Atti_2001_374.ACG_


Atti_2001_374.ACG_

1 Pages 1-10

▲back to top

1.1 Page 1

▲back to top
1. IL RETTOR MAGGIORE
«QUANDO PREGATE DITE: PADRE NOSTRO...» (Mt 6,9)
Il salesiano uomo e maestro di preghiera per i giovani
1.TU SEI LA MIA LUCE... - Rivisitare il proprio cuore. - Sinceri verso Dio e verso noi stessi. -
Capaci di ascolto. - Gustare il silenzio. - Scoprire le proprie resistenze. - Accedere con fiducia al
Padre. - Fare un cammino di preghiera. - Dare la parola a Dio. - Cogliere lo sguardo di Dio nel
proprio essere. - L'esperienza di alcuni amici di Dio.
2. LA PREGHIERA DEL SALESIANO. - I semi: Mamma Margherita. - Don Bosco uomo di
preghiera. - Sulla scia di San Francesco di Sales. - Il marchio oratoriano. - Contemplativo nell’a­
zione. - Alcune condizioni: L’orientamento interiore. - L’intenzione. - Sentirsi strumenti di Dio a
favore dei giovani - Scoprire la presenza dello Spirito nella vita dei giovani.
CONCLUSIONE. La preghiera dei nostri Santi. - La liturgia della vita. - Iniziazione dei giovani
alla preghiera. - Maria, icona della nostra preghiera.
Roma, 1 gennaio 2001
Solennità di Maria SS. Madre di Dio
Per la Quaresima del 1999 un gruppo di diocesi della
Spagna mandava ai fedeli una lettera sulla preghiera cristiana
oggi, dal titolo: «Il tuo volto cercherò, Signore»1. Anche altri Pa­
stori sono intervenuti nello stesso senso2.
I Vescovi facevano notare il disorientamento dei cristiani ri­
guardo al senso della preghiera (perché pregare? ha ancora
senso pregare regolarmente?) e riguardo alle fonti e forme ori­
ginali della preghiera cristiana. Il fatto riguardava anche la
progressiva perdita dell’abitudine di pregare, per i cambia­
menti che stanno avvenendo nella vita familiare, nella quale
possono trascorrere giorni senza che si veda un gesto di pre­
ghiera comune. Nella comunità cristiana poi, a parte la parteci­
1 Cf. Diocesi di San Sebastiàn, Bilbao, Vitoria, Pamplona: La oración cristiana hoy:
Tu rostro buscaré, Senor, Febbraio 1999
2 Cf. ad esempio: La prière nous ouvre à Dieu et au monde, in Le Livre de la foi^
edito dai Vescovi del Belgio, Bruxelles 1987; Our hearts were burning within us, U.S.
National Conference of Catholic Bishops, novembre 1999; Prayer, Contemplation and
Holiness: thè Church, Community of Christian Discipleship in its Service to Life, Docu­
mento finale della Sesta Assemblea Plenaria, Manila 1995

1.2 Page 2

▲back to top
4 ATTI DEL CONSIGLIO GENERALE
pazione alla Messa domenicale, stanno andando in disuso altre
pratiche con cui la comunità cristiana esprimeva, nella scan­
sione del tempo, il suo riferimento sostanziale al Signore.
Allo stesso tempo si sottolineava il moltiplicarsi di luoghi e di op­
portunità di preghiera “self-service” , offerti da vari gruppi religio­
si per chi volesse approfittarne, e la crescente ricerca di tali luoghi.
Questo l’abbiamo sperimentato anche noi, dal nostro punto
di osservazione: si offrono serate di preghiera nelle chiese, si
svolgono veglie sentite, si moltiplicano le case di preghiera. Ma
non soltanto. Non più tardi di quindici giorni or sono, ascoltavo
una Radio evangelica che elencava nella città di Roma venti
luoghi di culto, con i rispettivi orari, per chi ne volesse approfit­
tare. Sullo sfondo risuonavano parole dei salmi con musica elet­
tronica e coinvolgimento da parte dei partecipanti.
Il Giubileo, coi suoi toccanti raduni di preghiera in piazza
San Pietro e con le numerose celebrazioni, ha sottolineato
anche questa dimensione della religiosità cristiana.
Viviamo in un mondo globalizzato, singolare dal punto di
vista religioso: umanistico e secolarizzato, quasi sbilanciato nel-
l’affermare il diritto della persona ad una sua scelta personale
in ogni campo e quindi un po’ allergico alle mediazioni imposte,
“ selvaggiamente religioso” nel privato, si potrebbe dire. C’è chi
vive da “agnostico” (nel senso di non credente). C’è anche chi
pratica una religione alla maniera dello snack-bar o McDonald,
conforme ad una propria scelta e combinazione di tempi, luoghi
e formule. C’è chi sceglie pratiche di religioni esoteriche. A
volte in un compartimento del treno, l’unico che si vede pre­
gare è un musulmano. Negli aeroporti sono state adibite sale
per le espressioni delle varie religioni.
Una cosa risulta evidente: chiunque entri nello spazio di
una qualsiasi esperienza o emozione religiosa, scopre e consi­
dera la preghiera come una delle sue principali manifestazioni.
La richiesta al Signore, sentito come presente, l’espressione di
lode e di ringraziamento, il desiderio di compagnia e protezione
sorgono quasi inevitabilmente.

1.3 Page 3

▲back to top
IL RETTOR MAGGIORE 5
Niente di strano dunque che i giovani cristiani, che vivono
in questa atmosfera, sono a contatto con noi, sentono qualche
attrazione verso Gesù Cristo e verso il Vangelo, ed hanno ac­
colto la sfida del senso ultimo, o espresso già una scelta consa­
pevole per una presenza viva di fede, si interroghino sulla pre­
ghiera dei Salesiani. Si domandano quanto la sentano nel
cuore, e soprattutto se i Salesiani siano capaci di iniziarli nei
cammini di un’orazione che attraversi la vita, generando con­
vinzioni e suggerendo esperienze, in modo che la preghiera di­
venti consuetudine, gusto, sostegno e luce.
1. «TU SEI LA MIA LUCE...»3
Con i giovani ci sono momenti straordinari di celebrazioni
solenni, ben curate dal punto di vista contenutistico, simbolico
e coreografico. Ma riguardo a noi, le Costituzioni, dopo averci
proposto tutti i momenti comunitari, ci dicono: «Potremo for­
mare comunità che pregano solo se diventiamo personal­
mente uomini di preghiera. Ciascuno di noi ha bisogno di
esprimere nell’intimo il suo modo personale di essere figlio di
Dio, manifestargli la sua gratitudine, confidargli i desideri e le
preoccupazioni apostoliche»4.
Una cosa, infatti, è recitare delle preghiere o partecipare a
celebrazioni collettive, atti certamente utili e pregevoli, un’altra
è diventare persone oranti. Abbiamo ascoltato questo dai giova­
ni stessi e dai commentatori, in riferimento alle manifestazioni
di massa del Forum MGS e del Giubileo: tutto ciò, che senza dub­
bio ha costituito una valida esperienza, durerà e farà strada nel­
la vita? Viene chiamata in causa l’educazione religiosa, l’accom­
pagnamento, l’interiorizzazione a seguito dell’evento straordi­
nario, la comunicazione del cuore con il Padre, da figli.
3 Sai 27, 1; cf. Sai 61
4 Cost. 93

1.4 Page 4

▲back to top
6 ATTI DEL CONSIGLIO GENERALE
È chiaro infatti che, se la nostra evangelizzazione propone
soltanto spiegazioni, ma non riesce a creare un rapporto di co­
munione con il Padre, è vuota, quasi ridotta ad una ideologia. Il
grande lavoro di Gesù è stato quello di far conoscere, in senso
biblico, il Padre e insegnare ai discepoli a rivolgersi a Lui ascol­
tando le voci dello Spirito, gli insegnamenti e le parole che Egli
suggerisce al cuore5.
Per questo, il Vangelo è ricco di insegnamenti sulla pre­
ghiera. L’evangelista Luca, nel capitolo undicesimo del suo van­
gelo, ne raccoglie alcuni: la parola unificante “Padre” , la perse­
veranza e l’efficacia della preghiera. Ed è il Vangelo a spiegarci
la comunicazione con il Padre, la presenza dello Spirito che
prega con Cristo in noi e per noi.
Non è mia intenzione adesso parlarvi della preghiera sale­
siana comunitaria. C’è sufficiente letteratura6 e sforzo di ani­
mazione e si nota nelle comunità anche un proposito di miglio­
ramento. E non c’è dubbio che essa esprime bene la vita del
singolo e delle comunità ed è anche una scuola, oltre che ga­
ranzia di ricchezza, continuità, perseveranza, ed esperienza ec­
clesiale. Il salesiano prega con la comunità e nella comunità.
Ora voglio soffermarmi particolarmente sul cammino per­
sonale che, con l’aiuto delle comunità, porta ciascuno di noi ad
essere uomo di preghiera, desideroso e capace di orientare i gio­
vani verso di essa, portando anche a livelli di regolarità e fer­
vore quelli che si dimostrano capaci.
Rivisitare il proprio cuore.
La preghiera del salesiano, comunicazione e dialogo filiale
con il Signore, è certamente coerente con la sua vita ed ade­
guata alla sua esistenza concreta. Ci sono però dei “luoghi co­
muni’’, non verificati, riguardo ad essa; così come ci sono dei
5 Cf. Gv 14, 26; Gv 16, 13; Gv 17, 3
6 Cf. Il progetto di vita dei Salesiani di Don Bosco, Guida alla lettura delle Costitu­
zioni salesiane, Roma 1986 pag. 615-639

1.5 Page 5

▲back to top
IL RETTOR MAGGIORE 7
condizionamenti reali da superare per arrivare ad essere uo­
mini di preghiera secondo il modo salesiano.
Tra i luoghi comuni c’è quello che vuole che al centro della
vita del salesiano ci sia l’azione, non sempre intesa come
azione consapevolmente salvifica, ma a volte semplicemente
come agire umano, con tutto quello che esso comporta:
movimento, competenza, molteplicità di ambiti, rapporti e
interventi, eccetera.
La preghiera, in tal caso, viene “relegata in alcuni angoli
della giornata” , limitata ai momenti comuni. Il consiglio di
Gesù Buon Pastore è invece quello di pregare “sine intermis­
sione” : una comunicazione con il Padre, che nello Spirito viene
a noi e da noi esce per molteplici vie: attraverso il pensiero, il
sentimento, l’orientamento dell’azione, il rapporto con il pros­
simo, la partecipazione alle celebrazioni ed alla vita della comu­
nità cristiana. Tutto ciò compiuto con lo sguardo rivolto verso
di Lui e con il desiderio di compiere «le bon plaisir de Dieu»7,
secondo l’espressione di San Francesco di Sales.
Un altro luogo comune è l ’interpretazione del detto di
Don Bosco: «La vita attiva, cui tende specialmente la nostra
società fa sì che i suoi membri non possano aver comodità
di fare molte pratiche in comune»8. È vero. Bisogna però risa­
lire al suo tempo per capire la portata di questo asserto, para­
gonare questo detto con quanto prescrivevano altri Istituti:
alle pratiche mattutine e vespertine giornaliere si univano i
tridui, le novene, i tempi liturgici molto più regolati quanto
a pratiche di pietà. Le parole di Don Bosco sono da leggere e
interpretare in questo contesto. Bisogna poi non confondere
tempi comuni con tempi personali, anche sottratti ad un’azione
non ben ordinata.
Tra i nostri condizionamenti tipici bisogna invece annove­
rare una certa connaturale esposizione alla molteplicità di im­
7 Cf. PAPASOGLI G., Come piace a Dio, CNE 1981, pag. 472 e s.
8 Cf. Costituzioni della Società di S. Francesco di Sales 1858-1875, Testi critici a
cura di F. M o t t o , LAS Roma 1982, pag. 182-183

1.6 Page 6

▲back to top
8 ATTI DEL CONSIGLIO GENERALE
pegni che per alcuni, con “ agenda aperta” ad imprevisti, può di­
ventare agitazione. L’agitazione non provoca soltanto l’elimina­
zione della partecipazione ai momenti comunitari, ma anche la
soppressione dei momenti di studio, di lettura, di cosciente pre­
parazione ad un ministero o a un compito educativo, che di­
venta sempre più complesso anche dal punto di vista dell’inter­
pretazione evangelica della vita, nonché della metodologia nel­
l’orientamento dei giovani.
Si deve riconoscere che sia la lettura pastorale del contesto
cui ho accennato prima, sia la nostra personale riflessione ci
portano oggi a determinate conclusioni sulle condizioni da
creare per la preghiera.
È possibile parlare di preghiera solo assumendo l’esperienza
di Gesù, Figlio del Padre, riespressa nella propria vita sotto la
guida dello Spirito. Parlare di preghiera è mettere allo scoperto
quanto c’è di più sacro e unitario nella nostra vita9.
«La preghiera è la sintesi del nostro rapporto con Dio. Pos­
siamo dire che noi siamo quello che preghiamo e come lo pre­
ghiamo. Il livello della nostra fede è il livello della nostra pre­
ghiera; la forza della nostra speranza è la forza della nostra
preghiera: l’ardore della nostra carità è l’ardore della nostra
preghiera»10.
Pregare e vivere si fondono in un’unica e identica realtà
nella coscienza di colui che prega. Finché la vita stessa non di­
venti preghiera, nemmeno la preghiera sarà viva e autentica.
D’altro canto, la Sacra Scrittura e la tradizione ecclesiale
sono piene della preghiera dei poveri che si rivolgono a Dio,
nello spirito di Gesù, come bambini. La via deve essere sem­
plice, la comunicazione filiale, nello Spirito.
Si possono indicare alcuni atteggiamenti che favoriscono la
preghiera personale.
9 Cf. l’esperienza di Mosè in Es 3
10 Cf. C a r r e t t o C., Lettere dal deserto, La Scuola Editrice, Brescia 1964, pag. 47

