27_anno14_num2 - 0255-0320


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IL SISTEMA PREVENTIVO DI DON BOSCO
ALLE ORIGINI (1841-1862)
Il cammino del «preventivo» nella realtà e nei documenti
Pietro Braido
INTRODUZIONE: IL SISTEMA PREVENTIVO, REALTÀ E PROGETTO
Il «sistema preventivo» di don Bosco non nasce nel 1877. Nel 1877 è soltanto formulata
per la prima volta da don Bosco l'antitesi tra due denominazioni «sistema repressivo» e «siste-
ma preventivo». La realtà precede di molti anni la formula, che oltre tutto dà il nome a conte-
nuti decisamente angusti, riferiti prevalentemente al «collegio» con elementi fortemente «di-
sciplinari».1 Non a caso il testo, dopo essere apparso in appendice all'opuscolo Inaugurazione
del Patronato San Pietro a Nizza a Mare nell'agosto 1877, ricompare in ottobre in capo al
Regolamento per le case (internati) e non al Regolamento per gli esterni. L'evocazione della
formula nella conversazione del 1854 tra don Bosco e il ministro della Giustizia e degli Interni
Urbano Rattazzi, raccontata da don Giovanni Bonetti nella Storia dell'oratorio di S. Francesco
di Sales2 non è attendibile: evidentemente don Bonetti, proponendo il sistema educativo anche
per famiglie e istituti di educazione,3 scrive in base alla conoscenza delle pagine del 1877, già
da lui pubblicate nel 1880 nel «Bollettino Salesiano».4 Sarebbe incomprensibile che don Bo-
sco, in possesso di una formula tanto lucida ed espressiva, l'abbia rimossa per ben ventitré
anni. Essa, infatti, non riemerge nemmeno nell'ottobre del 1864 dal dialogo tra lui e l'insegnan-
te Francesco Bodrato, peraltro redatto negli anni 1880-1881. In esso i fondamenti del sistema
sono ricondotti a Religione e Ragione e l'amore è incluso nello spazio religioso.5
Il lessico di don Bosco è povero e le formule una volta coniate diventano facilmente ripe-
titive soprattutto quando possono trovare solido fondamento nei fatti. Ciò avviene appunto nel
caso del «sistema preventivo»: la realtà precede nettamente
1 Si vedano le persuasive osservazioni su «valori e limiti dell'opuscolo sul sistema preven-
tivo» di P. STELLA, Don Bosco nella storia della religiosità cattolica II, pp. 462-465.
2 «Bollettino Salesiano» 6 (1882) n. 11, nov., p. 179: «Vostra Eccellenza non ignora che vi
sono due sistemi di educazione; uno è chiamato sistema repressivo, l'altro è detto sistema pre-
ventivo».
3 «Sarebbe desiderabile che esso venisse introdotto in tutte le famiglie cristiane, in tutti gli
Istituti di educazione pubblici e privati, maschili e femminili»: BS 4 (1880) n. 9, sett., p. 9.
4 «Bollettino Salesiano» 4 (1880) n. 9, sett., pp. 6-9.
5 Cf A. FERREIRA da SILVA (a cura di), Conversazione con Urbano Rattazzi e // dialogo tra
don Bosco e il maestro Francesco Bodrato (1864), in Don Bosco educatore. Scritti e testimonian-
ze, a cura di P. Braido. Roma, LAS 1992, pp. 65-81, 167-181.

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Pietro Braido
le parole. Nelle attività religiose, caritative, sociali sviluppate da don Bosco tra i giovani e il
popolo nel primo ventennio torinese si possono ritrovare tutti gli elementi del suo «sistema»
assistenziale, pastorale, educativo, ancor più ricchi di quelli che appaiono nei due documenti su
Il sistema preventivo nella educazione della gioventù del 1877 e 1878, nei Regolamenti del
1877 e nelle stesse Memorie dell'Oratorio di S. Francesco di Sales, redatte, in massima parte,
tra il 1873 e il 1875. E accanto all'azione si trova pure una notevole ricchezza di formule e di
«parole» tipiche, che del sistema esprimono la dimensione «riflessa»: sono contenute in libri,
opuscoli, memorie, lettere, scritti normativi (tra questi, in sostanza, i «regolamenti» pubblicati
poi nel 1877).
Il periodo preso in esame è, forse, il più significativo per quanto riguarda il coinvolgi-
mento di don Bosco nell'attività assistenziale e educativa: esso è immediato, totale, esclusivo.
Il sistema preventivo nasce in questa esperienza diretta. Il passaggio tra gli anni '50 e '60 rap-
presenta da questo punto di vista una svolta. In seguito egli sarà assorbito in misura crescente
in attività che lo sottrarranno in parte all'impegno educativo immediato, che sarà svolto più
direttamente dai suoi collaboratori: il lavoro per la fondazione, regolamentazione, animazione
della società religiosa dei salesiani; dal 1872, il coinvolgimento nella fondazione dell'istituto
delle figlie di Maria Ausiliatrice; lo sviluppo dei collegi e degli ospizi prima a base regionale,
poi nazionale, infine internazionale; la realizzazione oltreoceano del progetto in favore degli
emigranti e delle missioni; l'istituzione dei cooperatori salesiani; l'incombente ininterrotto
assillo per assicurare il sostegno finanziario alla sempre più diffusa opera caritativa; l'infittirsi
della rete delle relazioni intraecclesiali e civili, dei viaggi, ecc.
Il primo ventennio, invece, è tutto e solo di don Bosco, prete diocesano totalmente consa-
crato a un certo tipo di azione giovanile e popolare, non ancora formalmente «religioso» e
fondatore di istituti di vita consacrata. È vero che 1' 11 giugno 1860 egli sottopone all'attenzio-
ne e all'approvazione dell'arcivescovo di Torino, Luigi Fransoni, esule a Lione, un «Piano di
regolamento» per sé e i suoi collaboratori «riuniti a far vita comune» «a guisa di società reli-
giosa».6 Ma ancora il 3 settembre 1862 scriveva in questi termini al rettore del seminario me-
tropolitano, can. Alessandro Vogliotti: «Ella sa che da vent'anni io ho sempre lavorato e tuttora
lavoro e spero di consumare la mia vita lavorando per la nostra diocesi».7 Decisivi sono lo
stacco del 14 maggio 1862 con la professione dei primi voti religiosi privati e la più netta cesu-
ra del 24 marzo 1863, data della lettera inviata al vicario capitolare di Torino, can. Giuseppe
Zappata, per chiedere l'approvazione diocesana della sua «congregazione sotto il titolo di So-
cietà di S. Francesco di Sales, diretta a conservare lo spirito ed i modi che dalla pratica si pote-
rono riconoscere più utili nell'esercizio del Sacro Ministero a favore de' giovanetti più poveri
ed abbandonati»; dove si precisa: «mio scopo è di stabilire una Società che mentre in faccia
alle autorità governative conserva tutti i diritti civili ne' suoi individui; in faccia alla Chiesa
costituisca un vero cor-
6 Em I 406.
7 Em I 459.

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Il sistema preventivo di don Bosco alle origini (1841-1862) 257
po morale ossia una società religiosa».8
Al termine del ventennio, intorno agli anni 1861/1862, egli mostra di essere già
in possesso di un ricco patrimonio di esperienze, di intuizioni, di idee che prefigura-
no già un sistema organico assistenziale e educativo, il «sistema preventivo». Esso vi
appare già articolato in più versioni: la forma aperta, oratoriana, incluse le scuole
festive e serali; le espressioni associative, compagnie e «società» di vario tipo; gli
scritti «preventivi» apologetici, catechistici e ameni diretti alla gioventù e al popolo
con particolare intensità negli anni 1845-1858; la «pedagogia spirituale» degli anni
'60, di stampo quasi «seminaristico», prefigurata in scritti del 1843-1844 e affidata
alle biografie di Domenico Savio e di Michele Magone (e più tardi di Francesco Be-
succo); la tipica versione «collegiale», quella che sarà pubblicizzata poi nel 1877, ma
che risulta già realizzata in germe e formulata negli anni '50. In queste creazioni
confluisce l'intera formazione popolana ed ecclesiastica di don Bosco che lo porta a
concepire la propria missione come difesa dal male e promozione del bene, preven-
zione degli errori e diffusione della verità (cattolica), lotta contro l'indifferenza e
l'ignoranza catechistica, sforzo di rivitalizzazione della vita religiosa e della pratica
cristiana, opposizione all'eresia fonte di immoralità (disonestà, doppiezza, raggiro,
violenza), sollecitudine per i giovani poveri e abbandonati (i giovani poveri e i pove-
ri giovani) e loro ricupero tramite l'assistenza materiale, il collocamento al lavoro, lo
studio, il benessere fisico, l'inserimento ecclesiale e sociale. È la medesima ansia che
nel 1875 lo porterà a volgere il pensiero ai popoli privi della luce della fede e della
civiltà cristiana, destinati alla morte eterna da illuminare e «salvare» a tutti i livel-
li con le «missioni», senza dimenticare gli emigranti, di cui proteggere, conservare o
ravvivare la fede originaria: unico aspetto, questo, veramente nuovo rispetto alle
preoccupazioni del ventennio.
1. Salvezza e vigilanza
In un primo momento la prevenzione è esercitata essenzialmente come cura reli-
giosa e morale, come azione «pastorale». Don Bosco, infatti, è prete: un prete che
dalla pratica familiare e dal catechismo ha assimilato la tradizionale filosofia di vita
del vangelo: Dio prima di tutto, e quindi l'anima e la salvezza eterna; e insieme,
l'amore del prossimo, le opere di misericordia, corporale e spirituale. Tale formazio-
ne di base viene rafforzata e approfondita grazie agli studi del seminario e alla rifles-
sione morale sulla confessione e la predicazione nel convitto ecclesiastico di Tori-
no. Don Bosco è un operatore di chiara ispirazione cristiana e sacerdotale, mai di-
sgiunta da genuina «umanità»; prete della carità prima che prete sociale. È criterio
«storiografico» capitale per comprendere e valutare la sua azione «preventiva».9
8 Em I 562-563.
9 È ciò che non sembra tener presente S. QUINZIO, Domande sulla santità. Don Bosco,
Cafasso, Cottolengo. Torino, Edizioni Gruppo Abele 1986.

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Pietro Braido
1.1 Sussidi salvifici
Per la propria «salvezza», umana e cristiana, i giovani dovevano poter contare
su persone e mezzi commisurati alle principali urgenze: possibilità di lavoro, luoghi
dove poter ricevere l'istruzione religiosa e compiere le pratiche cristiane nei giorni
festivi, soprattutto se sentivano estranea la parrocchia, modi di occupare il tempo
libero senza dilapidare nel gioco, nella bettola, nel vagabondaggio il danaro guada-
gnato lungo la settimana; persone che li accogliessero, li seguissero, li premunisse-
ro.
Era esigenza, anzitutto, religiosa e morale. I mezzi venivano suggeriti dalla pa-
storale catechistica e penitenziale comunemente usata in prevalente chiave difensiva
soprattutto in rapporto ai pericoli di male e di peccato, in particolare, per la fede e
la «moralità». Puntuali indicazioni offriva già il Compendio della dottrina cristiana in
uso nella diocesi di Torino, promulgato nel 1786 dal card. Costa e riconfermato, con
ritocchi, dai successori: «fuggire l'ozio, le occasioni pericolose e i cattivi compagni,
custodir i sensi e praticar la mortificazione cristiana»; «avere una volontà risoluta di
perdere ogni cosa, che commetter un nuovo peccato, di fuggire le occasioni più peri-
colose di peccare, di distruggere gli abiti cattivi, e di usare i mezzi necessari Per evitar
il peccato»; «pregar sovente e di cuore Iddio, esser divoto di Maria Vergine Madre
della purità, pensare alla presenza di Dio, alla passione di Gesù Cristo, alla morte, ai
divini castighi, e frequentare colle dovute disposizioni i Sagramenti».10
Analoghe regole preventive inculcavano i testi di teologia morale di Giuseppe
Antonio Alasia, adottati in seminario e nel convitto ecclesiastico, a proposito dei peri-
coli per la fede e per i costumi e delle «occasioni» di peccato, su cui avevano stretto
obbligo di insistere i confessori. «Contro la lussuria» venivano suggeriti i mezzi
seguenti: la preghiera assidua, la seria meditazione sulla cecità della mente e la durez-
za di cuore, la seria considerazione dell'ira e della vendetta divina nei confronti dei
viziosi; la custodia dei sensi, soprattutto della vista; la fuga di ogni famigliarità con
le donne; la sobrietà o l'uso moderato del vino («luxuriosa res vinum», Prov. 20, 1,
volg.), la mortificazione della carne con l'astinenza e moderati digiuni, la lettura di
libri di pietà e la seria meditazione dei novissimi, ancor più l'astenersi dalla lettura di
libri impudichi, «vulgo romanzi», che accendono e infiammano la concupiscenza." Il
confessore era tenuto a «distogliere il penitente dalle occasioni nelle quali incontra
gravi tentazioni».12 Si provvede poi alla sua coscienza con misure particolari decisa-
mente negative e preventive: la fuga dell'ozio, le frequenti giaculatorie, la lettura spi-
10 Compendio della dottrina cristiana.... Torino, presso gli eredi Avondo 1786, Dei coman-
damenti della seconda tavola, p. 67; Della Penitenza, § V. Del Proponimento, pp. 108-109.
11 J. A. ALASIA, Theologia moralis breviori ac faciliori methodo in quatuor tomos distribu-
ta, t. I, ed. IL Taurini, ex typ. Paravia 1834, Diss. VI De sexto decalogi praecepto, art. IX De
remediìs contra luxuriam, pp. 413-415; ID., Commentario theologiae moralis auctore Josepho
Antonio Alasia.... Editio altera recognita et aucta, t. 3, Diss. VI De sexto Decalogi praecepto,
caput III De luxuriae filiabus, atque remediis, pp. 153-154.
12 J. A. ALASIA, Theologia moralis..., t. II, Diss. I De peccatis in genere, caput VI De cau-
sis peccati, art. I De occasionibus peccatorum. Modus interrogandi poenitentes eorumque consci-
entiis consulendi in his confessionibus obviis, p. 333.

