Atti_1999_368.ACG_


Atti_1999_368.ACG_

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1. IL RETTOR MAGGIORE
SANTITÀ E MARTIRIO
ALL’ALBA DEL TERZO MILLENNIO
Una beatificazione quasi a sorpresa - Santità e martirio nell’anno santo - Il martirologio del sec. XX
- Santità e m artirio nella Famiglia Salesiana - Un m artirologio della Famiglia Salesiana.
Don Giuseppe Kowalski: Un cammino «salesiano» di crescita - Carità pastorale fino all’offerta
della vita - Un inconfondibile tocco mariano - Una testimonianza eccezionale.
Un gruppo giovanile salesiano - Prigionia e martirio. - Conclusione.
Roma, 29 giugno 1999
Solennità dei SS. Pietro e Paolo
Una beatificazione quasi a sorpresa.
Vi scrivo di ritorno dalla Polonia. Il 13 giugno scorso, a
Varsavia, ho potuto prendere parte alla Beatificazione di 108
martiri, tra i quali il nostro confratello don Giuseppe Kowalski e
cinque giovani del nostro Oratorio - Centro Giovanile di Poznari:
una grazia e un motivo di gioia quasi a sorpresa per la nostra
Famiglia.
Infatti l’inizio del processo risale appena a sette anni fa e
alla Beatificazione si è potuto giungere in questo anno vigiliare
del grande Giubileo. I nomi dei candidati non figuravano nella
lista delle nostre Cause di beatificazione ed essi non erano co­
nosciuti se non nella loro patria.
L’iter della causa ha un retroterra curioso e un percorso
provvidenziale. Il 14 giugno del 1987 veniva beatificato a Varsa­
via Mons. Michele Kozal, vescovo di Wladislavia, ucciso a Da­
chau nel 1943. Questa beatificazione riaccese l’entusiasmo per i
non pochi martiri risalenti a quel medesimo periodo e stermina­
ti, in odium fidei, negli stessi campi di concentramento. E poiché
la diocesi che aveva subito più perdite (un sacerdote su due) era
proprio quella del neo beato Michele Kozal, la Conferenza epi­

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4 ATTI DEL CONSIGLIO GENERALE
scopale della Polonia affidava al Vescovo di Wìoctawek-Wladisla-
via il compito di istruire il processo di tutti i martiri polacchi
caduti nei campi di sterminio di Dachau e di Oswi^cim. Eravamo
nel 1991.
Persone di categorie varie erano interessate nella vicenda:
vescovi, sacerdoti diocesani, religiosi, laici, per un totale di circa
centonovanta, appartenenti a diciassette diocesi. In una prima fa­
se dei lavori processuali furono esclusi circa sessanta, per difetto
di una sufficiente documentazione; e posteriormente altri venti.
Il gruppo dei candidati alla beatificazione è risultato così di
cento otto: tre Vescovi, cinquantadue sacerdoti diocesani, ven-
tisei sacerdoti religiosi, tre chierici, sette religiosi fratelli, otto
suore e nove laici. In testa al gruppo, il titolo ufficiale riporta
quattro nomi rappresentativi delle quattro categorie (vescovi,
sacerdoti, religiosi, laici): Antonio Giuliano Nowowiejski, Arci­
vescovo; Enrico Kaczorowski, sacerdote; Aniceto Kopliriski, re­
ligioso; Maria Anna Biernacka, laica; e cento quattro compagni.
Tra i religiosi molti sono gli Istituti rappresentati, maschili
e femminili: Domenicani, Francescani OFM, Francescani Con­
ventuali, Cappuccini, Carmelitani OCD, Marianisti, Clarisse,
Micheliti, Oblati, Concezionisti, Orionini, Pallottini, Fratelli del
Cuore di Gesù, Ancelle dell’Immacolata, Scolastiche di Notre
Dame, Orsoline, Suore della Redenzione, Verbiti e noi Sale­
siani. È facile immaginare la larga partecipazione alla beatifica­
zione, dovuta appunto a questo ampio panorama di diocesi e di
Congregazioni.
Il veloce iter della Causa - appena il 26 marzo scorso è stato
letto il Decreto sul martirio1- non ha permesso molto tempo ai
preparativi, ma la notizia è stata data tempestivamente sul nu­
mero precedente di questi Atti del Consiglio Generale e sul Bol­
lettino Salesiano2.
Ora si stanno moltiplicando iniziative volte a far conoscere i
1 cf. testo del decreto riportato al n. 5.1 di questi ACG
2 cf. ACG 367, n. 5.1; Bollettino salesiano, giugno 1999

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IL RETTOR MAGGIORE 5
nostri novelli beati, onde ricavarne spunti per la nostra spiri­
tualità e stimoli per la nostra missione.
In questo movimento intendo inserirmi anch’io. Seguendo il
proposito di rivolgervi alcune lettere di comunicazione fami­
liare, vorrei tratteggiare la figura spirituale dei beati e cogliere
il significato della loro glorificazione nella storia della nostra
Congregazione.
Santità e martirio nell’Anno Santo.
Il riferimento alla santità è contenuto nella denominazione
stessa del Giubileo, chiamato appunto Anno «Santo». Esso è la
celebrazione della santità di Dio, come Signore misericordioso
della vicenda umana, che Egli rende storia sacra, di salvezza
con la sua presenza e rivelazione.
Di conseguenza il Giubileo comporta uno sguardo attento
alla santità della Chiesa. «Il ringraziamento dei cristiani, dice il
Papa, si estenderà ai frutti di santità maturati nella vita di
tanti uomini e donne che in ogni generazione e in ogni epoca
storica hanno saputo accogliere senza riserve il dono della Re­
denzione» 3.
Alla luce di tale invito il Santo Padre aggiunge un dato,
commentato persino dai giornali, e ne dà una spiegazione: «In
questi anni si sono moltiplicate le canonizzazioni e beatifica­
zioni. Esse si manifestano molto più numerose oggi che nei
primi secoli e nel primo millennio»4.
La luce di Cristo Risorto si riflette oggi con intensità su
numerosi testimoni distribuiti nei più vari contesti e nelle più
svariate condizioni. Essi diventano punto di riferimento per la
ricerca di senso dell’esistenza umana e per il discepolato
di Cristo.
3 TMA32
4 TMA37

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6 ATTI DEL CONSIGLIO GENERALE
La Chiesa, inoltre, considera la santità la carta vincente per
la nuova evangelizzazione del mondo che si affaccia al 2000.
Questa è un’indicazione tutt’altro che scontata per pensare il
nostro rinnovamento, la nostra testimonianza, il nostro futuro.
«Il più grande omaggio che tutte le chiese renderanno a Cristo
alla soglia del Terzo millennio, sarà la dimostrazione dell’onni­
potente presenza del Redentore mediante i frutti di fede, di
speranza e di carità in uomini e donne di tante lingue e razze,
che hanno seguito Cristo nelle varie forme di vocazione cri­
stiana» 5.
In questo contesto di ringraziamento e di testimonianza di
santità si sottolinea, con insolita forza, il ricordo dei martiri. E
un punto che caratterizza questo Giubileo ed ha una certa im­
portanza capirne il perché. Viene annoverato tra i grandi segni
della fase preparatoria e di quella celebrativa, insieme alla pre­
ghiera di ringraziamento6, alla riconciliazione e penitenza7, alla
richiesta di perdono per le responsabilità nei mali di questo se­
colo 8, alla promozione dell’unità dei cristiani9, alla celebrazione
dei Sinodi continentali10.
Nella Bolla di indizione del Giubileo viene inserito in
un’altra serie di esigenze, che comprende la purificazione della
memoria e la richiesta di perdono 11, la carità verso i poveri e gli
emarginati e la cultura della solidarietà12.
La memoria dei martiri non è dunque un compito riservato
a specialisti della storia o soltanto una celebrazione inserita
nella Liturgia, ma quasi una dimensione della appartenenza
alla Chiesa.
Infatti nella esperienza di fede e nella storia della Chiesa il
5 Ib.
6 cf. TMA 32
7 cf. ib.
8 cf. TMA 33-34
9 cf. TMA 34
10 cf. TMA 38
11 cf. Incarnationis Mysterium, Bolla di indizione del Giubileo, 11
12 cf. Incarnationis Mysterium 12

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IL RETTOR MAGGIORE 7
martirio appare come il segno delle ore feconde. Così è stata
quella della nascita e della prima diffusione del cristianesimo.
Un’ora altrettanto feconda fa presagire il secolo XX nel quale la
comunità cristiana «è diventata nuovamente Chiesa di martiri»13.
Il martirio è la partecipazione in forma viva e reale al sacri­
ficio di Cristo, quasi una Eucaristia. Esprime in forma estrema
una dimensione connaturale e necessaria della vita cristiana
che tutti dobbiamo capire, accettare e assumere: l’offerta della
vita.
Perciò l’esistenza cristiana è permanentemente aperta all’e­
ventualità del martirio u, che si presenta però come una grazia
che ci viene incontro, piuttosto che come un traguardo da desi­
derare, conquistare o proporsi. Rappresenta inoltre lo scontro
profetico più frontale tra lo Spirito, la grazia, le intenzioni e lo
stile di vita proposto da Cristo e ciò che è del mondo, inteso
come insieme di potenze maligne.
Il martirologio del sec. XX.
Caratteristica del secolo XX è in primo luogo la quantità
di coloro a cui è stata chiesta la testimonianza del sangue.
«Le persecuzioni nei riguardi dei credenti hanno operato una
grande semina di martiri in varie parti del mondo», afferma la
TMA16, e aggiunge che tale quantità ha fatto sì che molti rima­
nessero nell’incognito «quasi militi ignoti della grande causa
di Dio»16.
Ma non è meno impressionante la varietà dei martiri, per
quanto riguarda la loro condizione: tra di essi ci sono infatti
vescovi e sacerdoti, religiosi e laici, uomini e donne, giovani e
anziani, intellettuali e contadini, professionisti e artisti.
13 TMA 37
14 cf. Incarnationis Mysterium 13
15 cf. TMA 37
16 Ib.

