401-450|it|440 Dove ci porta il Signore

DOVE CI PORTA IL SIGNORE

«Mi ha detto: “Ti basta la mia grazia;

la forza infatti si manifesta pienamente nella debolezza”» (2 Cor 12, 9)




Torino, 8 settembre 2023

Festa della Natività della Beata Vergine Maria




Carissimi Confratelli,

come in molte altre occasioni nelle quali mi sono rivolto a voi attraverso le lettere indirizzate ai membri della nostra Congregazione, vi saluto con profondo e fraterno affetto.


In questa circostanza il mio scritto è accompagnato da un sentimento molto particolare. Infatti, questa è – insieme al commento alla Strenna che invierò a breve – l’ultima lettera che vi scrivo come Rettor Maggiore. Certamente non dimentico che fra poche settimane vi farò arrivare la convocazione del CG29.


Non è un segreto che – come già sapete dal 9 luglio scorso, con la nomina come Cardinale fatta dal Santo Padre, Papa Francesco – la mia vita subirà una svolta importante.


Nella lettera, inviata due giorni dopo la notizia comunicata in occasione dell’Angelus del 9 luglio, ho condiviso con tutti voi, cari confratelli, e con la Famiglia Salesiana che il 31 luglio 2024, se è volontà del Signore e se Egli mi concederà pace e salute, presenterò le mie dimissioni da Rettor Maggiore per dedicarmi a quanto Papa Francesco mi chiederà per servire in un altro campo la Chiesa. Ecco spiegato il motivo del sentimento molto particolare che accompagna queste mie parole.


Il titolo di questa lettera, ispirato ad un libro di qualche anno fa sulla vita religiosa, è molto suggestivo. E intende essere allo stesso tempo una confessione di fede e una risposta vocazionale attraversate dalla speranza1.


Con questo atteggiamento mi rivolgo a voi, confratelli di tutto il mondo: consapevole del momento attuale che come Congregazione stiamo vivendo e con l’obiettivo di offrire una visione, il più possibile lucida, a partire da ciò che ho vissuto e sperimentato in questi quasi dieci anni del mio servizio come Successore di Don Bosco.


Già nel 2015, in occasione della celebrazione del bicentenario della nascita di Don Bosco, ho proposto un percorso che contemplava “i miei sogni” per ciascun salesiano. A distanza di diversi anni, mi sembra opportuno tornare ad esprimere, in modo molto semplice e diretto, quello che oggi la nostra Congregazione è diventata, grazie al bel cammino percorso; e, allo stesso tempo, avendo presente le sfide più importanti che dobbiamo ancora affrontare.


Come detto, il 25 luglio 2015, parlando dei frutti del Bicentenario della nascita di Don Bosco2, vi manifestavo quali fossero i miei sogni per ciascun confratello e per la nostra Congregazione. Li ho comunicati così come li sentivo nel mio cuore e li ho espressi in uno schema che ho poi sviluppato pagina dopo pagina:


  • Sogno una Congregazione di Salesiani felici;

  • Sogno una Congregazione con uomini di fede e pieni di Dio (in un cammino di fede e di ricerca di Dio);

  • Sogno una Congregazione di Salesiani appassionati dei giovani, dei più poveri (cercando sempre il servizio, mai il potere o il denaro);

  • Sogno una Congregazione di veri evangelizzatori ed educatori nella fede;

  • Sogno una Congregazione sempre missionaria.


Sono trascorsi otto anni da questo “sogno”. Ognuno di noi ha vissuto molte esperienze lungo questo tempo; il cammino percorso come Congregazione è stato lungo e intenso. Ci sono stati molti e buoni risultati e restano attive ancora alcune sfide. È su queste ultime che desidero soffermarmi in questa ultima lettera, a mo’ di bilancio, con uno sguardo di fede e alla luce dell’esperienza acquisita e interiorizzata nel corso di questi dieci anni.


E poiché farò riferimento alle luci e alle ombre, alle conquiste e alle sfide che rimangono ancora davanti a noi, desidero cominciare riferendomi a una pubblicazione di Thimothy Radcliffe, che è stato Maestro Generale dell’Ordine Domenicano. Qualche tempo fa ha scritto un libro intitolato Essere cristiani nel XXI secolo. Il suo testo inizia con un’espressione che riguarda la vita cristiana in generale, ma che io leggo e giudico ugualmente molto valida e opportuna per la vita religiosa consacrata e, in particolare, per noi Salesiani. Recita così:


«Dobbiamo evitare due tentazioni: la prima è quella di rinchiuderci in un ghetto, l’altra è quella di assimilarci alla società ed essere succubi di una cultura ormai secolarizzata (…) Dobbiamo stare con la gente, condividere i loro problemi, stare al loro fianco all’ombra degli insegnamenti e delle dottrine della Chiesa, e solo allora potremo uscire e scoprire insieme una parola che deve essere condivisa»3.


Pensando al contenuto di questa lettera e a ciò che intendo condividere con voi, cari confratelli, sono ben consapevole di offrirvi in tutta onestà il mio punto di vista, la mia lettura di ciò che ho vissuto, creduto, pensato, pregato e elaborato in questi anni. Sono senza dubbio possibili molte altre letture. Io presento la mia visione – in modo molto sintetico – a partire dalla conoscenza della nostra Congregazione e della Famiglia Salesiana acquisita durante il mio servizio.


Ecco alcuni elementi principali:


  • Ho ripetuto in molte occasioni che come Congregazione stiamo vivendo anni molto sereni. Lo ribadisco ancora. La vita nelle ispettorie prosegue. Le difficoltà della Congregazione sono quelle tipiche di un’istituzione composta da circa 14.000 Salesiani di Don Bosco suddivisi in 92 ispettorie presenti in 135 Paesi.

Soprattutto, desidero evidenziare e sottolineare il clima di profonda comunione che esiste nella Congregazione e che è ben visibile nei rapporti tra ogni ispettoria e il Rettor Maggiore e il suo Consiglio e tra alcune ispettorie. Si tratta dell’armonia e della comunione che si percepisce quando si cammina insieme. In poche parole, si è potuto – e si potrà ancora – realizzare un vero e proprio accompagnamento di ogni ispettoria.


  • Ho insistentemente ricordato, e sensibilizzato la Congregazione, su quanto sia vitale per noi essere e vivere come consacrati, che cercano di appartenere sempre più a Dio4. Dal primo Messaggio del 2014 alle Linee programmatiche proposte dopo il CG28, ho sempre dato priorità alla dimensione della nostra consacrazione.


  • Penso di poter affermare che, anche in questi ultimi anni, la Congregazione ha percorso un bel cammino, concretizzando l’articolo 2 delle nostre Costituzioni, testimoniando di «essere nella Chiesa segni e portatori dell’amore di Dio ai giovani, specialmente ai più poveri» (C.2)

La Congregazione di oggi non ha affatto trascurato i giovani e i ragazzi, e in particolare i più poveri. Si è compiuto un cammino in tutte le ispettorie, segnato da successi e fallimenti, ma sempre privilegiando l’opzione preferenziale per i giovani, soprattutto i più poveri, perché loro, i giovani, sono «i nostri padroni»5.

Posso dirvi in tutta franchezza, cari confratelli, quella che considero l’assoluta verità: in questi ultimi dieci anni non abbiamo preso una sola decisione all’interno del Consiglio generale, riguardo alla missione salesiana delle nostre presenze, in cui non si sia tenuto conto di questa nostra priorità nei confronti dei più poveri. Posso dichiarare questo in riferimento alla mia persona e a quella degli altri membri dei due consigli generali degli ultimi dieci anni: in questo periodo non c’è stata una sola ispettoria nel mondo nella quale non abbiamo esplicitato questa priorità che, di solito, è stata accolta molto bene dagli ispettori e dai loro consigli.

Accenno già ad un grande pericolo potremmo correre: quello di occuparci dei poveri, di offrire servizi ai poveri, ma di non “stare” con i poveri e di non “essere” poveri. Tornerò su questo punto successivamente.