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Il sistema preventivo di don Bosco alle origini (1841-1862) 259
rituale, l'esame serale di coscienza, la frequenza dei sacramenti, la mortificazione e il
digiuno, il reiterato proposito di non peccare, la meditazione delle verità eterne, la
custodia dei sensi, la fuga di tutto ciò che può portare alla libidine, la rinuncia ai libri
proibiti e cattivi, la lettura di libri che rafforzino la fede, la famigliarità con persone
pie.13
La considerazione dei «novissimi» getta una luce speciale nell'ambito della «pre-
venzione». Ne è spia privilegiata la breve memoria manoscritta sull’Infermità e
morte del giovane chierico Luigi Comollo scrìtta dal suo collega e. Gio. Bosco, redatta a
ridosso della morte dell'amico (2 marzo 1839). In essa i discorsi dell'amico morente,
rielaborati dall'estensore, ne dimostrano la comunanza delle persuasioni.14 La vita
cristiana è per sua natura «preventiva». Se incerta è l'ora della morte, è certa la sua
venuta; la vita, dunque, non dev'essere altro che «una preparazione alla morte, al
giudizio». Ne deriva una lezione che don Bosco avrà sempre presente come cristiano
e come pastore-educatore «preventivo»: «Felici quelli che in opere sante, e pie passa-
rono i loro giorni, e saranno apparecchiati per quel momento, che dovranno por
piede nell'immenso paese dell'eternità. Se poi ti sarà dato dal Signore ad essere guida
dell'altrui anime, inculca mai sempre il pensiero della morte, del giudizio». Si asso-
cia il ricorso ai capitali mezzi positivi della prevenzione cristiana: il ricorso al «pos-
sente patrocinio» della «benigna Madre nostra M. SS.ma»; «la frequenza de' sacra-
menti, e soprattutto della confessione e della Eucaristia, che sono i due istrumenti,
ossia arme colle quali si scampa da tutti gli assalti del comun nemico, e da tutti gli
scogli di questo borrascoso mare di lagrime»; la vigilanza (e quando occorre la «fu-
ga») riguardo al «conversare colle varie qualità di persone» e cogli «stessi compagni
chierici», catalogabili in «cattivi», «né cattivi né molto buoni», «buoni assolutamen-
te».15
13 J. A. ALASIA, Theologia moralis... Modus interrogandi..., pp. 340-350; sostanzialmente
identica, ma più estesa quanto a temi e materie è la trattazione delle «regole» e dei «casi» nei
Commentario, Theologiae moralis, t. 7 (Botta 1841), Commentarla de Sacramentis Novae Legis,
caput IV Specimen practicum poenitentis in confessione interrogandi, instruendi, et absolvendi, et
primo de regulis quibusdam generalibus, pp. 214-231.
14 II testo è riportato alle pagine 250-262 del saggio di J. CANALS PUJOL, La amistad en las
diversas redacciones de la vida de Comollo escrita por san Juan Bosco, in «Ricerche Storiche Sale-
siane» 5 (1986) 221-262. Non dissimile è quello riportato nell' opuscolo a stampa del 1844,
Cenni storici sulla vita del chierico Luigi Comollo morto nel seminario di Chieri ammirato da tutti
per le sue singolari virtù scritti da un suo Collega (Torino, dalla tipografia Speirani e Ferrerò
1844, 84 p., OE I 1-84); in seconda edizione col titolo Cenni sulla vita del giovane... (Torino,
tipografia dir. da P. De-Agostini 1854, 97 p.).
15 G. Bosco, Infermità e morte..., p. 256. Molto simile, con espressioni talora identiche, è
il testo che compare nelle edizioni del 1844 e 1854, rispettivamente alle pagine 61-64 e 71-73.
Quanto alle «varie qualità di persone» in ambedue gli stampati si precisa quello che sarà sem-
pre un punto sensibile di don Bosco educatore: «Non parlo già delle persone di sesso diverso
od altre persone secolari, che siano per noi d'evidente pericolo, le quali si devono affatto fuggire»
(p. 63 e 72).

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260 Pietro Braido
1.2 Un nucleo primitivo di «pedagogia spirituale»
È visibile fin dai primordi anche un tipo di pedagogia che si espliciterà verso la
fine degli '50, quando il «prevenire» si adotterà per la conservazione e coltivazione
delle giovani vocazioni ecclesiastiche, preservandole dal deperimento. Scaturisce dalla
testimonianza resa sulla vita di un giovane seminarista, Giuseppe Burzio (1822-
1842), di cui don Bosco era stato prefetto nell'anno scolastico 1840-1841. Vi è prefi-
gurata la massima parte dei tratti che riemergeranno nelle biografie di Domenico
Savio, di Michele Magone, di Francesco Besucco, specchio di una esperienza in atto
a Valdocco.16 Il giovane è presentato come un perfetto modello chiericale, preciso nel-
l'osservanza, compiuta, però, «con certa prontezza, grazia e ilarità»;17 «puntualissimo»,
«ad ogni articolo del regolamento dava la più grande importanza, e tutto con eguale
esattezza e fedeltà osservava; ed in ciò procedeva libero e sciolto, operando per co-
scienza»; «con bella maniera o piuttosto con prudente avvedutezza» evitava i compa-
gni meno esemplari, preferendo «di trattenersi e animarsi» con quelli «del medesimo
genio». «Sollecito quant'altri mai ne' doveri di studio, grandemente li amava, e face-
va ogni suo possibile per profittarvi; impiegava tutto gelosamente il tempo dedicato a'
medesimi»; parte della ricreazione era occupata con allegria a conversazioni su «cose
di studio o di pietà»; «nello studio comune non si vedeva mai neghittoso (giacché
l'ozio gli era affatto sconosciuto)». «Ma ancora più grande fu il suo impegno alla pie-
tà»; «ognuno ben vedeva quanto vi partecipasse il suo cuore, e quanto fosse lo spirito
di fede». Frequentava i «sacramenti», «era divotissimo di Gesù sacramentato e della
Madonna». «Una virtù poi, che segnatamente lo distingueva, era la sua modestia»,
praticata senza «ombra di caricatura», anzi con «grande cordialità e schiettezza»: era
«notevole sopra modo la custodia degli occhi suoi»; «era nel tratto cortese e amorevo-
le con tutti». Tra le virtù vengono sottolineate l'umiltà, la mansuetudine e la pazien-
za»: «seppe vincere col bene il male». Si tratteneva, infine, con i compagni di corso,
animandosi «al fine sublime della vocazione ecclesiastica, e massime circa la fuga del
mondo, e lo zelo delle anime»18
Non dissimile è la pedagogia seminaristica di rigida preservazione, peraltro non
immune da tratti austeri e ansiosi propri del protagonista, riversata nei Cenni storici
sulla vita di Luigi Comollo pubblicati l'anno successivo.19
Denso e significativo è il profilo di un «chericotto di buone speranze, ma che
vuol essere guardato con occhio di lince». Don Bosco ne denuncia i difetti a un ami-
16 La testimonianza è distribuita in varie pagine della biografia del giovane, compilata da
Felice Giordano, Cenni istruttivi di perfezione proposti a' giovani desiderosi della medesima nella
vita edificante di Giuseppe Burzio. Torino, Dalla Stamperia degli artisti tipografi 1846; edita in
Em I 49-52.
17 Questa sottolineatura e le seguenti sono nostre, effettuate per mettere in evidenza l'i-
dentità lessicale della testimonianza del 1843 con gli scritti biografici del 1859, 1861, 1864.
18 Em I49-51.
19 G. Bosco, Cenni storici sulla vita del chierico Luigi Comollo... (1844), OE I 1-84; cfr. //
primo libro di Don Bosco, vol. V di Opere e scritti editi e inediti di Don Bosco, a cura di Alberto
Caviglia. Torino, SEI 1965, pp. 7-128.

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Il sistema preventivo di don Bosco alle origini (1841-1862)
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co sacerdote, cugino del giovane: «poca confidenza con D. Bosco, difficilmente e
rarissimamente si leva cogli altri, perde il maggior del suo tempo in cose inutili fuori
di studio; gusta niente le pratiche di pietà»; non frequenta i compagni esemplari, si
intrattiene «coi divagati». Insieme suggerisce all'amico di scrivere al giovane una
lettera, nella quale egli vorrebbe inclusi tre avvertimenti tipici: «1o Esemplarità nelle
pratiche religiose e nell'osservanza del regolamento della casa. 2° Puntualità nella
levata e nell'intervenire allo studio. 3° Famigliarità un po' più co' compagni distinti
per la loro buona condotta e co' quali si possono tenere utili ragionamenti».20
Elementi di tale spiritualità preventiva in ordine allo stato ecclesiastico don Bo-
sco aveva avuto possibilità di assimilare dal suo maestro e direttore spirituale, Giu-
seppe Cafasso (1810-1860), ascoltato anche come predicatore di esercizi spirituali al
clero.21 Di preservazione e difesa parla in vari contesti, anzitutto a proposito delle
Disposizioni per riuscire buon sacerdote: «Via quell'ozio, quell'inerzia che ci fa perdere
tempo, via da quei luoghi, da quelle case, da quei compagni; si lascino quei diverti-
menti, quelle comparse agli spettacoli, alle fiere, ai mercati».22 Quanto alla modestia è
garanzia il pensiero della presenza di Dio: «Dio mi sente, Dio mi vede, Dio mi guar-
da».23 La Fuga del mondo, oggetto dell'intera quarta istruzione, offre l'occasione di
parlare della ricerca di «buoni compagni», di occupazione e della fuga dell'ozio.24
Quanto poi si dice ai giovani sulle compagnie pericolose il Cafasso ripete ai sacerdoti
sulle frequentazioni o «conversazioni»: «alcune sono cattive, pericolose e da fuggir-
si»; particolarmente pericolose sono «le donne»: «donna e sacerdote hanno da essere
distanti l'uno dall'altra, come i due poli se non tanto di persona, almeno di cuore e di
volontà».25 Speciali cautele, naturalmente, sono raccomandate quanto al Modo dì
ascoltare le confessioni: in questo ministero, però, oltre la «vigilanza severa, continua,
impreteribile» sui sensi e sui comportamenti, occupa un posto privilegiato, «il più
esteso», «immenso», la carità.26
2. Prima letteratura catechistica e spirituale per giovani e adulti (1845-1848)
Analoghe esigenze e misure preventive, assistenziali e formative, don Bosco evi-
denzia nella prima serie di scritti religiosi, catechistici, devozionali che precedono la
«rivoluzione» del 1848.
20 Lett del 6 aprile 1854 all'arciprete di Bernezzo Pietro Durbano, Em I 225-226.
21 Cf G. CAFASSO, Istruzioni per esercizi spirituali al clero pubblicate per cura del Can."
Giuseppe Allumano. Torino, Tip. Fratelli Canonica 1893.
22 G. CAFASSO, Istruzioni..., Istruzione prima, p. 47.
23 G. CAFASSO, Istruzioni..., Istruzione quarta, Modestia, p. 69.
24 G. CAFASSO, Istruzioni..., pp. 68-87
25 G. CAFASSO, Istruzioni..., pp. 155-156; analoghe riflessioni sono dedicate al Buon esem-
pio (Istruzione decima), pp. 183-197.
26 G. CAFASSO, Istruzioni..., pp. 254-255, 260.