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8 ATTI DEL CONSIGLIO GENERALE
Quanto mai espressiva dell’ora giubilare che ci prepariamo
a vivere è l’unione delle diverse confessioni cristiane nell’unica
testimonianza di Dio e della dignità dell’uomo: cattolici dei dif­
ferenti riti, ortodossi, protestanti di diverse denominazioni.
«L’ecumenismo dei santi, dei martiri è forse il più convincente.
La communio sanctorum parla con voce più alta dei fattori di
divisioni»1?.
La testimonianza dei martiri del secolo XX riveste inoltre
un profondo significato antropologico, per il singolo e per la ci­
viltà, a motivo delle coordinate del tempo e le circostanze del
loro martirio: il contesto delle grandi guerre, i sistemi totali­
tari, le ideologie atee con pretese e promesse di liberazione e
sviluppo, i fondamentalismi religiosi, gli umanesimi chiusi e
temporali. «Dal punto di vista psicologico il martirio è la prova
più eloquente della verità della fede, che sa dare un volto
umano alla più violenta delle morti e manifesta la sua bellezza
anche nelle più atroci persecuzioni»18.
Ricordando i martiri rivisitiamo la storia tormentata di
questo secolo, caratterizzato dalle grandi aspirazioni collettive
che sembravano giustificare ogni olocausto, dalla lotta senza
quartiere per il dominio del mondo, dalle deviazioni con pretese
scientifiche.
«È una testimonianza da non dimenticare»19. «La Chiesa in
ogni parte della terra dovrà restare ancorata alla loro testimo­
nianza e difendere gelosamente la loro memoria»20. Infatti essi ri­
cordano il senso assoluto di Cristo nella storia dell’uomo, «segno
di quell’amore più grande che compendia ogni altro valore»21.
A servizio della memoria dei martiri si è ribadita ripetuta­
mente l’intenzione di scrivere il martirologio del secolo XX, fa­
cendo riferimento alla cura affettuosa con cui la Chiesa primiti­
17 Ib.
18 Incarnationis Mysterium 13
19 TMA 37
20 Incarnationis Mysterium 13
21 cf. ib.

1.7 Page 7

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IL RETTOR MAGGIORE 9
va raccolse gli atti e conservò la memoria di coloro che avevano
dato la vita per Cristo: «La Chiesa dei primi secoli, pur incon­
trando notevoli difficoltà organizzative, si è adoperata per fissa­
re in appositi martirologi la testimonianza dei martiri. Tali mar­
tirologi hanno costituito la base del primo culto dei santi, nel
quale “sono poi entrati” anche maestri della fede, missionari,
confessori, vescovi, presbiteri, vergini, coniugi, vedove, figli»22.
La convergenza su questa sensibilità e l’importanza che il
martirio ha nell’evangelizzazione si è avvertita particolarmente
nei Sinodi.
Ho potuto non soltanto ascoltare le parole, ma percepire il
tono commosso del ricordo, l’unzione e la venerazione con cui il
Sinodo dell’America e soprattutto quello dell’Asia nominavano
i grandi testimoni della fede.
Nel primo si sono ricordati coloro che donarono la vita nella
prima evangelizzazione e quelli periti in conflitti sociali o sotto
le dittature. Il tutto è stato recepito nel seguente passo del do­
cumento La Chiesa in America: «Tra i santi la storia dell’evan­
gelizzazione dell’America riconosce numerosi martiri, uomini e
donne, vescovi, presbiteri e laici...È necessario che i loro
esempi di dedizione senza limiti alla causa del Vangelo siano
non solo preservati dall’oblio, ma più conosciuti e diffusi tra i
fedeli del continente»2S.
Riguardo al Sinodo dell’Asia, voglio riportare quello che ri­
guarda la Cina perché ci tocca da vicino. È noto il desiderio del
Papa di canonizzare tutti gli attuali Beati martiri della Cina
che sono 120. Egli espresse un tale auspicio nell’omelia della
Canonizzazione del martire Jean Gabriel Perboyre il 2 giugno
1996: «Al ricordo di Jean Gabriel Perboyre, desideriamo unire
quello di tutti coloro che hanno reso testimonianza nel nome di
Gesù Cristo in terra di Cina nel corso dei secoli passati. Penso
22 TMA 37
23 cf. Ecclesia in America 15

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10 ATTI DEL CONSIGLIO GENERALE
particolarmente ai Beati martiri la cui canonizzazione comune,
auspicata da numerosi fedeli, potrebbe un giorno essere segno
di speranza nella Chiesa presente in seno a questo popolo a cui
rimango vicino con il cuore e con la preghiera»24.
Forti anche di tale pronunciamento, i padri sinodali chie­
sero che tale passo fosse compiuto. Ha attirato la mia atten­
zione e quella di molti altri l’intervento di Mons. Joseph Ti-
Kang, Arcivescovo di Taipeh (Taiwan), che rifletteva il sentire
di molti.
I vescovi della Cina - disse - hanno da tempo manifestato il
vivo desiderio che questi eroi della fede cristiana, i martiri, ven­
gano dichiarati Santi.
Già nel febbraio 1996 il Presidente della nostra Conferenza
Episcopale aveva fatto domanda in tale senso a Sua Santità ed
Egli aveva manifestato la sua intenzione di procedere. Infor­
mata di questo, la Congregazione delle Cause dei Santi ha inca­
ricato i Postulatori delle Cause dei Gruppi di Beati Martiri Ci­
nesi di redigere dei “Dossiere” per provare l’esistenza di una
fama signorum in sostituzione di una prova di un miracolo fì­
sico, per l’impossibilità di svolgere in Cina un’indagine cano­
nica in materia.
Tuttavia noi Vescovi Cinesi abbiamo dichiarato che siamo
persuasi che «la perseveranza dei cristiani cinesi nella fede vis­
suta sotto lunga e brutale persecuzione per quasi mezzo secolo -
come pure la crescita del numero dei cristiani - costituiscono per
sé un grande miracolo concesso da Dio tramite la intercessione
dei Beati Martiri Cinesi» ai quali i fedeli si rivolgono nella pre­
ghiera. Questa dichiarazione ufficiale della nostra Conferenza
Episcopale accompagna i “Dossiere” preparati dai Postulatori.
Osiamo dunque chiedere a Sua Santità di voler procedere
nel prossimo futuro alla solenne Canonizzazione dei Beati Mar­
tiri Cinesi25.
24 Osservatore Romano 6/7 giugno 1997
25 cf. Osservatore Romano 25 aprile 1998

1.9 Page 9

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IL RETTOR MAGGIORE 11
Tra i martiri di tutti i tempi e di tutti i continenti, non pochi
appartengono alla Vita consacrata. Anche per essi si auspica un
aggiornamento del martirologio. Senza dubbio un carisma si evi­
denzia con particolare chiarezza nel martirio e dà a questo un
carattere originale. «In questo secolo, come in altre epoche della
storia - afferma Vita Consecrata - uomini e donne consacrati
hanno reso testimonianza a Cristo Signore con il dono della pro­
pria vita. Sono migliaia coloro che, costretti alle catacombe dal­
la persecuzione di regimi totalitari o di gruppi violenti, osteggia­
ti nell’attività missionaria, nell’azione a favore dei poveri, nel­
l’assistenza agli ammalati ed agli emarginati, hanno vissuto e
vivono la loro consacrazione nella sofferenza prolungata ed eroi­
ca, e spesso con l’effusione del proprio sangue, pienamente con­
figurati al Signore crocifisso. Di alcuni di essi la Chiesa ha già ri­
conosciuto ufficialmente la santità onorandoli come martiri di
Cristo. Essi ci illuminano con il loro esempio, intercedono per la
nostra fedeltà, ci attendono nella gloria.
È vivo il desiderio che la memoria di tanti testimoni della
fede rimanga nella coscienza della Chiesa come incitamento
alla celebrazione e all’imitazione. Gli Istituti di vita consacrata
e le Società di vita apostolica contribuiscano a quest’opera rac­
cogliendo i nomi e le testimonianze di tutte le persone consa­
crate, che possono essere iscritte nel Martirologio del vente­
simo secolo»26.
Santità e martirio nella Famiglia Salesiana.
I nuovi beati polacchi entrano a far parte della ormai nume­
rosa costellazione dei santi e candidati agli altari della Famiglia
Salesiana. Sono ben trentanove le cause di beatificazione e ca­
nonizzazione che la nostra Congregazione porta avanti. Esse
interessano centotrentanove figli e figlie spirituali di Don
26 VC 86