1.7 Page 7

▲back to top
IL RETTOR MAGGIORE 9
Sinceri verso Dio e verso noi stessi.
A volte, quando parliamo di Dio, con riferimento a noi stessi
e più ancora ai nostri interlocutori religiosi, ci mettiamo una
maschera, indossiamo il costume, che si addice al ruolo, e sce­
gliamo parole esatte e ben proclamate.
Queste maschere non corrispondono a ciò che noi siamo.
Rappresentano delle barriere alla condivisione profonda con
Dio e al dialogo con Lui, senza difese.
Dio vuole comunicare con noi, sulla lunghezza d’onda della
sincerità. E questo non è affatto immediato: richiede in genere
grazia e tempo. Per questo il Giubileo ci ha chiamati a conver­
tirci, a ripartire da Dio e a riordinare il nostro cammino. È
stato, prima di tutto, un invito alla conversione del cuore,
anche se le celebrazioni, diffuse per televisione, possono talora
aver dato un’idea diversa.
Esistono molte modalità e toni di preghiera, in rapporto al
prevalere del sentimento o della meditazione, delle formule o
della spontaneità. Ciascuno finisce per avere il suo modo di pre­
gare come ha il proprio modo di camminare e di esprimersi. Ma
c’è sempre, nella preghiera, un desiderio di comunicazione che
vuole essere filiale, diretto, profondamente sentito. Qualunque
sia il tipo di preghiera a cui si è arrivati, l’essenza è condividere
sinceramente se stessi. Così si esprimeva Gesù: «Ti ringrazio, o
Padre»11; «Custodisci nel tuo nome coloro che mi hai dato»;12
«Che siano una cosa sola come noi siamo uno»13.
Capaci di ascolto.
Per noi educatori la capacità di parlare su Dio e con Lui di­
pende, anzitutto, dalla capacità di ascoltarLo. Egli, che ha par­
lato nella creazione iniziale, ci ha detto molto nella Storia della
11 Gv 11, 41
12 Gv 17, 11
13 Gv 17, 21

1.8 Page 8

▲back to top
10 ATTI DEL CONSIGLIO GENERALE
Salvezza con avvenimenti e parole e ci ha raccontato tutto in
Gesù. Ora ci parla attraverso le mediazioni della Chiesa e degli
avvenimenti, fa risuonare dentro di noi la voce del suo Spirito e
rivela cose nuove per i tempi nuovi.
Il credente è soprattutto uno che ascolta la Parola, come
Maria. «Ascoltare significa non solo essere consapevole intellet­
tualmente della presenza dell’altro; ma accettare di far spazio
in se stessi a tale presenza fino a esserne dimora e goderne»14.
Non sempre è facile distinguere la voce di Dio da quella
degli uomini. Per questo dobbiamo, come nell’episodio di Sa­
muele15, tendere l’orecchio a Colui che parla per educare noi
stessi ed i nostri destinatari all’ascolto della Verità: «Parla,
perché il tuo servo ti ascolta». Dovremmo avere la mente e l’u­
dito attenti, condurre i destinatari verso la Verità, invitare ad
ascoltare Colui che ha “parole di vita eterna” . È uno degli ap­
prodi dell’educazione. La legge, i precetti, la Parola del Signore
sono presentati come fonte che genera una sapienza completa e
profonda, misteriosamente, sulla misura dei semplici, superiore
a quella che produce l’acutezza del pensiero umano.
Da parte dell’uomo, questa disponibilità all’obbedienza e al­
l’ascolto della Parola costituisce la condizione indispensabile per
scoprire il progetto che Dio affida ad ogni persona, nel tempo e
nel luogo dove è stata chiamata a vivere. Sarà anche la condizio­
ne fondamentale per rinnovare l’impegno continuo di conversio­
ne a Dio: «Come infatti la pioggia e la neve scendono dal Cielo e
non vi ritornano senza aver irrigato la terra, senza averla fecon­
data e fatta germogliare, perché dia il seme al seminatore e pane
da mangiare, così sarà della parola uscita dalla mia bocca: non ri­
tornerà a me senza effetto, senza aver operato ciò che desidero e
senza aver compiuto ciò per cui l’ho mandata»16.
Il luogo privilegiato per l’ascolto è quindi la meditazione
14 E. BIANCHI, Le parole della spiritualità. Per un lessico della vita interiore,
Milano, Rizzoli, 1999, pag. 75-76
15 1 Sam 3, 3-10.19
16 Is 55, 10-11

1.9 Page 9

▲back to top
IL RETTOR MAGGIORE 11
della Parola: «sedutasi ai piedi di Gesù, [Maria a Betania] ascol­
tava la sua parola»17. Tutto quindi comincia con l’attenzione in­
teressata alla Parola che si svilupperà poi in meditazione, pre­
ghiera e contemplazione18. L’ascolto di Dio19, con le sue dimen­
sioni di silenzio, decentramento da sé e ricentramento sul­
l’Altro, diviene accoglienza o, meglio, disvelamento in sé di una
presenza intima a noi più ancora di quanto lo sia il nostro
stesso “ io” : «Tardi ti ho amato, Bellezza sempre antica e
sempre nuova, tardi ti ho amato! Sì, perché tu eri dentro di me
e io fuori. Lì ti cercavo. Deforme, mi gettavo sulle belle tue
creature. Tu eri con me, e io non ero con te. Mi tenevano lon­
tano da te le tue creature, che non esisterebbero se non fossero
in te. Mi hai chiamato, hai gridato, e hai vinto la mia sordità.
Hai balenato, e il tuo splendore ha dissipato la mia cecità.
Hai diffuso la tua fragranza, io l’ho respirata, e ora anelo a te.
Mi hai toccato e arsi del desiderio della tua pace»20.
Non soltanto il Concilio Vaticano II ha aperto un tempo fe­
lice di ritorno alla Parola, ma noi stiamo assistendo al nuovo
gusto che di essa sentono i giovani. Si dà come un nuovo in­
contro tra i giovani e la Parola, stimolato anche dalle Esorta­
zioni di Giovanni Paolo II riguardo alla Lectio.
Gustare il silenzio.
Il silenzio è la dimensione speculare della Parola. Silenzio e
Parola si completano e si rafforzano a vicenda. Senza il silenzio
difficilmente si arriva sia alla conoscenza di sé, sia al discerni­
mento del progetto di Dio nella propria vita. Il silenzio dà
profondità ed unifica.
17 Le 10, 39
18 Sul rapporto Parola di Dio - Esercizi Spirituali si veda: C.M. MARTINI, La Pa­
rola di Dio negli Esercizi Spirituali, in L ’ascolto della Parola negli Esercizi, Leumann
(TO), Elle Di Ci, 1973, pag. 27-31; F. ROSSI DE GASPERIS, Bibbia ed Esercizi Spiri­
tuali, Boria, Roma, 1982
19 Cf. Gn 28,16
20 AGOSTINO (S.), Confessioni, X, 27,38

1.10 Page 10

▲back to top
12 ATTI DEL CONSIGLIO GENERALE
La sobrietà salesiana nel parlare non è distanza o control­
lato dominio di sé; è sempre attenzione all’altro, comprensione
e desiderio di dare e di ricevere. Si passa così ad una dimen­
sione interiore, allo stare bene con se stessi, alla visione serena
delle persone e delle situazioni, alla pace interiore, al gusto
della presenza dell’altro.
Si genera pure un atteggiamento di dominio di sé e di resi­
stenza per far tacere i sentimenti disordinati verso gli altri, le
immagini arbitrarie su se stessi, le ribellioni, i giudizi non valu­
tati, le mormorazioni e le leggerezze, che nascono dal cuore. Un
composto silenzio è il custode dell’interiorità e rende possibile
l’ascolto e l’accoglienza di colui che parla. Il Dio che vogliamo
ritrovare è dentro di noi, non fuori21.
L’io interiore ha bisogno di tempi e di spazi per confrontare
e valutare. Riguardo ai primi, non dovremmo aver paura di ri­
servare, nell’orario, periodi di tempo da dedicare alla medita­
zione personale, allo studio, alla preghiera e - perché no? - alla
contemplazione: quell’atteggiamento totale quasi soggiogato
dalla verità o dalla bellezza.
Il Vangelo ci consiglia di «entrare nella propria camera e,
chiusa la porta, pregare il Padre nel segreto»22. Si tratta di sce­
gliere un luogo dove l’attenzione e lo spirito trovino meno osta­
coli per andare a Dio. La Chiesa o la cappella sono senz’altro
luoghi più adatti alla «preghiera silenziosa», ma non gli unici.
«Il nostro Salvatore sceglieva per pregare luoghi solitari e
quelli che non occupassero troppo i sensi, ma che elevassero l’a­
nima a Dio, come i monti (che si elevano da terra e sono ordina­
riamente brulli, senza alcun motivo di ricreazione sensibile)»23.
Le passeggiate, ad esempio, possono acquistare un signi­
ficato nuovo: si tratta di scoprire la presenza del Signore che
- secondo l’espressione poetica di San Giovanni della Croce
21 Cf. BIANCHI E., Le parole, 142
22 Mt 6, 6
23 GIOVANNI DELLA CROCE, Salita del Monte Carmelo, in ID., Opere, Postula­
zione Generale dei Carmelitani Scalzi, Roma, 1992, pag. 327

2 Pages 11-20

▲back to top

2.1 Page 11

▲back to top
IL RETTOR MAGGIORE 13
- passava per «questi boschi con snellezza, e mentre li guar­
dava, solo con il suo sguardo adorni li lasciò di ogni bellezza»24.
La persona quindi non guarda se il luogo per la preghiera
abbia tale o tal altra comodità, perché ciò vuol dire essere an­
cora attaccati ai sensi, ma si preoccupa soprattutto del raccogli­
mento interiore; dimenticando ogni cosa, sceglie a tale scopo il
luogo più libero da oggetti e gusti sensibili e distoglie l’atten­
zione da tutto questo, per potere meglio godere del suo Dio
nella solitudine delle creature25.
Scoprire le proprie resistenze.
Lo Spirito opera in noi e ci santifica nella misura anche
della nostra disponibilità. In questo si inserisce il superamento
delle nostre resistenze ad un’apertura docile e filiale al Padre e
all’amore alle persone, radicato nel cuore. L’interiorità va edu­
cata, l’amore va purificato e le nostre relazioni rese più rispetto­
se. Si tratta di smascherare quelle dinamiche che convivono den­
tro di noi e che ci impediscono di donarci con cuore libero26.
Bisogna avere il coraggio di individuare e chiamare per
nome le proprie fragilità, le negatività che segnano la nostra
vita, conoscere le proprie resistenze per condividerle con il
Padre. Bisogna accettare il paziente lavoro necessario perché la
volontà di Dio orienti il nostro pensiero e la nostra coscienza.
Non c’è uomo di preghiera che non abbia sentito il bisogno ed i
vantaggi dell’ascesi interiore ed esteriore.
Chi è sperimentato nella vita spirituale sa che questo cam­
mino esige pazienza e perseveranza, che non lo si percorre da
soli, perché lo Spirito ci precede e ci accompagna. Conoscerà
poi, a mano a mano che procede, anche i frutti della progressiva
24 GIOVANNI DELLA CROCE, Cantico spirituale B, in ID., Opere, pag. 493
25 Cf. Ibid.
26 Cf. C.M. MARTINI, Uomini e donne dello Spirito. Meditazioni sui doni dello
Spirito Santo, Piemme, Casale Monferrato (AL), 1998, pag. 15. In queste pagine il car­
dinale Martini fa una breve introduzione ad un corso di esercizi: finalità, tema, metodo,
atteggiamenti, modalità di comunicazione

2.2 Page 12

▲back to top
r
14 ATTI DEL CONSIGLIO GENERALE
pacificazione, dell’allargamento della libertà, della mitezza e
della carità, che sono i frutti di un cammino di preghiera27.
Accedere con fiducia al Padre.
È questo il suggerimento di San Paolo28; ed è l’indicazione
di Gesù29. Il Signore accetta il culto rituale, ma come cammino
e condizione per la fiducia spontanea e trasparente30. Ci sono
occasioni in cui possiamo pregare senza parole, ma non pos­
siamo mai pregare senza il desiderio profondo di trovarci con
il Signore, di stare con Lui. «Il tuo volto io cerco, o Signore»31 è
già una forma di preghiera. È frequente oggi desiderare quei
momenti di godimento e di emozione che si verificano di rado o
sotto la spinta di stimoli forti. Sono una grazia, su cui non si
fonda il nostro rapporto con Dio, ma con la quale il Signore ci
sostiene. Siamo in tempi in cui domina l’emozione religiosa, la
voglia di sperimentare “ altro” , quello che è oltre il sensibile.
Ciò vale anche per i giovani, per i quali autenticità e senti­
mento sono legati, anche nell’esperienza religiosa.
L’amicizia con il Signore richiede che il nostro desiderio di
incontrarci con Lui sia dentro la preghiera e questa dentro la
vita, come orientamento e passione: «O Dio, tu sei il mio Dio,
all’aurora ti cerco»32. Non si tratta, dunque, di un desiderio di
compiere obblighi di preghiera, ma di un anelito intenso alla
presenza del Signore, alla sua amicizia.
A volte temiamo di avvicinarci troppo a Dio o che Egli ci
manifesti troppo chiaramente la sua volontà. Migliaia di do­
mande ci investono: che cosa mi chiederà Dio? dove mi con­
durrà? La posta in gioco è alta: ne va della mia vita. Potrebbe
cambiare l’orientamento di tutto quello che ho fatto, potrei es-
27 Cf. BIANCHI, Le parole..., pag. 41
28 Cf. Eb 4, 16; 2 Cor 3, 4; Ef 3, 12
29 Cf. Mt 6, 25-31; Me 11, 22
30 Cf. Gv 4, 10
31 Sai 27, 8
32 Sai 63, 2

