Atti_1931_056.ACS_


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1.
ATTI DEL CAPITOLO SUPERIORE
Il Rettor Maggiore.
J. M. J.
Carissimi Confratelli e Pigli in Nostro Signore Gesù Cristo,
1. Il mese della festa del nostro Beato Don Bosco mi suggerisce
di intrattenermi alcun poco con voi, proprio nell'intimità del cuore
che sente sempre più vivo il bisogno di comunicarvi qualcosa di
quanto ho veduto ed udito da Lui e di Lui, che adesso abbiamo la
fortuna di avere non solo Padre e Maestro desideratissimo, ma
Patrono potente in cielo.
Siamo ormai pochissimi i superstiti delle prime generazioni
salesiane che hanno personalmente goduto delle sue ineffabili fa­
miliarità. E d ogni dì, quando mi prostro dinanzi alla santa sua
Salma ad impetrare sopra di me e sopra ciascuno di voi, o miei
cari, la luce e la forza per essere sempre più degni suoi figli, mi
pare di ritrovarmi ancora con Lui vivo e rigodere della sua stu­
penda familiarità di sguardo, di voce, di tratto e di opere: fam i­
liaritas stupenda nimis, anche di lassù.
Così, mi pare, ch'egli da più tempo vada ripetendomi: « T'af­
fretta e non ti stancare dal ridire ai miei figli, ora affidati alle tue
cure, le cose che ho praticato e insegnato per divenire veri sale­
siani secondo il modello additatomi dall'alto ad ammaestramento
della nostra Società ».
Per questo nella mia precedente Circolare (Atti del Capitolo Su­
periore N ° 55) vi ho presentalo e raccomandato di studiare il
modello del vero salesiano, quale lo vide, cinquant'anni fa, il Beato

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Padre, e che tramandò a noi, perché fosse non solo un ricordo,
ma la realtà della nostra vita.
Lo si tenga perciò presente questo modello durante tutto l'anno
per realizzarlo dentro di noi: lo si studi e si approfondisca con la
meditazione quotidiana: se ne parli in ogni circostanza: se ne il­
luminino convenientemente i vari aspetti della visione, e si faccia
risaltare la disposizione dei diamanti, che, spostati, non rende­
rebbero più lo splendore della nostra vita.
La vita salesiana infatti, considerata nella sua attività, è la­
voro e temperanza, vivificati dalla carità del cuore nella luce sem­
pre più luminosa della fede e della speranza: considerata invece
nella sua spiritualità interiore, è guidata dall'obbedienza che di­
stacca dai beni caduchi con la povertà, e rende simili agli angeli
con la castità, suffulte dal digiuno e dalla visione del premio fu­
turo. Spostando questi diamanti, si avranno altre vite spirituali,
non più la salesiana.
Prego vivamente i cari Ispettori e Direttori di convergere le loro
conferenze su questo modello; e così pure i predicatori degli Eser­
cizi spirituali, i quali ne trarranno gli argomenti delle loro istru­
zioni, in modo che la spiritualità salesiana s'imprima bellamente
negli animi degli uditori.
Questo modello ve l'avevo già presentato, o miei cari, otto anni
fa, onde presiedesse, nel giorno del Giubileo d'Oro delle nostre
Costituzioni (3 aprile 1924), alla suggestiva cerimonia della con­
segna a ciascun socio della nuova edizione delle Costituzioni mede­
sime, coordinate e aggiornate alle prescrizioni del Diritto Canonico,
e dei Regolamenti che le spiegano autorevolmente. (Atti Cap. Sup.
N ° 23, pag. 176).
Allora era solo per richiamare tutti a meditare incessantemente,
mattino e sera, le nostre Costituzioni e i Regolamenti; invece, oggi,
questo modello, illuminato dagli splendori della santità del Beato,
dev'essere ricopiato da ciascuno di noi nei suoi minuti particolari,
onde la Società Salesiana rifulga quale dev'essere nell'universo
mondo. Perchè nell'augusto Personaggio della visione, il Beato ha
contemplato proprio la Società Salesiana in tutta la magnificenza
del suo manto e delle sue luci, che siamo noi.
Non si può dare società senza soci, i quali ne sono l'anima e
il paludamento esteriore. Ora noi salesiani, individualmente dob­
biamo curare l'acquisto e la lavorazione progressiva dei preziosi

