” ha dovuto, per lealtà all’importanza vitale dell’argomento assunto, cambiare un po’ di proporzione e di contenuti. Lasciatemi dirvi che non possiamo farci illusioni: non si tratta qui di cucire qualche pezza di rattoppo su una concezione vecchia, dobbiamo proprio preoccuparci di confezionare un vestito nuovo. Non è tanto una “categoria” di soci che è in crisi, lo ripeto, ma è la componente laicale della stessa comunità salesiana che è interpellata, e che deve venire ripensata in fedeltà a Don Bosco e ai tempi.

Per questo, seguendo gli orientamenti capitolari, dovremo preoccuparci concretamente di assicurare:

— una più accurata conoscenza dell’identità del Salesiano coadiutore in Congregazione;

— una sensibilizzazione accurata, al riguardo, presso tutti i confratelli e le comunità locali;

— la messa in atto della corresponsabilità del Salesiano coadiutore a tutti i livelli possibili (CG21, 192-193 e 210-211);

— la programmazione di una efficace pastorale vocazionale, cercando anche il modo di qualificare la presenza apostolica di Salesiani coadiutori tra i giovani (CG21, 209);

— e il rinnovamento della formazione di tutti i Salesiani; quest’ultimo punto può essere considerato la chiave di volta risolutiva per l’inizio di una concreta soluzione della crisi.

Il vero nocciolo del cosiddetto “problema del Salesiano coadiutore” è da collocare su questa ampia e profonda linea: come riattualizzare la dimensione laicale della nostra Congregazione senza cadere nella deviazione secolarista che appare qua e là in vari nostri Preti (con una inversione del clericalismo che a volte passa anche dall’erroneo al ridicolo)? Come far sì che in Congregazione il rilancio della sua dimensione laicale comporti simultaneamente anche una più chiara e più genuina dimensione sacerdotale? Come inventare nuove e autentiche presenze salesiane, vitalmente permeate di sacerdotalità e di laicità, nella cultura che emerge? Se abbandoniamo certe istituzioni che le hanno incarnate durante un secolo, in che modo pratico ne assicuriamo il futuro? Come rilanciare la figura del Salesiano coadiutore, conservando la nostra forma comunitaria di vita e i criteri propri del Progetto educativo-pastorale di Don Bosco? Come impostare una pastorale vocazionale a favore del Salesiano coadiutore sapendo esprimere in essa la “geniale modernità” di tutta la Comunità? Come presentare oggi l’ideale religioso della permeabilità tra le due dimensioni sacerdotale e laicale della nostra Congregazione? Dove cercare o come coltivare e con quali mezzi far maturare i candidati? Come formarli salesianamente ad ognuna delle due scelte?

Vi invito a rileggere gli “orientamenti operativi” del CG21 con una rinnovata volontà di impegno (n. 206-211).

L’ideale missionario, il “Progetto-Africa”, un adeguato rilancio delle scuole professionali, la promozione di centri giovanili operai, di movimenti cristiani lavoratori (cf. CG21, 185), ossia la problematica giovanile del mondo del lavoro inteso come fatto sociale e culturale (CG21, 183), non possono mancare sul tavolo delle nostre programmazioni.

Ritorniamo a riflettere su come il CG21 si diffonde a sviluppare il principio della piena partecipazione, attiva e responsabile, del Salesiano coadiutore nell’azione apostolica della comunità salesiana secondo il suo modo di essere laicale (CG21, 181), che non si limita alla visione unicamente professionale ma si spinge fino all’esplicita educazione della fede e anche all’esercizio dei ministeri non ordinati per chi vi si sentisse chiamato (CG21, 182).

Naturalmente ciò impegna a fondo la Congregazione affinché i Salesiani coadiutori possano essere all’altezza della loro missione di «educatori salesiani» (CG21, 184), secondo le capacità e il ruolo proprio dei singoli, assicurando a ciascuno soprattutto gli elementi spirituali adeguati di cui abbiamo parlato.



8. Il compito strategico della formazione


Voglio ancora insistere, prima di concludere, sull’impegno della formazione.