2.3 Page 13

▲back to top
IL R E TTO R M A G G IO R E 15
sere chiamato a rimettere in discussione i miei valori. È capi­
tato ai patriarchi, ai profeti, agli apostoli, ai santi che, in fatto
di preghiera, sono esempi esimi. Possiamo dire che capita anche
a noi, attraverso avvenimenti imprevisti, che cambiano il corso,
il ritmo o il tono nella nostra esistenza.
Con gli altri, ciascuno di noi entra in dialogo alla pari. Con
Dio, invece, tutto è diverso. Lui mi dice: «Io sono il Signore, tuo
Dio»33. Ha detto Einstein: «quando mi avvicino a questo Dio, mi
devo togliere le scarpe e camminare in punta di piedi, perché
sono su un terreno sacro». Eppure non siamo nella regione
della lontananza e del timore, ma in quella filiale, dello Spirito,
che è misterioso ed inesauribile: di lì nascono sempre delle no­
vità da parte del Padre e da parte nostra, a mano a mano che la
vita procede.
Fare un cammino di preghiera.
Nella preghiera c’è anche un cammino di formazione e di
crescita permanente. Nessuno, da adulto o da anziano, prega
come quando era bambino, anche se può mantenere alcuni
tratti personali, resi maturi dalla vita.
La preghiera non soltanto ci arricchisce, ma ci plasma
per quello che essa è, e per i fatti della nostra vita che assu­
miamo alla sua luce. Alcuni di noi forse hanno condiviso l’espe­
rienza di monaci che hanno portato avanti una vita di pura pre­
ghiera. Ma anche con confratelli nostri, arrivati alla maturità
dell’età e della sofferenza, il dialogo sulla preghiera è interes­
sante e fecondo.
Nell’assumere l’impegno di pregare, mi affido totalmente a
Dio e mi consegno nelle sue mani. È Dio che accolgo; è a Lui
che mi dono; con Lui intendo camminare e da Lui ricevere me
stesso, sempre rinnovato dai doni del suo amore.
La contemplazione offre il momento più alto della pre­
33 Es 20, 2

2.4 Page 14

▲back to top
16 ATTI DEL CONSIGLIO GENERALE
ghiera. Essa però, come afferma Vita Consecrata, non è privi­
legio di uno stato, ma dimensione essenziale in coloro che sen­
tono la propria vita “ trasfigurata” in Cristo34. È la visione
di fede, goduta nella sua dimensione unificante, che irradia luce
e bellezza.
La preghiera così intesa risulta l’atto adulto mediante il
quale la mia relazione personale si apre nei riguardi di Dio, co­
sciente della mia irriducibile sete di Lui, come pure della sua
amorosa ricerca di me.
La preghiera suppone anche la salvaguardia di un tempo
sufficiente, capace di radicare in me ed esprimere il significato
più alto dell’atto del pregare. Se desidero giungere a una pre­
ghiera viva e vivificante, che sia esperienza di amore con il
«partner» unico, non posso non riservare alcuni spazi della mia
vita, consacrandoli allo stare a tu per tu col Signore.
Perseverare in quest’atto di fede pura e spoglia, in un tempo
che non conosce fretta né calcolo di vantaggi personali, dedicato
a stare semplicemente alla presenza di Dio Padre (Lui mi
guarda, mi ama e mi lavora, durante questi momenti che toc­
cano il mio profondo nella solitudine), quand’anche io abbia la
sensazione di rimanere senza parole e di perdere il mio tempo:
ecco l’esigenza e la garanzia di un’adorazione in spirito e ve­
rità. È interessante vedere il cammino di preghiera dei nostri
Servi di Dio, in cui troviamo sempre tre caratteristiche: la par­
tecipazione alle pratiche comunitarie, i tempi personali di cui
erano avidi, l’unione nella vita.
Pur essendo vero che la preghiera può recare pace interiore
alla mia vita, serenità di spirito, efficacia nell’azione, la finalità
principale non sarà soltanto ricercare tali vantaggi, se nella
preghiera voglio incontrare il Padre di Gesù e il Padre nostro,
ma l’esperienza dell’amore gratuito.
Nel dare al Signore il mio tempo umano, senza nulla chie­
dergli in cambio (effetti straordinari, progresso spirituale ra-
34 Cf. VC 29. 35

2.5 Page 15

▲back to top
IL RETTOR MAGGIORE 17
pido e apprezzabile, ecc.), mi espongo al sole stesso della divina
gratuità. È questa la grazia per eccellenza dell’impegnarsi a
pregare: essere educati alla gratuità, in una società come la no­
stra in cui tutto è oggetto di compravendita. Sapere con indubi­
tabile sapienza di essere amati da Lui e di poterLo amare e de­
siderare costituisce la grande ricchezza della nostra vita, che fa
apparire secondarie tutte le altre con le loro pretese.
È questa la beatitudine di una vita di preghiera! Colui che
sa perdere il suo tempo con il Signore, impara a donare ai fra­
telli la propria vita con generosità gratuita, dimentico di sé. La
preghiera, al pari dell’amore, non ha bisogno di giustificazione.
Poiché è lo Spirito che prega in noi e da Lui impariamo a ri­
volgerci al Padre, è più importante mettersi in sintonia ed
unione con Lui che conoscere definizioni descrittive esatte sulla
preghiera. Queste tuttavia aiutano ad una maggiore consapevo­
lezza e cammino di purificazione. Ne prendiamo alcuni ele­
menti costanti, attingendo all’esperienza di Gesù, della Chiesa
e di coloro che più da vicino l’hanno contemplato e seguito.
Dare la parola a Dio.
«Nella tua volontà è la mia gioia»35. Occorre permettere che
Dio ci dica quello che egli sa che ci conviene.
Egli pronuncia la Parola. Gesù si è manifestato come la Pa­
rola, il Verbo eterno del Padre. Il Verbo è novità. Lo è ancora.
Così sono nati i carismi: movimenti di profezia che si svilup­
pano soltanto nell’ascolto di Dio, in un mondo rutinario. Perciò
per noi consacrati “ ascoltare” è grazia di sussistenza e novità.
Di fatto, siamo soliti cercare parole nella nostra preghiera con
il rischio di non percepire quello che Dio vuole dirci, la sua Ve­
rità. È lo stesso Gesù che raccomanda: «Pregando poi non spre­
cate parole»36.
35 Sai 119, 16
36 Mt 6, 7

2.6 Page 16

▲back to top
18 ATTI DEL C O N S IG LIO G EN E R A LE
Il tempo che dedichiamo, in un equilibrato silenzio o in un
ritiro, a ricomporre la nostra vita non è tempo perso; diverrà
anzi il ricupero di uno spazio aperto alla visita di Dio. Coltivare
e usare un metodo per creare un’area di silenzio, sarà espres­
sione di quell’impegno senza il quale nessuno può far maturare
i frutti più squisiti della riflessione di fede, della preghiera e
della contemplazione.
Quando sapremo mantenere il silenzio interiore in mezzo
all’inevitabile viavai della vita moderna e nel cuore stesso della
necessità di parlare e comunicare, allora l’impegno che ab­
biamo preso con la preghiera avrà prodotto in noi uno dei suoi
frutti più eccellenti: saremo persone maturate, concentrate,
non dissipate, padroni della nostra dimensione di interiorità.
Non si tratta di un silenzio solo ascetico, ma di un’attenzione e
dell’attesa di una parola di amore. Il salesiano esprime tutto
questo senza posa: in lui primeggiano la temperanza, la ragione
unita alla religione, la bontà ottimista, ma non ingenua, dello
sguardo, la speranza nella forza redentrice di Cristo.
Cogliere lo sguardo di Dio nella profondità del proprio essere.
Lo “ sguardo” ha una ricca presenza nella Bibbia e nel Van­
gelo. Significa la volontà benevola, l’attenzione paterna, la pre­
dilezione, la vocazione. Allo sguardo del Signore segue sovente
il dialogo, che è già invocazione e programma di vita.
La preghiera non resta esterna a colui che prega. Non esiste
distanza alcuna tra la preghiera, il rapporto con Dio e colui che
l’effettua. Pur essendo un dono, si impasta e si fonde a tal
punto col modo di essere di ciascuno che pregare viene a essere
l’espressione più pura dell’individualità. Quello che io sono da­
vanti al Creatore, questo è la mia preghiera.
Dove nessun altro sguardo può arrivare, là penetra lo sguar­
do luminoso di Dio. Egli mi vede e mi insegna a vedermi come so­
no. Pregare è quindi sentire ed accogliere lo sguardo paterno di
Dio, senza ostacolarlo nel vano sforzo di volersi fare da sé.

2.7 Page 17

▲back to top
IL RETTOR MAGGIORE 19
La mia vita è al tempo stesso un dono e un compito: un dono
che si sviluppa solo nel dialogo con il donatore. Affermare in un
destino concreto, in una storia umana reale, la propria parteci­
pazione all’amore di Dio per gli uomini: ecco cos’è la preghiera.
Credo si possa riassumere in questo modo l’aspetto forse
più valido della personale esperienza di preghiera: essa è l’eser­
cizio costante, che porta ad abbracciare con gioia filiale la vo­
lontà del Padre negli avvenimenti di ogni giorno. La pratica
della preghiera mi mette nella condizione di leggere la mia
storia personale - per quanto insignificante, assurda o contrad­
dittoria possa sembrarmi - come una rivelazione dell’amore di
Dio, dentro le coordinate della mia esistenza e del mondo.
Nulla di quanto accade nella mia vita e nel mio mondo è
estraneo all’amore di Dio.
Dio è amore: lasciandomi amare da Lui, divento un miste­
rioso strumento del suo amore nel mondo. Aprendomi alla sua
iniziativa, scopro un Dio solidale e impegnato con la marcia del­
l’umanità, in particolare col dolore di tutti quelli che soffrono.
Terzo millennio: tempo di mistici! Sarà proprio la profon­
dità degli uomini e delle donne mossi dallo Spirito a salvare il
senso della nostra vita ed a sfidare la limitatezza della visione
dell’uomo.
L’esperienza di alcuni amici di Dio.
La preghiera è “espressiva” della vita nel senso migliore del
termine. Perciò quello che ci dicono coloro che l’hanno vissuta
intensamente nell’amore e nel dolore ha grande utilità per noi.
Ascoltiamo qualche testimonianza significativa.
• «(Nella preghiera) il colloquio si fa parlando veramente
come un amico parla all’altro amico, o un servo al suo Signore:
ora chiedendo qualche favore, ora accusandosi per qualche
manchevolezza, ora comunicando le proprie cose e chiedendo
consigli su di esse» (.Ignazio di Loyola).
• «Qui non c’è nulla da temere, ma tutto da desiderare, (...)

2.8 Page 18

▲back to top
20 ATTI DEL CONSIGLIO G ENERALE
l’orazione mentale non è altro per me, se non un rapporto di
amicizia, un trovarsi frequentemente da soli a soli con chi sap­
piamo che ci ama» (Teresa d Avita).
• «La preghiera nient’altro è che l’unione con Dio (...). In
questa unione intima, Dio e l’anima sono come due pezzi di
cera fusi insieme, che nessuno può separare (...) Noi eravamo
diventati indegni di pregare. Dio però nella sua bontà, ci ha
permesso di parlare con Lui (...). Figlioli miei, il vostro cuore è
piccolo, ma la preghiera lo dilata e lo rende capace di amare
Dio» (Curato d ’Ars).
Sant’Agostino scrive a Proba: «Manteniamo sempre vivo
il desiderio della vita beata, che viene dal Signore Dio, e non
cessiamo mai di pregare. Ma, a questo fine, è necessario che
stabiliamo certi tempi fissi per richiamare alla nostra mente il
dovere della preghiera. Facendo così eviteremo che il desiderio,
tendente a intiepidirsi, si raffreddi del tutto o si estingua per
mancanza di un frequente stimolo.
Non è certo male o inutile pregare a lungo, quando si è libe­
ri, cioè quando non si è impediti dal dovere di occupazioni buone
o necessarie. Pregare a lungo non è, come qualcuno crede, pre­
gare con molte parole. Altro è un lungo discorso, altro uno stato
d’animo prolungato. Lungi dunque dalla preghiera ogni verbo­
sità, ma non si tralasci la supplica insistente, se perdura il fervo­
re e l’attenzione. Il servirsi di molte parole nella preghiera equi­
vale a trattare una cosa necessaria con parole superflue.
Il pregare consiste nel bussare alla porta di Dio e invocarlo
con insistente e devoto ardore di cuore. Il dovere della pre­
ghiera si adempie meglio con i gemiti che con le parole, più con
le lacrime che con i discorsi»37.
Secondo queste esperienze, la preghiera è relazione di ami­
cizia che può esprimersi con il pensiero, l’agire, i sentimenti e
lo sguardo, il silenzio, la partecipazione alla liturgia, l’invoca-
37 Dalla Lettera a Proba di sant’Agostino, CSEL 44, 60-63

