Atti_2000_371.ACG_


Atti_2000_371.ACG_

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1. IL RETTOR MAGGIORE
«QUESTO È IL MIO CORPO,
OFFERTO PER VOI» 1
1. “Un’ora” eucaristica - Il cammino ecclesiale - La domanda - La nostra Eucaristia - La prassi
pastorale. 2. Invito alla contemplazione - «Fate questo in memoria di me» - «Il mio corpo
dato... il mio sangue versato» - «Prendete e mangiate» - «lo in voi e voi in me». 3. Appello alla
celebrazione - «Ho ricevuto dal Signore» - «Voi siete il corpo di Cristo» - «Annunciamo la tua
morte». 4. Richiamo alla conversione - Don Bosco, uomo eucaristico - Una pedagogia origi­
nale - L’Eucaristia e il “Da mihi animas” - Un cammino nelle nostre comunità - Il percorso edu­
cativo con i giovani. Conclusione - Un anno “eucaristico”.
Roma, 25 marzo 2000
Annunciazione del Signore
All’interno del Giubileo, come si è venuto delineando nel
triennio di preparazione e come si sta ora attuando, occupa un
posto centrale il mistero dell’Eucaristia. Già nella Lettera Apo­
stolica Tertio Millennio Adveniente il Santo Padre aveva an­
nunciato che «il Duemila sarà un anno intensamente eucari­
stico»2. In molte altre occasioni ha ribadito la sua intenzione di
fare dell’Eucaristia il cuore della celebrazione giubilare.
Ciò corrisponde ad un fatto costante nella storia della co­
munità cristiana: l’Eucaristia è stata sempre il momento più
espressivo della sua fede e della sua vita. Secondo la bella
espressione di S. Tommaso, la Chiesa trova nell’Eucaristia
«come l’attuazione perfetta della vita spirituale e il fine di tutti
i sacramenti»3.
La fede nell’iniziativa del Risorto, che ci raduna, ci parla e
ci offre la comunione al suo Corpo e al suo Sangue, dà al Giu­
bileo il suo senso più profondo. Per la presenza eucaristica di
1cf. 1 Cor 11, 24; cf. pure Le 22,19 e par.
2 G iov an n i P a o l o II, Tertio Millennio Adveniente, 55.
3 “Eucharistia vero est quasi consummatio spiritualis vitae, et omnium sacramen-
torum finis” (Summa Th. 3, 73, 3).

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4 ATTI DEL CONSIGLIO GENERALE
Cristo in mezzo a noi, la memoria dell’incarnazione non è una
commemorazione del passato, bensì l’incontro con una salvezza
che ci raggiunge oggi e ci apre con fiducia al futuro.
Il Congresso Eucaristico Internazionale, che verrà celebrato
a Roma nel mese di giugno, vuol essere uno sguardo di fede ri­
conoscente alla presenza reale di Cristo nella storia umana e un
aprisi della comunità cristiana al suo dono totale.
Anche per noi, dunque, il rinnovamento personale e comu­
nitario, spirituale ed apostolico del Giubileo comprende la risco­
perta convinta e gioiosa delle ricchezze che l’Eucaristia ci offre
e delle responsabilità a cui ci chiama, consapevoli che, secondo
l’insegnamento costante della Chiesa, intorno a questo mistero
si edifica tutta la vita cristiana.
L ’itinerario sacramentale di preparazione a quest’anno
(Battesimo, Confermazione, Riconciliazione) ci porta all’Euca­
ristia come ad una vetta dalla quale contemplare il mistero Tri­
nitario nella vita del mondo e nella nostra esistenza4.
1 Queste indicazioni introduttive sull’Eucaristia collocata al centro del Giubileo ci
aiutano, fin dall’inizio, a vedere l’Eucaristia - e quindi questa Lettera circolare - inse­
rita nelle tappe del nostro cammino giubilare, secondo quanto veniva proposto in ACG
n. 369 (pag. 48 ss).
Con la festa di Don Bosco, infatti, abbiamo iniziato insieme il cammino giubilare
salesiano che concluderemo con un atto celebrativo comunitario locale e/o ispettoriale
attorno alla festa dell’immacolata.
Nella prima tappa di questo cammino, che coincide con il periodo quaresimale, vo­
gliamo approfondire l’atteggiamento di Riconciliazione e conversione. La lettera che vi
ho inviata: Ci ha riconciliati con sé ed ha affidato a noi il ministero della Riconcilia­
zione (ACG n. 369), può servire di stimolo.
La seconda tappa del nostro itinerario si estende lungo il periodo pasquale, nei
mesi di maggio e giugno, ed ha come punto di riferimento l’Eucaristia, in coincidenza
con la preparazione immediata e la celebrazione del congresso eucaristico internazio­
nale, che si terrà a Roma alla fine di giugno. Questa Lettera: Questo è il mio corpo
offerto per voi, si colloca - in particolare - nella prospettiva del percorso personale
e comunitario, spirituale ed apostolico, di questa tappa del Giubileo, e vuol favorire
«la riscoperta convinta e gioiosa delle ricchezze che l’Eucaristia ci offre e delle respon­
sabilità a cui ci chiama».
Invito soprattutto Ispettori e Direttori a stimolare durante il periodo indicato la
riflessione personale e il dialogo e la verifica comunitaria sui punti che propongo.
Possono essere facilmente riprese nel dialogo fraterno, con occasione di un ritiro o di
un incontro comunitario, le piste di applicazione che vi propongo ai numeri 4.4 e 4.5.

1.3 Page 3

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IL RETTOR MAGGIORE 5
1. “UN’ORA” EUCARISTICA
A noi Famiglia Salesiana non mancano orientamenti, testi,
esempi, tradizioni, rappresentazioni artistiche che ricordano
l’importanza dell’Eucaristia nella nostra spiritualità, nella no­
stra vita comunitaria e nella nostra prassi educativo-pastorale.
C’è stato però, ed è ancora in corso, uno sviluppo nella ri­
flessione e nella prassi ecclesiale. Per riscoprire il mistero euca­
ristico e il suo significato nella nostra vita e nella nostra pasto­
rale, è necessario innanzi tutto che prendiamo coscienza del
cammino percorso dalla Chiesa in questi anni, collocandolo
sullo sfondo dell’evoluzione culturale che caratterizza i vari
ambiti in cui operiamo.
In questa cornice potremo leggere in maniera più pene­
trante la nostra esperienza eucaristica, trovare una imposta­
zione più pertinente delle domande che essa suscita e accogliere
con maggiore generosità la grazia che comunica.
1.1. Il cammino ecclesiale.
Anche a riguardo dell’Eucaristia, il punto di partenza obbli­
gato è il Concilio Vaticano II. Esso ha offerto orientamenti so­
stanziali, soprattutto impostando la coraggiosa riforma litur­
gica di cui oggi godiamo i benefici.
Il dato più significativo che emerge dall’evento conciliare è
il rilancio della dimensione celebrativa della fede, la liturgia,
come fons et culmen della vita cristiana.
Il Concilio, infatti, ha preso una rinnovata coscienza della
centralità dell’esperienza liturgico-sacramentale. La riforma
dei riti non è stata intesa come semplice adeguamento di gesti e
parole alle mutate condizioni storiche; ma, più profondamente,
come un rinnovamento dell’atteggiamento e della mentalità ec­
clesiale, che trova nella celebrazione l’espressione visibile più
genuina ed efficace della fede cristiana.
Così il nuovo Messale Romano mette bene in luce il carat­
tere comunitario della celebrazione eucaristica. Tutta l’assem­

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6 ATTI DEL CONSIGLIO GENERALE
blea viene coinvolta, non soltanto in forma corale, ma anche
attraverso una ministerialità distribuita.
Così pure un posto privilegiato viene dato alla Parola di Dio,
per favorirne l’ascolto e l’interiorizzazione. Il linguaggio appare
più vicino alla sensibilità contemporanea, e si dà uno spazio
maggiore all’adattamento e alla sana creatività liturgica.
I vantaggi dell’assimilazione graduale, e non sempre facile,
di questa mentalità sono sotto gli occhi di tutti e trovano un
vasto consenso. Allo stesso tempo hanno comportato il sorgere
di nuovi interrogativi di tipo dottrinale e pastorale.
La ricerca in molti ambiti rimane ancora aperta: la rifles­
sione teologica cerca di offrire nuove sintesi e prospettive che,
senza perdere nulla della tradizione della Chiesa, permettano
di esprimere la verità dell’Eucaristia nelle nostre categorie cul­
turali e in conformità ai nuovi approfondimenti del Nuovo Te­
stamento, mentre la prassi pastorale prende in considerazione i
numerosi problemi sollevati dalla vita attuale dei credenti.
Anche a proposito dell’Eucaristia la Chiesa sta vivendo una
stagione ricca di fermenti, in cui convivono grandi potenzialità
e rischiose confusioni, acquisizioni significative e iniziative fra­
gili, di corto respiro.
Questo sollecita in maniera particolare la nostra coscienza
di pastori ed educatori che, nell’attenzione alle esigenze dei gio­
vani e delle comunità cristiane, devono saper proporre la fractio
panis con l’abbondanza di motivazioni e significati che la rifles­
sione ecclesiale offre, senza cedere a mode passeggere né ad
opinioni non accertate.
1.2. La domanda.
II cammino ecclesiale è stato segnato da una trasformazione
culturale che ha fatto sentire il suo influsso nell’ambito della
celebrazione dei sacramenti in genere e dell’Eucaristia in
specie.
Si può accennare al diffondersi dell’espressività spontanea e
del valore puramente formale che si dà ai riti regolati da norme

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IL RETTOR MAGGIORE 7
0 abitudini, di cui si dimenticano facilmente i significati. Siamo
infatti in tempi di crisi della memoria storica.
Una certa gestualità collettiva che ci impressiona (disco­
teche, avvenimenti rock, ecc.) è autoreferenziale: cioè non in­
tende esprimere significati oltre coloro che la compiono. È se­
gnata da un forte individualismo anche dentro una grande
massa, perché tende alla soddisfazione propria ed è catturata
da una spettacolarità molteplice. Allo stesso tempo, esprime
un’esigenza di coinvolgimento personale, di esperienza diretta
e di emozionalità.
Non sono questi però i fenomeni che più preoccupano,
anche se non è indifferente analizzarli, per l’influsso che eserci­
tano, specie tra i giovani. Altri sono ben più seri. Non possiamo
oggi, per esempio, parlare dell’Eucaristia senza tenere presente
il fenomeno dei credenti non praticanti, per i quali l’incontro
con il Signore è ritenuto separabile e di fatto è separato dal­
l’esperienza sacramentale.
Mentre il Concilio si era posto la questione: «come celebrare
1sacramenti?», nel postconcilio si è dovuto prendere atto che la
domanda per molti cristiani era ormai diventata: «perché cele­
brare i sacramenti?».
L’esemplificazione può essere ampia e riguarda tutti i sacra­
menti: se sono già pentito, perché confessarmi? Se ci vogliamo
bene, perché dobbiamo ancora sposarci in Chiesa? E al riguardo
dell’Eucaristia: se il Signore è sempre con me, perché devo
andare a Messa?
Tali interrogativi si riflettono poi sulle condizioni particolari
delle celebrazioni sacramentali, sempre all’insegna dell’indivi­
dualismo e della spontaneità: perché la confessione dei propri
peccati al sacerdote e l’assoluzione personale? Perché la parte­
cipazione domenicale all’Eucaristia? E così via.
Sono domande ricorrenti, soprattutto nei giovani, che deno­
tano una carente formazione al significato dell’esperienza
sacramentale e anche il diffuso attenuarsi della percezione del
valore che il comportamento simbolico e rituale ha per l’uomo,

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8 ATTI DEL CONSIGLIO GENERALE
a favore di una ingenua esaltazione della spontaneità.
Come pastori ed educatori non possiamo sottovalutare l’in­
cidenza di questi fenomeni, che portano a considerare la cele­
brazione dell’Eucaristia come un atto insignificante per la vita,
condizionato da una rigidità ritualistica che costituirebbe un
ostacolo all’espressione del proprio vissuto religioso.
D’altra parte, i tentativi di dare risposta a queste istanze si
sono spesso rivelati fragili e sono giunti, in certi casi, a forme
che compromettevano l’identità del sacramento, rischiando di
ridurlo a un incontro fraterno, a un momento di condivisione
puramente orizzontale, a un atto incluso nel programma di
qualche celebrazione considerata più importante.
La complessità di questi fenomeni deve essere tenuta pre­
sente, perché la nostra esperienza dell’Eucaristia non sia di­
sancorata dalla vita e perché la nostra pastorale non trascuri
di porsi delle domande che risultano determinanti sul piano
educativo.
1.3. La nostra Eucaristia.
Sullo sfondo che abbiamo tracciato in maniera sommaria,
possiamo ora cercare di verificare il nostro vissuto eucaristico,
alla ricerca di elementi positivi da sviluppare ulteriormente e
con la disponibilità a riconoscere aspetti problematici, in cui il
nostro cammino richiede di essere rettificato.
Il rinnovamento liturgico ha avuto effetti positivi anche tra
di noi. Tra gli aspetti più promettenti della nostra vita fra­
terna, vi è infatti la quotidiana Concelebrazione eucaristica,
che, come dicono le nostre Costituzioni, «esprime la triplice
unità del sacrificio, del sacerdozio e della comunità i cui
membri sono tutti al servizio della stessa missione»6.
Intorno all’altare, nella celebrazione gioiosa del mistero eu­
caristico, le nostre comunità rinascono ogni giorno dal cuore di
5 Cost. 88

