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STUDI
QUEL «BUON COMPAGNO DI PRIGIONIA»:
L’OPERA DI DON LUIGI FRANCESCO PASA
PER GLI INTERNATI MILITARI ITALIANI
NEI LAGER DEL TERZO REICH
Alessandro Ferioli
ANEI
AS.OMI
CRI
IMI
RSI
= Associazione Nazionale Ex Internati militari nei lager nazisti
= Archivio Storico Ordinariato Militare per l’Italia – Associazione Nazionale Cap-
pellani Militari d’Italia
= Croce Rossa Internazionale
= Internati Militari Italiani (Italienische Militär-Internierten)
= Repubblica Sociale Italiana, c.d. “di Salò”
«Qui, a Bremervörde, non so ancora quanti sono i cappellani militari,
ma conosco il loro capo, un salesiano. Ha un viso aperto, illuminato da un’e-
spressione di semplicità che conquista. Predica come un buon curato di cam-
pagna. È attivissimo. Egli sente il campo di concentramento come una parroc-
chia. Noi siamo i suoi parrocchiani. Ci piace questo stile che ha odor di
casa»1. Con queste parole un ufficiale italiano descrive nel suo diario uno dei
suoi primi incontri con don Luigi Pasa, Cappellano militare della Regia Aero-
nautica, internato assieme a lui in uno di quei terribili lager del terzo Reich
che oltre 700.000 militari italiani ebbero modo di conoscere sin troppo bene,
nel corso di circa venti mesi interminabili, per essersi rifiutati di collaborare
coi nazi-fascisti dopo l’8 settembre 19432. Delineare l’opera di don Pasa in
1 Tullio ODORIZZI, Un seme d’oro. Vicende d’un internato militare nei lager nazisti,
Trento, Grafiche Artigianelli, 1984, p. 88.
2 Don Luigi Francesco Pasa nacque ad Agordo di Cadore il 17 marzo 1899, fu ordinato
sacerdote il 7 luglio 1929, morì a Rimini il 27 agosto 1977, ed è ivi sepolto. Nel dare notizia
della sua morte, il «Bollettino dell’Associazione Nazionale Cappellani Militari in Congedo»
(Novembre 1977) ripercorreva la sua opera con queste parole: «Nella prima guerra mondiale,
fra i “ragazzi del ’99” combatté al Carso, Monte Grappa, Tomba, Piave; legionario con D’An-
nunzio a Fiume. Scelse alla scuola di Don Bosco Santo di essere educatore ed amico dei gio-
vani. Cappellano Militare nell’Aeronautica all’Aeroporto e in Africa dal 1935 al 1943. All’ar-
mistizio mise in salvo, dagli assalti tedeschi, il Tricolore del campo, documenti riservati e la
cassaforte dell’Aeroporto. Per non abbandonare i suoi Avieri, 1’8 settembre 1943 accettò di

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8 Alessandro Ferioli
quei frangenti impone di ripercorrere sinteticamente le vicende degli Internati
Militari Italiani3.
essere internato volontario in Germania e Polonia sino al 1945. Fu animatore impegnato nei
lager tedeschi di Beniaminowo, Sandbostel, Wietzendorf. Alla liberazione, unico italiano, con
ardimentosa audacia, attraverso il Belgio e la Francia (dove incontrò l’allora Nunzio Aposto-
lico Mons. Roncalli), riuscì a raggiungere l’Italia e portò a Roma la voce degli internati in at-
tesa di rimpatrio, prima di tutto in Vaticano (tramite il Sostituto Mons. Montini) e nelle sfere
governative. Ritornato in Germania a capo di una Missione Pontificia recò ai compagni aiuti e
mezzi per il rimpatrio. Il nome di don Pasa per migliaia e migliaia di internati nei lager fu si-
nonimo di speranza e di coraggio. Scrisse l’epopea dei soldati internati nel suo Tappe di un cal-
vario, che ebbe numerose edizioni. Fino all’ultimo don Pasa percorse tutte le città di Italia per
cerimonie in suffragio dei Caduti, tenendo vivo il ricordo del sacrificio di quanti hanno servito
con fedeltà la Patria». Per inciso, lo stesso numero del “Bollettino” dava notizia anche della
morte del salesiano Don Angelo Garbarino, cl. 1894, che non fu mai cappellano militare, ma
combatté in Sanità nella grande guerra e molto fece come Ispettore per la Liguria durante l’oc-
cupazione nazista. Per una informazione generale sull’opera dei Salesiani per la Resistenza in
Italia, cf Francesco MOTTO, Storia di un proclama. Milano 25 aprile 1945: appuntamento dai
Salesiani, Roma, Libreria Ateneo Salesiano, 1995; ID., «Non abbiamo fatto che il nostro do-
vere». Salesiani di Roma e del Lazio durante l’occupazione tedesca (1943-1944), Roma, Li-
breria Ateneo Salesiano, 2000. Per le vicende dei cappellani militari nelle due grandi guerre
basti ricordare: Emilio CAVATERRA, Sacerdoti in grigioverde. Storia dell’Ordinariato militare
italiano, Milano, Mursia, 1993.
3 Per un’informazione generale sugli IMI mi limito a segnalare in questa sede i seguenti
repertori bibliografici: Claudio SOMMARUGA, Per non dimenticare. Bibliografia ragionata
dell’internamento e deportazione dei militari italiani nel Terzo Reich (1943-45), Milano,
INSML-ANEI-GUISCo, ed. “pro manuscipto”, 1997; ANED, Bibliografia della deportazione,
Milano, Mondadori, 1982; Teo DUCCI, Bibliografia della deportazione nei campi nazisti,
Milano, Mursia, 1997; Andrea DEVOTO, L’oppressione nazista: considerazioni e bibliografia
1963-1981, Firenze, Olschki, 1983; Alessandro FERIOLI, Dentro i lager: breve rassegna biblio-
grafica sull’internamento dei militari italiani nei lager del terzo Reich, in «Archivio Tren-
tino», n. 2 (2002). Segnalo inoltre i seguenti Atti di Convegni, rimandando anche alle relative
bibliografie in essi contenute: AA.VV. (cur. Nicola DELLA SANTA), I militari italiani internati
dai tedeschi dopo l’8 settembre 1943, Atti del Convegno (Firenze, 14-15 novembre 1985), Fi-
renze, Giunti, 1986; AA.VV. (cur. Roman H. RAINERO), I prigionieri militari italiani durante la
seconda guerra mondiale: aspetti e problemi storici, Atti del Convegno (Mantova, 4-5 ottobre
1984), Milano, Marzorati, 1985; AA.VV. (cur. Rinaldo FALCIONI), Spostamenti di popolazione
e deportazioni in Europa 1939-1945, Atti del Convegno (Carpi, 4-5 ottobre 1985), Bologna,
Cappelli, 1987; AA.VV. (cur. Biagio DRADI MARALDI e Romano PIERI), Lotta armata e resi-
stenza delle Forze Armate italiane all’estero, Atti del Convegno (Cesena, 27 settembre-3 ot-
tobre 1987), Milano, Angeli, 1990; AA.VV. (cur. Istituto Storico della Resistenza in Piemonte),
Una storia di tutti, Atti del Convegno (Torino, 2-3-4 nov. 1987), Milano, Angeli, 1989;
AA.VV., Schiavi allo sbaraglio. Gli internati militari italiani nei lager tedeschi di detenzione,
punizione e sterminio, Atti del Convegno (Napoli, 7 ottobre 1988), Cuneo, L’Arciere, 1990;
AA.VV. (cur. Nicola LABANCA), Fra sterminio e sfruttamento. Militari internati e prigionieri
di guerra nella Germania nazista (1939-1945), Atti del Convegno (Firenze, 23-24 mag. 1991),
Firenze, Le Lettere, 1992; AA.VV. (cur. Luigi TOMASSINI), Le diverse prigionie dei militari
italiani nella seconda guerra mondiale, Atti del Seminario di studi (Firenze, 3-4 nov. 1994),
Firenze, Ed. Regione Toscana, 1995; AA.VV. (cur. Renato SICUREZZA), I prigionieri e gli
internati militari italiani nella seconda guerra mondiale, Atti del Convegno (Caserta, 31
marzo-1 aprile 1995), Roma, ANRP, 1995; AA.VV. (cur. Pietro VAENTI), Il ritorno dai lager,
Atti del Convegno (Cesena, 20-21 ottobre 1995), Cesena, Il Ponte Vecchio, 1996.

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Gli Internati Militari Italiani nei lager del Terzo Reich
dopo l’8 settembre 1943
Alle ore 19.15 dell’8 settembre 1943 il Maresciallo d’Italia Pietro Bado-
glio (1871-1956) leggeva alla radio il proclama col quale informava il popolo
italiano dell’armistizio stipulato con gli Alleati e ordinava al contempo la ces-
sazione di ogni atto di guerra contro le forze anglo-americane: «Il Governo
italiano, riconosciuta l’impossibilità di continuare la impari lotta contro la so-
verchiante potenza avversaria, nell’intento di risparmiare ulteriori e più gravi
danni alla nazione, ha chiesto un armistizio al generale Eisenhower, coman-
dante in capo delle forze alleate anglo-americane. La richiesta è stata accet-
tata. Conseguentemente, ogni atto di ostilità contro le forze anglo-americane
deve cessare da parte delle forze italiane in ogni luogo. Esse però reagiranno
ad eventuali attacchi da qualsiasi altra provenienza».
Tale notizia, come è noto, colse le Forze Armate italiane nella più totale
impreparazione, dal momento che nessuna direttiva era stata impartita ri-
guardo al comportamento che esse avrebbero dovuto tenere verso le Unità
militari tedesche, sino a quel momento alleate. Tolte poche istruzioni gene-
riche e riservatissime, scritte in un testo volutamente poco chiaro per stornare
eventuali sospetti da parte dei tedeschi e prive per il momento di efficacia
operativa, nessuna misura concreta era stata adottata per preparare le Unità
italiane a rivolgersi contro il nuovo nemico: per evidenti motivi di segretezza
non erano stati avvertiti i Comandi più elevati dei mutamenti politici in atto;
non era stata modificata la dislocazione dei Reparti per adeguarla alle soprag-
giunte esigenze operative; non era stata fornita nessuna linea di condotta per
operazioni offensive; e nulla si era fatto, infine, per preparare moralmente i
militari italiani a considerare come alleati i vecchi nemici e come nemici i
precedenti alleati e, soprattutto, a non interpretare l’annuncio di Badoglio
come un atto di smobilitazione generale.
Mentre dunque le truppe italiane rimasero per alcuni giorni del tutto
prive di ordini precisi, i tedeschi di contro poterono mettere in esecuzione fin
da subito senza indugi il loro piano Asse, che prevedeva l’annientamento
delle forze militari italiane e l’occupazione dei punti d’interesse strategico
nell’Italia centro-settentrionale. Eccettuate le Unità che opposero immediata-
mente aperta resistenza ai tedeschi (e furono da questi distrutte senza alcun ri-
guardo per le Convenzioni internazionali) e le Unità dislocate nei Balcani
(che confluirono rapidamente nelle formazioni partigiane), circa 700.000 mi-
litari italiani, appartenenti a Comandi ancora privi di idee chiare sul da farsi,
furono prontamente disarmati e raccolti dai tedeschi, i quali dal canto loro uti-
lizzarono a tale scopo i metodi più diversi, dalle minacce sino alle più sub-
dole lusinghe di un rapido ritorno a casa. Per meglio valutare la relativa faci-

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10 Alessandro Ferioli
lità con la quale i tedeschi condussero in porto il loro piano è bene tenere nel
debito conto due circostanze importanti. Innanzitutto nei giorni precedenti
l’armistizio essi, dubitando fortemente della lealtà del governo Badoglio, ave-
vano fatto affluire in Italia attraverso il Brennero diciassette divisioni, che si
erano andate ad aggiungere alle Unità già presenti nella Penisola; inoltre ebbe
un ruolo determinante anche il fatto che le Unità italiane operanti nell’Europa
sud-orientale erano inquadrate nell’Armata italo-tedesca alle dipendenze ge-
rarchiche del generale Alexander Loehr (1885-1947), il cui comando era stan-
ziato a Salonicco. Lo scopo dei tedeschi era quello di rendere inoffensivi in-
teri reparti, dalle Grandi Unità sino ai Battaglioni, che altrimenti sarebbero
stati ancora in grado di battersi contro di loro e al fianco degli Alleati, se sol-
tanto fosse stato impartito un ordine chiaro in tal senso. I circa 700.000 sol-
dati italiani disseminati in Patria e all’estero furono dunque invitati ad aggre-
garsi ai tedeschi e a proseguire assieme la lotta in nome della causa nazi-fa-
scista; ed avendo essi per larghissima parte opposto un netto rifiuto, furono
stipati su carri bestiame e avviati alla volta dei territori del Terzo Reich, ove
vennero successivamente internati nei famigerati lager 4.
Quei viaggi interminabili rappresentavano già di per sé una brutale anti-
cipazione delle condizioni in cui i nostri soldati si sarebbero trovati a vivere
nei campi: una sorveglianza armata crudele e spietata, una penuria alimentare
tale da provocare debilitazioni gravi e anche decessi, la paura di non fare più
ritorno alle proprie case, l’attesa durante le soste, la visione (a mano a mano
che si penetrava nei territori del terzo Reich) di prigionieri di altre nazionalità
e di convogli stipati di italiani procedenti verso la medesima o altre direzioni.
Ricorda a tal proposito Bruno Betta: «A chiudere gli occhi e ad immaginare
una carta d’Europa, dal Mediterraneo al Mare del Nord, dalla Francia alla
Russia, dovunque c’erano contingenti italiani, si vedrebbero dopo il 9 set-
tembre e fino alla primavera del 1944, treni e treni di carri merci chiusi, sti-
4 I tedeschi negarono sempre ai militari italiani catturati all’indomani dell’8 settembre
’43 la qualifica di «prigionieri di guerra», utilizzando invece la finzione giuridica di Italieni-
sche Militär-Internierten (Internati Militari Italiani), che precludeva loro di godere del tratta-
mento previsto dalla Convenzione di Ginevra, e in particolare: di essere trattati umanamente
senza subire avvilimenti nell’onore e nella dignità; di avere tutela dalla propria nazione protet-
trice; di ricevere regolarmente pacchi da casa, nonché viveri, medicinali e vestiario dalla CRI;
di ricevere visite e ispezioni al campo da parte di enti ed istituzioni internazionali; di conser-
vare le proprietà personali. Per di più il deportato non tutelato dalla Convenzione poteva essere
avviato al lavoro con la forza, mentre il prigioniero tutelato non doveva essere adibito ad atti-
vità lavorativa alcuna, se non dietro sua esplicita richiesta (eccezion fatta per i militari di
truppa che potevano essere impiegati in lavori estranei all’industria bellica). Soltanto ai militari
italiani che avevano ripreso a combattere al fianco degli anglo-americani fu regolarmente rico-
nosciuta, quando furono catturati dai tedeschi, la condizione di prigioniero di guerra come pre-
visto dalla Convenzione.

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Quel “buon compagno di prigionia”. ... Luigi Francesco Pasa per gli internati... 11
pati di prigionieri dall’Italia, dalla Jugoslavia, dalla Grecia, dalla Francia, da
Lero, da Cefalonia, dagli altri paesi della Balcania verso la Germania soprat-
tutto del nord, e verso la Polonia... E là, innumerevoli lager, città di baracche,
e migliaia e migliaia di Arbeitskommando, isolati presso industrie, campi, co-
struzioni, cantieri...»5. Al termine del viaggio, dopo l’apertura delle porte dei
carri, i prigionieri fecero la conoscenza con le strutture nelle quali sarebbero
dovuti vivere per circa venti mesi: i lager.
Le autorità germaniche misero in atto a quel punto tutti i tentativi possi-
bili per indurre gli italiani ad arruolarsi nelle Forze Armate tedesche o della
RSI, o a lavorare in Germania in sostituzione dei lavoratori tedeschi avviati
alle armi. Gli strumenti usati per piegare gli internati furono sostanzialmente
tre: le caratteristiche dell’ambiente in cui essi furono costretti a vivere (il
lager), il trattamento materiale e morale loro inflitto, e infine la propaganda
esercitata in maniera sistematica e martellante. Nonostante tutto ciò, una larga
e schiacciante maggioranza dei militari italiani (appartenenti a tutte le Forze
Armate, a tutte le Armi e Corpi) rifiutò una qualsivoglia adesione ai voleri dei
nazisti, opponendo un fermo e reiterato NO che ebbe ed ha il significato di re-
sistenza sostanziale e morale, valendo anzi all’epoca come un vero e proprio
referendum popolare spontaneo contro il nazi-fascismo.
Il lager era organizzato su un’area delimitata da una recinzione costituita
da diverse teorie di reticolati, alternati a fosse riempite con rotoli di filo spi-
nato così fitto e aggrovigliato da non consentirne l’attraversamento neppure
ai topi. In alcuni lager il reticolato era percorso dalla corrente ad alta ten-
sione. Un semplice filo, nel lato interno del perimetro, preavvertiva della fu-
cilazione a chiunque l’avesse toccato o anche soltanto sfiorato accidental-
mente. La vigilanza era garantita da un sistema di garitte e di torrette ubicate
ai lati e agli angoli del campo, dalle quali era possibile controllare l’intera
area interna al lager, illuminandola con un riflettore di notte, nonché le sue
immediate vicinanze; sulle torrette prestavano servizio guardie armate di fu-
cili e mitragliatrici, pronte ad aprire il fuoco sul malcapitato di turno che si
fosse avvicinato troppo al filo. Gli internati vivevano all’interno di baracche
di legno, non riscaldate, dentro alle quali venivano stipati nella più completa
mancanza di lavabi e servizi igienici. I letti erano “a castello” su due o tre
piani, e fatti di tavolati duri. Gli “appelli” – compiuti regolarmente almeno
due o tre volte al giorno nel piazzale a ciò adibito, con il bello o il cattivo
tempo indifferentemente – garantivano attraverso il conteggio il controllo
costante su tutti gli internati.
5 Paride PIASENTI (cur.), Il lungo inverno dei lager. Dai campi nazisti, trent’anni dopo,
Firenze, La Nuova Italia, 1973, p. 80.

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12 Alessandro Ferioli
Dal momento che lo scopo dell’internamento era di indurre con la forza
i militari italiani a “collaborare”, la durezza del trattamento loro inflitto fa-
ceva parte degli strumenti messi in atto per perseguire tale finalità (del resto
la non applicazione della Convenzione di Ginevra garantiva l’impunità per
qualunque efferatezza). L’inventario delle avversità è ben nutrito: freddo,
fame, umiliazioni, nostalgia della propria terra natia, mancanza di libertà, as-
senza di igiene e di medicinali, malattie, violenze e percosse improvvise, co-
stituivano un insieme di nocumenti che si abbattevano tutti assieme simulta-
neamente sui nostri soldati: il che dà l’idea appena del trattamento bestiale ad
essi riservato. La temperatura, nel corso degli inverni 1943 e 1944, soprat-
tutto in Polonia, sfiorò i 30°-35° sotto lo zero, e gli unici rimedi erano dati dal
calore umano e dalle due coperte che era consentito tenere. La razione viveri
giornaliera era ben lontana dal coprire il fabbisogno di un individuo, cosicché
la fame (che fu sempre una delle inseparabili compagne di viaggio dell’inter-
nato) costringeva a ricercare e mangiare bucce di patate, ghiande, resti di ver-
dure raccattati fra i rifiuti, radici ed erbe. La fame provocò un deperimento fi-
sico tale da fare scendere il peso medio a 35-40 Kg, mentre la carenza di vita-
mine e di proteine fu all’origine di una serie di malattie (soprattutto pleuriti
e TBC, ma anche tifo esantematico) che non di rado condussero alla morte.
Né il ricovero in infermeria poteva far sperare in un qualche miglioramento,
in quanto il più delle volte gli ufficiali medici italiani non erano in grado di
fornire alcuna cura perché sprovvisti di medicinali.
I tedeschi applicarono con piacere sadico il sistema delle punizioni di-
sciplinari, che prevedeva l’isolamento in baracche buie, e talora interrate, con
vitto limitato a pane ed acqua, senza la possibilità di incontrare altri compagni
o di ricevere assistenza spirituale. Non mancarono neppure le punizioni cor-
porali (anche per gli ufficiali); e quando sorgeva il dubbio che la mancanza
commessa costituisse atto di sabotaggio, il prigioniero veniva denunciato al
tribunale di guerra e – se non condannato subito a morte – finiva in un campo
di punizione (Straflager), per trovarvi sovente la fine. Soldati e sottufficiali
dovettero subire abitualmente percosse e frustate inflitte con una pervicacia e
una morbosità tali da ridurli in fin di vita, mentre molti comandanti di lager,
a fronte delle proteste degli internati per il comportamento delle guardie,
rispondevano firmando licenze-premio agli aguzzini.
La propaganda nazifascista veniva attuata mediante ufficiali e gerarchi
della RSI, che visitavano i diversi campi presentandosi nelle vesti di membri
di “commissioni assistenziali”, promettendo genericamente una futura solu-
zione ai problemi degli internati e sollecitandoli a combattere intanto per
Mussolini: coloro che aderirono (gli “optanti”) lo fecero per debolezza, per
l’incapacità di resistere ancora nelle condizioni penose in cui si trovavano, e
talvolta anche per convinzione. Nonostante le vessazioni che i nostri soldati

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Quel “buon compagno di prigionia”. ... Luigi Francesco Pasa per gli internati... 13
dovevano subire, la loro resistenza col passare del tempo acquistò comunque
una certa incisività: il loro rifiuto di combattere sottraeva uomini all’esercito
di Salò, e quello di lavorare impediva di avviare alle armi i tedeschi occupati
nelle fabbriche. Il 20 luglio 1944, nel corso del loro incontro subito dopo il
fallito attentato, Benito Mussolini (1883-1945) e Adolf Hitler (1889-1945)
concordarono la cessione degli internati alla Germania per impiegarli in atti-
vità produttive, e dal 3 agosto il termine di “internato” venne sostituito con
quello di “lavoratore civile”: si trattava di un ulteriore espediente per esclu-
dere in maniera definitiva i nostri soldati da qualsivoglia tutela internazionale
e dai controlli che da più parti si richiedevano. La firma di accettazione alle
dichiarazioni di adesione fu in molti casi estorta con la promessa di un mi-
glioramento delle condizioni di vita (che non avvenne mai) o con le minacce,
mentre dove il rifiuto era netto e gruppi compatti di militari resistevano a qua-
lunque intimidazione fu la polizia stessa a firmare per loro. A tal proposito va
rilevato come i tedeschi fossero particolarmente solleciti e impazienti di adi-
bire al lavoro tutti i deportati non tutelati dalla Convenzione (IMI, ma anche
polacchi, russi e “politici”), inserendoli nel loro sistema produttivo schiavi-
stico, con il risultato di consentire all’economia del Reich di sostenere effica-
cemente lo sforzo bellico sino alla disfatta finale, che avvenne – come è noto
– a causa della sconfitta militare e non per esaurimento delle risorse.
L’ultima azione criminosa preparata da Hitler, da attuarsi quando oramai
la sconfitta era chiara ed evidente, fu l’ordine – comunicato verbalmente – di
eliminare i militari italiani, allo scopo anche di fare sparire tanti testimoni
degli orrori del concentrazionario nazista. Tale direttiva cominciò in effetti
ad essere attuata con una serie di spostamenti dai lager orientali versò la
Germania, e successivamente col tentativo di trasferimento verso i campi di
sterminio, dove però spesso i comandanti rifiutavano di compiere gli ultimi
eccidi nella previsione di subire processi militari. Furono poi gli anglo-ame-
ricani a liberare i nostri compatrioti, peraltro consentendo loro il rientro in
Patria soltanto con grave ritardo e con l’utilizzo di mezzi di fortuna.
Quel rifiuto a collaborare che la maggioranza degli internati espresse co-
stituì un atto di resistenza attiva (anzi: attivissima, benché compiuta
senz’armi) nei confronti del nazifascismo, che ha ancora oggi grande rile-
vanza morale, poiché essi affermarono, oltre alla dignità personale e collet-
tiva, un sincero attaccamento al dovere, rispetto del giuramento di fedeltà pre-
stato alla Patria e alla Bandiera, nonché venerazione per quella libertà su cui
si fonda oggi la Repubblica Italiana. Nondimeno il rifiuto degli Internati era
un rifiuto che andava ribadito giorno dopo giorno, e che doveva confrontarsi
con le miserevoli condizioni di vita, venendo così a costituire un atto di va-
lore reiterato quotidianamente per venti mesi, che in diversi casi provocò ri-
spetto ed ammirazione anche tra gli stessi tedeschi. Nel fronteggiare un tale

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14 Alessandro Ferioli
insieme di avversità fu determinante la presenza nei lager di due categorie di
internati: in primo luogo gli Anziani del campo (quelli che i soldati chiama-
vano i “comandanti italiani”, scelti fra gli ufficiali di grado più elevato), di
cui i tedeschi avevano intenzione di servirsi per fare leva sugli internati e con-
vincerli ad aderire, ma che in realtà funsero spesse volte da motore e anima
della resistenza6; in secondo luogo i cappellani militari, ai quali, in palese vio-
lazione delle Convenzioni internazionali, venne sempre riservato il medesimo
trattamento degli internati.
Religiosità, assistenza spirituale e resistenza nei lager
Il problema dell’influenza della dimensione religiosa nel contesto gene-
rale della resistenza ai totalitarismi nazifascisti fu affrontato in maniera ap-
profondita per la prima volta (per quanto mi risulta) da don Roberto Angeli,
reduce da Dachau, nel suo libro Vangelo nei lager7, in cui egli sosteneva in
sostanza che la resistenza opposta al nazifascismo in pressoché tutti gli stati
europei era stata animata da un patriottismo derivante da uno slancio morale
riconducibile alla religione, nella misura in cui essa costituiva anche una rea-
zione immediata alla violenza e a quei comportamenti, messi in atto dai regimi
totalitari, che offendono l’uomo nella sua dignità e nella sua integrità fisica.
La prigionia provocò indubbiamente un aumento della professione reli-
giosa, che si concretizzò da un lato nell’intensificazione della devozione da
6 Le figure che i tedeschi riconoscevano in una certa misura tra gli internati, in analogia
con l’articolo 43 della Convenzione di Ginevra del 27 luglio 1929, erano le seguenti: - negli
Oflag (campi per ufficiali) un Anziano del Campo nominato dal Comando tedesco e indivi-
duato normalmente nell’ufficiale di grado più elevato (o di maggiore anzianità di nomina o di
età), nonché qualche Fiduciario preposto ai rapporti (inesistenti) con la CRI; - negli Stalag (per
ufficiali e truppa) un Fiduciario scelto fra i sottufficiali anziani o fra gli ufficiali subalterni; -
nei campi di punizione e di lavoro un intermediario generico. Nella memorialistica le cariche
suddette vengono spesso confuse, anche perché gli internati chiamavano le loro guide con il
titolo di “Comandante”, più rispondente alle responsabilità assunte in contesto militare, e im-
plicante anche il riconoscimento di una precisa funzione resistenziale.
7 Roberto ANGELI, Vangelo nei lager, Firenze, La Nuova Italia, 1965. Cf anche le se-
guenti memorie di sacerdoti (non cappellani militari) deportati in Germania: Giuseppe ELLI,
Mia prigionia, mio internamento, Milano, Industrie Grafiche Italiane Stucchi, 1946; Paolo LIG-
GERI, Triangolo rosso, Milano, Ed. La Casa, 1946; Giannantonio AGOSTI, Nei lager vinse la
bontà, Milano, 1960; Andrea GAGGERO, Vestìo da omo, Firenze, Giunti, 1991. Per una panora-
mica sui preti nei lager, cf Federico CEREJA (cur.), Religiosi nei lager. Dachau e l’esperienza
italiana, Milano, Franco Angeli, 1999. Tra i contributi più significativi sugli IMI ricordo anche
quello di Vittorio Emanuele GIUNTELLA, Il ‘tempo del lager’ tempo di Dio, in «Presenza Evan-
gelica», n. 1 (1966); Antonio CREMONINI, Eroi senza medaglia, Bologna, Ponte Nuovo, 1978
(3a); e Luigi Francesco RUFFATO (cur.), Tracce di umanità nei lager nazisti, Bologna, Edizioni
Dehoniane, 1991.