2.9 Page 19

▲back to top
IL RETTOR MAGGIORE 21
zione veloce, la conversazione calma secondo l’esempio di Gesù:
«Ti benedico, Padre»38. È una relazione di amicizia e di amore.
Ed è ciò che ci introduce bene nella preghiera del salesiano.
2. LA PREGHIERA DEL SALESIANO
La preghiera del salesiano ha uno speciale riferimento a
Gesù, Buon Pastore, e a Don Bosco, che ne è stato viva imma­
gine tra i giovani.
Per comprendere la sua modalità e il cammino di crescita, è
illuminante anzitutto meditare nel Vangelo la preghiera di
Gesù, Buon Pastore, che culmina nel dono della vita.
Questa lettura, che è appassionante, anche per motivo di
spazio l’affido a voi39. Mi soffermo particolarmente sulla espe­
rienza tipica salesiana.
I semi: Mamma Margherita.
Le prime battute del cammino di preghiera del salesiano le
troviamo nelle Memorie d ell’Oratorio40. La narrazione evi­
38 Mt 11, 25
39 Cf. VECCHI J., Spiritualità salesiana, Temi fondamentali, Torino LDC 2000,
pag. 86-106
40 Don Bosco scrive le Memorie dell’Oratorio tra il 1873 e il 1878: un periodo per
lui molto importante e, insieme, doloroso. La Congregazione Salesiana era ormai una
realtà in espansione, mentre si stavano approvando definitivamente a Roma le Costitu­
zioni. Nell’agosto 1872 si era concretizzata la fondazione dell’istituto delle Figlie di
Maria Ausiliatrice. Da tempo il santo stava preparando la prima spedizione missio­
naria, che si concretizzerà nel 1875. Nella progressiva chiarificazione del suo articolato
progetto di Società Salesiana, si faceva strada l’idea del laicato salesiano con la costitu­
zione dell’Associazione dei Cooperatori e la realizzazione del Bollettino. Contempora­
neamente, si profilavano per Don Bosco gravi prove, a causa di una progressiva incom­
prensione col suo Arcivescovo, che giungerà a tensioni e momenti dolorosissimi...
II santo, nella presentazione delle Memorie dell’Oratorio, ricorda di aver scritto per
rispondere alle esortazioni che gli venivano da più parti, specialmente da «persona
di somma autorità, cui non è permesso di porre indugio di sorta». Si veda G. Bosco,
Memorie dell’Oratorio di S. Francesco di Sales dal 1815 al 1855. Introduzione e note
a cura di A . D a S ilva F erreira, Roma 1 9 9 2 , I, pag. 9 -1 0

2.10 Page 20

▲back to top
22 ATTI DEL CONSIGLIO GENERALE
denzia una costante che accompagna Don Bosco in tutta la sua
esistenza: il ruolo determinante della dimensione religiosa nel­
l’ambiente in cui è cresciuto e nella sua mentalità. Essa por­
tava a mettere tutto in relazione con Dio, attraverso molteplici
vie: dalla contemplazione della natura alla recita di preghiere
ormai diventate patrimonio del popolo cristiano.
È soprattutto alla figura della madre e alla sua azione edu­
catrice che Don Bosco attribuisce il merito di aver radicato in
lui il senso di Dio e una visione di fede sulla realtà e sulla
storia. Margherita lo formò all’esercizio della presenza di Dio,
lo avviò a pregare con la mente e con le parole, gli instillò i
principi della vita cristiana, assicurando una seminagione ab­
bondante di solide virtù. Il suo fu un apporto determinante per
la futura missione di educatore e di pastore.
Dalla fede della madre Giovanni fanciullo acquistò la cer­
tezza dell’esistenza di un Dio grande nell’amore. Percepì la
realtà di un nesso inscindibile tra la nostra fragile umanità e il
suo Amore misericordioso. Imparò, esistenzialmente, che la fi­
ducia in Dio non è mai vana, anche nei momenti più disperati.
Qui si radica quella sua fede incrollabile, capace di “ spostare le
montagne” , e quella sua robusta speranza che lo spingeva a
guardare oltre ogni umana prospettiva, a progettare e ad osare
coraggiosamente quanto altri non avrebbero neppure lontana­
mente sognato. E tutto ciò egli lo evidenzia nelle Memorie e lo
indica a noi suoi lettori.
Il racconto di Don Bosco è sintetico, ma efficacissimo: «Sua
massima cura fu di istruire i suoi figli nella religione, avviarli
all’ubbidienza ed occuparli in cose compatibili a quella età.
Finché era piccolino mi insegnò Ella stessa le preghiere; ap­
pena divenuto capace di associarmi co’ miei fratelli, mi faceva
mettere con loro ginocchioni mattino e sera e tutti insieme reci­
tavamo le preghiere in comune colla terza parte del Rosario»41.
41
Bosco G., Memorie dell’Oratorio di S. Francesco di Sales dal 1815 al 1855.
Introduzione e note a cura di A. Da S ilva F erreira, Roma 1992, I, pag. 104-105

3 Pages 21-30

▲back to top

3.1 Page 21

▲back to top
IL RETTOR MAGGIORE 23
Nell’azione educatrice di Margherita c’è qualcosa di più di
una formazione religiosa. «Dio - afferma don Lemoyne - era in
cima a tutti i suoi pensieri, e quindi era sempre sulle sue labbra
(...). Dio ti vede: era il gran motto col quale rammentava ad essi
come fossero sempre sotto gli occhi di quel gran Dio, che un
giorno li avrebbe giudicati. Se loro permetteva di andare a sol­
lazzarsi nei prati vicini, li congedava dicendo: Ricordatevi che
Dio vi vede. Se talora li scorgeva pensierosi e temeva che aves­
sero nell’animo qualche piccolo rancore, sussurrava all’improv­
viso al loro orecchio: Ricordatevi che Dio vi vede, e vede anche i
vostri più nascosti pensieri (...).
Cogli spettacoli della natura ravvivava pure in essi conti­
nuamente la memoria del loro Creatore. In una bella notte stel­
lata uscendo all’aperto mostrava loro il cielo e diceva: È Dio che
ha creato il mondo e ha messe lassù tante stelle. Se è così bello il
firmamento, che cosa sarà del paradiso ? Al sopravvenire della
bella stagione, innanzi ad una vaga campagna, o ad un prato
tutto sparso di fiori, al sorgere di un’aurora serena, ovvero allo
spettacolo di un raro tramonto di sole esclamava: Quante belle
cose ha fatto il Signore per noi!»42.
Don Bosco uomo di preghiera43.
Sarebbe però storicamente inesatto pensare che la pre­
ghiera di Don Bosco sia rimasta a questi livelli. L’esperienza
“ oratoriana” , educativa e pastorale, con i ragazzi poveri e con
giovani discepoli, produsse in lui un salto verso una “preghiera
apostolica” , verso la contemplazione nell’azione e l’estasi di
fronte all’agire di Dio nell’animo dei giovanetti. Così cominciò e
si sviluppò quell’unione tra atteggiamento di preghiera e vita
42 L e m o y n e G.B., Scene morali di famiglia esposte nella vita di Margherita Bosco
racconto ameno ed edificante, Torino 1886, pag. 28-30
43 Oltre alle dispense di A. GlRAUDO, Itinerario spirituale, seguo in questo punto il
contributo di E BROCARDO, Don Bosco, «profeta di santità» per la nuova cultura», in
M. MIDALI (Ed.), Spiritualità dell’azione, pag. 179-206

3.2 Page 22

▲back to top
24 ATTI DEL CONSIGLIO G ENERALE
intraprendente, intrisa di speranza e audacia, che suscitò ini­
zialmente degli interrogativi sulla sua santità, dal momento
che qualcuno lo giudicò soltanto un “imprenditore” di Dio, ma
che è divenuta poi paradigma per la preghiera e la vita in Dio
del salesiano.
Un metodo analogo a quello di mamma Margherita, matu­
rato nell’esperienza pastorale e nel sacrificato servizio educa­
tivo, sarà usato da Don Bosco con i suoi giovani. Infatti all’i­
nizio del suo manuale di preghiera, il Giovane provveduto, elen­
cando le Cose necessarie ad un giovane per diventar virtuoso,
egli parte dalla Conoscenza di Dio: «Alzate gli occhi al cielo, o
figliuoli miei, ed osservate quanto esiste nel cielo e nella terra.
Il sole, la luna, le stelle, l’aria, l’acqua, il fuoco son tutte cose
che un tempo non esistevano (...) È Dio che colla sua onnipo­
tenza le trasse dal niente creandole»44. Entrambe le esperienze
gli servirono per diventare iniziatore dei giovani nella comu­
nione con Dio.
Educato a saper contemplare Dio nella natura e negli avve­
nimenti umani, specialmente quelli che riguardavano i giovani
a lui affidati, Don Bosco formava i suoi ragazzi a questo
“ sguardo semplice” , rivelatore dell’amore di Dio. Perciò era di­
ventato attento osservatore della storia umana e della Chiesa,
di cui era stato per i giovani narratore efficace. E i suoi ragazzi
imparavano.
Di Michele Magone, durante una vacanza ai Becchi, il santo
racconta: «Una sera mentre i nostri giovani erano già tutti a ri­
poso, odo uno a piangere e a sospirare. Mi metto pian piano alla
finestra e veggo Magone in un angolo dell’aia che mirava la
luna e lagrimando sospirava. - Che hai, Magone, ti senti male?
gli dissi. Egli che pensava di essere solo, né essere da alcuno ve­
duto, ne fu turbato, e non sapeva che rispondere; ma replicando
io la domanda, rispose con queste precise parole: - Io piango
nel rimirare la luna che da tanti secoli comparisce con regola­
44 Bosco G., Il Giovane provveduto per la pratica dei suoi doveri..., Torino 1847, 9

3.3 Page 23

▲back to top
IL RETTO R M A G G IO R E 25
rità a rischiarare le tenebre della notte, senza mai disobbedire
agli ordini del Creatore, mentre io che sono tanto giovane, io
che sono ragionevole, che avrei dovuto essere fedelissimo alle
leggi del mio Dio, l’ho disobbedito tante volte, e l’ho in mille
modi offeso. Ciò detto si mise di nuovo a piangere. Io lo consolai
con qualche parola, onde egli dando calma alla commozione
andò di nuovo a continuare il suo riposo»45.
Don Bosco commenta con ammirazione questa capacità di
Michele di «ravvisare in ogni cosa la mano del Signore e il do­
vere di tutte le creature di obbedire a lui»46.
Sulla scia di San Francesco di Sales.
Tutto questo si colloca sulla linea della spiritualità di san
Francesco di Sales, il quale, nella seconda parte della Filotea
(dove vengono elencati “ alcuni consigli per l’elevazione dell’a­
nima a Dio” ), dopo la presentazione dell’orazione mentale, sug­
gerisce altre cinque forme di preghiera breve, «che sono come
prolungamenti della grande orazione»: le preghiere del mat­
tino, quelle della sera, l’esame di coscienza, il raccoglimento
spirituale e le aspirazioni a Dio. A quest’ultimo tipo di pre­
ghiera, fatto di «slanci del cuore, brevi, ma ardenti» verso Dio,
Francesco invita il devoto: «Canta la sua bellezza, invoca il suo
aiuto, gettati in spirito ai piedi della croce, adora la sua bontà,
interrogalo spesso sulla tua salvezza, donagli mille volte
al giorno la tua anima, fissa i tuoi occhi interiori sulla sua
dolcezza, tendigli la mano come fa un bambino con il papà,
perché ti guidi; mettilo sul petto come un profumato mazzolino
45 Bosco G., Cenno biografico sul giovanetto Magone Michele allievo dell’Oratorio
di S. Francesco di Sales, in A. Caviglia, Opere e scritti editi e inediti di don Bosco nuo­
vamente pubblicati e riveduti secondo le edizioni originali e manoscritti superstiti, voi.
y Torino, 1965, pag. 228-229
46 Bosco G., Cenno biografico sul giovanetto Magone Michele allievo dell’Oratorio
di S. Francesco di Sales, in A. Caviglia, Opere e scritti editi e inediti di don Bosco nuo­
vamente pubblicati e riveduti secondo le edizioni originali e manoscritti superstiti, voi.
y Torino, 1965, pag. 229

3.4 Page 24

▲back to top
26 ATTI DEL CO NSIG LIO G ENERALE
di fiori, innalzalo nella tua anima come uno stendardo»47.
Questo tipo di aspirazione a Dio è paragonato dal santo al
pensiero di coloro che si amano: «costantemente rivolto alla
persona amata, il cuore trabocca di amore per lei, la bocca non
fa che tesserne le lodi (...) Allo stesso modo coloro che amano
Dio non possono passare un momento senza pensare a Lui, re­
spirare per Lui, tendere a Lui, parlare di Lui, e vorrebbero, se
fosse possibile, incidere sul petto di tutti gli uomini il santo
nome di Gesù»48.
«Tutte le creature ti invitano a questo - scrive ancora san
Francesco di Sales -. Non c’è creatura che non proclami la lode
dell’Amato (...); tutte le cose ti incitano a buoni pensieri, da cui
vengono, per forza, slanci e aspirazioni a Dio. Eccone qualche
esempio (...)»49. Gli esempi portati dal santo sono tratti dall’a­
giografia e dalla vita quotidiana o da spettacoli della natura.
«Un’anima devota, vedendo il cielo stellato, che si specchia nel­
l’acqua limpida di un ruscello dirà: Mio Dio, queste stelle le
avrò sotto i piedi quando mi avrai accolto nelle tue tende (...)
Un altro, vedendo gli alberi in fiore, esclamerà: Perché solo io
sono senza fiori nel giardino della Chiesa? Un altro, osservando
dei pulcini raccolti sotto la chioccia, dirà: Signore, conservaci
sotto la protezione delle tue ali»50.
Così insegna san Francesco di Sales. Allo stesso modo Gio­
vannino veniva da sua madre guidato e istruito sulle vie della
fede e della contemplazione, ed acquistava quel senso profondo
del Dio presente, che lo accompagnerà per tutta la vita. Sap­
piamo - come ancora si esprime san Francesco di Sales - che in
questo esercizio semplice di contemplazione e di raccoglimento
47 F ra n c e s c o Di S a le s , Filotea. Introduzione alla vita devota, a cura di Ruggero
Balboni, Milano, 1984, pag. 92
48 F r a n c e sc o Di S a le s , Filotea. Introduzione alla vita devota, a cura di Ruggero
Balboni, Milano, 1984, pag. 93
49 F r a n c e sc o Di S a le s , Filotea. Introduzione alla vita devota, a cura di Ruggero
Balboni, Milano, 1984, pag. 93ss
50 F r a n c e sc o Di S a le s , Filotea. Introduzione alla vita devota, a cura di Ruggero
Balboni, Milano, 1984, pag. 96