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IL RETTOR MAGGIORE 9
Cristo che ci rende partecipi della sua carità, ci dona la capacità
di accoglierci e di amarci e ci invia come segni e testimoni del
suo amore ai ragazzi e ai giovani, destinatari della nostra mis­
sione. Ciò si rende più evidente nella giornata settimanale della
comunità, nella quale, in genere, si celebra con più calma e
maggiore partecipazione.
Qualche elemento di riflessione può provenire dal nostro
modo di celebrare. Non mancano esperienze di celebrazioni
degne e gioiose, compenetrate dal mistero che si celebra e dalla
fraternità in Cristo che si vuole esprimere. Non è, però, nep­
pure raro il caso di una certa carenza nella qualità celebrativa,
dovuta talora alla fretta, più spesso a una mancanza di atten­
zione agli atteggiamenti che predispongono e accompagnano
una celebrazione, ad una sottovalutazione del valore della ge­
stualità e del linguaggio simbolici, di cui vive la celebrazione.
Ciò può essere in parte reazione ad un passato in cui alcuni
gesti apparivano solo come delle “cerimonie” , che davano so­
lennità al sacramento. Oggi però la Chiesa, mentre ci chiede
un vigoroso cambiamento di mentalità, ci mette in guardia
contro il cedimento a forme di secolarizzazione, in cui si finisce
per banalizzare, con motivi poco fondati, elementi carichi di
significato.
Altri aspetti della nostra esperienza eucaristica richiedono
riflessione e scelte pratiche non sempre agevoli, che devono es­
sere ispirate a saggezza e flessibilità. Penso al servizio generoso
che spesso prestiamo in numerose cappellanie. Esso esprime la
carità pastorale delle nostre comunità verso il popolo di Dio, in
particolare verso le comunità religiose femminili, che non po­
trebbero altrimenti godere del ministero presbiterale. Tale ser­
vizio, però, non può eliminare del tutto la necessità che la co­
munità trovi occasioni frequenti per la Concelebrazione comu­
nitaria, che costituisce il momento sorgivo della nostra vita di
fratelli nello Spirito.
Osservazioni più pressanti devono essere fatte riguardo alla
celebrazione domenicale dell’Eucaristia, che costituisce per

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10 ATTI DEL CONSIGLIO GENERALE
tutta la Chiesa il segno centrale del giorno del Signore e il
cuore della settimana cristiana.
La domenica “ secolarizzata” è considerata giorno di svago,
goduto individualmente. Viene dal singolo sequestrata alla co­
munità umana e persino alla propria famiglia, sotto pretesto di
distensione o riposo contro lo stress del lavoro e dei rapporti
funzionali. È questa una mentalità che può penetrare anche tra
di noi, dedicati al lavoro educativo durante la settimana. Se così
fosse, apparirebbe come un sintomo grave: una domenica senza
comunità e senza Eucaristia!
Più frequente però è, ringraziando il Signore, un’altra si­
tuazione. In generale, ci spendiamo generosamente nel mini­
stero. Non poche comunità, poi, curano qualche segno e mo­
mento che richiami come l’Eucaristia domenicale sia il perno
intorno a cui ruota la nostra vita consacrata. Parecchie hanno
stabilito un momento di adorazione eucaristica nelle ore ve­
spertine, con notevole profitto anche della fraternità.
Ciò porta ad un altro punto di verifica: il senso della pre­
senza eucaristica del Signore nella nostra Casa. Le cappelle
sono quasi dappertutto disposte con gusto e dignità e offrono
un ambiente adeguato di preghiera, ma si sono affievolite le
forme di incontro personale e comunitario con il Signore. Il si­
gnificato e il valore di una sosta, anche prolungata, davanti al­
l’Eucaristia vengono talora messi in discussione, in base ad opi­
nioni sulla presenza e sul culto eucaristico che non hanno fon­
damento nell’insegnamento della Chiesa, o in base all’afferma­
zione che la nostra unione con Dio si realizza già nel lavoro.
Per noi questo aspetto aveva un’espressione semplice ed ef­
ficace nella “visita” . Può essere utile, in proposito, ascoltare il
monito di uno dei teologi più significativi della nostra epoca,
Karl Rahner: «Chi mette in discussione la visita dovrebbe do­
mandarsi se le sue obiezioni contro tale devozione non siano, in
realtà, la protesta dell’uomo indaffarato contro il richiamo im­
perioso a mettersi una buona volta davanti a Dio con tutto il
suo essere, raccolto in disparte e rilassato, in un’atmosfera

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IL RETTOR MAGGIORE 11
calma e tranquilla, mantenendosi nel silenzio rigeneratore e
purificante in cui parla il Signore»6.
1.4. La prassi pastorale.
Le situazioni educative e pastorali sono variegate e non sa­
rebbe corretto farne un’unica valutazione generale.
Complessivamente, si può dire che c ’è molta generosità e
spirito di sacrificio nell’esercizio della presidenza eucaristica.
Molti confratelli sacerdoti, soprattutto alla domenica, si spen­
dono assiduamente a servizio del Popolo di Dio. Dappertutto ci
si preoccupa di avvicinare gesti e parole alla comprensione del
popolo e di introdurre giovani e adulti nello spirito della cele­
brazione con legittima creatività.
Nei nostri oratori/centri giovanili e nelle istituzioni scola­
stiche troviamo difficoltà di vario genere per educare al mistero
eucaristico. Spesso, anche in contesti tradizionalmente cri­
stiani, non è facile farne comprendere il valore, perché manca
la collaborazione e la testimonianza da parte delle famiglie, per
una insufficiente catechesi o per una pratica precedente poco
eloquente per l’esperienza dei giovani.
Ciò potrebbe ingenerare in noi una mancanza di fiducia nel
proporre. Con il desiderio di evitare ogni parvenza di imposi­
zione o eccesso, c’è chi limita la celebrazione a poche grandi oc­
casioni, rischiando di snaturare dal di dentro il senso del sacra­
mento che appare come un momento rituale per solennizzare
certi passaggi dell’anno. Qua e là si pensa che i ragazzi non
sono preparati, catechisticamente e spiritualmente, a capire il
significato dell'Eucaristia; si dimentica che per loro è non sol­
tanto “ culmen” , ma, se pedagogicamente preparata, anche
“fons” della loro vita.
Da qualche parte si porta, come ragione di un’Eucaristia di­
radata, il rapporto da mantenere tra le celebrazioni nei nostri
6 K. Rahner, Educazione alla pietà eucaristica, in Id., Missione e grazia. Saggi di
teologia pastorale, Ed. Paoline, Roma 1964, pag. 291-340, 316

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12 ATTI DEL CONSIGLIO GENERALE
ambienti giovanili e quelle che più globalmente coinvolgono
tutta la comunità cristiana. Certo, i giovani non vanno isolati
da un’esperienza ecclesiale più ampia, ma inseriti in essa con la
gradualità pedagogica e l’attenzione alle tappe di crescita di cui
è ricca la nostra tradizione.
Bisogna dire che in non pochi progetti educativi il nodo è
stato risolto molto bene con svariate opportunità di celebra­
zione: alcune proposte a tutta la comunità educativa, altre a
gruppi, altre ancora alla libera partecipazione, dentro e fuori
dell’orario scolastico od oratoriano.
L’aspetto più negativo, che fa capolino qua e là, è la pretesa
di una cosiddetta laicità della attività educativa che non con­
sentirebbe la celebrazione eucaristica, mentre si sa che ogni co­
munità cristiana, e dunque pure quella educativa, trova nel­
l’Eucaristia la sua massima espressione.
Si riconosce che la partecipazione vivace dei ragazzi e gio­
vani nella celebrazione sveglia in loro grandi risorse spirituali.
Nel cercare forme che favoriscano tale partecipazione, non
pochi confratelli e laici impegnano ispirazione, tempo, cono­
scenze ed energie.
Il nostro carisma fa sì che portiamo scritto nel cuore il desi­
derio di una forma di predicazione, di una gestualità, di una
musica liturgica e di un tono complessivo dell’Eucaristia, in cui
il giovane possa ritrovarsi. Tutto questo è una grande ricchezza
ed un tesoro che possiamo offrire, con umiltà e discrezione, a
tutta la Chiesa.
Ma non è ipotetico il rischio di fraintendimenti e distorsioni.
La creatività, che le norme liturgiche prevedono, è cosa ben di­
versa dall’arbitrarietà, dall’introduzione di gesti che indulgono
allo spettacolare, trasferiti da situazioni estranee al senso euca­
ristico, che sul momento possono attirare l’attenzione non su
Dio, ma su noi stessi e sui nostri gesti.
D’altro lato, ogni rito si svolge conforme ad un ordine ed
a certe norme. Ciò custodisce e trasmette valori spirituali
di prim’ordine, come la consapevolezza che quello che si compie

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2.1 Page 11

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IL RETTOR MAGGIORE 13
è un gesto non inventato da noi ma ricevuto come un dono
di amore, il sentirci in comunione con gli altri fratelli, pre­
senti o lontani, che celebrano la stessa fede, il ricondurci all’es­
senziale, che cioè è Dio stesso che opera attraverso di noi, ed
altro ancora.
Sono cose di cui anche i ragazzi possono fare esperienza.
Spesso ci stupiscono con la loro capacità di entrare in risonanza
con la sobrietà dei simboli liturgici: essa va al di là delle nostre
attese, a condizione che chi guida la celebrazione sia veramente
un uomo di preghiera.
Un ultimo elemento di riflessione, sul versante pastorale,
tocca da vicino la figura del salesiano presbitero, in quanto mi­
nistro dell'Eucaristia. La resistenza delle culture secolarizzate
ad accogliere l’indispensabile mediazione della Chiesa e il va­
lore dei momenti sacramentali, si traduce anche per i presbiteri
in una certa difficoltà a riconoscere la celebrazione dell’Eucari­
stia come parte eminente del loro ministero. Concorre certa­
mente a determinare questa esitazione anche la reazione ad
una certa teologia del passato, che considerava il compito sacra­
mentale (munus sanctificandi) quasi come l’unico ambito di
esercizio del ministero.
La tradizione salesiana, grazie all’ampio raggio dell’azione
educativa in cui ci vede coinvolti, ha sempre sostenuto la neces­
sità di allargare questa prospettiva. Ma, mentre rinnoviamo la
coscienza che i sacramenti non sono l’unico compito del prete,
non dobbiamo dimenticare che rimangono il compito più
grande, più specifico e più fecondo.
Sarebbe infatti problematica la figura di un presbitero che
non sentisse come sua suprema responsabilità quella di servire
la comunità attraverso la presidenza dell’Eucaristia, da cui
nasce e si sviluppa la vita della Chiesa o che, quando non può
celebrare per o con la comunità radunata, non compisse il gesto
di offerta di Cristo in comunione e a nome della Chiesa.
Questi elementi di verifica, di proposito solo esemplificativi,
ci portano a pensare che dobbiamo inserirci nella corrente viva

2.2 Page 12

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14 ATTI DEL CONSIGLIO GENERALE
della riflessione della Chiesa riguardo all’Eucaristia per ricom­
prendere il senso della sua celebrazione. Di qui i passi succes­
sivi che mi propongo di fare con voi in questa meditazione.
2. INVITO ALLA CONTEMPLAZIONE
Contemplazione è l’atteggiamento consono al mistero euca­
ristico. Questo è un dono che viene dall’Alto. Al di fuori della
fede non trova alcuna plausibilità. Per comprenderlo è neces­
sario mettersi in ascolto del Signore, meditare a lungo la sua
parola e sentire lo scandalo che il suo annuncio, oggi come ieri,
suscita nel cuore dei discepoli.
Anche noi, come i discepoli a Cafarnao7, vogliamo avvertire
il paradosso dell’offerta di Gesù, stupirci per la radicalità del
suo discorso, che confonde la nostra logica umana con la so­
vrabbondanza dell’amore divino.
Cogliere con nitidezza il senso dell’Eucaristia è un compito
che si rinnova per ogni generazione di credenti: compito affasci­
nante, affidato alla riflessione, alla preghiera, al silenzio, all’a­
more, all'’impegno per i fratelli, alla contemplazione. Ma anche
compito determinante, perché è in gioco la nostra accoglienza
del vero Gesù, quello che è nato da donna e ha patito sotto
Ponzio Pilato, contro ogni tentazione di proiettare immagini
del Signore o rappresentazioni della sua presenza che contrad­
dicono la verità del Vangelo.
2.1. «Fate questo in memoria di me»8.
Il riferimento fondamentale per comprendere l’Eucaristia è
l’Ultima Cena del Signore. Lì è nata, e di essa è il memoriale.
Penso non sia necessario spiegare che memoriale, nel linguaggio
liturgico, non è rievocazione soggettiva, ricordo nel pensiero; ma
7cf. Gv 6
8Le 22, 19; cf. pure 1 Cor 11, 24