  • L’accompagnamento personale e la vicinanza ad ogni ispettore nel suo servizio alla propria ispettoria è stata una priorità in questi anni e credo di poter dire con soddisfazione che è stata una buona scelta.

In un modo o nell’altro, i 157 ispettori nominati in questi dieci anni hanno potuto sperimentare di non essere soli nel loro servizio; e che la comunione con il Rettor Maggiore e il suo Consiglio si è tradotta nella vicinanza e nello scambio di riflessioni e di conoscenza della realtà che ci ha aiutato reciprocamente e in modo significativo.


  • L’evangelizzazione e l’annuncio esplicito della fede hanno fortemente caratterizzato il cammino della Congregazione in questi anni. L’abbiamo proposta come linea programmatica prioritaria anche per il sessennio in corso. L’illuminazione che continua ad offrire il settore della Pastorale Giovanile della Congregazione è, in questo senso, chiara e significativa, ed è di grande aiuto per quanti desiderano un aiuto per fronteggiare le sfide dell’educazione e dell’evangelizzazione all’interno delle nostre presenze.

Allo stesso tempo non abbiamo né ignorato né trascurato il fatto che in molte parti del mondo interagiamo quotidianamente con altre fedi religiose. Abbiamo cercato di essere attenti a questa realtà e specificità.


  • Posso anche dire che nel corso di questi anni, all’interno della Chiesa, è cresciuto e si è rafforzato un debito di riconoscenza nei confronti della nostra Congregazione, grazie alla missione che svolgiamo a favore del Vangelo.

Riconosco, in tutta semplicità e allo stesso tempo con tutta chiarezza, che siamo una Congregazione apprezzata e rispettata nella Chiesa. Si tratta di una sensazione che ho colto anche nei miei frequenti incontri con i Superiori Generali delle altre Congregazioni all’interno dell’Unione dei Superiori Generali.


  • Come Famiglia Salesiana, Famiglia di Don Bosco, continuiamo a percorrere un buon cammino, in modo semplice ma costante, maturando sempre più nel senso di famiglia, crescendo anche nell’identità e nello sprito di appartenenza, rendendolo visibile in molti modi, tra i quali vorrei segnalare il frequente riferimento alla figura e al ruolo del Rettor Maggiore come padre e centro di unità della Famiglia Salesiana6.

Vorrei sottolineare, inoltre, la partecipazione sempre più numerosa e molto significativa dei responsabili mondiali della maggior parte dei gruppi alla Consulta Mondiale della Famiglia Salesiana che si tiene ogni anno in Italia – ultimamente a Torino-Valdocco, nei luoghi salesiani più significativi.

Non meno importanti sono stati la crescita e lo sviluppo delle Giornate di spiritualità salesiana anche in tempo di COVID. Purtroppo, questo “colpo”, che ha interessato duramente il mondo intero, provocando tanto dolore e danni in tanti modi, ci ha richiesto di essere più creativi cercando soluzioni che hanno consentito di dare impulso e novità alle Giornate di spiritualità che ora si tengono contemporaneamente a Roma e a Torino e in tutte le Regioni della Congregazione (cioè in tantissime ispettorie).


  • È fuori discussione che il nostro più grande dono è il carisma della nostra identità segnato dalla missione salesiana.

Altre congregazioni e diversi gruppi della Chiesa hanno dovuto rileggere e riconvertire il carisma della propria istituzione. Non è stato così per il carisma di Don Bosco e, a sua volta, per i destinatari della nostra missione che sono e rimangono i giovani a cui siamo inviati, gli stessi del tempo di Don Bosco.

Con Don Bosco, quindi, riaffermiamo la nostra preferenza per i giovani poveri, abbandonati e in pericolo; e tra questi i giovani del mondo del lavoro, i giovani degli ambienti popolari e quelli che si trovano tra i popoli non ancora evangelizzati.


  • In questi anni, e sempre in sintonia con il precedente cammino della Congregazione, abbiamo curato la “missionarietà” e i campi di missione.

Siamo intervenuti per favorire, per quanto possibile, la crescita e lo sviluppo di altre ispettorie in tutti i continenti mediante il dono di confratelli missionari. A questo proposito ricordo che c’è stata una risposta costante ogni anno.

Abbiamo accompagnato la nascita di altre ispettorie e circoscrizioni speciali.

Ci siamo attivati per renderci presenti in modo significativo e qualificato in alcune parti del mondo arabo e islamico.


  • Ci siamo orientati e mossi con decisione verso la costituzione di comunità sempre più internazionali. So che per alcuni confratelli questa ha rappresentato una scomoda o addirittura difficile novità. Infatti, costruire l’unità e la comunione nell’unica missione a partire dalla diversità e dalla varietà delle nostre origini e delle nostre culture è sempre impegnativo. E, allo stesso tempo, molto più profetico.

D’altra parte, cari confratelli, il futuro della Congregazione è e sarà sempre più caratterizzato dalla diversità culturale: in termini di origine e come appartenenza a popoli e nazioni. In una parola, semplicemente più vario.

In ogni caso, nell’accettazione e nella cura di questa diversità, a partire dal Vangelo del Signore Gesù, troviamo sempre la forza che ci aiuta e ci sostiene nell’attuazione della nostra missione.


  • La Congregazione continua a percorrere un prezioso cammino di solidarietà in termini di risorse umane, sia attraverso l’aiuto tra le ispettorie sia contando sugli interventi del Rettor Maggiore e del suo Consiglio. Misure che si rendono urgenti a causa delle necessità di molte ispettorie e di alcuni enti e servizi di carattere globale o internazionale.

Nel sessnnio in corso ho dichiarato che avremmo contato sull’aiuto di tutte (o del maggior numero possibile) le ispettorie per sostenere i vari servizi internazionali. In generale, constato e apprezzo la generosità, sia dei confratelli sia delle varie ispettorie, nel mettere a disposizione salesiani per vari servizi e per un determinato periodo di tempo. Questa si sta rivelando una realtà molto positiva che continueremo a consolidare.


  • Il Signore ci sta benedicendo con il dono di un buon numero di vocazioni alla vita consacrata salesiana.

Negli ultimi dieci anni, la media dei novizi è stata di 442 ogni anno. Un grande dono. Ringraziamo il Signore perché continua a prendersi cura della Congregazione di Don Bosco, e perché continua a mostrarci in questo modo quanto ama i giovani.

Più avanti, certamente, sottolineerò come dobbiamo curare – più e meglio – le vocazioni che il Signore ci manda. Siamo consapevoli che l’origine di queste vocazioni è eterogenea e varia a seconda dei continenti. In ogni caso, siamo molto benedetti dal Signore. Sta a noi rispondere a questo dono con assoluta responsabilità e lungimiranza.


  • La solidarietà economica nella Congregazione è un’altra realtà molto positiva.

Circa due terzi delle ispettorie vivono con gravi difficoltà economiche, o con un’economia molto fragile e sempre a rischio di squilibrio, per cui dobbiamo prestare molta attenzione a questi delicati fenomeni. Grazie a Dio, posso dire che questa situazione non è solitamente frutto di una cattiva gestione, ma della priorità data alla missione a favore dei più poveri.

Molte ispettorie, poiché si trovano in Paesi molto poveri e tra i più poveri, non sarebbero in grado di sopravvivere senza l’aiuto della Congregazione.

Riscontro ottimi segnali e gesti di solidarietà e di aiuto tra alcune ispettorie. Ci sono procure missionarie di varie nazioni che hanno stretto gemellaggi con altre ispettorie e nazioni. E c’è il grande sostegno che il Rettor Maggiore con il suo Consiglio può offrire a molte ispettorie grazie all’importante contributo raccolto e sempre messo a disposizione dalle tre grandi procure missionarie direttamente legate al Successore di Don Bosco, che svolgono un lavoro eccellente e che qui meritano di essere esplicitamente ricordate. Sono la procura di New Rochelle, negli Stati Uniti d’America; la Procura Missionaria di Madrid (Misiones Salesianas) in Spagna; e la Procura Missionaria (Missioni Don Bosco) di Torino in Italia.


  • Nel campo della comunicazione sociale continuiamo a fare progressi, con un notevole sviluppo soprattutto in un buon numero di ispettorie.