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Pietro Braido
2.1 Prevenzione dell'ignoranza religiosa
All'ignoranza diffusa e alla mancanza di una letteratura religiosa specifica per talune cate-
gorie di fedeli giovani e adulti vogliono rispondere gli scritti del primo quadriennio (1845-
1848). In questo ambito rientrano Il divoto dell'angelo custode (1845), la Storia ecclesiastica
(1845), Le sei domeniche e la novena di san Luigi Gonzaga (1846), la Storia sacra (1847), Il
giovane provveduto (1847), Il cristiano guidato alla virtù ed alla civiltà secondo lo spirito di
san Vincenzo de' Paoli (1848). Intendono essere pubblicazioni preventive in se stesse e per i
particolari contenuti.
Lo si può notare fin dal primo opuscolo, dove l'angelo custode appare per sua intrinseca
funzione figura eminentemente «preventiva». Infatti, Dio, oltre aver arricchito l'uomo di «nobi-
li facoltà sì spirituali, come corporali», ha assegnato a ciascuno «un celeste spirito» che «l'assi-
sta di notte e di giorno, l'accompagni ne' viaggi lungo le strade, lo difenda da' pericoli tanto
dell'anima che del corpo, l'avvisi di ciò che è male, perché lo fugga, gli suggerisca ciò che è
bene, perché lo segua».27 È «in verità l'aio e il direttore di ciascuno di noi, come figli d'età
minore»,28 il perfetto modello dell'educatore preventivo, l'«assistente», che con la sua «amabile
presenza» sorregge, conforta, aiuta nelle alterne vicende dell'esistenza:29 «sappiamo pur troppo
a quanti pericoli andiamo esposti nella nostra infanzia; a quante vicende in gioventù ed in tutta
la vita».30
Fini preventivi, con il coinvolgimento della ragione e del cuore, vengono perseguiti anche
nella Storia ecclesiastica. In essa, infatti, don Bosco si propone di selezionare tra i fatti quelli
che gli «parvero più teneri e commoventi», «affinché non solo l'intelletto venga istruito, ma il
cuore eziandio provi tali affetti da rimanerne non senza gran giovamento spirituale compre-
so».31 Identico è lo scopo prefissato nella redazione della Storia sacra: «in ogni pagina ebbi
sempre fisso quel principio: illuminare la mente per rendere buono il cuore, e (come si esprime
un valente maestro) di popolarizzare quanto si può la scienza della Sacra Bibbia, che è il fon-
damento della nostra Santa Religione, mentre ne contiene i dogmi e li prova, onde riesca poi
facile dal racconto sacro far passaggio all'insegnamento della morale e della religione».32
In questi anni don Bosco intende privilegiare soprattutto giovani credenti, offrendo sussi-
di che li guidino nel loro cammino cristiano. Vi accenna ne Le sei domeniche e la novena di
san Luigi Gonzaga: «Eccovi, giovani in Gesù Cristo carissimi, un modello ed un esemplare in
cui specchiandovi potrete formarvi un metodo di vita
27 G. Bosco, II divoto dell'angelo custode. Torino, Paravia 1845, p. 4, OE I 90.
28 G. Bosco, Il divoto dell'angelo custode, p. 8, OE I 94; cfr. ancora p. 9, OE I 95.
29 G. Bosco, Il divoto dell'angelo custode, p. 53, OE I 139.
30 G. Bosco, Il divoto dell'angelo custode, p. 18, OE I 104; sulla protezione dalla nascita
all'infanzia, da questa all'adolescenza e in età adulta, pp. 56-57, OE I 142-143.
31 G. Bosco, Storia ecclesiastica ad uso delle scuole utile per ogni ceto di persone. Torino,
tip. Speirani e Ferrerò 1845, p. 10, OE I 168.
32 G. Bosco, Storia sacra per uso delle scuole utile ad ogni stato di persone. Torino, dai
tipografi-editori Speirani e Ferrerò 1847, p. 7, OE III 7.

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Il sistema preventivo di don Bosco alle origini (1841-1862)
263
atto a condurvi alla vera felicità».33 Difatti san Luigi è successivamente presentato
«esemplare nella virtù della purità», «staccato dai beni della terra», ardente di «carità
verso il prossimo», di «amor verso Dio», che si dà a Dio fin dal tempo della giovi-
nezza, «modello nella preghiera»: una vita coronata da una «preziosa morte».34 Chia-
ramente preventivo è il «metodo di vita cristiana, che sia nel tempo stesso allegro e
contento» proposto nel Giovane provveduto?5 Si intravedono già gli elementi di base
dell'esperienza pedagogico-spirituale di don Bosco, che dovrà necessariamente ar-
ricchirsi e articolarsi con il divenire e il moltiplicarsi delle iniziative educative in rap-
porto a giovani e a istituzioni non omogenee: ragazzi del popolo e della classe
media, studenti e artigiani, raccolti in oratori o in ospizi o in collegi, giovani del
mondo dell'emigrazione e delle missioni.36 Naturalmente vi appaiono sottolineati sia
aspetti positivi che negativo-protettivi. Il primato assoluto spetta naturalmente alla
«religione», alla fede vissuta in ambito cattolico, sola sorgente di verace e duratura
felicità, apportatrice di grazia, di salvezza, di santità. L'ideale è «diventare la con-
solazione dei (...) parenti, l'onore della patria, buoni cittadini in terra per essere poi
un giorno fortunati abitatori del cielo»;37 «datevi per tempo alla virtù, e vi assicuro,
che avrete sempre un cuore allegro e contento, e conoscerete quanto sia dolce servire
al Signore».38 Vi concorrono la parola di Dio, i sacramenti, le devozioni (Maria SS.,
l'Angelo Custode, s. Luigi Gonzaga), la «pietà» e le sue pratiche.39 È ugualmente
richiesta l'attiva cooperazione umana con l'adempimento dei doveri del proprio stato
e l'esercizio delle immancabili virtù giovanili, l'obbedienza, la purità, la mortifica-
zione40 e, al di sopra di tutte, l'amore di Dio e del prossimo.41 Ma perché tutto ciò si
conservi e si accresca vengono sollecitamente richiamate particolari cautele, che in-
cludono consistenti elementi di vigilanza, di protezione e di «fuga». È in-
33 Le sei domeniche e la novena di san Luigi Gonzaga con un cenno sulla vita del santo. Tori-
no, dalla tipografia Speirani e Ferrerò 1846, p. 5.
34 Le sei domeniche..., Dom. III-IX, pp. 16-37.
35 G. Bosco, II giovane provveduto per la pratica de' suoi doveri degli esercizi di cristiana pie-
tà... Torino, tip. Paravia e comp. 1847, OE II 183-531. Accurate ricerche sulle fonti del Giovane
provveduto e generose valutazioni sui lineamenti di «spiritualità giovanile» da esso emergenti
sono contenute nello studio di Pietro Stella Valori spirituali nel «Giovane provveduto» di san
Giovanni Bosco. Roma, [PAS] 1960.
36 Per una realistica valutazione si dovrà ricordare che il Giovane provveduto è nel settore
un'«opera prima» di don Bosco, ancora ai primordi della sua esperienza tra i giovani e larga-
mente ispirata a fonti scritte di antica data. Non può considerarsi un progetto maturo e ideale di
spiritualità giovanile, in grado di rispondere alle «istanze dell'animo giovanile di tutti i tempi»
(Valori spirituali..., p. 81 e 128).
37 II giovane provveduto..., p. [5], OE II 187.
38 II giovane provveduto..., p. 13, OE II 193; «noi vediamo che quelli, i quali vivono in grazia
d'Iddio, sono sempre allegri» (p. 28, OE II 208); «osservate (...) che se è tristo il pensiero del-
l'inferno ci colma di consolazione la speranza di un Paradiso, ove si godono tutti i beni (...).
Coraggio adunque, o miei cari, provate a servire il Signore, e poi vedrete quanto sarà contento
il cuor vostro» (p. 29, OE II 209).
39 II giovane provveduto..., pp. 16-19, 51-75, OE II 196-198, 231-255.
40 II giovane provveduto..., pp. 13-16, 59-61, OE II 193-196, 239-241.
41 II giovane provveduto..., pp. 63-66, OE II 243-246.

1.10 Page 10

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264 Pietro Braido
dispensabile che i giovani, i quali si trovano in «un'età semplice, umile, innocente, ed in gene-
rale non [sono] ancora divenuti preda infelice del nemico infernale»,42 sono, anzi, oggetto di un
amore preferenziale da parte di Dio,43 si guardino dai due «inganni principali, con cui il demo-
nio suole allontanare i giovani dalla virtù».44 È, perciò, prevista la presenza di guide preveg-
genti e sicure, genitori e educatori, a cui affidarsi incondizionatamente: «piegherete sicuramen-
te al male se non vi lasciate piegare da chi ha cura di indirizzarvi», «i consigli e gli avvertimen-
ti dei vostri superiori siano regola del vostro vivere e del vostro operare».45 «Fuggire» ed «evi-
tare» riguardano l'ozio, i cattivi compagni, i cattivi discorsi, lo scandalo, le tentazioni, le occa-
sioni: «gioverà moltissimo a preservarvi dalle tentazioni il rimanervi lontani dalle occasioni,
dalle conversazioni scandalose, da' pubblici spettacoli», «star sempre occupati», la «mortifica-
zione de' sensi», la «modestia».46 Una particolare strategia è proposta per «conservare la santa
e preziosa virtù della purità» con mezzi largamente raccomandati da moralisti e educatori:
«prima di tutto fuggite la compagnia delle persone di sesso diverso», «i giovani non devono
mai contrarre alcuna famigliarità con figliuole», «giova, moltissimo, la custodia de' sensi e
particolarmente degli occhi», guardarsi «da ogni eccesso nel mangiare e nel bere, da' teatri, da'
balli e da simili divertimenti che sono rovina de' costumi», «fuggite la compagnia di que' gio-
vanetti che fanno cattivi discorsi».47 Sette considerazioni per ciascun giorno della settimana
offrono alla riflessione del giovane con le «verità eterne», tra cui i «novissimi», le motivazioni
fondamentali per uno sforzo ascetico tanto impegnativo.48
È la stessa «pedagogia preventiva» che ispira a don Bosco consigli e avvertimenti riserva-
ti a giovani di buona famiglia con i quali è talvolta in corrispondenza. Al diciannovenne Otta-
vio Bosco di Ruffino dà i seguenti consigli a proposito di libri sottoposti al suo giudizio: «I
libri non sono all'Indice. Sonvi però alcune cose assai pericolose per la moralità di un giovane:
perciò mentre puoi leggerli devi stare attento su te medesimo, e qualora ti accorga avvenire
danno al tuo cuore, sospenderne la lettura, o almeno saltare que' brani che relativamente posso-
no essere pericolosi».49 Al medesimo, ventunenne, traccia questo programma di vita spirituale:
«Sta attento ai cattivi compagni e fuggili; cerca i buoni e imitali. Il tesoro più grande è la grazia
di Dio: la prima ricchezza è il santo timor di Dio».50 A un certo Stefano Rossetti, diciassetten-
ne, alunno dell'Oratorio dal 1859 al 1862, divenuto in seguito sacerdote, dà queste direttive:
«Rammenta i molti avvisi che ti ho dato in varie circostanze; sta allegro, ma la tua allegria sia
verace come quella di una coscienza monda dal pecca-
42 Il giovane provveduto..., p. 11, OE II 191.
43 Il giovane provveduto..., parte prima, art. 2° I giovanetti sono grandemente amati da Dio,
pp. 10-11, OEII 190-191.
44 Il giovane provveduto, p. [5], OE II 185.
45 Il giovane provveduto..., pp. 13-14, 16, OE II 193-194, 196.
46 Il giovane provveduto..., pp. 20-28, OE II 200-208.
47 Il giovane provveduto..., pp. 51-54, OE II 231-233.
48 Il giovane provveduto..., pp. 31-50, OE II 211-230.
49 Lett, dell'11 agosto 1859, Em I 382.
50 Lett, del 9 gennaio 1861. Em I 433-434.