2.3 Page 13

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IL RETTOR MAGGIORE 15
attualizzazione e prolungamento che rende presente e perpetuo,
eppure sempre nuovo, l’avvenimento celebrato.
Una rimeditazione costante di questo momento della vita di
Gesù, sulla base del testo, è indispensabile. Non mi trattengo
dal raccomandarvela. Ad ogni rilettura del Nuovo Testamento
emergeranno novità inattese.
L’Ultima Cena costituisce, in un certo senso, la sintesi di
tutta la vita di Gesù, la chiave di interpretazione della sua
morte imminente. Proprio per questo i testi evangelici le confe­
riscono particolare risalto.
Senza scendere nell’analisi dei singoli brani, basti richia­
mare che l’evangelista Giovanni colloca nel contesto della Cena9
l’espressione più alta dell’insegnamento di Gesù (i discorsi di
addio), il momento più intenso del suo dialogo con il Padre (la
preghiera sacerdotale) e l’espressione più profonda del suo
amore per i dodici (la lavanda dei piedi).
La Cena appare come un avvenimento a lungo preparato,
desiderato ardentemente da Gesù10, e variamente anticipato da
momenti emblematici della sua vita: l’annuncio del Regno du­
rante i banchetti con i peccatori11, la moltiplicazione dei pani12,
le parabole sugli invitati a nozze13, la discussione sul Pane
vivo14, e così via.
Nei testi della Cena, e più specificamente nelle parole dell’i­
stituzione, c’è un vasto intreccio di temi, che vanno dall’espe­
rienza salvifica della Pasqua antica al banchetto della Sa­
pienza15, dalla tematica profetica della morte redentrice del
Servo di Jahvè ai testi relativi all’Alleanza nel Sinai e alla
Nuova Alleanza.
9 cf. Gv 13-17
10Lc 22, 15.
11Mc 2, 15-17 e par.; Lc 7, 36-50
12Mc 6, 34-44 e par.
13Mt 22, 1-14.
11cf. Gv 6
1Scf. Pro 9, 1-5; Sir 24, 18-21

2.4 Page 14

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16 ATTI DEL CONSIGLIO GENERALE
La Cena non è semplicemente “uno” degli avvenimenti
della vita di Gesù, ma realmente l’avvenimento “ decisivo” , per
cogliere il senso della sua missione e l’interpretazione che egli
dà del suo vivere e del suo morire.
Quanto Gesù compie durante la Cena è il coronamento di
una lunga storia. È la “nuova” alleanza fra Dio e l’umanità, che
realizza quanto era stato promesso in tutte le precedenti. È
un’anticipazione rituale e un’interpretazione simbolica della
propria morte. È un testamento per la sua Chiesa.
Egli, consapevole della passione che lo attende, non fugge di
fronte alla reazione violenta che l’umanità oppone alla predica­
zione del Regno, ma la assume e la trasforma dal di dentro con
una sovrabbondanza di amore. Consuma così il dono di se
stesso, consegnandosi per la nostra liberazione, nella docile ac­
coglienza della volontà salvifica del Padre, che lo Spirito gli pre­
senta come un invito e come un comando d’amore.
È l’offerta della sua vita come dono del Padre per l’umanità
che Gesù anticipa e iscrive nel gesto eucaristico. L’antico rito si
riempie di una novità inaudita, perché l’Agnello che lava le no­
stre colpe e ci restituisce a Dio è il Figlio fatto carne, consu­
stanziale con il Padre e partecipe della nostra umanità.
Non mediteremo e non adoreremo mai abbastanza il mi­
stero di amore racchiuso in questo evento, la cui vastità ci su­
pera e la cui gratuità ci confonde. Esso segna l’inizio dell’ordine
sacramentale cristiano, che ha come contenuto la Pasqua salvi­
fica di Cristo, ed estende agli uomini di ogni luogo e di ogni
tempo la comunione con la sua carità.
2.2. «Il mio corpo dato ... il mio sangue versato»16.
Le riflessioni precedenti ci hanno già aiutato a cogliere il rife­
rimento sostanziale dell’Eucaristia al mistero pasquale di Cristo.
Una delle parole cardini per raccontare questo mistero e
16cf. Lc 22, 19-20

2.5 Page 15

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IL RETTOR MAGGIORE 17
quindi per comprendere cristianamente l’Eucaristia è “ sacri­
ficio” . Per l’uomo contemporaneo, esso sembra un reperto del
passato, un ingombro inutile non solo nella vita quotidiana,
dove è prassi la rincorsa alle comodità, ma anche nel rapporto
con Dio. Non consideriamo che valga la pena sacrificarci se non
in vista di un maggior vantaggio, e non capiamo allora perché
sacrificare qualche cosa a Dio, e tanto meno perché attribuire a
Lui un tale atteggiamento.
Al di là della parola, la realtà del sacrificio non può essere
sottaciuta senza snaturare il senso dell’Eucaristia. Suscita per­
tanto una certa preoccupazione la tendenza a diradare l’an­
nuncio di questa verità nella predicazione e nella catechesi, ma­
gari attraverso il ricorso ad altre categorie, che sono insuffi­
cienti da sole a esprimere l’intenzione di Cristo, come appare
nell'Ultima Cena e nella consapevolezza della Chiesa primitiva.
Parlare del sacrificio eucaristico significa collegarsi, da un
lato, a un comportamento presente in tutte le religioni e, dal­
l’altro, cogliere la novità di Cristo.
Gesù, nella sua vita, dimostra un’opposizione e un rigetto
totale di una certa concezione di sacrificio, ma d’altro canto, in­
terpreta il momento supremo della sua missione, dicendo che
offre il suo Corpo “in sacrificio” per noi.
La concezione sacrificale che Gesù rifiuta è quella che in­
tende il gesto dell’offerta a Dio come il tentativo dell’uomo di
accattivarsi i favori, la protezione e magari i privilegi della divi­
nità in base alle proprie opere, presentate a Dio come un titolo
di merito.
I motivi per cui questo comportamento è aberrante sono
molteplici: esso contiene l’idea che Dio non ami tutti gratuita­
mente e liberamente, ma tratti gli uomini in base a calcoli inte­
ressati; favorisce un rapporto con Dio che non pone al centro
l’adesione fiduciosa alla sua persona, ma l’adempimento giuri­
dico di gesti formali; vede l’uomo preoccupato non di conver­
tirsi e di entrare nel Regno, ma di avere da Dio l’esaudimento
dei suoi desideri immediati.

2.6 Page 16

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18 ATTI DEL CONSIGLIO GENERALE
Quando la partecipazione all’Eucaristia viene inculcata più
come un precetto da assolvere che come una Grazia da incon­
trare; quando si va a Messa per i doni che da Dio si attendono,
piuttosto che per incontrarsi con quel Dono che è Dio stesso, si
impone la constatazione che, anche se le forme sono cristiane, il
contenuto esperienziale non lo è affatto.
L’idea di sacrificio che Gesù manifesta, infatti, è qualcosa di
molto diverso e addirittura opposto. Egli parla di sacrificio a
proposito della sua morte, intesa non come una sconfitta, ma
come il compimento supremo della sua missione. La morte di
Gesù sulla croce, infatti, smaschera ogni rappresentazione di
Dio che proietti sul Padre la nostra meschinità e i nostri istinti
di possesso e di rivincita.
Il sacrificio compiuto una volta per tutte sulla croce, e reso
presente in ogni Eucaristia, è quello in cui è Dio stesso a sacri­
ficarsi per l’uomo, in forza di un movimento di carità illimitata
e incondizionata. Gesù si sacrifica per noi nel senso di donarci
la sua vita, con una dedizione gratuita che non ha altra attesa
se non quella di esprimere l’amore del Padre suo, di cui Egli,
nella sua totale oblazione, è la perfetta immagine.
Quando dunque noi celebriamo il sacrificio eucaristico, par­
tecipiamo al mistero della Croce con cui Cristo ci ha liberati
dalle nostre paure di Dio che sono la conseguenza dei nostri
peccati, ci apriamo gioiosamente all’incontro con un Dio che
non ci chiede nulla per amarci, se non la nostra disponibilità a
lasciarci amare da Lui. Per questo il nome che definisce questo
sacramento è “Eucaristia” , cioè “rendimento di grazie” al Dio
che gratuitamente ci ama.
La fedeltà all’amore di Dio chiederà realisticamente anche a
noi, molte volte, di affrontare ostacoli e di scontrarci con l’op­
posizione crocifiggente del peccato nostro e altrui. Anche
questo fa parte della nostra partecipazione al sacrificio eucari­
stico. Ma non ci accadrà di intendere il sacrificio eucaristico
come la prestazione di un obbligo religioso perché Dio ci di­
spensi un favore, né di intendere l’ offerta di noi stessi in

2.7 Page 17

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IL RETTOR MAGGIORE 19
unione a Gesù come un prezzo imposto da Dio per poi conce­
derci una grazia.
Se vogliamo che la partecipazione all’Eucaristia sia frut­
tuosa e motivata dalla fede, dobbiamo correggere le visioni di­
storte e soprattutto proclamare, come S. Paolo, la lieta novella
che scaturisce dalla Croce di Cristo, di cui ogni Eucaristia è il
memoriale.
Per noi, in particolare, la meditazione del sacrificio eucari­
stico costituisce un’eccellente occasione per rinnovare la nostra
dedizione apostolica come partecipazione all’atteggiamento di
Gesù Buon Pastore che salva gli uomini attraverso il dono di sé.
È dall’Eucaristia, infatti, che la nostra carità pastorale attinge
dinamismo e fecondità: partecipiamo quotidianamente al sacri­
ficio di Cristo per imparare da Lui a dare ogni giorno la vita,
mossi dal suo stesso Spirito d’amore.
2.3. «Prendete e mangiate»17.
La “mensa” , il “ convivio” o “banchetto” hanno una lunga
tradizione teologica e liturgica basata sul memoriale della Cena
di Gesù. Sarà sempre necessario stare attenti a non centrare il
suo significato su di noi, quasi fosse principalmente un incontro
amicale dei cristiani, ma riferirlo piuttosto al dono del cibo per
la vita che il Padre ci dà in Cristo.
L ’Eucaristia infatti è la grazia, l’invito e l’avvenimento
della nostra comunione con Cristo Risorto e con il Padre: «Tu
prepari per me una mensa...il mio calice trabocca»18.
Tutto il cammino pedagogico della celebrazione porta verso
questo apice attraverso il pentimento, la lode, l’ascolto della Pa­
rola, la fede, l’umile nostra offerta. Cristo non solo compie un
sacrificio di amore, ma ce ne fa partecipi e commensali.
In tutta la sua esistenza Gesù si presenta come la vita a cui
partecipare, l’acqua da bere per dissetarsi, il Pane di cui cibarsi,
17Mt 26, 26
18Salm 22 (23)

2.8 Page 18

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20 ATTI DEL CONSIGLIO GENERALE
la saggezza alla cui tavola sedersi, la vite in cui innestarsi. Il
banchetto riempie il vangelo e il Buon Pastore porta i suoi ad
“acque tranquille e prati erbosi” 19. Sono tutti accenni ad una
misteriosa comunione.
Come nel discorso sul Pane, presentato da Giovanni, anche
nella celebrazione eucaristica accogliere la Parola e mangiare il
Corpo sono in una linea di continuità e di ascesa. E tutti e due
sono dono del Padre e comunione con Cristo.
Il Signore Risorto, per la mediazione della Chiesa e con l’a­
zione invisibile ma reale dello Spirito, in ciascuna Eucaristia si
dona a noi anzitutto come Parola. Egli non soltanto, né princi­
palmente, ha detto delle parole sagge, ma è la Parola totale e
definitiva di Dio per l’uomo con tutte le risonanze che essa può
avere anche a livello di significato umano. Nella nostra celebra­
zione eucaristica «lo stesso Cristo con la sua Parola - afferma la
Costituzione Sacrosanctum Concilium - si fa presente in mezzo
ai suoi fedeli»20.
La comunione eucaristica è possibile per l’uomo soltanto se
l’accoglienza della Parola e la fede lo hanno portato ad aprire le
porte all’amore.
È importante non perdere di vista che «Egli ci spiega le
Scritture (...) soprattutto quando ci raduna per la Santa
Cena»21. Le nostre Costituzioni privilegiano questa prospettiva
che collega Parola e partecipazione al sacrificio: «L’ascolto del­
la Parola trova il suo luogo privilegiato nella celebrazione del-
l’Eucaristia»22. Esplicitando di più il senso apostolico, quelle
delle FMA dichiarano: «Alimentandoci alla mensa della sua
parola e del suo Corpo, diventiamo con Lui “pane” per i nostri
fratelli»23.
19cf. ib.
20 cf. Istruzione Generale sul Messale Romano, n. 33; cf. anche n. 35 e prima
ancora SC 7
21cf. Preghiera Eucaristica V
22Cost. 88
23cf. Cost. FMA 40