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diamanti; ma, se vogliamo ch'essi brillino in tutto il loro splendore,
dobbiamo essere u n o s o l o , come il ricco manto del Personaggio
modello con l'osservanza delle Costituzioni praticate in conformità
dei Regolamenti e delle tradizioni paterne.
2. Siccome v'ho già intrattenuti altra volta, o miei cari, intorno
alle nostre Costituzioni e Regolamenti (Atti C. S. N ° 23); e siccome
il modello del vero salesiano, quale ci è proposto, è di per sè per­
spicuo a chiunque lo mediti alquanto nella luce della propria vo­
cazione: così ora mi pare conveniente e più pratico richiamare
la vostra attenzione sopra le nostre tradizioni che non dobbiamo
lasciare andare in disuso in nessun luogo e tempo.
Esse dànno il colore e imprimono il carattere alla nostra so­
cietà e missione. Se questo colore svanisce, se questo carattere si
perde, potremo ancora essere religiosi, ancora educatori praticando
puramente la lettera delle Regole, ma non saremo più salesiani di
Don Bosco.
Le Costituzioni degli Istituti religiosi sogliono infatti avere
molti punti di somiglianza e di quasi identità fra di loro: quello
che le distingue e le rende singolari, per lo più non è scritto nelle
Costituzioni, ma è contenuto nell’ interpretazione e nell'applica­
zione delle singole regole da parte del Fondatore, il quale, nella
pratica, vi imprime una caratteristica così personale che, salvo le
parole e il concetto generico, esse hanno acquistato una personalità
propria, che le distingue nettamente da quelle degli altri Istituti.
Ora noi sappiamo che il nostro Beato ha voluto praticare e far
praticare per lunghi anni le sue Regole, in modo che fossero scritte
con il suo spirito nelle tradizioni del suo Istituto, prima di darcele
scritte con l'inchiostro.
Di questa vita vissuta del nostro Beato Padre, che è impressa
con il suo spirito nelle nostre tradizioni, dobbiamo essere conser­
vatori integerrimi sempre e dappertutto, come lo sono stati i suoi
primi due successori i venerandi D. Rua e D. Albera con tutta
la gloriosa falange dei salesiani d'allora, e come è mio vivissimo
desiderio che lo siamo noi tutti senza eccezioni di sorta.
D. Rua, il giorno dopo la morte di Don Bosco, dinanzi alla
sua salma, fece formale promessa di custodirle gelosamente: al­
trettanto fece pure D. Albera, il giorno stesso della sua elezione a
Rettor Maggiore, dinanzi alla tomba del Padre in Valsalice: ed

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io, in tutti questi anni di Rettorato, non ho avuto altro desiderio
che di vedere attuate la lor solenne promessa e preghiera da parte
di ciascuno di noi.
Le nostre tradizioni, o miei cari, sono uscite dal cuore del Beato
Padre, il quale con esse ha nutrito i suoi primissimi figli. Questi,
prima ancora che avessero le Regole scritte da Lui e approvate dalla
Chiesa, mentre si assimilavano i suoi preziosi ammaestramenti
ed esempi, si fecero premura di raccogliere nelle loro Memorie e
Cronache, gli orari, le disposizioni, le norme, gli ordini, i fervo­
rini, le Buone Notti e quant'altro venisse fatto da D. Bosco e
che lor sembrasse degno di nota, perchè presentivano che la lor
opera sarebbe stata utile nell'avvenire.
Così la documentazione delle nostre tradizioni è di prim' or­
dine e ricchissima, sia perchè contenuta nella vita, nelle opere e
negli scritti del Beato; e sìa per questo filiale contributo di tanti
testimoni più che oculari, perchè essi stessi sono stati prima il
libro vivente sul quale l'amore del Padre s’era degnato scrivere a
caratteri indelebili, con una pazienza infinita, tutto il suo cuore
e tutta la sua anima con le sue meravigliose aspirazioni.
E perché questo libro vivente, scritto dall’amore del Padre, ve­
nisse trasmesso ininterrottamente alle reclute, sempre crescenti di
figli che da ogni parte sarebbero accorsi sotto la bandiera di lui,
ecco le prime riunioni di soli tre o quattro giovani, poi le confe­
renze particolari, indi le adunanze più numerose; ecco in seguito
i primi Capitoli ordinari, indi quelli generali con le loro Delibe­
razioni, ed infine le Lettere mensili, dapprima scritte a mano,
poi poligrafate, e nel 1896, stampate che costituiscono il miglior
monumento delle nostre tradizioni, anche nelle cose più minute.
Dal 1882 al 1920 queste Lettere mensili (e d'allora in poi gli
Atti del Capitolo Superiore) sono state il canale trasmettitore della
vita salesiana, quale l'aveva plasmata il Fondatore, a tutte le
Case della Società che andavano moltiplicandosi fin nei più lon­
tani continenti.
D i più, questa inesauribile miniera di documentazioni delle
nostre tradizioni s'arricchisce, o miei cari, di maggiori tesori nelle
55 annate del Bollettino Salesiano (la cui collezione dovrebbe tro­
varsi in ogni nostra Casa), e nei preziosi 9 volumi delle Memorie
Biografiche del Beato Padre scritte da D. Lemoyne, che son già
a vostra disposizione, la cui lettura, privata e pubblica, non sarà