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Quel “buon compagno di prigionia”. ... Luigi Francesco Pasa per gli internati... 15
parte di coloro che già erano credenti e praticanti, dall’altro nell’affacciarsi
per la prima volta alla religione da parte di coloro che non l’avevano mai co-
nosciuta, né avevano dimestichezza con le sue pratiche. In ragionamenti che
riguardano la religiosità occorre addentrarsi con molta cautela, poiché, come
già avvertiva Mons. Josè Cottino, ex-Cappellano Capo a Wietzendorf, «è dif-
ficile fare la radiografia delle anime»8. Tuttavia le testimonianze dei cappel-
lani sono concordi nel rilevare come la religione abbia prodotto nel contesto
dell’internamento una maturazione autentica; Mons. Cottino si diceva con-
vinto che «molti sono veramente maturati badando all’essenziale, dimenti-
cando le cose che compongono la cornice e andando al centro della vita.
Molti altri hanno avuto un miglioramento spirituale, anche se poi la vita ha ri-
preso con tutti i suoi diritti, e questo filone aureo è stato sepolto nella sabbia.
Una minoranza è rimasta irrigidita patendo in sé quella sofferenza che non
sembrava dar frutti immediati». Nel suo intervento al convegno internazio-
nale di studi storici su “Militari internati e prigionieri di guerra nella Ger-
mania nazista (1939-1945) fra sterminio e sfruttamento”, tenuto a Firenze il
23-24 maggio 1991, Mons. Francesco Amadio (che fu internato nei lager te-
deschi come cappellano militare) ha ammesso da parte sua, senza reticenze,
che «c’era, nella condotta di alcuni della esagerazione, talvolta anche della
superstizione»; e tuttavia ciò non toglie che i più vivevano la professione reli-
giosa con ispirazione autentica e solida, e non come un rimedio purchessia
all’angoscia e allo sgomento per la propria condizione.
«L’internato di quei tempi tristissimi – spiega Mons. Amadio – era nella
situazione migliore per rovistare nel suo spirito, pesare tutte le cause che l’a-
vevano portato in prigionia ed esaminare le reazioni in lui suscitate dal disa-
stro, insieme con le responsabilità che ne seguivano. E la sua ricerca era favo-
rita e sollecitata da una assiduità collettiva per la quale le conclusioni di cia-
scuno erano saggiate su quelle del vicino, si urtavano con quelle di colui che
gli era spiritualmente opposto, si arricchivano del contributo dei più avvertiti.
E intanto negli animi metteva radici non estirpabili l’abito della riflessione
che doveva aderire a ciascuno sì da sembrare natura, anche in giovanissimi ai
quali il volto stesso veniva nuovamente plasmato. L’internato aveva visto
troppe cose e troppe cose compreso per potersene rimanere inerte e non cono-
scere sentimenti salutari. Preparava in sé un terreno vergine per idee nuove. E
si verificava in lui un progresso importantissimo: mentre inizialmente,
astioso, tutti accusava fuorché se stesso, in seguito, in virtù di una riflessione
dapprima impostagli e poi considerata consigliera benefica e pacificatrice, ri-
8 La testimonianza di Mons. Cottino è stata portata al congresso nazionale dell’ANEI te-
nutosi a Torino nei giorni 22-24 ottobre 1966, ed è riprodotta nei «Quaderni del Centro Studi
sulla deportazione e l’internamento», ANEI, n. 4 (1967), p. 66.

1.10 Page 10

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16 Alessandro Ferioli
conosceva i suoi torti, via via contrariato, poi tacitamente, infine con franca
lealtà; torti che egli aveva avuto come privato e come cittadino»9.
Una prigionia dura come quella nei lager nazisti incise indubbiamente a
fondo nelle coscienze degli esseri umani che dovettero viverla e subirla, ope-
rando sul bisogno innato dell’uomo di cercare in Dio spiegazione e conforto
ai suoi problemi e alle sue incognite, e irrobustendo così la sua fede; ma al
tempo stesso essa fornì con la sua materialità un impulso per contrasto all’af-
fermazione, immediata e senza compromessi di sorta, di quei valori d’amore,
di fratellanza, di senso della patria e della famiglia di cui la religione è porta-
trice. «Il lager – ha scritto Claudio Sommaruga – anche il più affollato, era il
tempo della solitudine dell’uomo, della sua spersonalizzazione, della dignità
umiliata, della vita attentata dalla fame, dalla malattia e dalla violenza; era il
tempo dei contrasti tra il risveglio dell’animalità bruta e la spiritualità da sal-
vare a qualunque costo, tra l’egoismo più spietato e la solidarietà più fraterna,
tra la servitù del corpo e la libertà dello spirito. Era il tempo dell’assurdo e
dell’attesa, di tutto ciò che si sperava, tardava e non succedeva; era il tempo
immutabile scandito solo dal ritmo dei controlli e delle magre “sbobbe”, da
giorni uguali, senza Domenica, da stagioni sbagliate con un inverno di nove
mesi e niente estate. Ma il lager era anche il tempo retrospettivo che si proiet-
tava nel futuro, era il “tempo della speranza” senza la quale nessuno sarebbe
sopravvissuto senza perdere la ragione ed era anche il tempo della scoperta
dei valori più alti dello spirito, unica libertà che gli aguzzini non potevano
incatenare»10.
Ed è ancora il Vescovo Amadio a ricordarci come il patimento abbia
esercitato, manzonianamente, una funzione moralizzatrice: «Attraverso l’effi-
cacia moralizzatrice della sofferenza e la sua forza unica, gli internati credet-
tero di nuovo, o con nuovo vigore, in Dio, nella sua Provvidenza, nel lavoro,
nella probità della vita, nelle virtù che nobilitano l’esistenza e la fanno santa.
Interi anni passati fra i reticolati resero tale visione non semplice velleità o
vuota aspirazione, bensì risoluzione definitiva e decisione immutabile»11. La
fede, a sua volta, operava attivamente sulla scelta dell’internato, convincen-
dolo giornalmente della necessità di non “optare” (ovvero di non aderire alla
9 La testimonianza è contenuta nell’antologia di PIASENTI, Lungo inverno…, p. 404, con
tagli. Scrisse in una sua relazione don Giorgio de Mitri, cappellano militare a Wietzendorf:
«Per moltissime anime la prigionia fu apportatrice di luce e motivo di rinsavimento. Lo credo
fermamente e lo affermo sicuramente: la prigionia fu una grazia e benedizione del Signore per
tante anime» (uno stralcio della relazione è riprodotta in: Carmine LOPS, Albori della nuova
Europa, Roma, Edizioni IDEA, 1965, Vol. II, p. 574 nota 1).
10 Claudio SOMMARUGA, Religiosità e resistenza dei militari italiani internati nei lager
nazisti (1943-1945), in «Quaderni del Centro Studi sulla deportazione e l’internamento»,
ANEI, n. 13 (1995), pp. 39-40.
11 AA.VV., Fra sterminio e sfruttamento…, p. 306.

2 Pages 11-20

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2.1 Page 11

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Quel “buon compagno di prigionia”. ... Luigi Francesco Pasa per gli internati... 17
RSI) per ragioni di ordine morale che trascendono l’arbitrio del singolo e l’in-
teresse individuale, anche quando l’ “interesse” s’identificava allora nella
mera sopravvivenza. Ciò è ancora più evidente nel caso degli IMI, i quali do-
vevano rinnovare la propria decisione giorno dopo giorno, sfuggendo quoti-
dianamente alle tentazioni e agli allettamenti, al contrario dei deportati politici
(ai quali non era offerta alternativa alcuna) e dei deportati razziali, e trova pa-
rimenti una conferma significativa nell’avversione dei nazisti alla religione12.
La scelta degli IMI è stata analizzata con metodo sociologico da Giu-
seppe Caforio e da Marina Nuciari, i quali, nell’esaminare i diversi motivi
che condussero al “NO”, non hanno mancato di rilevare come l’ideologia cat-
tolica, in un contesto di sostanziale disorientamento dove ciascuno era co-
stretto a decidere in proprio, costituisse un punto di riferimento importante.
Altri moventi furono indubbiamente la stanchezza della guerra e il desiderio
di farla terminare con la sconfitta tedesca, l’ostilità verso i nazisti, il rifiuto di
combattere contro altri italiani, la diffidenza, le ideologie liberale, socialista
ecc.; tali motivi (che presentano tutti una base morale forte) vanno tenuti pre-
senti a mio avviso tutti assieme, poiché spesso la giustificazione del rifiuto
non fu “chiusa” e immodificabile, ma piuttosto, benchè scaturita da un di-
niego istintivo, ebbe una sua maturazione, durante la quale si chiarì e si pre-
cisò, acquisendo una lucidità che all’origine non possedeva13.
In una tale situazione, la figura del sacerdote era visibilmente presente,
agli occhi dei deportati, in tutti i momenti e le circostanze che scandivano la
sofferenza incessante del lager: in infermeria, a consolare i malati gravi o a
cercare di rimediare qualche cosa da mangiare per loro, quando non addirit-
tura a curare i degenti; durante le punizioni, a sostenere i compagni stremati
dalle frustate e dalle manganellate; alla distribuzione del rancio, in qualità di
garante dell’equa spartizione; nelle baracche, a dispensare anche una sola pa-
rola o un sorriso di conforto a chi era sul punto di crollare psicologicamente;
12 Roberto ANGELI, L’esperienza religiosa nei lager, in «Quaderni del Centro Studi sulla
deportazione e l’internamento», ANEI, n. 4 (1967), pp. 25-26. Nel suo memoriale così ricorda
il tenente colonnello Testa, Anziano del campo a Wietzendorf: «L’attività spirituale, se non
proprio apertamente osteggiata, è stata sempre seguita dai tedeschi con particolare sospetto e
con misure di censura preventiva ancora più restrittive di quelle, già minute e pignole, che ve-
nivano applicate a tutte le attività del campo. Negli intendimenti del comando germanico, pur
essendo severamente proibita la lettura della S. Messa nelle camerate, non ci doveva essere un
locale riservato al culto e le cerimonie religiose dovevano aver sede nel teatrino. Solo dopo
viva insistenza ottenevo che la camerata 2a della baracca 6a fosse adibita a cappella» (Pietro
TESTA, Wietzendorf, Roma, Leonardo, 1947, p. 24). Per quanto riguarda l’opera dei sacerdoti
nei lager, occorre tenere presente il contributo di Rolando Romanzi sulla resistenza nei lager,
in Giovanni MARONI (cur.), Presto si farà giorno. I cattolici romagnoli nella Resistenza,
Cesena, Società Editrice Il Ponte Vecchio, 1996, pp. 167-172.
13 Si veda in generale il saggio di Giuseppe CAFORIO e Marina NUCIARI, “NO!” I soldati
italiani internati in Germania. Analisi di un rifiuto, Milano, Angeli, 1994.

2.2 Page 12

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18 Alessandro Ferioli
e soprattutto con la confessione (spesso amministrata di nascosto), attraverso
la quale egli stabiliva con il fedele un rapporto di comunicazione veramente
intimo e autentico, di fiducia sincera e supporto reciproco14. Oltre a ciò, il sa-
cerdote conduceva la medesima vita degli altri, condivideva la stessa baracca,
lo stesso letto a castello, le stesse paure, la stessa fame, le stesse percosse e
malversazioni, la stessa speranza di un futuro ritorno a casa, gli stessi lunghi
appelli, lo stesso freddo, lo stesso lavoro: «Abbiamo fatta anche questa salu-
tare esperienza nel lager – scriveva Vittorio Emanuele Giuntella, storico ed
ex internato – quella di vivere vicino al sacerdote, vicini ad un sacerdote non
più “separato” da noi, chè ne condividevamo tutta la vita e tutta la sofferenza,
mentre gli riconoscevamo il carattere di “consacrato”»15.
Queste furono le condizioni che consentirono ai cappellani militari di
porsi come punto di riferimento forte e sicuro della resistenza nei lager. Ales-
sandro Natta, che fu internato in diversi campi, fra i quali Sandbostel e Wiet-
zendorf, nel suo noto saggio così si espresse: «Numerosi erano nei lager i
cappellani militari, che svolsero un’intensa, e dai tedeschi tollerata, attività di
assistenza spirituale. Essi diedero un contributo alla resistenza e furono so-
stanzialmente concordi con i suoi principi avendo accettato di condividere
con i soldati e gli ufficiali internati le privazioni e le sofferenze della pri-
gionia. Anche le cerimonie e i riti della religione divennero occasione di mo-
14 «La Confessione, oltre al valore sacramentale, comporta un atteggiamento di fiducia
nell’altro, è in germe un principio di solidarietà; chi poteva averne più bisogno del singolo ab-
bandonato a sé stesso ed alla furia di un assurdo assassino? In un senso ancora più profondo, la
possibilità di comunicare la propria angoscia ed un oscuro senso di colpa permetteva di meglio
accettare la sofferenza esteriore. In chi era penetrato più intensamente dalla fede cristiana,
anche la Comunione poteva assumere questo significato di salvezza dalla solitudine. […] Spe-
cialmente attraverso il Sacramento della Confessione, nell’aprire il proprio animo all’uomo sa-
cerdote, in molti si verificò il ridestarsi di una fede sopita, che non voleva dire supina accetta-
zione degli eventi, ma stimolo a quelle forme di resistenza possibili e che si venivano concre-
tizzando nel reciproco fraterno aiuto spirituale e materiale». Così Margherita Fabiola CARBONI,
La Resistenza nei campi di concentramento nazisti, in «Quaderni del Centro Studi sulla depor-
tazione e l’internamento», ANEI, n. 9 (1976-1977), p. 60, con tagli.
15 AA.VV., Aspetti religiosi della resistenza, Torino, AIACE, 1972, p. 98. Lo stesso con-
cetto di condivisione delle sofferenze come occasione di avvicinamento al cappellano e alla re-
ligione viene espresso nel diario di un ufficiale internato a Fallingbostel già alla data del 7 ot-
tobre 1943: «I numerosi cappellani militari sono in piena attività. Durante la mattinata abbiamo
avuto a disposizione varie celebrazioni di messe. Poveretti, questi preti-ufficiali sono soggetti
alle nostre stesse traversie ed angosce, ma non vengono meno alla loro vocazione di consola-
zione; al commento del vangelo della messa, pur essendo tormentati e affamati come noi, non
fanno mancare agli altri parole di rasserenamento; si comincia così a notare un ritorno degli in-
differenti alla pratica religiosa in forme addirittura un po’ ossessive. Dal comportamento di
tanti si rende evidente il riemergere di forme d’espressione e di ritualismo di carattere infantile
che stupiscono in persone di una certa età e posizione. Comunque si conferma che l’appunta-
mento con Dio torna ineludibile nei momenti gravi della vita» (Armando RAVAGLIOLI, Conti-
nuammo a dire di no, Palestrina, Ed. Roma Centro Storico, 2000, p. 58).

2.3 Page 13

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Quel “buon compagno di prigionia”. ... Luigi Francesco Pasa per gli internati... 19
bilitazione delle coscienze contro il nazismo e il fascismo, e l’opera di conso-
lazione, di conforto, di speranza dei sacerdoti giovò senza dubbio a rafforzare
le volontà, a dare fiducia nella giustezza di quel sacrificio che gli italiani su-
bivano e accettavano. Nel campo di concentramento la fede fu per molti
un’ancora di salvezza, un rifugio contro le umiliazioni e le percosse e tal-
volta, come accade, una mania ossessiva e superstiziosa. […] Pure la baracca
in cui si celebrava la messa, dove il sacerdote accoglieva le confessioni, fu un
punto di raccolta – e non solo per i credenti – e l’atteggiamento dei cappellani
cospirò con quello dei gruppi politicamente più avanzati»16. Più di recente
Antonella de Bernardis, muovendo dalla considerazione che la presenza dei
cappellani fu una presenza molto attiva, è giunta alla conclusione (parecchio
calzante, a mio avviso) che i cappellani militari furono «i punti di riferimento
ed elementi di coesione in una situazione storica (lo sfacelo seguito all’8 set-
tembre) e di vita (“la società dei lager”) nella quale molti ideali e valori attra-
versavano una forte crisi o venivano messi in discussione», assumendo così
un ruolo e un potere sostitutivo di quello della gerarchia statale tradizionale17.
In questo intricato complesso di elementi e di circostanze svolse la sua
opera il salesiano Don Luigi Francesco Pasa.
L’8 settembre 1943 di Don Luigi Pasa
L’8 settembre 1943 colse don Pasa all’Aeroporto Pagliano e Gori di
Aviano, nell’Alto Friuli occidentale, dove il sacerdote, appartenente al Col-
legio Don Bosco di Pordenone, svolgeva le sue funzioni di cappellano mili-
tare della Regia Aeronautica. Egli prestava assistenza spirituale anche al de-
posito di Roveredo, dove aveva fatto erigere una cappella dedicata a San Gio-
vanni Bosco, ed era un personaggio ben conosciuto dai militari dell’Arma
Azzurra, che lo frequentavano assiduamente anche in ragione della sua opera
a favore degli orfani e delle famiglie dei caduti, dei prigionieri e dei dispersi
in guerra18.
16 Alessandro NATTA, L’altra resistenza. I militari italiani internati in Germania, Torino,
Einaudi, 1997, pp. 73-74, con tagli. Dal momento che l’ufficio del prete non coincide con
quello del funzionario di partito o del commissario politico, non è invece condivisibile (né per-
tinente, a mio modo di vedere) l’osservazione di Natta laddove afferma che «la loro opera …
ebbe uno scarso rilievo dal punto di vista dell’educazione civica e politica degli internati. Du-
rante il periodo della prigionia i cappellani non si impegnarono in un vero e proprio lavoro di
formazione di gruppi né di chiarificazione e propaganda politica…» (p. 74, con tagli).
17 Antonella DE BERNARDIS, “Cappellani militari internati e sacerdoti deportati nei
lager”, in CEREJA, Religiosi nei lager…, p. 200.
18 Non è inutile precisare che l’abnegazione dimostrata da don Pasa nel corso delle vi-
cende eccezionali che egli si trovò a vivere costituisce un esempio emblematico del sacrificio
dei tanti cappellani militari che furono presenti su tutti i fronti di guerra e in tutti i campi di

2.4 Page 14

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20 Alessandro Ferioli
Fin da quando aveva cominciato a esercitare il suo ministero presso i
militari, dalla seconda metà degli anni Trenta, Don Pasa era divenuto ben
presto noto come cappellano particolarmente laborioso e dinamico, per il
fatto che interpretava la sua missione di assistenza spirituale nel senso più
ampio possibile, cioè come impegno anche nella promozione di un’educa-
zione culturale e umana di quei circa 4.000 avieri che gli erano affidati: in
breve tempo aveva aperto una scuola serale per analfabeti (nella quale egli
era l’unico maestro, in virtù del titolo di abilitazione magistrale conseguito
nel luglio 1924), aveva istituito corsi regolari di canto e di recitazione, e orga-
nizzato una serie di conferenze e discussioni intorno a problemi di attualità19.
In un periodo nel quale la presenza del cappellano nei luoghi militari costi-
tuiva oramai «una costante insopprimibile, quasi ombra fraterna per l’uomo
in armi […], una figura divenuta consueta»20, don Pasa portava fra i soldati la
sua duplice esperienza personale: da una parte quella di salesiano cresciuto e
maturato attraverso gli studi compiuti a Venezia e le attività di assistente e di
insegnante nelle scuole professionali a Legnago (dal 1923 al 1925) e ad Este
(dal 1925 al 1929), e come tale ben abituato ad accostarsi ai giovani con affa-
bilità, e capace di stabilire un rapporto comunicativo basato sulla disponibilità
al dialogo e sull’affettuosa cordialità, per trasmettere loro valori ed istruzione
a partire dalle loro esigenze primarie; dall’altra quella di ex-combattente,
chiamato alle armi diciassettenne nel febbraio 1917 come soldato di leva e
poi avviato col grado di caporale al fronte, dove aveva preso contatto con le
brutture della guerra, ma aveva anche imparato lo spirito del cameratismo mi-
litare e affinato quella sua naturale impulsività, la stessa che nel dopoguerra
l’aveva spinto a seguire volontario il poeta-condottiero Gabriele d’Annunzio
(1863-1938) nell’impresa di Fiume21.
prigionia, e dei quali questo mio contributo intenderebbe onorare idealmente l’opera e la
memoria. Per i nominativi, con i relativi Ordini o Congregazioni di appartenenza, rimando
agli elenchi giacenti presso l’Ufficio Storico dell’Ordinariato Militare per l’Italia, pubblicati in
Carmine LOPS, Il retaggio dei Reduci italiani. Storia documentata della prigionia e dell’inter-
namento, Roma, ANRP, 1971, pp. 287-291.
19 Queste attività furono ricordate ampiamente dal Direttore dei Salesiani di Forlì, don
Giuseppe Lanaro, in occasione della Commemorazione ufficiale di don Pasa tenuta il 24 di-
cembre 1977 (Archivio Ispettoria Salesiana Meridionale, per la cui consultazione sono debitore
alla cortesia dell’Archivista Sig. Valentino Persico).
20 CAVATERRA, Sacerdoti in grigioverde…, p. 48 (ma cf in particolare l’intero cap. V,
pp. 46-56).
21 Per la partecipazione all’impresa fiumana, cf Luigi PASA, Natale di sangue: Fiume
24-28 dicembre 1920, Pordenone, Società Anonima Arti Grafiche, 1940. Esistono anche i testi
di due suoi discorsi tenuti all’Aeroporto di Aviano in occasione dell’anniversario dalla fon-
dazione della Regia Aeronautica: Luigi PASA, Discorso pronunciato da L. P. nel 16° annuale
dell’Arma Azzurra, Pordenone, Società Anonima Arti Grafiche, 1939; ID., Nel ventennale
dell’Arma Azzurra. Discorso commemorativo tenuto all’Aeroporto di Aviano, Pordenone, Arti
Grafiche, 1943.