2.9 Page 19

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IL RETTOR MAGGIORE 21
Questo è uno degli aspetti che spesso trascuriamo nelle no­
stre celebrazioni: la forma della lettura, l’atteggiamento di
ascolto, la proprietà degli arredi, la conveniente sottolineatura
debbono invece renderlo rilevante.
È il momento quotidiano più efficace di formazione perma­
nente, soprattutto se - come indica lo stretto collegamento che
esso ha con l’Eucaristia - non ne facciamo un oggetto di elucu­
brazione intellettuale o di studio, ma ci apriamo all’accoglienza
ed alla comunione con Cristo. Non leggiamo le pagine bibliche
per informarci di cose che non sappiamo, ma per sentire in esse
e da esse la voce viva di Dio che, oggi e qui, ci rivolge la parola
per illuminarci e sostenerci nella storia concreta che ci tocca
vivere.
Motivo, non minore, per sottolineare questo aspetto è
l’importanza che ha il ministero della Parola per noi come edu­
catori e come pastori. Mai se ne coglie il significato così bene,
specialmente in rapporto alla vita del popolo di Dio, come nel
contesto eucaristico.
2.4. «lo in voi e voi in me»24.
L’Eucaristia, celebrazione dell’offerta di Cristo al Padre per
l’umanità, realizza la forma più intensa della sua presenza tra
noi. Quella eucaristica viene chiamata appunto “ per antono­
masia”25la presenza reale.
L’Eucaristia proclama che la Pasqua ha compiuto la finalità
dell’incarnazione del Figlio di Dio, ovvero l’intenzione di Dio
di fare con l’uomo la più profonda, permanente e sentita co­
munione.
La Croce e Risurrezione non hanno cancellato la presenza
di Cristo dalla storia, ma l’hanno portata nel tessuto più
profondo delle vicende umane, proprio attraverso il segno sa­
21cf. Gv 14, 20
25 Paolo VI, Lettera Enciclica Mysterium fidei, 3 settembre 1965, AAS 57 (1965),
pag. 764

2.10 Page 20

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22 ATTI DEL CONSIGLIO GENERALE
cramentale dell’Eucaristia. Contemplando il pane e il vino
eucaristici, noi infatti comprendiamo che Gesù è veramente
l’Emanuele, il Dio con noi, che ha posto tra noi per sempre la
sua dimora.
Quel senso vivo della presenza di Dio, che caratterizza la
nostra spiritualità e che Don Bosco inculcava con tanto im­
pegno ai suoi ragazzi e ai suoi collaboratori, trova qui la propria
radice e il proprio fondamento.
Oggi, come ieri, diventa capace di contemplazione di Dio
nell’azione soltanto chi impara a vedere la sua presenza nel
Corpo e nel Sangue di Cristo.
È lì che, secondo l’episodio di Emmaus, si aprono gli occhi e
si riconosce il Risorto, sino ad allora confuso sotto tratti e pa­
role comuni. È lì che i discepoli scoprono la continuità tra il
crocifisso e il vivente e capiscono il significato insolito della
morte di Gesù. Così, allo spezzare il pane prende il via una
azione apostolica autentica, che porta i segni dell’incontro reale
con il Signore e si fa annuncio di una comunione con Lui, vis­
suta e sperimentata di persona.
In maniera suggestiva e illuminante la Sacrosanctum Con-
cilium26e in seguito altri testi collegano le diverse forme di pre­
senza di Gesù Risorto mettendo al vertice quella, inattesa, per
cui Gesù si identifica col pane e col vino dell’Eucaristia, cele­
brata in sua memoria dalla comunità dei discepoli.
Gesù è realmente presente nella sua Parola, nella quale si
dona già come luce e come cibo. È presente pure in tutti i sacra­
menti, che sono «forze vive che emanano da Cristo vivo»27, ad
opera dello Spirito: “ Quando uno battezza è Cristo stesso che
battezza” 28, quando uno assolve è Cristo che assolve.
Gesù è presente nella preghiera, soprattutto nella Liturgia
delle Ore: lo stesso Gesù, orante supremo nella sua esistenza di
26 cf. SC 7
27Catechismo della Chiesa Cattolica (CCE), 1116
28SC 7

3 Pages 21-30

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3.1 Page 21

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IL RETTOR MAGGIORE 23
Risorto, ci incorpora nella sua preghiera, facendoci concele­
brare la lode del Padre e l’intercessione per il mondo.
Cristo è realmente presente nella comunità, nel ministro
che presiede la celebrazione29 e ricollega visibilmente la comu­
nità al suo fondamento che è Lui.
Dopo la celebrazione, prolunga nel sacramento la sua pre­
senza a beneficio di tutti coloro che lo desiderano o lo cercano
(malati, visitanti) e non hanno potuto convenire alla celebra­
zione; continua ad essere realmente presente nei poveri e nei
malati: “A me l’avete fatto” 30.
Questa comprensione della multiforme, ma unica presenza
del Risorto dà unità alla nostra vita. I sacramenti, la preghiera li­
turgica, la comunità, la missione, l’esperienza di fraternità, il ser­
vizio agli altri: tutto rimane unificato dalla convinzione che il Si­
gnore Gesù è presente in ogni momento, come Lui stesso ci ha as­
sicurato: «Io sono con voi tutti i giorni fino alla fine del mondo»31.
L’Eucaristia è il sacramento della sua presenza, così come lo
è del suo sacrificio: sacramento nel quale, con maggiore inten­
sità e vicinanza, si mette alla portata del nostro sguardo, della
nostra supplica e della nostra amicizia.
Questa presenza non va intesa come presenza di realtà ma­
teriale, quasi il corpo di Cristo fosse rinchiuso, immobile, statico;
è invece vivente, irradiante, attivo ed operante. Non ospitiamo
un estraneo o un forestiero; non lo facciamo prigioniero di qual­
che prodotto del nostro artigianato. È il Risorto, il Signore del
cosmo e della storia che, avendo colmato la misura dell’amore,
esercita sul mondo la propria sovranità salvifica, senza essere li­
mitato dallo spazio e dal tempo, proprio come si mostrava dopo
la Risurrezione.
È questo un aspetto del mistero che dobbiamo a lungo me­
ditare e contemplare, in un silenzio pervaso di preghiera e di
docilità alle illuminazioni interiori dello Spirito.
29cf. ib.
30cf. CCE, 1397; Mt 25, 40
31Mt 28, 20

3.2 Page 22

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24 ATTI DEC CONSIGLIO GENERALE
La presenza eucaristica, opponendo resistenza alle nostre
tentazioni di catturare il divino, ci aprirà spazi più umili e più
autentici di contemplazione del Dono di Dio. Contemplare un
Dono non è mai puramente vedere una “cosa” ; è possibile solo
quando si realizza un’intesa tra chi dona e chi riceve: a questa
intesa spirituale con Cristo ci chiama la silenziosa presenza
eucaristica.
Su tale presenza si fonda il culto eucaristico, nelle sue forme
pubbliche e private. Il suo valore, costantemente proposto dal
magistero della Chiesa e dall’esempio di una schiera innumere­
vole di santi, deve essere riscoperto anche da noi. Adorando
l’Eucaristia impareremo a dilatare il cuore sulla misura di
quello di Cristo; scopriremo la gioia di un ascolto prolungato, di
una lode gioiosa e di un’intercessione fiduciosa per le necessità
di tanti fratelli* soprattutto di tanti giovani che incontriamo o
che, forse, personalmente non incontreremo mai.
Ha scritto il Papa: «L’intimità divina con Cristo, nel silenzio
della contemplazione, non ci allontana dai nostri contem­
poranei, ma, al contrario, ci rende attenti e aperti alle gioie e
agli affanni degli uomini e allarga il cuore alle dimensioni del
mondo. Essa ci rende solidali verso i nostri fratelli in umanità,
in particolare verso i più piccoli, che sono i prediletti del
Signore»32.
...
In qùesta prospettiva egli ha rivolto un invito pressante che
ci coinvolge in prima linea: «Raccomando ai sacerdoti, ai reli­
giosi e alle religiose, così come ai laici, di proseguire e di inten­
sificare i loro sforzi per insegnare alle giovani generazioni il
senso e il valore dell’adorazione e della devozione eucaristiche.
Come potranno i giovani conoscere il Signore se non vengono
introdotti al mistero della sua presenza? Come il giovane Sa­
muele, imparando le parole della preghiera del cuore, essi sa­
32 G iov a n n i P a o l o II, Lettera sull’adorazione eucaristica del 28-05-1996, inviata
al Vescovo di Liegi in occasione del 750° anniversario della festa del SS. Corpo e Sangue
di Cristo, 5

3.3 Page 23

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IL RETTOR MAGGIORE 25
ranno più vicini al Signore che li accompagnerà nella loro cre­
scita spirituale e umana e nella testimonianza missionaria che
dovranno rendere per tutta la loro esistenza»33.
3. APPELLO ALLA CELEBRAZIONE
3.1. «Ho ricevuto dal Signore»34.
Colto il significato dell’istituzione dell’Eucaristia nell’Ul­
tima Cena, non stupisce che la Chiesa, guidata dall’esperienza
pasquale, abbia posto al centro della sua vita e pubblica iden­
tità la pratica frequente e perseverante della fractio panis35.
Eventi come quello di Emmaus, infatti, mettono in luce
come la ripetizione del gesto eucaristico è il luogo di riconosci­
mento del Risorto, il segno della novità e della continuità del
rapporto di Gesù con i suoi dopo la sua morte e Risurrezione, il
modo più evidente con cui egli continua a farsi presente in
mezzo a loro, a parlare e ad ammetterli ad un’inimmaginabile
comunione con sé.
La ripetizione dei gesti e delle parole della Cena diventa così
per la Chiesa nascente il nuovo modo di accedere al mistero di
Dio. Non è più possibile pensare a Dio, senza passare attra­
verso la morte e Risurrezione di Cristo e dunque attraverso
l’Eucaristia che ne è il memoriale. Non è possibile trovare un’e­
sperienza più immediata di rapporto con il Risorto di quella che
riconosce la sua presenza, reale e vivente, dove si celebra lo
“ spezzare del pane” .
Così la celebrazione dell’Eucaristia segna il distacco della
comunità cristiana dal culto antico, la rilettura di tutta la vi­
cenda terrena di Gesù alla luce della sua Pasqua, e l’identifica­
zione dei suoi discepoli come coloro che “mangiano un solo
pane” e formano con Lui “un solo corpo” .
33Ib., 8
34 1 Cor 11, 23
36cf. At 2, 42

3.4 Page 24

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26 ATTI DEL CONSIGLIO GENERALE
L’insegnamento di S. Paolo ai Corinzi36, espressione di una
tradizione della prima ora, evidenzia come il comando di Gesù a
riguardo del rito eucaristico penetrò fin dall’inizio molto
profondamente nella vita della comunità e si pose come il fon­
damento di tutta l’esperienza ecclesiale.
Il cammino che lega la nostra Eucaristia alla fractio panis
apostolica ed all’Ultima Cena del Signore è segnato da un lungo
percorso storico e da una lenta evoluzione dei riti, che ha rece­
pito gli influssi e le ricchezze di varie epoche e zone geogra­
fiche. In fondo, il cammino rituale dell’Eucaristia fa corpo con
il cammino storico del Popolo di Dio, che dall’Eucaristia è gene­
rato e che in essa esprime la propria adesione al Signore.
Non meraviglia allora l’attenzione affettuosa con cui la
Chiesa conserva i gesti e le parole di Gesù, ponendoli nel cuore
della sua più bella celebrazione, tramandandoli con cura e fe­
deltà, di generazione in generazione. Comprendiamo pure
perché le comunità cristiane, anche di nascosto in tempo di per­
secuzione, ci tenevano a celebrare l’Eucaristia non in modo
qualsiasi, ma in quello stesso della Chiesa universale che invisi­
bilmente le sosteneva. Nell’Eucaristia infatti si contiene tutto il
bene del popolo di Dio: grazia, unità, storia, missione.
Al di là delle variazioni nelle forme esterne del rito, anco­
rate per altro all’immutata centralità dei gesti e del racconto
della Cena, vi è un significato che non deve sfuggirci.
L’Eucaristia è una “ celebrazione” , ovvero un’azione rituale
che ha come soggetto visibile la comunità dei credenti presie­
duta dai propri pastori in comunione con il Vescovo e con il
Papa. Dunque già nel suo aspetto immediato, l’atto della cele­
brazione eucaristica pone in risalto la struttura comunionale
della Chiesa.
L ’Eucaristia, infatti, non si presenta con i tratti di un’a­
zione privata, fatta da un singolo o da un gruppo occasionale,
ma al contrario rivela i caratteri di un’azione comunitaria, che
36cf. 1 Cor 11, 20-34