1.10 Page 10

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12 ATTI DEL CONSIGLIO GENERALE
Bosco. Se si aggiungono altri che per diversi titoli sono collegati
alla Famiglia Salesiana, anche se la loro causa è portata avanti
dalle rispettive diocesi o dagli Istituti religiosi (per es. Pier­
giorgio Frassati, Alberto Marvelli, Giuseppe Guarino...) il nu­
mero è di circa centocinquanta. Agli attuali tre canonizzati e
dodici Beati, vanno aggiunti altri dodici dei quali è stata già di­
chiarata l’eroicità delle virtù, mentre degli altri si porta avanti
con successo il processo con l’ascolto dei testimoni, la stesura
della Positio o l’esame di questa da parte dei competenti.
Il panorama dei nostri santi è rappresentativo dei diversi
rami della Famiglia Salesiana: centosedici, includendo i martiri,
sono membri della Congregazione Salesiana e dieci le Figlie di
Maria Ausiliatrice (comprese le due martiri spagnole). I gio­
vani, con i nuovi martiri polacchi, raggiungono il numero di
otto e ricoprono l’adolescenza e la giovinezza tra i 13 e i 24
anni. La loro santità è maturata in convitti ed ambienti scola­
stici, ma anche nell’oratorio e nei gruppi giovanili. I Coopera­
tori sono ampiamente rappresentati da quattro donne di di­
versa condizione: Margherita Occhiena, mamma contadina,
Donna Dorotea di Chopitea, nobildonna benefattrice, Alexan-
drina da Costa, povera, sofferente e mistica, Matilde Salem,
anche lei colta, di posizione sociale agiata. Va aggiunto Attilio
Giordani, animatore dell’ Oratorio. Ci sono poi gli exallievi,
come Alberto Marvelli, Piergiorgio Frassati, Salvo d’Acquisto.
La geografia della santità salesiana appare pure universale,
se si prendono in considerazione sia i luoghi di origine, sia i
posti dove i candidati hanno svolto la loro missione per lunghi
anni fino alla morte: l’Europa si presenta con Italia, Spagna,
Portogallo, Francia, Belgio, Polonia, Slovacchia e Repubblica
Ceca. L’America è rappresentata dall’Argentina, Cile, Perù,
Brasile, Equatore, Nicaragua, Colombia. L’Asia da Palestina,
Siria, Giappone, Cina, India.
Non è meno ammirevole la diversità di condizioni di vita e di
lavoro. Si contano Rettori Maggiori (tre), Vescovi (sei), fondato­
ri di Istituti di vita consacrata (sette), ispettori e ispettrici, gran­

2 Pages 11-20

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2.1 Page 11

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IL RETTOR MAGGIORE 13
di missionari e missionarie, coadiutori, educatori ed educatrici,
professori di teologia di livello universitario. Per alcuni poi non
basta indicare genericamente la condizione, perché la loro bio­
grafia è segnata da speciali manifestazioni della santità: don Elia
Comini, morto in una strage di guerra, don Komorek, già molto
venerato in vita come santo dalla gente umile, suor Eusebia Pa­
lomino, tipica figura di semplicità e saggezza evangelica.
Le esperienze nelle quali la santità si è espressa principal­
mente sono dunque: l’animazione dei confratelli e consorelle
nella missione e nella guida delle comunità, la carità verso i più
poveri ed i malati (Zatti, Srugi, Variara), la sofferenza personale
portata avanti con visibile senso di partecipazione alla passione
di Cristo (Beltrami, Czartoryski, Alexandrina da Costa), il lavo­
ro missionario e le espressioni originali della carità pastorale.
Sotto tale diversità di origine, stati di vita, ruolo e livello di
istruzione, provenienza geografica c’è un’unica ispirazione: la
spiritualità salesiana. In essa i candidati agli onori degli altari
sono come la punta di un iceberg che poggia su un’ampia piat­
taforma costituita da molti confratelli e consorelle consacrati
dalla speciale grazia della consacrazione che li fa dimora di Dio
e santificati dall’impegno di rendere visibile e prossima ai gio­
vani tale presenza sulle tracce di Don Bosco. Nell’insieme sono
un trattato completo della nostra spiritualità. Questa si può
proporre in forma dottrinale; ma si può raccontare con van­
taggio attraverso le biografie che avvicinano molto di più i suoi
tratti alle circostanze quotidiane dell’esistenza.
Un martirologio della Famiglia Salesiana.
Nella nostra schiera di «santi» ci sono anche nomi per un
martirologio: centotre sono i martiri registrati. Altri, periti in
rappresaglie di guerra o in situazioni di conflitto sociale, riman­
gono anonimi. I centotre corrispondono a tre gruppi. Il primo,
in ordine di tempo per quanto riguarda il martirio e la beatifi­

2.2 Page 12

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14 ATTI DEL CONSIGLIO GENERALE
cazione, comprende i martiri della Cina: Mons. Luigi Versiglia e
don Callisto Caravario. L’iter della loro causa è in movimento,
come lo è quello di tutti i martiri della Cina.
Vengono poi i martiri spagnoli: novantacinque in totale.
Quelli di Valenza e Barcellona, con a capo don José Calasanz
Marques, sommano a trentadue; quelli di Madrid, capeggiati da
don Enrique Saiz Aparicio, sono quarantadue e quelli di Sivi­
glia, con a capo don Luis Torrero, ventuno.
Nel gruppo dei novantacinque troviamo: trentanove sacer­
doti, venticinque coadiutori, ventidue chierici studenti, due
suore FMA, tre cooperatori (tra cui una donna), due postulanti,
un operaio e un famiglio legati alla comunità salesiana.
La causa di martirio del gruppo di Valenza e Barcellona è
stata esaminata dalla commissione dei consultori teologi il 22
febbraio 1999 con risultato positivo. Si prevede che la loro bea­
tificazione possa avvenire durante l’anno santo, nella data pre­
vista per la beatificazione di tutti i martiri il cui processo di
martirio sia già concluso.
La maggiore celerità che ha avuto il processo di questo
gruppo si deve alla iniziativa dell’Archidiocesi e alla collabora­
zione di sette famiglie religiose interessate: Gesuiti, Minori
francescani, Cappuccini, Domenicani, Dehoniani, Cappuccini
della Sacra Famiglia e noi Salesiani.
La terza area geografica dove gli avvenimenti storici del se­
colo XX sottomisero la Chiesa e in essa la Congregazione alla
prova del martirio è l’Est Europeo: martirio pubblicamente
consumato e quindi conosciuto, ma in tanti casi ignoto e par­
ziale: carcere, interrogatori, sofferenze, persecuzioni civili, sop­
pressione clandestina. La passione incominciò nell’anno 1917
per alcune nazioni e durò fino alla caduta del muro di Berlino
(1989), con punte di particolare difficoltà durante la guerra e
nell’immediato dopo guerra. Le nostre comunità sono state o
soppresse o limitate nella loro vita, mezzi e azione. Tanti nostri
confratelli sono stati portati temporaneamente a campi di rac­
colta, sorvegliati ed interrogati. Di tutti loro vogliamo «custo­

2.3 Page 13

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IL RETTOR MAGGIORE 15
dire gelosamente la memoria» come una ricchezza della nostra
storia di fedeltà.
Il martirologio salesiano, vario per gli scenari, le circo­
stanze, le cause immediate del martirio e per i confratelli che
ne sono interessati, si presta a molteplici riflessioni.
La visuale «gioiosa» del salesiano, la sua professione di bontà
e la volontà di concordare, le sue attività promozionali rendono
quasi lontana l’idea del martirio. Eppure il servizio pastorale
della gente e la dedizione educativa ai giovani non si possono
realizzare senza la disposizione che costituisce internamente il
martirio, cioè l’offerta della vita e la conseguente assunzione del­
la croce. La nostra missione è infatti dono di noi stessi al Padre
per la salvezza dei giovani secondo le modalità che Egli stesso di­
sporrà. Altrettanto si può dire della fedeltà alla nostra consacra­
zione già dall’antico paragonata ad un martirio incruento per il
suo carattere di offerta totale e incondizionata.
Noi viviamo lo spirito del martirio nella carità pastorale
quotidiana della quale Don Bosco affermava: «Quando avverrà
che un salesiano soccomba lavorando per le anime, la Congre­
gazione avrà riportato un gran trionfo»27. Ed è interessante ri­
levare come nel contesto di questa offerta quotidiana egli racco­
mandasse la disponibilità all’evenienza di un martirio cruento:
«Se il Signore nella sua Provvidenza volesse disporre che alcuni
di noi subissero il martirio, forse per questo ci avremmo da spa­
ventare?» 28.
Don Giuseppe Kowalski.
I gruppo di martiri dell’Est Europeo, che ricordavamo, con a
capo don Giuseppe Kowalski, quasi a rappresentarli tutti, at-
27 cf. Testo del «Testamento spirituale di San Giovanni Bosco» riportato in Appen­
dice alle Costituzioni, pag. 258
28 MB XII, 13