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mai troppo raccomandata. Però i documenti degli ultimi 17 anni
della vita terrena di D. Bosco non ci hanno ancora rivelate le
maggiori meraviglie del suo meriggio e tramonto infuocati. Ed io
non trascuro nulla perché i cari D. Amadei e D. Ceria cavino
con ogni possibile sollecitudine dagli archivi i documenti che
finora ci sono nascosti ed allora avremo una più chiara compren­
sione dell'immensurabile patrimonio delle nostre tradizioni. Il re­
cente volume di D. Ceria, l'X I delle Memorie Biografiche, che
comprende solo l'anno 1875 della vita del nostro Beato, ci lascia
intravedere le restanti maggiori meraviglie dalle quali la figura
del nostro celeste Patrono balzerà fuori nella pienezza dei suoi im­
mortali splendori, facendoci comprendere sempre meglio le innu­
merevoli ricchezze ch’egli s’è degnato tramandarci.
Ora, o carissimi, stare attaccati a tutto questo meraviglioso
patrimonio, non tenerlo inoperoso, ma farlo fruttare al massimo
in ogni nostra Casa, è quello che ci deve stare maggiormente a
cuore, se amiamo veramente D. Bosco e vogliamo essere degni suoi
figli, non solo di nome ma di fatto.
3. Però può accadere che qualcuno, quasi inconsciamente, anzi
con le migliori buone intenzioni, pensi di potere fare a meno,
nella sua Ispettoria, Casa, Scuola, Laboratorio, or di una ed or
di un'altra delle nostre tradizioni, o perchè si credono cose da
poco, o perchè non interamente secondo le proprie vedute, o perchè
la lor attuazione importerebbe noie e fatiche, mentre sostituendole
ad altre più confacenti alle naturali inclinazioni, e senza troppi
riguardi della salvezza delle anime, avrebbe minori grattacapi e
fastidi.
Anche la naturale attrattiva verso tutto ciò che sa di novità,
può indurre alla trascuranza delle tradizioni, perchè non si riflette
che altro è correre dietro le novità ed altro essere sempre all'avan­
guardia di ogni progresso, come faceva e voleva D. Bosco.
I progressi che esigono la rinunzia di qualcuna delle migliori
tradizioni, per piccole che siano, non fanno per noi, o miei cari.
In simili casi restiamocene tranquillamente nella retroguardia alla
custodia della nostra eredità paterna e ne avvantaggeremo per
ogni verso.
Le nostre tradizioni nella lor totalità non sono altro che l'in­
terpretazione pratica delle Costituzioni e del sistema educativo del

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nostro Beato, quale egli stesso ce l'ha tramandata nella sua vita
e nei suoi ammaestramenti. Così le norme del sistema preventivo,
per quanto eccellenti in se stesse, se non vengono applicate secondo
le istruzioni, gli insegnamenti e gli esempi del Padre, si corre
pericolo di non conseguirne i frutti meravigliosi, e di essere forse
anche la rovina, anziché la risurrezione della gioventù affidata alle
nostre cure.
Alla luce di questo riflesso non è difficile intravedere la molti-
plicità di tante piccole tradizioni o dimenticato o messe in non
cale nella direzione, nella scuola, nell'assistenza, nelle ricreazioni
nelle relazioni con i giovani e con gli esterni, e nella premurosa
ininterrotta vigilanza di mettere i giovani nella morale impossi
bilità di fare il male e di prendere cattive abitudini.
Non sarà mai troppa la nostra insistenza a riguardo di queste
vigilanza preventiva contro l'offesa del Signore e contro le cattivi
abitudini, perchè è la nota tradizionale più caratteristica delle
nostra vita salesiana.
La pratica, genioina del sistema preventivo mette pure in evi­
denza la ragionevolezza di più altre tradizioni fissate nei nostri
Regolamenti, come quelle di non mettere le mani addosso, di non
condurre, nè ricevere giovani nelle celle o camere; di non prendere
abitudini personali, le quali, per quanto non siano forse gran che
disdicevoli altrove sono inconciliabili con la nostra vita di ogni
dì e di ogni ora in mezzo alla gioventù.
Queste tradizioni e più altre consimili sono destinate a conser­
vare tra di noi e in noi le qualità di veri educatori e salvatori
delle giovinezze crescenti.
Altre invece mirano a dare e a conservare una stessa fisonomia
alle nostre Case, mediante l'uniformità nell'orario, nelle pratiche
di pietà, nella mensa e negli altri atti della vita comune. Così
quando dovessimo recarci da una Gasa all'altra, oppure quando
gli estranei ne visitassero parecchie successivamente, da noi e da
loro si avrebbe quasi la sensazione di ritrovarsi sempre in un'unica
Casa.
Intorno a ciò l'osservanza delle nostre tradizioni lascia piut­
tosto desiderare. Spetta agli Ispettori e Direttori vigilare che l'o­
rario delle lor Case sia conforme ai Regolamenti e non subisca
cambiamenti troppo numerosi e repentini.
La regolarità dell'orario per la levata, per le preghiere, per i