3.5 Page 25

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IL RETTOR MAGGIORE 27
chiama sempre in causa la vita della Chiesa nella sua totalità.
A nessuno può sfuggire quanto sia rilevante tutto questo in
un’epoca segnata da forti individualismi, che si riflettono a
volte anche nell’esperienza quotidiana della nostra vita fra­
terna. La celebrazione dell’Eucaristia, invece, ci pone immedia­
tamente in relazione con gli altri. Essa è possibile infatti sol­
tanto in forza della continuità del ministero apostolico e della
appartenenza alla comunione ecclesiale. Nel “memoriale” , mo­
mento sostanzialmente celebrativo e rituale, noi siamo collegati
a tutte le chiese del mondo e con i discepoli che, dalla Cena, si
sono succeduti fino a noi.
Il fatto stesso di radunarci per celebrare costituisce già un
grande atto di fede: ciò che ci muove non è un nostro progetto o
calcolo, ma la consapevolezza di dover prestare, tutti insieme
come comunità di discepoli, obbedienza al comando di Gesù.
Se si guarda alla celebrazione liturgica con maggiore
profondità, ci si accorge che essa, oltre ad essere espressione
della fede ecclesiale, è più radicalmente espressione e visibiliz-
zazione dell’azione di Cristo Gesù. I gesti liturgici che com­
piamo hanno senso solo in quanto rimandano a qualcosa che
Egli stesso, oggi, compie attraverso di noi. Il protagonista del­
l’azione liturgica è Lui e tutto il rito, nella sua bellezza e nella
sua sobrietà, vuole proprio lasciare trasparire questa Sua di­
vina presenza.
La sproporzione che esiste tra la semplicità dei gesti rituali
e la grandezza del mistero che contengono, e la duplice epiclesi
sui doni e sull’assemblea che inquadra il racconto dell’istitu­
zione nella Preghiera Eucaristica, richiamano quotidianamente
che all’origine del sacramento e della sua efficacia salvifica non
siamo noi; ma ciò che in esso si compie viene dall’Alto. Per
questo va evitato nelle nostre celebrazioni tutto ciò che po­
trebbe dare l’idea di un nostro autonomo protagonismo che di­
strae dall’essenziale.
Soprattutto quanti di noi sono sacerdoti, devono richiamar­
si spesso alla mente che il loro compito presidenziale non è l’e­

3.6 Page 26

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28 ATTI DEL CONSIGLIO GENERALE
sercizio di un’autorità sull’Eucaristia, ma un servizio di rappre­
sentanza del Signore secondo le indicazioni della Chiesa. Chi
pensasse di poter disporre e decidere dei riti con un certo arbi­
trio in nome del ministero che ha ricevuto, dimostrerebbe una
concezione ministeriale molto clericale, che attribuisce al sog­
gettivismo del prete un ruolo normativo per tutta la comunità.
Di fronte a questa tentazione, che in tanti modi può insi­
nuarsi dentro di noi, dobbiamo rinnovare la gioia di dare mani,
sensi e voce all’azione di un Altro che trova nella nostra dispo­
nibilità a rappresentarlo lo spazio per rendere presente la sua
personale iniziativa di amore. In altre parole, noi ministri pre­
siediamo l’Eucaristia in persona Christi, non abbiamo in pro­
prio alcun potere magico di catturare la presenza del divino, ma
solo il compito di rendere visibile l’azione con cui Cristo, nella
gratuità del suo amore, viene liberamente a farsi presente in
mezzo a noi.
3.2. «Voi siete il corpo di Cristo»37.
«Se vuoi comprendere il corpo di Cristo, ascolta l’Apostolo
che dice ai fedeli: Voi però siete il corpo di Cristo, le sue
membra (1 Cor 12,27). Se voi dunque siete il corpo di Cristo e le
sue membra, sulla mensa del Signore viene posto il vostro sacro
mistero: il vostro sacro mistero voi ricevete. A ciò che voi siete,
voi rispondete “Amen” , e rispondendo lo sottoscrivete. Odi in­
fatti: “Il corpo di Cristo” , e rispondi: “Amen” . Sii (veramente)
corpo di Cristo, perché “ l’amen” sia vero!»38.
Questo testo di S. Agostino introduce in un altro aspetto che
vogliamo prendere in considerazione: l’Eucaristia come sacra­
mento che costituisce la Chiesa.
Abbiamo ascoltato frequentemente l’espressione: «La
Chiesa fa l’Eucaristia e l’Eucaristia fa la Chiesa». Tutte e due
nascono e crescono assieme. L ’Eucaristia raduna la Chiesa e la
37 1 Cor 12, 27
38S. A go stin o, Discorsi, 272

3.7 Page 27

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IL RETTOR MAGGIORE 29
rende visibile. Così avviene ogni domenica in tutte le chiese. Ma
soprattutto l’Eucaristia costruisce la realtà interiore della
Chiesa, come fa il cibo assimilato dal nostro corpo; rafforza in
essa la coscienza del mistero su cui si fonda la sua esistenza.
La celebrazione eucaristica non esiste come fine a se stessa
o per restare chiusa nel tempo e nel luogo in cui viene cele­
brata; vuole dare origine ad un’umanità che viva in comunione
di amore e di impegno con Gesù. Il pane e il vino, che presen­
tiamo sull’altare, sono trasformati nel Corpo e Sangue di
Cristo, perché tutti coloro che comunicano fruttuosamente a
questo mistero diventino una cosa sola in Cristo. Dicendo
“Amen” al corpo eucaristico, diciamo anche “Amen” al corpo ec­
clesiale: crediamo che sia reale e vogliamo farne parte secondo
le condizioni che la sua natura richiede.
Da questa verità deriva la tradizione spirituale che consi­
dera l’Eucaristia come sacramento della carità, dell’unità, della
comunione fraterna.
A nessuno di noi sfugge quanto sia rilevante questa verità
per la nostra vita quotidiana e per la nostra azione pastorale.
Essa, infatti, ci insegna che non c’è altro modo per realizzare la
comunione tra gli uomini e per contrapporsi alla logica disgre­
gante del peccato che quello di entrare nella Nuova Alleanza of­
ferta dall’Eucaristia, dove la prossimità benevola e accogliente
di Dio ci permette di aprirci gli uni agli altri, di riconoscere e
accettare come un dono le nostre diversità e di onorarci come
fratelli nel servizio reciproco.
Alla luce dell’Eucaristia, l’edificazione del Regno, della
Chiesa e della nostra vita fraterna non appare come un’opera
titanica della nostra buona volontà, ma come il frutto della Pa­
squa del Signore, che sta di fronte a noi perché noi cammi­
niamo verso di essa e ce ne lasciamo pervadere.
Tutti i documenti recenti sulla vita religiosa ribadiscono
questo punto ed invitano ad un’intensa riscoperta dell’origine
eucaristica della vita comune. Così, ad esempio, il documento
sulla vita fraterna in comunità ricorda: «È attorno all’Eucari­

3.8 Page 28

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30 ATTI DEL CONSIGLIO GENERALE
stia, celebrata e adorata, “ vertice e fonte” di tutta l’attività
della Chiesa, che si costruisce la comunione degli animi, pre­
messa per ogni crescita nella fraternità»39, e poi, citando un
testo conciliare, prosegue: «È qui che deve trovare la sua ori­
gine ogni tipo di educazione allo spirito di comunità»40.
3.3. «Annunciamo la tua morte».
Poiché è all’origine della Chiesa, l’Eucaristia è all’origine
della missione della Chiesa. Già il Concilio Vaticano II ha inse­
gnato autorevolmente che «tutti i sacramenti, come pure tutti i
ministeri ecclesiastici e le opere di apostolato, sono stretta­
mente connessi alla sacra Eucaristia e ad essa ordinati»41, tanto
che essa risulta «fonte e culmine di tutta l’evangelizzazione»42.
Non diamo a queste affermazioni un carattere vago e sem­
plicemente allusivo, ma cerchiamo di percepirne la portata
reale per la nostra vita spirituale ed apostolica.
Dire che la missione nasce dall’Eucaristia significa ricono­
scere che il nostro agire educativo ed apostolico non può essere
altro che partecipazione alla missione di Gesù.
Ora è proprio questa partecipazione che non dobbiamo dare
per scontata, né ritenerla già fondamentalmente assicurata dal­
la nostra consacrazione. Il Vangelo, infatti, ricorda con partico­
lare insistenza che si può stare nella vigna del Signore, ma sen­
za operare veramente secondo le sue intenzioni e al suo servizio.
La scoperta della nostra identità di inviati del Risorto è il
frutto di un lungo cammino di maturazione apostolica, segnato
dalla purificazione delle motivazioni che ci spingono e orien­
tano ad una consegna sempre più profonda alle esigenze del
Regno. Ed è proprio questa consegna di sé che costituisce la
vera anima della missione e differenzia il buon pastore che dà
39 CONGREGAZIONE PER GLI ISTITUTI DI VITA CONSACRATA E LE SOCIETÀ DI VITA APOSTO­
LICA, La vita fraterna in comunità, 14
10PO, 6
41 PO, 5
42 Ib .

3.9 Page 29

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IL RETTOR MAGGIORE 31
la vita per le pecore dal mercenario, che in apparenza fa tante
cose, ma non ama il proprio gregge.
Senza dedizione gratuita per amore di Dio e dei fratelli non
c’è missione cristiana e non c’è evangelizzazione. Questa nasce
dall’Eucaristia perché è partecipazione alla missione di Cristo
culminata sulla Croce e resa oggi presente dall’azione sacra­
mentale e dallo Spirito.
L ’affermazione delle nostre Costituzioni, secondo cui «lo
spirito salesiano trova il suo modello e la sua sorgente nel cuore
stesso di Cristo, apostolo del Padre»43, vede la sua massima rea­
lizzazione proprio nell’Eucaristia. Lì il cuore di Cristo, inviato
dal Padre e vero missionario del Regno, ci configura a sé, facen­
doci suoi apostoli. Non si è apostoli tra i giovani, se non si è
nella celebrazione eucaristica discepoli che, come Giovanni nel­
l’Ultima Cena, sanno posare il capo sul cuore del Maestro.
4. RICHIAMO ALLA CONVERSIONE
Quando avviciniamo ciò che abbiamo detto alla spiritualità
salesiana vengono alla nostra mente immagini e detti quasi la­
pidari: le tre devozioni, i pilastri del Sistema Preventivo, il
sogno delle due colonne.
Gli slogan generici però, anche se contengono messaggi pre­
cisi, rischiano di rimanere inattivi e persino incomprensibili, se
non riusciamo a riportarli al nostro quotidiano.
Le massime sintetiche in cui Don Bosco consegnò alla sua
famiglia le sue convinzioni eucaristiche, erano il risultato di
una esperienza spirituale e di una lunga prassi pedagogica.
4.1. Don Bosco, uomo eucaristico.
Scrive don Lemoyne: «Moltissimi affermano ciò che noi d’al­
tronde provavamo ogni giorno. Abbiamo assistito tante e tante
« Cost. 11

3.10 Page 30

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32 ATTI DEL CONSIGLIO GENERALE
volte alla sua Messa, ma in quel frattempo sempre s’imposses­
sava di noi un soave sentimento di fede, nell’osservare la divo­
zione che traspariva da tutto il suo contegno, la esattezza nel-
l’eseguire le sacre cerimonie, il modo di pronunciare le parole e
l’unzione onde accompagnava le sue preghiere. E l’edificante
impressione ricevuta non cancellavasi mai più»44.
La celebrazione eucaristica era, secondo queste parole,
un’esperienza di tale intensità da trasparire anche all’esterno,
talmente coinvolgente da lasciare in tutti un ricordo e un desi­
derio di accostarsi personalmente all’Eucaristia.
I vertici di intensità a cui Don Bosco giunse nella celebra­
zione eucaristica, talora accompagnati da fenomeni straordi­
nari, non furono momenti repentini ed isolati, ma il risultato di
un cammino segnato da una rigorosa disciplina interiore e da
una fedeltà a tutta prova.
Sappiamo infatti come Don Bosco circondasse la celebra­
zione eucaristica con un clima di silenzioso raccoglimento che
rispettava personalmente e inculcava agli altri. «Egli aveva co­
mandato che dopo le orazioni della sera fino al mattino dopo la
Messa nessuno più parlasse. Parecchie volte ci avvenne di in­
contrarci con lui al mattino, quando discendeva dalla camera
per recarsi in chiesa. In quel momento egli accettava il saluto
con un sorriso, lasciandosi baciare la mano, ma non proferiva
parola, tanto era raccolto in sé in preparazione della Messa»45.
Don Bosco, capace di un’attività dirompente e di una gioia
esplosiva, di fronte al mistero eucaristico ci appare anche come
l’uomo del silenzio orante che avvolge nel raccoglimento l’in­
contro sacramentale con Cristo.
C’è da meditare su questo suo atteggiamento. Il silenzio in­
fatti non è un elemento estrinseco, quasi devozionale, dell’Eu­
caristia, ma una sua componente essenziale che rimanda pro­
prio al suo mistero: alle notti silenziose in cui Gesù, raccolto in
44 MB I, pag. 520
15MB IV pag. 456