3.5 Page 25

▲back to top
IL RETTOR M AG G IO R E 27
spirituale, che sfocia in brevi aspirazioni, in buoni pensieri e in
giaculatorie spontanee, «si trova la radice profonda della devo­
zione: può supplire alla mancanza di tutte le altre forme di ora­
zione. Ma se manca questo non c’è modo di rimediare. Senza
questo esercizio non è possibile la vita contemplativa, anzi sarà
mal condotta anche quella attiva»51.
Don Bosco è anche sensibile alle meraviglie della natura, ma
molto di più a quelle dell’animo giovanile che supera i propri
movimenti cattivi, coglie gli inviti della grazia e si apre genero­
samente a Dio.
Contemplativo della salvezza, estatico dell’opera di Dio
nella vita, pieno di ammirazione di fronte a Domenico Savio, si
commuove davanti ai ragazzi del carcere, invoca l’aiuto di
Maria Ausiliatrice alla vista degli abitanti della Patagonia, so­
spira per l’evangelizzazione dell’Asia.
Il marchio oratoriano.
In questo clima, a Valdocco lo spirito e la pratica della pre­
ghiera erano strettamente congiunti con la carità educativa. Si
poteva leggere sul volto dei suoi abitanti, molti dei quali forme­
ranno la prima generazione salesiana: «Noi - scrive don Ceria -
li abbiamo conosciuti: uomini così differenti d’ingegno e di cul­
tura, così diseguali nelle loro abitudini: in tutti però spiccavano
certi comuni tratti caratteristici, che ne costituivano quasi i li­
neamenti di origine. Calma serena nel dire e nel fare; paternità
buona di modi e di espressioni, ma particolarmente una pietà la
quale ben si capiva essere nel loro concetto l'ubi consistam, il
fulcro della vita salesiana. Pregavano molto, pregavano devotis­
simamente: ci tenevano tanto a che si pregasse e si pregasse
bene; sembrava che non sapessero dire quattro parole in pub­
blico o in privato, senza farci entrare in qualche modo la pre-
5! F rancesco D i Sa le s, Filotea. Introduzione alla vita devota, a cura di Ruggero
Balboni, Milano, 1984, pag. 97

3.6 Page 26

▲back to top
28 ATTI DEL CONSIGLIO GENERALE
ghiera. Eppure (...) quegli uomini non mostravano di possedere
grazie straordinarie d’orazione; infatti noi li vedevamo com­
piere con ingenua semplicità nulla più che le pratiche volute
dalle regole o portate dalle nostre consuetudini». Amavano Dio
e, in Lui, i giovani. Ecco il commento sull’unione tra tempi di
orazione e vita, tra preghiera esplicita e missione.
La preghiera che Don Bosco pratica e cerca di insegnare ai
suoi figli è lineare e semplice nelle sue forme, autentica, com­
pleta e popolare nella sostanza e nei contenuti, allegra e festiva
nelle espressioni. È veramente una preghiera alla portata di
tutti, dei fanciulli e degli umili in particolare, e prende corpo in
quelle che egli chiama “pratiche di pietà” .
Scrive don Caviglia che Don Bosco non ha creato nessuna
nuova forma speciale di pratica o di preghiera o devozione come
il Rosario, gli Esercizi spirituali, la Via Crucis e via dicendo.
Egli è aperto alle formule e, in certo senso, anche alle forme di
pietà delle quali, da educatore, comprende l’utilità; è realista,
bada alla sostanza, al rapporto con Dio ed al suo riflesso sulla
vita: pregare è avere un tratto di amicizia con Lui per cui si
passa facilmente dallo stare da soli con Lui al suo servizio nel
prossimo.
È vero ciò che scrive don Ceria che Don Bosco non dedicava
lungo tempo, come fecero altri santi (Curato d’Ars, S. Antonio
M. Claret), alla meditazione. Ma avere un proprio modo di pre­
gare non è lo stesso che non pregare o pregare troppo poco.
Quantitativamente e qualitativamente diversa da quella di
altri santi, la preghiera di Don Bosco risultava non meno vera e
profonda alla prova dei fatti. Le testimonianze dei processi
hanno svelato in Don Bosco una insospettata ed esaltante atti­
vità di preghiera. Magari mancavano l’esteriorità vistosa, i
grandi gesti, ma la preghiera irrompeva da ogni parte. «Si può
dire - ha dichiarato don Barberis - che pregava sempre; io lo
vidi, potrei dire, centinaia di volte montando e scendendo le
scale sempre in preghiera. Anche per via pregava. Nei viaggi,
quando non correggeva bozze, lo vedevo sempre in preghiera.

3.7 Page 27

▲back to top
IL R E TTO R M A G G IO R E 29
In treno - era solito dire ai suoi figli - non si stia mai in ozio,
ma si dica il breviario, si reciti la corona della Madonna, o si
legga qualche buon libro».
Dispensato negli ultimi anni di vita dalla recita del Bre­
viario, lo diceva in realtà quasi sempre e con grande devozione;
impedito da forza maggiore vi suppliva, come risulta da questa
sua formale ed eroica promessa, «col non fare atto o pronunziar
parola che non avesse di mira la gloria di Dio».
La preghiera era per Don Bosco «l’opera delle opere»52,
perché la preghiera «ottiene tutto e trionfa di tutto». Essa è ciò
che è «l’acqua al pesce, l’aria all’uccello, la fonte al cervo, il ca­
lore al corpo»53. La sua istituzione è fondata sulla preghiera.
Don Bosco, capace di contemplare Dio sul volto e nella si­
tuazione dei giovani, non sente il bisogno d’imporre ai suoi di­
scepoli altre pratiche comunitarie che non siano quelle del
buon cristiano e del buon prete, se si tratta di preti. Si tratta di
una preghiera che non è mai disimpegno o fuga dalle situazioni
giovanili da trasformare secondo il progetto di Dio, o dagli uo­
mini da orientare a Cristo: «da mihi animas cetera tolle». Già
abbiamo ricordato il testo della prima redazione delle Costitu­
zioni: «La vita attiva, cui tende specialmente la nostra società
fa sì che i suoi membri non possano aver comodità di fare molte
pratiche in comune»54. C’è in questa espressione, l’affermazione
implicita che sono possibili e raccomandabili molte altre forme
di preghiera. Tra queste Don Bosco ha dato grande importanza
alle giaculatorie.
«Ciascheduno - leggiamo ancora nelle Costituzioni - oltre le
orazioni vocali, farà ogni giorno non meno di mezz’ora di ora­
zione mentale, ad accezione che ne sia impedito dal sacro mini­
stero. Nel qual caso supplirà colla maggior frequenza di giacu­
latorie indirizzando a Dio con gran fervore di affetto quei la­
52 MB XVII, pag. 69
53 MB III, pag. 246. 613
54 Cf. Costituzioni della Società di S. Francesco di Sales 1858-1875, Testi critici a
cura di F. M o t t o , LAS Roma 1982, pag. 182-183

3.8 Page 28

▲back to top
30 ATTI DEL CO NSIG LIO G ENERALE
vori, che lo impediscono dagli ordinari esercizi di pietà»55. Le
giaculatorie, preghiera facile, essenziale, servivano per lui a
mantenere desto il pensiero a Dio.
Possiamo dire che in Don Bosco tra preghiera e lavoro inter­
corre un rapporto perfetto di identità. In questo senso, ma solo
in questo senso, si può dire che lavoro è preghiera. E questo, se­
condo don Ceria, è stato il segreto di Don Bosco, il tratto più ca­
ratteristico: «La differenza specifica della pietà salesiana è nel
saper fare del lavoro preghiera».
Pio XI ne ha dato solenne conferma: «Questa, infatti, era una
delle più belle caratteristiche di lui, quella cioè di essere presen­
te a tutto, affaccendato in una ressa continua, assillante di af­
fanni, tra una folla di richieste e consultazioni, e avere lo spirito
sempre altrove, sempre in alto, dove il sereno era imperturbato
sempre, dove la calma era sempre dominatrice e sovrana, così
che in lui il lavoro era proprio effettiva preghiera, e si avverava
il grande principio della vita cristiana: qui laborat orat»56.
Così, come Don Bosco viene identificato come l’uomo
dell’ «unione con Dio», il salesiano si caratterizza per essere
l’uomo «contemplativo nell’azione»57. Il problema è precisa­
mente capire cosa significa quest’espressione.
Infatti nella tensione tra preghiera e azione è difficile rag­
giungere l’equilibrio, non tanto nella teoria, ma nella pratica
della vita quotidiana58. Il problema, posto fin dagli inizi del cri­
stianesimo, è molto dibattuto. Agostino a tale proposito, com­
mentando Luca 10, 38-42, scrive: «Le parole di Nostro Signore
Gesù Cristo ci vogliono ricordare che esiste un unico traguardo
al quale tendiamo, quando ci affatichiamo nelle svariate occu­
55 Cf. Ibid. pag. 185
56 Pio XI, Discorso in occasione della lettura del Decreto per l’eroicità delle virtù,
20 febbraio 1927
57 Cf. Cost. 12
58 Cf. VECCHI J. E., Spiritualità Salesiana. Approfondimento di alcuni temi fon­
damentali, Edizione extracommerciale, SDB IVE-IVO, Venezia-Mestre, 2000, special­
mente pag. 69-83

3.9 Page 29

▲back to top
IL RETTOR MAGGIORE 31
pazioni di questo mondo. Vi tendiamo, mentre siamo pellegrini
e non ancora arrivati; in cammino e non ancora nella patria;
nel desiderio e non ancora nell’appagamento. Marta e Maria
erano due sorelle, non solo sul piano della natura, ma anche su
quello della religione; tutte e due onoravano Dio, tutte e due
servivano il Signore presente nella carne in perfetta armonia di
sentimenti. Marta lo accolse come si sogliono accogliere i pelle­
grini, e tuttavia accolse il Signore come serva...
Del resto tu, Marta, sia detto con buona pace, tu, già bene­
detta per il tuo encomiabile servizio, come ricompensa domandi
il riposo. Ora sei immersa in molteplici faccende, vuoi ristorare
dei corpi mortali, sia pure di persone sante... Lassù non vi sarà
posto per tutto questo. E allora che cosa vi sarà? Ciò che ha
scelto Maria: là saremo nutriti, non nutriremo. Perciò sarà
completo e perfetto ciò che qui Maria ha scelto: da quella ricca
mensa raccoglieva le briciole della parola del Signore... [il
quale] farà mettere a tavola [i suoi servi] e passerà a servirli»59.
Marta e Maria sono un esempio di unità radicale in cui non
si oppongono vita attiva e vita contemplativa; insieme rappre­
sentano un’esistenza tutta presa dall’ascolto contemplativo, so­
prattutto quando si è chiamati ad impegnarsi nel mondo. L’u­
nità radicale tra contemplazione e azione si ritrova nel rap­
porto e nella comunione con Dio.
Vediamo ora come si snoda questa tensione tra contempla­
zione e azione nella vita del salesiano, soffermandoci anzitutto
sull’espressione «contemplativo nell’azione», per passare poi ad
elencare alcune caratteristiche che definiscono la vita del sale­
siano come uomo contemplativo nel servizio ai giovani.
“Contemplativo nell’azione”.
Il contemplare, cioè il venire come rapiti nello sguardo pro­
lungato o brevissimo, ma intenso, con stupore e ammirazione,
59 AGOSTINO (S.), Discorso 103, 1-2.6, in PL 38, 613.615