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pasti, per le ricreazioni, per le passeggiate e per il riposo, è
indice sicuro di serietà, di ordine, di studio, di moralità e di
pietà soda.
Importa poi assaissimo che le pratiche di pietà siano fatte non
solo con regolarità d’orario, ma soprattutto con la regolarità del
metodo fissato dai Regolamenti. A questo riguardo le nostre pra­
tiche di pietà, per quanto categoricamente determinate da un testo
unico, sono, qua e là, in più Case, sottoposte a cambiamenti, ab­
breviazioni e prolungamenti arbitrari con grande facilità ed indif­
ferenza, sotto pretesto della necessità di adattarsi ai tempi, ai luoghi
e ai gusti altrui: quasi che le nostre pratiche di pietà siano cosa
molto secondaria che vien lasciata alla mercè dei Direttori e Cate­
chisti! No, no, o carissimi, e mi scuserete se qui calco alquanto
la penna: si sono avute troppe osservazioni in proposito e mi pare
necessario un richiamo alla regolarità.
Si stia da tutti e dappertutto a quanto è prescritto nel libro delle
Pratiche di Pietà tanto per i Confratelli, come per i giovani, in­
terni ed esterni. Sono le stesse pratiche di pietà dei tempi di Don
Bosco, e la loro uniformità nelle nostre Case è dimostrazione si­
cura che siamo veramente suoi.
Se ogni Istituto religioso ha le proprie divozioni, le proprie
pratiche di pietà, noi pure abbiamo le nostre e non dobbiamo so­
stituirle neppure in parte con altre per quanto eccellenti ci possano
sembrare per la loro antichità ed universalità.
Non cambiarle dunque, ma neppure abbreviarle: si recitino
invece ogni dì quali sono; e per farlo non è necessario di allungare
le funzioni, basta farle bene e con dignità. In qualche Casa si
prega e si canta meglio, impiegando meno tempo, che non in altre
nelle quali la troppa lentezza indispone e porge pretesto di non
terminarle. Parimenti certi predicatori dicono di più e più chiaro
che altri i quali parlano molto e dicono poco.
Il motivo di tale disparità sta in questo che nelle prime Case
si è saputo far gustare e amare le pratiche di pietà dai giovani,
mentre nelle altre le medesime pratiche sono solo un peso che i
giovani sopportano di mala voglia, nell'attesa di poterne fare a
meno, appena liberi.
4. U n 'altra tradizione, anzi la più importante e vitale per noi,
è la paternità. Il nostro Fondatore non è stato mai altro che Padre,

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nel senso più nobile della parola; e la santa Chiesa l'invoca ora
nella sua liturgia Padre e Maestro della gioventù.
Tutta la sua vita è un trattato completo della paternità che
viene dal Padre celeste: ex quo omnis paternitas in coelo et in
terra (Eph., 3, 25), e che il Beato ha praticato quaggiù in grado
sommo, quasi unico, verso la gioventù e verso tutti, nelle mille
contingenze della vita, a sollievo di tutte le miserie temporali e
spirituali, con totale dedizione e sacrifizio di sè, nella grandezza
del suo cuore, immensurabile come l'arena del mare, facendosi
tutto a tutti per guadagnare le anime giovanili e condurle a no­
stro Signore.
E come la sua vita non è stata altro che paternità, così la sua
opera e i suoi figli non possono sussistere senza di essa. Voi per­
ciò, miei carissimi figli, nell'ambito delle vostre mansioni, dovete
essere padri della gioventù affidata alle vostre cure; cioè dovete
giorno e notte, respirare e vivere più solo per i vostri giovani, so­
prattutto amando tenerissimamente le lor anime e sacrificandovi
per preservarle dal male e fortificarle nel bene.
In questo senso spetta a tutti la paternità e tutti siamo tenuti
a conservarla viva nei nostri cuori e nelle nostre opere. Però l'eser­
cizio esteriore di questa paternità viene nominativamente trasmesso
al direttore della Casa, non solo perchè la conservi, ma perchè
l'eserciti secondo gli ammaestramenti e gli esempi del Beato.
Ora questa tradizione della paternità direttoriale il Beato l'ha
trasmessa ai suoi direttori quasi unita all'atto e alla realtà più
sublimi della rigenerazione spirituale nell'esercizio del potere di­
vino di rimettere i peccati. Perchè il Beato esercitò ininterrotta­
mente per tutta la sua vita e con speciale predilezione questo po­
tere divino in favore dei suoi giovani. Confessarli era la sua oc­
cupazione preferita e non la cambiava con nessun'altra. Li con­
fessava appena alzato, durante il dì, a tutte le ore, dovunque, e
alla sera continuava molto volte fino a mezzanotte.
Appena s'era acquistata la confidenza d'un giovane, lo invitava
subito a confessarsi, e lo sapeva fare con tanta paternità sopran­
naturale che il giovane non solo non sapeva rifiutare, ma ne pro­
vava gran piacere e gli apriva candidamente tutto il cuore.
L'ho sperimentato io stesso. Ricordo, come di ieri, la prima
volta ch'ebbi la fortuna di avvicinarlo nella mia fanciullezza. Con­
tavo allora poco più di 10 anni. Il buon Padre era in refettorio,