4 Pages 31-40

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4.1 Page 31

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IL RETTOR MAGGIORE 33
preghiera, maturava la sua missione; soprattutto al silenzio di
quella notte, in cui l’Eucaristia ebbe origine, che Gesù segnò
con l’offerta filiale al Padre nell’orto degli ulivi, senza riuscire a
coinvolgere la stanca e distratta compagnia dei discepoli, che
pure poco prima avevano avuto parte alle primizie eucaristiche
della Cena.
La vita, spesso frenetica, a cui siamo chiamati in giornate
piene di impegni apostolici, ha un bisogno essenziale di questo
silenzio rigeneratore: è una condizione perché la celebrazione
non diventi una formalità esteriore, che ci trova incapaci di
ascolto della Parola e di comunione con il Signore.
L’importanza che Don Bosco attribuiva a questa prepara­
zione, come pure al ringraziamento, è tale che nel suo testa­
mento, redatto nel 1884, si fece scrupolo di scrivere: «Debbo
scusarmi se taluno osservò che più volte feci troppo breve pre­
paramento o troppo breve ringraziamento alla Santa Messa. Io
era in certo modo a ciò costretto per la folla di persone che in-
torniavami in sacrestia e mi toglieva la possibilità di pregare,
sia prima, sia dopo la Santa Messa»46.
Quando mettiamo a confronto queste parole con ciò che sap­
piamo del tenore della sua interiorità, non possiamo che restare
confusi da questa sua confessione e chiederci se noi conosciamo
e prendiamo sul serio gli insegnamenti spirituali del nostro
Fondatore.
4.2. Una pedagogia originale.
L’esperienza personale e lo sguardo sacerdotale sull’anima
dei giovani portarono Don Bosco ad elaborare una mistagogia o
iniziazione al mistero eucaristico.
Nella pagina delle Memorie dell’Oratorio in cui egli ricorda
la sua prima comunione, evidenzia alcuni elementi di pedagogia
spirituale che curerà durante tutta la vita e insistentemente
proporrà ai suoi ragazzi.
<BMB XVII, pag. 272

4.2 Page 32

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34 ATTI DEL CONSIGLIO GENERALE
Don Bosco racconta come, per interessamento della madre,
egli potè fare la comunione un anno prima dei suoi compagni.
Tra le righe, appare il suo pensiero di Maestro di spirito dei gio­
vani, formulato nello scritto sul Sistema Preventivo: «Si tenga
lontano come la peste l’opinione di taluno che vorrebbe diffe­
rire la prima comunione ad un’età troppo inoltrata. [...]
Quando un giovanetto sa distinguere tra pane e pane, e palesa
sufficiente istruzione, non si badi più all’età e venga il Sovrano
Celeste a regnare in quell’anima benedetta»47.
Vi è poi l’insistenza ripetuta sul clima di raccoglimento in
cui quell’avvenimento ebbe luogo: «Mia madre studiò di assi­
stermi più giorni. [...] A casa mi faceva pregare, leggere un
buon libro, dandomi que’ consigli che una madre industriosa sa
trovare opportuni pe’ suoi figliuoli. Quel mattino non mi lasciò
parlare con nissuno, mi accompagnò alla sacra mensa e fece
meco la preparazione ed il ringraziamento [...]. In quella gior­
nata non volle che mi occupassi in alcun lavoro materiale, ma
tutta l’adoperassi a leggere e a pregare»48.
Con la stessa insistenza Don Bosco sottolinea il legame tra
comunione eucaristica e sacramento della Confessione, a cui la
madre non solo lo invitò, ma lo preparò, con quelle raccoman­
dazioni sulla sincerità, sul pentimento e sul proposito che sa­
ranno poi gli insegnamenti che Don Bosco educatore darà ai
suoi ragazzi.
Infine vi è l’accenno alla novità di vita a cui l’esperienza sa­
cramentale è legata e ai frutti spirituali di cui è portatrice.
Mamma Margherita dice: «O caro figlio, fu questo per te un
gran giorno. Sono persuasa che Dio abbia veramente preso pos­
sesso del tuo cuore. Ora promettigli di fare quanto puoi per
conservarti buono sino alla fine della vita. Per l’avvenire va so­
vente a comunicarti, ma guardati bene dal fare sacrilegi». E poi
47 II Sistema Preventivo nella educazione della gioventù, Appendice alle Costitu­
zioni, pag. 240
48M.O., quad. I, righe 296-309 (passim)

4.3 Page 33

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IL RETTOR MAGGIORE 35
Don Bosco narratore commenta: «Ritenni e procurai di prati­
care gli avvisi della pia genitrice; e mi pare che da quel giorno
vi sia stato qualche miglioramento nella mia vita, specialmente
nella ubbidienza e nella sottomissione agli altri, al che provava
prima grande ripugnanza [...]»49.
Non è diffìcile cogliere in queste pagine l’esperienza dell’e­
ducatore che, mentre racconta ai primi Salesiani la propria
storia, mette in evidenza comportamenti e attenzioni ai quali
attribuisce un valore permanente.
Un’analisi minuziosa del testo rivelerebbe aspetti molto si­
gnificativi del “vocabolario” spirituale del nostro Fondatore. A
noi però ora è sufficiente cogliere alcuni elementi pedagogici.
Un primo elemento è l ’intensa carica simbolica e il forte im­
patto esistenziale che accompagna la partecipazione all’Eucari­
stia. Don Bosco si sofferma intenzionalmente sul modo con cui
mamma Margherita gli presentò l’evento della sua prima comu­
nione: non come una tappa scontata e quasi automatica, ma
come un’esperienza determinante, in vista della quale si orien­
tano scelte e impegni quotidiani. È quello che egli praticò a Val-
docco, con un sapiente dosaggio di interventi educativi e pasto­
rali, che in un clima di libertà miravano a proporre l’Eucaristia
come il momento centrale e più qualificante della vita orato-
riana. Da tale orientamento, carico di fervore e capace di susci­
tare attesa e desiderio, derivava buona parte dell’efficacia del
suo metodo educativo.
Questo offre qualche motivo di verifica anche a noi: ci porta
a domandarci se la nostra pedagogia ha quella chiarezza di
obiettivi e quella risonanza affettiva al mistero eucaristico,
senza di cui la figura di Don Bosco non è pensabile. La prima
condizione, anche se non l’unica, per far scoprire la ricchezza
del mistero sacramentale di Cristo è infatti un ambiente ed un
gruppo di educatori che di quel mistero vivono appassionata­
mente. È stato così per la Chiesa primitiva, è stato così per Gio-
a M.O., quad. I, righe 317-320

4.4 Page 34

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36 ATTI DEL CONSIGLIO GENERALE
vanni Bosco ragazzo e per Don Bosco educatore. Soltanto a
queste condizioni potrà essere così anche per noi.
Riconosciamo perciò francamente che il primo motivo di dif­
ficoltà della nostra pastorale eucaristica può consistere proprio,
anche se non necessariamente, nell’atonia eucaristica delle no­
stre comunità e dei nostri ambienti. Dove l’Eucaristia è il perno
di una vita quotidiana illuminata dalla fede ed ispirata a gioiosa
fiducia, la pastorale eucaristica ha già trovato la sua più fonda­
mentale risorsa.
Il secondo elemento, strettamente connesso al primo, è l’im­
portanza di una pedagogìa personalizzata che conduca il ra­
gazzo e il giovane all’incontro interiore, non rituale con l’Euca­
ristia. Nell’esperienza emblematica di Giovanni Bosco ragazzo,
mamma Margherita gli fa percorrere un cammino che porta
fondamentalmente i tratti del catecumenato antico. Mamma
Margherita, senza saperlo, traeva dal suo tesoro di sapienza e
di fede gli elementi che la Chiesa ha sempre ritenuto indispen­
sabili perché il sacramento possa essere fruttuoso e che Don
Bosco infinite volte riaffermerà con la parola “preparazione” :
l’Eucaristia è fruttuosa quando è preparata. E la preparazione
non consiste in tecniche o espedienti straordinari, ma in un
cammino di preghiera, di responsabilità, di purificazione e di
istruzione proporzionato all’età.
Anche qui ci sono motivi di riflessione per la nostra pasto­
rale, che può correre il rischio di sopravvalutare gli espedienti
tecnici per rendere la celebrazione più “interessante” , e sotto­
valutare invece l’attrazione interiore che lo Spirito esercita nei
cuori, quando essi si aprono alla preghiera e si impegnano nella
lotta contro il male.
C’è un’azione della Grazia, che in nessun modo possiamo
sostituire, perché è opera dello Spirito che persuade interior­
mente e conduce alla verità tutta intera. La preparazione sa­
cramentale consiste prima di tutto nell’aiutare i cuori a di­
sporsi a questa azione, liberandosi dal peccato e imparando a
gustare la bellezza della vita spirituale.

4.5 Page 35

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IL RETTOR MAGGIORE 37
Le pagine che possono illuminare il legame di Don Bosco
con l’Eucaristia sarebbero ancora molte: basti pensare alla for­
mazione seminaristica di Giovanni a Chieri, agli inizi del suo
ministero, alle pagine splendide delle sue Buone Notti e dei
suoi sogni (uno per tutti, quello delle due colonne) in cui il rife­
rimento a “ Gesù Sacramentato” è costante e articolato, alle
biografie dei suoi ragazzi, nelle quali viene indicato un percorso
di pedagogia sacramentale di cui è frutto l’estasi eucaristica di
Domenico Savio. Si tratta di un insieme di elementi che dimo­
strano l’effettiva attuazione delle parole programmatiche: «La
frequente confessione, la frequente comunione, la messa quoti­
diana sono le colonne che devono reggere un edifìzio educativo,
da cui si vuole tener lontano la minaccia e la sferza»50.
4.3. L’Eucaristia e il “Da mihi animas”.
Dai brevi cenni precedenti appare già la portata che l’Euca­
ristia ha nel pensiero di Don Bosco e quindi nella spiritualità ori­
ginale che noi dobbiamo tradurre fedelmente nel nostro tempo.
L’elemento però che più di ogni altro rivela fino a che punto
il mistero eucaristico segna la vita di Don Bosco, e quindi anche
la nostra di Salesiani, è il rapporto con la carità pastorale che
egli ha espresso nel motto «Da mihi animas, cetera tolle».
Queste parole, che abbiamo ripetute e fatto nostre, sono il
proposito ed il cammino di Don Bosco per configurarsi a Cristo,
che offre al Padre la propria vita per la salvezza degli uomini.
Per penetrarle più a fondo, ripeterle con più convinzione e tra­
durle con efficacia in esperienza quotidiana, dobbiamo meditar­
le alla luce dell’Eucaristia, come la parabola del Buon Pastore.
Collocato sullo sfondo dell’Eucaristia, il “Da mihi animas”
ci appare, prima che un motto, una preghiera, eco della pre­
ghiera sacerdotale di Gesù nell’Ultima Cena: «(Padre,) erano
50 II Sistema Preventivo nella educazione della gioventù, Appendice alle Costitu­
zioni, pag. 239

4.6 Page 36

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38 ATTI DEL CONSIGLIO GENERALE
tuoi e li hai dati a me. [...] Per loro io consacro me stesso»51. È
l’espressione più alta del nostro dialogo e rapporto con Dio e ci
aiuta a superare quella dicotomia tra lavoro e preghiera che, a
livello esistenziale, non sempre riusciamo ad evitare.
Il “Da mihi animas” è prima di tutto riconoscimento che il
protagonista o l’attore principale della missione è Dio. Ci intro­
duce al servizio apostolico dei fratelli, facendoci passare attra­
verso l’invocazione rivolta al Padre. Dire: “Dammi le anime” si­
gnifica per prima cosa invocare l ’intervento del Signore, affi­
darsi al suo amore premuroso e dare spazio alla sua iniziativa
di salvezza.
Si rinnova così in noi la consapevolezza di Don Bosco e dei
grandi apostoli di ogni tempo, che hanno sempre avvertito che
il movimento di carità verso gli altri e le energie che si susci­
tano in noi vengono da Dio, e a Dio si deve dunque collegare in
tutto e per tutto la nostra azione.
Questo, d’altronde, è stato l’atteggiamento di Gesù. Egli ha
inteso la sua vita come una missione affidatagli dal Padre e ha
lasciato a noi la sua offerta eucaristica, come un dono del Padre,
che «ha tanto amato il mondo da donare a noi suo Figlio»52.
Da questo riconoscimento dell’iniziativa del Padre deriva al
“ Da mihi animas” il suo carattere di preghiera umile e coraggio­
sa. Chiediamo infatti al Padre che faccia di noi un punto di irra­
diazione del Regno, capace di attirare le anime a Cristo e quindi
alla salvezza. Si tratta di una richiesta molto singolare, che pos­
siamo avanzare soltanto perché sappiamo che essa corrisponde
al cuore di Dio che vuole gli uomini pienamente e attivamente
coinvolti nel suo disegno di amore. La avanziamo con fede e co­
raggio, consapevoli che non chiediamo le “ anime” per la nostra
gratificazione, ma per poterle servire con umiltà e dedizione.
Una tale preghiera comporta per noi un cammino di pa­
ziente configurazione a Cristo. Solo sulle sue labbra la pre­
51 Gv 17, 6.19
32Gv 3, 16