2.4 Page 14

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16 ATTI DEL CONSIGLIO GENERALE
tira oggi la nostra attenzione, grazie alla recente beatificazione.
Giuseppe Kowalski era nato a Siedliska, piccolo paese conta­
dino nelle vicinanze di Rzeszów, il 13 marzo 1911, figlio di Woj-
ciech e Sofìa Borowiec, in una famiglia profondamente credente
e praticante. Fu battezzato il 19 marzo, festa di San Giuseppe,
nella Chiesa parrocchiale di Lubenia, distante circa quattro chi­
lometri dal suo paese che in quel tempo non aveva una chiesa.
Oggi, su un lotto donato dalla famiglia Kowalski, sorge una mo­
derna chiesa dove è stata collocata una lapide commemorativa
con la foto di don Giuseppe con la divisa di prigioniero del cam­
po di concentramento e con il suo numero da carcerato: 17.350
Finita la scuola elementare, a l l anni si recò, secondo i desi­
deri dei genitori, nel Collegio San Giovanni Bosco di Oświęcim
dove restò per cinque anni.
Di questi anni si ricorda che «si distingueva per una non co­
mune pietà», che era abile, diligente, allegro e servizievole; era
amato da tutti e annoverato nel numero dei ragazzi migliori.
Apparteneva alla compagnia dell’immacolata, era presidente
del gruppo missionario e animava iniziative religiose e culturali
tra i suoi compagni. Un testimone al processo dice che egli e
altri giovani come lui erano chiamati «santini»29.
Niente di strano che maturasse in lui il desiderio di seguire
le tracce dei suoi educatori e che questi vedessero come una
grazia i segni di una vera vocazione.
Chiese infatti di farsi salesiano e nel 1927 entrò nel novi­
ziato di Czerwirisk. Seguirono gli anni del ginnasio e della filo­
sofia a Cracovia (1928-1931), il tirocinio che coronò con la pro­
fessione perpetua (1934) e il corso teologico normale con l’ordi­
nazione sacerdotale nel 1938.
Fu subito chiamato dall’ispettore don Adam Cieslar come
suo segretario e in tale ruolo resterà nei successivi tre anni fino
al giorno della cattura. Lo si descrive come un confratello che si
distingueva «per una sorprendente padronanza di sé e per una
29 Teste XX, Summ., pag. 1676 § 5893

2.5 Page 15

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IL RETTOR MAGGIORE 17
eccezionale stima verso ciascun fratello». Servizievole, gentile,
sempre sereno e soprattutto molto laborioso. Nella misura in
cui il suo dovere glielo consentiva, si dedicava allo studio delle
lingue (italiano, francese, tedesco), leggeva con interesse la vita
del Fondatore e preparava scrupolosamente le sue omelie.
Gli impegni di segretario ispettoriale non gli impedirono il
ministero pastorale. Lo si trovava sempre disponibile per pre­
diche, conferenze, specie negli ambienti giovanili, e per il ser­
vizio delle confessioni. Dotato di uno spiccato senso musicale,
avendo anche una bella voce, curava in parrocchia un coro gio­
vanile per conferire solennità alle celebrazioni liturgiche.
Sarà proprio questa zelante attività sacerdotale tra i giovani
a metterlo in vista ed a motivare l’arresto da parte dei nazisti il
23 maggio 1941, insieme ad altri undici salesiani.
Imprigionato provvisoriamente a Cracovia nel carcere di
Montelupi, dopo un mese fu trasferito insieme ad altri nel
campo di concentramento di Oświęcim. Qui vide uccidere
quattro confratelli. Tra questi il suo direttore don Giuseppe
Świerc e il suo confessore don Ignazio Dobiasz. Divenuto il
N- 17350, trascorse un anno di lavori pesanti e di maltratta­
menti nella cosiddetta «compagnia di rigore», dove pochi riusci­
vano a sopravvivere.
Fu deciso il suo trasferimento a Dachau, ma all’ultimo mo­
mento fu fermato in circostanze ben descritte dai testimoni30
che hanno deposto nel suo processo e riportate anche nel pro­
cesso di beatificazione del Padre Massimiliano Kolbe31. Egli ri­
mase nella «compagnia di rigore» nel campo di Oświęcim.
Grazie ad una nutrita documentazione nei suoi riguardi e
grazie anche ad alcuni significativi aspetti legati alle modalità
della sua morte, questo nostro Beato risulta una figura molto
evidenziata nel numero dei suoi compagni di martirio.
La sua memoria è rimasta fresca in Polonia in tutti questi
30 cf. Teste X iy Summ., LXXX, pag. 1671, § 5876;
31 C. R pag. 65

2.6 Page 16

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18 ATTI DEL CONSIGLIO GENERALE
anni. Negli atti processuali è documentata una vera fama sanc-
titatis. Ne parlano già i testimoni diretti del martirio. «Conside­
rando la vita del Servo di Dio Józef Kowalski - dice uno di
questi testi - e soprattutto il suo comportamento negli ultimi
momenti della vita prima della morte, credo che lui sia un vero
martire della fede e che merita in pieno di essere innalzato alla
gloria degli altari»32. Tale convinzione ha spinto le nostre comu­
nità polacche, subito dopo la sua morte, a raccogliere la docu­
mentazione legata alla sua vita e alla sua attività, con l’intento
appunto di introdurne la Causa di beatificazione. Ciò corrispon­
deva alla convinzione della gente. I fedeli del paese nativo Sied-
liska, ritenendolo un vero martire, d’accordo con il Vescovo
Tokarczuk, hanno costruito sul posto della nascita, come si è
detto, una chiesa dedicata a S. Giuseppe, nella quale dal 1981
pregano per la Beatificazione del loro compaesano33.
Don Francesco Baran, parroco di Królik Polski, nel 1968,
poteva affermare nella sua deposizione: «La morte di don Giu­
seppe martire, secondo la mia persuasione, è diventata nella
nostra parrocchia di Lubenia un seme provvidenziale di tante
vocazioni per la Chiesa. Basterà ricordare che da questa parroc­
chia sono usciti, dopo l’ultima guerra, 27 zelanti sacerdoti dio­
cesani e religiosi»34.
Non sono mancate interessanti pubblicazioni, specie in loco,
su questa figura, anche se limitate per lo più alla lingua polacca.
Nel 1972 il Bollettino Salesiano ne pubblicò un interessante pro­
filo, che allargò il raggio della conoscenza. Recentemente è stata
pubblicata una breve biografia, tradotta in varie lingue.
Anch’io desidero dare un contributo presentando alcuni
tratti della sua vicenda terrena conclusasi col martirio, così
come li ho colti da un’attenta lettura dei documenti a disposi­
zione. Tra questi ho potuto anche consultare il Processo di
32 Prof. Zygmunt Kolankowski, Summ., Doc. VI
33 cf. Positio, LXXXy pag. 10
34 Deposizione del Sac. Francesco Baran

2.7 Page 17

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IL RETTOR MAGGIORE 19
S. Massimiliano Kolbe, con il quale il nostro confratello ha con­
diviso parte della prigionia avendone significativi contatti. Il
suo nome compare in alcune testimonianze di tale processo,
anche se solo indirettamente.
Un cammino “salesiano” di crescita.
È stato detto giustamente che il «martirio non s’improv­
visa» 35. Non è operato dal carnefice, ma è una grazia operata
dallo Spirito. Non sono infatti il supplizio e le torture inflitte
dall’esterno ciò che fanno un martire, ma l’atto interiore del­
l’offerta. Esso dunque è un dono così grande che non capita per
caso, supposto che qualche cosa possa mai avvenire senza mo­
tivo nel regno della grazia. Il martirio è una vocazione e viene
preparato misteriosamente da tutta una vita.
Come la morte è «unica» per ciascuno, così anche al mar­
tirio ognuno dà il suo tocco di originalità. Oltre al fatto dell’of­
ferta, c’è lo stile particolare con cui ciascun martire affronta il
momento supremo della prova.
Chi si addentra nella pur breve esistenza terrena di questo
nostro novello Beato, non fa fatica a rintracciare i segni di una
santità robusta, esternamente riconoscibile come tale e di emi­
nente fattura salesiana.
L’ambiente educativo e le proposte di formazione cristiana
della sua adolescenza, che abbiamo ricordato sopra, richiamano
tutti gli elementi caratteristici del sistema preventivo: am­
biente giovanile, rapporto di fiducia con gli educatori, gruppi di
impegno, responsabilità dei più maturi, devozione a Maria Au-
siliatrice, frequenza ai sacramenti.
Che in questo ambiente Giuseppe percorresse il suo perso­
nale cammino di santità come «emulo di Domenico Savio», lo
rivelano tra l’altro alcune pagine dei suoi «taccuini riservati».
36 Pio XII, AAS 32, 1950, pag. 958

2.8 Page 18

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20 ATTI DEL CONSIGLIO GENERALE
«Piuttosto morire che offenderti col più piccolo peccato». «O
mio buon Gesù, dammi volontà perseverante, ferma, forte,
perché io possa perseverare nelle mie sante risoluzioni e possa
raggiungere il mio sommo ideale: la santità che mi sono pre­
fisso. Io posso e devo essere santo»36.
Gli stessi taccuini documentano la sua adesione personalis­
sima a Gesù Cristo che va maturando con gli anni, in partico­
lare dopo la professione: «Gesù, voglio essere fedele veramente
e fedelmente servirti
Mi dedico totalmente a Te [....]. Fa’
che io non mi allontani mai da Te e che fino alla morte sia fe­
dele a Te e mantenga il mio giuramento: “piuttosto morire che
offenderti con un minimo peccato” [....]. Io devo essere un sale­
siano santo, come fu santo il mio Padre Don Bosco»37.
Da giovane studente di filosofia nel 1930 aveva scritto, con
il sangue, su una pagina del diario, dopo aver disegnato una
piccola croce: «Soffrire ed essere disprezzato per te, Signore
[....]. Con piena conoscenza, con volontà decisa e pronta a tutte
le conseguenze, abbraccio la dolce croce della chiamata di
Cristo e voglio portarla fino alla fine, fino alla morte»3S.
Carità pastorale fino all’offerta della vita.
Questo suo amore di imitazione di Cristo e questa sua ade­
sione a Don Bosco come Padre lo portavano ad esprimere lo
sforzo spirituale con serena disponibilità all’impegno aposto­
lico. Abbiamo già ricordato il suo coinvolgimento nell’anima­
zione dei compagni e la sua dedizione alle attività oratoriane
nel tempo del suo breve sacerdozio. A mano a mano che progre­
diva, il suo approccio ai giovani guadagnava in bontà.
Risulta interessante la testimonianza di un sacerdote, don
Francesco Baran, della diocesi di Przemyśl: «Incontrai, per la
30 Teste XX, Sumrn., pag. 1676, § 5893
37 Summ., LXXXY pag. 1678, § 5897; ib. pag. 1680, § 5904, § 5908
38 Summ., LXXXY pag. 1680, § 5902