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dopo il suo pranzo, e ancora seduto a mensa. Con grande amorevo­
lezza s’informò delle mie cose, mi parlò all’orecchio, e, dopo avermi
chiesto se volevo essere suo amico, soggiunse subito, quasi per
chiedermi una prova della mia corrispondenza, che al mattino
andassi a confessarmi.
Sono luci lontane, che però brillano di più viva chiarezza, ora
che la vita volge al termine, tra gli splendori abbaglianti dell'au­
reola immortale che cinge il capo di Colui al quale accostai il mio
di bambino per dirgli la mia anima nell'orecchio.
Cresciuto poi negli anni e divenuto io pure suo figliuolo e
sacerdote, quante volte udii ancora il Padre, ripetere pubblicamente,
nelle Buone Notti ai Confratelli e giovani delle Case che visitava,
l'invito di andare a confessarsi, ch’io avevo avuto personalmente
quand’ ero fanciulletto!
La sua parola faceva amare la confessione e poi, verso la fine,
molto delicatamente si offriva ad ascoltare quanti lo avessero de­
sideralo. Lo diceva, ben sapendo che ciò equivaleva ad averli, la
mattina, tutti d’attorno al suo confessionale... e questo non ostante
lo stato di salute in cui si trovava!
Perchè la confidenza non s’impone, ma s’ acquista, la confes­
sione dei suoi giovani, per Don Bosco, il grande conquistatore
di cuori, era la cosa più naturale; ne sperimentava i frutti mera­
vigliosi e gli pareva acquisito che potessero fare altrettanto i suoi
successori e i direttori delle sue Case.
Siccome personalmente aveva prese le cautele opportune per
tutelare la libertà dei giovani, con dare grande comodità di confes­
sori; così sperava che anche nell'avvenire si sarebbe potuto eserci­
tare dai suoi questa pienezza di paternità spirituale. Lui vivente
e poi per altri dodici anni, cioè fino al Decreto che inibiva ai Su­
periori di ascoltare ex professo la confessione dei propri dipen­
denti, l’esempio del Padre è stata la regola dei Direttori a questo
riguardo, s’intende, sempre con le dovute cautele per la piena li­
bertà individuale.
Il p r imo successore del Beato, il venerando D. Rua, avvenuto
l’ ordine della S. Sede, docile e ubbidiente, promulgò subito le norme
precise per l’attuazione delle nuove disposizioni nelle nostre Case.
In tal guisa i Superiori e i Direttori cessarono dall’esercizio di
questa lor paternità spirituale sopra i sudditi.
M a con il pretesto di evitare qualunque inconveniente, in un

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primo tempo si passò oltre il dispositivo del Decreto: i Direttori
si ritirarono addirittura dal confessare i giovani, cosa che non
è affatto proibita a nessun sacerdote approvato, qualunque sia la
carica che occupi nell'Istituto. Chi vi ha giurisdizione esterna è
solo tenuto a non ascoltare le confessioni dei suoi sudditi, mentre
può benissimo confessare tutti quanti i giovani non dipendenti
da lui.
Ora, come sarebbe bello che i nostri Direttori, evitando di ascol­
tare le confessioni dei propri sudditi diretti, confessassero regolar­
mente gli esterni degli Oratori festivi e dei Circoli giovanili; come
pure nei limiti del possibile, quelli di altre nostre Case vicine, e
tanti altri giovani che v'accorrerebbero assai volentieri se i Diret­
tori facessero rifiorire la tradizione sublimemente paterna del Fon­
datore, guadagnandoseli con le finezze deliziose della sua squisi­
tissima carità e bontà!
Miei carissimi Ispettori e Direttori, vi scongiuro nelle viscere
della carità di N. S. Gesù Cristo di far rivivere in voi e intorno
a voi questa tradizione della paternità spirituale, che pur troppo
va spegnendosi, con grande danno delle anime giovanili e della
nostra fisonomia salesiana.
Rimettetevi di nuovo all'opera che, secondo la mente e il cuore
del Beato Padre, dev’essere la prima e la più importante per il
Direttore Padre. Siate veramente Padri dell'anima dei vostri gio­
vani. Non abdicate alla vostra paternità spirituale, ma esercita­
tela, sia curando i vostri sudditi con regolari conferenze a tutti,
e in particolare alle varie Compagnie religiose; trovando poi modo
di intrattenervi privatamente con ciascuno, onde possiate dire di
possederne il cuore: e sia riservando per voi le confessioni degli
oratoriani ed esterni. Oh! confessateli proprio voi questi giovani,
regolarmente tutti i sabati e le domeniche come faceva D. Bosco,
e non mandatevi i preti novelli senza esperienza.
Perchè le confessioni giovanili siano fruttuose, occorre che il
confessore sia molto esperimentato e sia costante nel trovarsi al
suo posto nelle ore opportune.
Siate i confessori dei giovani e più ne confesserete, più vi sen­
tirete padri e più li amerete. Evitate la tendenza, che va insinuan­
dosi qua e là, di assumervi le confessioni delle donne nelle chiese
pubbliche e delle religiose. Il nostro Beato ha sempre preferito i
ragazzi e gli uomini. La confessione di questi sia la vostra occu-