Dopo quanto abbiamo detto, esso non si può riferire unicamente ai giovani Coadiutori, ma a tutti i confratelli, anche Preti e Chierici, per l’intero arco della formazione, sia iniziale che permanente. Senza uno straordinario impegno sulla formazione, non credo che si possano ottenere dei cambiamenti radicali in tempi brevi. Ma se si imposta la formazione in forma veramente rinnovata, soprattutto per le giovani generazioni, il futuro sarà certamente promettente.

Il CG21 ha voluto affrontare in forma unitaria, anche se necessariamente diversificata, l’aspetto della formazione del Salesiano sacerdote e del Salesiano coadiutore (CG21, 240), per le ragioni già antecedentemente ricordate (cf. CG21, 244). Oggettivamente dobbiamo riconoscere che, nonostante le iniziative già avviate, resta ancora moltissimo da fare in questo campo (cf. CG21, 299-300).


Unità della formazione


Il CG21 insiste sull’“unità della formazione”. Non hanno vera coscienza salesiana il Prete e il Chierico che ignorano i valori concreti della dimensione laicale in Congregazione, così come non l’ha il Coadiutore che ne ignori la dimensione sacerdotale.

Riprendendo il contenuto dell’art. 103 delle Costituzioni, il Capitolo ribadisce che «Coadiutori e futuri Sacerdoti ricevono uguale formazione di base con un curriculum di livello paritario». Questo significa non solo che il periodo di formazione fino alla professione perpetua ha le stesse fasi, ma anche gli stessi contenuti completi di “salesianità”, evitando un settorialismo che potrebbe portare ad erronee distanze categoriali. Per questo «auspica» che, oltre al noviziato, anche nell’immediato post-noviziato «Chierici e Coadiutori facciano vita comune nella stessa comunità formatrice dove vedono valorizzate le due forme dell’unica vocazione salesiana» (CG21, 303).

Inoltre ricorda che «l’unità della formazione è assicurata nella comunità quando essa [...] è costituita da un’équipe affiatata di formatori sacerdoti e coadiutori...» (CG21, 245). Ebbene, questa della presenza di Salesiani coadiutori nell’équipe dei formatori è un’affermazione “nuova e importante”. In sostanza viene a dire che un confratello che maturasse nella sua vocazione senza una conoscenza esplicita e vissuta della permeabilità delle due componenti, correrebbe il rischio di essere un Salesiano incompleto.

Per evitare tale settorialismo e «per fedeltà al carisma fondazionale i formatori — dice sempre il Capitolo — devono cercare di conoscere, presentare e far apprezzare l’identità salesiana nelle due forme della vocazione religioso-salesiana: quella laicale e quella sacerdotale» (CG21, 305). E soggiunge: «Il Salesiano coadiutore deve essere presente, sempre che sia possibile (— e bisogna far di tutto affinché divenga possibile —), nelle strutture di formazione non soltanto con impegni di formazione culturale e tecnica, ma soprattutto con impegni di formazione alla vita religiosa e salesiana. Perciò, [...] si abbia cura speciale nella preparazione di Salesiani coadiutori capaci di svolgere convenientemente questo compito di formatori» (CG21, 305).

Come si vede, è un impegno preciso, anche se (per ora) arduo, stante l’attuale situazione di crisi.


Formazione specifica


Alla luce di questa unità di base, il Capitolo esige anche un’accurata “formazione specifica”. Affinché il Salesiano coadiutore e il Salesiano prete possano davvero portare ai loro confratelli (rispettivamente Preti o Chierici o Coadiutori), la ricchezza propria della loro differenziazione, è necessario che ciascuno coltivi e approfondisca la sua formazione specifica (CG21, 292).

Si riscontra nell’attuale situazione, una certa «assenza di contenuti specifici per la formazione del Salesiano prete e del Salesiano coadiutore» (CG21, 247), più accentuata per questo che per quello. E si segnalano alcuni elementi della formazione specifica del Salesiano coadiutore, da tener presenti in tutte le fasi, integrandoli costantemente nella doppia istanza di «studio-riflessione» e di «pratica-esperienza». Essi sono:

— una formazione religioso-salesiana che aiuti il Coadiutore a comprendere l’originalità propria della nostra Società;

— un’adeguata preparazione pedagogica, umanistica e salesiana;

— una sufficiente competenza apostolica di approfondimento «teologico-catechistico»;

— una preparazione tecnico-professionale, secondo le capacità e le possibilità dei singoli in ordine al «carattere educativo-pastorale» della nostra vocazione;

— un’educazione sociale-politica che lo prepari alla specifica azione educativa, in particolare nel mondo del lavoro (cf. CG21,302).