2.5 Page 15

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Quel “buon compagno di prigionia”. ... Luigi Francesco Pasa per gli internati... 21
Al Pagliano e Gori, dunque, l’8 settembre giunse l’ordine da parte del
comando della 2a Squadra Aerea di trasferire tutti gli apparecchi con i relativi
equipaggi verso l’Italia meridionale. L’ordine non poté però essere eseguito,
dal momento che gli aerei non avevano autonomia sufficiente per un viaggio
senza scali, e tutti gli aeroporti presso i quali si sarebbe potuto fare riforni-
mento di carburante erano già caduti in mano tedesca. Il giorno 11 successivo,
mentre gli avieri richiamati e trattenuti alle armi venivano mandati sbrigativa-
mente in congedo e i servizi tecnici cominciavano ad operare per rendere inu-
tilizzabili gli aerei (senza tuttavia decidersi se smontarne qualche pezzo o ad-
dirittura distruggerli), per incarico del Colonnello Altan, comandante dell’ae-
roporto, don Luigi si recava a Padova per tentare di ristabilire un contatto con
il Comando superiore, scoprendo però che il generale Felice Porro era già stato
fatto prigioniero. Dopo un’intera giornata trascorsa nel vano tentativo di rice-
vere ordini precisi ed eseguibili, il giorno 12, all’incirca verso le 12.20, mentre
il personale era a mensa, si videro due aerei Junker 52 sorvolare minacciosa-
mente l’aeroporto, che venne subito dopo catturato da truppe tedesche.
Oltre ad aver fatto scappare dall’Aeroporto quanti prigionieri poté, Don
Pasa in quella circostanza compì due atti di valore (primi di una lunga serie)
che gli sarebbero potuti costare la vita: innanzitutto mise in salvo la Bandiera
nazionale che garriva sul pennone dell’aeroporto, nascondendola in un luogo
sicuro, per riconsegnarla all’autorità militare di Udine il 1° marzo 1947; poi,
sempre per conto del colonnello Altan, andò a recuperare i valori ancora gia-
centi nella cassaforte del Comando, con evidentissimo rischio personale
(stante l’interesse che i tedeschi nutrivano per il denaro), compiendo ben due
“incursioni” condotte quasi sotto gli occhi delle sentinelle, per prelevare
prima il denaro liquido e successivamente gli assegni, i libretti di banca e i
vaglia: il contante fu distribuito per ordine del comandante alle famiglie degli
ufficiali e dei sottufficiali, nonché agli avieri più bisognosi, mentre i titoli fu-
rono dati in consegna al direttore del Collegio Don Bosco, che lo conservò
sino al ritorno di don Pasa, così che i titoli e le regolari ricevute del denaro
erogato poterono essere restituite alfine il giorno 6 marzo 1946 al comando
della 2a Zona Aerea Territoriale di Padova22.
22 Per questi avvenimenti cf: Scheda discriminatoria dell’Ordinariato Militare per
l’Italia, sottoscritta da don Luigi Pasa il 10 dicembre 1945; Deposizione di don Luigi Pasa
al Centro Affluenza e Riordinamento di Padova della Regia Aeronautica in data 8 marzo 1946;
Relazione dell’Ordinario Militare sull’attività svolta dal cappellano militare don Luigi Pasa
durante la prigionia in Germania in data 11 giugno 1955 (tutti i documenti citati sono conser-
vati presso l’Archivio Storico dell’Ordinariato Militare per l’Italia, fasc. don Luigi Pasa). Verso
l’Ordinariato Militare per l’Italia, nella persona soprattutto del Segretario Generale Padre
Giorgio Valentini, sono sommamente debitore per la disponibilità e per la grande fiducia per-
sonale accordatami nel mettermi a disposizione tale materiale.

2.6 Page 16

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22 Alessandro Ferioli
Durante queste giornate gli ufficiali e gli avieri discussero se rimanere in
servizio o darsi alla macchia, propendendo alfine per la prima soluzione, nella
convinzione che gli Alleati sarebbero sbarcati presto, e che avrebbero per-
tanto avuto bisogno di sostegno per il controllo dell’aeroporto. I tedeschi in-
vece nel frattempo già stavano approntando nascostamente la partenza verso i
lager. Gli ufficiali nazisti individuarono subito in don Pasa un possibile ele-
mento di resistenza, e il giorno 15 gli proibirono di celebrare la messa, evi-
dentemente ritenendo che la celebrazione liturgica potesse nuocere ai loro
piani; e tuttavia sempre confidavano di poter fare del salesiano un loro colla-
boratore, così da concedergli di celebrare la domenica 19. Proprio nel corso di
quella giornata don Pasa, mentre attendeva alle sue occupazioni in Collegio,
fu avvertito che i militari italiani erano già alla stazione, pronti per essere ca-
ricati sui carri-bestiame e avviati alla volta dell’ignoto. Egli, che non era stato
catturato, né convocato, né aveva alcun obbligo, non perse tuttavia tempo e si
recò immediatamente alla stazione, deciso ad accompagnare i suoi avieri
ovunque essi fossero stati condotti e qualunque fosse stata la loro sorte, come
un buon pastore risoluto a non perdere di vista le sue pecore e a non abbando-
narle nel momento del pericolo: «Il bene che facevo a seguirli – scrive il sale-
siano – lo compresi quando giunsi in stazione. Essi erano là, avviliti, abbat-
tuti, ad attendere la partenza: m’accolsero con una esplosione di sollievo, di
gioia; una esplosione tale ch’io la serbo nella mia mente come un ricordo
sacro e insieme santo»23. Ad accompagnare don Pasa c’era anche un altro sa-
lesiano, Don Ceriotti, assieme ai ragazzi dell’Oratorio Don Bosco, che porta-
rono ai militari in partenza pane, vino e polenta.
La tradotta comprendeva non soltanto gli avieri del Pagliano e Gori ma
23 Luigi PASA, Tappe di un calvario, Napoli, Tip. Cafieri, 1969, p. 28. Il diario di don
Pasa fu una delle prime e più autorevoli opere sull’internamento dei militari italiani e sui lager
nazisti in generale, e costituisce ancora oggi un documento di grande interesse. Carmine Lops
lo definì, al pari con la relazione-saggio del tenente colonnello Testa, «la più importante fonte
di storia della Resistenza Italiana in Germania», rammaricandosi che in Italia non fosse tuttavia
ancora abbastanza noto (LOPS, Albori…, Vol. II, p. 577, nota 1). La prima stesura fu approntata
nel corso del 1946 nel Collegio Don Bosco di Pordenone, e don Luigi chiese al confratello don
Gustavo Resi di rivederla e sistemarla; alla prima edizione, stampata a Vicenza per i tipi del-
l’Editore Trilli nel 1947, fecero seguito altre edizioni di volta in volta ampliate: 2a ed., Napoli,
Tip. Cafieri, 1954 (con pref. di Giuseppe Lazzati); 3a ed., Napoli, Tip. Cafieri, 1966 (con pref.
di Giulio Andreotti); 4a ed., Napoli, Tip. Cafieri, 1969. Con il ricavato delle vendite don Luigi
fece costruire il Tempio di S. Giuseppe Operaio in memoria dei Martiri del filo spinato, inau-
gurato a Napoli il 27 gennaio 1962. Don Pasa scrisse i nuclei salienti del suo memoriale già
durante la prigionia, limitandosi poi, dopo la liberazione, a dare a tali appunti una veste orga-
nica, sistemando opportunamente materiali e documentazione; mi testimonia a tal proposito
don Resi che don Pasa volle confrontare e controllare tutto e con tutti gli interessati in maniera
minuziosa, proprio affinché nulla della narrazione risultasse meno proprio e meno vero, e che
egli si attendeva dal suo libro un “successo” in termini di autorevolezza del racconto storico
(testimonianza di don Gustavo Resi in data 28 ottobre 2002).

2.7 Page 17

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Quel “buon compagno di prigionia”. ... Luigi Francesco Pasa per gli internati... 23
anche molti altri soldati: una lunga teoria di carri-bestiame stipati sino all’in-
verosimile di uomini ignari del luogo a cui sarebbero stati destinati e della
eventuale occupazione che sarebbe stata data loro. Dopo diversi giorni, du-
rante i quali ai soldati non era stato procurato né da bere né da mangiare, il
convoglio giunse a Bremerwörde, a ovest di Amburgo: lì i prigionieri furono
fatti scendere e messi in marcia verso quella che sarebbe stata la loro prima
destinazione: lo Stalag X B di Sandbostel, nella regione militare di Amburgo.
Qui don Pasa e i suoi compagni presero contatto con quella realtà del lager,
straniante e angosciante, che abbiamo cercato di descrivere poc’anzi. Subito
il salesiano venne avvicinato da un funzionario italiano che lo esortava alla
collaborazione coi tedeschi: si trattava di una tra le tante profferte che il sa-
cerdote, al pari dei personaggi più autorevoli tra gli internati, dovette rice-
vere, e ad essa egli oppose un netto rifiuto. L’accoglienza tributata a don Pasa
dai soldati è significativa dell’importanza all’interno del lager di un sacer-
dote, e della funzione non soltanto di assistenza spirituale ma anche di so-
stegno morale che i militari gli riconoscevano: «Il trattamento di quell’emis-
sario mi fu subito ricompensato abbondantemente, dall’accoglienza dei
20.000 soldati nostri che già affollavano il campo. Come un amico, anzi come
un fratello, come un padre mi ricevettero. L’effusione del loro saluto fu
grande. Passai in mezzo ad essi con la soddisfazione che deve provare un ge-
nerale dopo una riuscitissima parata. “Finalmente ci sarà chi ci sostiene...”»24.
Don Luigi si applicò dunque subito nel tentativo di celebrare la S.
Messa, servendosi di una valigetta-altarino fornitagli da un cappellano fran-
cese assieme a vino e ostie, ma si scontrò con un perentorio divieto dei tede-
schi, i quali almeno per il momento non consentivano pratiche religiose: è
questo un altro indizio della diffidenza dei nazisti nei confronti del clero e
della religione, e della cura particolare che le autorità germaniche dovevano
porre alla presenza dei sacerdoti nell’ordinaria gestione della massa degli in-
ternati, nella consapevolezza (come già ho anticipato) che in un contesto tota-
litario il prete costituisce per sua natura un elemento di “ribellione”, e che per
attuare tale “rivolta” al sacerdote non occorre altro che sfoderare le proprie
armi, ovvero la Bibbia e la liturgia. A don Pasa venne permesso di celebrare
soltanto il 26 settembre, giorno in cui disse ben quattro messe, senza tuttavia
riuscire ad accontentare tutti i militari desiderosi di ricevere i sacramenti: «Il
cappellano veniva ricercato – ricorda – si voleva la Messa, si voleva la con-
fessione, la comunione; e i tedeschi non consentivano subito di celebrare»25.
Per quanto riguarda il beneficio morale che la messa apportava agli internati,
narra a tal proposito un ufficiale ex-IMI nel proprio memoriale: «…Andavo
24 PASA, Tappe…, p. 36.
25 PASA, Tappe…, p. 37.

2.8 Page 18

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24 Alessandro Ferioli
ad ascoltare la messa di don Pasa e facevo la Comunione. Un momento di in-
timo raccoglimento irripetibile! Sì, perché quando non ti distraggono le frivo-
lezze della vita, quando ti senti solo, allora la fede, la fiducia e l’abbandono in
Dio raggiungono momenti di profonda intensità e ti danno, nella sofferenza,
forza, coraggio e speranza»26.
Il 28 settembre gli ufficiali furono separati dai soldati, per essere avviati
in un campo loro riservato: don Pasa in ragione del suo rango fu aggregato
agli ufficiali, nonostante avesse chiesto di rimanere con la truppa a causa del
maggiore bisogno di conforto di cui questa necessitava rispetto agli ufficiali,
generalmente più maturi per età e per cultura: ancora una volta da parte dei
tedeschi si riteneva che i soldati, che sarebbero stati adibiti subito al lavoro
obbligatorio, si sarebbero dimostrati più malleabili se fossero stati privati del-
l’assistenza di un loro cappellano27. Il 4 ottobre assieme agli ufficiali don
26 Camillo CAVALLUCCI, Ricordi della prigionia, Budrio, Giorgio Cordone Ed., 1990, pp.
101-102. Dal memoriale di un altro ufficiale ricaviamo un’ulteriore testimonianza sugli effetti
della messa e della liturgia nell’animo degli internati (precisando che il celebrante non è identi-
ficabile in don Pasa): «Il sacerdote in paramenti bianchi è salito all’altare; è squillato il campa-
nello ad avvertire che la Messa cominciava; tutte le teste si sono scoperte, tutte le mani si sono
levate nel segno della Croce. Quasi contemporaneamente si è inteso lontano, verso la città, un
brontolio di tuono, tratto tratto punteggiato di scoppi più secchi: erano le batterie antiaeree che
aprivano il fuoco. Molti visi si sono alzati, molte menti, distratte dal divino ufficio, si sono ri-
volte là; e si è levato un sommesso mormorio. Ho riportato gli occhi e la mente all’altare con
un subito senso di sollievo, di conforto, come il fanciullo che trova riparo nelle braccia della
madre. “Offerio tibi, Domine” le parole eterne scendevano colme di pace nella mia anima do-
lente, mentre le esplosioni lontane delle bombe aumentavano di fittezza e di intensità. Odio,
odio dappertutto sentivo intorno a me: odio nei grovigli spinati che sbarravano l’orizzonte,
odio nelle sudicie pareti rossastre delle baracche, odio negli stracci di quei Russi che traina-
vano curvi il carro del letame, odio nel mormorio dei miei compagni, odio in queste cupe con-
tinue esplosioni: un odio pauroso, ne è pieno il mondo. Solo da quell’altare, solo da quel pic-
colo magro uomo parato di bianco che pronuncia parole infinitamente più grandi di lui, solo da
quella povera rozza croce di legno inchiodata alla parete della baracca emana una pace infinita,
la pace dell’amore. “Ego sum pastor bonus” le parole cadono lente, è il Vangelo di oggi, la fa-
vola di infinito amore del buon pastore. Quante volte l’ho sentita: eppure oggi l’ascolto con
nuova attenzione, quasi con meraviglia; e la sento nuova, come non l’avessi mai udita. E tutto
nel rito mi pare nuovo: e sento intorno a me, creato da quelle parole, dalle mani oranti del sa-
cerdote, un breve cerchio che si chiude intorno a noi, intorno all’altare, e ci isola, ci difende da
questo rombo, da tutto questo odio; un cerchio d’amore, e di bontà, e di speranza. La voce del
sacerdote, chinato sul calice, è ora appena un mormorio; eppure vince e copre queste esplo-
sioni che proprio ora, nel silenzio interrotto dal campanello, hanno raggiunto il loro culmine, e
fanno tremare la terra e tinnire i vetri. Inginocchiato, ho pianto» (Giuseppe BIRARDI, Terra
levis. Note di un prigioniero in Germania, Firenze, Stamperia Editoriale Parenti, 1989, p. 79).
27 Don Pasa racconta nelle sue memorie che in un primo momento riuscì a ottenere dal
comando tedesco l’autorizzazione a rimanere con la truppa, in base a una sua scelta precisa, ma
che poi al momento del distacco degli ufficiali dai soldati tale concessione venne negata (PASA,
Tappe…, p. 39). In una sua Relazione sul servizio religioso prestato nei campi di prigionia, in-
dirizzata in data 8 maggio 1945 a Mons. Orsenigo e all’Ordinario Militare, don Pasa precisava
che egli e gli altri cappellani mai smisero di sollecitare, sia presso i comandi tedeschi che
presso l’Ambasciata d’Italia, che venisse concesso l’esercizio del ministero in mezzo ai soldati,

2.9 Page 19

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Quel “buon compagno di prigionia”. ... Luigi Francesco Pasa per gli internati... 25
Pasa lasciò il campo di Sandbostel. Caricati sui soliti carri-bestiame, giunsero
il 7 al campo-fortezza di Deblin (Stalag 307), a sud-est di Varsavia. Lì don
Pasa, pur non potendo celebrare la messa, ma intendendo dare comunque una
risposta alla richiesta di conforto religioso da parte dei commilitoni, soprat-
tutto in occasione della solennità della Madonna del Rosario, decise di reci-
tare il Rosario: per essere visto da tutti, condusse i fedeli nella preghiera
stando sulla porta di un vagone, in posizione quindi un po’ sopraelevata.
Anche a Deblin, luogo di transito per gli ufficiali, don Pasa e i suoi compagni
erano però destinati a rimanere pochi giorni, nell’attesa di venire trasferiti in
un altro lager meno affollato. Furono quindi rimessi in viaggio alla volta del-
l’Oflager 333 di Benjaminowo, situato a pochi chilometri più a nord di Var-
savia, dove stavano confluendo gran parte degli ufficiali disarmati e catturati
in Grecia e nei Balcani.
A Benjaminowo
A Benjaminowo il 12 ottobre i nuovi arrivati vennero immatricolati: don
Pasa da quel giorno divenne il numero 4765. Qui, a Benjaminowo, attorno a
don Pasa si raccolsero rapidamente diversi ex allievi salesiani; per il 29 ot-
tobre fu indetta una riunione, alla quale partecipò un centinaio di militari
(tutti legati tra loro dall’appartenenza alla famiglia salesiana), e venne stabi-
lito di ritrovarsi tutti assieme il 24 di ogni mese per celebrare una messa in
onore di Maria Ausiliatrice. L’importanza della figura e della personalità di
don Pasa, nonché di quella cordiale atmosfera di salesianità che egli sapeva
creare intorno a sé, dette ben presto luogo alla costituzione di una piccola co-
munità nel nome di Don Bosco. Ricorda a tal proposito il tenente Manlio
con risultati ovviamente nulli (AS.OMI, fasc. don Luigi Pasa). La difficoltà di rinunciare al-
l’assistenza spirituale è espressa chiaramente nel memoriale di un ufficiale che peraltro non fu
costretto a rinunciarvi: «Guai se ci mancasse quest’assistenza religiosa. Visibilmente essa offre
un gran conforto a molti di noi. E questi cappellani sono bravi. Devono sentire attorno a loro il
calore della nostra simpatia e della nostra gratitudine» (ODORIZZI, Un seme…, p. 88). Faccio
notare che anche in altre esperienze di prigionia nei regimi totalitari, come in URSS, le autorità
di polizia tendevano a raggruppare i cappellani militari nei campi per ufficiali, rigettando ogni
richiesta da parte loro di potere raggiungere i soldati. Al Campo n. 160 per prigionieri di guerra
a Suzdal il 19 maggio 1945, attraverso il loro capogruppo Ten. Capp. Don Enelio Franzoni, i
cappellani militari italiani fecero domanda di essere inviati nei vari campi per prestare la loro
opera di assistenza religiosa e morale agli altri ufficiali e soprattutto ai soldati; il foglietto ri-
tornò qualche tempo dopo con una sola parola scritta in matita rossa: Otkasat (rifiutare) con la
firma del comandante colonnello Krastin. Al ritorno in patria molti soldati si meravigliarono al
sapere che c’erano stati anche dei cappellani prigionieri e ancora oggi ritengono che i russi in-
tendessero evitare che i preti influissero negativamente sulla loro propaganda (testimonianza di
Mons. Enelio Franzoni, medaglia d’oro al valore militare, pubblicata nel sito web dell’ITC
Leopardi di Bologna: <http://itcleopardi.scuolaer.it>).

2.10 Page 20

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26 Alessandro Ferioli
Gallo: «Nel centro del nostro dolore fiorì un rosaio; palpitò sulle nostre la-
crime un cuore: un cuore di Sacerdote, di Salesiano. Lui ci unì nel ricordo
della passata fanciullezza innocente, nel Collegio Salesiano; Lui ci parlò di D.
Bosco, dell’Ausiliatrice, ogni giorno, a tu per tu, ogni sera a tutti, riuniti come
in una grande famiglia. Eravamo soli, come pecore senza pastore, soli nel-
l’abbandono, e nel pianto. Ma venne lui, don Luigi Pasa, che ci radunò, ci
consolò. Ricordo come ci siamo conosciuti. Un giorno, forse una domenica –
là tutti i giorni erano uguali – il cappellano venne a celebrare la S. Messa
nella mia baracca e ci fece un piccolo fervorino; parlò di D. Bosco. A quel
nome il cuore mi diede un tuffo; non udii più altro, e non ricordo più quello
che disse, ma attesi la fine della Messa e, appena cominciò a svestirsi dei
sacri paramenti, lo abbordai: “Lei ha parlato di Don Bosco: è Salesiano o ex
Allievo?” “Sono Salesiano, del Collegio di Pordenone”. Non ci volle altro.
Cominciammo a parlare di Don Bosco, dei Salesiani, degli ex Allievi. In
cinque minuti fummo più che amici, fratelli. Avevamo un mucchio di cono-
scenze comuni; divenimmo amici inseparabili. Egli conosceva già molti ex
Allievi: stringemmo tutti amicizia; ne scoprimmo presto degli altri e poi altri
ancora. In breve fummo un centinaio, e, naturalmente, fondammo una Unione
ex Allievi. Una Unione veramente singolare! C’erano rappresentate tutte le
regioni, tutte le città, tutti i Collegi»28.
Gli ex-allievi dunque cominciarono a incontrarsi con regolarità, costi-
tuendo spontaneamente un’associazione intitolata a Don Bosco, e organiz-
zando una serie di conferenze sugli argomenti più disparati; nel corso di
queste occasioni di incontro, don Pasa svolgeva la sua opera di assistenza mo-
rale agli internati e al tempo stesso conduceva la sua opera di apostolato. Uno
dei punti più alti della salesianità fu raggiunto il 31 gennaio 1944 con la cele-
brazione della festa di Don Bosco: la sera il tenente Gallo tenne una confe-
renza sull’opera del santo, e il giorno successivo venne celebrata una messa
solenne cantata. È importante registrare la diffidenza che i tedeschi mostra-
rono subito verso queste riunioni, sino al punto da inviare un ordine scritto al-
l’Anziano del campo, e per conoscenza a don Pasa, nel quale si faceva
espresso divieto di costituire senza preventiva autorizzazione quelle che i te-
deschi chiamavano “confraternite religiose”, e in specie quelle promosse dai
salesiani e quelle riconducibili all’Azione Cattolica, le cui attività venivano
sospese con effetto immediato29. Personalmente non ritengo che quelle riu-
28 La testimonianza del Ten. Gallo è riportata in PASA, Tappe…, pp. 51-52.
29 PASA, Tappe…, p. 54. Per questi eventi (e anche per le pratiche religiose a Sandbostel
e Wietzendorf) è fondamentale la Relazione sul servizio religioso…, pp. 2-3; don Pasa dopo
la prigionia rilasciò una testimonianza significativa anche all’«Osservatore romano» del 5
giugno 1945.

3 Pages 21-30

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3.1 Page 21

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Quel “buon compagno di prigionia”. ... Luigi Francesco Pasa per gli internati... 27
nioni avessero finalità resistenziali consapevoli nei confronti del nazismo, dal
momento che dovevano piuttosto costituire nell’immediato occasioni di rac-
coglimento spirituale e di incontro culturale, e come tali anche diversivi per
combattere la noia della vita al campo: ciò che infastidiva i nazisti doveva
bensì essere, più verosimilmente, il conforto e l’irrobustimento morale che
tali forme di associazionismo producevano nei prigionieri, che i tedeschi desi-
deravano invece vedere fiaccati proprio nell’animo, per risultare poi più di-
sponibili alla collaborazione.
Ricorda ancora don Pasa: «Nel campo di concentramento la vita reli-
giosa non tardò ad avere un posto preminente. Nei primi giorni di prigionia fu
impossibile celebrare la S. Messa; e malgrado la buona volontà di noi cappel-
lani, la possibilità non sarebbe venuta tanto presto se gli ufficiali stessi non
avessero insistito e, con la loro esemplare insistenza, provocato il modo di
esplicare il servizio religioso. I tedeschi, si sa, erano contrari, per più ragioni,
al rito cattolico; anzi contrari a qualsiasi rito che non fosse l’espressione del
loro neopaganesimo; permessi, quindi, non ne concedevano; e noi ce li pren-
demmo»30. Il 14 ottobre don Pasa, in qualità di capogruppo dei tredici cappel-
lani del campo, invitò i suoi colleghi a celebrare la messa nelle baracche
anche senza l’autorizzazione del comando tedesco, ed organizzò Rosari se-
rali; qualche giorno più tardi riuscì a farsi mettere a disposizione un’apposita
baracca per le funzioni di particolare solennità31. Il 23 novembre successivo
nove dei sacerdoti furono fatti partire con destinazione Deblin: ridimensio-
nando la presenza dei religiosi si voleva al contempo indebolire l’efficacia
della loro opera. Anche a don Pasa il 7 dicembre venne offerto di partire: inu-
tilmente, come c’era da aspettarsi. Ma perché dunque questo accanimento nei
confronti dei preti?
Dagli episodi considerati sembra di potere affermare che le autorità na-
ziste mantenessero nei confronti dei cappellani un rapporto improntato ad una
certa ambiguità: da un lato cercavano di limitarne l’attività, soprattutto nelle
celebrazioni liturgiche, nella lucida consapevolezza che la liturgia contiene
una ricchezza morale e spirituale che, nel momento in cui viene celebrata, si
trasfonde nei fedeli, dando loro una forza morale capace di indurli alla sop-
portazione e alla fiducia nel futuro in ragione del valore salvifico della storia
della redenzione umana. Ma la liturgia prevedeva tra l’altro anche la lettura
delle Sacre Scritture, alle quali molti ufficiali e soldati si accostavano con avi-
dità, per scoprire in esse una ragione e un senso alle loro sofferenze, per com-
prendere il significato più autentico di parole – come “amore”, “pace” e “per-
30 PASA, Tappe…, p. 63.
31 Cf Relazione sul servizio religioso…, p. 2.