Già don Juan E. Vecchi sviluppò un’importante riflessione nella lettera «La comunicazione nella missione salesiana»7. E don Pascual Chávez dedicò allo stesso tema un’altra significativa lettera dal titolo: «Con il coraggio di Don Bosco nelle nuove frontiere della comunicazione sociale»8, evidenziando come la comunicazione sociale è uno dei campi prioritari della missione salesiana, già intuito da Don Bosco stesso, il quale le diede grande importanza attraverso la diffusione dei buoni libri – il mezzo di comunicazione più avanzato dell’epoca – con la sua lettera circolare del 19 marzo 1885 su «La diffusione dei buoni libri»9 - considerata un «vero manifesto della comunicazione sociale per la Congregazione»10.

Ebbene, ritengo che, soprattutto nella vita di molte ispettorie, si continui a fare un significativo cammino in questo campo, con un sensibile collegamento alla realtà comunicativa odierna. Forse abbiamo la sensazione di essere sempre “un po’ in ritardo” o di non avere la capacità di influenza delle grandi strutture di comunicazione - il che è vero. Ciononostante, abbiamo canali molto diretti per raggiungere i vicini e i lontani, che ci consentono di avere una visibilità che indubbiamente aiuta la missione salesiana nella crescita Regno di Dio nel mondo.


  • Un altro ambito in cui abbiamo fatto buoni progressi e svolto un buon lavoro è stato quello della missione condivisa: Salesiani e laici uniti e protagonisti nella medesima missione.

Devo riconoscere, anzitutto, che abbiamo ancora molta strada da fare, anche se, indubbiamente, abbiamo fatto molti progressi. Permangono ancora alcune resistenze da parte di singoli e gruppi, ma anche forti convinzioni che non permetteranno passi indietro.

Ci sono difficoltà legate alla cultura e ai territori che si fanno sentire. Ci sono persone e gruppi per i quali, di fatto, sembra non sia ancora arrivato il momento di mettere in pratica il CG24, che indica la prospettiva per vivere con “un solo spirito, una sola missione”: «Salesiani e laici: comunione e condivisione nello spirito e nella missione di Don Bosco»11. Forse perché in qualche luogo c’è abbondanza di vocazioni consacrate salesiane; o forse perché c’è la paura di perdere potere e controllo.

Non c’è dubbio che quanto ho appena detto è realtà. In ogni caso, la vita con le sue esigenze metterà ogni cosa al suo posto; ma noi, dal punto di vista dell’animazione e del governo, non ci siamo rassegnati. Anzi, da tempo tutta la Congregazione ha intrapreso un buon cammino che è diventato più eloquente negli ultimi anni. Non è solo una questione di numero di vocazioni alla vita consacrata, ma anche del grande valore della complementarietà nella missione, perché il carisma di Don Bosco non ha “proprietari”. È soprattutto un dono dello Spirito alla Chiesa.

Nell’introduzione al documento capitolare approvato al CG24 che ho appena citato, si legge: «È la storia d’un amore che si fa contagioso e irradiante, attirando nel cerchio di luce e di forza tante persone, una Famiglia, un Movimento!... Noi Salesiani, eredi di quei primi ragazzi che vollero stare con Don Bosco per sempre, ci ritroviamo in compagnia di tanti laici, uomini e donne del nostro tempo, che avvertono il medesimo richiamo e chiedono di poter operare con il cuore e lo stile del Padre e Maestro dei giovani. Entrare in quel cerchio di luce e di forza è quanto ci proponiamo di fare»12.

Ecco, credo di poter dire che stiamo continuando un cammino che vale la pena di compiere e dove ci sentiamo tutti sempre più a nostro agio nel percorrere insieme la via aperta da Don Bosco.


  • Continuiamo a essere una Congregazione e una Famiglia salesiana che vive in comunione con la Chiesa e che costruisce la Chiesa, il Popolo di Dio; in comunione soprattutto con il Papa e con le chiese locali.

Le nostre Costituzioni dicono: «La vocazione salesiana ci situa nel cuore della Chiesa e ci pone interamente al servizio della sua missione (...) Contribuiamo in tal modo a edificare la Chiesa come Corpo di Cristo affinché, anche per mezzo nostro, si manifesti al mondo come “sacramento universale della salvezza”» (C.6).

Mi sembra corretto dire che in questi anni abbiamo continuato a rafforzare il nostro vivo senso ecclesiale e la nostra comunione. Non è vero quello che a volte abbiamo sentito dire da parte di alcuni, ossia che stiamo “facendo i nostri interessi”. E con questo non voglio dire che la manifestazione della nostra ecclesialità e della comunione con le chiese locali sia sempre, ovunque e dovunque, perfetta. In ogni caso, questo è certamente un elemento dell’identità della nostra Congregazione che viene curato e nel quale continuiamo a crescere. Già il Capitolo Generale Speciale affermava che «la nostra missione non è diversa dalla missione della Chiesa, ne è soltanto una partecipazione, un aspetto determinato, un ministero particolare; riceve quindi tutta la autenticità e la forza della sua inserzione nella missione globale della Chiesa (...). È chiaro lavoriamo per la Chiesa»13.

A quanto detto finora aggiungo le parole dello stesso Don Bosco: «Qualunque fatica è poca quando si tratta della Chiesa e del Papato»14.

È ancora lo stesso Capitolo Generale Speciale ad affermare che «Don Bosco viveva immerso nella realtà ecclesiale del suo tempo. Il Salesiano, cosciente che la Chiesa è il sacramento di salvezza, partecipa attivamente alla pastorale della Chiesa locale; è aperto ai problemi della Chiesa universale; manifesta sincera venerazione ai vescovi e particolarmente al Papa, segno vivo dell´unità della Chiesa»15.

Mi sembra che tutto ciò esprima chiaramente la nostra posizione e che, certamente, questi sono stati anni di vero cammino congregazionale ed ecclesiale. Dobbiamo certamente continuare così anche negli anni a venire.


  • Come conclusione di questa rassegna del cammino percorso finora con tante cose belle, lascio il riferimento ai nostri confratelli coadiutori, i coadiutori salesiani.

Al 31 dicembre 2022 le statistiche mostravano che nella nostra Congregazione c’erano 1434 coadiutori salesiani: 1216 di voti perpetui e 218 di voti temporanei. Essi costituiscono il 10,24% dei membri della nostra Congregazione.

Visitando le ispettorie salesiane nel mondo, mi è capitato talvolta di sentirmi chiedere della “crisi del coadiutore salesiano” o della “crisi della vocazione del coadiutore salesiano”. Io ho sempre risposto in modo chiaro e deciso, affermando di non conoscere alcuna crisi particolare della vocazione dei nostri confratelli coadiutori nella Congregazione. In ogni caso, se di “crisi” si vuole parlare, essa è la stessa che affligge la vita consacrata e la Chiesa – fenomeno che logora e che svilupperò nelle pagine seguenti.

Detto questo, devo aggiungere che l’identità carismatica della vocazione del salesiano coadiutore è fuori discussione nella nostra Congregazione. Aggiungo inoltre che essi sono un grande dono e un dono di preziosa complementarietà vocazionale e che, senza dubbio, raggiungono molte persone e gruppi che sarebbero preclusi ai salesiani preti, come sosteneva lo stesso Don Bosco: «Ci sono cose che né i sacerdoti né i chierici possono fare, e voi le farete»16.

D’altra parte, i coadiutori trasmettono tutta la freschezza della dimensione laicale consacrata della nostra Congregazione che Don Bosco aveva già intuito e che aveva espresso nelle prime Costituzioni e nel “prezioso laboratorio di vita salesiana” che Valdocco fu fin dall’inizio. Infatti, nel corso della nostra storia la Congregazione salesiana è stata arricchita da straordinarie figure di coadiutori salesiani in tutti i continenti. Dai primi tempi con Don Bosco fino ad oggi.

Il Signore ci ha fatto per grazia e per l’intervento dello Spirito Santo il grande dono della santità di Artemide Zatti.