2 Pages 11-20

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2.1 Page 11

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Il sistema preventivo di don Bosco alle origini (1841-1862) 265
to. Studia per diventare molto ricco, ma ricco di virtù, e la più grande ricchezza è il
santo timor di Dio. Fuggi i cattivi, sta amico coi buoni; rimettiti nelle mani del tuo
sig. Arciprete e seguine i consigli e tutto andrà bene».51 A un quindicenne ripete:
«Coraggio adunque, fìgliuol mio, sii fermo nella fede, cresci ogni giorno nel santo
timor di Dio; guardati da' cattivi compagni come da serpenti velenosi, frequenta i
sacramenti della Confessione e Comunione; sii divoto di Maria SS. e sarai certamente
felice».52 Motivi già noti ritornano in una lettera al decenne marchesino Emanuele
Fassati, a cui dà alcuni consigli in preparazione alla prima comunione: «Io Ubbi-
dienza esatta ai tuoi genitori e ad altri tuoi superiori senza mai fare opposizione a
qualsiasi comando. 2° Puntualità nell'adempimento dei tuoi doveri, specialmente di
quelli di scuola senza mai farti sgridare per adempierli. 3° Fare grande stima di tutte
le cose di divozione. Perciò far bene il segno della santa croce, pregare ginocchioni
con atteggiamento composto, assistere con esemplarità alle cose di chiesa».53
2.2 Alle radici dell'«amorevolezza»
Il «Dio ti vede» domina la visione religiosa di don Bosco, con qualche accentua-
zione del timore nei primi scritti «storico-religiosi». Il contatto con giovani perico-
lanti e bisognosi può aver favorito una visione più serena di Dio buono e misericor-
dioso, amorevole e perdonante; tuttavia, mai essa offusca l'immagine di Dio giudice
soprattutto nel momento del «rendiconto» finale. Il «Dio ti vede» è invocato sia per
suscitare pensieri di fiducia e di abbandono che per risvegliare sentimenti di salutare
timore e di trepida vigilanza cristiana.54
Una balzo deciso nella direzione dell'amore è certamente rappresentato, sul
piano letterario, dall'Esercizio di divozione alla misericordia di Dio (1846), attribuibi-
le con buona sicurezza a don Bosco.55 Nell'opuscolo rarissimi si trovano i riferimenti
alla divina Giustizia: «niuno può negare che egli sia anche un giudice giusto»,56 men-
51 Lett, del 25 luglio 1860, Em I 415.
52 Lett, del 5 settembre 1860, Em I 422.
53 Lett, dell'8 settembre 1861, Em I 459-460.
54 Scrive N. Cerrato a proposito della Storia sacra: «Bontà e giustizia divina, pietà e rigore
sono elementi che si equilibrano e si temperano vicendevolmente nello scritto di Don Bosco
senza che l'idea del rigore venga a prevalere. Iddio si rivela nel Vangelo il nostro 'Padre cele-
ste'» (La catechesi di don Bosco nella sua «Storia sacra». Roma, LAS 1979, p. 292); più avanti
titola un paragrafo: «Una dimensione globale nella Storia Sacra di Don Bosco: Dio è buono e
giusto» (pp. 295-306).
55 II quale «sfrutta Y Apparecchio alla morte di S. Alfonso e il Tableau de la miséricorde di-
vine di Nicolas Sylvestre Bergier, Besançon 1821» (P. STELLA, Don Bosco nella storia della reli-
giosità... I 243). Ma non è rintracciabile né in Bergier in traduzione italiana (Quadro della
divina misericordia secondo le sacre scritture ossia motivi di fiducia in Dio e conforto delle anime
timorose. Opera postuma di Nicola Silvestro Bergier tradotta la prima volta dal francese. Mila-
no. G. Agnelli 1855) né in sant'Alfonso il termine «amorevolezza»; ricorrono piuttosto i termi-
ni «amore», «tenerezza».
56 Esercizio di divozione alla misericordia di Dio. Torino, tip. Eredi Botta [1847], p. 81, OE
II 151.

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266
Pietro Braido
tre «molti vivono quasi insensibili ne' disordini della loro vita senza badare che pos-
sa finire il tempo di misericordia e sottentrarvi la rigorosa sua giustizia».57 Invece
ripetute quasi ad ogni pagina sono le rassicurazioni circa la «Divina Misericordia», la
«Misericordia Divina», la «Misericordia del Signore», il «misericordioso Iddio», la
«bontà di un Dio Salvatore»,58 «tutto amabile, e tutto carità»,59 Talvolta si nota il
passaggio da Dio a Gesù Cristo, «amico», «pieno di benignità e di misericordia».60
Di Dio e del Salvatore sono indubitabili la «pietà», la «bontà», la «clemenza», la
«pazienza», P«affezione» F«amore»; e unica finisce con l'essere l'invocazione: «mio
Dio, mio padre, mio Salvatore, mio tutto».61 Si susseguono termini, che acquisteranno
un valore quasi tecnico nella visione «preventiva» di don Bosco. Si raccolgono intor-
no ad «amorevolezza», «amorevole», «amoroso»: «l'amorevolezza con cui Iddio
accoglie il peccatore»;62 «amorevoli parole»;63 «amorevoli accoglienze»;64 «l'amoroso
Gesù», «amorosamente ci accoglierà», «amorosamente lo chiama», «amorosissime
parole: venite a me...».65
Al di fuori del contesto ascetico-spirituale il termine ricorre in una lettera al ve-
scovo di Biella, Pietro Losana, del 4 marzo 1852: «Sarà mia premura di accogliere
colla massima amorevolezza tutti quei giovani del Biellese che interverranno all'Ora-
torio»;66 nella Forza della buona educazione: «Prendete, ripetè con amorevolezza Pietro,
è questo il risparmio da me fatto negli anni scorsi»;67 nelle vite dei papi: s. Evaristo
accoglieva i fanciulli «con amorevolezza» e li incoraggiava alla virtù;68 nel Cenno bio-
grafico su Michele Magone, in un appello rivolto ai confessori: «Io Accogliete con
amorevolezza ogni sorta di penitenti, ma specialmente i giovanetti».69
57 Esercizio di divozione..., p. 35, OE II 105.
58 Esercizio di divozione..., p. 81, OE II 151.
59 Esercizio di divozione..., p. 82, OE II 152.
60 Esercizio di divozione..., p. 95, OE II 165.
61 Esercizio di divozione..., p. 101, OE II 171. «Via dunque ogni timore (...). Noi andiamo
ad un Dio che è padre tanto buono il quale ama noi sue creature; che cosa possiamo temere da
uno che ci ami?» (pp. 99-100, OE II 169-170).
62 Esercizio di divozione..., pp. 75-85, OE II 145-155. È il titolo della meditazione del
quarto giorno.
63 Esercizio di divozione..., p. 67, OE II 137.
64 Esercizio di divozione..., pp. 77, 83, OE II 147, 153.
65 Esercizio di divozione..., pp. 67, 71, 76, 105, OE II 137, 141, 146, 175.
66 Em I 156.
67 G. Bosco, La forza della buona educazione. Curioso episodio contemporaneo. Torino,
tip. Paravia e comp. 1855, p. 74, OE VI 348.
68 G. Bosco, Vita de' sommi pontefici S. Anacleto, S. Evaristo, S. Alessandro I. Torino,
tip. di G. B. Paravia e Comp. 1857, p. 33, OE IX 477.
69 G. Bosco, Cenno biografico sul giovanetto Magone Michele.... Torino, tip. G. B. Para-
via e comp. 1861, p. 27, OE XIII 181. Nelle Cronache dell'oratorio di S. Francesco di Sales 1o
1860 Domenico Ruffino, in data 25 nov. 1860, riporta le seguenti parole di don Bosco: «Prima
di incominciare a scrivere la Storia d'Italia mi portai da D. Cafasso con due quaderni doman-
dandogli che cosa dovessi scrivere, la storia d'Italia od un metodo per confessare la gioventù;
egli mi consigliò la storia d'Italia. Fra mille confessori non ve ne sono cinque che sappiano
confessare la gioventù» (p. 27).

2.3 Page 13

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Il sistema preventivo di don Bosco alle origini (1841-1862)
267
3. La «conversione preventiva» ai giovani
La visione sacerdotale, culturalmente «preventiva», si acuisce in don Bosco principal-
mente a contatto con i problemi della città di Torino, paradigma delle altre innumerevoli città
che in seguito visiterà o immaginerà. La capitale in espansione economica, edilizia, manufattu-
riera, attira la sua attenzione con particolare riguardo al fenomeno dell'immigrazione e alla sua
pericolosità in rapporto alla morale e alla pratica religiosa.70 La rapida crescita demografica è
analoga in percentuale a quella di Parigi e di Londra. Dal 1835 al 1864 (è l'anno del trasferi-
mento della capitale a Firenze) la popolazione di Torino cresce più del 53,7% (da 117.000 a
218.000 abitanti), con penuria di alloggi e impressionante aumento della povertà tra gli strati
deboli. È una congiuntura paradigmatica di situazioni che si moltiplicheranno altrove lungo il
secolo.71
Nel primo quinquennio di residenza a Torino don Bosco si trova a immediato contatto
con almeno quattro situazioni «forti», quasi traumatiche, ricavandone utili elementi di diagnosi
e di terapia, essenzialmente preventiva, nel duplice versante, assistenziale e educativo: la visita
alle carceri negli anni del Convitto (1841-1844); l'impiego nelle opere benefiche della Barolo
(1844-1846); i rapporti dal 1846 con la «Casa di educazione correzionale» della Generala; la
visione dei ragazzi dispersi nella città o perché spaesati e sradicati come immigrati, o perché
lasciati a se stessi soprattutto nei giorni di festa.
Della prima esperienza lascerà icastica rappresentazione già in due brevi memorie del
1854 e del 1862. Nella prima parla di giovani venuti «di lontano in città o pel bisogno di cer-
carsi lavoro o allettati da qualche discolo», «i quali soprattutto ne' giorni festivi abbandonati a
se stessi» spendono nei vizi «i pochi soldi guadagnati nella settimana», diventando «pericolanti
per sé e pericolosi per gli altri» e finendo così in carcere, dove «apprendono più raffinate ma-
niere per far male».72 Nei Cenni storici don Bosco attribuisce la stessa «idea degli Oratori» allo
spettacolo offerto dai giovani reclusi nelle carceri della città. Ne ricava ragioni per una diagno-
si e motivi per una terapia essenzialmente preventiva, in senso decisamente costruttivo, promo-
zionale. Costoro gli erano apparsi «infelici piuttosto per mancanza di educazione che per mal-
vagità»; tant'è vero che «di mano in mano facevasi loro sentire la dignità
70 Giovanni Battista Lemoyne dedica un intero capitolo delle Memorie biografiche a deli-
neare l'immagine della capitale che don Bosco si sarebbe formata fin dai primi tempi del suo
arrivo al convitto ecclesiastico. Immediatamente egli avrebbe voluto «farsi un'idea della condi-
zione morale della gioventù della capitale col percorrerne i diversi quartieri nelle quotidiane
passeggiate» e «nei giorni festivi», spingendo lo sguardo in tutto il mondo della povertà e del
bisogno: soffitte, ospedali, carceri (MB II 57-67).
71 Sulla situazione, cf in Torino e Don Bosco, a cura di Giuseppe Bracco, vol. I Saggi. To-
rino 1989: U. LEVRA, Il bisogno, il castigo, la pietà. Torino 1814-1848, pp. 13-97; C. FELLONI e
R. AUDISIO, Igiovani discoli, pp. 99-119. Si veda anche U. LEVRA, L'altro volto di Torino risorgi-
mentale 1814-1848. Torino, Comitato di Torino dell'Istituto per la storia del risorgimento ita-
liano 1988.
72 G. Bosco, Cenno storico dell'Oratorio di S. Francesco di Sales, in Don Bosco educatore.
Scritti e testimonianze. Roma, LAS 1992, pp. 112-113.