3.10 Page 30

▲back to top
32 ATTI DEL CONSIGLIO GENERALE
abbraccia ed afferra in un solo momento profondo la realtà nel­
le sue radici ed il soggetto nelle sue molteplici dimensioni unifi­
cate60. È quello che propriamente si chiama una “ esperienza” .
La contemplazione cristiana comporta uno sguardo unitario
che coglie, nel susseguirsi degli eventi, il compiersi del Regno di
Dio e quindi la partecipazione alla costruzione di esso. Essa
non si compie soltanto nel silenzio o nella solitudine, quasi
fuori dalle aspirazioni, desideri, gioie e sofferenze del Regno,
ma anche nella condivisione delle cose della vita che Gesù è ve­
nuto a portare.
In effetti, nella tradizione cristiana si può parlare di due
grandi vie o luoghi preferenziali, non esclusivi, di contemplazio­
ne. Nel primo, la persona si distacca dalle “cose umane” per im­
mergersi in Dio; nel secondo coglie, proprio nelle “cose umane” ,
come si fa presente Dio e il suo Regno e si mette a sua disposi­
zione per partecipare al suo annuncio salvatore. «Ecco, io vengo
per fare, o Dio, la tua volontà»61. Di conseguenza «assume» la vi­
ta come unione con Dio, nella sua passione per salvare l’uomo.
La differenza tra le due è data da una diversa accentuazione
del rapporto tra Regno di Dio e vita umana. Chi vive il distacco
dalle cose vuole comprenderle contemplandole in Dio. L ’ac­
cento viene posto nel riconoscere il mistero di Dio, inaccessi­
bile, luogo definitivo di riposo e di felicità per l’uomo. Chi in­
vece vive la passione responsabile ed attiva per la salvezza, ac­
centua l’incarnazione di Dio, il suo mischiarsi con le cose della
storia. Contempla Dio che offre la sua grazia per costruire qui e
ora il suo Regno, gode come Gesù delle meraviglie che il Padre
opera negli umili e nei poveri. Così Dio viene “ compreso” nella
contemplazione delle cose e nelle diverse attività del Regno.
Entrambi gli atteggiamenti sono importanti ed irrinuncia­
bili. Si tratta di accentuazioni che influiscono nella distribu­
60 L. BORRIELLO, Contemplazione, in L. BORRIELLO et al., Dizionario di M i­
stica, Città del Vaticano, Editrice Vaticana, 1998, 338-344. A pag. 348 si può vedere una
rassegna bibliografica essenziale sul problema azione e contemplazione
61 Eb 10, 7

4 Pages 31-40

▲back to top

4.1 Page 31

▲back to top
IL R E TTO R M A G G IO R E 33
zione del tempo e nelle scelte dello stile di vita. Del salesiano si
afferma che la sua contemplazione affiora e si manifesta so­
prattutto nella passione per la vita dei giovani; quindi che, se­
guendo il mistero dell’incarnazione, cerca di entrare profonda­
mente in essa.
“ Contemplare nell’azione” non vuol dire necessariamente
pensare a Dio mentre si agisce. Si tratta piuttosto di un ren­
dersi conto del fatto che in quell’attività umana è in gioco il
compiersi del Regno di Dio. Contemplare nell’azione è un cam­
mino che richiede condizioni analoghe al contemplare nella
quiete e, anche se è grazia, viene acquisito attraverso la croce.
Alcune condizioni per divenire “contemplativi neH’azione”.
In modo sintetico elenco alcuni tratti che permettono al sa­
lesiano di contemplare Dio nella vita.
a. L ’orientamento interiore.
Tutti i cammini di spiritualità, anche quello del contemplati­
vo nell’azione, valgono solo se portano verso il santuario del cuo­
re, dove ci precede la Verità62. Nella formazione religiosa insistia­
mo sull’interiorizzazione; nella religiosità diffusa, si distingue l’e­
mozione di un momento dalla fede matura e personalizzata.
Per diventare contemplativo nell’azione occorre un clima in­
teriore, fatto di fede aperta e vigilante, di umiltà e pazienza, di
fedeltà a Dio a agli uomini, di dominio di sé e di apertura agli
orizzonti di eternità. La qualità della contemplazione nell’azione
è data dalla qualità umana del gesto che si compie e dalla consa­
pevolezza, implicita ma viva nel profondo del credente, che il
Regno di Dio è qui e ora, oppure che il Regno di Dio in tale si­
tuazione non si compie. Nel primo caso si gioisce, nel secondo si
soffre. Soffrire e gioire sono frutto della contemplazione.
62
S. Agostino ammonisce: «Noli foras ire. In teipsum redi: in interiore homine ha­
bitat ueritas»

4.2 Page 32

▲back to top
34 ATTI DEL CONSIGLIO GENERALE
«Ciascuno di noi - ci ricordano le Costituzioni - ha bisogno
di esprimere nell’intimo il suo modo personale di essere figlio di
Dio, manifestargli la sua gratitudine, confidargli i desideri e le
preoccupazioni apostoliche»63, perché tutta la sua vita sia «com­
penetrata di spirito apostolico, e tutta l’azione apostolica sia
animata da spirito religioso»64.
A questo punto possiamo richiamare sinteticamente i pen­
sieri su don Cafasso, che fu sicuro maestro di preghiera per Don
Bosco, che indicano la via migliore di vivere la carità unitiva ed
illuminante nell’azione. Ci interessano gli atteggiamenti di fon­
do, mentre le pratiche sono legate alla persona ed al tempo.
«Il primo segreto - dice Don Bosco del Cafasso - fu la co­
stante sua tranquillità. Egli aveva familiare il detto di S. Te­
resa: niente ti turbil Perciò, con aria sempre ridente, sempre
cortese, colla dolcezza propria delle anime sante disimpegnava
con energia ogni affare anche prolungato, difficile e seminato
talvolta di spinose difficoltà. Ma ciò senza affannarsi, senza che
la moltitudine o la gravezza delle cose gli recassero il minimo
turbamento. Questa maravigliosa tranquillità faceva sì che egli
potea con calma trattare molti e svariati affari senza turba­
mento delle facoltà intellettuali»65. È una specie di controfigura
di un certo apostolo agitato che si può ritrovare oggi.
Il secondo segreto è la lunga pratica degli affari congiunta
ad una grande confidenza in Dio. «Egli ripeteva spesso le pa­
role del reai profeta Davide: Dies diei eructat verbum (Sai 18,
2). Ciò che fo’ quest’oggi servemi di norma a quanto dovrò fare
domani. Questa massima congiunta alla sua prudenza, espe­
63
64
pCoCs8t.
93
65 Bosco G., Biografia del Sacerdote Giuseppe Caffasso esposta in due ragionamenti
funebri, Paravia, Torino 1860, pag. 91-95. Vedi: opere edite, voi. XII, pag. 351ss. In Ap­
pendice, don Bosco riporta i Pensieri del sacerdote Caffasso Giuseppe per passar bene la
giornata: «1. Fare ogni cosa come la farebbe lo stesso Signor Nostro Gesù Cristo. - 2.
Fare le nostre azioni a quel modo che vorremmo averle fatte quando ce ne sarà diman­
dato conto al tribunale di Dio. - 3. Fare ogni cosa come se fosse l'ultima di nostra vita. -
4. Fare le cose in maniera, come se non se ne avesse a far altra» {ivi, pag. 110)

4.3 Page 33

▲back to top
IL RETTO R M A G G IO R E 35
rienza e al suo lungo studio del cuore umano, gli avevano rese
familiari le più elevate questioni. I dubbi, le difficoltà, le di-
mande più complicate dinanzi a lui scomparivano. Fattagli una
questione, comprendevala al solo annunziarla, quindi alzato un
istante il suo cuore a Dio rispondeva con prontezza e giustezza
tale che una lunga riflessione non avrebbe fatto pronunziare
miglior giudicio»66. E la formazione permanente nella e dalla
vita a confronto con la Parola.
Il terzo segreto era l'esatta e costante occupazione del tempo.
«Nello spazio di trenta e più anni che lo conobbi, non mi ri­
cordo di averlo veduto a passare un istante che potesse dirsi
ozioso. Terminato un affare, tosto ne intraprendeva un altro.
Quante volte fu veduto rimanere cinque ed anche sei ore al
confessionale, e poi andare in camera, ove tosto cominciava la
solita udienza, che durava più ore. Quante volte pure [fu ve­
duto] giungere sfinito di forze dal predicare o dal confessare
nelle carceri, ed invitato a riposare un momento: la conferenza,
egli rispondeva, mi serve di riposo»67.
Il quarto segreto è la sua temperanza che in lui era attenta
penitenza e che in Don Bosco mostra la coerenza di elementi
che configurano la spiritualità salesiana. Senza una grande so­
brietà, egli dice, è impossibile farci santi. «In simil guisa ogni
giorno, ogni settimana, ogni mese, e l’anno intero, ad eccezione
del momento del cibo, il rimanente del tempo poteva impiegarlo
in cose utili pel bene delle anime.
Con questi quattro segreti - conclude Don Bosco - don Ca-
fasso trovava modo di compiere molte e svariate cose in breve
tempo e portare così la carità al più sublime grado di perfe­
zione: Plenitudo legis dilectio (Rm 13,IO)»68.
b. L ’intenzione.
Non è vero che qualsiasi attività, comunque fatta, sia pre-
66 Ibid.
67 Ibid.
68 Ibid.

4.4 Page 34

▲back to top
36 ATTI DEL C O NSIG LIO G ENERALE
ghiera. Perché il nostro agire possa diventare luogo di incontro
e comunicazione con Dio, è necessario che la nostra azione sia
fatta in corrispondenza alla volontà di Dio e che proceda dal­
l’intima unione con Lui.
La necessità che ha il salesiano di riservare un tempo speci­
fico per la preghiera personale e comunitaria non è tanto
perché si neghi che la vita quotidiana possa essere il luogo per
incontrare Dio nei giovani, oppure perché si consideri che la
vera preghiera sia soltanto quella esplicita, fatta in cappella;
ma, piuttosto, perché il salesiano è consapevole della sua crea-
turalità, quindi, del suo essere peccatore. Appunto per questo
può sviare l’intenzione nel suo agire e ha bisogno di intimità
con il Signore per purificare le motivazioni dell’azione e così
continuare a rapportarsi con Dio là dove Lui gli si vuole mani­
festare: nella vita.
Attraverso la preghiera esplicita, il salesiano scava nell’intimo
di se stesso e purifica l’opzione fondamentale, riconfermando Dio
come Signore della propria esistenza, che orienta la vita e dà sen­
so a tutte le cose che fa. Nella preghiera esplicita, personale e co­
munitaria, il salesiano riconosce la priorità della scelta per Dio,
come amore supremo che esclude tutto ciò che gli si oppone.
Se manca questa purificazione dell’intenzione, che procede
dall’intima unione con Dio, l’azione - anche quella che pos­
siamo chiamare di indole apostolica - diventa opera delle nostre
mani e quindi causa di impoverimento spirituale. «La caratteri­
stica sobrietà nelle pratiche di pietà voluta da Don Bosco va
quindi interpretata non come un minimismo rilassato, ma in ri­
ferimento al contesto. In questo caso, alla ricchissima e intensa
atmosfera soprannaturale dell’Oratorio di Valdocco, sia come
irradiazione della santità di Don Bosco, sia come risultante del­
l’ambiente di fervore che lui aveva creato tra i giovani, e nel
quale Dio era indiscussamente il centro di tutto»69.
69
RICCERI L., Lettera del Rettor Maggiore ai Salesiani: La preghiera problema
vitale, ACS 269, gennaio-marzo 1973, pag. 45

4.5 Page 35

▲back to top
IL RETTOR M AG G IO R E 37
La trasformazione della vita in preghiera suppone quindi
una solida unione con Dio. Solo allora la preghiera esplicita
può, se si vuole, diminuire, perché l’azione, trasformata in pre­
ghiera, viene da dove l’anima si perde in Dio70.
c. Sentirsi strumenti di Dio a favore dei giovani.
Contro il rischio dell’efficientismo dilagante e della sola ri­
cerca dei risultati, i Salesiani sentono, nel loro lavoro, l’urgenza
di un atteggiamento di radicale umiltà. Si tratta di essere fedeli
a una missione ricevuta. Quindi prima di un dare, la nostra
missione è un ricevere. Non siamo proprietari del Regno, né del
compito ricevuto. La Vigna ha un Padrone. Il lavoro diventa
preghiera se è fatto con spirito di ubbidienza e disponibilità
verso Colui che ci ha mandato: «Non predichiamo noi stessi, ma
Cristo Gesù Signore; quanto a noi, siamo i vostri servitori per
amore di Gesù»71.
Il salesiano si comporta da “ mistico” nell’azione quando,
consapevole della propria debolezza, lavora cercando di sapere
che cosa è gradita a Dio e lasciandosi condurre dalla volontà di
Colui che vuole che tutti gli uomini siano salvi.
La vita spirituale del salesiano consiste proprio nel lasciare
che questo amore divino riempia il suo cuore per poterlo diffon­
dere tra i giovani. Il «silenzio di tutto l’essere», di cui parla il
CGS, «nasce proprio dal bisogno di procedere sempre più nel­
l’intimità con Dio “ sommamente amato” : un silenzio che ci
mette nelle condizioni di ascoltare veramente Dio, e di identifi­
carci col suo disegno di redenzione»72.
Il salesiano sa di essere stato scelto proprio per essere testi­
mone e strumento di questa presenza attiva di Dio nella storia.
Scorge come il suo agire è preceduto e superato da una pre­
senza più forte. Ne gioisce, intercede e loda. Attraverso la pre­
70 Cf. Ibid. pag. 46
71 2 Cor 4, 5
72 Cf. CGS, 552