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2.1 Page 11

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pazione, preferita, da non cedere a nessuno; e sarà la vostra gloria
più grande. Lasciate ad altri vostri dipendenti le confessioni delle
donne, delle religiose è delle stesse Figlie di Maria Ausiliatrice,
alle quali il Beato procurava sì buoni confessori, ma lui non ci
andava mai.
Se farete altrettanto, sarete i benedetti da Dio, da Maria A u ­
siliatrice, dal Beato Padre, dagli uomini e soprattutto dalle falangi
di anime giovanili, sopra le quali avrete fatto scendere tante volte
la pienezza del Sangue prezioso del nostro divin Salvatore!
5. Altro punto importante delle nostre tradizioni riguarda la
temperanza e lo spirito di mortificazione.
Quando cinquantacinque anni fa, il nostro Beato contemplò
nella visione (settembre 1876) l'avvenire meraviglioso della sua
Società, udì pure questo monito:... « Ma sai a quali condizioni si
potrà arrivare ad eseguire quello che vedi? Te lo dirò io. Guarda:
bisogna che tu faccia stampare queste parole che saranno come il
vostro stemma, la vostra parola d'ordine, il vostro distintivo. N o­
tate bene: Il lavoro e la temperanza faranno fiorire la Congrega­
zione Salesiana. Queste parole le farai spiegare, le ripeterai, insi­
sterai, farai stampare il Manuale che le spieghi e faccia capir
bene che il lavoro e la temperanza sono l'eredità che lasci alla
Congregazione, e nello stesso tempo ne saranno anche la gloria... ».
N oi da più anni assistiamo al progressivo, meraviglioso avve­
ramento della mirabile visione. A l fascino di questa parola d'or­
dine e di questo distintivo non cessano dall'accorrere numerose
reclute che poi si lanciano intrepide dovunque l'obbedienza le
invia, portando con se il Manuale del lavoro e della temperanza,
scritto dal Beato stesso con la sua vita mortificatissima e con la
temperanza eroica dei suoi primi figli.
Le mortificazioni di tutta la vita del Padre sono veramente un
libro che ce le mostrano sempre più straordinarie tra le straordi­
narie, benché egli si fosse studiato ognora di farle passare tra le
cose più ordinarie. Si è quasi tentati di pensare ch'egli abbia voluto
prenderle tutte sopra di sè per esonerarne i suoi figli futuri. Infatti
ad essi non ha voluto imporre mortificazioni particolari all'in­
fuori di quelle della vita comune, del vitto comune, e del digiuno
del venerdì.
Ora, o miei cari, se pensiamo che nei primi tempi della Con­

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gregazione si era generosamente temperanti e mortificati sin quasi
alla privazione delle cose di prima necessità; da noi non si do­
vrebbe trovare poi gran difficoltà per essere fedeli nell'osservanza
del digiuno del venerdì (Art. Cost. 155), e nel fare « vita in tutto
comune, e quanto al mangiare e quanto al vestire » in conformità
degli articoli del Regolamento delle Case (2, 3, 4, 5, 6, 12, 15);
tanto più che tutte le cose in esse sono di una larghezza tale da non
sembrare neppure delle mortificazioni.
Ma pur troppo non è così. Nella nostra vita semplice e morti­
ficata, qua e là, vanno infiltrandosi e prendendo piede delle con­
suetudini, praticate forse nel mondo, ma disdicevoli al tenore di
vita religiosa da noi professata.
Nel cibo, nei digiuni, nelle astinenze si crede di potere fare ciò
che è in uso presso i secolari, dimenticando che il nostro vitto
ordinario, a colazione, pranzo e cena, ha da essere uguale per tutti
(tranne il caso di indisposizione o malattia), nella qualità e quan­
tità; e che sono pure determinate le portate durante i differenti pasti.
Queste portate cambiano naturalmente secondo i cibi in uso
nel paese dove si vive: e, se necessario, con il consenso scritto del
Rettor Maggiore, si possono distribuire in ore differenti secondo
le esigenze dell'igiene e dei bisogni locali, ma non debbono essere
accresciute le portate nel complesso della giornata.
Perciò l’intercalare una vera merenda, tra il pranzo e la cena,
conservando in pari tempo quello che è concesso per la cena;
il ripetere la porzione fissata per ciascun pasto, sotto pretesto che
non è sufficiente una sola; il servirsi dei piatti di servizio smo­
deratamente, in modo disdicevole alla buona educazione; il pre­
tendere altre pietanze, a capriccio, senza vera necessità e previa
licenza del Superiore; ed altre consimili eccezioni, che sanno
più di golosità ed ingordigia, che di vera necessità, devono es­
sere ritenute da noi tutti come affatto contrarie allo spirito sale­
siano delle nostre tradizioni, e quindi da evitarsi con ogni possi­
bile diligenza sia da parte dei Superiori come di ciascun Con­
fratello.
Ora poi va introducendosi in certe Case l'uso del caffè a mezzo­
giorno. Ecco a questo riguardo quale fu sempre l'usanza che dob­
biamo rimettere in vigore, dove fosse necessario.
Durante gli anni del nostro Beato, di D. Rua e di D. Albera,
fino al 1914, alla tavola comune non si serviva il caffè, eccetto in