3.2 Page 22

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28 Alessandro Ferioli
dono” – di cui fino a quel momento non si era mai colto appieno il valore, ed
infine per coltivare una speranza non effimera per il futuro: in un’espressione,
per incontrare o ritrovare Dio32. I tedeschi, dal canto loro, attraverso il sistema
concentrazionario volevano che l’uomo si sentisse solo, in compagnia unica-
mente della propria angoscia e della propria disperazione, abbandonato da un
Dio gotico, spietato e disposto ad arridere soltanto ai nazisti33. In tale contesto
dunque il cappellano militare (e più in generale il prete) con la sua sola pre-
senza, o con il solo invitare alla preghiera, esercitava un’azione di resistenza
nei confronti dell’ideologia totalitaria, elargendo serenità ai commilitoni e po-
nendosi al contempo in maniera quasi naturale al centro di una struttura orga-
nizzata in funzione antinazista; per dirla con le parole di Claudio Sommaruga,
«la preghiera corale liberava l’individuo dall’isolamento aggregandolo in co-
munità che finivano per esaltare la forza di sopravvivenza dei singoli e dive-
nivano nuclei stimolanti di resistenza politica di uomini che di esperienza po-
litica avevano avuto solo quella pilotata e istrionica del “regime”, salvo pochi
eletti antifascisti dell’Azione Cattolica, della Università Cattolica e della Boc-
coni e dei partiti clandestini»34. Perciò i tedeschi dovevano cercare di limitare
l’attività di assistenza religiosa (cosa che facevano in verità anche con i loro
stessi preti cattolici), evitando tuttavia scontri troppo duri, che avrebbero po-
tuto indurre i prigionieri a forme di ribellione aperta, e vanificare così l’opera
di convincimento alla collaborazione. Tale situazione costrinse quindi le auto-
rità dei campi ad atteggiamenti ora di relativa tolleranza ora di repressione
più o meno brusca, e don Pasa seppe sempre sfruttare abilmente ogni spazio
che i tedeschi gli lasciavano. «La nostra attività sacerdotale – ricorda il sale-
siano – passava tutt’altro che inosservata ai tedeschi. I nostri carcerieri, un
po’ lasciavano fare, un po’ angariavano. Per esempio, se io volevo dire due
32 Spiega Mons. Amadio: «Nei campi di prigionia ci si avvicinò alla Bibbia avidamente:
ebbero luogo, ad opera di Cappellani militari particolarmente preparati, veri corsi di introdu-
zione e di esegesi biblica che fornirono quel minimo di attrezzatura scientifica indispensabile
per una retta intelligenza dei vari libri. Invero, pochi esemplari della Bibbia circolavano e tutti,
o quasi tutti, editi da autori protestanti: ma in sostanza la Bibbia giunse a un gran numero di
persone, fu conosciuta non solo dalla facciata storica e poetica, quella ordinariamente meno
impegnativa e maggiormente apprezzata da un certo pubblico di lettori, ma fu considerata,
come veramente essa è dal lato religioso e formativo, come la parola rivolta da Dio agli uo-
mini, deposito autentico della Rivelazione cristiana» (AA.VV., Fra sterminio e sfruttamento…,
pp. 307-308).
33 Nella religiosità degli internati era molto avvertita una sorta di contrapposizione fra il
Dio dei prigionieri e il Dio dei tedeschi, ovvero, per dirla con Giovanni Guareschi, «quel Dio
che – essi dicono – è con loro, e che è molto diverso dal nostro, e che ha un nome misterioso
e grottesco: Gott» (Giovanni GUARESCHI, Diario clandestino 1943-1945, Milano, Rizzoli,
1949, p. 39).
34 SOMMARUGA, Religiosità e resistenza dei militari italiani…, p. 41.

3.3 Page 23

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Quel “buon compagno di prigionia”. ... Luigi Francesco Pasa per gli internati... 29
parole a fine Messa, o comunque parlare in pubblico, avevo l’ordine peren-
torio di presentare all’ufficio di Polizia, almeno una settimana prima, il mano-
scritto. Ho parlato sempre lo stesso senza... il “nulla osta”»35.
Ben presto in ogni baracca venne realizzato un altarino per la messa: uf-
ficiali che nella vita civile esercitavano le professioni di architetti e ingegneri,
o dipingevano, si misero all’opera producendo addobbi, ornamenti per le im-
magini sacre, presepi per il primo Natale di prigionia, coltivando così un’atti-
vità che serviva anche da passatempo; altrettanto presto cominciarono ad es-
sere celebrate le festività dei santi regionali, che costituivano un mezzo per
riannodare un legame con la propria terra. Don Pasa visitava incessantemente
tutte le baracche, intrattenendosi con i soldati e rincuorandoli uno per uno; re-
digeva procure; ma dovette anche celebrare, a partire dal febbraio 1944, le
prime funzioni funebri, sia per gli internati deceduti di stenti (le cui tombe
raccomandava alla cura dei salesiani locali), sia per i congiunti defunti di cui
giungeva talvolta notizia di morte dall’Italia.
Nello svolgimento della propria attività don Pasa poté servirsi anche del-
l’aiuto fattivo fornito dal clero polacco delle parrocchie più vicine e dai con-
fratelli della Casa Salesiana di Varsavia, che attraverso gli operai abituati a
frequentare il campo per lavori di manutenzione facevano giungere anche
ostie, vino da messa e materiale liturgico36. Era stato lo stesso Rettore Mag-
giore don Pietro Ricaldone, in una sua lettera del 31 gennaio 1944, a sugge-
rirgli di mettersi in contatto con qualche Casa Salesiana vicina, per doman-
darne la collaborazione, ma anche per potere verificare la situazione in cui si
trovavano i confratelli polacchi e riferire ai superiori in Italia delle condizioni
di vita in loco37. Il primo contatto fra il cappellano militare e i Salesiani av-
venne attraverso un operaio polacco che tutti i giorni si recava a lavorare al-
l’interno del lager, e che si offrì di recapitare di nascosto per conto di don
Pasa una lettera ai salesiani di Varsavia. Don Luigi descrisse in una lunga
35 PASA, Tappe…, p. 68. È significativo quanto qualcuno confidava a don Pasa: «I tede-
schi hanno paura di voi… Se potessero farvi fuori, lo farebbero volentieri…» (ivi, p. 69).
Anche durante la sua successiva permanenza a Sandbostel, la polizia politica esigeva inizial-
mente che don Pasa presentasse uno schema approssimativo della lettura del Vangelo (ivi, p.
111). Spiega Claudio Sommaruga che «il nazismo tollerò apparentemente la pratica religiosa
nei campi degli internati italiani non certo per benevolenza ma per accattivarseli in vista di una
sollecitata e contrastata collaborazione. La circolare 172/43 del Partito Nazista, del 15-12-43,
firmata da M. Bormann, al paragrafo 10 è esplicita: “Secondo le possibilità converrà conce-
dere agli italiani militari internati di partecipare alle funzioni religiose domenicali nel campo
di concentramento o presso l’Arbeitkommando, ma non però nelle chiese tedesche. Frequen-
tare la chiesa è per l’italiano un’abitudine alla quale si è formato e alla quale non può rinun-
ciare”» (SOMMARUGA, Religiosità e resistenza dei militari italiani…, p. 43).
36 Cf Relazione sul servizio religioso…, p. 4.
37 La lettera è menzionata in: Francesco RASTELLO, Don Pietro Ricaldone IV successore
di don Bosco, Vol. II, Roma, Editrice SDB, 1976, p. 429.

3.4 Page 24

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30 Alessandro Ferioli
missiva indirizzata all’Ispettore dei Salesiani in Polonia la situazione degli
italiani internati e i sacrifici che essi stavano sopportando, e ai quali in verità
il popolo polacco partecipava con grande umanità. Fu questo il primo di una
serie di atti con i quali don Pasa seppe costruire una fittissima rete di relazioni
che ebbe la conseguenza di alleviare notevolmente le pene dei prigionieri: l’I-
spettore rispose inviando a nome dei bambini polacchi una grande quantità di
fichi che dall’Italia aveva mandato il Papa; successivamente giunse anche
pane bianco e salame per gli ammalati, nonché tabacco per sollevare il morale
dei fumatori più accaniti. Tutto ciò avveniva nella massima segretezza, anche
in considerazione dei pericoli che tali relazioni comportavano, e la corrispon-
denza veniva sistematicamente eliminata dopo la lettura: l’operato della
Chiesa a favore dei perseguitati dal nazismo si svolse sempre, come è noto, in
sordina, schivando ogni possibile clamore o amplificazione proprio per evi-
tare le ritorsioni dei tedeschi sulle popolazioni. Ad ogni modo, secondo Lu-
cini e Crescimbeni «con il contatto clandestino con i salesiani di Varsavia
anche l’attività religiosa ebbe un notevole impulso»38.
Di nuovo a Sandbostel
Il 12 marzo 1944, dopo cinque mesi di permanenza a Benjaminowo, as-
sieme ad altri 2.000 ufficiali don Pasa fu caricato sui soliti carri-bestiame che
partirono nuovamente alla volta di Sandbostel, dove quindici giorni dopo sa-
rebbero giunti anche i rimanenti militari provenienti da Benjaminowo. All’O-
flag X B di Sandbostel i cappellani crebbero progressivamente da un minimo
di 11 sino a raggiungere il numero massimo di 55, per un totale di ufficiali
che oscillò a seconda dei periodi fra le 4.000 e le 9.000 unità: l’assistenza re-
ligiosa dovette perciò essere organizzata e gestita in maniera un po’ più rego-
lare di quanto non fosse stato fatto precedentemente, ed in forma più capil-
lare; inoltre, con non pochi sforzi la cappella del campo venne attrezzata e
ornata al punto da risultare somigliante a un tempio39. Risale a questo periodo
la conoscenza tra don Pasa e il tenente Carlo Maggio, che di lui ci dà una
descrizione fisica perfettamente consona al suo carattere di montanaro bo-
nario e determinato, rustico nell’aspetto e saldo nei valori: «Era piuttosto tar-
chiato, con il viso rotondo, i capelli corti (a spazzola). Indossava la veste ta-
lare e portava in testa un basco nero (che probabilmente gli era stato donato
38 Marcello LUCINI e Giuseppe CRESCIMBENI, Seicentomila italiani nei lager, Milano,
Rizzoli, 1965, p. 102.
39 «L’assistenza religiosa all’Oflag X B è stata garantita nella maniera più assoluta e, a
poco a poco, la nostra cappella ebbe tutti gli aspetti di una qualsiasi parrocchia» (PASA,
Tappe…, p. 111).

3.5 Page 25

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Quel “buon compagno di prigionia”. ... Luigi Francesco Pasa per gli internati... 31
da qualche marinaio perché lui era cappellano dell’Aeronautica). Aveva un
accento marcatamente veneto»40.
L’ex-IMI Tullio Odorizzi ricorda così l’attività di don Pasa: «Bravissimo
questo nostro Salesiano! Sempre in attività. Fervido, aperto, generosamente
impulsivo nel suo zelo apostolico, egli cerca tutte le occasioni per invitarci
alla preghiera ed al raccoglimento. Non passa giorno, letteralmente, che egli
non faccia comunicare, durante gli appelli, che il giorno X è la festa del pa-
trono di Y, e sarà celebrata la S. Messa; e così via. Non c’è pericolo che si
lasci sfuggire, lungo il calendario, qualche patrono di città italiane, di armi, di
corpi o di specialità, senza solennizzarlo! Non fa torto a nessuno, lui. Aggiun-
gete le feste liturgiche, le ricorrenze, e, purtroppo, di tanto in tanto, i nostri
lutti. Un’attività alla quale egli dedica le sue cure più assidue è la raccolta di
viveri, medicinali e denaro per i nostri colleghi ricoverati all’infermeria o al-
l’ospedale. A tale scopo coloro che ricevono pacchi da casa sono inevitabil-
mente presi d’assalto, con discrezione e con garbo, o da lui o dai capi baracca
che sono diventati, in questo lavoro, i suoi collaboratori»41. Prescindendo dal-
l’attività religiosa, e guardandolo sotto un aspetto più laico, Giovanni Marioni
lo definiva come «il buon compagno di prigionia, il fratello amoroso, pronto
sempre a patrocinare la causa dei prigionieri, disposto sempre a venire in-
contro ai bisogni di tutti»42.
Lo svolgimento delle funzioni religiose venne mantenuto sempre in per-
fetta efficienza: si celebrava tutti i giorni nella Cappella con un regolare ser-
vizio; nei giorni festivi don Pasa stesso celebrava la Messa al campo sul piaz-
zale più vasto lasciato a disposizione dal Comando tedesco, e che dopo l’ap-
pello serale veniva usato per la recita del Rosario; si celebrava anche nelle
singole baracche, ad opera dei cappellani che vi dimoravano o che vi si reca-
vano appositamente. Per volere di don Pasa i cappellani non si radunarono –
come avvenne invece in altri lager – in una baracca ad essi esclusivamente
destinata, ma furono sparpagliati fra i più diversi gruppi di ufficiali, sia per
costituire una presenza sempre vicina nell’arco dell’intera giornata, sia per
evitare critiche e per attestare concretamente il valore spirituale dei sacerdoti
internati43.
A Sandbostel la disciplina era particolarmente dura, e si moriva per un
nonnulla. La notte fra il 6 e il 7 aprile la fucilata di una sentinella colpì il ca-
40 Lettera del generale di divisione Carlo Maggio in data 26 settembre 2001 (AS.OMI,
fasc. don Luigi Pasa). A titolo di curiosità, il “famoso” baschetto nero di don Luigi è custodito
oggi nel Museo Nazionale dell’Internamento di Padova.
41 ODORIZZI, Un seme…, p. 105.
42 Dalla dichiarazione del generale Giovanni Marioni, Comandante dell’Artiglieria Divi-
sionale “Friuli”, in data 2 maggio 1951 (AS.OMI, fasc. don Luigi Pasa).
43 Dalla Relazione sul servizio religioso…, p. 5.

3.6 Page 26

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32 Alessandro Ferioli
pitano Antonio Thun von Hohenstein, un nobile boemo divenuto italiano
dopo la grande guerra, che nei giorni precedenti aveva più volte rifiutato al-
cune proposte, particolarmente insistenti, di “optare” per la RSI; benchè ferito
grave, i tedeschi tennero a distanza i suoi compagni, impedendo che venisse
trasportato in infermeria se non dopo qualche ora, quando però era già troppo
tardi. Il giorno precedente il capitano Thun aveva dato a un tedesco il proprio
orologio d’oro, in cambio probabilmente della promessa di un po’ di pane;
quella notte aveva combinato un appuntamento col soldato per ricevere il do-
vuto44. Anziano del Campo era il tenente di vascello Giuseppe Brignole
(1906-1992), medaglia d’oro al valore militare, il quale dovette imporsi per
ottenere dal capitano tedesco von Pinckel il consenso alla celebrazione del fu-
nerale, al quale poterono partecipare soltanto trenta ufficiali, guardati a vista
dai tedeschi; don Pasa riuscì a fare scattare da un civile tedesco alcune foto
della cerimonia, riuscendo poi, con evidente rischio personale, a fare perve-
nire un rullino alla famiglia dell’ucciso.
La mattina del 28 agosto il tenente Vincenzo Romeo, uscito dalla ba-
racca in maglietta e mutande per lavarsi, nell’approssimarsi alla pompa del-
l’acqua fece istintivamente l’atto di appoggiare l’asciugamano al filo spinato
(che ai prigionieri era fatto divieto di toccare), quando improvvisamente una
sentinella che stava a pochi passi lo freddò con un colpo mirato precisamente
al cuore; morì con la parola «mamma» sulla bocca. A Sandbostel, oltre a
questi due casi che furono forse i più eclatanti, molti altri assassinii furono
compiuti ad opera di sentinelle che agivano indisturbate (ed anzi con l’appro-
vazione del capitano Pinckel): proprio il giorno di Natale – per ricordare un
altro caso ancora – moriva, dopo una lenta agonia in infermeria, il tenente
Umberto Quagliolo, ferito da una sentinella dieci giorni prima, al quale non
era stato concesso il trasporto in ospedale per un intervento chirurgico assolu-
tamente necessario (per non citare i decessi avvenuti a decine in infermeria,
dove mancavano i più elementari medicamenti, e che vanno perciò ascritti
nell’elenco dei delitti). Le sepolture date ai morti furono oltre 30045.
In questo contesto don Pasa svolse un’opera di resistenza attiva intensis-
sima; basti pensare al sistema da lui escogitato per informare gli internati delle
notizie sull’andamento della guerra che alcuni ufficiali captavano di nascosto
da una radio clandestina, e che don Pasa stesso riferì ai giornalisti Lucini e
44 Il tenente Odorizzi seppe dal vicino di letto di Thun che il capitano era uscito dalla
baracca portando con sé due orologi e alcune sterline, per cederli ai tedeschi in cambio di un
po’ di alimenti per sé e per i compagni. Egli era la persona più indicata, in quanto conosceva
bene la lingua, e si era esposto sempre a rischi elevati, sino appunto alla morte (ODORIZZI,
Un seme…, pp. 165-166).
45 Cf Scheda discriminatoria…, foglio 3; anche Alessandro FERIOLI, Giuseppe Bri-
gnole: un comandante italiano nei campi di prigionia, in «Rivista Marittima», marzo 2003.

3.7 Page 27

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Quel “buon compagno di prigionia”. ... Luigi Francesco Pasa per gli internati... 33
Crescimbeni: «Don Pasa giornalmente teneva informati, mentre si celebrava
la messa, i suoi compagni di sventura. Il sistema era molto semplice: “Nel
nome del Padre del Figlio e dello Spirito Santo, radio-scarpa riferisce che gli
alleati sono stati bloccati in tal punto, così era in principio, non è vero niente...
e nei secoli dei secoli, radio-vera dice che l’offensiva ha successo, così
siaaa…” I tedeschi che frequentavano la chiesa seguivano ossequiosi il rito e
non si accorgevano di niente. Anzi, spesso, mentre l’officiante diramava la no-
tizia si raccoglievano in devota preghiera. Don Pasa faceva impazzire il co-
mando germanico. Quando lo cercavano per dargli un “cicchetto” non riusci-
vano mai a trovarlo; sembrava inghiottito dalla terra»46. La forza di don Luigi
in effetti risiedeva nel suo coraggio unito a un’eccezionale “faccia tosta”, che
lo spingeva a ricercare il contatto con gli internati, a conquistarne l’amicizia e
a farsi animatore della resistenza: «Don Pasa – scrisse Mons. Amadio, che fu
suo collaboratore – Corsaro nero, sempre in movimento. Antenna sul lager.
Antenna di rara potenza. Antenna nell’attività assistenziale, nel celebrare il sa-
crificio dei fratelli morti, nel gridare a tutti la condizione miseranda d’innu-
meri esseri umani sepolti nei campi di concentramento, nel recare a Roma
l’ansia e l’anelito di spiriti compressi nell’attesa di un rimpatrio»47. Numero-
sissime furono anche le attività culturali, volute da don Pasa e dal comandante
Brignole, e nelle quali lo stesso don Amadio rivestì sempre un ruolo note-
vole48. Furono particolarmente curati – per dichiarazione dello stesso don Pasa
al Nunzio e all’Ordinario Militare – gli ex-allievi salesiani, con riunioni perio-
diche e feste promosse per loro «secondo lo spirito di Don Bosco»49.
Contatti con il Nunzio Apostolico. Trasferimento a Wietzendorf
Il 17 febbraio 1944 don Pasa fece partire di nascosto una lettera per il
Papa e una prima lettera per Mons. Cesare Orsenigo (1873-1946), Nunzio
46 LUCINI e CRESCIMBENI, Seicentomila italiani…, pp. 267-268. Gli internati chiamavano
“radio-scarpa” il notiziario radio dei tedeschi, che nascondeva il reale andamento della guerra,
e “radio-vera” quello delle altre nazioni.
47 Le parole di don Amadio sono riportate in Mario MONTANARI, Storia di un sopravvis-
suto “N. 315540”, Imola, Tecnostampa Sutri, 1991, p. 239. Secondo la Relazione dell’Ordi-
nario Militare…, p. 1, a Benjaminowo e Sandbostel «don Pasa, con la fattiva, umile collabora-
zione degli altri cappellani militari, fu il dirigente infaticabile del servizio religioso, l’organiz-
zatore geniale e coraggioso dell’assistenza, il provvido soccorritore dei malati, il pietoso cu-
stode dei morti. Curò con fervore il servizio religioso imprimendo ai riti sacri una grande di-
gnità, cui conferì particolare solennità il complesso corale da lui istituito ed istruito. Organizzò
regolari corsi di cultura religiosa, che furono frequentatissimi e diede vita ad una orchestra».
48 Una descrizione dettagliata di tali iniziative è contenuta nella Relazione sul servizio
religioso…, pp. 6-8.
49 Ivi, p. 10.

3.8 Page 28

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34 Alessandro Ferioli
Apostolico a Berlino50, alla quale ne sarebbe seguita una seconda il 1° marzo
(entrambe probabilmente non giunsero a destinazione). Successivamente, dal
lager di Sandbostel mise in atto un altro tentativo per contattare Mons. Orse-
nigo, il quale aveva già visitato alcuni campi, ma era stato fortemente ostaco-
lato e limitato nella prosecuzione della sua opera da parte dell’autorità germa-
nica, affinché non portasse più conforto ai sofferenti, e vani erano stati tutti
gli ulteriori passi da lui esperiti51.
Dell’espediente utilizzato per contattare il prelato don Pasa dà descri-
zione nel suo libro: «Dopo i primi tempi della prigionia, cioè non appena
cominciai ad ambientarmi e, considerando la nostra miserrima esistenza,
ad escogitare ogni possibile soluzione per sollevarci almeno un poco, pensai
al rappresentante del Papa in Germania: il Nunzio Apostolico, che allora
era Monsignor Cesare Orsenigo. Volevo mettermi in diretta comunicazione
epistolare con lui; ma come fare?… La cosa non era facile, sopratutto perché
la Germania nazista, pur mantenendo relazioni diplomatiche con la Santa
Sede, subdolamente combatteva la Chiesa Cattolica per i suoi principi, ben
diversi dal neo paganesimo fatto tornare di moda da quel regime, nemico
acerrimo di quanto non fosse di origine tedesca. Poi, noialtri, eravamo prigio-
50 Sul periodo di Nunziatura a Berlino di Mons. Orsenigo (nato a Olginate il 13 dicembre
1873, Arcivescovo titolare di Tolemaide in Libia dal 23 giugno 1922, morto nell’ospedale di
Eichstatt il 1° aprile 1946) ricordo il libro, tratto da una tesi di laurea, di Monica M. BIFFI,
Mons. Cesare Orsenigo Nunzio Apostolico in Germania (1930-1946), Milano, NED, 1997,
nonché l’intervento di Luigi Candido ROSATI, Monsignor Cesare Orsenigo Nunzio Apostolico
in Germania dal 1943 al 1946, «Noi dei lager», n. 4 (ottobre-dicembre 2002), pp. 2-5. La fi-
gura di Mons. Orsenigo, al pari di quella del Pontefice Pio XII, è ancora oggetto di discussioni
fra gli storici, soprattutto in relazione ai rapporti tra il Vaticano e il nazismo: preciso quindi una
volta per tutte che scopo di questo contributo non è quello di offrire un apporto a tale dibattito,
che evidentemente è di complessità ben maggiore. Ad ogni modo Mons. Orsenigo si attivò sin
dal 9 ottobre 1943 presso il Ministro degli Esteri tedesco per ottenere le seguenti concessioni:
di potere celebrare la Messa nei campi, di potere inviare aiuti materiali agli internati, e di po-
tere fungere da tramite per lo scambio di notizie tra gli internati e i famigliari in Patria; l’auto-
rità germanica, dopo ulteriori pressioni del prelato, aderì per mero opportunismo alle prime due
richieste (all’inizio del 1944 Mons. Orsenigo ancora attendeva il permesso di visitare un
campo), ma mai alla terza (cf Gerhard SCHREIBER, I Militari italiani internati nei campi di
concentramento del Terzo Reich 1943-1945, Roma, Ufficio Storico Stato Maggiore Esercito,
1992, pp. 694 sgg.). Per un inquadramento più generale dell’attività caritativa del Vaticano nel
periodo trattato, rimando preliminarmente agli Actes et Documents du Saint Siège Relatifs à la
Seconde Guerre Mondiale, 11 voll., Città del Vaticano, 1970-1981, ma anche al saggio di Italo
GARZIA, Pio XII e l’Italia nella Seconda guerra mondiale, Brescia, Morcelliana, 1988, nonché
al contributo dello stesso, “L’opera della Santa Sede in favore dei prigionieri e degli inter-
nati”, in AA.VV., I prigionieri e gli internati militari italiani…, pp. 69-80.
51 Per quanto mi consta, le uniche visite che Mons. Orsenigo poté compiere furono le se-
guenti: Stalag III D Weissensee (27 febbraio 1944), Stalag III C di Alt Drewitz, Stalag III A
Luckenwalde (16 aprile 1944), Stalag XI B di Fallingbostel (18 giugno 1944), Oflag 83
di Wietzendorf (18 giugno 1944), Stalag II D di Stargard (16 luglio 1944), Stalag VIII A di
Görlitz (30 luglio 1944), Stalag III B di Fürstemberg (21 maggio 1944).