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Pietro Braido
dell'uomo, che è ragionevole e deve procacciarsi il pane della vita con oneste fatiche
e non col ladroneccio», «appena (...) facevasi risuonare il principio morale e religio-
so alla loro mente, provavano in cuore un piacere, (...) che loro faceva desiderare di
essere più buoni»; ne concludeva che l'istruzione e l'educazione morale e religiosa
erano i «due mezzi educativi», che potevano «cooperare a conservare buoni» quanti
lo erano e a rifare tali «i discoli» usciti di prigione.73
Più breve, ma non certo ininfluente agli effetti della conoscenza dei problemi
della donna, giovane e adulta, «pericolante» e «pericolata», fu il biennio 1844-1846
di contatto diretto con le opere benefiche della marchesa Giulia Falletti di Barolo
(1785-1864). Già da vent'anni essa operava in borgo Dora, dopo la direzione del
carcere femminile delle Forzate (1821), con la Casa di ricovero per donne colpevoli
o «cadute» o Opera pia del Rifugio (posta sotto il patrocinio di «Maria SS., Refu-
gium peccatorum») (1823), affiancata dal Rifugino per ragazze di età inferiore ai 15
anni (1832)); il Ritiro o monastero delle pentite (o sorelle penitenti), detto delle
Maddalene (1833); il Ritiro delle fanciulle ravvedute di età tra i 7 e i 14 anni, detto
delle Maddalenine (1841); l'ospedale infantile femminile di S. Filomena (1845), per il
quale don Bosco fu assunto come direttore spirituale fin dall'autunno del 1844; l'or-
fanotrofio delle Giuliette (1846).74
Altra esperienza è relativa alla «Casa di educazione correzionale» per minori,
detta La Generala. È documentato che fin dagli inizi don Bosco ha aderito alla So-
cietà Reale pel patrocinio dei giovani liberati dalla Casa di educazione correzionale
come «socio operante», cioè tra quelli che contraevano «l'obbligo di ricevere, alla
loro uscita dalla casa di educazione correzionale, di collocare, invigilare e soccorrere
coi mezzi che loro somministra la Società, i giovani liberati ad essi affidati, e di ren-
der conto alla Società dei risultati delle loro cure in conformità della istruzione che
loro è comunicata assumendo l'uffizio» (art. 13 dello statuto).75
In contemporanea avviene il contatto diretto con giovani «pericolanti», immi-
grati a Torino o della periferia della capitale. Esso diventa sempre più intenso a
partire dal biennio 1844-1846. Don Bosco ne descrive le origini, il progresso e gli
sviluppi fino al 1862 nel Cenno storico e nei Cenni storici. Sono memorie dall'ecce-
zionale significato preventivo che del «sistema» mettono in luce le caratteristiche
valenze: l'assistenza, il collocamento al lavoro, l'alfabetizzazione, la cura pastorale, la
dimensione propriamente educativa. Egli vi provvedere con l'«oratorio». Esso è
attuato, anzitutto, come precisa istituzione con cappella o chiesa, locali per l'istru-
zione religiosa, la scuola festiva e serale, l'insegnamento del canto e della musica,
spazi per la ricreazione e altre attività di tempo libero. Ma l'«oratorio» è anche
qualsiasi «luogo» in cui «incontrare» i giovani, onde strapparli alla solitudine e allo
smarrimento, preservarli, «pre-munirli» rispetto a tutti i possibili pericoli di devianza,
umana, mo-
73 G. Bosco, Cenni storici intorno all'Oratorio di S. Francesco di Sales, in Don Bosco edu-
catore..., pp. 133-134: un chiaro esempio di «prevenzione primaria» e «terziaria».
74 Cf U. LEVRA, L'altro volto di Torino..., pp. 133-139.
75 Cf R. AUDISIO, La «Generala» di Torino. Esposte, discoli, minori corrigendi
(17851850). Santena, Fondazione Camillo Cavour 1987, pp. 210-211.

2.5 Page 15

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Il sistema preventivo dì don Bosco alle origini (1841-1862)
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rale, religiosa, portarli a vivere intense esperienze di vita insieme in clima di fede, di
impegno, di amicizia, di gioia.
Un embrionale abbozzo di programma assistenziale-educativo viene esposto da
don Bosco, con raffinata abilità politica e congruente drammatizzazione retorica, in
una lettera inviata a un uomo d'ancien régime, il marchese Michele di Cavour, Vicario
di Città: «Lo scopo di questo Catechismo si è di raccogliere nei giorni festivi quei
giovani che abbandonati a se stessi non intervengono ad alcuna Chiesa per l'istruzio-
ne, il che si fa prendendoli alle buone con parole, promesse, regali, e simili. L'inse-
gnamento si riduce precisamente a questo: 1o Amore al lavoro. 2° Frequenza dei
Santi Sacramenti. 3° Rispetto ad ogni superiorità. 4° Fuga dai cattivi compagni (...)
Il che è molto considerevole attesa la qualità dei giovani i quali comunemente sono
all'età da dieci a sedici anni senza principii di religione, e di educazione, la maggior
parte in preda ai vizii, e in procinto di dar motivo di pubbliche lagnanze, o di essere
posti nei luoghi di punizione».76 È l'essenziale, quale risulta anche da documenti suc-
cessivi, che si riferiscono agli anni 1846 e immediatamente successivi; in particolare
dai due opuscoli La forza della buona educazione11 e Severino ossia avventure di un
giovane alpigiano.78 Pietro, sui dieci anni, frequenta l'oratorio di san Francesco di
Sales, ancora al Rifugio, nell'intervallo del lavoro per la preparazione alla prima
comunione, «l'atto più importante della vita», e alla sera sia «per sentire la spiega-
zione di quelle cose che talvolta egli non aveva ben comprese al mezzodì» sia per
«imparare a leggere e a scrivere»; undicenne partecipa al «triduo» in preparazione
alla «comunione pasquale»; continua a frequentarlo negli anni successivi, usa il Gio-
vane provveduto e partecipa alle attività ricreative e religiose (compreso un corso di
esercizi spirituali a Giaveno nel settembre 1850), risponde dalla penisola di Crimea
alla lettera del suo direttore79 Più drammatica è la vicenda di Severino, con inizi
oratoriani molto vicini. Collocato a lavoro da un benefattore, il notaio Turivano
amico di don Bosco, Severino viene sospinto nel marzo del 1846 all'oratorio o «giar-
dino di ricreazione» in precaria sistemazione nel prato Filippi prossimo alla sede defi-
nitiva di Valdocco, raggiunta nel mese seguente.80 Ivi può passare i giorni festivi «in
piacevole ricreazione» e compiere i suoi doveri religiosi, attratto dall'amorevole
direttore, che è anche «caritatevole e bene esperto confessore»; egli lo ricorda come
un mondo moralmente e socialmente preventivo: «Mentre quei giovanetti si ricreava-
no in cose le-
76 Lett, del 13 marzo 1846, Em I 67.
77 G. Bosco, La forza della buona educazione..., cf J. SCHEPENS, «La forza della buona edu-
cazione». Étude d'un écrit de don Bosco, in L'impegno dell'educare, a cura di J. M. Prellezo.
Roma, LAS 1991, pp. 418-433.
78 Cf G. Bosco, Severino ossia avventure di un giovane alpigiano raccontate da lui medesi-
mo. Torino, tip. dell'Oratorio di s. Frane, di Sales 1868, cap. VII Parla de' suoi trattenimenti
nell'Oratorio, Vili Severino racconta parecchi ameni episodi, IX Severino parla de' suoi studi,
rispettivamente, pp. 35-42, 42-49, 50-55, OE XX 35-42, 42-49, 50-55.
79 G. Bosco, La forza della buona educazione, pp. 15-16, 18, 20-21, 23, 25, 53, 65-66,
9395, OE VI 289-290, 292,294-295, 297, 299, 327, 340-341, 367-369.1 propositi della prima
comunione portano la data del 12 aprile 1845 (p. 49, OE VI 323).
80 «Qui la località essendo più adattata si poterono più regolarmente introdurre gli eserci-
zi di pietà, la ricreazione, i trastulli, le scuole serali e domenicali» (G. Bosco, Severino..., p. 42).

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Pietro Braido
cite, tenevansi lontani dai pericoli che specialmente la gioventù operaia suole incon-
trare nei giorni festivi ed in pari tempo erano avviati all'adempimento dei doveri del
cristiano, sicura caparra della moralità pel corso della settimana».81
4. Dopo la «rivoluzione» nuove misure preventive
Dopo la «rivoluzione» e le «libertà» del 1848 crescono i pericoli. Si moltiplicano,
quindi, le esigenze di prevenzione: difendere, preservare, confermare; istruire, pre-
munire, rafforzare. Aumentano insieme le iniziative: una società di mutuo soccorso,
opuscoli, le «Letture Cattoliche», scritti apologetici, catechistici, narrativi, agiografi-
ci, normativi, addirittura un giornale (dal 21 ottobre 1848 ai primi di maggio 1849)
L'amico della gioventù}2 È il decennio più fecondo di don Bosco quanto all'azione
preventiva diretta in favore dei giovani e del popolo. La «prevenzione» si esprime
operativamente e concettualmente nelle sue più svariate dimensioni e potenzialità,
nella duplice direzione, protettivo - difensiva e positivo - costruttiva. Egli si propone
di offrire al cattolico praticante e in qualche modo «pericolante» o smarritosi nell'in-
differentismo e nella setta, giovane o adulto, due beni fondamentali: 1) la certezza di
trovarsi nella «vera religione», nella Chiesa cattolica, garanzia di salvezza temporale
ed eterna, una società che corrisponde ai disegni di Gesù Cristo e nella quale si
trovano i mezzi necessari a «salvarsi»: il governo di capi legittimi, l'ortodossia della
dottrina, la forza rigeneratrice dei sacramenti, l'intercessione e la protezione della ma-
dre di Dio Maria, degli angeli e dei santi, la comunità ecclesiale, depositaria della
santità e del soccorso straordinario dei miracoli; 2) l'impegno effettivo nella pratica
cristiana, garanzia di felicità terrena e celeste mediante l'ascolto della Parola di Dio,
l'uso dei Sacramenti, l'obbedienza alle guide stabilite da Cristo, l'esercizio meritorio
delle opere di carità.
4.1 I «nuovi pericoli»: indifferentismo, protestantesimo, anticlericalismo
Da un capo all'altro del decennio che giunge alle soglie degli anni '60 si molti-
plicano le denunce delle minacce incombenti, che richiedono risolute misure «pre-
ventive». «Un profluvio di libri e di giornali perversi ci fa temere un tristo avvenire: i
libri più antireligiosi ed osceni si vendono in pubblico e si offrono ad ogni passo
dagli schiamazzatori per le piazze».83 «I tempi in cui viviamo, o cari figli, i pericoli, che
oggidì occorrono in fatto di religione, mi fanno temere fortemente, che, comincian-
do voi a trattare col mondo, non vi lasciate trascinare a qualche eccesso, e forse an-
che all'errore con danno delle anime vostre. Questo pensiero tiene da qualche tempo
81 G. Bosco, Severino..., p. 49, OE XX 49.
82 Di esso resta soltanto il primo numero; il testo è riportato in OE XXXVIII 289-298. L'Amico... do-
po il n. 61 si fuse con l’ Istruttore del popolo.
83 Lett, al card. Antonelli, 30 novembre 1852, Em I 175-176.

2.7 Page 17

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Il sistema preventivo di don Bosco alle origini (1841-1862) 271
angustiato il mio cuore (...). Appunto per questo desidero di premunirvi intorno ad
alcuni pericoli del giorno col dilucidarvi i punti principali di nostra religione in alcu-
ni trattenimenti».84 Dando seguito a una previsione dell'anno precedente («avremo
due malattie terribili, di cui vedrete i terribili effetti») il Galantuomo pel 1861 spiega:
«queste due malattie sono l'indifferentismo nelle cose di religione e il progresso del
protestantesimo. Chi considera a qual punto sia giunto il disprezzo verso le cose di
religione, verso i sacri ministri, verso i vescovi, verso i cardinali, verso il Papa, con-
fesserà certamente che gli effetti di queste due malattie sono terribilissimi».85 «I fedeli
sono fervorosi; ma ogni giorno un gran numero dalla tiepidezza va ad un apatico
indifferentismo; che è la maggior piaga del cattolicismo ne' nostri paesi».86
Preoccupano le inosservanze dei precetti della Chiesa relativi al digiuno e all'a-
stinenza, al riposo festivo, all'obbligo della messa, alla comunione pasquale, come
ne La forza della buona educazione, trascurate anche dai compagni di lavoro di Pie-
tro; ma anche le bestemmie, i cattivi discorsi e il furto.87 Ancor più gravi e insidiosi
sono i discorsi contro i preti e il papa uditi da cattolici sviati nelle riunioni dei prote-
stanti o nella società degli operai.88 Diffuso e capzioso appare poi l'indifferentismo
religioso di quei cattolici per i quali «tutte le religioni sono buone».89
Ma particolarissima attenzione è prestata al protestantesimo e agli inconsci
fiancheggiatori con ripetuti avvertimenti e segnalazioni, rivolti in primo luogo con
franchezza ai pastori di anime. Il più alto destinatario è il papa stesso. In una lettera
del 27 dicembre 1861, cercando di delineare «il vero stato delle cose relativamente
alla religione» in Italia don Bosco segnala in primo luogo il «lavoro indefesso» dei
protestanti e «il gran male che fanno quelli che vorrebbero essere cattolici senza il
Papa. Essi coi giornali, coi libri ed anche colle parole, favoriti dalle leggi, fanno
maggior danno de' protestanti».90 Altre rispettose indicazioni sono date a mons.
Gioacchino Limberti, arcivescovo di Firenze: «Altra calamità fu ed è tuttora cre-
scente per la Toscana da parte de' protestanti. Il celebre pastore Edward Moore
membro del Consiglio della regina d'Inghilterra è destinato ad evangelizzare o me-
glio a protestantizzare l'Italia. Centro delle sue fatiche è la Toscana e Firenze che ne
è la capitale (...). I mezzi con cui tentano di far proseliti sono: Io Libri anticattolici
84 G. BOSCO, Il cattolico istruito nella sua religione. Trattenimenti di un padre di famiglia co'
suoi figliuoli secondo i bisogni del tempo. Epilogati dal sac. Bosco Giovanni. Torino, tip. dir. da
P. De-Agostini 1853, pp. 3-4, OE IV 197-198.
85 Il Galantuomo e le sue profezie. Almanacco piemontese-lombardo pel 1861. Anno Vili.
Torino, tip. dell'Oratorio di s. Frane, di Sales 1860, p. 4, OE XII 500.
86 Lett, a Pio IX, 10 marzo 1861, Em I 441.
87 G. Bosco, La forza della buona educazione..., pp. 51-52, 54-55, 56-59, OE VI 325-326,
328-329, 330-333. Quanto al riposo festivo si veda ancora G. Bosco, Raccolta di curiosi avveni-
menti contemporanei. Torino, tip. dir. da P. De-Agostini 1854, pp. 41-45, OE V 409-413 (Il
lavoro ne ' giorni festivi).
88 Fatti contemporanei esposti in forma di dialogo. Torino, tip. dir. da P. De-Agostini
1853, pp. 13 e 40, OE V 63 e 90.
89 G. Bosco, Raccolta di curiosi avvenimenti contemporanei esposti dal sac. Bosco Gioan-
ni. Torino, tip. dir. da P. De-Agostini 1854, pp. 12-15, OE V 380-383
90 Em I 472.