Il 9 ottobre 2022 il Santo Padre Papa Francesco ha canonizzato Sant’Artemide Zatti, coadiutore e infermiere salesiano nelle terre della Patagonia. Il primo santo salesiano non martire (già che abbiamo la grazia di contare con questi due giganti della missione e della donazione, Mons. Luigi Versiglia e Calixto Caravaglio), dopo Don Bosco, nostro fondatore. Un fatto davvero eloquente. I ricordi e gli affetti che hanno riempito i nostri cuori e le nostre menti durante quei giorni sono ancora molto freschi nelle nostre menti e nei nostri cuori. Posso intuire la profonda emozione dei 637 coadiutori salesiani giunti a Roma per la canonizzazione, e la gioia nel vedere un loro confratello nella Congregazione, coadiutore come loro, già intercessore tra i santi.

Tutto questo è stata una grazia molto speciale per la nostra Congregazione in questi anni. Naturalmente questa particolare vocazione è un dono prezioso che dobbiamo continuare ad alimentare e coltivare.

Niente di meglio, allora, che fare mie e riprendere le parole di don Vecchi nella lettera che scrisse in occasione della beatificazione di Artemide Zatti:


«Vorrei piuttosto, nell’occasione straordinaria della Beatificazione del coadiutore Artemide Zatti, chiedere ad ogni Ispettoria, ad ogni comunità e a ciascun confratello nei prossimi anni – a cominciare da questo anno – un impegno rinnovato, straordinario e specifico per la vocazione del salesiano coadiutore all’interno della pastorale vocazionale: nel pregare per essa, nel annunciarla e proporla, nel chiamare, nell’accogliere e accompagnare, nel viverla personalmente e insieme nella comunità»17.


In segno di gratitudine per i tanti doni ricevuti nel corso degli anni, continuiamo a fare tutto il possibile per promuovere questa preziosa vocazione salesiana in Congregazione.



Quanto detto finora, cari confratelli, parla di un cammino che stiamo facendo. Ci sono molti motivi di speranza e ragioni per ringraziare il Signore. Come vorrei che tutti i confratelli ne fossero consapevoli e, con fede, ringraziassero lo Spirito Santo di Dio per la sua presenza e per la guida che ha dato alla nostra Congregazione!


Prima di condividere alcune sfide (o limiti) che rallentano il cammino della Congregazione, desidero raccontarvi un fatto che mi è accaduto durante la stesura di questa lettera.


L’avevo già terminata, ne stavo facendo una terza revisione e, entrando per qualche istante in un motore di ricerca internet per approfondire l’aspetto del nostro contributo alla costruzione della comunione ecclesiale, è apparsa al primo posto, inaspettatamente, la lettera di convocazione del CG28 che porta la data del 24 maggio 2018, cioè circa cinque anni fa.


L’ho guardata ed è “apparso” per primo il paragrafo dal titolo: «Alcune domande che ci potremo porre»18.


Ho rinfrescato la mia memoria leggendo queste righe e sono rimasto colpito perché ciò che vi si legge è come il preambolo di molte delle cose che, cinque anni dopo, ho qui raccolto, mostrando la strada percorsa, e molti dei risultati raggiunti e anche le mancanze che rimangono come un peso che impedisce al nostro desiderio di volare più in alto.


Pertanto non posso fare a meno di aggiungere e includere questa pagina, che mi sembra ancora attuale. Più oggi di allora.


«[La] realtà non è uniforme né semplice. È per questo che troviamo situazioni fra loro contrapposte, che ci spingono a compiere passi nella direzione di una maggiore radicalità, maggior coraggio, maggior chiarezza e persino maggiore purificazione alla luce del Vangelo e della fedeltà della nostra Congregazione al carisma ricevuto dallo Spirito Santo in don Bosco.


  • In questa realtà complessa e diversificata ci sono confratelli, e sono la maggior parte, che vivono con totale dedizione e sintonia con i giovani, il loro mondo e la loro realtà; ve ne sono altri che sentono che questo mondo giovanile e i giovani stessi non sono più accessibili a loro.

  • La maggior parte dei confratelli vive con una chiarissima e decisa opzione per i più poveri e bisognosi, con una forte opzione per coloro che sperimentano ogni giorno come la loro dignità viene calpestata e violata; altri confratelli si rifugiano in spazi di vita comodi e confortevoli.

  • La maggior parte dei confratelli vive il ministero presbiterale come don Bosco, che era sacerdote sempre e in ogni luogo per i suoi ragazzi e i giovani; mentre altri confratelli sono molto influenzati dalla forte tendenza al clericalismo, che tanto male fa alla Chiesa stessa e dal quale noi non siamo esenti.

  • Molti confratelli vivono con totale disinteresse, sobrietà, austerità e generosità il servizio agli altri, in particolare nei confronti dei nostri destinatari privilegiati; mentre vi sono altri confratelli che smarriscono la loro identità e libertà di religiosi consacrati coinvolgendosi in dinamiche di ricerca di potere, che non poche volte è collegato con la ricerca di denaro e di altri legami.

  • La maggior parte dei confratelli, con autentica passione e affetto, vive traducendo nella realtà di ogni giorno quanto affermato da Giovanni Cagliero: “Frate o non frate, io sto con don Bosco”; altri confratelli invece per grande mancanza di identità salesiana chiedono di lasciare la Congregazione per vivere non come religiosi consacrati apostoli, Salesiani di don Bosco, ma per esercitare semplicemente il loro ministero presbiterale in quelle diocesi nelle quali hanno pensato di poter stare bene o di essere semplicemente accolti.

  • Ci sono confratelli che hanno compreso e vivono la missione condivisa con i laici come un grande dono per la missione. Ce ne sono molti altri invece che ancora provano una profonda resistenza o addirittura un rifiuto; essi accettano volentieri che i laici siano nostri dipendenti ma rifiutano di condividere allo stesso livello, fianco a fianco, la missione e ciò che essa comporta.

  • La maggioranza dei giovani confratelli nelle tappe formative sogna di impegnare tutte le forze per i giovani ai quali saranno inviati, preparando il cuore, la mente e vivendo la formazione intellettuale in vista di questo obiettivo; e altri confratelli che sognano, al contrario, incarichi, responsabilità che diano loro autorità e “una certa posizione”.


Questa nostra realtà fatta di contrasti, luci e ombre, ci sta chiedendo le stesse cose che Papa Francesco, con la sua parola viva e diretta, ha domandato a tutta la Famiglia Salesiana e che oggi sento particolarmente indirizzata a noi: non deludere le profonde aspirazioni dei giovani. Così dice il Papa: “Don Bosco vi aiuti a non deludere le aspirazioni profonde dei giovani: il bisogno di vita, apertura, gioia, libertà, futuro; il desiderio di collaborare alla costruzione di un mondo più giusto e fraterno, allo sviluppo per tutti i popoli, alla tutela della natura e degli ambienti di vita. Sul suo esempio, li aiuterete a sperimentare che solo nella vita di grazia, cioè nell’amicizia con Cristo, si attuano in pieno gli ideali più autentici. Avrete la gioia di accompagnarli nella ricerca di sintesi tra fede, cultura e vita, nei momenti in cui si prendono decisioni impegnative, quando si cerca di interpretare una realtà complessa” 19».


Tutto ciò mi porta a dire che ci sono aspetti in noi che, se fossero superati nella fede e mediante una autentica conversione – sempre e per tutti necessaria – renderebbero la nostra Congregazione un corpo molto più vivo in grado di riflettere ancora di più la luce che siamo chiamati a testimoniare e il bene che siamo chiamati a compiere, collaborando con Colui che è l’unico Signore.


Vorrei, quindi, richiamare alcuni elementi che considero della massima importanza per il cammino futuro della Congregazione.



  1. Mi preoccupa una certa debolezza o fragilità nel modo di vivere la vita spirituale e il rapporto con Dio. Si tratta di un fattore molto presente in tutta la vita consacrata, ma anche nella nostra, come salesiani, e che incide sulla nostra stessa identità carismatica.