4.7 Page 37

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IL RETTOR MAGGIORE 39
ghiera del “ Da mihi animas” non suona pretenziosa, perché
egli innalzato da terra può attirare tutti a sé. Sappiamo che
nell’Eucaristia Gesù vuole condividere con noi questa carità
che, portandolo all’innalzamento pasquale sulla croce, lo fa mi­
sterioso centro di attrazione.
In questo modo l’Eucaristia illumina un altro aspetto del
“Da mihi animas” . Quando Don Bosco interpreta il suo motto
attraverso le parole «studia di farti amare», non propone ai suoi
collaboratori soltanto lo sviluppo delle doti naturali di simpatia,
così importanti nell’ambito educativo, ma più profondamente
chiede di condividere l’itinerario con cui Cristo ha “studiato di
farsi amare” , ovvero l’itinerario del quotidiano dono di sé.
È solo la carità evangelica, attinta dal cuore di Cristo nella
comunione con il Suo Corpo e il Suo Sangue, che può dare all’e­
ducatore un vero ascendente spirituale, del tutto purificato
dalle forme di protagonismo e di cattura della simpatia, e pie­
namente libero di irradiare in mezzo ai giovani il fascino degli
uomini di Dio.
Per questo il “ Da mihi animas” si completa nel “ Cetera
tolle” . Non è possibile partecipare all’azione salvifica di Cristo,
senza subordinare a questo impegno tutti gli altri interessi e
desideri. Comprendiamo così il motto di Don Bosco come una
preghiera di offerta, che, a imitazione della preghiera sacerdo­
tale di Gesù, non esclude dalla propria disponibilità nessun am­
bito esistenziale: tempo, amicizie, professionalità.
Il “Cetera tolle” riguarda tutto, è uno slancio totalizzante,
come lo è l’Eucaristia. Don Bosco l’ha tradotto in parole e opere
molto concrete: egli promise a Dio che fin l’ultimo suo respiro
sarebbe stato per i giovani. E fu veramente così. La partecipa­
zione sacramentale al sacrificio di Cristo porta ad immedesi­
marci nei suoi sentimenti apostolici e nella sua generosa dedi­
zione per le esigenze del Regno.
Vi invito a rinnovare quotidianamente nell’Eucaristia la
preghiera personale del «Da mihi animas, cetera tolle». Nel dia­
logo intimo con il Signore questa espressione si colorerà di

4.8 Page 38

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40 ATTI DEL CONSIGLIO GENERALE
mille sfumature, acquisterà dentro di noi un nuovo rilievo esi­
stenziale e si tradurrà in «quell’operosità instancabile, santi­
ficata dalla preghiera e dall’unione con Dio, che dev’essere la
caratteristica dei figli di san Giovanni Bosco»53.
4.4. Un cammino nelle nostre comunità.
Le riflessioni che abbiamo sviluppato sopra, suggeriscono
molte applicazioni, innanzi tutto per le nostre comunità sale­
siane.
L’Eucaristia è essenzialmente una celebrazione comuni­
taria, che coinvolge cioè i singoli cristiani in quanto membri del
Popolo di Dio e, dunque, ciascuno di noi come membri di una
comunità. Questa è il soggetto della celebrazione.
La prima pista da suggerire riguarda i momenti celebrativi
nella comunità. Si tratta di riscoprire la portata umana e spiri­
tuale del celebrare insieme e trarne le conseguenze.
Di fronte ai rischi di una vita consumata nella distrazione
del cuore e in una gestione individualistica degli impegni, la ce­
lebrazione eucaristica ci riporta all’essenziale, chiedendoci di
fare insieme memoria di Cristo ed offrendoci di comunicare alla
sua carità, nella massima mediazione sacramentale.
Ogni comunità saprà riconoscere in che cosa far consiste­
re questo rilievo più evidente dell’Eucaristia. Non di rado sarà
un tempo meno sacrificato, una partecipazione più attiva, una
preparazione più accurata, una freschezza di riferimento al
quotidiano.
È necessario che riscopriamo un modo di celebrare che
abbia vera dignità liturgica. Nella cura attenta per una gestua­
lità espressiva, per una proclamazione degna della Parola di
Dio e dei testi eucologici, per la bellezza del canto e degli arredi,
per il rispetto dei momenti di silenzio si realizza la nostra aper­
53 Cost. 95

4.9 Page 39

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IL RETTOR MAGGIORE 41
tura ad un Altro, che deve essere percepito, accolto, ascoltato e
contemplato nella fede e la cui divina presenza giustifica la
cura dei particolari e la generosità dell’impegno.
I giovani sono particolarmente sensibili alla genuinità dei
gesti simbolici di cui è ricca la liturgia e spesso si fanno un’idea
della nostra fede più osservando la sincerità e la qualità delle
nostre celebrazioni che ascoltando i nostri discorsi.
In questo clima potremo proporci la valorizzazione della
Concelebrazione di tutti i membri della comunità, almeno setti­
manalmente nel giorno della comunità. Così pure studiare una
maggior frequenza dell’adorazione eucaristica comunitaria, che
rinnova l’adesione di fede e l’attenzione orante alla presenza di
Cristo tra noi, o la cura particolare delle liturgie domenicali e
festive attraverso la riflessione in comune sulla Parola che do­
vremo condividere con i giovani e la gente.
Sarebbe bello, poi, che l’Eucaristia comunitaria si aprisse,
come già in tanti luoghi avviene, ai giovani con i quali voglia­
mo formare una sola famiglia. Questo arricchirebbe le nostre
assemblee della freschezza giovanile, mentre aiuterebbe i gio­
vani a fare valide esperienze di vita interiore e di condivisione
spirituale.
Tutti abbiamo esperienza di celebrazioni nelle quali sembra
che il gesto e la parola acquistino il loro totale significato. Lo
stesso visitatore che viene dall’esterno percepisce un solo cuore
ed una sola anima. Altre volte si respira un’atmosfera diversa:
imperfetta fusione di cuori nell’assemblea, dissociazione fra
rito e vita, un cammino eucaristico ancora incerto.
Ci dicono le Costituzioni: «L ’Eucaristia è l’atto centrale
quotidiano di ogni comunità salesiana, vissuto come una festa
in una liturgia viva. La comunità vi celebra il mistero pasquale
e comunica al corpo di Cristo immolato, per costruirsi in
Lui come comunione fraterna e rinnovare il suo impegno apo­
stolico»54.
64 Cost. 88

4.10 Page 40

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42 ATTI DEL CONSIGLIO GENERALE
La seconda pista da suggerire è il collegamento visibile tra
Eucaristia e vita fraterna.
Abbiamo meditato come dall’Eucaristia nasca la Chiesa,
esperienza di comunione tra gli uomini nel nome di Cristo e an­
nuncio del Regno che si fa presente nella storia. Si tratta di
trarre da questo conclusioni operative che non sono automa­
tiche, ma richiedono il generoso contributo di ognuno.
Parlare dell’Eucaristia e soprattutto celebrarla non ha
alcun senso se le comunità non si impegnano a superare le ten­
sioni e le divisioni che possono attraversarle. In questo dob­
biamo essere molto schietti ed autentici, sapendo di doverci
confrontare con un insegnamento biblico che non lascia spazi a
mezze misure o a compromessi.
Può essere utile che rileggiamo personalmente e comunita­
riamente il testo della prima lettera ai Corinzi ai capitoli 10 e 11,
in cui Paolo mette in evidenza che l’Eucaristia è incompatibile
con le divisioni, le chiusure reciproche, l’individualismo in ogni
senso. Come dice l’Apostolo, «ciascuno esamini se stesso»55e ren­
dendosi conto che c’è un unico pane, affinché noi tutti formiamo
un solo corpo, eviti di profanare il Sacramento del Signore.
La comunione sacramentale non ci porta alla comunione di
vita con Cristo se escludiamo i fratelli dalla nostra stima e dal
nostro tratto, se serbiamo rancori e se non diamo il nostro ap­
porto per costruire la fraternità. L’Eucaristia esiste perché ci
amiamo, ci perdoniamo e lasciamo edificare al Signore la casa
che egli vuole abitare.
Nella preghiera eucaristica, dopo aver invocato lo Spirito
perché il pane e il vino diventino il Corpo e il Sangue di Cristo,
gli chiediamo che, in forza dell’azione sacramentale, riunisca
anche noi in un solo corpo. L’amore fraterno e l’Eucaristia sono
due segni che non si possono separare. Quando il primo non
c’è, si dà una “menzogna nel sacramento” . Quando non si vive
l’Eucaristia, l’amore perde le sue dimensioni e si taglia dalla
65 1 Cor 11, 28

5 Pages 41-50

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5.1 Page 41

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IL RETTOR MAGGIORE 43
fonte di alimentazione. “Signore, fa’ che dalla partecipazione a
così grande mistero attingiamo pienezza di carità e di vita” 56.
Sia questa l’espressione intensa dei nostri desideri e l’impegno
autentico della nostra volontà.
Una terza pista da esplorare è il riferimento personale, inte­
riorizzato e convinto, al mistero dell’Eucaristia.
«Potremo formare comunità che pregano solo se diventiamo
personalmente uomini di preghiera»57. Questa affermazione, che
le nostre Costituzioni riferiscono in generale alla nostra vita di
preghiera, vale in forma del tutto particolare per l’Eucaristia.
Sarà necessario innanzi tutto che maturiamo una più
profonda conoscenza di questo sacramento. Presi come siamo
dall’immediatezza delle sfide di ogni giorno, forse da anni non
leggiamo qualche opera seria e convincente di teologia eucari­
stica, con la conseguenza che la comprensione del mistero si fa
più sbiadita e le motivazioni interiori si affievoliscono. Il Con­
gresso Eucaristico mondiale del Giubileo metterà sicuramente
a nostra disposizione contributi e stimoli che non dovremo la­
sciare soltanto all’attenzione degli addetti ai lavori.
Dobbiamo poi riscoprire la lezione che ci viene da Don
Bosco, cioè la sintesi, lo “ splendido accordo”58 tra preghiera e
dedizione apostolica unificate nel “Da mihi animas” . Quello che
cerchiamo nella preghiera e nell’azione pastorale è un’unica
cosa: la partecipazione alla carità di Cristo, che l’Eucaristia ci
rende possibile.
Sarà dunque importante che ciascuno di noi colga l’occa­
sione di grazia di questo Giubileo, per ritornare alle radici più
autentiche della propria vocazione, e rinnovi con convinzione
l’adesione a quella carità pastorale verso i giovani che caratte­
rizza la nostra spiritualità.
In questo cammino, però, dovremo tenere in conto ed evi­
“ cf. Preghiere Eucaristiche (IV V, passim)
67Cost. 93
“ Cost. 21

5.2 Page 42

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44 ATTI DEL CONSIGLIO GENERALE
tare il rischio delle illusioni. La sintesi di lavoro e preghiera in
un unico movimento di carità verso Dio e i fratelli non è obiet­
tivo che si possa conseguire attraverso qualunque percorso. Il
mistero dell’Eucaristia non è soltanto un motivo ispiratore, ma
è ancor prima e molto più momento imprescindibile in cui il
cuore contemplativo e apostolico si forma, a contatto con il
cuore di Cristo. Tra la prassi eucaristica e la sintesi apostolica
riuscita vi è una consequenzialità che non può essere capovolta.
Per questo sarebbe ingenuo presumere di poter divenire ge­
nerosi e disinteressati nel servizio dei giovani trascurando di
coltivare una robusta pietà eucaristica. Dove manchi il riferi­
mento intenso all’Eucaristia, come centro dell’esistenza cri­
stiana, non vi può essere né contemplazione né apostolato,
perché essi insieme stanno o insieme cadono.
Domandiamoci dunque su che cosa personalmente possiamo
fare di più, per corrispondere al comando di Cristo: «Fate
questo in memoria di me»59. Nell’ambito delle forme personali
di pietà eucaristica la nostra tradizione lascia molto spazio all’i­
niziativa di ciascuno; ma questo non significa che l’impegno ri­
chiesto sia meno intenso e che qualunque atteggiamento sia
ugualmente fruttuoso.
Un figlio e discepolo spirituale di Don Bosco sa trovare quo­
tidianamente spazi di silenzio davanti all’Eucaristia nella
forma tradizionale delle “visite” o in altre espressioni di auten­
tica adorazione e comunicazione.
4.5. Il percorso educativo con i giovani.
Se il nostro impegno comunitario e personale di riscoperta
dell’Eucaristia sarà autentico, esso porterà abbondanti frutti
pastorali.
Le sfide dei nostri tempi ci stanno quasi trascinando ad unire
di nuovo conoscenza teologica, vita spirituale e prassi pastorale.
59Le 22, 19