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qualche pranzo straordinario e nel caso in cui si voleva onorare
qualche ospite distinto. Allora il caffè, oltre che al personaggio
onorevole, veniva servito a due o tre altri del Capitolo. Fuori di
questo caso il caffè non era portato alla mensa comune. Chi ne
aveva bisogno, con il permesso del Superiore, discendeva a pren­
derlo nell'antico refettorietto presso la cucina sotterranea di quei
tempi: ma la cosa si limitava a pochissimi anziani e malandati
di salute.
Nel 1914, avendo il Capitolo Superiore stabilito cucina e re­
fettorio a parte, venne a mancare il piccolo luogo per il caffè a
coloro che ne avevano bisogno. Il sottoscritto, allora Prefetto Ge­
nerale, dispose che al Sig. D. Albera e a qualche altro fosse servito
prima del ringraziamento alla medesima tavola del refettorio co­
mune.
L 'esperienza ha dimostrato che sono molto più saggi gli altri
Istituti che non danno il caffè a nessuno prima del ringraziamento,
nel refettorio comune, ma solo dopo la visita al SS. Sacramento,
presso la cucina od anche nella camera di quelli che ne hanno bi­
sogno.
Ho creduto necessaria questa pubblica esposizione, perché l’uso
del caffè va dilagando, ed ogni giorno crescono di numero quelli
che sono attratti da questo bisogno: ed io, essendo stato la causa
di questo abuso, desidero di mettervi il riparo coll'esempio e con
la parola.
Quindi da questo momento si ritorni all'usanza dei tempi del
Beato Don Bosco in tutte le nostre Case.
Insisto pure sull'osservanza del digiuno al venerdì in onore
della Passione di N. S. Gesù Cristo, da parte di quanti sono in
grado di farlo; e il cambio della qualità sia solo per gli ammalati.
La mortificazione poi della sera del venerdì dev’essere fatta, come
s’è sempre usato presso il Capitolo Superiore, anche quando ci
fosse la dispensa ecclesiastica.
« Con queste piccole mortificazioni concludeva il Beato i
suoi appunti per un'istruzione sopra quest’argomento si avrà
il fervore nella preghiera, si vinceranno le insidie del corpo, la
virtù trionferà, la Congregazione diverrà un paradiso terrestre ».
6. Nel numero 54 degli « Atti del Capitolo Superiore » feci
pubblicare le parole del Beato che caratterizzano il Coadiutore

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salesiano, illustrate dal pratico ed esauriente commento del ca­
rissimo Consigliere Professionale D. Giuseppe Vespignani. Le cor­
dialissime lettere allora ricevute da molti Coadiutori per ringra­
ziarmi del prezioso regalo, mi fecero molto piacere, non già per
i ringraziamenti, perché è dovere del Superiore comunicare ai sud­
diti tutto quello che riguarda il loro perfezionamento; ma bensì
per le promesse esplicite di trarne profitto e farne tesoro per l'avve­
nire.
Queste promesse sono il vostro migliore ringraziamento, o miei
cari, perchè ho piena fiducia che le manterrete. Non posso però
esimermi dal dire una parolina proprio per voi sopra l'argomento
delle nostre tradizioni.
Come avrete rilevato, alcune delle nostre tradizioni sono gene­
rali, cioè da osservarsi da tutti indistintamente; ed altre partico­
lari, che devono essere osservate da coloro che occup ano una data
carica o mansione.
Ora il prezioso documento del Beato, che, con il relativo com­
mento, mette in bella luce la singolarità, la grandezza e lo spirito
della vostra vocazione religiosa, contiene pure tutte le tradizioni
proprie della vostra vita quotidiana e della vostra missione.
Il Beato ha tenuto a far risaltare che i Coadiutori salesiani
sono veri religiosi, quanto i chierici e i sacerdoti; e che, per le
mansioni lor affidate, diventano « quasi chi dirige, come padroni
su gli altri operai, non come servi... Non sudditi semplicemente,
ma superiori. Tutto però con regola e nei limiti necessari ».
Egli vuole che i coadiutori siano « padroni di casa » . dunque
in Casa, per la Casa e della Casa: dunque, non con il cuore al­
trove, non vanitosi, non del mondo; ma addetti al canto, alla mu­
sica, alle funzioni delle domeniche e feste, agli interessi della co­
munità, agli Oratori festivi, alle Compagnie e Società giovanili:
dunque primi nella levata, nell'orario di tutti gli atti comuni
(preghiere, meditazione, lettura spirituale, esami di coscienza,
esercizi di Buona morte, conferenze e rendiconti), nel servizio delle
sante Messe, nel fare il catechismo e nel tenere la disciplina tra
i giovani.
Li vuole perciò lontani dai pericoli, dai rumori del mondo,
da certe uscite, non autorizzate, semiclandestine; da certe compagnie
e da certe visite punto necessarie e convenienti: lontani da certe
abitudini, portamenti e modi di agire tutt'altro che esemplari:

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947
lontani infine da certe moderne eccezioni di radio, sia pure nella
propria camera o nel laboratorio, perchè tutte queste cose contra­
stano e impediscono la vera vita religiosa fondata sopra la pietà
solida e fervorosa, sopra la carità ardente, la purezza trasparente,
la pazienza e bontà inalterabili; sopra lo spirito del lavoro senza
limiti con semplicità spontanea, serena verso tutti, anche in mezzo
alle contrarietà inevitabili di quaggiù.
Approfondite, cari Coadiutori, e fate di ritenere scolpite nella
mente per tradurle nella realtà della vostra vita di ogni dì e di
ogni ora, le mirabili cose del prezioso documento paterno, che vi
appartiene personalmente; ed io vi assicuro che comprenderete
sempre meglio la grandezza del vostro stato e non cesserete più dal
ringraziare e benedire la divina Misericordia per avervi chiamati
ad abbracciarlo e che vi aiuta a perseverare in esso. Tanto più
che la Congregazione, da tenera madre, mette a vostra disposizione
tutto il tempo necessario e i mezzi migliori per la vostra completa
formazione.
Siccome non è possibile divenire buoni capi e maestri d’arte
senza lunghi anni di studio e di tirocinio, così, o miei cari, dovete
persuadervi bene che non potreste da soli, senza diuturna e seria
preparazione, formarvi religiosi perfetti, quali il Beato vi vuole,
atti a fare da padroni e a dirigere gli altri.
Solo con una preparazione lunga, regolare e fatta da lui per­
sonalmente, D. Bosco ha ottenuto dei veri modelli di Coadiutori
come Rossi Giuseppe, Pelazza Andrea, Frescarolo Francesco, Au-
disio Cipriano, Buzzetti Giuseppe, Fontana Carlo, P alestrino Do­
menico, Rossi Marcello, ed altri simili confratelli, per ricordare
solo alcuni di coloro che hanno già raggiunto il premio.
Alla morte del Beato, D. Rua, suo fedele interprete, vedendo
crescere il numero degli Ascritti Coadiutori, stabilì che i giovani
professi passassero a S. Benigno gli anni necessari, per fortifi­
carsi nello spirito e perfezionarsi nella lor arte, cosa che, nei limiti
del possibile, venne continuata anche in seguito a S. Benigno fino
alla guerra.
A l presente, essendo cresciute a dismisura le esigenze per le
scuole professionali e per di più anche i pericoli di far naufragio
nella vocazione, i Superiori sentono ogni dì più impellente la ne­
cessità di dovere dare ai confratelli Coadiutori una preparazione
lunga almeno quanto quella dei chierici.

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Questi, dopo il noviziato, hanno due anni di filosofia, tre di
esercizio pratico e quattro di teologia, in tutto quasi dieci anni,
durante i quali essi fanno una vita di studio, di disciplina e di
sottomissione perfetta.
I Coadiutori non ne hanno bisogno di meno per divenire buoni
religiosi, veri maestri d'arte, direttori di laboratorio e capi del-
l'azienda salesiana. Ci conceda il nostro Beato di potere compiere
quanto ci sta a cuore, ed allora i Coadiutori, ai quali egli, cinque
anni prima che morisse, aveva in S. Benigno dato il programma
del loro apostolato e preannunziato il crescente numero, vedranno
pure avverato l'augurio che sarebbero cresciuti eziandio « in bontà
ed energia, e allora, come leoni invincibili, avrebbero potuto fare
molto del bene ».
7. Le poche cose, che son venuto fin qui esponendovi alla buona
e con il cuore alla mano, vi siano di eccitamento, miei cari figli,
a conservare e praticare anche le altre tradizioni salesiane che fos­
sero trascurate nelle vostre mansioni e nella vostra Casa. Ciascuno
procuri di divenire nella sua vita una vivente tradizione salesiana
con fuggire ogni novità nelle pratiche religiose, ogni mutamento
nell'orario della giornata e dei propri doveri, ogni massima, ogni
detto, ogni modo di fare che non fosse consono alle regole e agli
esempi del Beato.
Termino con le parole pronunziate dal nostro santo Padre alla
fine di una delle sue conferenze nel 1875. Eccole:
« Ancora una cosa e finisco. Uniamoci d'accordo nell'eseguir
bene le pratiche di pietà della nostra Congregazione e specialmente
ciò che riguarda l'esercizio della Buona Morte, l'ultimo giorno di
ogni mese. Per quanto si può, si lascino tutte le occupazioni estra­
nee in detto giorno, e ciascuno si applichi proprio in cose spettanti
alla salute eterna dell'anima sua; io spero molto, in questo eser­
cizio ben fatto; perchè se ciascuno ogni mese impiega un giorno
ad aggiustare in modo regolare tutte le cose sue, costui, venga la
morte quando vuole e nel modo che vuole, non avrà a temere la
morte improvvisa. Non solo in detto giorno si faccia una confes­
sione con maggiore diligenza ed una più fervorosa Comunione,
ma anche si dia sesto alle cose che riguardano gli studi e special­
mente alle cose materiali; che se la morte ci sorprendesse, allora
noi potremo dire: Non ho più da pensare e nient'altro che a morire

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nel bacio del Signore. Che Iddio vi benedica, miei cari figliuoli ».
La grazia di N. S. Gesù Cristo sia sempre con noi e ci renda
costanti nella pratica di tutte le tradizioni che abbiamo imparate,
ricevute e udite dal Beato Padre. Allora il Dio della pace sarà
con noi; e la pace di L ui che sorpassa ogni intendimento, custo­
dirà i nostri cuori e i nostri pensieri in Cristo Gesù, finche non
entreremo definitivamente nel gaudio eterno del bel Paradiso.
Pregate per me che non vi dimentico dinanzi all'altare del
nostro Beato Padre.
T orino, 26 aprile 1931,
Festa del Beato D. Bosco.
Sempre vostro aff.mo in C. J.
Sac. FILIPPO RINALDI.
N B. — Credo opportu n o n otifica rvi fin d ’ ora i Ricordi per gli eser­
cizi spirituali che si terranno ai confratelli durante l’ anno 1931 perchè
desidero che siano i medesimi per tutti.
Il Salesiano qualis esse debet: Religioso, laborioso e temperante quando
è animato dalla fede, dalla speranza e dalla carità.