In questi anni sono rimasto molto sorpreso nel constatare che alcuni confratelli mi hanno presentato dei dubbi in riferimento all’identità carismatica, o all’identità salesiana di noi come persone consacrate; o di ciò che dovrebbe essere essenziale e radicale nella nostra vita salesiana. Rimango davvero sorpreso, perché non dovrebbero esserci dubbi su chi siamo, su cosa siamo e su quale sia la nostra essenza carismatica.


Con l’aiuto del nostro confratello Marco Bay, salesiano coadiutore, ho cercato alcuni dati dalle lettere dei Rettori Maggiori, e con lui ho raccolto i riferimenti e le citazioni presenti negli scritti di don Egidio Viganò, don Juan Edmundo Vecchi, don Pascual Chávez, e anche nei miei, nei quali si allude alla nostra identità carismatica come salesiani. Il risultato finale è stato impressionante. Posso richiamare centinaia e centinaia di espressioni – con le relative citazioni delle fonti dove trovarle - in cui i Rettori Maggiori degli ultimi 45 anni hanno fatto riferimento alla nostra identità carismatica di salesiani, di consacrati, sottolineando come questo sia l’elemento più importante ed essenziale dal quale partire per curare, coltivare e costruire il nostro spirito e la nostra azione come Salesiani di Don Bosco.


È più che evidente che, sia io sia i miei citati predecessori, l’abbiamo considerata estremamente importante, che non può essere trascurata e che dobbiamo sempre assicurare, custodire e approfondire. Detto diversamente e secondo un’altra chiave di lettura: si tratta di una “fragilità importante” che affligge la nostra Congregazione e – oserei dire – l’intera vita consacrata.


Mi permetto di riportare una citazione dell’apertura del CG27 che ha, al mio parere, un grande valore. Nel discorso di apertura del Capitolo il Rettore Maggiore diceva alla Congregazione in quel momento: «Ci tengo a ribadire qui che quello che ci preoccupa non è il futuro della Congregazione, quasi fosse una questione di sopravvivenza, quanto piuttosto la nostra capacità di profezia, vale a dire, la nostra identità carismatica, la nostra passione apostolica, che è la vera rilevanza sociale ed ecclesiale, secondo il criterio dato da Gesù stesso: “Da questo tutti sapranno che siete i miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri (Gv 13,35)”»20.


La consacrazione ci rende persone incondizionatamente donate a Dio. Ci rende memoria vivente del modo di esistere e di agire di Gesù21. È essa che ci permette, quindi, di essere totalmente dediti ai nostri confratelli e ai nostri destinatari, anche se, purtroppo, tanti modelli antropologici attuali – o, per dirla in modo più colloquiale, tanti stili di vita del mondo di oggi – spingono in altra direzione la vita religiosa, facendole rischiare di perdere ciò che di più genuino c’è nella consacrazione e ciò che si dovrebbe testimoniare maggiormente con la propria vita. Si tratta di spinte che ne riducono la portata a progetti e azioni a breve termine, dove il “fare” e l’“efficienza” diventano più importanti dell’essere e della testimonianza della propria vita – anche quando si tratta di una testimonianza semplice, silenziosa, senza successi degni di nota.


Oggi, autori e interpreti della vita consacrata, pensano che essa possa essere definita come un vertiginoso modo di vita avente come scopo la ricerca della sola efficienza, e che, in definitiva, conduce a un tipo di esistenza sterile e infeconda. Si è insinuato quello che essi definiscono prometeismo apostolico, e che spinge a dover fare, a fare sempre di più, come se fosse imminente la fine del mondo! Una mentalità che ci porta a credere di essere gli unici veri protagonisti di questo momento. Come se Dio non esistesse o non contasse. Una mentalità che ci spinge a compiere sforzi in vista del massimo rendimento, anche a costo di lasciarci schiacciare dal peso e dal fardello che portiamo sulle spalle. E si scopre che, alla fine, questo modo frenetico di vivere la nostra “apostolicità” ricompensa amaramente i nostri sforzi con l’infruttuosità. Perché il prometeismo apostolico non è certo ciò che il Signore del Vangelo ci chiede.


Sbagliamo se interpretiamo il noto detto di Don Bosco «ci riposeremo in paradiso» come un consumarsi senza cuore e anima pastorale, senza nutrirsi e nutrire veramente.


Si scopre che questa frenesia, questo ritmo senza Dio e senza il suo Spirito – clima in cui sono fatalmente immersi alcuni confratelli che vivono, decidono di vivere senza la possibilità o la volontà di uscirne – è disumanizzante e, quindi, non produce vite gioiose, né confratelli felici, salesiani che trasmettono pace, bontà, presenza entusiasta tra i nostri giovani, gioia vera e profonda per la vita che viviamo22.


Lungo gli anni della nostra formazione e dei nostri studi, ci siamo certamente imbattuti in un famoso testo di Karl Ranher, da lui stesso considerato come il suo possibile testamento. In esso si legge: «L’uomo religioso di domani sarà un mistico, una persona che ha fatto esperienza di qualcosa, oppure non potrà essere religioso, perché la religiosità di domani non sarà più condivisa sulla base di una convinzione pubblica unanime ed evidente»23.


Su questa convinzione sono stati versati fiumi di inchiostro. In ogni caso, il futuro della fede, e direi ormai della stessa fede personale, passa attraverso l’esperienza personale di Dio e della sua ineffabile presenza. Senza una vera esperienza di Dio, non ci sono credenti e – permettetemi di dirlo – ancor meno consacrati e ancor meno Salesiani di Don Bosco con una vita totalmente spesa per i giovani.


Questa evidenza risulta anche dal recente studio che abbiamo realizzato con i dati degli ultimi sei anni sulle cause di abbandono della Congregazione: l’indebolimento della vita spirituale e del rapporto con Dio emerge, in tutti i casi, come causa molto forte. Si potrebbe dire che la vita di fede e l’esperienza di Dio (e l’esperienza della preghiera) fanno parte di una dimensione che non può essere in alcun modo trascurata; altrimenti elementi come la routine, la superficialità, un secolarismo opprimente, l’uso compulsivo dei social network e il fascino del loro mondo, incideranno profondamente nella nostra vita, erodendola e logorandola inevitabilmente.


È utile qui richiamare le parole di Papa Francesco: «Se la vita consacrata vuole mantenere la sua missione profetica e il suo fascino, continuando ad essere scuola di fedeltà per i vicini e per i lontani, deve mantenere la freschezza e la novità della centralità di Gesù, l’attrattiva della spiritualità e la forza della missione, mostrare la bellezza della sequela di Cristo e irradiare speranza e gioia. Speranza e gioia»24.


Permettetemi ora di fare mia la riflessione che abbiamo svolto nello studio a cui ho accennato. Possiamo certamente concordare sul fatto che forse «non c’è una vera circolarità tra fede celebrata, vissuta e testimoniata, per cui è facile cadere in una routine di atti (...) Non si entra intenzionalmente e consapevolmente in un rapporto vero e personale con Dio, ma solo in un “modo di fare” pratiche di pietà (e ad esempio si organizza una veglia, si preparano sussidi, si fanno celebrazioni, si pubblicano emozioni sui social media, si organizza di nuovo tutto in un blog collegato ad altri appuntamenti e convocazioni), ci si può sentire bene, ma tutto insieme potrebbe ridursi solo a una professionalità educativa e/o a una professionalità pastorale o comunitaria»25.


E in effetti quello che sto scrivendo è noto a tutti. Decennio dopo decennio ce lo ricorda il magistero della Congregazione. Non sono mancati gli esercizi spirituali in cui siamo stati invitati ad approfondirlo; non sono mancate le letture. Non sono mancate giornate di formazione permanente, ma in fondo la vita non è fatta solo di idee con cui dialogare, è fatta anche di esperienze di vita. E se in queste esperienze di vita arriviamo a sentire e a sperimentare con forza che è proprio vero che «in lui viviamo, ci muoviamo ed esistiamo» (At 17,28), allora la solidità della nostra vita di salesiani consacrati sarà di un certo tipo; altrimenti sarà un’altra.


Se arriviamo ad avere la certezza personale, profonda e intima di non essere soli, di sapere in Chi riposiamo e Chi ci sostiene – anche nella fatica e nella routine – allora il nostro modo di vivere come salesiani sarà di un certo tipo. Altrimenti sarà di un altro.