2.9 Page 19

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IL RETTOR MAGGIORE 21
prima volta, don Giuseppe Kowalski nel giugno del 1938. Oggi
non ricordo più la data precisa di questo gioioso avvenimento.
Essendo io scolaro di seconda elementare tornavo dalla scuola a
casa. Dopo la santa Messa tornava anche don Giuseppe a piedi
dalla Chiesa parrocchiale, distante quattro chilometri dalla sua
casa natia. Si trattenne benevolmente con me un poco, mi do­
mandò il mio nome e cognome, poi mi diede parecchie immagi-
nette della sua prima Messa, mi accarezzò dolcemente e mi dis­
se che anch’io sarei diventato prete. Adesso non mi ricordo esat­
tamene le sue parole»39.
Il campo di prigionia divenne per lui il campo «pastorale».
Unì la sofferenza ad una solerte attenzione ai compagni, so­
prattutto per confortare la loro speranza e sostenere la loro
fede. «I capi del SK - leggiamo tra le testimonianze - sapendo
che Kowalski era prete, lo tormentavano ad ogni passo, lo bat­
tevano ad ogni occasione, lo mandavano ai lavori più pesanti»40.
Eppure egli non smise mai di offrire ai suoi compagni tutto
il servizio sacerdotale possibile: «Nonostante un severo divieto,
assolveva dai peccati i moribondi. Confortava gli scoraggiati,
sollevava spiritualmente i poveretti in attesa della sentenza di
morte, portava clandestinamente la comunione, riusciva per­
sino ad organizzare la Santa Messa nelle baracche, animava la
preghiera ed aiutava i bisognosi»41. «In quel campo di morte nel
quale, secondo l’espressione dei capi, non c’era Dio, riusciva a
portare Dio ai comprigionieri»42.
Il suo atteggiamento interiore ed esteriore durante tutto
questo calvario si manifesta in una lettera ai genitori: «Non vi
preoccupate per me, sono nelle mani di Dio [...]. Voglio assicu­
rarvi che sento ad ogni passo il suo aiuto. Nonostante la presen­
te situazione, io sono felice e totalmente tranquillo; sono per­
suaso che dovunque mi trovi e qualsiasi cosa mi succeda, tutto
39 Deposizione di don Francesco Baran del 30.VIII.1971
40 Teste XIX, Summ., LXXXY pag. 1676, § 5892
41 cf. Teste X iy Summ., pag. 1671, § 5875
42 Teste XVII, Summ., pag. 1675, § 5887

2.10 Page 20

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22 ATTI DEL CONSIGLIO GENERALE
proviene dalla paterna Provvidenza di Dio che in modo giustis­
simo dirige le sorti di tutte le nazioni e di tutti gli uomini».
Due fatti parlano eloquentemente del suo eroico zelo pasto­
rale. Il primo è l’organizzazione della preghiera giornaliera nel
campo. Eccone una suggestiva descrizione tratta da una testi­
monianza: «La mattina appena usciti dagli isolati ci raccoglie­
vamo, ancora nel buio (alle ore 4,30), formando un piccolo
gruppo di 5-8 persone, presso uno dei blocchi, in un posto meno
visibile (la scoperta di un simile convegno avrebbe potuto co­
starci la vita), per recitare le preghiere che ripetevamo dopo di
lui. Il gruppetto andò man mano aumentando, malgrado che ciò
fosse molto rischioso»43.
Molto più tragiche le vicende del suo ultimo giorno di vita
consegnate alla storia da testimoni oculari, che usciti vivi da
quell’inferno, poterono deporre sotto giuramento durante il
Processo.
Era il 3 luglio 1942. Ogni gesto e ogni parola di quelle ul­
time 24 ore rivestono un significato particolarmente impor­
tante. Ed è giusto rivivere, anche nei particolari, il momento
culminante della passione di questo nostro confratello.
«Finito il lavoro - narra uno dei testi - i compagni condus­
sero al blocco il sac. Kowalski, maltrattato dai capi. Dopo il suo
ritorno io ho trascorso insieme a lui gli ultimi momenti. Ci ren­
devamo conto che dopo l’assassinio dei compagni della nostra
branda (dei cinque, tre erano stati già uccisi) adesso toccava a
noi. In quella situazione il sacerdote Kowalski si raccolse in
preghiera. Ad un certo momento si rivolse a me dicendo: “Ingi­
nocchiati e prega con me per tutti questi che ci uccidono” . Pre­
gavamo in due, ad appello terminato, a tarda sera sulla branda.
Dopo un po’ venne da noi Mitas e chiamò don Kowalski.
Il sac. Kowalski scese dalla branda con animo tranquillo, poiché
era preparato a questa chiamata e alla morte che ne sarebbe se­
43 Lettera del Prof. Giuseppe Kret, teste oculare

3 Pages 21-30

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3.1 Page 21

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IL RETTOR MAGGIORE 23
guita. Mi diede la sua porzione di pane che aveva ricevuto per
la cena dicendo: “Mangialo tu, io non ne avrò più bisogno” .
Dopo queste parole se ne andò coscientemente alla morte»44.
Ma prima dell’epilogo, che sarebbe avvenuto nel primo mat­
tino del 4 luglio, nella giornata del 3 c’era stata la messinscena
di un’azione sacra in cui si rivela tutta l’eroica dignità di un
vero testimone della fede. Essa è riferita da testimoni oculari
con ricchezza di particolari. Ascoltiamo:
«Mi rimase impresso nella memoria un giorno, legato al ri­
cordo di don Kowalski, che fu l’ultimo giorno della mia dimora
nella SK. Si era ai primi di luglio del 1942. La giornata era mol­
to calda. I capi erano furenti nella loro smania di uccidere. Del­
le crudeltà si facevano allegri spettacoli. In questo giorno non ri­
posarono neppure durante l’intervallo per il pranzo, continuan­
do i loro sadici divertimenti della mattina. Ora annegavano gli
uni nel vicino scolo di letame, ora precipitavano altri dall’alto
terrapieno al fondo di un immenso canale che stavano scavando,
pieno di fango argilloso. Quelli dei massacrati che gemendo non
erano ancora spirati venivano spinti in una grossa botte senza
fondo, botte che serviva di rifugio ai cani, che ci custodivano in­
sieme alle SS. Li costringevano ad imitare i cani abbaiando e poi,
versata per terra della minestra, obbligavano quei moribondi a
leccarla dal suolo. Uno degli sbirri (il capo), tedesco, urla riden­
do con voce rauca: “E dov’è quel prete cattolico? Dia loro la sua
benedizione per il viaggio all’eternità” . Intanto altri carnefici
buttavano don Kowalski (di lui appunto chiedeva il capo) dal­
l’alto nel fango per divertirsi. Ora, appena somigliante ad un uo­
mo, lo conducono alla botte. Nudo, tratto fuori dallo stagno fan­
goso, coi resti di cenci dei calzoni addosso, tutto grondante da ca­
po a piedi di quel brutto, vischioso impasto di fango e letame, in­
calzato a furia di bastonate, venne alla botte dove giacevano mo­
ribondi gli uni, morti gli altri. I carnefici percuotendo don
Kowalski, schernendolo come prete, gli ordinarono di salire sul-
" Summ., LXXXY pag. 1685, § 5920s

3.2 Page 22

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24 ATTI DEL CONSIGLIO GENERALE
la botte e impartire ai morenti “secondo il rito cattolico, l’ultima
benedizione per il viaggio al paradiso” .
Don Kowalski si inginocchiò sulla botte e segnatosi inco­
minciò con voce alta, quasi ispirata, a recitare lentamente il
Pater noster, l'Ave Maria, il Sub tuum praesidium e la Salve
Regina. Le parole eterne di verità racchiuse nelle divine strofe
della preghiera domenicale impressionarono vivamente i prigio­
nieri che di giorno in giorno, di ora in ora aspettavano qui una
morte spaventosa, simile a quella di coloro i quali ora in un ca­
nile lasciavano questa valle di lacrime, sfigurati a tal punto da
perdere le sembianze di uomini. Rannicchiati nell’erba, non
osando alzare la testa per non esporci agli sguardi dei carnefici,
gustavamo le penetranti parole di don Kowalski come cibo ma­
teriale di una pace desiderata. In quella terra imbevuta del
sangue dei prigionieri, penetravano ora le lacrime sgorgate dai
nostri occhi, mentre assistevamo al sublime mistero celebrato
da don Kowalski sullo sfondo di quella macabra scena. Anni­
dato vicino a me sull’erba, un giovane studente di Jaslo
(Taddeo Kokosz) mi sussurrò all’orecchio: “Una simile pre­
ghiera, il mondo non l’ha ancora udita... forse neppure nelle ca­
tacombe si pregava così” » 45.
Da un’attenta ricostruzione risulta che egli fu ucciso nella
notte tra il 3 e il 4 luglio 1942. Fu annegato nella cloaca del
campo. Lo attesta sotto giuramento il suo comprigioniero Ste­
fano Boratynski che vide il suo cadavere tutto sporco abbando­
nato davanti al blocco della cosiddetta «compagnia punitiva».
Un inconfondibile tocco mariano.
È nota la devozione del popolo polacco alla Madonna, che ha
la sua espressione ed il suo centro nel santuario di Częstochowa.
45 Giuseppe Kret