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272
Pietro Braido
(...). 2° Gran profusione di danaro (...). 3° Il terzo mezzo sono l'istruzione della gioventù» con
scuole elementari e asili infantili.91
5.2 Avvisare, correggere, ragionare, istruire
Dell'azione preventiva degli anni '50 è preludio il giornale L'Amico della gioventù. Prima
bisettimanale poi trisettimanale, voleva rispondere a «l'ardente brama d'istruirsi e ricrearsi
leggendo diffusa per tutte le classi sociali»: «questa necessità crebbe vieppiù dopo le libere
istituzioni del magnanimo nostro Re Carlo Alberto, a cui tenne dietro la libertà di stampa». Tra
i molti «giornali popolari che si stampano tra noi (...) niuno ve n'ha ancora, che si sappia, il cui
scopo principale sia di mantenere intatto ed accrescere per quanto si può il primo de' beni del
popolo; il sincero ed inviolabile attaccamento alla nostra Cattolica Religione congiunto alla
vera e soda cristiana educazione. Diciamo vera e soda cristiana educazione perché (dobbiamo
confessarlo) nelle presenti emergenze il popolo, e soprattutto la gioventù, va soggetto a molti
pregiudizi, e Puo esser trascinato a non lievi errori». Pertanto, «primo e principal fine si è di con-
fermare nella fede cattolica il popolo; mostrandogliene la irrefragabile verità, la bellezza tutta
celeste, ed i beni grandissimi che da essa come da inesauribile fonte procedono a favore de-
gl'individui e dell'intera Società; ed insieme d'istruirlo, educarlo nella virtù»; in sintesi, «niente
si risparmierà di tutto quello che può servire ad illuminare l'umano intelletto e migliorare il
cuore»; «solo si cercherà d'illuminare e premunire la gioventù contro a tutto ciò che potesse per
avventura oscurare le verità della fede, corrompere il buon costume o traviare il popolo per
tenebrosi e fallaci sentieri».92
Un altro vivace antidoto è offerto con l'opuscolo dal titolo La Chiesa cattolicaapostolica-
romana è la sola vera Chiesa di Gesù Cristo. Avvisi ai cattolici,93 riedito con ritocchi e aggiun-
te nel 1853 con il semplice titolo Avvisi ai cattolici.94
È insieme una messa in guardia contro gli errori degli «eretici», tra i quali sono compresi
«gli Ebrei, i Maomettani, i Valdesi, i Protestanti, cioè i Calvinisti, ed i Luterani e simili»95 e
una sintetica catechesi sulla Chiesa e sul papa, un nucleo che definisce l'ecclesiologia di don
Bosco. L'opuscolo intende segnalare e confutare l'errore.
91 Lett, del 18 giugno 1861, Em I 448-449; cf altra lettera del 25 marzo 1862, Em I 489,
sul trasporto della tipografia Claudiana da Torino a Firenze.
92 «L'amico della gioventù», n. 1, sabato 21 ottobre 1848, p. 1, OE XXXVIII 289-290. In
una circolare del gennaio 1849, destinata a sollecitare dai sottoscrittori un aiuto straordinario,
firmata «Per la Direzione D. Giovanni Bosco gerente», il pericolo è visto più grave e più urgente
«l'antidoto»: «La libertà di stampa, il mischiarsi che fanno alcuni giornali nelle cose di religio-
ne per disonorarla e vilipenderla persuadono la grande necessità de' periodici religiosi da con-
trapporsi agli insidiatori delle verità. Per questo scopo corre il terzo mese che l'Amico della Gio-
ventù con nostra piena soddisfazione vede la luce. Ma il bisogno che l'antidoto contro l'irreli-
giosità non solo alla gioventù, ma ad altre classi di persone venga esteso, ci ha risoluti di ridurlo
in modo che possa essere l'amico di ogni famiglia cattolica» (Em I 83).
93 Torino, tip. Speirani e Ferrerò 1850, 23 p., OE IV 121-143.
94 Torino, tip. dir. da P. De-Agostini 1853, 31 p., OE IV 165-193.
95 La Chiesa cattolica-apostolìca-romana..., p. 14, OE IV 134.

2.9 Page 19

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Il sistema preventivo di don Bosco alle origini (1841-1862) 273
illuminare l'intelletto e muovere la volontà alla fedeltà ai Pastori stabiliti da Cristo e
alla partecipazione alla vita di grazia e di salvezza dispensata dalla Chiesa. «Popoli
Cattolici, aprite gli occhi, si tendono a voi gravissime insidie (...). Costoro inganna-
no sé stessi e ingannano gli altri, non credeteli. Stringetevi piuttosto di un cuor solo
e di un'anima sola ai vostri pastori che sempre la verità v'insegnarono (...). I nostri
pastori, e specialmente i vescovi, ci uniscono col Papa, il Papa ci unisce con Dio. Per
ora leggete attentamente i seguenti avvisi i quali, ben impressi nel vostro cuore,
basteranno a preservarvi dall'errore».96 Al termine, mentre mette in guardia «dai
Protestanti, e da quei cattivi Cattolici, che disprezzano i precetti della Chiesa, che
sparlano del Vicario di G. Cristo, e degli altri suoi Ministri per trascinarci all'erro-
re», l'autore richiama ad atteggiamenti positivi: ringraziare per il dono della fede,
pregare per la sua conservazione, guardarsi dai protestanti e dai cattivi cattolici, stare
fermi nella fede e nell'osservanza dei suoi precetti.97 L'edizione del 1853 conclude
dando Tre particolari ricordi alla gioventù. In tutti è suggerita la tattica «preventiva»
della «fuga»: «fuggire (...) la compagnia di coloro che parlano di cose immodeste, o
cercano di deridere la nostra Santa Religione», «non entrate mai in discussione in
fatto di Religione», «non leggete mai e poi mai libri o giornali cattivi». Ma è anche
raccomandata la professione franca e ardimentosa della propria fede; in tempi di
libertà è doveroso rivendicare il proprio diritto ad una perseverante autonoma pra-
tica religiosa.98
Un popolare trattato apologetico sul de vera religione e de ecclesia in chiave «di-
fensiva» e «preventiva» possono considerarsi i 57 «trattenimenti» catechistici conte-
nuti ne Il cattolico istruito nella sua religione 99 Don Bosco l'aveva preannunciato nel
1850: «Quello poi che qui viene ora brevemente esposto vi sarà [fra poco l'avrete,
ediz. 1853] in apposito libro più diffusamente spiegato».100 L'apologia e la «prevenzio-
ne», però, concludono la prima parte dei trattenimenti con un positivo atto di fede
in Dio e di riconoscenza a Cristo Salvatore: «Egli per noi sparse il suo sangue, per
noi morì in croce, egli faccia che noi possiamo conservarci suoi fedeli seguaci colf
osservanza dei divini precetti, e così pervenire un giorno al possedimento di quella
immensa felicità che egli ci tiene preparata in Cielo».101 Duramente polemico contro i
protestanti e, insieme, appassionato per la Chiesa e il suo Capo don Bosco si rivela
nei trattenimenti della seconda parte dedicata al tema Della Chiesa di Gesù
96 La Chiesa cattolica-apostolica-romana..., Al cattolico lettore, pp. 3-6, OE IV 123-126.
97 La Chiesa cattolica-apostolica-romana..., pp. 21-22, OE IV 141-142.
98 Avvisi ai cattolici..., pp. 25-27, OE IV 187-189. La strategia della «fuga» prevede una
minuta casistica nell'opuscolo Una preziosa parola ai figli edalle figlie (Torino, tip. dell'Orato-
rio di S. Frane, di Sales 1862, pp. 10-11, OE XIII 446-447).
99 G. Bosco, Il cattolico istruito..., 111 e 340 p., OE IV 195-646. Alcuni anni dopo, allo
scolopio fiorentino, p. Paolo Sforzini, «pei bisogni di questi paesi, che dovranno prepararsi a
sostenere la lotta che noi da dodici anni sosteniamo contro al protestantesimo», don Bosco
proponeva le «Letture cattoliche», Il Cattolico istruito nella sua religione, la Storia d'Italia (lett.
del 26 febbr. 1860, Em I 396).
100 La Chiesa cattolica-apostolica-romana..., pp. 5-6, OE IV 125-126.
101 G. Bosco, Il cattolico istruito..., [prima serie], p. 73, OE IV 267.

2.10 Page 20

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Pietro Braido
Cristo. Checché si possa pensare della qualità della sua polemica antiprotestante e
della sua ecclesiologia, sicuramente datate, non si può negare la volontà di creare nei
lettori un grande attaccamento alla Chiesa fondata da Cristo e l'ansia di salvezza
che lo muove verso i fratelli separati. Lo scopo è suscitare ammirazione per lo splen-
dore della verità cristiana e fedeltà alla Chiesa cattolica, prototipo di ogni comunità
domestica e educativa credente: «noi e tutti i cattolici sparsi ne' più rimoti luoghi
della terra crediamo le medesime verità insegnate nel Vangelo, riceviamo i medesimi
Sacramenti, pratichiamo la stessa morale: onde tutto il cristianesimo vive di un cuor
solo, di un'anima sola, ed è veramente una sola famiglia composta nella più bella ar-
monia, sotto il governo di un solo padre»:102 essa «si suole paragonare ad una famiglia
ben ordinata, in cui tutti i figli obbediscono agli ordini del loro padre», il Papa, «a
cui tutti obbediscono come a padre amoroso».103 Da «quelli che ricusano di sottomet-
tersi ai giudizi della Chiesa» bisogna stare «lontani, né contrarre con loro alcuna
famigliarità», «perché colui, il quale frequenta compagni perversi, senza che se n'ac-
corga, diventerà egli pure perverso».104 Dopo tanto disputare, però, l'ultimo tratteni-
mento termina con alcune «gravi domande» ai protestanti sul grado di sicurezza da
loro provata nelle proprie posizioni e soprattutto con un angosciato appello: «Qual
cosa potrete voi rispondere al Giudice Supremo, quando vi domanderà conto delle
anime che faceste camminare lontano dalle vie di certezza del Cattolicismo, per av-
viarle, secondo voi, per la via dell'incertezza di salvarsi; e secondo tutti i cattolici per
una strada che inevitabilmente vi conduce all'eterna perdizione? Queste sono parole di
un vostro fratello che vi ama, e vi ama assai più che voi noi credete. Parole di un
fratello che offre tutto se stesso e quanto può avere in questo mondo a bene delle
anime vostre».105
Analogo appello, indirizzato a tutti, pastori e seguaci, valdesi, protestanti e ade-
renti a qualsiasi «riforma», conclude l'opuscolo Conversione di una valdese. Fatto
contemporaneo:106 «Coraggio adunque (...), rinnovate nel mondo cristiano il maravi-
glioso spettacolo de' primitivi tempi del cristianesimo, e faremo un cuor solo ed
un'anima sola; ed io a nome di Dio posso assicurarvi che tutti i cattolici vi tenderan-
no amorose le braccia per accogliervi con gioia, e canteremo a Dio inni di gloria».107
L'opuscolo va oltre l'apologetica, prefigurando un'autentica pedagogia religiosa
102 G. Bosco, Il cattolico istruito..., [seconda serie], p. 7, OE IV 313.
103 G. Bosco, Il cattolico istruito..., [prima serie], pp. 96-98, OE IV 290-292; ancora, pp.
99 e 104, OE IV 293 e 298.
104 G. Bosco, Il cattolico istruito..., [seconda serie], pp. 24-25, OE IV 330-331.
105 G. Bosco, Il cattolico istruito..., [seconda serie], pp. 331-332, OE IV 637-638. Conte-
nuti simili, esposti in forma dialogica, si trovano negli opuscoli Fatti contemporanei esposti in
forma di dialogo (Torino, tip. dir. da De-Agostini 1853, 48 p., OE V 51-98), Vita infelice di un
novello apostata (Torino, tip. dir. da P. De-Agostini 1853, 48 p., OE V 181-227), Dramma. Una
disputa tra un avvocato ed un ministro protestante (Torino, tip. dir. da P. De-Agostini 1853, 68
p., OE V 101-168), Raccolta di curiosi avvenimenti contemporanei (Torino, tip. dir. da P. DeAgo-
stini 1854, 108 p., OE V 369-475).
106 G. Bosco, Conversione di una valdese. Fatto contemporaneo. Torino, tip. dir. da P. DeA-
gostini 1854. VIII-108 p., OE V 249-366.
107 G. Bosco, Conversione di una valdese, p. 107, OE V 365.