3.9 Page 29

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Quel “buon compagno di prigionia”. ... Luigi Francesco Pasa per gli internati... 35
nieri di guerra, quindi gente da tenere, in modo particolare, castigata. Ma do-
vevo riuscire; ed un bel giorno mi feci accompagnare al comando della Ghe-
stapo dal mio bravissimo interprete dott. Tito Mauro. M’ebbi un bel no. Al-
cuni giorni dopo tornai alla carica, e m’imposi con quella parola che già
avevo esperimentato magica: “Vaticano”. “Siete sicuri di vincere la guerra?”,
feci dire dal Mauro. “Potete anche perderla, e allora diplomaticamente paghe-
rete salato questo rifiuto”. I presenti mi fissarono con sorpresa: quelle mie pa-
role erano o non erano una minaccia? Tuttavia mi sentii rispondere che essi
avrebbero chiesto il permesso a Berlino. Furono sinceri: si siano o no consi-
gliati con la loro centrale, io ottenni di indirizzare al Nunzio lettere addirittura
raccomandate»52.
La corrispondenza tra don Pasa e Mons. Orsenigo durò poi ininterrotta-
mente sino al 23 febbraio 1945, data dell’ultima lettera scritta dal Nunzio
Apostolico; dopodiché le vicende negative della guerra impedirono ogni ulte-
riore contatto sino alla liberazione. All’invito rivoltogli da don Pasa affinché
visitasse il campo, Mons. Orsenigo rispose il 30 giugno 1944 che, pur deside-
randolo ardentemente, non disponeva tuttavia di carburante a sufficienza,
neppure se si fosse servito del treno: valeva a dire che l’impedimento era
dettato non tanto dalle difficoltà logistiche quanto piuttosto dalla polizia53.
52 PASA, Tappe…, pp. 113-114.
53 Difatti (ma questo don Pasa non poteva saperlo) ai tedeschi non era sfuggito l’effetto
benefico che le visite del Nunzio procuravano agli internati, come si evince anche dal reso-
conto del tenente medico Mauro Piemonte sulla visita compiuta il 16 aprile 1944 presso lo
Stalag III A di Luckenwalde: grazie all’intercessione di Mons. Orsenigo presso il comando te-
desco, gli internati ebbero biglietti postali e moduli per richiedere alle famiglie la spedizione di
pacchi, ottennero per i medici e gli infermieri il permesso di compiere passeggiate fuori dai re-
ticolati, e poterono contattare le sedi svizzere della Pontificia Opera d’Assistenza, dalla quale
ricevettero poi medicamenti come estratti epatici e preparati organici di ferro, che costituivano
una base terapeutica insostituibile. Inoltre, mentre il Nunzio visitava il campo, il suo segretario
don Opilio Rossi (poi cardinale) raccoglieva in infermeria notizie e desideri da trasmettere alle
famiglie. Complessivamente, «la visita del Nunzio […] apportò a tutti pace e serenità. […] Le
parole del presule e questi benefici risultati sul piano assistenziale aprirono la porta anche a fa-
vorevoli reazioni sul piano morale, affettivo, caratteriale e contribuirono a smussare spigoli,
eliminare antipatie e disaccordi, rendere più umani e caritatevoli i rapporti tra internati. Tutto
sommato la visita di mons. Orsenigo fu largamente positiva sotto ogni riguardo» (cf Mauro
PIEMONTE, Medico a Luckenwalde, Brescia, ANEI-Brescia, 1996, pp. 47-53). Anche il tenente
colonnello Testa, nel suo memoriale, riferisce di una visita di Mons. Orsenigo all’Oflag 83 di
Wietzendorf, il 18 giugno 1944, con somministrazione della comunione a oltre 2.000 militari:
«il campo ne ebbe un benefico influsso morale ed in seguito il Nunzio vi si tenne sempre colle-
gato con piccoli soccorsi all’infermeria e con costante cura per informazioni, notizie, ecc.»
(TESTA, Wietzendorf, p. 26). Padre Narciso Crosara, cappellano a Küstrin, così ricorda: «C’è
nella vita dei deportati di Küstrin un ricordo che il tempo non può cancellare: il ricordo di un
uomo che per un istante riuscì a trascinarci, come una forza sovrumana, fuori dal nostro disu-
mano dolore: il nunzio apostolico mons. Cesare Orsenigo. […] Un giorno inopinatamente di-
laga nel campo la notizia dell’arrivo del nunzio apostolico e allora i volti incupiti dei deportati
si rischiarano: l’anima di ognuno si inonda di soavità e di speranza: tutti corrono verso l’in-

3.10 Page 30

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36 Alessandro Ferioli
Sin dal primo contatto Mons. Orsenigo non perdette tempo, e fece in-
viare agli internati a Sandbostel quanto segue: il 30 giugno 1944 Ovomaltina e
Medicinali Calcio, dono del Santo Padre; il 7 settembre 1944 cinque grossi
pacchi di medicinali, più cinque pacchi di ricostituente (vitamine) per un to-
tale di Kg 115; il 15 dello stesso mese altri Kg 115 di medicine, avvertendo
che a giorni avrebbe spedito altri cinque pacchi; il 20 dieci casse di tonno in
scatola (complessivamente Kg 225) per gli ufficiali, e altrettante casse per i
soldati; il 10 ottobre undici casse di medicinali; il 5 dicembre una cassa di ri-
costituente Halovis e dieci casse di tonno, che finirono per sbaglio in giacenza
nel magazzino francese (di 1.000 scatolette di tonno ne furono poi recuperate
622, mentre il ricostituente non fu mai trovato); l’11 gennaio 5.000 libretti di
preghiere; il 19 febbraio otto colli di viveri (mai giunti a destinazione)54.
Vale la pena di evidenziare l’importanza dell’invio dei medicinali, dal
momento che nei lager mancavano anche i farmaci più semplici, e nelle infer-
merie i medici italiani, dopo avere effettuato la diagnosi, erano il più delle
volte impossibilitati a mettere in atto la cura opportuna per il paziente. Scrive
don Pasa nella sua Relazione al Nunzio che più volte il direttore dell’ospe-
dale, tenente colonnello Giuseppe Germano, e il direttore dell’infermeria,
maggiore Enzo Paroma, gli rivelarono concordemente che se molte vite si
erano potute salvare e molti degenti avevano riacquistato la salute, ciò si do-
veva unicamente ai medicinali di primissima qualità inviati dal Nunzio55.
gresso del lager per vedere il rappresentante del Santo Padre. […] Il nunzio prende subito con-
tatto con le nostre miserie, con i nostri dolori, con le nostre ansie spasmodiche, e profonde
nelle anime la sua bontà, la sua dolcezza, la sua pietà ed umiltà come un balsamo benefico,
ineffabile. I cuori vibrano all’unisono, si fondono in quella poesia del sentimento che sgorga
dal grande dolore e che accomuna maggiormente gli uomini di una stessa stirpe e di una mede-
sima religione. Egli suscita la visione della patria lontana, delle madri e delle spose chiuse nel-
l’attesa e nella preghiera, ma soprattutto rappresenta la fiamma perenne e serena di quella fede
cattolica che santifica il dolore umano e che illumina il mondo» (PIASENTI, Lungo inverno…,
pp. 387-388 con tagli). Sull’opera incessante della Nunziatura a Berlino nel mantenere i rap-
porti fra gl’internati e le famiglie dà una testimonianza anche il diario del sottotenente Orlando
Lecchini: «29 settembre ’44. Ier l’altro sera è giunto qui un incaricato della Nunziatura Aposto-
lica di Berlino, portando fra l’altro mille scatole di tonno di 125 gr. ciascuna. È stato un preci-
pitoso affollarsi di ufficiali attorno a lui per consegnargli messaggi, ed anch’io ne ho dato uno
per il babbo e uno per Iolanda»; mentre il 25 novembre successivo a raccogliere i messaggi da
inoltrare attraverso la Nunziatura era lo stesso don Pasa (Orlando LECCHINI, Per non chinare la
testa. Un Lunigianese nei lager nazisti, Pontremoli, Ed. Il Corriere Apuano, 1988, pp. 57-58).
Il percorso dei messaggi era generalmente il seguente: la Nunziatura inviava alla Segreteria di
Stato una lista cumulativa di nominativi di internati che desideravano mandare un saluto ai
parenti, e questa trasmetteva i saluti scrivendo direttamente a casa a ciascuna famiglia.
54 PASA, Tappe…, pp. 115-116. «Insistei e potei mettermi in comunicazione con il Nunzio
Apostolico di Berlino, Mons. Cesare Orsenigo, ed ebbi da Lui Kg. 400 di medicine e viveri»
(cf Scheda discriminatoria…, p. 4). Invece per il carico e scarico degli arrivi, cf LOPS,
Albori…, Vol. II, pp. 774-775.
55 Cf Relazione sul servizio religioso…, p. 9.

4 Pages 31-40

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4.1 Page 31

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Quel “buon compagno di prigionia”. ... Luigi Francesco Pasa per gli internati... 37
Altrettanto importante (fors’anche più importante, almeno sotto il pro-
filo morale) fu l’intenso scambio di notizie tra gli internati e le famiglie in pa-
tria a cui don Pasa, attraverso il Nunzio Apostolico, riuscì a dare vita. Mons.
Orsenigo inoltrava regolarmente i messaggi via radio, e quando il numero di
comunicazioni era particolarmente elevato, spediva in Italia un suo incaricato
la cui valigia, in virtù delle prerogative diplomatiche, non era soggetta a con-
trolli: assieme alle informazioni sulla salute e le condizioni di vita, prende-
vano la strada per l’Italia anche molte procure matrimoniali. In cinque mesi
don Pasa fece inviare in Italia circa 8.000 messaggi, sobbarcandosi un onere
notevolissimo, per il quale aveva organizzato un apposito ufficio con sche-
dario e protocollo, tenuto dal notaio Enrico Castellini56. Quest’ultimo aspetto
dell’attività di don Luigi era anche quello per lui maggiormente carico di pe-
ricoli personali, dal momento che le autorità germaniche avevano sempre
fatto divieto assoluto alla Chiesa di fare da tramite per lo scambio di notizie
fra i prigionieri e i loro parenti57; e proprio tale opera risultò difatti fondamen-
tale nel rafforzamento del morale dei militari, e conseguentemente nella con-
tinuazione della resistenza “senz’armi” che i soldati stessi stavano opponendo
alle pressioni dei nazisti.
La prima domenica di ottobre, dietro autorizzazione del Nunzio Aposto-
lico a Berlino, don Pasa amministrò la Cresima, che molti militari non ave-
vano mai avuto e che desideravano ricevere. La delega era giunta al campo il
1° ottobre, ed il testo, ricopiato integralmente dal tenente Roberto Socini Ley-
dendecker, cominciava con queste parole: «Noi, Monsignore Cesare Maria
Orsenigo, Arcivescovo titolare di Tolemaide, Nunzio Apostolico di Sua San-
tità a Berlino, con le presenti lettere patenti, deleghiamo il capitano cappel-
lano don Luigi Pasa, cappellano capo dei sacerdoti aventi cura delle anime
dei militari italiani trattenuti in Germania…»58. Si trattò di un momento
tutt’altro che convenzionale: particolare attenzione venne posta alla prepara-
zione spirituale dei cresimandi (i quali seguirono un corso speciale), e al ceri-
moniale. Don Pasa cresimò quel giorno pubblicamente ottantaquattro militari;
altri quaranta ne cresimò il giorno di Cristo Re, venti il giorno dell’Immaco-
56 PASA, Tappe…, p. 116. I messaggi furono 7.000 secondo la Relazione dell’Ordinario
Militare…, p. 2, e secondo la Relazione sul servizio religioso…, p. 9.
57 A tal proposito è inequivocabile la documentazione degli archivi tedeschi utilizzata in
SCHREIBER, I militari italiani…, pp. 694 sgg. È comunque di tutta evidenza che l’attività di don
Pasa in tal senso non doveva passare del tutto inosservata alle autorità tedesche del campo.
58 La testimonianza del prof. Socini Leydendecker è contenuta in ANEI, Resistenza
senz’armi. Un capitolo di storia italiana (1943-1945) dalle testimonianze di militari toscani in-
ternati nei lager nazisti, Firenze, Le Monnier, 1984, pp. 387-388. Si noti la prudenza che
Mons. Orsenigo dovette adoperare in quell’espressione «militari italiani trattenuti in Ger-
mania», al fine di non esacerbare la diffidenza e l’avversione dei tedeschi per l’amministra-
zione della Cresima.

4.2 Page 32

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38 Alessandro Ferioli
lata, e un’altra trentina in cappella; volle che fossero scattate fotografie da
tutte le angolature possibili, affinché ciascuno dei partecipanti ne potesse
avere un ricordo.
«L’Osservatore Romano della Domenica» del 16 dicembre 1945 esibiva
un articolo di fondo intitolato Preti coraggiosi; al centro una fotografia rap-
presentava la fisionomia inconfondibile di don Pasa nell’atto di cresimare,
con la mano destra che segna sulla fronte un giovane soldato moro coi
baffetti: era il sottotenente Carmelo Santalco, che dopo il rimpatrio avrebbe
fatto una carriera politica nella Democrazia Cristiana. Ricorda Santalco nel
suo diario: «29 ottobre. Oggi S. Comunione e S. Cresima. Mi è padrino Ric-
cardo Sestilli. Giornata e cerimonia indimenticabili; mi sento pieno di vita di-
vina, di grazia. Contro il tormento della carne (o meglio delle ossa) c’è il
trionfo dello spirito. Pensiero a mio padre ed a mia madre. Ha amministrato la
cresima, su delega del Nunzio apostolico di Berlino, l’instancabile salesiano
don Luigi Pasa»59.
Ricorda Tullio Odorizzi: «Sono diventato padrino per la ventesima
volta. Ho tenuto alla cresima Santilli. Un figlioccio d’eccezione; ha già 28
anni. Egli è calabrese e mi dicono che nell’Italia meridionale è d’uso acco-
starsi al Sacramento della Cresima in età matura. Di fatto oggi gli ufficiali
cresimandi, quasi tutti meridionali, erano una sessantina; alcuni di essi già vi-
cini alla vecchiaia. La cerimonia ebbe luogo nell’”Arena”. Celebrava il cap-
pellano don Pasa, investito di speciale facoltà dal Nunzio Apostolico di Ber-
lino. Assisteva una gran folla di ufficiali. L’altare era stato eretto con la mas-
sima cura: con nello sfondo il tricolore. Antonelli aveva disegnato per l’occa-
sione una Madonna che appare ad alcuni prigionieri in un campo cintato, co-
perto di neve (Polonia?). Il quadro era posto sopra l’altare. Povero Antonelli,
è riuscito a fare un lavoro decoroso, garbato, disegnando su sei pezzi di car-
tone accostati; non aveva potuto ottenere dai tedeschi un foglio di sufficienti
dimensioni. Il discorso di don Pasa fu solenne. Il coro di Maggioli ed il vio-
lino di Selmi suscitavano in noi emozioni profonde: eravamo commossi. Il
cielo grigio, greve. Sospesa nell’aria una tristezza raccolta che si sciolse, poi,
per dar luogo a un diffuso senso di conforto. Era bello vedere il volto buono,
sereno, soavemente maestoso di don Pasa, mentre amministrava il Sacra-
mento passando fra le file dei cresimandi»60. Ai cresimandi il salesiano la-
sciava in ricordo della giornata un rosario di metallo, un libretto di preghiere
in francese e una sua fotografia scattata nel giorno di Cristo Re61. Altre
59 Carmelo SANTALCO, Stalag 307. Frammenti di un diario e di altri scritti di prigionia,
Roma, Abete, 1981, p. 60.
60 ODORIZZI, Un seme…, pp. 129-130.
61 LECCHINI, Per non chinare la testa…, p. 104.

4.3 Page 33

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Quel “buon compagno di prigionia”. ... Luigi Francesco Pasa per gli internati... 39
facoltà trasmesse a don Pasa dal Nunzio furono quelle di autorizzare, secondo
le norme del diritto, alla lettura dei libri proibiti, nonché di consacrare calici
e patene62.
Nel corso del gennaio 1945 l’autorità tedesca decise che anche gli uffi-
ciali – ad eccezione dei generali, dei medici e dei cappellani – sarebbero stati
avviati al lavoro obbligatorio. In forza di ciò buona parte degli ufficiali inter-
nati a Sandbostel furono inviati all’Oflag 83 di Wietzendorf (a sud di Am-
burgo), un migliaio venne trasferito a Fallingbostel (a nord di Hannover) e
circa cinquecento ad Amburgo; gli inabili al lavoro erano invece destinati al
campo di Fullen, in Olanda, dove avrebbero trovato quasi tutti la morte. Don
Pasa fu tra gli ultimi a lasciare Sandbostel: partito la mattina del 26 marzo,
dopo due giorni di viaggio in carri-bestiame giunse a Wietzendorf. Qui si ri-
trovò con altri salesiani: don Giacomo Manente (che rivestiva la carica di
cappellano capo), don Mario Romani, don Vincenzo Craviotto, don Michele
Obermitto, don Ettore Gamalero e don Vittorio Lorenzatti. Soprattutto, però,
fece la conoscenza con l’Anziano del campo, il tenente colonnello dei Bersa-
glieri Pietro Testa (1906-1964), ufficiale di Stato Maggiore, che fu una delle
più belle figure di comandante nella resistenza dietro i reticolati.
Il tenente colonnello Testa, dopo avere ricevuto il 9 febbraio 1944 la no-
mina ad Anziano dell’Oflag 83, in ragione della sua qualità di più anziano nel
grado più elevato presente al campo, aveva già preso ad operare attivamente
su più fronti. In primo luogo egli si era premurato, per usare una sua espres-
sione, di «dare vita al campo», con l’avvio e il regolare funzionamento di una
serie di attività di ordine spirituale (basti ricordare la cappella consacrata
nella baracca sesta) e culturale (ovvero i “giornali parlati”, i corsi e le confe-
renze, le mostre artistiche tanto ampiamente ricordate nella memorialistica,
l’istituzione di una biblioteca e di un teatro), nonché mediante la costituzione
di gruppi regionali e d’arma aventi finalità patriottica e di mutua assistenza;
inoltre, con la sua azione lucida e razionale, egli aveva provveduto a impri-
mere un’organizzazione più efficiente ai servizi del campo. Tutto ciò avvenne
sempre attraverso una dialettica intensissima col comandante tedesco, fatta di
reclami scritti e verbali (soprattutto in seguito alle violenze, alle malversa-
zioni, alle perquisizioni), di dispute accanite sugli articoli del Regolamento
del campo, di piccole concessioni strappate con fatica (come il parziale con-
dono delle punizioni, la revoca del provvedimento di sospensione del servizio
postale, una maggiore regolarità nella distribuzione della posta), di disquisi-
zioni interminabili intorno alla tabella viveri, talvolta anche di scontri duri;
ma al contempo ciò fu possibile grazie ad un’opera capillare di inquadra-
62 Relazione sul servizio religioso…, p. 10.

4.4 Page 34

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40 Alessandro Ferioli
mento e di convincimento diretto sugli internati, che Testa seppe attuare per-
sonalmente e servendosi di alcuni elementi particolarmente fidati, e che dette
come risultato una maggiore disciplina al campo, facendo ritrovare agli uffi-
ciali una dignità e una forza spirituale che, benchè avvilite e affievolite, non
si erano però mai del tutto smorzate.
Con l’aiuto dei cappellani presenti, Testa aveva già organizzato un ser-
vizio di assistenza spirituale pienamente efficiente, che contribuiva in ma-
niera determinante a mantenere saldi gli animi e la volontà di resistenza degli
internati, e a tale organizzazione don Pasa poté dunque portare il contributo
determinante del suo attivismo. «La partecipazione degli ufficiali alla vita
spirituale – ricorda Testa nel suo memoriale – è stata sempre intensissima, per
quell’istintivo bisogno che ha l’uomo di trovare conforto e guida nei giorni di
maggiore sofferenza e di più grave turbamento, avvicinandosi a Dio. Indub-
biamente alcune manifestazioni di bigottismo erano da attribuire più a super-
stizione che a fede vera, ma ad esse i cappellani hanno saputo reagire sempre
con tempo e misura»63.
La liberazione di Wietzendorf
Il 13 aprile 1945, alle ore 7, il tenente Millini, aiutante maggiore in se-
conda del Campo, comunicava al tenente colonnello Testa che i tedeschi se
n’erano andati: erano rimasti in servizio al lager soltanto due ufficiali tra i più
anziani (e meno fanatici) con pochi soldati, scelti tra i meno efficienti fisica-
mente64. Il comando del campo venne assunto dal colonnello francese Duluc,
il più elevato in grado tra tutti gli ufficiali presenti, mentre Testa continuava
ad avere la responsabilità del settore italiano. Il 16 aprile 1945 alle ore 11 il
colonnello Testa vide dalla finestra del proprio ufficio, ad un chilometro di di-
stanza, un carro armato seguito a breve distanza da altri tre. Nel pomeriggio,
alle 17.31 precise, il cancello del campo si apriva per fare entrare una berlina
nera, dalla quale scendevano uomini in uniforme color kaki: tra questi c’era il
maggiore inglese Cooley, “liberatore” del lager, che si recava subito ad in-
contrare l’ufficiale tedesco rimasto per ricevere le consegne; dopo un’ora e
mezza ripartiva, promettendo di farsi rivedere il giorno successivo.
L’indomani ritornarono invece i tedeschi – ed erano degli SS –, che
prendevano possesso del paese fermando e mettendo agli arresti due ufficiali
francesi: la condizione per la loro restituzione era che venissero liberati i
tedeschi fatti prigionieri dagli internati, per parte loro del resto poco lieti di
63 TESTA, Wietzendorf, p. 26.
64 Per questi avvenimenti cfr. soprattutto TESTA, Wietzendorf, pp. 128 sgg.