3.3 Page 23

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IL RETTOR MAGGIORE 25
Viene seminata nell’animo di ogni battezzato. Affiora possente
nei momenti cruciali della storia della Chiesa e del Paese come
sorgente di ispirazione ed energia, di saggezza e speranza.
Questo tratto, comune a molte regioni cristiane, costituisce
un interessante punto di incontro tra la fede popolare e la spiri­
tualità salesiana qualificata appunto come spiritualità mariana.
Troviamo negli appunti del Beato Giuseppe sentimenti in­
tensi di devozione a Maria quando era ancora allievo di
Oswigcim: «O Madre mia, io devo esser santo perché questo è il
mio destino. Non voglio mai dire che ho progredito abbastanza;
no, non dirò mai basta. Fa’, o Madre mia, che l’idea della san­
tità che splende agli occhi dell’anima mia non si oscuri mai, ma
al contrario cresca, si rafforzi e splenda come il sole»46.
La sua via crucis è costellata di stazioni mariane. Il 23
maggio 1941, vigilia di Maria Ausiliatrice, si compie il prevedi­
bile, comunque repentino arresto. Egli stesso ricorda il conforto
che gli veniva quando vedeva la torre della Chiesa di Maria Au­
siliatrice, vicina al campo, che i Salesiani ereditarono dai Do­
menicani e trasformarono in santuario mariano.
Ma questo tratto emerge soprattutto nel momento del su­
premo sacrificio. Il rosario lo accompagnava nei giorni della pri­
gionia. Lo recitava individualmente e con i compagni. Con esso
si collega la sua destinazione alla «compagnia di rigore» e l’ul­
timo eroico tratto della sua esistenza. Leggiamo negli atti del
martirio: «Tra i 60 sacerdoti e frati preparati al trasporto (per
Dachau) c’era don Józef Kowalski. Stavamo in piedi, nudi, nel
bagno del campo.
Viene l’ufficiale Plalitzsch - uno dei più grandi criminali del
campo di Oświęcim, annotano gli atti - incaricato di fare i rap­
porti. Dà il commando. “Attenti!” .
Il comandante passa tra i prigionieri. Scorge che don
Kowalski tiene stretto qualcosa nel pugno.
“Che cosa hai nella mano?” , domanda. Don Kowalski tace.
46 Teste XX, Summ., pag. 1676, § 5893

3.4 Page 24

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26 ATTI DEL CONSIGLIO GENERALE
Il comandante batte fortemente sulla mano; per terra cade la
corona del rosario.
“ Calpestala” , grida arrabbiato l’ufficiale.
Don Kowalski non lo fa. Il comandante irritato dall’atteg­
giamento fermo di don Kowalski, lo distaccò dal nostro gruppo.
Questo fatto ci impressionò profondamente. Capivamo che a
causa del rosario lo aspettavano severi castighi»47.
Una testimonianza eccezionale.
Sua Santità Giovanni Paolo II ha conosciuto personalmente
il nostro Beato perché egli abitava, durante la persecuzione na­
zista, nella nostra Parrocchia di S. Stanislao Kostka a Cracovia.
Da Cardinale in questa stessa chiesa in un discorso del 30 gen­
naio 1972, così disse riferendosi ai Salesiani uccisi:
«Commemoro quei tempi anche per motivi personali. Sono
persuaso che alla mia vocazione sacerdotale, proprio in quei
tempi e proprio in questa parrocchia, alla quale appartenevo da
giovane, hanno contribuito anche le preghiere e i sacrifici dei
miei fratelli, delle mie sorelle e di questi pastori di allora i quali
per la vita cristiana di ogni parrocchiano, specie i giovani, paga­
rono con il sangue del martirio».
Non ci meravigliamo perciò se in una lettera di don Rokita
del 29 novembre 1971, leggiamo: «L’Arcivescovo di Cracovia, il
Card. Carlo Wojtyla, che personalmente conosceva bene don
Kowalski, insiste molto per affrettare questa causa». Egli oggi
ne ha visto il compimento, dichiarandolo Beato.
Questa umile e riconoscente testimonianza del Papa, ap­
pena citata, riferita al plurale - «questi pastori» -, ci fa allar­
gare lo sguardo fino a raggiungere tutti i confratelli e i membri
della Famiglia Salesiana che sono dietro la figura del Beato
Giuseppe Kowalski. Ci piace oggi vederlo non solo nella sua sin-
47 Teste XIV Summ., LXXX, pag. 1671 § 5876

3.5 Page 25

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IL RETTOR MAGGIORE 27
golarità, ma anche quale rappresentante di tutti coloro che
come lui, per gli stessi motivi, nella stessa terra, nello stesso pe­
riodo storico diedero la loro vita.
Pensiamo innanzitutto ai confratelli arrestati insieme a lui
a Cracovia. Di essi alcuni morirono nel campo di sterminio di
Oświęcim tra il 1941 e il 1942. Tra loro anche il direttore e il
confessore di don Kowalski, come si è detto.
Se poi ci riferiamo a tutti quelli uccisi in Polonia durante
l’ultimo periodo bellico, l’elenco sale a ottantotto. Di questi
pubblicò un succoso libretto don Tirone nel 1954, in cui è ripor­
tato il profilo biografico di ciascuno: Medaglioni di ottantotto
confratelli polacchi periti in tempi di guerra. Si tratta di cin-
quantacinque sacerdoti, ventisei coadiutori, sette chierici.
Ma un cerchio ancora più vasto, comprensivo di tutte le
terre dell’Est, ci porta alla cifra di 183: dalla Polonia alla Re­
pubblica Ceca, dalla Slovacchia alla Slovenia, dalla Croazia al­
l’Ungheria, dalla Germania alla Lituania e Ucraina.
A tutti questi confratelli andava il mio pensiero durante la
Beatificazione di don Giuseppe Kowalski, tutti personificati in
lui e - come lui - testimoni fulgidi della dimensione martiriale
della Congregazione.
Li ricordiamo con venerazione e con profonda riconoscenza
interiore, ben sapendo quale fecondità spirituale essi abbiano
meritato alla nostra famiglia religiosa con il loro martirio. Se
pensiamo allo sviluppo vocazionale che ha contraddistinto gli
anni pur difficili del dopo guerra e se pensiamo al rapido espan­
dersi della nostra presenza oggi in quelle aree geografiche, non
possiamo non mettere in relazione il mistero della crescita con
il mistero del sangue versato.
Un gruppo «giovanile» salesiano.
Nel gruppo di martiri beatificati figurano cinque giovani di
Poznari. Essi sono: Edoardo Klinik (23 anni); Francesco Kęsy

3.6 Page 26

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28 A T TI D E L C O N S IG LIO G E N E R A LE
(22 anni); Jarogniew Wojciechowski (20 anni), Czesìaw Józwiak
(22 anni), Edoardo Kazmierski (23 anni).
Presentano dei tratti comuni: i cinque erano oratoriani, tutti
e cinque consapevolmente impegnati nella propria crescita uma­
na e cristiana, tutti e cinque coinvolti nell’animazione dei com­
pagni, legati tra di loro da interessi e progetti personali e sociali,
presi di mira quasi insieme e imprigionati in sedi diverse ma in un
brevissimo periodo di tempo. Ebbero un percorso carcerario in­
sieme e subirono il martirio lo stesso giorno e allo stesso modo.
L’amicizia oratoriana rimase viva fino all’ultimo momento.
La compresenza di questi giovani e di don Kowalski in un’u­
nica beatificazione è significativa: giovani da noi evangelizzati,
coinvolti nell’apostolato, ci seguono fino al martirio e salgono
agli onori degli altari insieme ai loro educatori.
Accomunati nella prigionia e nella morte, ciascuno di essi
ha però una biografia singolare che si intreccia con quella degli
altri per appartenenza ad un ambiente salesiano.
Edoardo Klinik era secondogenito di tre figli. Suo padre
era un meccanico. Finì il ginnasio alla nostra casa di Oświęcim
e successivamente a Poznari superò l’esame di maturità. Du­
rante l’occupazione si diede a lavorare in una ditta di costru­
zioni. Sua sorella, Sr. Maria, professa delle suore Orsoline di
Gesù Agonizzante, attesta: «Quando Edward andò all’oratorio
la sua vita religiosa si approfondì molto. Iniziò a partecipare
alla messa da chierichetto. In questa vita oratoriana coinvolse
anche suo fratello minore. Era abbastanza sereno, timido; di­
ventò più vivace dal momento dell’entrata all’oratorio. Era uno
studente sistematico, responsabile»48.
Nel gruppo dei cinque si distingueva perché era molto impe­
gnato su ogni campo di attività e dava l’impressione di essere il
più serio e profondo. Sotto la guida dei maestri salesiani, la sua
vita spirituale diventava sempre più soda, con al centro il culto
48 Positio, pag. 758