4.6 Page 36

▲back to top
38 ATTI DEL CONSIGLIO GENERALE
senza del salesiano, il giovane è toccato da un amore nuovo, po­
tente e trasformante73.
«Segno e portatore dell’amore di Dio ai giovani, special­
mente più poveri»74si traduce per il salesiano nel triplice atteg­
giamento di compassione, avvicinamento, intercessione, sal­
vezza effettiva verso i giovani.
d. Scoprire la presenza dello Spirito nella vita dei giovani.
Le Costituzioni parlano della docilità e disponibilità a rinno­
vare sempre l’attenzione allo Spirito: «Attento alla presenza
dello Spirito e compiendo tutto per amore di Dio, [il salesiano]
diventa, come Don Bosco, contemplativo nell’azione»75.
Lo Spirito agisce nel fondo di ogni coscienza umana. Oc­
corre saper scoprire e interpretare questa presenza misteriosa,
riconoscerne i segni, individuare i luoghi privilegiati e le di­
verse manifestazioni dello Spirito nella vita dei giovani.
Con meraviglia e gioia, il salesiano scopre Dio all’opera in
un cuore accogliente, in un gruppo aperto, in un avvenimento
banale o inaspettato. E per questo è disposto ad incontrare il
giovane là dove egli si trova, consapevole di dover interpretare
bene il senso dell’azione divina per esserne il servitore e il coo­
peratore visibile. E più particolarmente, è convinto che Dio
73 Possediamo, come esempio, la testimonianza di Don Albera: «Don Bosco ci pre­
diligeva in un modo unico, tutto suo... Sentivo di essere amato in un modo non mai
provato prima, che non aveva nulla da fare neppur con l’amore vivissimo che mi porta­
vano i miei indimenticabili genitori. L’amore di Don Bosco per noi era qualche cosa di
singolarmente superiore a qualunque altro affetto... Oh! era l’amore suo che attirava,
conquistava e trasformava i nostri cuori!... E non poteva essere altrimenti, perché ogni
sua parola ed atto emanava la santità dell’unione con Dio, che è carità perfetta. Egli ci
attirava a sé per la pienezza dell’amore soprannaturale che gli divampava in cuore...
Eravamo suoi, perché in ciascuno di noi era la certezza essere egli veramente l’uomo di
Dio, nel senso più espressivo e comprensivo della parola... Nella sua santità era tutto il
segreto di quella sua attrazione che conquistava per sempre e trasformava i cuori... Il
suo sistema preventivo non era altro che la carità, cioè l’amor di Dio che si dilata ad ab­
bracciare tutte le umane creature, specie le più giovani ed inesperte»: E ALBERA, Let­
tera circolare del 18 ottobre 1921: Don Bosco nostro modello, Torino, Direzione Gene­
rale Opere Salesiane, 1965, pag. 373-375
74 Cost. 2
71 Cost. 12

4.7 Page 37

▲back to top
IL RETTO R M A G G IO R E 39
parla segretamente a ogni giovane e lo invita con premura al
dialogo dell’Alleanza in questo momento decisivo della sua
storia personale.
Al posto della condanna, il salesiano preferisce il discerni­
mento come strumento di lettura della storia da un punto di
vista cristiano. Un criterio che implica un’accettazione della
storia senza riserve pregiudiziali e senza ingenuità; anzi, la
storia è luogo di lettura dei «segni», cioè di significati rilevanti
per la fede cristiana (cf. Mt 16, 4 )76.
Alla diagnosi dei segni dei tempi, corrisponde la terapia del­
l’aggiornamento, per tendere «l’orecchio alle voci della terra»77
e così stabilire un rapporto vivo e vitale col passato, il presente
e il futuro.
In tal modo, la contemplazione è inclusa nel donarsi piena­
mente al servizio dei giovani e del popolo, accettandone le esi­
genze quotidiane sull’esempio del Buon Pastore: partecipare
alla paternità di Dio, operando come Lui in favore della vita,
dalle forme più elementari (cibo, casa, istruzione), a quelle più
alte (rivelazione del Vangelo, vita di fede).
Il salesiano esercita il suo ruolo di «strumento dell’amore di
Dio ai giovani» sotto il segno della concretezza storica: «Il sale­
siano deve avere il senso del concreto ed essere attento ai segni
dei tempi, convinto che il Signore lo chiama attraverso le ur­
genze del momento e del luogo»78.
76 Tra la numerosa bibliografia sul discernimento cito alcune pubblicazioni
recenti: J. M ‘J. CASTILLO, El discernimiento cristiano. Para una conciencia critica,
Salamanca, Sigueme, 1984; M. COSTA, Sentire, giudicare, scegliere, nello Spirito,
Roma, CVX, 1995; M. RUIZ JURADO, Il discernimento spirituale. Teologia, storia, pra­
tica, Cinisello Balsamo, San Paolo, 1997; L ’attitudine al discernimento, Milano, Ancora,
1998; E. FORTUNATO, Il discernimento. Itinerari esistenziali per giovani e formatori,
Bologna, EDB, 1999
77 GIOVANNI XXIII, Discorsi, messaggi, colloqui del Santo Padre Giovanni XXIII,
I, Città del Vaticano, Libreria Editrice Vaticana, 1960, 10
78 Cf. Cost. 19; cf. J. AUBRY, Al centro della santità salesiana: la carità apostolica.
Abbozzo di una spiritualità dell’azione salesiana, in M. MIDALI (Ed.), Spiritualità del­
l ’azione. Contributo per un approfondimento, Roma, LAS, 1977, pag. 207-228

4.8 Page 38

▲back to top
40 ATTI DEL CO NSIG LIO GENERALE
CONCLUSIONE
Fin qui alcune considerazioni sulla preghiera del salesiano.
Con l’espressione di Don Bosco, possiamo chiamarla la preghie­
ra del “da mihi animas”. Essa dovrebbe impregnare l’agire del
salesiano per il bene dei giovani. Don Bosco insiste che i suoi fi­
gli prendano l’abitudine di coniugare in un’unica realtà il lavoro,
che può essere quasi frenetico, e la preghiera, che è respirare Dio,
affinché ogni opera sia come un “ salterio delle buone opere” .
Occorre ricordare che la maturazione personale e la crescita
comunitaria non si escludono; anzi, debbono sostenersi e inte­
grarsi reciprocamente. «Potremo formare comunità che pre­
gano - ci ripete la Regola di vita - solo se diventiamo personal­
mente uomini di preghiera»79.
«L’azione dello Spirito è per il professo fonte permanente di
grazia e sostegno nello sforzo quotidiano per crescere nell’amo­
re perfetto di Dio e degli uomini. I confratelli che hanno vissuto
o vivono in pienezza il progetto evangelico delle Costituzioni so­
no per noi stimolo e aiuto nel cammino di santificazione»80.
La preghiera dei nostri Santi.
La testimonianza di fratelli e sorelle avviati verso gli altari
manifesta come questa forma di preghiera non sia una proposta
campata in aria, ma sia ormai assunta da fratelli e sorelle che
la vivono nel quotidiano, come hanno confermato anche coloro
che ne hanno esaminato la vita e le virtù alla luce della teo­
logia. È interessante rivisitare il loro percorso nella condizione
di consacrati/e o laici, perché appare evidente una costante: in
tutti si nota una valorizzazione sentita delle pratiche o dei mo­
menti espliciti, spesso ritagliati personalmente, e la consegna
del proprio lavoro e della propria vita nelle mani del Signore.
79 Cost. 93
80 Cost. 25

4.9 Page 39

▲back to top
IL RETTO R M A G G IO R E 41
È recente la canonizzazione di Mons. Luigi Versiglia.
Egli scrive al Carmelo di Firenze: «Solleviamo più in alto i
nostri cuori, dimentichiamo di più noi stessi e parliamo di più
di Dio, del modo di servirlo di più, di consolarlo di più, del bi­
sogno e del modo di guadagnargli delle anime. Voi, Sorelle, po­
trete più facilmente parlare a noi delle finezze dell’amore di
Gesù, noi forse potremo parlare a voi della miseria di tante
anime, che vivono lontano da Dio, e della necessità di condurle
a Lui; noi ci sentiremo elevati all’amore a Dio, voi vi sentirete
maggiormente spinte allo zelo»81.
A proposito del venerabile Artemide Zatti abbiamo sentito
parlare particolarmente della instancabile carità82. L’intensità
con cui il Servo di Dio viveva il senso della presenza di Dio, lo
portava a vederLo nei malati e nei sofferenti fino a modellare il
suo parlare: «Sorella, prepari un bel letto per il Signore».
Questo troviamo ripetutamente rilevato nelle testimonianze.
«L’impressione che ho ricevuto - afferma un teste - fu che
era un uomo unito al Signore. La preghiera era come il respiro
della sua anima, tutto il suo modo di fare dimostrava che viveva
pienamente il primo comandamento di Dio, lo amava con tutto
il cuore, con tutta la mente e con tutta l’anima»83.
«Era evidente - aggiunge un altro - che il Servo di Dio pra­
ticava una preghiera continua', in bicicletta pedalava e pregava,
così pure quando curava i malati [...]; con spontaneità profe­
riva espressioni di fede e pronunciava frasi che elevavano lo spi­
rito, anche con i religiosi»9,4. E ancora: «Zatti si mosse in gio­
ventù e in età adulta in una sfera soprannaturale, senz’altro in­
teresse che la gloria di Dio e la salvezza delle anime»85.
81 Lettere al Carmelo di Firenze, Arch. Sai 9,3, Vers.
82 Positio, pag. 212
83 Summarium, pag; 43, n. 160
84 Summarium, pag. 179, n. 731
85 Summarium, pag. 182, n. 743

4.10 Page 40

▲back to top
42 ATTI DEL C O N S IG LIO G E N E R A LE
Anche don Luigi Variara86è ormai avviato verso la Beatifi­
cazione.
La vita cristiana e religiosa di don Luigi Variara fu caratte­
rizzata da un’intensa visione teologale e da una costante attività
sacerdotale e missionaria. La fede viva, che fu in lui sorgente di
forza spirituale, era così semplice e forte da non lasciar posto al­
la stanchezza e allo scoraggiamento; e proprio con la fede egli
riuscì a superare tutti gli ostacoli che si frapposero sulla sua stra­
da, sempre e unicamente per amore di Dio e del prossimo.
L’amore di don Luigi Variara verso Dio è testimoniato dal
suo modo di pregare, dal suo ardore eucaristico, dalla sua devo­
zione ai Cuori di Gesù e di Maria. Il tipo di apostolato da lui
svolto costituisce la migliore testimonianza di amore al pros­
simo, per l’eroica fortezza con cui seppe svolgerlo sino alla fine.
La liturgia della vita.
All’accenno ai nostri Santi e Servi di Dio, che potrebbe es­
sere approfondito, aggiungo una descrizione della preghiera
educativa quotidiana. La ricavo da un testo del CG23: «Educare
i giovani alla fede è, per il salesiano, lavoro e preghiera. Egli è
consapevole che impegnandosi per la salvezza della gioventù fa
esperienza della paternità di Dio. (...) Don Bosco ci ha inse­
gnato a riconoscere la presenza operante di Dio nel nostro im­
pegno educativo, a sperimentarla come vita e amore. (...) Noi
crediamo che Dio ci sta attendendo nei giovani per offrirci la
grazia dell’incontro con Lui e per disporci a servirLo in loro, ri­
conoscendone la dignità ed educandoli alla pienezza di vita.
Il momento educativo diviene così il luogo privilegiato del
nostro incontro con Lui»87 e della contemplazione della sua
opera nella vita dell’uomo.
Chi educa è chiamato a riconoscere Dio che opera nella per­
sona umana e a mettersi a suo servizio. Qualcosa di simile a
86 PINARTE E., Osservatore Romano 4.12.1997
87 CG23, 94-95

5 Pages 41-50

▲back to top

5.1 Page 41

▲back to top
IL RETTO R M A G G IO R E 43
quello che dovette fare Maria, perché nella umanità di Gesù si
manifestasse in forma storica la coscienza divina. Maria do­
vette accompagnarlo e sostenerlo con il cibo, l’affetto, il consi­
glio, l’insegnamento della lingua e delle tradizioni, l’inseri­
mento nei rapporti umani, l’iniziazione all’universo dei gesti e
delle parole religiose, senza sapere di scienza certa che cosa si
sarebbe rivelato questo suo figlio.
C’è un dialogo misterioso tra ciascun giovane e quello
che gli giunge dall’esterno, quello che sorge dentro di lui, quello
che scopre come imperativo, grazia o senso. Un po’ alla volta
va acquistando piena coscienza di sé, va elaborando un progetto
di esistenza nel quale scommette le sue forze e gioca le sue pos­
sibilità.
L’educatore è chiamato ad offrire tutto quello che giudica
opportuno, vivendo con speranza le incognite del futuro. Si in­
teressa sinceramente dell’umano incerto che cresce. In esso in­
fatti Dio verrà accolto e anche in forza della crescita si manife­
sterà con sempre maggior luminosità.
Chi educa, dunque, - genitore, insegnante, amico o anima­
tore - mantiene viva la consapevolezza che egli è parte nella
festa dell’incontro di Dio con i giovani. È l’amico dello sposo,
non protagonista ma aiuto e spettatore attivo, come Maria alle
nozze di Cana.
Proprio nella fede che intravede l’agire di Dio, nella spe­
ranza che attende la sua manifestazione nella vita dei giovani,
e nella carità che si mette a disposizione del giovane e dello
sposo si sviluppano i sentimenti e si vivono come preghiera i
momenti educativi di gioia, di attesa, di dolore, di sforzo, di ap­
parente fallimento. Si ringrazia, ci si rallegra, ci si lamenta, si
intercede, si desidera, si invoca.
La celebrazione liturgica ha un Kyrie, un Gloria, un Credo,
un’offerta, uno spazio simbolico, una comunità, tempi di peni­
tenza e di esultanza. Così la liturgia della vita ha momenti di
risultati gratificanti e di delusione, di iniziativa e di attesa, di
solitudine e di compagnia. C’è uno spazio (cortile, scuola, quar­