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Quel “buon compagno di prigionia”. ... Luigi Francesco Pasa per gli internati... 41
finire nelle mani degli SS, con i quali v’erano stati forti attriti. Il pomeriggio
del 21 il colonnello Duluc fu chiamato a conferire con il colonnello tedesco,
il quale gli propose una “tregua d’armi” per l’indomani, per consentire agli
ex-prigionieri di attraversare le linee alla volta di Bergen, a nord di Hannover,
ove era stanziato il comando inglese. Il giorno successivo si svolse, pur tra
mille difficoltà connesse allo stato di salute precario degli uomini, il trasferi-
mento a piedi nella zona inglese.
In effetti però, nonostante le reiterate promesse degli inglesi di dare
corso ad un rapido rimpatrio, i militari italiani dovettero trascorrere a Bergen
nove giorni, durante i quali si accasarono nelle abitazioni dei tedeschi e det-
tero fondo alle provviste sapientemente nascoste nelle dispense e negli orti.
Improvvisamente però il comandante del reggimento d’artiglieria di stanza a
Bergen, dal quale gli italiani erano venuti a dipendere, trovandosi nella neces-
sità di liberare gli alloggi per fare spazio a nuove truppe, dette ordine al co-
lonnello Testa di fare ritorno coi suoi ufficiali nientemeno che a Wietzendorf.
Dal 1° maggio dunque gli italiani erano di nuovo nelle baracche del loro vec-
chio lager, dove sarebbero rimasti sino al 18 luglio successivo.
Durante periodo di permanenza a Bergen don Pasa ebbe modo di visitare
il vicino lager di Belsen, che era uno dei più atroci campi di sterminio per de-
portati politici ed ebrei. Questa fu la situazione che apparve ai suoi occhi, pur
già provati da diciannove mesi di sofferenza nei lager nazisti: «Quello non
era un campo di concentramento, ma una immensa camera mortuaria, un’im-
mensa anticamera della morte, che ivi, più che altrove, incombeva minacciosa
e calava tremenda, voluta dalla crudeltà umana. Le salme erano ammontic-
chiate. Più che esseri umani spirati di recente, tutti quei morti davano l’im-
pressione d’essere cadaveri di lunga data, su cui ogni minima particella di
grasso era evaporata, e la pelle, la sola pelle aderiva allo scheletro. Una vi-
sione che solo Dante ci avrebbe potuto rendere nel suo inferno: una visione
che si sarebbe creduta frutto di macabra fantasia, giammai della realtà: della
realtà in questo secolo ventesimo, che si auto definisce civile, evoluto! In
quel campo vidi raccolte 50.000 persone di tutte le nazionalità. I prigionieri
politici erano nella stragrande maggioranza»65.
65 PASA, Tappe…, p. 167. Il tenente colonnello Testa così riferisce lo spettacolo che gli
apparve a Belsen: «Nei primissimi giorni venni a conoscenza che nel campo di Belsen – 2-3
Km da Bergen – c’erano circa 300 italiani liberati dal campo di eliminazione, insieme ad oltre
70.000 prigionieri in maggioranza Russi. Ottenuto un autocarro dagli inglesi lo caricai di viveri
ed andai a Belsen. Il mio incontro con quei relitti umani è, per me, indimenticabile. Mi tocca-
vano, mi guardavano, mi tiravano per la giacca. Dissi loro poche parole e destinai i viveri metà
agli italiani e metà all’infermeria russa. Le condizioni di quegli uomini erano indescrivibili.
Alla naturale fame tedesca si erano aggiunti gli ultimi sette giorni prima della liberazione in cui
non avevano toccato cibo. Dopo 20 giorni dalla liberazione – erano stati liberati prima di noi –

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42 Alessandro Ferioli
Nel campo di Belsen erano confluiti anche circa 400 internati prove-
nienti da Dora-Mittelbau, il lager nelle cui gallerie sotterranee erano stati tra-
sferiti gli impianti industriali atti alla costruzione delle V-1 e delle V-2 dopo i
bombardamenti a Peenemünde. Quando i deportati furono trasferiti a Wiet-
zendorf66, dopo la liberazione del campo, don Pasa parlò con loro a lungo, e
fu tra i primi a raccogliere una vasta documentazione sul funzionamento di
quello che fu forse il più tremendo lager del terzo Reich, e sulle condizioni
generali di vita e di lavoro di uomini che avevano visto e subito orrori tali da
risultare difficilmente comprensibili anche a chi aveva conosciuto dall’interno
il concetrazionario nazista, se non fosse stato per le loro condizioni fisiche
che purtroppo suffragavano ottimamente le loro testimonianze. Fu proprio
grazie alla relazione redatta dal salesiano che si poté prendere una conoscenza
preliminare, per quanto sommaria, del campo di Dora, a dispetto di quanti fra
gli ufficiali di Wietzendorf ritenevano per ignoranza che dal campo di Dora
provenissero soltanto criminali comuni67.
La situazione a Wietzendorf era quanto mai difficile, dal momento che
nel campo – a parte la riacquistata libertà – continuavano logicamente a man-
care tutti quei servizi di cui gli internati erano stati privati per 20 mesi. Inoltre
l’impazienza di fare ritorno in patria, unita al parziale recupero della salute e
a una certa difficoltà di comunicare con i britannici (sempre indecisi se consi-
derare gli italiani come vittime o come cooperatori dei nazisti) produceva un
certo surriscaldamento degli animi degli ufficiali, esacerbati anche dalla diffi-
cile convivenza con i 3.000 militari fatti affluire a Wietzendorf dopo la libera-
zione dei campi vicini. Fu in queste circostanze che don Pasa, sollecitato
anche da altri ufficiali, si offrì spontaneamente per un viaggio in Italia, al fine
– come ricorda il colonnello Testa – «di tentare il contatto diretto con il Go-
verno Italiano ed in genere con la Patria»68. Si trattava di un’impresa ri-
la mortalità era ancora di 60-80 al giorno. Si vedevano qua e là morti per i cortili. La ripresa
era difficilissima e le autorità inglesi del campo mi pregarono di non portare altri viveri perché
la rieducazione all’alimentazione doveva avvenire sotto loro severo controllo» (TESTA, Wiet-
zendorf, pp. 146-147).
66 Prima che il campo di Dora venisse raggiunto e liberato l’11 dagli inglesi, i tedeschi
avevano provveduto a trasferire i prigionieri nel lager di Belsen, con il proposito di eliminarli
attraverso una distribuzione di pane avvelenato; il piano degli SS fu però frustrato dai continui
bombardamenti, sino a quando il 15 aprile i prigionieri non videro avvicinarsi i carri armati
degli Alleati, che liberarono il campo e successivamente trasferirono i sopravvissuti a Wietzen-
dorf. Altri reclusi partiti da Dora finirono invece in altre località, dove conobbero i modi più
atroci per morire (cf Alessandro FERIOLI, Dal lager sotterraneo alla luna, «Rivista Militare»,
n. 3 (maggio-giugno 2003).
67 La relazione è stata pubblicata nei «Quaderni del Centro Studi sulla deportazione e
l’internamento», ANEI, n. 3 (1966).
68 TESTA, Wietzendorf, p. 153. Per quanto riguarda l’attività svolta con la Missione Pon-
tificia nella Germania del Nord è fondamentale la Relazione al Sostituto della Segreteria

4.7 Page 37

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Quel “buon compagno di prigionia”. ... Luigi Francesco Pasa per gli internati... 43
schiosa, a causa della pericolosità del viaggio, e che avrebbe potuto con molte
probabilità rivelarsi infruttuosa; l’energico Don Pasa insomma, per usare an-
cora le parole del colonnello Testa, «partiva allo sbaraglio», ma tuttavia con il
fermo proponimento di attivare le autorità ecclesiastiche, dalle quali confi-
dava di ricevere risposte convenienti. Si trattava di una sorta di “seconda mis-
sione” ad integrazione e completamento della prima già compiuta durante i
venti mesi di prigionia, ma che dava (al contrario della precedente) ampio
spazio allo spirito di iniziativa e all’inventiva personale di don Luigi.
La Missione Pontificia
Il 12 maggio69 dunque il Salesiano decollava con un aereo da Celle alla
volta di Bruxelles e poi di Roma, portando con sé in due valigione alcuni do-
cumenti redatti dal colonnello Testa (una memoria, una relazione per il Mini-
stero italiano della Guerra e una lettera per il Pontefice), l’elenco dei prigio-
nieri e moltissime lettere e messaggi di militari per le famiglie in patria (circa
8.000); ciascuno nell’affidargli la propria lettera gli aveva descritto il proprio
di Stato Mons. Giovanni Battista Montini, compilata dal tenente cappellano militare prof.
don Luigi Pasa in data 30 novembre 1945, e da egli stesso consegnata in copia anche all’Or-
dinario Militare Mons. Carlo Alberto Ferrero (AS.OMI, fasc. don Luigi Pasa). La scelta di
don Pasa come “ambasciatore” degli internati da inviare in Italia è sempre stata spiegata dal
salesiano stesso, nelle sue memorie, come un’idea nata tra alcuni ufficiali del campo di Wiet-
zendorf, proposta al tenente colonnello Testa e da lui immediatamente approvata. In effetti,
però, il tenente colonnello Testa (che, come è noto, nulla aveva lasciato al caso nell’organizza-
zione del campo e nell’assegnazione degli incarichi in vista delle più diverse evenienze) aveva
inizialmente designato a tale compito il capitano conte Enrico Lulling-Buschetti del Reggi-
mento Savoia Cavalleria, perfetto conoscitore della lingua inglese, che già lo affiancava nei
suoi incontri con gli ufficiali britannici in qualità di interprete e godeva di grande credito
presso la Brigata inglese (circostanza, quest’ultima, che risulta anche in TESTA, Wietzendorf, p.
148). Il Lulling, che aveva il compito di prendere contatto in Italia specialmente con l’On. Ga-
sparotto, alla vigilia della partenza fu però improvvisamente colpito da polmonite, e costretto a
una lunga degenza; e fu allora che don Pasa si offrì con insistenza e caparbietà per prendere il
suo posto. Questi avvenimenti, dei quali si tace sia nel memoriale di don Pasa (piuttosto super-
ficiale in merito) sia nella relazione di Testa (che non fornisce alcuna spiegazione in merito),
furono raccontati dal conte Lulling stesso nel dopoguerra al tenente Gambari (testimonianza
scritta rilasciatami dal dottor Astro Gambari in data 1 ottobre 2002). Soltanto il giorno 25 lu-
glio il Lulling fu inviato da Testa in Italia al seguito del dottor Fulgenzi della CRI (TESTA,
Wietzendorf, p. 166).
69 Tale data di partenza si ricava da PASA, Tappe…, p. 182 passim. Secondo il memoriale
del tenente colonnello Testa, invece, il salesiano sarebbe partito il giorno 9 (TESTA, Wietzen-
dorf, p. 153); la discordanza è dovuta forse a una svista di Testa circa la data preventivata per
la partenza e quella effettiva della partenza dopo che don Pasa ebbe ottenuto dagli inglesi l’au-
torizzazione al viaggio. Il diario del tenente Enrico Zampetti, normalmente molto attendibile,
non lascia comunque dubbi: il giorno 9 egli scriveva una lettera alla madre col proposito di af-
fidarla a don Pasa che sarebbe dovuto partire l’indomani; il giorno 12 (sabato) alle ore 7 regi-
strava la partenza di don Pasa per Roma «con le nostre lettere» (Enrico ZAMPETTI, Dal lager.
Lettera a Marisa, Roma, Studium, 1992, pp. 351-352).

4.8 Page 38

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44 Alessandro Ferioli
paese, con la strada per raggiungere la sua casa, gli aveva raffigurato i carat-
teri della sua famiglia, gli aveva affidato insomma tutti i propri affetti e le
proprie speranze.
Giunto a Bruxelles, don Pasa incontrò il Nunzio Apostolico Mons. Cle-
mente Micara e pernottò presso i Salesiani; poi partì alla volta di Parigi, che
raggiunse in treno, e dove trovò ospitalità presso i Salesiani francesi. Lì fu ri-
cevuto dal Nunzio Apostolico Mons. Angelo Roncalli (1881-1963), il quale lo
presentò all’Ambasciatore dottor Giuseppe Saragat (1898-1988), poi Presi-
dente della Repubblica Italiana dal 1964 al 1971; il 23 lasciava Parigi in
aereo, nel pomeriggio giungeva a Ciampino, e verso sera era già presso i Sa-
lesiani di Roma. Da quel momento per circa un mese don Pasa si occupò inin-
terrottamente di perorare presso le autorità il rimpatrio degli ex-internati
ancora trattenuti in Germania, nonché di ricevere giornalisti e parenti degli
internati (dai quali raccolse circa 10.000 lettere da portare in Germania).
«Quella sera stessa – scrive don Pasa nel suo libro – presi contatto con
S. E. Mons. Montini, consegnandogli una lettera del Comandante Testa per il
S. Padre, e tre mie relazioni sui campi di concentramento, dimostranti, oltre che
orrori e sofferenze patite, come ora fossimo dimenticati; come nessuno si occu-
passe di noi, diversamente di quanto avveniva fra gli altri prigionieri, comin-
ciando dai francesi70. Consegnati all’Ufficio Informazioni, i diecimila nomina-
tivi in mio possesso, il S. Padre ordinò che a tutte le famiglie venisse inviato un
telegramma. La Radio Vaticana, d’altro canto, comunicò i nomi dei prigionieri,
annunciando che si sarebbe fatto di tutto per il loro rimpatrio. In breve tutta Ro-
ma, tutta l’Italia fu a conoscenza del mio arrivo e dello scopo della mia missio-
ne»71. Il 26 e il 29 maggio, e il 9 giugno, don Pasa intervenne a riunioni della
Presidenza del Consiglio dei ministri, riferendo dettagliatamente sul trattamen-
to inflitto ai militari italiani; il 29 maggio ebbe un’udienza privata col Papa, du-
rata circa cinquanta minuti, durante la quale gli raccontò delle vicende degli in-
ternati e gli mostrò alcune fotografie. Ebbe inoltre in quegli stessi giorni collo-
qui con moltissimi deputati e con cardinali e prelati della Curia romana: «Mi ri-
cevettero – ricorda – gli Eminentissimi Tedeschini, Caccia Dominioni, Canali,
Gasparri, Verde, Rossi, Marmaggi, Mercati, Nasalli Rocca; poi il Patriarca di
Venezia, Card. Piazza, l’Arcivescovo di Udine, Mons. Nogara; inoltre i Vesco-
70 La trascrizione di un breve documento redatto in data 8 maggio 1945 e presentato da
don Pasa al Papa Pio XII e al Presidente del Consiglio dei Ministri Ivanoe Bonomi è contenuta
in LOPS, Albori…, Vol. II, pp. 572 sgg.
71 PASA, Tappe…, p. 188. In un intervento commemorativo tenuto il 15 aprile 1956
alle Terme di Caracalla (riportato in PASA, Tappe…, p. 297), don Luigi riferì poi di quindici-
mila, e non già diecimila, indirizzi: si tratta di una delle non rare incongruenze tra il libro del
salesiano e alcuni suoi discorsi o altri scritti, che tuttavia non inficiano il valore e la portata
della sua opera.

4.9 Page 39

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Quel “buon compagno di prigionia”. ... Luigi Francesco Pasa per gli internati... 45
vi, in quel momento, residenti in Roma: Budellacci, Fogar, Rotolo, Costantini.
E parlai pure con l’Ordinario Militare, S. E. Mons. Ferrero di Cavallerleone. Mi
vollero loro ospite il Cardinale Salesiano, il Polacco Hlond, ansioso lui pure di
notizie dei connazionali, specie degli internati a Sandbostel, e il Cardinale Cac-
cia, che nel mio campo aveva parenti e conoscenti»72.
Per comprendere appieno l’importanza dell’opera di informazione com-
piuta da don Pasa in quei giorni, talvolta in maniera anche un po’ frenetica e
caotica, occorre tenere presente che allora ancora poco o nulla si sapeva sia
delle vicende dei nostri soldati internati sia, più in generale, degli orrori del
concentrazionario hitleriano; né bisogna dimenticare che certa parte degli ita-
liani dubitava seriamente che gli ex-IMI avessero compiuto il proprio dovere
di soldati e di cittadini: espressione di questi stati d’animo furono talune di-
chiarazioni dell’allora presidente della Consulta, Conte Sforza, che ancora per
un certo tempo considerò gli IMI collaborazionisti dei tedeschi, e del ministro
Gasparotto, il quale sosteneva l’esigenza di sottoporli a opera di rieducazione
dopo il rimpatrio73.
Il 28 giugno, dopo avere espletato un’infinità di pratiche attraverso le
autorità vaticane, don Pasa ripartiva alla volta di Milano, dove si sarebbe
dovuta comporre una commissione incaricata di fornire assistenza ai militari
italiani ancora in Germania; nel frattempo, si procedeva alacremente alla
raccolta di viveri, indumenti, carburante, personale volontario e medicinali,
e il salesiano faceva tappa prima a Firenze, poi a Milano, a Venezia e a Bre-
scia, raccogliendo incessantemente, nel corso dei suoi incontri e delle sue
visite ai prelati locali, tutti i fondi che poteva74. La Missione, coordinata da
Mons. Carrol, partì da Milano il 7 luglio. Ad Innsbruck avvenne una prima
suddivisione nelle diverse missioni destinate alle varie zone della Germania
meridionale.
Don Pasa proseguì per Eichstatt, dove l’11 luglio presentò ufficialmente
la missione a Mons. Orsenigo (che aveva colà trasferito la Nunziatura Aposto-
lica), venendo da quel momento a dipendere direttamente dalla sua autorità.
Riferisce don Pasa di avere impiegato i giorni 12, 13 e 14 per esporre al
72 PASA, Tappe…, p. 191.
73 Per una panoramica sulla questione del “ritorno” degli internati, inteso come impatto
con un ambiente che non seppe comprendere il loro sacrificio e i loro problemi, cf AA.VV., Il
ritorno dai lager…, pp. 89-99.
74 Secondo il giudizio (da me non condiviso) di Alessandro Natta, tale azione imponente
di assistenza e conforto materiale fu strumentale a una non meglio precisata opera di “indottri-
namento” dei militari: «Fu solo al momento della liberazione che i cappellani iniziarono una
intensa e aperta attività di “indottrinamento” delle coscienze, soprattutto attraverso le iniziative
assistenziali che, anche per la carenza dello Stato, gravitavano in gran parte attorno alla Chiesa
e alla Città del Vaticano. Ma questo è già un episodio della vita postbellica del nostro Paese e
non più della resistenza nei lager» (NATTA, L’altra resistenza…, p. 74).

4.10 Page 40

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46 Alessandro Ferioli
Nunzio il suo programma di azione e di movimento, ricevendone approva-
zione incondizionata, e di essere ripartito poi il giorno 15 con una sola auto-
mobile, per un primo giro ricognitorio attraverso i vari campi della zona affi-
datagli. Nei suoi frequenti contatti con Mons. Orsenigo, don Pasa coglieva al-
tresì l’occasione per chiedere al Nunzio alcune informazioni sull’attività e
sullo stato di salute di alcuni cappellani, dei quali poi riferiva direttamente al
Rettore Maggiore don Ricaldone: in data 20 ottobre 1945, in particolare,
Mons. Orsenigo gli comunicava la morte del salesiano don Martino Cristofori,
di don Puišys, lituano, nonché del salesiano don Vittorio (erroneamente indi-
cato col nome di Ezio) Floriani, deceduto una sera in circostanze misteriose
mentre era in viaggio per andare a celebrare la messa in un campo75.
Al campo di Wietzendorf, intanto, per oltre due mesi di don Pasa non si
era saputo più nulla, ed inutili erano stati i tentativi del comandante di met-
tersi in contatto con la madrepatria, mentre non erano affatto diminuiti i pro-
blemi legati al morale degli ex-internati, aggravati anzi dal sopraggiungere di
ulteriori scaglioni di soldati provenienti da altri campi evacuati. Improvvisa-
mente il 16 luglio, in mezzo a un trambusto di soldati che gli si accalcavano
attorno per fargli festa, ritornava don Pasa in automobile: portava con sé una
lettera del rappresentante del Tesoro nella Commissione Interministeriale per
75 La lettera menzionata è riportata integralmente in RASTELLO, Don Pietro Ricaldone…,
Vol. II, p. 416. Don Cristofori rimase ferito durante i bombardamenti su Berlino, e morì il 1°
luglio 1945 alle ore 12.30, dicendo tra le sue ultime parole: «Non sono un martire, ma un po’ di
sangue l’ho versato anch’io… Ho compiuto il mio dovere» (cf PASA, Tappe…, pp. 222-223).
Su don Floriani ci dà una testimonianza Tiziano di Leo, internato nel lager III D di Spandau
presso Berlino, che alla data del 7 agosto 1944 annotava nel suo diario: «Abbiamo saputo che
il nostro cappellano, che spesso veniva a confortarci con la Messa, è morto. Le cause della sua
morte sono molto misteriose: il capo campo, che con parole basse e cretine ci ha annunziato la
sua morte, ci ha detto che deve essere stato fucilato per propaganda antitedesca. La ragione ad-
dotta ci ha sorpreso perché conoscevamo l’indole del nostro cappellano e sapevamo che era
troppo furbo per farsi pescare e troppo intelligente per compromettersi. Un cappellano inter-
nato ha due vie da scegliere: o diventare servo dei tedeschi assecondandoli nel loro gioco, op-
pure andare contro di loro consolando i soldati con notizie politiche ovviamente antitedesche.
Egli, seguendo la sua missione di alleviatore di mali morali, aveva certamente scelto la se-
conda via e ce ne accorgevamo quando alzava il morale di tutto il campo parlandoci di tante
cose che destavano proficuamente la nostra fantasia. Aveva come prima mèta la consolazione
degli animi e ci riusciva a meraviglia. Quando sentivo la sua mano appoggiarsi calma e forte
sulla mia spalla, mentre le sue parole confortatrici penetravano nel cuore, dal mio animo scom-
parivano tutte le scorie accumulate nei giorni tristi e nascevano mille buoni proponimenti. Se è
vero che è stato fucilato, ha interrotto da eroe la sua missione su questa terra; ha interrotto
perché la sua è una missione che proseguirà nell’al di là più potente e sicura. Dal Cielo ci pro-
teggerà e, godendo della visione dell’Altissimo, pregherà per noi e per i nostri cari. Don Vit-
torio Floriani rimarrà nella storia della nostra prigionia come una fiaccola di fede, un fuoco che
accendeva tanti altri fuochi di purezza. Don Vittorio verrà ricordato con rimpianto, forse mai
più potremo udire le sue buone parole ed assistere alla Messa» (Tiziano DI LEO, Berlino 1943-
1945: diario di prigionia, Fabriano, Centro Studi don Giuseppe Riganelli, 2000, pp. 120-121).

5 Pages 41-50

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5.1 Page 41

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Quel “buon compagno di prigionia”. ... Luigi Francesco Pasa per gli internati... 47
i prigionieri all’Estero dottor Marcolini (che lasciava sperare ben poche
azioni concrete da parte del Governo) e, soprattutto, una lettera di Monsignor
Montini che assicurava dell’interessamento della Santa Sede. Un po’ poco,
secondo il giudizio realistico del tenente colonnello Testa, il quale scrive la-
conicamente che il salesiano «portava solo quello che c’era da aspettarsi e
cioè il grande amore della Patria, il sentimento vivo della sua attesa e la con-
creta impossibilità di affrettare il nostro rimpatrio»76.
In effetti, nonostante le mille prove che don Pasa aveva già dato di sé,
era oramai convinzione pressoché comune nel campo che il sacerdote non sa-
rebbe più ritornato: taluni dubitavano della sua lealtà, mentre altri semplice-
mente ritenevano che egli non sarebbe stato più in grado di spostarsi dall’I-
talia77. Ricorda don Luigi nelle sue memorie: «E venne la sera del 16 luglio,
venne il momento in cui potei rimettere piede in Wietzendorf. Mi aspettavo,
sì, un’accoglienza cordiale, ma, a dire il vero, meno carica di stupore. Ero, sì,
atteso, ma non l’atteso, il che è assai diverso. Passato il primo momento di
perplessità, fu tutto un vociare, un accorrere. Chi stava cucinandosi il rancio
fuori della baracca, lascia andare la gavetta, abbandona tutto e mi viene in-
contro. Oh, meglio di così, lo confesso, non avrei potuto essere accolto, ma
sta il fatto che al campo di Wietzendorf non si erano captati i vari radiomes-
saggi fatti spedire. Si mancava di energia elettrica, le valvole erano deboli, gli
apparecchi scassati. A varie riprese era stato inteso il mio nome senza capire a
che cosa fosse accoppiato. Due mesi erano trascorsi dalla mia partenza, tre
mesi esatti dalla liberazione: 16 aprile-16 luglio; e quei poveri miei compagni
in questo periodo non avevano più sentito parlare di rimpatrio, né avevano
visto giungere il loro messaggero. La radio poteva nominare don Pasa fin che
voleva, ma fin che don Pasa non capitava potevano benissimo immaginare
che il loro cappellano, giunto in Italia, a Roma, si fosse limitato a conferenze,
ossia a parole, sulla loro triste condizione. Sapere che la guerra era finita, che
prigionieri d’altre nazionalità erano rimpatriati da tempo, e vedersi abbando-
nati, dimenticati da tutti, era più terribile che durante la guerra, che sotto la
mitragliatrice e la sferza dei nostri aguzzini!... L’automobile venne circondata
in un batter d’occhio. Si gridava: “Viva Don Pasa!”. Erano migliaia di uffi-
ciali che accorrevano a me, vedendo in me la patria lontana. Venne pure il
Comandante Testa, e mi abbracciò a nome di tutto il campo. A stento riuscì a
farmi entrare nel suo ufficio. Se in ogni campo da me visitato uno che veniva
dall’Italia era cercato con ansia e trepidazione, anche se non lo si conosceva,
figurarsi i prigionieri di Wietzendorf, che mi avevano, due mesi prima, affi-
76 TESTA, Wietzendorf, p. 167.
77 Questo sentimento comune è confermato anche nella lunga testimonianza rilasciatami
dall’allora sergente maggiore Angelo Pezzoli in data 18 settembre 2002.