3.7 Page 27

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IL RETTOR MAGGIORE 29
eucaristico, una vivissima devozione mariana e l’entusiasmo
per gli ideali di San Giovanni Bosco.
Francesco K§sy invece era nato a Berlino, dove i suoi ge­
nitori si trovavano per motivi di lavoro. Suo padre era carpen­
tiere, ma trasferitosi a Poznari lavorava in una centrale elet­
trica della città.
Francesco aveva l’intenzione di entrare tra i candidati al
noviziato salesiano. Durante l’occupazione, non potendo
continuare gli studi, si impiegò in uno stabilimento industriale.
Il tempo libero lo passava all’oratorio dove, in strettissima
amicizia di ideali con gli altri quattro, animava le associazioni
e attività giovanili. Era il terzo di cinque figli di una famiglia
povera.
Di lui si ricorda che era sensibile e fragile e spesso si amma­
lava; ma allo stesso tempo allegro, tranquillo, simpatico, amava
gli animali, ed era sempre disposto ad aiutare gli altri. Di mat­
tina si dirigeva verso la chiesa e quasi ogni giorno riceveva la
comunione; la sera recitava il rosario.
Jarogniew Wojciechowski proveniva da Poznań. Il padre
gestiva un negozio di cosmetici. La vita di famiglia fu segnata a
lungo da situazioni traumatiche a causa dell’alcolismo del
padre, che finì per abbandonare la famiglia. Jarogniew fu co­
stretto a cambiare scuola e rimase sotto la cura di sua sorella
maggiore. In tale situazione trovò appoggio nell’oratorio sale­
siano, alle cui attività partecipava con entusiasmo.
Di lui le testimonianze ricordano che faceva il chierichetto
dai Salesiani, partecipava alle gite e alle colonie, suonava canti
religiosi al pianoforte, partecipava alla vita religiosa della fami­
glia, ogni giorno riceveva la comunione e come gli altri com­
pagni del gruppo si distingueva per la fraternità, il buon umore
e l’impegno nelle attività, nei doveri e nella testimonianza.
Egli spiccava tra gli altri perché appariva piuttosto medita­
tivo, tendeva ad approfondire la visione delle cose, cercava di

3.8 Page 28

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30 A T TI DEL CONSIGLIO GENERALE
capire gli avvenimenti, senza però cadere nella malinconia; era
un dirigente nel miglior significato di questa parola49.
Czeslaw Józwiak era legato all’oratorio salesiano di
Poznari sin dalla fanciullezza. Aveva dieci anni quando vi mise
piede per la prima volta. Suo padre lavorava come funzionario
della polizia giudiziaria. Egli frequentava il ginnasio “San Gio­
vanni Kanty” e allo stesso tempo svolgeva il compito di anima­
tore di un circolo giovanile all’oratorio. Allo scoppio della
guerra, pure lui si mise a lavorare in un negozio di cosmetici
per l’impossibilità di continuare la scuola.
Di lui si dice che era collerico di natura, spontaneo e pieno
di energia, ma padrone di se stesso, costante, pronto al sacri­
ficio e coerente50. Guidato dal direttore don Agostino Piechura,
lo si vedeva aspirare consapevolmente alla perfezione cristiana
e progredire in essa. Godeva di indiscussa autorità di fronte ai
più giovani.
Così si esprimeva un suo compagno di carcere: «Era di buon
carattere e di buon cuore, aveva l’anima come di cristallo...
quando si è aperto di fronte a me ho capito che il suo cuore era
libero da ogni macchia di peccato e da ogni cattiveria...mi ha
confidato un suo pensiero che lo preoccupava, cioè di non mac­
chiarsi di nessuna impurezza51».
Da ultimo Edward Kazmierski, nato a Poznari, proveniva
da una famiglia povera. Suo padre era calzolaio. Appena termi­
nata la scuola elementare, fu costretto a lavorare in un negozio
e poi in una azienda meccanica. Si inserì presto nell’oratorio
salesiano e in questo ambiente potè sviluppare insolite doti
musicali.
Di lui si dice: la viva religiosità che attinse dalla famiglia lo
portò ben presto, sotto la guida dei Salesiani, alla maturità cri­
49 cf. Positio, pag. 766 ss.
50 cf. Positio, pag. 730
51 Positio, pag. 731

3.9 Page 29

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IL R E T T O R M A G G IO R E 31
stiana. Passava il tempo libero dopo il lavoro nell’ambiente del­
l’oratorio e cresceva nella devozione eucaristica e mariana. A
15 anni partecipò al pellegrinaggio a Cz^stochowa facendo a
piedi una distanza di oltre 500 Km. Fu presidente del circolo
San Giovanni Bosco e si entusiasmò per gli ideali salesiani.
Vivace, costante nelle decisioni, coerente, amava cantare in
chiesa, nel coro o da solista. A quindici anni scrisse alcune com­
posizioni musicali. Lo caratterizzavano la sobrietà, la prudenza,
la benevolenza. Nella prigionia dimostrò un grande amore verso
i compagni. Aiutava volentieri i più anziani e fu totalmente libe­
ro da qualsiasi sentimento di odio verso i persecutori52.
Singolarmente e come gruppo, questi giovani fanno emer­
gere la forza plasmatrice della esperienza oratoriana, quando
essa può contare su un ambiente, su una comunità giovanile
corresponsabile, su una proposta personalizzata, uno o più con­
fratelli capaci di accompagnare i giovani in un cammino di fede
e di grazia. I cinque giovani provenivano da famiglie cristiane.
Su questo fondamento poi la vita e il programma dell’oratorio
hanno stimolato la generosità verso il Signore, la maturità
umana, la preghiera e l’impegno apostolico.
Il gruppo, come luogo di crescita e di impegno, è stato deter­
minante. Vengono nominati sempre come il gruppo dei
«cinque». Commuove leggere su ciascuno: «Egli faceva parte
dei capigruppo dell’oratorio, essendo strettamente legato da
vincoli di amicizia e da aspirazioni ad alti ideali cristiani con gli
altri quattro»53.
L’esperienza oratoriana produsse tra di loro una solidarietà
giovanile basata sugli ideali e i progetti, che si è manifestata
nella condivisione sincera, nel vicendevole sostegno per affron­
tare le prove, nella spontaneità e nella gioia.
L’amicizia li portò a continuare gli incontri quando le forze
52 cf. Positio, pag. 742
53 Positio, pag. 741

3.10 Page 30

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32 ATTI DEL CONSIGLIO GENERALE
di occupazione requisirono l’oratorio lasciando ai Salesiani sol­
tanto due camere e trasformando l’intero edifìcio e la chiesa in
magazzini militari.
In una camera e con un pianoforte, che i fratelli del Sacro
Cuore misero a disposizione, proseguirono le attività corali e gli
incontri amichevoli. Più tardi, privati anche di questa possibi­
lità, i luoghi di riunione diventarono i piccoli giardini di città, i
prati presso il fiume e i boschi vicini. Niente di strano che la po­
lizia li identificasse o li confondesse con coloro che si erano co­
stituiti in associazioni clandestine. L’amicizia divenne sostegno
vicendevole durante il passaggio attraverso i vari carceri fino
alla morte.
Prigionia e martirio.
Tutti e cinque sono stati presi nel settembre 1940. Edoardo
Kazmierski direttamente sul posto di lavoro, senza possibilità
di congedarsi dai propri cari. Era domenica. Lunedì 23, la sera,
dopo il coprifuoco, quando era appena tornato a casa, fu la volta
di Francesco. A casa e in generale nel cuore della notte furono
pure presi gli altri tre, in presenza dei familiari.
Si ritrovarono nella fortezza VII di Poznari. Passati al car­
cere di Neukoln, vicino a Berlino e poi ancora a quello di
Zwickau in Sassonia, subirono interrogatori, torture e poi fu­
rono adibiti a lavori pesanti.
Il percorso per i diversi luoghi di prigionia, lo si è potuto se­
guire grazie ai preziosi biglietti che essi hanno trovato il modo
di scrivere. Contengono frasi brevi, ma sufficienti per aprirci
uno spiraglio sulle vicende della prigionia e rivelare ai nostri
occhi che si tratta di giganti dello spirito. «Dio solo sa quanto
soffriamo. La preghiera ci fu unico aiuto nell’abisso delle notti
e dei giorni». E su un altro: «Dio ci ha dato la croce, ci sta
dando anche la forza di portarla».
Il primo agosto 1942 fu pronunziata la sentenza: condanna