Quando il salesiano sperimenta qualcosa del genere, non vive più solo davanti a se stesso e per se stesso, ma vive davanti a Dio e per Dio. Questa è l’essenza di ciò che conosciamo come esperienza di Dio. E questa esperienza permette di entrare, in un certo modo, nel Mistero di Dio, «dove non comprende più, ma è profondamente toccato; dove non elabora più ragionamenti, ma adora; dove non domina più, ma è dominato»26.


E ritorniamo sempre allo stesso punto, a quella certezza (almeno nelle nostre idee) che la nostra vita può riposare solo se ha al centro il Signore Gesù Cristo. Altrimenti viviamo nell’anemia o nell’aridità. E temo di immaginare i miei confratelli salesiani preda dell’anemia spirituale ed evangelica. Ma può accadere. Infatti, «la vita religiosa consacrata soffre oggi di un’innegabile “anemia evangelica”. Personalmente e istituzionalmente... Per superare questa anemia è necessario recuperare la passione per la persona di Gesù Cristo, il primo amore che deve irradiare la vita religiosa consacrata»27.


In conclusione, cari confratelli, «siamo imitatori di Don Bosco come lui lo fu di Cristo (...) La contemplazione di Cristo si concretizza in tre elementi inseparabili: conoscerlo più profondamente, amarlo più intensamente, seguirlo più radicalmente»28.



  1. In tutta sincerità devo condividere con voi un’altra preoccupazione dovuta al fatto che ci sono molti confratelli che sentono il bisogno di abbandonare la vita salesiana, la Congregazione, per motivi molto diversi... Quanto sto per dire è ovviamente in continuità con ciò che ho descritto e richiamato poc’anzi, anche se evidenzierò ragioni differenti.


Penso sia a voi nota una battuta del Preposito generale della Compagnia di Gesù, Padre H. Kolvenbach, che affermò non senza stupore: «È abbastanza contraddittorio che la missione che il Signore ci ha affidato esaurisca tanti nostri compagni»29.


È doloroso vedere come la fedeltà alla sequela di Gesù, il cammino di fedeltà della nostra vita consacrata salesiana, che sicuramente è iniziato con quel primo amore, possa portare oggi alcuni confratelli a vivere con “poca luce nelle loro lampade” e “poco sapore nel contenitore del sale”. Che fine hanno fatto gli inviti del Signore che dice: «Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita. Il mio giogo infatti è dolce e il mio peso leggero» (Mt 11,28-30)?


Papa Francesco ne parla già da qualche anno, ma la situazione non è migliorata: «Possiamo ben dire che in questo momento la fedeltà è messa alla prova; le statistiche che avete esaminato lo dimostrano. Siamo di fronte ad una “emorragia” che indebolisce la vita consacrata e la vita stessa della Chiesa»30.


È un aspetto che noi Salesiani non abbiamo superato in modo soddisfacente in questi dieci anni. È vero che si tratta di un elemento che non riguarda solo noi come congregazione maschile. Succede in tutte le congregazioni e gli ordini religiosi, maschili e femminili. Ne abbiamo discusso anche durante gli incontri della stessa Unione dei Superiori Generali. In ogni caso, la mia prima preoccupazione è particolare ed è rivolta a noi Salesiani di Don Bosco.


Le ragioni che stanno all’origine di questa difficoltà sono molto diverse:


  • Non di rado tutto questo ha a che fare con la reale difficoltà di raggiungere la maturità, che comporta un cammino di anni, sforzi, tempo e azione della grazia che spinge per abbandonare uno stile di vita superficiale che può portarci a vivere da religiosi distratti, decentrati, in balia delle “correnti d’aria” che ci raggiungono; o anche più dipendenti e bisognosi dell’approvazione e del riconoscimento degli altri...

A volte la situazione delicata di alcuni confratelli risente della fragilità del “bagaglio” con cui giungono alla vita consacrata salesiana. E, percorrere un cammino in vista dell’identificazione piena e consapevole con ciò che è la consacrazione e consolidarlo bene, non è sempre facile.

Altre volte, manca o è mancato un chiaro e lucido discernimento.


  • Come ben sappiamo, la dimensione affettiva è un altro ambito di vitale importanza per ogni persona. Vorrei solo sottolineare che gli affetti e l’area dell’affettività segnano profondamente la nostra vita. Tutti abbiamo ed esprimiamo affetti, emozioni, sentimenti. Il livello di maturità di ciascuno condiziona e condizionerà l’essere e l’agire di ciascuno.

Esistono persone con un’affettività pienamente sviluppata e matura. Altre che sperimentano fragilità, blocchi e atteggiamenti difensivi che, prima o poi, emergeranno e chiederanno il “conto” per tutto ciò che non è stato risolto.

Ci possono essere difficoltà di relazione con gli altri, problemi con persone di sesso diverso o dello stesso sesso, o difficoltà con persone che detengono una qualche autorità.

Ci sono confratelli che vivono un vuoto affettivo, che non riescono a colmare nella nostra forma di vita, e che, quindi, ricercano altrove ciò di cui sentono o sperimentano la mancanza. Arrivando anche ad abbandonare o a chiedere di lasciare la Congregazione.


  • Altri confratelli, pur essendo sereni, sperimentano una reale e pesante difficoltà a risolvere i conflitti – i conflitti che accompagnano la vita di ogni persona, in qualsiasi tipo di vita e di società. E anche nella vita consacrata ci sono conflitti che possono e devono essere gestiti serenamente, con maturità.

Uno dei motivi più spesso addotti da chi lascia la Congregazione – mi permetto di dirlo: non sempre con tutta verità, ma perché è un motivo più facile da esporre in pubblico e che proietta la responsabilità sugli altri più che su se stessi – ha a che vedere con la vita fraterna e con le difficoltà che essi incontrano (o credono di incontrare) in essa. Ma a questo farò riferimento in un successivo paragrafo.


  • Infine, come ho indicato all’inizio della presentazione di queste sfide vitali che dobbiamo affrontare, troviamo tutto ciò che concerne la dimensione di fede della nostra vita – oggi così condizionata dai contesti vitali in cui ci troviamo e messa in secondo piano anche sotto i nostri occhi – porta alcuni confratelli ad affermare: «Sono arrivato fin qui e non posso più fare altri passi perché mi mancano le motivazioni per vivere da consacrato, da salesiano».


La verità è, come ho anticipato, che in questo continuiamo ad avere, come Congregazione, una delle nostre debolezze più gravi; un vero e proprio “tallone d’Achille” al quale dovremo senza dubbio continuare prioritariamente a rivolgere la nostra attenzione.


Come dicevo – anche se questo non deve rassicurarci – si tratta di una situazione generale che riguarda tutte le congregazioni (maschili e femminili – pur con sfumature diverse). Ed è una delle urgenze che più ha allarmato il Dicastero per gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica negli ultimi anni31.


Per quanto ci riguarda, sono fiducioso che la nuova Ratio per la formazione dei Salesiani di Don Bosco sarà un mezzo che aiuterà e illuminerà il nostro cammino. Tuttavia, non possiamo ingenuamente pensare che la promulgazione di un documento possa risolvere da solo le sfide della Congregazione. È necessario mettere in gioco molti altri elementi.



  1. Mi preoccupa incontrare situazioni di vita comunitaria in cui la comunità serve per quello che si vuole fare: è “funzionale” ma non è profetica e, quindi, non è attraente per i giovani.


Alla luce dello studio già citato sugli abbandoni nella nostra Congregazione si può dire che la vita comunitaria è il denominatore comune tra le ragioni dell’abbandono.


Come ho accennato in precedenza, in tutta onestà non credo si possa dire che questo sia sempre e in tutti i casi l’unico e il vero motivo. Anche se spesso ci sono altre ragioni nascoste o addirittura esplicite e manifeste che non vengono inserite nella lettera di richiesta di lasciare la Congregazione, e che mostrano debolezze personali, in molti casi è più facile e comodo ricorrere al “mito della mancanza di fraternità”. Non c’è dubbio che, se la nostra vita fraterna fosse più entusiasta, meno utilitaristica e pragmatica, meno funzionale, più ricca di sano affetto e attraversata dalla profezia del Vangelo, attirerebbe di più e noi che la viviamo direttamente sperimenteremmo il grande valore di questa preziosa “utopia evangelica” della fraternità universale.