3 Pages 21-30

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3.1 Page 21

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Il sistema preventivo di don Bosco alle origini (1841-1862)
275
preventiva. Anzitutto, domina la gioia derivante dall'essere in pace con Dio tramite
la confessione e la comunione, che la protagonista Giuseppa percepisce nell'amicizia
con alcune ragazze cattoliche: «Noi siamo tanto allegre in tal giorno [la domenica],
perché abbiamo ricevuto il Corpo di Nostro Signore Gesù Cristo. Prima noi an-
diamo a confessarci, poi, colla coscienza pulita, andiamo a comunicarci, dopo
siamo così contente, che ci pare di essere in Paradiso. Col cuore allegro, pieno di
buona volontà di farci sante, pare che in questo mondo rimanga più nulla a deside-
rarsi da noi».108 È uno stile di vita che il curato, il quale ispira la sua azione pastorale a
buon senso e benevolenza, pienamente approva: «Ogni cosa ha suo tempo; tempo di
pregare, tempo di saltellare. Badate solamente, che la vostra allegria sia onesta, e che
niuno introduca tra di voi cattivi discorsi, perché (...) sono la rovina de' buoni costu-
mi»;109 e più avanti precisa: «solamente i Cattolici possono avere la vera tranquillità
del cuore; perché nella sola Cattolica Religione (...) ci sono gli aiuti necessarii per
non cadere in peccati, e i rimedi opportuni per cancellarli, qualora per disgrazia ci
avvenga di commetterne».110 Le conseguenti riflessioni consentono a don Bosco di
fissare una positiva notazione sulla radicale disponibilità religiosa dell'età giovane:
«la gioventù, finché non è schiava dei vizi, si ferma solo di passaggio sopra le altre
cose; ma le massime di religione, e soprattutto le massime eterne, producono la più
viva impressione».111 Diventata cattolica, Giuseppa segue su uno stile di vita cristiana
perfettamente conforme alle idee di don Bosco: la buona condotta, l'amore al lavoro,
la singolare attitudine al commercio, la possibilità di provvedere alla propria sussi-
stenza e di fare elemosina; ed ancora, l'esatta occupazione del tempo, la puntuale
pratica religiosa, lo zelo e la carità.112
Nettamente antiprotestanti in funzione preventiva sono anche i Fatti contempo-
ranei esposti informa di dialogo, che, secondo l'autore, «potranno servire di norma
nell'operare e di preservativo nelle critiche circostanze in cui l'incauta gioventù in
questi procellosi tempi si trova».113 Ad analoga funzione risponde la pubblicazione
nelle «Letture Cattoliche» dell'opuscolo Vita infelice di un novello apostata, che
quanto ai contenuti è largamente tributario del Cattolico istruito: «Quest'operetta
ha per oggetto il disingannare quei Cristiani Cattolici, che in questi sgraziati tempi si
lasciano strascinare al protestantesimo; e siccome la maggior parte di essi saranno
forse pur troppo giovani sconsigliati, ed inesperti, così di questi particolarmente si fa
qui il ritratto con un ragionamento al tutto semplice e famigliare (...). Voglia Dio far
discendere la sua benedizione su queste poche linee, onde qualche frutto producano
in quelli fra i giovani, che avranno la pazienza di leggerle, e leggerle con intenzione
di conoscere l'errore, in cui caddero; affinché se ne allontanino, e stiano fermi nella
fede della loro Madre Santa Chiesa, fuori di cui non v'è salvezza, e la quale colle
108 G. Bosco, Conversione di ima valdese, p. 7, OE V 265.
109 G. Bosco, Conversione di una valdese, p. 15, OE V 273.
110 G. Bosco, Conversione di una valdese, pp. 16-17, OE V 274-275.
111 G. Bosco, Conversione di una valdese, p. 27, OE V 285.
112 G. Bosco, Conversione di una valdese, pp. 99-100, OE V 357-358.
113 Fatti contemporanei..., p. 3, OE V 53.

3.2 Page 22

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276
Pietro Braido
braccia aperte ansiosamente li attende».114
All'arcivescovo di Firenze, dopo aver denunciato i pericoli del proselitismo protestante,
don Bosco indica concreti provvedimenti preventivi, nei quali egli stesso è totalmente impe-
gnato: «Promuova la diffusione di buoni libri fra il popolo specialmente libri che svelino le
assurdità dei protestanti. Ma ciò che deve formare l'oggetto principale delle pastorali di Lei
sollecitudini è l'istruzione de' ragazzi specialmente con catechismi fatti in piccole classi».115
4.3 Formare commuovendo il cuore e muovendo la volontà
Nel breve periodo degli anni 1853-1858 la prevenzione si sviluppa anche in forme forte-
mente positive e costruttive. È offerta una proposta di spiritualità cristiana su misura del quoti-
diano («la loro fedeltà nel servizio di Dio, e nell'adempimento dei doveri del loro stato») nella
Vita di santa Zita serva e dì sant'Isidoro contadino;116 un'articolata istruzione catechistica nella
Maniera facile per imparare la storia sacra ad uso del popolo cristiano;117 un profilo di edu-
cazione familiare e marginalmente oratoriana nel racconto, già menzionato, La forza della
buona educazione;™ una continuata educazione morale, in certo senso socio-politica, nella
Storia d'Italia;119 una guida a un' illuminata pratica religiosa cristiana e a una vita ad essa coe-
rente negli opuscoli La chiave del paradiso in mano al cattolico che pratica i doveri di buon
cristiano,120 II mese di maggio consacrato a Maria SS. Immacolata ad uso del popolo121 e
Porta teco cristiano ovvero avvisi importanti intorno ai doveri del cristiano acciocché ciascu-
no possa conseguire la propria salvezza nello stato in cui si trova.122
Ad illustrare la dottrina cattolica intorno alla confessione e affezionare ad essa i cattolici
mirano le Conversazioni tra un avvocato ed un curato di campagna sul sacramento della con-
fessione.123 Alla difesa, appassionata anche se debole e discutibile dal punto di vista storico,
sono dedicate le prime nove. Le tre successive toccano temi particolarmente cari a don Bosco
prete e educatore: «la confessione è un gran con-
114 Vita infelice..., pp. 3-4, OE V 183-184.
115 Lett, a mons. G. Umberti, 18 giugno 1861, Em I 449.
116 Torino, tip. dir. da P. De-Agostini 1853: di essa potrebbe essere di don Bosco l'Intro-
duzione, pp. 3-8, OE V 173-178 (p. 8, OE V 178); la Vita è inserita personalmente da lui nelle
«Letture Cattoliche» e condivisa.
117 Torino, tip. Paravia e comp. 1855, 95 p., OE 49-143.
118 Torino, tip. Paravia e comp. 1855, 112 p., OE VI 275-386.
119 Torino, tip. Paravia e comp. 1855, 559 p., OE VII 1-559.
120 Torino, tip. Paravia e comp. 1856, 192 p., OE VII 1-192.
121 Torino, tip. G. B. Paravia e comp. 1858, 192 p., OE X 295-486.
122 Torino, tip. G. B. Paravia e comp. 1858, 72 p., OE XI 1-71.
123 Torino, tip. Paravia e comp. 1855, VI-128, OE VI 145-272. Ma l'autore è anche «af-
flitto pei mali che si vanno ogni giorno moltiplicando contro alla religione Cattolica»; perciò
raccomanda «ai Cattolici coraggio e fermezza»; la «religione di Gesù Cristo trovasi solamente
nella Chiesa cattolica; niuno è cattolico senza il Papa; guai a chi separasi da questo capo supre-
mo! egli è fuori di quella religione, che unica può condurre a salvamento: chi non ha la Chiesa
per madre non può avere Iddio per padre» (Conversazioni..., pp. V-VI, OE VI 149-150).

3.3 Page 23

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Il sistema preventivo di don Bosco alle origini (1841-1862)
277
forto al cristiano ed un mezzo efficace per fuggire il male e praticare il bene»;124
«paterne accoglienze del confessore»;125 «gran segreto della confessione»; «la
confessione in punto di morte».126
Una svariata catechesi «narrativa» sul papa e la chiesa cattolica, rivolta a di-
fendere e a persuadere, si sviluppa nella lunga serie delle vite dei papi (1856-
1864) dei primi tre secoli. Lo scopo è esplicitamente dichiarato nella prima dedi-
cata a san Pietro: «calmare l'odio e l'avversione che in questi tristi tempi taluno
manifesta contro ai Papi e contro alla loro autorità»; l'autore intende rivolgersi
alla naturale ragionevolezza dell'uomo in grado di comprendere il bene spirituale
e temporale da essi prodotto e la santità della loro vita.127 L'autore scrive per il
popolo e fin dal primo opuscolo si propone di suscitare amore e devozione verso
il papa, quale i figli nutrono per il padre.128 La catechesi, estremamente elementa-
re, rispecchia la scarna ecclesiologia di don Bosco in ordine alla salvezza: «tutti
quelli che si trovano fuori di questa strada e non appartengono all'unione di Pietro
non hanno speranza alcuna di salvezza».129 Non poche «vite» iniziano con espli-
cite riflessioni rivolte a illustrare l'origine divina della Chiesa e il suo fondamento
incrollabile che è il papa, Vicario di Gesù Cristo e successore di s. Pietro, «il
padre spirituale di tutti i fedeli cristiani», del quale i vescovi sono i «coadiutori
ossia consiglieri»:130 «questi pastori dipendono tutti dal Papa. Di maniera che
possiamo dire che i semplici fedeli sono uniti al proprio parroco; i parroci ai ve-
scovi, i vescovi al Papa; il Papa ci unisce con Dio».131 Lo
124 G. Bosco, Conversazioni tra un avvocato ed un curato..., pp. 75-86, OE VI 219-230.
«Coloro i quali sono più assidui al Sacramento della confessione, sono appunto quelli che
hanno vie più il cuore contento» (Ibid., p. 76, OE VI 220).
125 G. Bosco, Conversazioni tra un avvocato ed un curato..., pp. 86-96, OE 230-240. «Il con-
fessore (...) vi accoglierà colla bontà di padre che vede il suo figlio ravveduto; vi accoglierà come
giudice che conosce le vostre colpe, ma è autorizzato dal Re a condonarvi la pena meritata; vi
accoglierà come un medico che si dà cura per un ammalato, e per cui tiene pronti rimedii efficaci
onde guarirlo» {Conversazioni..., p. 87, OE VI 231).
126 G. Bosco, Conversazioni tra un avvocato ed un curato..., pp. 96-107, OE VI 240-251.
127 G. Bosco, Vita di san Pietro principe degli apostoli Primo Papa dopo Gesù Cristo. Tori-
no, tip. di G. B. Paravia e comp. 1856, pp. 3-4, OE VIII 295-296.
128 G. Bosco, Vita di san Pietro..., pp. 6-9, OE Vili 298-301.
129 G. Bosco, Vita di san Pietro..., p. 165, OE Vili 457.
130 G. Bosco, Vita de' sommi pontefici S. Lino, S. Cleto, S. Clemente. Torino, tip. di G. B.
Paravia e comp. 1857, pp. 3-13, 21-22, OE IX 339-348, 357-358. La storia è condotta in modo
da far emergere la centralità dei papi «in ogni momento» della vita della Chiesa fin dagli inizi,
nel sciogliere problemi, nel comporre discordie, nel proclamare la verità, «vicarii di Gesù
Cristo sempre fermi nel sostenere la fede; zelanti nel propagare il Vangelo; coraggiosi nel dar
la vita per la fede» {Vita de' Sommi Pontefici S. Sisto, S. Telesforo, S. Igino, S. Pio I, con appen-
dice sopra S. Giustino apologista della religione. Torino, tip. di G. B. Paravia 1857, pp. 3-4, OE X
3-4).
131 G. Bosco, Vita de' sommi pontefici S. Lino..., p. 20, OE IX 356. Quanto al rapporto tra
papa e vescovi è tipico quanto don Bosco scrive: «sempre d'accordo e sempre dipendenti dal
successore di s. Pietro governarono le varie Diocesi della cristianità. I vescovi accolgono le sup-
pliche, sentono i bisogni de' popoli e li fanno pervenire fino alla persona del Supremo Gerarca
della Chiesa. Il Papa poi, secondo il bisogno, comunica i suoi ordini ai vescovi di tutto il mon-
do, che poi li partecipano ai semplici fedeli cristiani» (Il mese di maggio, p. 44, OE X 338).