4 Pages 31-40

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4.1 Page 31

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IL RETTO R M AG G IO R E 33
a morte per tradimento allo stato. Essi ascoltarono in piedi. Ne
seguì un lungo silenzio interrotto solo da una esclamazione di
uno di loro: «Sia fatta la tua volontà».
La motivazione politica ufficiale non deve trarre in inganno.
Le testimonianze e in seguito la Positio si soffermano a docu­
mentare il fatto materiale del martirio, cioè che la morte sia
stata loro inflitta dai persecutori. Il cammino carcerario è stato
segnato da torture e interrogatori, da pesanti lavori forzati,
fame fino all'inanizione, da trattamento inumano, dalla compa­
gnia con delinquenti comuni che aggiungevano nuove soffe­
renze a quelle che comportava la condanna.
Ma gli stessi documenti mettono in chiaro la mentalità e
l’intenzione antireligiosa dei persecutori che cercavano la di­
struzione umana dei prigionieri. Certo questi giovani pensa­
vano con legittimità, come qualsiasi cittadino, alla rinascita del
loro paese in termini di cultura, valori, convivenza nella giu­
stizia. Ma non fu trovata in loro azione delittuosa alcuna. Sono
stati presi di mira e condannati senza difesa per la loro appar­
tenenza ai movimenti cattolici, dai quali si sospettava potessero
nascere resistenze. Ricorrono tra i testimoni valutazioni come
queste: «Il motivo della condanna a morte non era assoluta­
mente quello che è stato pubblicato dalle autorità...»54. «I na­
zisti lo sapevano e, anche se non lo dicevano direttamente, por­
tavano avanti una persecuzione per motivi di fede, erano inner­
vositi per i segni di cristianesimo, le preghiere a voce alta, i
canti religiosi...»55. «Dalla fede essi prendevano la forza per ri­
manere fedeli a Dio e alla patria»56.
Va aggiunto infine quello che fu loro inflitto in diretta e
immediata relazione con le loro manifestazioni di adesione
alla fede e di pietà, come irritazione dispotica di coloro che li
custodivano e come risultato di un regime anticristiano e ateo.
Venivano perseguitati «a causa del comportamento religioso
64 Teste I, Summ., pag. 1695
" Positio, pag. 734
56 Ib.

4.2 Page 32

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34 ATTI DEL CONSIGLIO GENERALE
e patriottico»57. «Dopo aver occupato Poznari i nazisti hanno
imposto il divieto di celebrare la Santa Messa in chiesa e di rac­
cogliere i giovani neiroratorio»S8.
Abbondante è pure la documentazione sul martirio formale
da parte delle vittime: cioè la loro consapevolezza che offrivano
la vita come confessione della fede, l’accettazione filiale della
volontà di Dio, l’assenza di qualsiasi rancore o risentimento
verso coloro che gliela infliggevano, anzi l’amore cristiano verso
di loro.
E così anche viene rilevata la fama martyrii, cioè il convinci­
mento di coloro che li avevano conosciuti e avevano seguito la
loro vicenda, del carattere martiriale della loro morte, manife­
stato da richiesta di intercessione e di grazie. Tra questi si tro­
vano compagni della loro giovinezza, ma anche testimoni di­
retti del carcere. Una voce che vale per tutte dice: «Chiunque
conosceva i nostri cinque giovani li vede come martiri per
l’amor di Dio e della patria»69. «Personalmente sono convinto
che la sua sofferenza nel carcere e soprattutto la morte, affron­
tata da lui stesso come prova della fede, riunisce le condizioni
per riconoscerlo come martire. Gli incontri annuali [...] fre­
quentati dagli exallievi dell’oratorio ci parlano che i «cinque»
sono modelli non solo dell’amore della patria, ma della fede»60.
Dopo tre settimane furono portati nel cortile del carcere di
Dresda, dove era stata preparata una ghigliottina, e decapitati.
Era il 24 agosto e nelle nostre comunità si celebrava la comme­
morazione mensile di Maria Ausiliatrice.
Prima di morire ebbero possibilità di scrivere ai genitori.
A leggere i loro ultimi scritti si resta muti come davanti alla
statura dei grandi. Costituiscono documenti pregevoli di vita
spirituale, che potranno essere a suo tempo diffusi. Valga come
esempio quanto scrive Jóżwiak Czeslaw: «Mi spetta di lasciare
r’7 Test2 iy Summ., pag. 1700
58 Ib.
59 Positio, pag. 738
80 Ib.

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34 ATTI DEL CONSIGLIO GENERALE
e patriottico»57. «Dopo aver occupato Poznari i nazisti hanno
imposto il divieto di celebrare la Santa Messa in chiesa e di rac­
cogliere i giovani neiroratorio»S8.
Abbondante è pure la documentazione sul martirio formale
da parte delle vittime: cioè la loro consapevolezza che offrivano
la vita come confessione della fede, l’accettazione filiale della
volontà di Dio, l’assenza di qualsiasi rancore o risentimento
verso coloro che gliela infliggevano, anzi l’amore cristiano verso
di loro.
E così anche viene rilevata la fama martyrii, cioè il convinci­
mento di coloro che li avevano conosciuti e avevano seguito la
loro vicenda, del carattere martiriale della loro morte, manife­
stato da richiesta di intercessione e di grazie. Tra questi si tro­
vano compagni della loro giovinezza, ma anche testimoni di­
retti del carcere. Una voce che vale per tutte dice: «Chiunque
conosceva i nostri cinque giovani li vede come martiri per
l’amor di Dio e della patria»69. «Personalmente sono convinto
che la sua sofferenza nel carcere e soprattutto la morte, affron­
tata da lui stesso come prova della fede, riunisce le condizioni
per riconoscerlo come martire. Gli incontri annuali [...] fre­
quentati dagli exallievi dell’oratorio ci parlano che i «cinque»
sono modelli non solo dell’amore della patria, ma della fede»60.
Dopo tre settimane furono portati nel cortile del carcere di
Dresda, dove era stata preparata una ghigliottina, e decapitati.
Era il 24 agosto e nelle nostre comunità si celebrava la comme­
morazione mensile di Maria Ausiliatrice.
Prima di morire ebbero possibilità di scrivere ai genitori.
A leggere i loro ultimi scritti si resta muti come davanti alla
statura dei grandi. Costituiscono documenti pregevoli di vita
spirituale, che potranno essere a suo tempo diffusi. Valga come
esempio quanto scrive Józwiak Czeslaw: «Mi spetta di lasciare
r’7 Test2 iy Summ., pag. 1700
58 Ib.
59 Positio, pag. 738
80 Ib.

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IL RETTOR MAGGIORE 35
questo mondo. Vi dico, miei cari, che con gioia me ne vado nel-
l’al di là, più di quanto sperimenterei la gioia di una eventuale
liberazione. So che la Madonna Ausiliatrice dei cristiani, che
per tutta la vita ho onorato, mi procurerà il perdono di Gesù...
Il sacerdote mi benedirà durante l’esecuzione. Abbiamo
questa grande gioia di stare insieme prima della morte. Tutti i
cinque stiamo in una cella. Sono le ore 19.45. Alle ore 20.30 me
ne vado da questo mondo. Vi prego, non piangete, non dispe­
rate, non preccupatevi. Dio ha voluto così...»61.
Come per don Kowalski così per questi cinque giovani, c’è
un commovente risvolto legato alla corona del rosario. Quando
furono catturati, vennero privati di tutto ciò che avevano ad­
dosso. La corona del rosario che essi portavano con sé fu but­
tata nel cestino. Proprio di lì approfittando di un momento di
distrazione dei loro carcerieri, essi coraggiosamente ripresero
quella corona che farà loro da preziosa compagnia nei periodi
più difficili.
Ai nostri tre giovani: San Domenico Savio, la Beata Laura
Vicuña e il Venerabile Zeffirino Namuncurà, si aggiungono oggi
questi cinque giovani martiri, quasi a completare la tipologia
agiografica con il prezioso tassello che ancora mancava: il mar­
tirio. A noi cogliere tutto il significato di una tale primizia nel­
l’area giovanile. In loro vogliamo vedere il modello di tanti gio­
vani che soffrono a causa della loro fede cristiana in non poche
parti del mondo. Li additiamo come intercessori, oltreché come
ideali dei valori più ardui.
Conclusione.
Il pomeriggio del 13 giugno, dopo la solenne celebrazione
nella piazza Józef Piłsudski, ci siamo radunati con i giovani ve­
nuti per la beatificazione da diverse parti della Polonia, Slovac­
61 Summ., pag. 1707

4.5 Page 35

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36 ATTI DEL CONSIGLIO GENERALE
chia e Russia. C’erano ad accompagnarli salesiani ed animatori,
tra i quali i novizi, i giovani confratelli in formazione e le postu­
lanti delle FMA.
Fu una manifestazione propriamente «oratoriana», realizza­
ta nella nostra basilica del Sacro Cuore di Varsavia. La gioia di
essere insieme sotto la guida ispiratrice di Don Bosco si scorge­
va in ogni volto e si sentiva nell’ambiente. I segni del cammino
«oratoriano» di crescita vi trovarono un’espressione vivace e
completa: compagnia, musica, preghiera, progetti, gruppi.
In tale mosaico l’immagine di Don Giuseppe Kowalski e dei
cinque giovani, delineata attraverso una lettura calma ed
espressiva, sembrava riportata al suo ambiente naturale.
Nell’oratorio infatti era sbocciata e cresciuta la loro santità,
evidenziata dal martirio. Il sistema preventivo fa santo
l’educatore, propone la santità e aiuta i giovani a diventare
santi: il suo luogo di nascita e di rinascita è l’oratorio.
In un’ora come questa, nella quale volgiamo ai giovani
un nuovo sguardo di speranza, il Signore e Maria ci aiutino a
scoprirne le possibilità e a viverne lo spirito.
Vi saluto e vi benedico.