5.2 Page 42

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48 Alessandro Ferioli
dato le loro lettere per le famiglie, e per i quali, era credibile, io avrei avuto
corrispondenza da consegnare!»78.
Il sottotenente di vascello di complemento Enzo Colantoni, nel suo diario
annotava alla data del 17 luglio il ritorno del cappellano dall’Italia, e la prima
serata trascorsa attorno a lui per ascoltare il suo racconto: «Città distrutte, la-
crime di madri, mogli, sorelle, affettuoso interessamento di molti, probabilità
di aiuti per il rimpatrio, tutto è passato davanti a i nostri occhi, tutto abbiamo
ascoltato attoniti. […] E poi è rimasta l’attesa spasmodica della posta. Fino a
stamani. Ci sarà? […] Gagliardini, ed io, e Conforto e tutti: avremo una lettera
domani mattina. 14 mesi, Gagliardini ed io, che siamo senza notizie»79. Il te-
nente Zampetti, fra il gioioso e l’incredulo, annotava nel suo diario: «C’è don
Pasa qui in camerata con noi! È arrivato stasera verso le 20 e come un fulmine
s’è sparsa la notizia nel campo. Alle 22.30 ha parlato alla radio del campo e
ora è qui da noi a fornire particolari sul suo viaggio a Roma. La posta che ha
portato sarà distribuita domattina. Ho l’animo in subbuglio»80.
Ma don Pasa ai prigionieri di Wietzendorf fece arrivare anche diversi ca-
mion carichi di cento quintali di riso, venti di farina, trenta di gallette, ve-
stiario e medicinali; altrettanti ne aveva per il campo di Belsen. Inoltre aveva
con sé tre grandi sacchi di posta affidatagli dalle famiglie in patria, e molte
delle missive erano indirizzate a soldati di cui non si conosceva neppure il
lager d’appartenenza81. Il sentimento provato nel ricevere lettere da casa è ef-
ficacemente annotato nel diario del tenente Zampetti: «Mercoledì 18 luglio
ore 7.30 […] è entrato in baracca uno degli ufficiali addetti alla posta (che
avevano fatto nottata per smistare tutte le lettere di don Pasa) e ha portato un
pacchetto di lettere, messaggi e telegrammi. Romanini è subito corso a sfo-
gliarle. Io mi sono curvato sulla sua spalla per cercare la vostra calligrafia:
Mattera, Picucci, Magatti. Ero sicuro che doveva esserci qualcosa per me, ma
l’emozione mi ha vinto e mi sono ritratto in disparte, attendendo: un tremito
interno mi scuoteva. La sigaretta si è spenta fra le dita. Quanti secondi sono
passati? e finalmente: Zampetti! Zampetti!... Sono rimasto per più di un mi-
nuto con le vostre due lettere fra le mani. Tutta l’attesa di oltre un anno in
quel minuto. O mio cuore, come hai potuto reggere? Dopo, in piedi davanti
alla finestra, ho trovato la forza di mettermi a leggere. La lettera di mamma
78 PASA, Tappe…, pp. 202-203.
79 ENZO COLANTONI, Diario di prigionia 1943-45, a c. di Angela Maria Stevani Colantoni
e Marina Medi, Foligno, Editoriale Umbra, 1999, p. 190.
80 ZAMPETTI, Dal lager…, p. 300.
81 Dalla Relazione al Sostituto della Segreteria di Stato…, p. 6 (corsivo mio): «I mezzi
assistenziali assegnati alla Missione del nord, consistenti in viveri, vestiario e medicinali, rag-
giungevano complessivamente 100 quintali ed erano trasportati in tre camions. La distribuzione
è stata fatta con scrupoloso riguardo agli effettivi bisogni dei singoli campi (Kassel – Hannover
– Celle – Wietzendorf – Belsen – Fullen – Fersen – Meppen)».

5.3 Page 43

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Quel “buon compagno di prigionia”. ... Luigi Francesco Pasa per gli internati... 49
prima e poi la tua, e poi la lettera di mamma e ancora la tua. Ogni frase era
un’emozione nuova indicibile»82.
Mentre dal campo di Wietzendorf cominciavano i rimpatri degli ufficiali
e dei soldati ammalati, grazie agli autocarri giunti dall’Italia, don Pasa prose-
guiva il suo itinerario attraverso i vari lager, sempre portando con sé la posta
che si era fatto affidare in Italia: visitando taluni campi anche più volte, fu a
Münster, a Soltau, a Lunemburg, a Bassen, a Gross Heseppe (ai confini del-
l’Olanda), a Versen, a Fullen (il famigerato campo che ospitava oltre mille tu-
bercolotici), a Mattemberg, a Belsen, a Bad-Rehburg, a Brema, a Oldenburg.
La sua opera consisteva nell’organizzare i rimpatri (che, stante l’esiguo nume-
ro di camion disponibili, dovevano essere regolati con molto raziocinio, dando
ovviamente la precedenza ai malati più gravi); nel coordinare l’assegnazione di
viveri e vestiario giunti dall’Italia; nel distribuire la posta (e il bene che faceva
con questo gesto non è neppure lontanamente immaginabile da parte di chi non
ha conosciuto il distacco dalla famiglia attraverso venti mesi di lager!); nel-
l’officiare la messa, cresimare, celebrare funerali e messe solenni in suffragio
dei defunti, trattare questioni relative ai matrimoni. In soli dieci giorni egli per-
corse 4.000 chilometri, visitò trenta campi e diversi ospedali, venne in contat-
to con 60.000 internati; il 3 settembre era a Roma dal Papa per informarlo di
quanto fatto nel corso di questo suo primo viaggio in missione pontificia.
A questo primo viaggio in Germania ne seguirono altri tre, sempre con
la Missione Pontificia: don Luigi andava alla ricerca degli italiani non ancora
partiti, soprattutto quelli ricoverati negli ospedali e nei sanatori; s’imbatteva
in gruppi di cattolici (prevalentemente lituani e polacchi) che gli affidavano
documenti da fare pervenire in Vaticano; visitava prigionieri di altre naziona-
lità (russi e ungheresi provenienti dai campi di sterminio e ancora privi di as-
sistenza); incontrava prelati che gli consegnavano missive per la Santa Sede.
Poi, una volta ritornato in patria, riferiva come al solito agli alti prelati che
avevano promosso i suoi viaggi (particolarmente il Card. Schuster e Mons.
Montini) e allo stesso Pio XII; celebrava funzioni in suffragio dei caduti; ri-
prendeva contatti con le famiglie dei soldati dispersi o non ancora rimpatriati
per informarli di quanto era riuscito a sapere sulla sorte dei loro cari; visitava
i congiunti dei militari da lui assistiti in punto di morte, per descrivere i loro
ultimi momenti di vita e riferire le loro ultime parole. Complessivamente don
Pasa visitò circa un centinaio di campi, una ventina di ospedali e una cin-
quantina di cimiteri, inviò in Germania 250 autocarri di viveri e rimpatriò un
congruo numero di ammalati83.
82 ZAMPETTI, Dal lager…, pp. 375-376.
83 Cf la Relazione al Sostituto della Segreteria di Stato…, pp. 4-5. Il Gazzettino di Ve-
nezia del 2 novembre 1947, nel tracciare un consuntivo dell’attività del salesiano, riferiva di

5.4 Page 44

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50 Alessandro Ferioli
Oltre a ciò don Pasa teneva conferenze in tutta Italia sui campi di concen-
tramento, compiendo in tal modo una prima, importantissima opera di divulga-
zione sul sistema concentrazionario nazista, sulle vicende degli internati mili-
tari italiani e sull’opera di assistenza e di carità della Chiesa e del Pontefice,
giovando nell’immediato moltissimo, a mio avviso, nel consolidamento del le-
game tra la Chiesa stessa e gli italiani84. Nella zona a lui affidata don Pasa
prese contatto complessivamente con circa 150.000 militari italiani, ed altri
100.000 furono i deportati e i prigionieri di varie nazionalità (specialmente po-
lacchi e lituani) da lui avvicinati a scopo di assistenza religiosa, mentre 1.150
furono gli italiani più bisognosi di cure rimpatriati direttamente con i mezzi
a disposizione della Missione, e precisamente: 100 internati da Wietzendorf
il 5 agosto; 800 uomini sempre da Wietzendorf il 17 agosto; 200 ammalati il
17 agosto da Hannover; 50 internati da varie provenienze il 12 novembre85.
Riassumendo, i viaggi effettuati dal salesiano furono dunque i seguenti:
un primo viaggio dal 15 al 26 luglio, dedicato prevalentemente all’accerta-
mento e alla presa di conoscenza della situazione generale; un secondo viaggio
dal 28 luglio al 31 agosto, mirato al rimpatrio immediato dei casi più urgenti e
al rifornimento su ampio raggio; dopo un breve rientro in Italia, un terzo viag-
gio dal 6 settembre al 7 ottobre a scopo soprattutto organizzativo, di ricerca e
raccolta informazioni; un quarto viaggio dal 10 ottobre al 14 novembre, per
sollecitare gli ultimi rimpatri e per le visite agli ammalati non trasportabili86.
In estrema sintesi la sua azione fu dunque costantemente volta: a) ad ac-
celerare la concessione, da parte dei comandi Alleati, di mezzi di trasporto e
100 campi e di 50 ospedali visitati (dove tra gli ospedali si contano evidentemente anche
alcune grosse infermerie di campi).
84 Sarebbe a tal proposito interessante (e forse spunto proficuo per una tesi di laurea) cer-
care di quantificare e valutare l’impatto che l’opera di divulgazione di don Pasa, e dei sacerdoti
reduci come lui dai lager nazisti, ebbe in occasione delle consultazioni elettorali del 1946 e del
1948. Ciò andrebbe fatto tenendo conto anche di due ulteriori elementi: innanzitutto l’attenzio-
ne che i massimi vertici della Democrazia Cristiana di allora riservarono agli ex-internati mili-
tari, e specialmente alla loro associazione, l’ANEI (a tal proposito cf il contributo di Nicola LA-
BANCA, “La memoria ufficiale dell’internamento militare: tempi e forme”, in AA.VV., Fra ster-
minio e sfruttamento…, pp. 269-299); in secondo luogo l’interesse che il medesimo don Pasa
mostrò in alcuni suoi discorsi per la sorte dei militari italiani ancora “trattenuti” nei campi di pri-
gionia in Russia (argomento notoriamente “forte” della propaganda anticomunista in Italia).
85 Nella Scheda discriminatoria…, p. 4, e nella Relazione dell’Ordinario Militare…,
p. 3, si parla (con un poco di confusione, per non dire di esagerazione) di 150.000 italiani “rim-
patriati” in seguito ad azione diretta di don Pasa, mentre nella Relazione al Sostituto della
Segreteria di Stato…, p. 5, don Pasa dichiara che 150.000 furono gli italiani da lui “avvicinati”,
e complessivamente soltanto 1.150 i “rimpatriati”. Ricondotti alla normalità di questi ultimi
valori, i numeri da lui forniti risultano un po’ più convincenti (per quanto io rimanga perso-
nalmente dubbioso anche sulla attendibilità della cifra di 150.000 italiani “avvicinati”, che
mi sembra comunque da ridimensionare).
86 Cf Relazione al Sostituto della Segreteria di Stato…, p. 4.

5.5 Page 45

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Quel “buon compagno di prigionia”. ... Luigi Francesco Pasa per gli internati... 51
di treni ospedali; b) a trasportare direttamente, pur con gli scarsi mezzi a sua
disposizione, gli internati particolarmente bisognosi di cure e di un celere
rimpatrio; c) a rifornire gli ex-internati costretti a ritardare il ritorno di viveri,
medicinali e vestiario raccolti dalla Santa Sede e dalle diocesi dell’Alta Italia.
Nel corso di tanti viaggi in territori così devastati dalla guerra e dalle vie di
comunicazione non del tutto sicure mai si verificarono – che io sappia – inci-
denti gravi a persone o cose.
Dopo il rimpatrio
Anche dopo il rimpatrio degli ultimi internati, l’opera di don Pasa pro-
seguì ininterrottamente nel ricordo del sacrificio degli italiani nei lager del
terzo Reich. Non è il caso di ricordare qui nel dettaglio l’attività del salesiano,
da lui peraltro puntualmente descritta nei suoi libri87; vale però la pena di evi-
denziare che essa costituì parte integrante (e ideale completamento) del suo
apostolato, in quanto mirata – attraverso le sue partecipazioni alle cerimonie
commemorative, ai congressi nazionali e locali dell’ANEI, alle messe in suf-
fragio dei caduti, ai pellegrinaggi negli ex-campi di concentramento, nonché
mediante le conversazioni e i rapporti con le autorità – a conservare memoria
del concentrazionario, ed a trarne proficuo insegnamento per le generazioni
future. Un’attività siffatta rappresenta un’efficace espressione del carattere e
della personalità di don Pasa, che alcuni suoi ex-compagni d’internamento
giudicarono talvolta un po’ sopra le righe, senza tenere conto che dal suo
punto di vista la missione doveva per forza di cose comportare, in quelle
drammatiche circostanze, una “presenza” e una “visibilità” forti.
Un’ultima osservazione. Da buon salesiano, don Pasa nel corso della sua
esperienza come Cappellano Militare tenne sempre come punto di riferimento
l’importanza dell’educazione dei giovani. Già nei primi tempi di servizio al-
l’Aeroporto di Aviano – come abbiamo già ricordato – egli s’era messo in
luce come organizzatore di attività culturali a beneficio dei soldati, e analoghe
iniziative, grazie alla disponibilità dei Comandanti italiani, erano state intra-
prese nei diversi campi di internamento da lui frequentati. Proprio perché abi-
tuato a ragionare in funzione della formazione dei giovani, don Pasa ebbe più
volte a riflettere che l’inclinazione alla violenza, le persecuzioni e lo ster-
minio nazista erano state le conseguenze nefaste di un’educazione difettosa:
«L’uomo è sempre lo stesso – scriveva nel suo libro – sia oggi che abbiamo
radio e aeroplani, sia all’epoca delle persecuzioni cristiane, sia quando viveva
87 PASA, Tappe…, spec. capp. XXX-XLI, e ID., Italia risorta. Nel venticinquennale della
Liberazione e del rimpatrio dai campi nazisti 1945-1970, Napoli, Cafieri, 1971, spec. capp.
VII-XIV.

5.6 Page 46

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52 Alessandro Ferioli
nelle caverne; è sempre l’uomo intaccato dal peccato originale, che guai a lui
ed agli altri se si scatena, se si dimentica d’essere uomo, se rallenta i propri
freni! Non c’è che l’educazione morale che possa servire, che possa avere ef-
ficacia: lo si ricordi, checché ne dicano i materialisti: la storia, questa storia
recente d’una infame guerra, insegni»88.
Dopo il ritorno dai lager, per due anni don Pasa si stabilì in Argentina a
dare assistenza agli italiani colà emigrati: il suo ufficio in Calle Mareno a
Buenos Aires divenne un punto di riferimento sicuro per i connazionali che
sbarcavano (alcuni legalmente, altri no), per chi aveva pratiche da sbrigare,
per coloro che cercavano disperatamente un alloggio e un lavoro. Nel 1951 fu
inviato nel Santuario della Madonna Greca a Ravenna. Quando nel 1959 fu
trasferito al Collegio di Napoli, don Luigi fornì un contributo straordinario, in
termini di assistenza spirituale, al Centro di addestramento ippico dell’ANEI
che l’Avvocato Raffele Arcella (ufficiale di Cavalleria in congedo ed ex-inter-
nato) stava realizzando a Soccavo con lo scopo di accogliere i ragazzi delle
famiglie meno abbienti per insegnare loro a cavalcare e a padroneggiare le
nozioni d’ippica indispensabili per trovare lavoro in una scuderia; l’addestra-
mento pratico andava di pari passo con l’insegnamento religioso, cosicché i
giovani venivano educati allo stesso tempo all’esercizio di un mestiere e alla
vita cristiana. Da Napoli don Luigi fu poi inviato all’Istituto di Forlì, dove ri-
mase sino alla morte. Soprattutto negli ultimi anni appariva molto più vecchio
rispetto alla sua reale età, e portava visibilmente addosso i segni pesanti delle
gravi prove che aveva dovuto sostenere.
Don Gustavo Resi, allora giovane insegnante di liceo, lo ricorda affati-
cato e dolente già dopo il rimpatrio dalla Germania, quando fece ritorno nel
Collegio di Pordenone, per quanto mai egli si lagnasse di alcunché o appa-
risse pessimista, ma anzi cercasse di mantenere sempre vivace la sua attività,
accogliendo spesso in visita di cortesia i suoi ex-compagni di prigionia – tra i
quali era particolarmente assiduo il professor Giuseppe Lazzati –, ma soprat-
tutto attendendo al proprio libro e rispondendo a coloro che gli scrivevano. La
memoria lasciata da don Pasa a Pordenone – tiene a precisare don Resi – fu
ricchissima e bellissima, soprattutto per il suo carico umano, spontaneo, ele-
vante; non a caso il direttore del Collegio, parlando di lui ai confratelli, ebbe
88 PASA, Tappe…, p. 200. Ancora oggi una delle attività più qualificanti dell’ANEI con-
siste nell’opera di divulgazione della storia del sistema concentrazionario. Il progetto didattico
“Ex-Internati in web”, da me avviato a partire dall’anno scolastico 2001/02 nella mia sede di
servizio (ITC Leopardi di Bologna) proprio per onorare il sacrificio degli IMI, si svolge difatti
in collaborazione con la Federazione bolognese dell’ANEI, e con la consulenza del Dott. Astro
Gambari del Centro Studi dell’ANEI. Tale esperienza (costantemente in fieri) prevede la rac-
colta di materiale documentario e di testimonianze inedite, che vengono poi messe a disposi-
zione del pubblico in un’apposita sezione del sito della Scuola (<http://itcleopardi.scuolaer.it>).

5.7 Page 47

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Quel “buon compagno di prigionia”. ... Luigi Francesco Pasa per gli internati... 53
a dire più volte: «Don Pasa è il salesiano del “sì”; chiedetegli quel che vo-
lete, e siete sicuri che ve lo fa senza anticamere e preghiere»89.
La vita di don Luigi non fu immune neppure da delusioni personali, pic-
cole e grandi. Fu proposto per il conferimento della Medaglia d’Oro al Valore
Militare, con una motivazione che elogiava del suo comportamento attraverso
i lager del terzo Reich l’«eroico altruismo», l’«amor di patria» e il «senso del
dovere», e paragonava giustamente la sua opera a quella del buon Samari-
tano; tuttavia tale proposta non fu avanzata entro i termini prescritti, proba-
bilmente anche per la scarsa cura che lo stesso don Pasa pose a quella sua
pratica, cosicché l’iter si arenò e a nulla valse una petizione al Parlamento
Italiano, presentata nel maggio 1961 da un gruppo di ex-internati, per ottenere
la riapertura dei termini.
Don Pasa fu sepolto a Rimini (campo U ponente, cippo 21), affidato alla
nuda terra, come egli richiese espressamente nel suo testamento: «La mia
tomba sia contrassegnata da una semplice croce di legno, così come le tombe
dei caduti, in terra di prigionia»90. In una commemorazione ufficiale tenuta a
Rimini, il generale di corpo d’armata Egisto Fanti (1915-2000), figura di
grande prestigio fra gli ex internati, ricordò don Pasa con queste parole: «Chi
ha combattuto e superato i disagi e gli orrori della guerra e quelli ancora più
incisivi della prigionia nazista, conserva gelosamente nella memoria, assieme
alle vicende più tristi, anche i ricordi meno dolorosi, i momenti di conforto e,
soprattutto, gli atti di sincera amicizia e fraternità. Ed a tali atti si collegano le
figure di coloro che ne furono origine. […] Chi ha vissuto fra il filo spinato di
Benjaminowo, Sandbostel e Wietzendorf, chi ha avuto, in quell’inferno, la
fortuna di essergli vicino, di ascoltarne la parola, di riceverne il conforto, di
apprezzarne l’opera misericordiosa, non necessita di discorsi per ricordarne la
figura, che si erge al di sopra delle miserie colà vissute. Per costoro don Pasa
è don Pasa. Il solo suo nome richiama mille e mille atti di generosità, di bontà
e di fede. Per chi non ebbe tale avventura, sappia che egli fu uno spiraglio se-
reno nelle tenebre della guerra, una luce di speranza nella cupa disperazione
della prigionia, una certezza di fede nel gelo del dubbio e dell’incertezza. […]
Don Pasa, laddove passò, fu di guida ai confratelli, indicando loro, con l’e-
sempio, la via da seguire in quello scenario di dolore, in quel mondo alluci-
nante di straccioni, di morti di fame e freddo, dove tutto si chiedeva al cap-
pellano: l’affamato le briciole, il soldato il compatimento, l’affetto e quel
poco di calore che la madre e la casa lontane non potevano più offrirgli, il
89 Testimonianza rilasciatami dal prof. don Gustavo Resi in data 28 ottobre 2002.
90 Stralcio del testamento di don Pasa, tratto dalla Commemorazione ufficiale…, p. 6.
Oggi don Pasa è ricordato nella Cappella dei Caduti con una lapide marmorea su cui è scritto:
«A perfetta memoria del Prof. don Luigi Pasa, cappellano militare, nato ad Agordo nel 1899,
morto a Rimini il 27 agosto 1977».

5.8 Page 48

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54 Alessandro Ferioli
morente poi... tutto. Don Luigi affrontò e superò tutti questi problemi, ma la
sua missione non si limitò a quei traguardi. Quando arrivò la libertà per gli in-
ternati, egli ne divenne Ambasciatore e voce presso le Santa Sede ed il Go-
verno Italiano, affinché venissero accelerati i tempi di rimpatrio ed i superstiti
potessero ricongiungersi ai loro cari ed alla comune Madre Patria. […] L’aver
ricordato questo sacerdote, oggi, il ricordarlo domani e sempre, sarà per tutti
gli ex IMI motivo per renderli ancora più degni di quella libertà che si con-
quistarono anche con il contributo di carità, di speranza e di fede di questo
vero soldato di Dio!»91.
Questo era il don Luigi Pasa che al sergente maggiore Angelo Pezzoli, il
quale un giorno gli chiese scherzosamente da dove ricavasse tanto coraggio,
rispose semplicemente: «Quando si tratta di fare del bene non ho paura
di niente»92. Ma per tirare le somme, in conclusione, sul significato più
profondo dell’attività di don Pasa, e più in generale degli eroici cappellani
militari che furono presenti nei lager accanto ai soldati italiani, mi sembra op-
portuno ricordare l’espressione di un ex-internato militare più volte citato in
questo studio; si tratta di Claudio Sommaruga, che nella maturità si è fatto
storico della deportazione e, da cattolico fervente, ha avuto modo di riflettere
molto approfonditamente sulla sua esperienza religiosa nei lager. Il Somma-
ruga sostiene in sostanza che se nella parrocchia è l’uomo che va a cercare e a
trovare Dio, il cappellano militare, al fronte o in un campo di prigionia, rap-
presenta invece Dio che va a cercare l’uomo93. E allora – aggiungo io – quel
don Luigi Pasa che al momento della partenza sui carri-bestiame volle seguire
a tutti i costi i suoi avieri, volle rimanere con loro per l’intero periodo dell’in-
ternamento nei campi e volle prendersi cura di loro anche nel dopoguerra;
quel don Luigi Pasa per decine di migliaia di internati militari italiani nei
lager del Terzo Reich, appartenenti a tutte le Armi e Corpi, rappresentò pro-
prio Dio che li andava a cercare, li confortava, li risollevava, li sosteneva e li
tirava a sé per non lasciarli mai più.
91 Il discorso è riportato in MONTANARI, Storia di un sopravvissuto…, pp. 241-243. Nello
stesso volume, a p. 240, il professor Montanari ha voluto dedicare al salesiano una poesia:
«A DON LUIGI PASA / Oggi è un giorno triste per noi: / Don Pasa è salito ad abbracciare / i
pallidi, scheletriti amici / di Benjaminow, di Sandbostel, / e di Wietzendorf, lasciati lassù / in
Terra di Polonia e di Germania, / nella neve, nella fame, nella paura, / nei grovigli dei fili spi-
nati, / degli abbandoni colposi! / Il Cappellano generoso dei votati / alla morte nei lager Na-
zisti, / dei duri Resistenti d’Italia, / dignitosi nei vestiti di stracci, / umili e silenti, / tenace-
mente aggrappati alle baracche, / alla vita, all’Ideale della Libertà, / il nostro Don Pasa, / che
tanti aveva sorretto all’ultimo passo, / con un largo, ultimo sorriso / (il suo dono di sempre) /
oggi, ci ha detto: “Addio”. / Piangono i nostri animi affranti! / Si vestono a lutto le nostre Ban-
diere / e noi ti salutiamo, Don Luigi, / audace Cappellano di noi tutti, / con tanto dolore, / con
indimenticabile amore».
92 Dalla testimonianza rilasciatami da Angelo Pezzoli il 18 settembre 2002.
93 SOMMARUGA, Religiosità e resistenza dei militari italiani…, p. 51.

5.9 Page 49

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Quel “buon compagno di prigionia”. ... Luigi Francesco Pasa per gli internati... 55
Appendice I
Stato di servizio di don Pasa1
Specchio A
2° Originale
N° 9311
ESERCITO ITALIANO
Stato di servizio
Tipo B
di Pasa Francesco Luigi
figlio di Pietro
e di Scussel Maria Antonietta
nato a Agordo
il 17.3.1899
(Prov.) Belluno
(Distretto) Venezia
Distretto di leva Venezia n° di ruolo AS2/1983
matricola 18627
Eventuali nuovi numeri di ruolo
matricola
Stato di servizio impiantato dal
Ordinariato Militare
***
In Roma
il 18.6.1957
Il Capo Ufficio Personale e Matricola
(C.M.C. Francesco Marchisio)
Specchio B
Specchio C
omissis
omissis
Numero
d’ordine
SERVIZIO
DATA
1 Soldato di leva, cl. 1899, 1ª ctg. Distretto Militare di Ve-
nezia D.L. n° 112 – 1.2.1917
23 febbr. 1917
2 Chiamato alle armi e giunto
23 febbr. 1917
3 Tale nel 127 Btg. M. T.
25 febbr. 1917
4 Caporale in detto (Ord. Com. 127 Btg. M.T.)
8 giugno 1917
1 AS.OMI, fasc. don Luigi Pasa.