Certo, in tutto questo bisognerà prendere in conto il pluralismo caratteristico della dimensione laicale in Congregazione e le possibilità concrete dei singoli candidati.

L’esperienza e la riflessione di tutti potranno ampliare e arricchire gli elementi capitolari elencati.


Formazione permanente


Infine si deve dare particolare importanza, oggi, alla formazione permanente. Il CG21 ci ha offerto, in questo campo, un documento breve ma ricco di novità e di prospettive (cf. CG21, 307-342). È necessario rileggere e ripensare i suoi contenuti in vista di un attuale rilancio del Salesiano coadiutore. Sia i documenti capitolari riferentisi al Coadiutore, sia questa mia lettera (e soprattutto quella di don Rinaldi), sia le fonti e gli studi fatti finora al riguardo,6 dovrebbero costituire un materiale privilegiato per le iniziative di formazione permanente. E questa è responsabilità di ogni Ispettoria, delle singole Case e di ciascun Confratello.

Sarebbe anche augurabile che si possano organizzare incontri di studio e di convivenza (come qualche gruppo di Ispettorie ha già lodevolmente fatto) aventi come finalità l’approfondimento di certi punti ancora poco assimilati. Ciò porterebbe un gran bene: non solo per l’arricchimento personale dei partecipanti, ma anche per il contributo che tali iniziative potrebbero offrire all’elaborazione dei curricoli formativi dei Coadiutori, che il Capitolo richiede alle Ispettorie (CG21, 301 e 306).


9. Due autorevoli appelli


Per concludere lasciatemi riportare qui gli appelli paterni e accorati di due Rettori Maggiori, che sono vissuti con Don Bosco e hanno sentito a fondo l’originalità e l’importanza di questo nostro tema.

Il primo è di don Filippo Rinaldi, diretto particolarmente ai «carissimi Coadiutori» nella circolare del 1927: «Del poco che sono venuto dicendo fin qui — scrive — vi sarà stato facile farvi un giusto concetto della grandezza della vostra vocazione: ebbene, ringraziatene il Signore di cuore, amatela e custoditela gelosamente.

Non vi passi mai di mente che vi siete fatti religiosi per una grazia speciale di Dio, il quale vi ha chiamati a tendere costantemente alla perfezione [...]. Perciò siate e mostratevi dappertutto quali vi vuole il nostro buon Padre: siate suoi imitatori nella soda pietà; nell’ardente amore a Gesù e a Maria SS. Ausiliatrice; nella vigilanza costante sopra di voi stessi; nella fuga delle occasioni; nella dignità del portamento; nella semplicità decorosa del vestire, aliena da ogni ombra di mondana ricercatezza; nell’assiduità al lavoro; nell’amore alla Società; nello zelo per educare cristianamente i giovani affidati alle vostre cure, invogliandoli, più con la soavità della vostra vita che con le parole, a desiderare anch’essi di potere rendersi Salesiani per fare del bene a tanti altri giovani.

Per riuscire in tutto questo, carissimi Coadiutori, dovete porre una cura speciale e impiegare il maggior tempo di cui potete disporre per istruirvi bene nella religione e nelle cose spirituali dell’anima. Religioso è sinonimo di uomo consacrato a Dio, di uomo spirituale. In tal modo sarete perseveranti nella vostra vocazione, che vi è continuamente insidiata in mille modi, e vi renderete atti a catechizzare ed istruire gli altri. Mirate in alto, alla santità, per evitare il pericolo di materializzarvi troppo nell’esercizio della vostra arte» (ACS, n. 40, 579).

Il secondo appello è di don Paolo Albera nella circolare sulle vocazioni in cui invita tutta la Congregazione a lavorare con intelligenza e instancabilità per una pastorale vocazionale a favore del Salesiano coadiutore.

«Presentando — egli scrive — la missione del Coadiutore salesiano in tutta la sua sociale importanza, in tutta la sua attraente bellezza e varietà ai giovani [...], essi ne saranno facilmente invogliati ad abbracciarla. Queste vocazioni, o miei cari, sono uno dei bisogni più imperiosi per la nostra Società, la quale senza di esse non saprebbe conseguire le alte finalità sociali che le sono imposte dai tempi presenti, e d’altra parte l’istituzione dei Coadiutori forma una delle più geniali creazioni della carità, desiderosa sempre di rendere a tutti più agevoli le vie della perfezione.