Leggiamo nelle Costituzioni che abbiamo professato: «Vivere e lavorare insieme è per noi salesiani una esigenza fondamentale e una via sicura per realizzare la nostra vocazione. Per questo ci riuniamo in comunità, nelle quali ci amiamo fino a condividere tutto in spirito di famiglia e costruiamo la comunione delle persone. Nella comunità si riflette il mistero della Trinità; in essa troviamo una risposta alle aspirazioni profonde del cuore e diventiamo per i giovani segni di amore e di unità» (C.49).


In realtà viviamo – in molte parti del mondo – in contesti che esaltano soprattutto l’individualismo. In molte società dove siamo presenti la vita è vissuta “di corsa”, in un attivismo atroce; la relazione con gli altri è rovinata e molto di ciò che si vive è determinato quasi esclusivamente dall’efficienza e dal conseguimento di obiettivi e risultati.


La situazione non è meno dura dove domina la solitudine. C’è molta solitudine nel mondo. E c’è solitudine anche nelle comunità religiose di vita consacrata, e talvolta anche nelle comunità salesiane. Insomma, nelle nostre comunità dobbiamo liberarci dal prezzo elevato che paghiamo per avere comunità legate a ruoli funzionali e alla sola gestione. Questo di per sé ci fa molto male e spegne la fiamma vocazionale nei confratelli.


Di fronte a questi pericoli, Papa Francesco ha proposto alle persone consacrate di vivere «la mistica dell’incontro»32, poiché la vita consacrata è chiamata a essere un segno visibile di relazioni umane accoglienti, trasparenti e sincere.


La vita consacrata si caratterizza per la presenza di persone che il Papa qualifica come esperti e artefici nella comunione33 e la Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica (CIVCSVA) nel documento Vita fraterna in comunità afferma a questo proposito: «La comunione fraterna, in quanto tale, è già apostolato, contribuisce cioè direttamente all’opera di evangelizzazione (...) Il segno della fraternità (...) mostra l’origine divina del messaggio cristiano e possiede la forza di aprire i cuori alla fede. Per questo “tutta la fecondità della vita religiosa dipende dalla qualità della vita fraterna in comune”»34.


È più che evidente, anche se ci costa molto, che, di fronte alle tante corse (e rincorse), al tanto attivismo, alla gestione che domina e impera, abbiamo bisogno di coltivare e custodire sempre più la nostra interiorità. Solo a partire dall’interiorità avremo la maturità necessaria per relazionarci in modo maturo e sano; ricco anzitutto per noi stessi, per i nostri confratelli in comunità e per le altre persone. Anche se l’ambiente intorno a noi non favorisce o sembra contrastare tutto questo.


Come ho già detto, la realtà interculturale delle nostre comunità può rendere più difficile la loro costruzione, ma la sua promozione è e continuerà a essere un segno profetico molto forte contro coloro che disprezzano gli altri; o che, pur senza disprezzarli, costruiscono e innalzano muri, semplicemente perché non sono “miei” o “dei nostri”.


Noi siamo chiamati a essere una cosa sola perché il mondo creda (Gv 17,21). Vale a dire che, pur essendo diversi anche a causa delle nostre radici culturali, siamo capaci di creare comunione e comunità. Infatti, «la comunità è ben compresa e vista quando si nutre di comunione e tende alla comunione. Una comunità senza comunione, con tutto ciò che essa comporta in termini di accoglienza, di apprezzamento e di affetto, di sostegno vittimale e di amore, si riduce a un gruppo in cui le persone sono felici di vivere insieme, ma in realtà le lascia isolate»35.


Inoltre, le nostre comunità devono offrire e testimoniare la gioia di fronte alla fretta, allo stress e al pragmatismo. Nel documento Vita fraterna in comunità leggiamo: «Una fraternità senza gioia è una fraternità che si spegne. Ben presto i membri saranno tentati di cercare altrove ciò che non possono trovare a casa loro»36. E questa gioia ha certamente un valore testimoniale insieme alla capacità di riunire le persone. Ma soprattutto è in grado di offrire ai confratelli pienezza e qualità di vita.


Infine, le nostre comunità testimoniano nella comunione dei beni il grande valore della solidarietà e della condivisione. Allo stesso tempo ci si aspetta dalle comunità che esse siano, per il bene della nostra vita e davanti ad un consumismo devastante e disumano in molte parti del mondo, luoghi in cui si sperimenta e si propone la cultura della sobrietà e dell’austerità. E che, oltre a proporre tale cultura, siamo noi stessi più sobri e austeri.



  1. Cari confratelli, non sono ancora soddisfatto dell’attenzione riservata ai ragazzi e ai giovani più poveri. Il nostro cuore dovrebbe essere follemente innamorato dei più poveri, come lo era quello di Don Bosco.


So che in questi dieci anni non c’è stata una sola ispettoria e un solo Paese dei 118 visitati finora in cui io non abbia sempre ricordato e chiesto questo. Ho sempre detto che, in nome del Signore e per la fedeltà a Don Bosco, non possiamo perdere i più poveri, né dimenticarli o trascurarli. Siamo nati per loro. Loro, i giovani, e in particolare i più poveri, sono il nostro luogo santo di incontro con Dio.


È vero che si fa tanto bene. È vero che ci sono numerosi confratelli con una grande sensibilità. Ma non siamo tutti così.


Cari confratelli, prendo in prestito la parola di uno di noi che proprio questa mattina mi ha scritto e, tra le varie cose che ha condiviso con me, mi ha detto quello che ora vi proporrò. Sono parole che mi hanno toccato il cuore perché manifestano la verità. Ci sarà chi le riterrà un po’ dure e chi, sentendosi un po’ a disagio, penserà che questo confratello e il Rettor Maggiore siano pessimisti.


Vi assicuro che né questo confratello – che da anni dimostra la sua dedizione missionaria e la sua opzione radicale per i poveri – né il sottoscritto sono o si sentono pessimisti. Al contrario, invito tutti a non avere paura di guardare dentro se stessi e a chiamare per nome sia i pregi sia i difetti che scopriamo in noi e nella nostra amata Congregazione.


Questo confratello mi ha scritto così: «Le confesso: ho l’impressione e la percezione che la nostra Ispettoria abbia opere salesiane meravigliose, molto valide e che fanno molto bene... Ma anche – a livello generale e istituzionale – ho l’impressione e la percezione che manchi di vita e di entusiasmo; che sia un’Ispettoria “seduta”, soddisfatta, un po’ edonista e trionfalista, con poca attenzione reale ai poveri [ci occupiamo dei poveri, ma non stiamo “con i poveri” né “siamo poveri”], e con poca capacità di testimonianza personale e istituzionale. E dove – accanto a salesiani santi – ci sono salesiani “borghesi” che desiderano più vita sociale che vita missionaria, attratti dal carrierismo e con atteggiamenti di facciata, con distrazioni e comodità varie e – cosa peggiore – tutto è considerato normale».


Credo, cari confratelli, che quanto detto sia vero. Ci sono Salesiani veramente santi. E sono la maggioranza: salesiani dediti alla missione, perché il loro cuore è pieno di Dio e di amore per i giovani; confratelli che fanno grande la Congregazione e la sostengono.


E con dolore devo ammettere e riconoscere che ci sono anche altri confratelli che non vivono in questo modo. E questo ci fa tanto male. Come vorrei che vivessimo tutti la nostra vocazione in modo radicale! Vi assicuro che la risposta vocazionale dei giovani sarebbe incredibile. Ma per questo dobbiamo essere più entusiasti, e dare una testimonianza di vita più autentica.