5.10 Page 50

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56 Alessandro Ferioli
Numero
d’ordine
SERVIZIO
DATA
5 Trasferito effettivo al Dep.to 2° Rgt. Art. pesante campale
n° 4 della Circ. 355 G.M. 1917
2 luglio 1917
6 Trattenuto alle armi per mob.ne in base all’art. n° 135 del
T.U. delle leggi del reclutamento R.E.
23 agosto 1917
7 Tale in territorio dichiarato in istato di guerra al Dep.to –
2° Rgt. Art. Pesante (R. II° – 1.12.1917. n° 1925 – Circ.
773 G.M. 1917 n. 14223)
7 dic. 1917
8 Tale nel 24° Gruppo Obici Art. Pes. Camp. – 21 Batt.
1 aprile 1918
9 Tale nel Dep.to – 2° Art. Pes. Camp. per la formazione di
nuove unità alla sede
25 maggio 1918
10 Tale nel 39° Gruppo Cannoni da 105-115 Btg.
11 Destinato alle truppe mobilitate in zona di guerra 115 Bat-
teria 103 “6905”
8 luglio 1918
12 Cessa di trovarsi in territorio dichiarato in istato di guerra 4 nov. 1918
13 Tale nella 2ª ctg. Distretto Militare di Venezia – art. 66 e
72 delle leggi sul reclutamento – Det.ne del Consiglio di
Leva della R. Prefettura di Venezia
1 genn. 1919
14 Tale presso il Com. 18° Raggr.to Artiglieria
1 aprile 1919
15 Tale nel Dep.to in Ferrara del Rgt. Art. Pes. Camp. e man-
dato in congedo illimitato – Circ. 698 G.M. 1919
5 genn. 1920
16 Tale iscritto nel ruolo 71 B della forza in congedo Art. da
Campagna del Distretto Militare di Venezia
16 agosto 1927
17 Iscritto a domanda nel ruolo ausiliario dei cappellani mili-
tari – ruolo parziale R.A. con assimilazione al grado di Te-
nente a decorrere dal 9.9.1938 in base alla legge n° 77 del
16.1.1936 e del R.D. n° 458 del 10.2.1936 R.D.
9 settemb. 1938
(reg. C.C. il 16.1.1939, reg. 1, f. 245)
18 Chiamato in temporaneo servizio per esigenze di carattere ec-
cezionale per l’Assistenza Spirituale presso la R. Aeronautica
a decorrere dal 10.4.1941 e con il trattamento economico pre-
visto dall’art. 10 del R.D. n° 458 del 10.2.1936 D.M.
18 luglio 1941
(reg. C.C. il 7.9.1941, reg. 5 Aer, f. 385)
19 Assegnato al R. Aeroporto di Aviano mobilitato e giunto 10 aprile 1941
20 Tale in territorio dichiarato in istato di guerra
10 aprile 1941
21 Trasferito in forza all’Ufficio Autonomo per l’Amministra-
zione di Gestioni Speciali Aeronautica dall’8.9.1943
22 Prigioniero dei tedeschi ad Aviano (Udine) ed internato in
Germania
8 settemb. 1943
23 Liberato dalla prigionia dalle FF.AA. Alleate
8 aprile 1945
24 Rientrato in Italia e presentatosi all’Ordinariato Militare 23 maggio1945
25 Tale a disposizione dell’Ordinariato Militare dal 23.5.1945

6 Pages 51-60

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6.1 Page 51

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Quel “buon compagno di prigionia”. ... Luigi Francesco Pasa per gli internati... 57
Numero
d’ordine
SERVIZIO
DATA
26 Partito per missione all’Estero (Germania) servizio rimpa-
triandi dalla Germania
7 luglio 1945
27 Rientrato in Italia per fine missione
20 nov. 1945
28 Tale disponibile presso l’Ordinariato Militare dal 21.11.1945
al 7.3.1946
29 Presentatosi al C.A.R. – Comando Nucleo 2ª Z.A.T. (forza
transito) l’8.3.1946
8 marzo 1946
30 Collocato in congedo a decorrere dal
10 aprile 1948
31 Cessa di far parte del ruolo ausiliario perché iscritto, a do-
manda nel ruolo di riserva dei cappellani militari – ruolo
parziale Aeronautica – con assimilazione al grado di te-
nente a decorrere dal 31.12.1947 (reg. C.C. il 17.1.1956,
reg. 15, f. 65) D.P.
24 dic. 1955
32 Nominato cappellano mil. Capo presso l’Aeronautica con
assimilazione al grado di capitano e con anzianità assoluta
e decorrenza assegni dal 21.12.1956 D.P.
16 magg. 957
(reg. alla C.C. il 12.12.1957 reg. 49 fg. 211)
33 Dall’1-7-1961, ai sensi degli artt. 21, 99 e 106 della Legge
1-6-1961 n. 512, assume il grado di cappellano militare
capo (assimilato di rango al grado di Capitano) ed è iscritto
nel ruolo unico di riserva costituito presso il Ministero Di-
fesa – Esercito, con anzianità 21 dicembre 1956 D.P. 14 12 1961
(reg. alla C.C. il 19.2.1962 reg. 10 f. 297)
34 Collocato in congedo assoluto per età, a decorrere dal 18
marzo 1964 D.P.
12 aprile 1965
(reg. alla C.C. il 19.5.1965 reg. 40 fg. 5)
35 Deceduto il 27-8-1977
Numero
d’ordine
CAMPAGNE DI GUERRA
DECORAZIONI – ONORIFICENZE - RICOMPENSE
1 Campagna di guerra 1917-18
2 Autorizzato a fregiarsi della medaglia commemorativa
nazionale della guerra 1915-18 con R.D. n° 1241 in data
29.7.1920 ed apporre sul nastro della medaglia le fascette
corrispondenti agli anni di campagna 1917-18 (59391)
3 Conferitagli la Croce al merito di guerra n° 385535 di
canc.
4 Conferitagli la Croce al merito di guerra n° 406780 di
cancessione
5 Decorato della medaglia dell’Unità d’Italia
DATA

6.2 Page 52

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58 Alessandro Ferioli
Numero
d’ordine
CAMPAGNE DI GUERRA
DECORAZIONI – ONORIFICENZE - RICOMPENSE
DATA
6 Tessera di Volontario per legionario fiumano n° 3900
7 Ha partecipato dal 10.4.1941 al 18.4.1941 alle opera-
zioni di guerra svoltesi sul fronte italo-jugoslavo con
l’Aeroporto di Aviano
8 Conferitagli la Croce al merito di guerra in virtù del R.D.
14.12.1942 n° 1729 (per internamento in Germania) con
Det.ne Min.le in data 18.10.1953 – 1ª conc.
9 Ammesso a godere ai sensi ed agli effetti del D.L.G.S.
4.3.1948 n° 137 dei benefici previsti per i combattenti
della 2ª Guerra Mondiale per il periodo di tempo
dall’8.9.1943 all’8.5.1945 durante il quale è stato tratte-
nuto in istato di cattività in territorio germanico
10 Guerra 1940-45 – Ha diritto al computo di tre campagne
di guerra per gli anni 1943-1944-1945 ai sensi dell’art. 5
della Legge 24.4.1950 n° 390
11 Commendatore nell’Ordine “al merito della Repubblica”
D.P. (B.U. del 1964 pag. 859)
27 dic. 963
Numero
d’ordine
INCARICHI DISIMPEGNATI
DATA
dal
al
1 Assistenza Spirituale
10 aprile 1941 8 sett. 1943
2 Capo Ufficio Servizio Rimpatriandi dalla
Germania
7 lugl. 1945 20 nov. 1945
Numero
d’ordine
SEDI DI SERVIZIO E SUCCESSIVI
DISTRETTI DI RESIDENZA
DATA
dal
al
1 Zona di guerra – R. Aeroporto di Aviano 10 aprile 1941 18 aprile 1941
2 Aviano (Udine) – R. Aeroporto di Aviano 19 aprile 1941 8 sett. 1943
3 Germania – Missione Serv. Rimpatriandi 7 luglio 1945 20 nov. 1945
4 Venezia – Distretto Mil. (f.c.)
10 apr. 948 17 marzo 964
5 Venezia – Distretto Mil. (f.c.a.)
18 marzo 1964
Specchio D
omissis

6.3 Page 53

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Quel “buon compagno di prigionia”. ... Luigi Francesco Pasa per gli internati... 59
Appendice II
Scheda della Regia Aeronautica sulla posizione personale
dopo l’8 settembre 1943 2
n. 189/C
REDUCE
REGIA AERONAUTICA
CENTRO AFFLUENZA E RIORDINAMENTO PADOVA
DATI RIFLETTENTI LA POSIZIONE PERSONALE DI
Tenente Cappellano PASA don Luigi Francesco, f. Pietro, nato a Agordo il 17.3.1899
- Cappellano del ruolo ausiliario.
Recapito: PORDENONE (Udine) Collegio don Bosco
***
Data: Padova 8 marzo 1946
Tessera R.A. n. 16762
(Riservato all’ufficio)
Note: Non ha aderito, ne giurato, ne collaborato
***
Ente o Corpo presso il quale prestava servizio: Aeroporto AVIANO
***
Ogni altro elemento utile per illustrare la propria situazione e l’attività svolta tra
l’8 settembre 1943 e la data della liberazione anche eventualmente di carattere civile:
“L’8 Settembre 1943 mi trovò nell’Aeroporto di AVIANO. L’11, per incarico
del Colonnello Altan, mi portai a Padova perché non eravamo più in contatto con i
Comandi. A Padova trovai che il Gen. Porro era stato fatto prigioniero. Io stesso in
serata fui preso due volte, ma riuscii a fuggire. Il 12 ritornai all’Aeroporto di Aviano
e dissi quanto era avvenuto a Padova. Erano le 12. Alle 12.20 fummo fatti prigionieri.
Feci subito scappare quanti prigionieri potei. Due tedeschi, il giorno 13 si accoppa-
rono cadendo da un velivolo. Questo valse a me per portarmi a Pordenone e così por-
tare in salvo molta roba di ufficiali. Sapendo che nella cassaforte vi erano rimasti dei
soldi, quantunque vi fosse già la sentinella tedesca, riuscii in due volte a portare via
2 AS.OMI, fasc. don Luigi Pasa.

6.4 Page 54

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60 Alessandro Ferioli
quanto vi era. D’Ordine del Col. ALTAN distribuii ogni cosa alle famiglie degli Uffi-
ciali, Sottufficiali, agli Avieri ammalati, alle famiglie dei molti caduti e pagai alcune
fatture. L’elenco di tutto ho consegnato il 6.3.1946 al Comando 2ª Zona. Fui portato
in Germania. Durante i 20 mesi di prigionia potei essere molto di aiuto ai nostri Uffi-
ciali ed avieri. Sfidai i tedeschi e riuscii di nascosto a far entrare nel campo viveri e
medicinali. Assistei migliaia e migliaia di ufficiali e soldati ammalati e un migliaio
mi morirono. Dopo la liberazione riuscii a portarmi a Roma in volo dal Papa perché
s’interessasse per il rimpatrio dei prigionieri e ritornai subito nel mio campo a WIET-
ZENDORF, con lettera del S. Padre mediante la quale fino ad oggi ho potuto far rim-
patriare 150.000 italiani, visitando un centinaio di campi e percorrendo 30.000 km.
In data 1 marzo 1946 ho presentato una relazione alla Presidenza del Consiglio
dei Ministri sulla mia attività in Germania e copia ne inviai al Ministero della R.A.”.
f.to: Ten. Capp. D. Luigi PASA
P.C.C.

6.5 Page 55

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Quel “buon compagno di prigionia”. ... Luigi Francesco Pasa per gli internati... 61
Appendice III
Petizione al Parlamento per la riapertura dei termini
per il conferimento della medaglia al valore militare 3
Venezia, maggio 1961
Onorevoli SENATORI e DEPUTATI
ROMA
OGGETTO:
Riapertura termini per assegnazione Ricompensa
al Valor Militare Cappellano Militare Capo
Prof. Don Luigi Francesco PASA - Salesiano.
Onorevoli,
gli ex Internati in Germania pregano voler rendersi interpreti presso il Senato
e il Parlamento dell’opportunità che siano riaperti i termini, affinchè l’Eroico Cap-
pellano Militare Capo Prof. Don Luigi PASA, sia insignito della più alta distinzione
Militare: Medaglia d’Oro.
La sua proposta non fu accettata perché presentata dopo chiusi i termini, tro-
vandosi Egli in Argentina per l’assistenza agli Emigranti.
Dell’opera da Lui svolta è stato scritto quanto segue:
…. Degno del più alto riconoscimento Militare. Colonnello A. a. r. n. Giuseppe
LIDONNI.
…. È in complesso un Sacerdote-Soldato di alto valore, che merita il più ampio
riconoscimento e che sono orgoglioso di avere avuto alle mie dipendenze in quei duri
e gloriosi periodi. Ten. Col. Comandante del Campo di Wietzendorf. Pietro TESTA.
…. La sua azione, armoniosa di poesia e di materiale fatica, ha lasciato un ri-
cordo che non si cancellerà in migliaia di italiani.
Bella figura di Sacerdote-Soldato, primo nel dare, sempre ultimo nel chiedere.
La Sua opera è coronata da una gratitudine che, dagli individui, sale al bene
della Patria e che supera qualsiasi Elogio. Il già Comandante Italiano del Campo 83°
di Wietzendorf Pietro TESTA - contro firmato: Generale Tullio BERNARDI.
…. Ho avuto rapporti in pace e in guerra con tanti degni Cappellani M.ri, ma in
nessuno ho trovato tanto ardore combattivo, tanta attività, tanto dinamismo, tanta ca-
pacità realizzatrice, tanto coraggio, quali ho constatato in D. Pasa. Egli sintetizza in
3 AS.OMI, fasc. don Luigi Pasa.

6.6 Page 56

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62 Alessandro Ferioli
sè le doti del religioso e quelle del combattente: È stato un magnifico Soldato di Dio
e della Fede, ed un Eroico Soldato d’Italia, meritevole della più Alta ricompensa. Ge-
nerale Squadra Aerea Felice PORRO.
…. Opera che solamente un uomo dotato di spirito di sacrificio e di volontà so-
vraumana poteva svolgere. Degno di grande ricompensa. Medaglia d’Oro Giuseppe
BRIGNOLE.
…. Io non so a chi toccasse segnalare alle Autorità M.ri tanta abnegazione e
tanto eroismo da parte del Capp.no M.re Don Luigi Pasa, per una Decorazione al Va-
lore: giacchè ciò non è stato fatto, valga allora questa mia dichiarazione, che potrebbe
essere sottoscritta da migliaia di Ex Internati – a sancire – con la dedizione dello spi-
rito, chè è superiore a riconoscimenti degli uomini, l’Onore al Merito. Magg. Antonio
MAURO.
…. Questo sommariamente, un quadro dell’attività di D. Pasa nei lager tede-
schi; sintetico ed obbiettivo. Troppo pallida immagine di quel che per noi fu questo
Cappellano, il cui dinamismo ardente non conobbe ostacoli e che ebbe i suoi mille e
mille compagni di deportazione, come nuova famiglia, a cui dar tutto non sembrava
ancora abbastanza. On.le Prof. Dott. Paride PIASENTI.
…. Benemerito Sacerdote e Soldato, meritandosi la gratitudine di quanti lo eb-
bero vicino. On. Prof. Dott. Giuseppe LAZZATI.
…. Mi dichiaro onorato di avere incontrato una così nobile figura di Sacerdote,
che tanto fuoco di carità ha saputo sollevare, a volta a volta con impeto, con candore,
con furbizia, con generosità; fiero di attestare per le orme benefiche di un Confratello
nel Sacerdozio e di un collega di lavoro. È meritevole della più Alta distinzione.
Mons. Dott. Francesco AMADIO.
…. Di alti sentimenti e di rare doti che ha saputo mettere a servizio della Patria
ed è perciò ben degno di un Alto Riconoscimento per la sua opera veramente enco-
miabile. Generale Manlio BALESTRACCI.
…. L’Opera di D. Pasa deve essere riconosciuta dalle Autorità e merita piena-
mente un attestato di giusto riconoscimento. Generale Giovanni MARIONI.
***
Il Cappellano M.re Don Pasa, durante la guerra 1940-43, ebbe un encomio dal
Generale Virgilio SALA; fu a celebrare anche sotto il fuoco nemico, in Africa, dove
si era recato a far visita ai suoi reparti e per questo era stato proposto per la Medaglia
d’Argento al V. M. dal Colonnello Pilota Giuseppe LlDONNI.
L’8 settembre 1943 avrebbe potuto fuggire, abbandonare il suo Aeroporto di
Aviano, ma non lo fece dicendo: fino a quando ci sarà un solo aviere, il Cappellano
D. Pasa si troverà sull’Aeroporto, invaso dai tedeschi.
Salvò la bandiera dell’Aeroporto portandola con sè in prigionia e consegnan-
dola il 1° marzo 1947 al Comando Presidio dell’Aeronautica di Udine.
Salvò la Cassaforte dell’Aeroporto già presidiata dai tedeschi, asportando i
valori e documenti importanti.

6.7 Page 57

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Quel “buon compagno di prigionia”. ... Luigi Francesco Pasa per gli internati... 63
Andò in volontaria prigionia per non abbandonare i suoi avieri.
Rischiò varie volte la vita durante la prigionia in Polonia e in Germania, per
aiutare i fratelli che avevano bisogno di Lui; si mise a contatto con le Autorità locali,
con i Vescovi, con i Salesiani, dai quali ebbe viveri e medicinali.
Riuscì a mettersi in comunicazione con il Nunzio Apostolico e, per mezzo
suo, inviò in Italia 10.000 messaggi alle Famiglie. Dal Nunzio ebbe viveri e medici-
nali, dono del S. Padre PIO XII.
Volontariamente venne in Italia al termine della prigionia; stracciato, rotto,
senza scarpe, con un paio di zoccoli e venne attraverso il Belgio e la Francia, aiutato
a Parigi dal Nunzio S. E. Mons. Angelo Roncalli, oggi Papa GIOVANNI XXIII, che
gli fece avere dagli Alleati un aereo a sua disposizione.
Perorò la causa di 800.000 fratelli in attesa. Fu ricevuto alla Presidenza del
Consiglio dei Ministri dal Sottosegretario On. Giuseppe SPATARO, che lo presentò
al Capo del Governo On. BONOMI e quindi alla Presidenza del Consiglio, affìnchè
avesse da dare relazione degli ex prigionieri.
Missione Pontificia per il rimpatrio dei prigionieri. - Nella Udienza del 29
maggio 1945, che D. Pasa ebbe con il Pontefice PIO XII e durò ben 50 minuti, fu
istituita la Missione Pontificia per il rimpatrio dei Prigionieri e D. Pasa ne fu il
Presidente.
Fece ben quattro lunghi viaggi in Germania percorrendo più di 50.000 Km.; si
portò in tutti i campi di concentramento e, come nel maggio, quando era venuto in
Italia, aveva portato con sè la posta di tutti i prigionieri, così riportò in Germania le
risposte dei familiari.
Partì dall’Italia con ben 250 Automezzi dategli da privati - dalla Fiat -
dall’O.M. - dall’Antincendi di Milano - dalla città di Torino.
Visitò tutti i cimiteri di guerra, installandovi una Croce e deponendo fiori su
tutte le Tombe.
“Tappe di un Calvario” il libro scritto da D. Pasa, nel quale sono narrate tutte
queste cose, con nomi e date.
In Argentina per l’assistenza agli emigranti italiani. - Aperta la Emigrazione
nel 1947, D. Pasa fu inviato in Argentina dalla S. Sede e dai suoi Superiori Salesiani
per l’assistenza agli Emigranti. L’Argentina fu tutta a disposizione di D. Pasa e colà
fece opere mirabili, encomiate dal Nunzio di allora, quindi Cardinale, S. Em.za Giu-
seppe FIETTA e da S. E. l’Ambasciatore Giustino ARPESANI.
In Argentina riuscì a sistemare migliaia e migliaia di italiani, che trovarono
in D. Pasa il Padre buono, pronto in ogni momento per tutti coloro che avevano
bisogno.
È per la sua andata in Argentina che la sua pratica per la proposta alla
Medaglia d’Oro restò arenata.
Caduti. - Ritornato in Patria Don Pasa fece visita a centinaia di famiglie di Ca-
duti, portando Loro l’ultima parola dei loro cari, da Lui assistiti. - Si recò nelle varie
città d’Italia per cerimonie in suffragio dei Caduti e sempre tutto a sue spese. Com-

6.8 Page 58

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64 Alessandro Ferioli
memorò i Caduti a: Verona - Venezia - Napoli - Mestre - Pesaro - Bologna - Roma -
Forlì - Rimini - Udine - Taranto - Milano - Torino - Livorno - Pisa - Firenze - Volterra
- Genova - Bolzano, ecc.
Tempio Votivo Internato Ignoto a Padova. - S’interessò perché a Padova sor-
gesse il Tempio all’Internato Ignoto, assieme al Rev. Don Giovanni FORTIN, e il 15
novembre 1959 celebrò la S. Messa nel XXX° di Suo Sacerdozio, tenendo la Com-
memorazione di PIO XII e dei Caduti.
Napoli. - In questa città ha fatto sorgere il Tempio ai «MARTIRI DEL FILO
SPINATO» e S. Em. il Cardinale Alfonso CASTALDO - S. E. l’On.le Avv. Giovanni
LEONE, Presidente della Camera, ne sono i Presidenti del Comitato d’Onore.
***
Per tutto quello che questo Uomo-Sacerdote-Soldato così straordinario ha com-
piuto, non ha avuto nessun riconoscimento da parte del Governo Italiano.
Il Cappellano Militare Don Pasa è ben degno di 10 Medaglie d’Oro, come ebbe
a dire S. E. il Generale di Sq. A. Ferdinando RAFFAELLI.
Testimoniano dell’operato di Don Pasa tutti gli ex Internati in Germania, perché
tutti da lui beneficati.
Così pure possono testimoniare le LL. EE. i Generali: Aldo Urbani (non voglio
lasciare questo posto senza vedere Don Pasa insignito della Medaglia d’Oro al V. M.)
- Felice Porro - Ferdinando Raffaelli - Domenico Ludovico - Umberto Fiori - Giorgio
Liuzzi - Pietro Testa - Giovanni Marioni - Manlio Balestracci - Vittorio Ferrante -
Gaetano Toscano e tanti altri.
Senatori: Paride Piasenti - Renato Pagni - Gino Zannini - Giovanni Cornaggia
Medici.
Onorevoli: Ruggero Villa - Guglielmo Cappelletti - Barone Colonnello Gio-
vanni Persiani - Dott. Vincenzo Federici - Prof. Dott. Gr. Uff. Angelo Spanio, Pri-
mario Ospedali Civili di Venezia e tanti tanti altri.
S. E. Mons. Arrigo Pintonello - Ordinario Arcivescovo Militare.
***
Certi che il caso dell’Eroico Cappellano Militare Prof. Don Luigi PASA sarà
preso in considerazione, per gli 800.000 ex Internati ci firmiamo:
ANTONELLI Arch. Prof. Gustavo – Roma
AMADIO Mons. Dott. Francesco – Montalto (Marche)
BRUSI Ing. Arch. Agostino – Venezia
BULLA Dott. Felice – Bergamo
BRIAN Prof. Luigi – Genova
BRAVIN Rag. Guido – Venezia
BOCCIA Ing. Antonio – Napoli

6.9 Page 59

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Quel “buon compagno di prigionia”. ... Luigi Francesco Pasa per gli internati... 65
CRISIGIOVANNI Cav. Nicola – Venezia
CHIODI Dott. Giuseppe – Napoli
CALABRESE Prof. Dott. Costantino – Bologna
FEDERICI Dott. Cav. Uff. Vincenzo – Napoli
FONGOLI Dott. Alberto – Roma
FORCELLINI MERLO Ing. Arch. Angelo – Venezia
GALLO Avv. Manlio – Torino
GIANDOSO Cav. Aldo – Padova
MERCATALLI Cav. Giuseppe – Firenze
MATURO Avv. Pio – Padova
ORLANDINI Avv. Cav. Uff. Odoardo – Modena
PELOSI Rag. Enrico – Venezia
PERSIANI Barone Cav. Uff. Giovanni – Napoli
ROSSI Rag. Ugo – Livorno
SPERANZA Avv. Francesco – Bergamo
VANNONI sig. Antonio – Rimini
VILLETTI Dott. Ing. Gino – Parma
ZANETTI Dott. Marcello - Venezia