Coltiviamo perciò con particolare impegno buone vocazioni di Coadiutori. Parlando di vocazione salesiana, facciamo chiaramente capire che si può averla intiera e completa anche senza il sacerdozio, e che i Coadiutori della nostra pia Società sono in tutto eguali ai preti, tanto per i diritti sociali quanto per gli spirituali vantaggi. [...]

Ricordiamoci, o miei carissimi, che a nulla gioverebbero le più assidue industrie per avere buone vocazioni di Coadiutori, se gli allievi non vedessero praticamente nella nostra vita salesiana quell’uguaglianza e fraternità vera tra Preti e Coadiutori, da noi vantata a parole» (ACS, n. 4 [maggio 1921], 206-207).

Ascoltiamo, cari confratelli, l’ardore e la preoccupazione contenuti in questi autorevoli appelli, risvegliamo in noi la conoscenza e l’amore per l’integrale originalità della nostra Congregazione, muoviamo il nostro spirito d’iniziativa, la nostra duttilità alle congiunture dei tempi e la nostra capacità di preghiera e di organizzazione per

rilanciare la figura del Salesiano coadiutore, che assicura la componente laicale delle nostre Comunità.

Confidiamo, sull’esempio di Don Bosco, nella protezione speciale della Vergine Maria, la Madonna delle nostre origini; Essa ci aiuterà a ridonare entusiasmo e vitalità a questa bella vocazione salesiana, da Lei suscitata e guidata in tempi difficíli.

In comunione di preghiera e nella fraterna corresponsabilità di questo urgente impegno ci auguriamo mutuamente tanto esito.

Con affetto e speranza,

D. Egidio Viganò


NOTE LETTERA 10 ---------------------------------------------


1 cf. «Laicità» - Problemi e Prospettive, Atti del 47º Corso di aggiornamento culturale dell’Università Cattolica di Milano, 1977, Contributi di vari Autori, Ed. «Vita e Pensiero»

cf. «Il Problema della Società industriale» – Progetti di sviluppo e crescita dell’Uomo, Atti del 48º Corso di aggiornamento culturale dell’Università Cattolica di Milano, 1978, Contributi di vari Autori, Ed. «Vita e Pensiero».

2 Citato da Congar in «Jalons pour une tehéologie du laicat», Ed. Cerf, Paris 1953, 548

3 cf. «Verbali del terzo Capitolo Generale - Settembre 1883». Tra i punti delle materie trattate, due riguardano i Coadiutori: IV Cultura dei Confratelli Coadiutori, V Indirizzo da darsi alla parte operaia nelle Case Salesiane e mezzi per sviluppare la vocazione dei giovani artigiani.

«D. Rua apre la conferenza colle solite preghiere. Il Relatore D. Belmonte dà lettura agli studi fatti sul tema IV riguardante la coltura dei Confratelli Coadiutori

«Entra D. Bosco e si dà lettura al tema V [...]

«Si fa una questione se convenga lasciare sì o no il nome di Coad. ai soci secolari o cambiarlo in quello di Confr. [...]

«In dipendenza di questa questione si accenna dal Confratello Barale a un po’ di negligenza che si verifica fra i nuovi e gli antichi e i nuovi venuti

«D. Bosco con molta aggiustatezza rilegge a questo proposito: Tutti i soci si riguarderanno come fratelli ecc. - Cap. 2, art. 1

«Quindi D. Bonetti propone un canone così concepito: Tutti i soci tanto sacerdoti come laici si trattino...