5.3 Page 43

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IL RETTOR MAGGIORE 45
Convincimenti ed esperienze comunitarie ci costringono a
riconoscere che Fattività pastorale non è una tecnica, più o
meno raffinata, posta a servizio del Vangelo: è piuttosto una te­
stimonianza di vita che scaturisce da una comunione profonda
con il Signore. Quanto più questa sarà intensa e perseverante,
tanto più ogni nostra parola e ogni nostra azione diventeranno
trasparenza che rivela la venuta del Regno.
Una prima applicazione di questo, nell’ambito pastorale, ri­
guarda la comunità educativa. Una rinnovata attenzione al­
l’Eucaristia condurrà ad una progettualità secondo lo spirito
del Vangelo. La carità ha una sua specifica modalità di vedere,
di valutare e di reagire alle situazioni e alle sfide pastorali. Ha
occhi propri, una propria intelligenza, una propria creatività,
una propria lungimiranza, che in nessun modo può essere sosti­
tuita. Sono cose che sappiamo, ma che abbiamo bisogno di ripe­
terci continuamente, per evitare il rischio di assumere nella no­
stra azione apostolica modelli di organizzazione e di imposta­
zione che rispondono a dinamiche e logiche diverse da quelle
del Regno.
L’Eucaristia ci dice, ad esempio, che una comunità cristiana
non potrà mai organizzare la propria esperienza di fede sol­
tanto secondo i modelli di un’impresa. E questo a molteplici li­
velli, che vanno dal piano delle motivazioni dell’agire allo stile
dei rapporti, dai criteri delle decisioni alle modalità di rappre­
sentanza, dal tipo di autorità alle forme di gestione economica.
Il Regno ha una sua dinamica e una sua logica inconfondibile.
Dobbiamo vincere la tentazione di non ritenerla praticabile,
perché proprio l’Eucaristia ce ne offre quotidianamente l’attua­
lità e l’attuabilità.
La traduzione più immediata di questa indicazione sarà il
riconoscimento che soltanto l’Eucaristia potrà dare la giusta fi­
sionomia alla comunità educativa-pastorale (CEP) che ci siamo
impegnati a costruire in ogni opera. La forma di incontro, di
condivisione, di corresponsabilità, di ispirazione carismatica, di

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46 ATTI DEL CONSIGLIO GENERALE
attenzione alla Parola di Dio, di pratica della carità evangelica
che vogliamo vivere, non può realizzarsi che a partire dalla co­
munione autentica al mistero di Cristo.
Al di fuori di questa comunione non ci può essere comunità
educativa-pastorale, perché al di fuori di questa comunione
semplicemente non c’è Chiesa. Non dobbiamo temere che l’Eu­
caristia, messa al centro della CEP generi esclusione o seletti­
vità tra destinatari e collaboratori; anzi dobbiamo essere sicuri
del contrario. È infatti proprio e soltanto dalla comunione con
Gesù eucaristico che possiamo imparare l’apertura a tutti, l’in­
teresse sincero per chi fa maggiore fatica nel cammino umano e
di fede, il superamento delle nostre resistenze interiori. In un
mondo in cui l’attenzione alla comunicazione ha grandissimo
rilievo, noi sappiamo che solo la comunione con Cristo ci abilita
veramente a comunicare e a essere costruttori di comunione.
D’altronde, l’esperienza carismatica di Valdocco ci conferma
che il segreto di un’azione pastorale efficace è un ambiente
esplicitamente eucaristico, in cui anche chi si accosta in ma­
niera marginale o con un tipo di domanda che non è diretta­
mente religioso, intuisce che la risposta generosa e affettuosa
che riceve nasce dalla carità di Cristo.
C‘è un secondo ambito in cui il mistero eucaristico ci ri­
chiede una maggiore attenzione e una crescita convinta: è l’am­
bito dei nostri itinerari educativo-pastorali.
L’Eucaristia può suggerirci una verifica tanto riguardo agli
obiettivi quanto alla modalità di proposta.
Sul piano degli obiettivi dobbiamo tornare a far nostro
quello che era l’obiettivo di Don Bosco, ovvero la proposta ai
giovani della santità cristiana. Sappiamo che la situazione dei
nostri ragazzi è molto diversificata. Appena sentiamo la parola
“ santità” , ci può subito cogliere l’impressione di una valuta­
zione astratta e ingenua delle cose.
È importante però che non ci lasciamo trarre in inganno da
un’idea miracolistica di santità, destinata a giovani straordi­

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IL RETTOR MAGGIORE 47
nari, e teniamo di fronte agli occhi quel modello di santità gio­
vanile che Don Bosco con tanta schiettezza e naturalezza pre­
sentava pubblicamente e personalmente ai suoi ragazzi: una
santità fatta di volontà generosa, di conoscenza ed amicizia con
Dio, di pratica sacramentale, di impegno quotidiano nella pro­
pria crescita, di allegria genuina, di servizio tra i compagni e di
donazione in altri campi congeniali ai giovani.
Questi sono i nostri obiettivi educativi, quelli per cui ab­
biamo dato e diamo ogni giorno la vita, nella convinzione che
anche i ragazzi più difficili sono chiamati a scoprire con gioia ed
a sperimentare Dio nella loro vita, e che tutto è possibile a chi
ha fede.
In ogni caso, i giovani che frequentano i nostri ambienti
hanno il diritto di sentirsi dire da noi, con simpatia e compren­
sione, ma anche con slancio e propositività, a che cosa Dio li ha
destinati e come paternamente li pensa e li vuole. Siamo padri
spirituali dei giovani per farli camminare, per indicare loro la
meta. Non c’è nulla di più bello che possiamo fare per loro che
proporre, nei modi e nelle forme che la carità e l’esperienza
pedagogica suggeriscono, la comunione vitale con Colui che è
il Santo di Dio, la Luce, la Verità e la Vita.
Sul piano delle modalità è necessario che riflettiamo seria­
mente per verificare se riusciamo ad evitare il rischio di pro­
porre un cristianesimo caratterizzato più dalle “ cose” da fare
per il Signore, che dalla “relazione” personale con Lui.
La polemica di San Paolo contro una giustificazione che
viene dalle opere, avverte di non sostituire l’esperienza felice di
incontrare l’amore gratuito del Signore, che è il centro e l’ori­
gine di tutto, con il semplice coinvolgimento in iniziative bene­
fiche e caritative.
Non di rado, nei nostri ambienti, ci capita di incontrare gio­
vani volenterosi, che sanno anche dedicare molto tempo ad atti­
vità educative nei confronti dei più piccoli o dei più poveri, ma
trovano difficoltà a capire e a praticare l’incontro sacramentale
con il Signore. Questo deve farci riflettere seriamente sull’im­

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48 ATTI DEL CONSIGLIO GENERALE
magine di cristianesimo che emerge dai nostri discorsi, dalle
nostre proposte e dalla nostra vita.
Si tratta di un cammino di verifica che non è solo nostro,
ma che tutta la Chiesa sente di dover fare. Molti pastori e molte
voci autorevoli hanno in questi anni fatto risuonare un simile
richiamo. D ’altra parte, la necessità di riscoprire il primato
della Grazia, la centralità della relazione con Cristo e il carat­
tere costitutivo dell’esperienza sacramentale è una delle com­
ponenti fondamentali del cammino giubilare.
Per questo dobbiamo interrogarci con coraggio e saper tra­
durre in forma educativa la lieta notizia che risuona da duemila
anni: il Verbo si è fatto carne per offrirci la sua amicizia.
Non è possibile qui esemplificare in che modo questo pri­
mato della Grazia debba tradursi in itinerari educativi. Ci sarà
di aiuto riprendere l’esperienza educativa di Don Bosco. Tra i
molti suoi spunti che, collocati nel nostro contesto, ci possono
far riflettere, c ’è l ’insistenza sulla frequenza sacramentale
come motore del percorso nella grazia e nella generosità apo­
stolica; c’è la pedagogia della festa, in cui il dovere quotidiano si
illumina con il riferimento a un momento di grazia atteso e pre­
parato, fecondo di energie e di conseguenze; c’è la spiritualità
della letizia che viene dall’incontro personale con Gesù.
Una ritrovata centralità dell’Eucaristia nei nostri percorsi
pedagogici e pastorali ci aiuterà a prendere e a far prendere co­
scienza che il desiderio di impegnarsi per il bene degli altri
prende quota, risulta durevole e raggiunge l’autenticità solo
dall’esperienza che ognuno di noi fa di essere accolto da Cristo.
È lì che si impone l’amore che salva e che non si misura.
Voglio ancora, come terzo ambito di attenzione, sottolineare
l’importanza di un’autentica educazione alla celebrazione euca­
ristica. Sappiamo come l’esperienza liturgica, soprattutto in al­
cuni contesti culturali, possa apparire estranea a molti dei gio­
vani con cui lavoriamo. D’altra parte, siamo consapevoli delle
risorse che il linguaggio dei simboli e dei riti, con la sua bel­

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IL RETTOR MAGGIORE 49
lezza e sobrietà, può avere quando non è un’esecuzione mecca­
nica e superficiale, ma un’espressione di fede autentica.
In passato, la pedagogia eucaristica poteva contare su molte
premesse favorevoli, date dall’ambiente. Oggi richiede non di
rado anche un’educazione agli atteggiamenti ed azioni più fon­
damentali: al silenzio, alla preghiera, al canto, ai movimenti co­
rali, alla gestualità. Non dobbiamo sottovalutare l’importanza
di questo fattore, che soprattutto nell’età giovanile acquista
una grande portata per il coinvolgimento emotivo ed attivo alla
celebrazione.
L’esperienza ci insegna che la partecipazione all’Eucaristia
è facilitata dove ci sono gruppi giovanili che curano con gusto
l’espressione musicale, un linguaggio artistico fresco ed esem­
plare, perché sono animati da persone competenti; mentre l’ac­
contentarsi di forme improvvisate, ripetitive o estranee allo spi­
rito della liturgia contamina l’ambiente e pone un ostacolo alla
maturazione dei giovani.
Quello che vale per la musica, vale anche per il servizio li­
turgico, per la proclamazione delle letture, per tutte le forme
espressive che fanno parte dell’Eucaristia e dei vari momenti
celebrativi di una comunità. Non bisogna dimenticare che nella
celebrazione eucaristica c’è anche una pedagogia del tempo e
delle priorità, per cui ha poco senso allungare passaggi che sono
secondari e contrarre quelli che sono emergenti.
Una particolare attenzione sarà richiesta per l’educazione
all’ascolto dei testi biblici. L ’Eucaristia è totalmente impre­
gnata di parola di Dio, non solo per le letture che vengono pro­
clamate, ma anche per un incessante riferimento dei testi del
Messale alla Scrittura. Non è pensabile che questa ricchezza sia
colta nella celebrazione eucaristica, se essa non è preparata da
una vera iniziazione alla Bibbia.
Spesso noi chiediamo troppo all’Eucaristia, pretendendo che
diventi anche un momento didattico e pedagogico. Se questa di­
mensione è legittimamente presente nella Eucaristia, essa non
è però al primo posto e può portare a sbilanciamenti che fini­

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50 ATTI DEL CONSIGLIO GENERALE
scono per appesantire il rito e far perdere di vista l’intenzione
fondamentale del sacramento.
Se sapremo curare questo itinerario formativo, l’Eucaristia
potrà essere veramente una “ celebrazione” del sacrificio di
Cristo, in cui la comunità si raduna per esporsi gratuitamente
all’incontro con il Signore, in un’intesa con Lui, che la frequen­
tazione del Vangelo ha già propiziato.
Conclusione: Un anno “eucaristico”.
Mi è rimasto scolpito nella mente un pensiero ascoltato in
un convegno su Catechesi ed Eucaristia.
Per i primi cristiani la catechesi era un itinerario progres­
sivo verso il mistero eucaristico celebrato dalla comunità. I ca­
tecumeni erano portati come per mano fino al mistero eucari­
stico, attraverso la spiegazione ordinata della dottrina e della
vita cristiana. I battezzati invece, introdotti nell’Eucaristia, a
partire da questa rimeditavano e celebravano tutta l’opera di
Dio e derivavano le conseguenze di vita, come spesso fa l’apo­
stolo Paolo. Ricomprendevano, attraverso un ritorno arric­
chente, quello da cui erano partiti ed attraverso cui avevano
camminato: il desiderio di verità e di vita, l’esistenza ed il mini­
stero di Gesù, la sua passione, Risurrezione e dono dello Spi­
rito, la storia della salvezza passata e presente.
Questo è, d’altra parte, il percorso rimasto inscritto nella
nostra attuale celebrazione eucaristica.
Perché non tentiamo di fare noi altrettanto personalmente
e comunitariamente? Luce e generosità si sprigioneranno per la
nostra vita di consacrati, per la carità fraterna, per la missione,
per la qualità della nostra educazione!
Maria Santissima, “la Vergine Madre di Dio” che ricordiamo
e alla quale ci sentiamo uniti nella celebrazione di ogni Eucari­
stia60, ci sia guida in quegli atteggiamenti con cui Ella stessa ha
60cf. Preghiera Eucaristica

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IL RETTOR MAGGIORE 51
comunicato al mistero del suo Figlio, offerto per la vita del
mondo: l’attento ascolto della Parola di Dio, l’attiva partecipa­
zione al sacrificio del Cristo, ai piedi della Croce, l’amore al
Corpo di Cristo, che è la Chiesa.
Vi saluto cordialmente ed auguro un cammino giubilare,
personale e comunitario, sempre più intenso, nella luce del
Cristo Risorto, vivo ed operante nelle nostre comunità e in cia­
scuno di noi.