5.2 Page 42

▲back to top
44 ATTI DEL CONSIGLIO G ENERALE
tiere!) e ci sono persone da amare e con le quali collaborare di
cuore (la comunità educante).
Il tutto, vissuto alla luce della presenza operante di Dio, di­
venta orazione - contemplazione. Avviene come nella comunica­
zione tra persone che si conoscono bene: un sentimento si può
esprimere con parole, con un gesto, con un dono, con uno
sguardo, con un silenzio, con una visita, con un messaggio at­
traverso telefono o fax.
Si tratta - direbbe Sant’Agostino - di “prendere in mano
il salterio delle buone opere e con esso cantare le lodi del
Signore” .
Si deve però tener presente che c’è un rapporto tra atteggia­
mento continuo di preghiera ed esercizio di preghiera, tra pre­
ghiera-parola e preghiera-vita, tra preghiera esplicita e pre­
ghiera diffusa nella giornata, tra liturgia celebrata e liturgia
della vita. Ed è forse in questo rapporto che si trovano le diffi­
coltà, ma nel quale allo stesso tempo sta la ricchezza del sale­
siano, e perciò un punto fondamentale della sua formazione
spirituale-apostolica.
I due elementi o aspetti sono importanti: l’uno per l’altro,
entrambi per la stabilità e la pienezza della vita consacrata. Chi
lascia l’uno, perde l’altro.
Colui che suggerisce ed educa ha bisogno di apprendimento
e tempi speciali di concentrazione. «Molti credono che la pre­
ghiera venga da sé e non vogliono saperne del suo esercizio, ma
sbagliano»88.
C’è bisogno di una iniziazione calma e progressiva alle di­
verse forme di preghiera: vocale, mentale, lettura, silenzio, con­
templazione, formule, creatività. Bisogna praticarle in diverse
situazioni e momenti, fino ad impregnare la vita, in modo che
la preghiera entri e venga fuori da noi per molte vie e in molte
forme.
88 G u ardin i R., Lettere su autoformazione, pag. 91

5.3 Page 43

▲back to top
IL RETTO R M A G G IO R E 45
L’esercizio, poi, radica la consuetudine: la regolarità è de­
terminante; tutte le cose importanti nella nostra vita hanno un
orario, un tempo riservato; se un giorno non le possiamo fare
nell’orario consueto, ne fissiamo subito un altro. Così per man­
giare, dormire, lavarci.
Le mediazioni comunitarie sono indispensabili per noi: i
luoghi, i tempi, le forme, la comunità. Dico “per noi” , perché lo
stile comunitario ricopre tutte le dimensioni della nostra vita.
Per altri religiosi può essere diverso. Ma si richiede anche l’ap­
plicazione personale. Il risultato e la modalità di questa appli­
cazione sono diversi. Ciascuno ha il suo modo di pregare, come
ha il suo modo di parlare, camminare e guardare. In questa
chiave vanno interpretati la maggior o minor emotività, le di­
strazioni, le preferenze per la riflessione o le formule, i periodi
di stanchezza.
Considerato tutto questo, che è necessario, dobbiamo rico­
noscere che la preghiera del cristiano rimane un dono. Cristo è
il solo orante. Egli ci incorpora alla sua preghiera nello Spirito.
Noi non sappiamo né che cosa dire né come dirlo. Lo Spirito
mette sulle nostre labbra quello che conviene chiedere: «Lo Spi­
rito viene in aiuto alla nostra debolezza, perché nemmeno sap­
piamo che cosa sia conveniente domandare, ma lo stesso Spirito
intercede con insistenza per noi con gemiti inesprimibili; e
colui che scruta i cuori sa quali sono i desideri dello spirito
poiché egli intercede per i credenti secondo i disegni di D io»89.
«Sovente - dice un autore - i libri e guide parlano della pre­
ghiera come di una capacità che bisogna acquistare con sforzi
propri, come una scienza o una abilità (...) ci si sente persi per
strade intricate e di nuovo il desiderio di poter pregare rimane
frustrato». “ Signore, insegnaci a pregare” .
La nostra vita ha bisogno di integrare riflessione e prassi,
studio ed attività, silenzio ed incontro, sebbene per noi ciò non
89 Rom 8, 26-27

5.4 Page 44

▲back to top
IL RETTOR MAGGIORE 45
L’esercizio, poi, radica la consuetudine: la regolarità è de­
terminante; tutte le cose importanti nella nostra vita hanno un
orario, un tempo riservato; se un giorno non le possiamo fare
nell’orario consueto, ne fissiamo subito un altro. Così per man­
giare, dormire, lavarci.
Le mediazioni comunitarie sono indispensabili per noi: i
luoghi, i tempi, le forme, la comunità. Dico “per noi” , perché lo
stile comunitario ricopre tutte le dimensioni della nostra vita.
Per altri religiosi può essere diverso. Ma si richiede anche l’ap­
plicazione personale. Il risultato e la modalità di questa appli­
cazione sono diversi. Ciascuno ha il suo modo di pregare, come
ha il suo modo di parlare, camminare e guardare. In questa
chiave vanno interpretati la maggior o minor emotività, le di­
strazioni, le preferenze per la riflessione o le formule, i periodi
di stanchezza.
Considerato tutto questo, che è necessario, dobbiamo rico­
noscere che la preghiera del cristiano rimane un dono. Cristo è
il solo orante. Egli ci incorpora alla sua preghiera nello Spirito.
Noi non sappiamo né che cosa dire né come dirlo. Lo Spirito
mette sulle nostre labbra quello che conviene chiedere: «Lo Spi­
rito viene in aiuto alla nostra debolezza, perché nemmeno sap­
piamo che cosa sia conveniente domandare, ma lo stesso Spirito
intercede con insistenza per noi con gemiti inesprimibili; e
colui che scruta i cuori sa quali sono i desideri dello spirito
poiché egli intercede per i credenti secondo i disegni di D io»89.
«Sovente - dice un autore - i libri e guide parlano della pre­
ghiera come di una capacità che bisogna acquistare con sforzi
propri, come una scienza o una abilità (...) ci si sente persi per
strade intricate e di nuovo il desiderio di poter pregare rimane
frustrato». “ Signore, insegnaci a pregare” .
La nostra vita ha bisogno di integrare riflessione e prassi,
studio ed attività, silenzio ed incontro, sebbene per noi ciò non
89 Rom 8, 26-27

5.5 Page 45

▲back to top
46 ATTI DEL CONSIGLIO GENERALE
sia legato ad una rigida alternanza di tempi. E ciò nelle con­
dizioni attuali di vita in cui si è più esposti alla molteplicità, al
logorio, all’incalzare degli impegni.
Iniziazione dei giovani alla preghiera.
Un ultimo punto, non meno importante, è quello della ini­
ziazione dei giovani alla preghiera. Ringraziando il Signore, un
primo livello generale viene offerto a tutti attraverso la cate­
chesi, la preghiera giornaliera ben curata, le celebrazioni del­
l’Eucaristia, le feste.
I gruppi giovanili, che seguono la Spiritualità Giovanile Sale­
siana, possono coniugare meglio orazione esplicita e offerta di sé
per gli altri secondo il piano di Dio. Nei gruppi emergono gli
animatori e dirigenti. Questi non debbono essere solo “movimen­
tisti” , coordinatori, ma animatori, secondo la loro età e prepara­
zione, di un’esperienza umana e spirituale. Non è male che tra i
gruppi e per i loro membri vi siano occasioni e scuole di preghiera.
La partecipazione dei giovani alla preghiera comunitaria,
conforme a tempi e condizioni opportune, può essere anche uno
stimolo ed una proposta. Non dimentichiamo che da essi sgorga
saggezza di vita attraverso la Parola ascoltata, la condivisione,
la presa di coscienza del nostro approdo definitivo, l’attenzione
allo Spirito.
Maria, icona della nostra preghiera.
Maria è icona, modello e ispirazione di questa forma di ora­
zione: nel dialogo dell’Annunciazione, nel grato e gioioso inno
del Magnificat, la sorpresa nel tempio, l’attenta cura di Gesù,
la sequela fino alla Croce.
Vi è un’istantanea in cui l’atteggiamento di Maria appare in
uno splendore semplice ed essenziale. Il momento dell’incarna­
zione è un avvenimento in apparenza insignificante, che accade

5.6 Page 46

▲back to top
IL RETTOR MAGGIORE 47
in una piccola nazione, nei dintorni di una cittadina scono­
sciuta, fuori dagli ambiti dove avvengono le cose che contano
e dove si prendono le decisioni che influiscono sulla gente.
Betlemme è l’opposto di Roma, Gerusalemme o Babilonia.
La grotta è l’antitesi di una reggia, un tempio o un palazzo.
E così il fatto sarebbe rimasto per sempre: nascosto e insi­
gnificante. L’annuncio degli angeli, invece, lo fa diventare “no­
tizia” per i pastori che ascoltano non solo il racconto dell’acca­
duto, ma la sua interpretazione salvifica: il bambino nato non è
un uomo qualunque, è l’atteso, il Salvatore.
Luca riproduce così la natura dell’evangelizzazione. Essa
non è una dottrina su Dio e sul mondo, né insegna soltanto ve­
rità religiose o etiche, ma riferisce avvenimenti veramente ac­
caduti, evidenziandone il significato che hanno per l’uomo e il
messaggio che contengono. La luce che si sprigiona dall’an­
nuncio viene da Dio, ma è contenuta e rivelata nei fatti della
storia umana.
E qui Luca sottolinea la diversa conoscenza che i vari perso­
naggi hanno dell’incarnazione e del suo significato, che è come
la chiave per vivere nella fede tutti gli altri eventi della vita
personale e sociale.
I pastori devono recarsi sul posto dove l’incarnazione accade
e possono averne una testimonianza diretta. Si fermano un po’ di
tempo e ascoltano Maria. Poi ritornano e riferiscono quanto è
stato detto loro sul bambino. Essi non hanno esperienza perso­
nale di fatti precedenti, come l’annunciazione e la nascita vergi­
nale e non hanno nemmeno assistito all’apparire di Gesù.
La gente che ascolta i pastori si stupisce di quello che essi
raccontano. Non esprime ancora la fede, ma è soltanto presa da
quell’interesse iniziale, da quella curiosità per il meraviglioso
in cui la fede può avere inizio.
«Maria, da parte sua, conserva tutte queste cose, meditando­
le nel suo cuore»90. Ella non deve venire, come i pastori, al luogo
90 Le 2, 51

5.7 Page 47

▲back to top
48 ATTI DEL CONSIGLIO GENERALE
dove avviene l’incarnazione. È già lì, è parte dell’avvenimento.
Non deve sentire da altri come sono andate le cose e quale signi­
ficato hanno. Ella conserva memoria di tutte le promesse fatte
all’umanità, come dimostra il Magnificat, ed è consapevole che
Colui che è cresciuto nel suo seno viene dallo Spirito Santo.
Maria non si allontana, una volta visto il bambino, come i
pastori, dal luogo dell’avvenimento. Rimane. Non può allonta­
narsi. Dovunque Gesù si incarna, Lei è indispensabile. Non ca­
pisce ancora tutti i significati che si sprigionano, né può enu­
merare tutte le energie che scaturiscono dall’incarnazione.
Significati ed energie si riveleranno lungo la vita di Cristo e
lungo tutti i secoli. Però Maria conserva nel cuore il ricordo del­
l’avvenimento, lo tiene caro, lo medita, vi è attenta e all’occa­
sione lo sa ripensare per scoprirne nuove conseguenze.
Questa è la meditazione di Luca, che può suggerire anche a
noi qualche spunto di meditazione sulla nostra spiritualità pa­
storale.
Noi non possiamo essere solo visitatori, turisti della parola e
del mistero di Cristo. Sant’Agostino, paragonando gli atteggia­
menti delle tre categorie di persone di cui abbiamo parlato, do­
manda al cristiano: A chi assomigli? a coloro che sentono l’an­
nuncio e soltanto si stupiscono? ai pastori che vengono alla
grotta, prendono qualche notizia e partono per annunciarla, o a
Maria che coglie tutta la verità di Cristo, la serba nella mente e
la medita continuamente? L’ammirazione dei primi si diluisce
presto; l’informazione dei pastori, pur dettata dalla fede, è im­
perfetta e germinale. Soltanto chi contempla e interiorizza il
mistero di Cristo può estrarne nuova luce e significati per i
tempi e per i popoli.
La storia della Chiesa annovera molte figure di evangelizza­
tori di primo piano. Sono tutti “meditatori” pazienti della Pa­
rola e contemplatori umili del mistero. Quello che hanno ap­
profondito nella preghiera e nello studio lo esprimono nella pre­
dicazione, negli scritti, nella guida della comunità cristiana,
nell’orientamento delle anime.

5.8 Page 48

▲back to top
i
IL RETTO R M A G G IO R E 49
Comunicare l’avvenimento di Cristo è la nostra professione
e la finalità della nostra vocazione. Dobbiamo esserne specia­
listi, perché lo avviciniamo con calma e tempo, ne ricaviamo
luce per la nostra vita personale, lo confrontiamo comunitaria­
mente con quello che osserviamo nel nostro ambiente: questo si
chiama interiorità. Non è un’operazione tecnica, ma l’effetto di
una passione: «Io vi ho generato a Cristo»91. Lo possiamo dire
anche a riguardo dell’educazione cristiana. Viene al caso un’e­
spressione di Don Bosco: «Ora vedo nella Congregazione un bi­
sogno, quello di metterla al riparo dalla freddezza col promuo­
vere lo spirito di pietà e di religiosa osservanza»92.
I nostri ambienti hanno la vocazione di far trasparire la pre­
senza di Dio: questo sopra ogni altra finalità, il resto viene
come conseguenza.
Con l’auspicio di un Anno nuovo ricco di grazia e fecondo di
bene, vi auguro una crescita nell’esperienza di preghiera, secon­
do lo spirito salesiano, perché, corroborati interiormente, pos­
siamo davvero essere «segni e portatori dell’amore di Dio ai gio­
vani»93. Con la protezione di Maria, Immacolata e Ausiliatrice.
91 1 Cor 4, 15
92 M B X IV pag. 551
93 Cost. 2