«D. Bosco fa osservare che è conveniente conservare interamente i nomi conservati dalla Congregazione dei Vescovi e Regolari: Fratres Coadiutores»

4 cf. «Statistiche» in «Documenti e notizie», ACS n. 296, 68-70

5 Vedi biografie di:

SRUGI SIMONE, Un buon samaritano concittadino di Gesù, di Forti Ernesto, Torino, LDC, 1967, 195

ZATTI ARTEMIDE, El pariente de todos los pobres – Artemide Zatti, di Entraigas Raúl A., Buenos Aires, Ed. Don Bosco, 1953, 218

Artemide Zatti parente di tutti i poveri, di Bianco Enzo, Torino, LDC, 1978, 40

E inoltre:

BUZZETTI GIUSEPPE, Un prediletto Coadiutore di Don Bosco, di Pilla Eugenio, Torino, SEI, 1960, 101

CONCI CARLO, Conci: Boceto biográfico de un hombre y de una época, di Belza Juan E., Buenos Aires, Colegio Pio IX, 1967, 399

CORSO JOSÉ FERMÍN, El maestro Corso, rasgos biográficos de un Coadjutor salesiano, di Fierro Torres Rodolfo, Escuela tipográfica salesiana, Caracas, 1935

DALMAU JOAQUÍN, Don Joaquín Dalmau, modelo de Coadjutores salesianos, di Romero Juan, Sevilla (?), 1947, 171

FERRARIS PIETRO, Brother Peter Ferrari S.D.B., di Manni Alvin, Don Bosco Publications, New Rochelle, New York, 1976, 143.

ORTIZ ALZUELA JAIME, Jaime Ortiz Alzuela, Coadjutor salesiano y mártir de Cristo, di Burdeus Amadeo, Librería Salesiana Barcelona, 1952, 112.

ROSSI MARCELLO, La sentinella dell’Oratorio, di Uguccioni Rufillo, Torino, SEI, 1954, 143.

UGETTI GIANBATTISTA, Il fornaio di Betlemme, di L’Arco Adolfo, Torino, 1978, 81.

Profili di 33 Coadiutori salesiani, di Ceria Eugenio, Colle Don Bosco Asti, LDC, 1952, 294.

Soldati senza divisa, di Uguccioni Rufillo, Leumann-Torino, LDC, 1959, 83.

Tríptico modelo, rasgos biográficos de tres Coadjutores salesianos, di Del Real Luis J., Bogotá, 1942, 110.

Una respuesta original, di Brambilla Dante, Editorial Don Bosco, Buenos Aires, 1976, 94.

6 Vedi:

AUBRY JOSEPH - SCHOENEBERG PIERRE, Don Bosco li volle così, Torino, LDC, 1961, 89.

BRAIDO PIETRO, Religiosi nuovi per il mondo del lavoro. Documenti per un profilo del Coadiutore salesiano, Roma, PAS, 1961, 290.

BROCARDO PIETRO - CERISIO NICOLA - ROMALDI RENATO (a cura di), Atti Convegno Mondiale Salesiano Coadiutore - Roma 1975, Roma, Scuola grafica salesiana, 1975, 699.

Traduzione in lingua inglese:

Acts World Congress The Salesian Brother, Rome 31 August-7 Sept. 1975, Printed at SIGA Madras-India, 1976, 539.

CERIA EUGENIO, I Coadiutori, Cap. LXV del Vol. I degli Annali della Società Salesiana, SEI, Torino, 1941, pag. 702-711.

CONFERENZA ISPETTORI D’ITALIA, Il Salesiano coadiutore, Colle Don Bosco, Asti, 1967, 84.

Traduzioni in lingua francese e spagnola:

Le Coadjuteur salésien, Rome 31 Janvier 1969, 44 (ciclostilato).

El Coadjutor salesiano. Documento de la Conferencia de los Inspectores de Italia, Ed. Don Bosco, Quito, s.d., 75.

Dei Adiutores, Atti della due-giorni di studio sulla collaborazione tra Sacerdoti e Coadiutori nell’apostolato salesiano, PAS-Roma, 1963, 84.

Traduzione in lingua spagnola:

Jornadas de estudio sobre la colaboración entre los Coadjutores y Sacerdotes, Casa del Coadjutor «Institución Fernández», San Isidro, Buenos Aires, 1964, 72.

Il Salesiano coadiutore, una vocazione di «religioso laico» a servizio della missione salesiana, in Documenti Capitolari: CG21 della Società Salesiana, Doc. 2, Roma, Scuola grafica salesiana, 1978, n. 166-239.

MIDALI MARIO - BRUNO GAETANO - AUBRY GIUSEPPE, Contributo di studio allo schema III del CG21, Ed. S.D.B., Roma, 1977, 131.

The Salesian Brother, Special issue of the Salesian Bulletin, May 1980, New Rochelle, New York.