Mi ha colpito un’espressione che ho letto qualche tempo fa: «[Nella vita religiosa] anche noi “addomestichiamo” il carisma affinché non ci metta troppo a disagio e perché siamo benevolmente accettati tra i cittadini di questo mondo. Le comunità cristiane, sale della terra, possono diventare spente, e allora non servono davvero a incarnare nella storia l’impulso dello Spirito che le ha fatte nascere (...) Preferiamo la figura di questo mondo che passa e ci aggrappiamo ad essa [attirati dalla] vertigine della velocità, senza essere consapevoli in quale direzione stiamo andando, [e senza sapere] se rendiamo visibile il Regno di Dio o se siamo solo frettolosi consumatori di [un’] acqua che non può spegnere la nostra sete»37.



Concludo la semplice riflessione di queste pagine, cari confratelli, con le quali ho cercato di illuminare con qualche lampo questo nostro particolare momento, non tanto distante dalla celebrazione del prossimo Capitolo generale.


Nella fede prevale sempre la certezza che lo Spirito Santo ci guida e ci accompagna. Papa Benedetto XVI l’ha espresso molto bene: «Cari amici, dobbiamo vivere secondo lo Spirito di unità e di verità, e per questo dobbiamo pregare perché lo Spirito ci illumini e ci guidi a vincere il fascino di seguire nostre verità, e ad accogliere la verità di Cristo trasmessa nella Chiesa»38.


Senza dubbio la nostra Madre Ausiliatrice continuerà ad accompagnare la vita della nostra Congregazione e della Famiglia Salesiana e ad ottenerci tante grazie dal suo amato Figlio.


Ed è con tale certezza che desidero terminare non con un mio saluto, ma con quello del nostro Padre Don Bosco, che tutti amiamo veramente, e che, in una brevissima lettera scritta in occasione delle disposizioni per il IV Capitolo Generale, scriveva: «Maria Ausiliatrice ci continui la sua materna assistenza e S. Francesco di Sales ci ottenga la grazia di essere suoi veri seguaci. Il Signore vi benedica tutti, e voi pregatelo anche per me che sono di vero cuore che sono il vostro caro amico in G.C.»39.


Faccio miei questi sentimenti del nostro Padre.


Il Signore vi benedica, cari confratelli, e continui a benedire la nostra preziosa Congregazione.


Pregate per me. Prometto di farlo, senza dubbio, per tutti voi.


Con vero affetto,





Ángel Fernández Artime, SDB

Rettore Maggiore

1 Cfr. F. Prado (ed.), Adonde el Señor nos lleve. Vida consagrada en el mundo: tendencias y perspectivas, Publicaciones Claretianas, Madrid 2004, 280.

2 A. Fernández Artime, «Perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza» (Giov. 10,10). Cinque frutti del bicentenario, in ACG 421 (2015), 3-26.

3 T. Radcliffe, Essere cristiani nel XXI secolo. Una spiritualità per il nostro tempo. Queriniana (= Spiritualità 143), Brescia, 20122, 17.

4 A. Fernández Artime, Appartenere più a Dio, più ai fratelli, più ai giovani, in ACG 419 (2014), 3-30.

5 A. Fernández Artime, o. c., 20.

6 Cfr. Carta di identità carismatica della Famiglia Salesiana di Don Bosco, in J. Raphael (a cura di), La Famiglia Salesiana di Don Bosco, Editrice S.D.B., Roma 2020, 8.

7 J. E. Vecchi, La comunicazione nella missione salesiana. «È straordinario! Fa sentire i sordi e fa parlare i muti», in ACG 370 (2000), 3-44.

8 P. Chàvez, Con il coraggio di Don Bosco nelle nuove frontiere della comunicazione sociale, in ACG 390 (2005), 3-46.

9 G. Bosco, Circolare ai Salesiani sulla diffusione dei buoni libri, in Istituto Storico Salesiano, Fonti salesiane 1: Don Bosco e la sua opera. Raccolta antologica, LAS, Roma 2014, 481-485,

10 P. Chávez, Lettere circolari ai salesiani, LAS, Roma 2021, 358.

11 Cfr. Capitolo Generale 24 dei Salesiani di Don Bosco, «Salesiani e laici: Comunione e condivisione nello spirito e nella missione di Don Bosco. Documenti capitolari», in ACG 356 (1996).

12 Ibi., 20.

13 XX Capitolo Generale Speciale Salesiano, 1972, n. 27.

14 MB V, 577; MB V, 411 (citato in C. 13)

15 XX Capitolo Generale Speciale Salesiano, o.c., 99.

16 MB XVI, 313. MB XVI, 264.

17 J. E. Vecchi, Beatificazione del Coad. Artemide Zatti: una novità dirompente, in ACG 376 (2001), 47.

18 Cfr. A. Fernández Artime, Quali salesiani per i giovani di oggi? Lettera di convocazione del Capitolo Generale 28°, in ACG 427 (2018), 7-9.

19 Francesco, Lettera del Santo Padre al Reverendo Padre Ángel Fernández Artime, Città del Vaticano 24 giugno 2015, in ACG 427 (2018), 9.

20 Capitolo Generale XXVII Salesiani di Don Bosco, «Testimoni della radicalità evangelica». Lavoro e temperanza, in ACG 418 (2014), 74.

21 VC, 22.

22 È ciò che intendevo quando scrivevo di «salesiani felici» come ho sognato nella mia lettera pubblicata in ACG 421 nell’anno del Bicentenario della nascita di Don Bosco. Cfr. ACG 421 (2015).

23 Citato in questa occasione da J. A. Pagola, Testigos del misterio de Dios en la noche, in Sal Terrae, nº 1.030, Tomo 88/1, Santander, gennaio 2000, 30-42. Vedi anche K. Rahner, Nuovi saggi, San Paolo Edizioni, Roma 1968, 24.

24 Francesco, Discorso ai partecipanti alla plenaria della Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica, Roma 28 gennaio 2017.

25 Cfr. M. Bay, Lettura interpretativa dei casi di abbandono dal 2016 al 2022, Edizione digitale ad uso del Consiglio generale in attesa di pubblicazione in questo numero degli ACG.

26 K. Ranher, Glaube, der die Erde lieft, citato in J.A. Pagola , o.c., 31.

27 C. Palacios, Luzes e sombra da Vida Religiosa Consagrada nos días de hoje, in Convergencia, settembre 2011, citato da J. M. Arnaiz, Los grandes desafíos de la vida consagrada hoy. Conferenza del settembre 2013.

28 P. Chávez, «E voi, che dite? chi sono io?» (Mc 8,28). Contemplare Cristo con lo sguardo di Don Bosco, in ACG, 384 (2004), 40 in P. Chávez, Lettere circolari ai salesiani, LAS, Roma 2021, 174.

29 G. Uríbarri, Contro il prometeismo apostolico, in Sal Terrae, giugno 1999, vol. 87/6, p. 505.

30 Francesco, o.c.

31 Cfr. Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica, Per vino nuovo otri nuovi. Dal Concilio Vaticano II la vita consacrata e le sfide ancora aperte. Orientamenti, LEV (= Documenti vaticani 2), Città del Vaticano 2017.

32 Francesco, Lettera Apostolica a tutti i consacrati in occasione dell’Anno della Vita consacrata, Città del Vaticano 2014, 2.

33 Ibid. Vedi anche J. E. Vecchi, “ESPERTI, TESTIMONI E ARTEFICI DI COMUNIONE”. La comunità salesiana - nucleo animatore, in ACG 363 (1998), 3-42.

34 Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica, La vita fraterna in comunità. “Congregavit nos in unum Christi amor”, Città del Vaticano 1994, 54 (d’ora in avanti VFC).

35 P. Chávez, Lettere circolari ai salesiani, o.c., 1176.

36 VFC, 28.

37 J. A. García-Monge, Tener, acaparar, poseer... Ecología del alma liberada, in Sal Terrae, Santander, Febbraio 2000, volume 88/2, nº 1.031, p.139.

38 Benedetto XVI, Omelia del Santo Padre Benedetto XVI. Solennità di Pentecoste, Roma 27 maggio 2012.

39 P. Albera, Lettere circolari di D. Bosco e di D. Rua ed altri scritti ai Salesiani, Tipografia Salesiana, Torino 1896, 35.

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