3.4 Page 24

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278
Pietro Braido
scopo non è solo informativo, ma vuol essere tradotto educativamente in amorosa fedeltà: «A-
miamo questa nostra santa religione; rispettiamo il suo capo che è il Sommo pontefice, vene-
riamo i suoi ministri, pratichiamo e veneriamo quelle cose che la santa Madre Chiesa ci co-
manda; perché quel Signore G. C. che ha detto nel Vangelo: chi ascolta voi (i suoi ministri)
ascolta me; disse altresì: gui vos spernit me spernit, chi disprezza voi, disprezza me. Luc. 10.v.
16».132 Nei drammatici anni 1859-1861 per lo stato pontificio Il Galantuomo commenta: «È un
grande avvenimento che in mezzo a tanti progetti, tanti desiderii, il papa abbia potuto rimanere
tranquillo in Roma, e conservare libere le sue relazioni con tutti i paesi della cristianità. Al
papa stanno uniti i veri cattolici guidati dai loro vescovi che con un cuor solo e con un'anima
sola professano, insegnano, difendono le dottrine del Vicario di Gesù Cristo».133
4.4 I mezzi della grazia
La miglior sintesi dottrinale e vitale cristiana offerta da don Bosco in questo periodo è in-
dubbiamente Il mese di maggio, di carattere catechetico, dogmatico, soteriologico, sacramenta-
le.134 Vi sono riepilogate le verità fondamentali del «Credo» con particolare insistenza sulla
Chiesa e i suoi Pastori, sono richiamati con enfasi i temi della salvezza, del peccato e dei no-
vissimi (complessivamente vi sono dedicate dieci meditazioni), sono illustrati con dovizia i
sacramenti della confessione e della comunione, è messa in ampio rilievo, naturalmente, la
devozione mariana con le prime accentuazioni della invocazione di Maria Auxilium christiano-
rum, come si noterà più avanti. Si parla della Chiesa «madre amorosa», «una madre pietosa che
con sollecitudine la più amorosa va in cerca de' suoi figli», «una famiglia», «tenera madre».135
Qui basti richiamare il principio caro a don Bosco: «E poiché avvi un solo Dio, una sola fede,
un solo battesimo, avvi anche una sola vera Chiesa, fuori di cui niuno può salvarsi»,136 e un
solo capo, il papa, «Padre universale di tutti i cristiani», «onde noi possiamo dire che i nostri
parroci ci uniscono coi vescovi, i vescovi col Papa, il Papa ci unisce con Dio»;137 donde il
rinnovato invito alla docilità in tutte le cose di religione.138
132 G. Bosco, Vita de' sommi pontefici S. Anacleto..., p. 80, OE IX 524. Accennando alla ri-
bellione di Tertulliano, don Bosco ammonisce: «Tremiamo a questa caduta di Tertulliano, e
persuadiamoci che non è la dottrina che faccia i Santi, ma è l'umiltà, è la sommessione ai nostri
legittimi superiori, e specialmente al Vicario di G. C. Tertulliano, perché privo di queste due
virtù, divenne eretico e morì senza dar segno di ravvedimento» (Vita de' sommi pontefici S.
Aniceto, S. Sotero, S. Eleutero, S. Vittore e S. Zeffirino. Torino, tip. G. B. Paravia e comp.
1858, p. 46, OEX250).
133 Il Galantuomo e le sue profezie. Almanacco piemontese-lombardo pel 1862, anno IX. Tori-
no, tip. G. B. Paravia 1861, p. 71, OE XIII 327.
134 Cf. P. STELLA, I tempi e gli scritti che prepararono il «Mese di maggio» di Don Bosco, in
«Salesianum» 20 (1958) 648-694.
135 G. Bosco, Il mese di maggio..., pp. 33, 34, 38, 42 OE X 327, 328, 332, 336.
136 G. Bosco, Il mese di maggio..., p. 35, OE X 329.
137 G. Bosco, Il mese di maggio..., pp. 40, 45 OE X 334, 339.
138 G. Bosco, Il mese di maggio..., p. 46, OE X 340.

3.5 Page 25

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Il sistema preventivo di don Bosco alle origini (1841-1862) 279
Una breve sintesi di ecclesiologia, ma soprattutto svariati avvisi «preventivi»,
«adattati alle varie condizioni degli uomini», sono offerti nell'opuscolo Porta teco
cristiano. Del preventivo appare il lessico tipico: «invigili adunque il padre, subito
che li figliuoli comincino formar parola», «avverta di non lasciarli praticare con altri
fanciulli di loro età viziosi e dissoluti», «non perdoni a fatica per piegare a buon'o-
ra i figliuoli a prendere buone usanze», «co' figliuoli non sia duro, né severo, ma
affabile, ed amorevole».139 Quanto ai doveri dei capi di famiglia verso i figliuoli insiste:
«quando commettono fallo, correggeteli e puniteli con dolcezza, carità e discrezione
nello spirito del Signore».140
Molto forte è il legame che don Bosco stabilisce tra la vittoria contro i peccati
di «disonestà», di cui descrive a colori foschi i mali fisici e spirituali, la prevenzione
dalle occasioni e i sacramenti.141 «Suggerisco alcuni mezzi per tener lontano da questo
vizio coloro che sono innocenti, e preservare coloro che ebbero la disgrazia di esserne
infetti. La frequente confessione e la frequente comunione sono i due rimedii più
efficaci. Fuga dei discorsi osceni, e delle letture cattive, delle persone abbandonate al
giuoco, all'ubbriachezza e a simili disordini. Frequenza della parola di Dio e lettura
di buoni libri, dire mattina e sera tre A ve a Maria Immacolata e baciare la medaglia
di Lei»;142 imitare «la Regina de' Vergini (...) trattando con persone che siano amanti
di questa virtù, e specialmente col fuggire persone di diverso sesso. La imiti nella
modestia degli occhi, nella sobrietà del mangiare e del bere, nella fuga de' teatri, dei
balli e di altri pericolosi spettacoli».143
Un posto di privilegio nella Chiesa, quindi nel «sistema preventivo» di don Bo-
sco, occupa la Vergine Madre Maria. Il cristiano conscio della sua dignità sa che
Gesù gli ha dato «Iddio per padre, la Chiesa per madre, la Divina parola per guida»
insieme al dono della «Madre del Salvatore, Maria Santissima», «il più bello orna-
mento del cristianesimo». Ad essa il fedele si rivolge con l'invocazione Auxilium chri-
stianorum, ora pro nobis.144 È il soccorso anche nelle fragilità individuali: «Che se la
139 G. Bosco, Porta teco cristiano..., p. 9, 10, 11, 12, OE XI 9, 10, 11, 12.
140 G. Bosco, Porta teco cristiano..., p. 25, OE XI 25.
141 Il mese di maggio..., giorno vigesimoquinto Il peccato dì disonestà, pp. 144-150, OE X
438-444.
142 Il mese di maggio..., pp. 147-148, OE X 441-442.
143 Il mese di maggio... (giorno vigesimosesto La virtù della purità, pp. 150-154, OE X
444448), p. 153, OE 447.
144 Il mese di maggio... (giorno nono Dignità del Cristiano, pp. 60-65), p. 64, OE X 358.
Nell'Esempio si precisa: «Nelle litanie leggiamo la parola: Maria aiuto dei cristiani; Auxilium
christianorum»; «Il glorioso Pio VII (...) institui l'anno 1815 in suo onore quella festa che si
chiama Maria aiuto dei cristiani» (Ibid., pp. 64-65, OE X 358-359). Nel giorno trigesimo si
ricorda che Maria «né solamente è l'aiuto de' cristiani, ma eziandio il sostegno della chiesa uni-
versale» (Il mese di maggio..., p. 171, OE X 465); nel giorno seguente suggerisce al fedele che
«Maria aiuta tutti i suoi divoti in punto di morte (...). Tale pure è il pensiero della Chiesa, che
chiama Maria auxilium christianorum; aiuto dei cristiani» (Il mese di maggio..., p. 177, OE X
471). I due testi sono riprodotti letteralmente in Angelina o la buona fanciulla instruita nella
vera divozione a Maria Santissima. Torino, tip. G. B. Paravia e comp. 1860, p. 88 e 91, OE XIII 36
e 39.

3.6 Page 26

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280
Pietro Braido
nostra debolezza ci espone a frequenti pericoli di rimaner vinti, noi dobbiamo segui-
re l'esempio de' nostri maggiori e ricorrere a Colei che è l'aiuto dei cristiani».145
5. Il prete cattolico «preventivo»: carità e «socialità»
Non si può dire che la figura dell'educatore, in particolare sacerdote, appaia nei
documenti del 1877-1878 tanto ricca in «umanità», sensibilità, vicinanza all'uomo,
alle sue debolezze, ai suoi bisogni e alle sue potenzialità, quanto emerge, invece, dalle
esperienze e dalla riflessione del ventennio 1841-1862. La «religione» è fede ardente
e non semplice sicurezza «morale»; e l'amorevolezza, «mezzo pedagogico», è pienez-
za di carità, sete di «salvezza» umana e cristiana, bontà, simpatia, affettività. A metà
Ottocento don Bosco sogna «ministri della chiesa» coinvolti nella nuova «condizione
giovanile» e popolare, attenti ai pericoli che incombono e ai bisogni che insorgono.
Il primo modello storico proposto ai «fedeli» e agli «ecclesiastici» è san Vincen-
zo de' Paoli, un grande imitatore di san Francesco di Sales e, in definitiva, aggiunge
don Bosco, di Gesù Cristo.146 Domina il tema della carità (amor di Dio e, in lui, del
prossimo) operosa («amore di affetto e amore di effetto»)147 rivestita di umiltà, benigni-
tà, affabilità, mansuetudine, famigliarità, dolcezza, tenerezza verso tutte le categorie
di persone: carcerati e galeotti, contadini, mendicanti («padre dei poveri»), avendo
sempre di mira il bene temporale ed eterno del prossimo e la maggior gloria di Dio,
seguendo una massima, che resterà familiare a don Bosco: «fare del bene a tutti e
non fare male ad alcuno»;148 in sintesi, un umanissimo contemplativo nell'azione.149
La «prevenzione» si estende anche a quella strategia della fuga reciproca tra i due
sessi e alla preferenza per il vocabolo purità in luogo di castità che don Bosco pie-
namente condivide.150
Due modelli di prete dalla carità operante troviamo ancora nell'opuscolo emi-
145 G. Bosco, Vita del sommo pontefice S. Callisto I. Torino, tip. G. B. Paravia e comp.
1858, p. 62, OE XI 134.
146 Il cristiano guidato alla virtù e alla civiltà secondo lo spirito di san Vincenzo de' Paoli.
Opera che può servire a consacrare il mese di luglio in onore del medesimo Santo. Torino, tip. Para-
via e comp. 1848, pp. 3-4 e 85-86, OE III 217-218 e 299-300. È in corso una ricerca da parte di
D. Malfait, nelle quali vengono individuati gli elementi di spiritualità e di pedagogia che don
Bosco introduce nella compilazione originaria del benedettino A. J. Ansart (1723-1790 ca.)
147 Il cristiano guidato..., p. 40, OE III 254.
148 Il cristiano guidato..., pp. 9, 10, 11, 34, 37-40, 49-51, 85-86, 153, 254, OE III 223, 224,
225, 248, 251-252, 299-300, 367, 468.
149 Il cristiano guidato..., p. 156, OE III 370: «Nel trambusto delle occupazioni ed in mezzo
alle importunità di una folla di persone di ogni condizione che l'assediavano, si scorgeva sem-
pre l'uomo di pace e di consolazione. Finalmente conciliava sì bene l'offìzio di Marta con quel-
lo di Maria, che allorquando sembrava maggiormene occupato, si riconosceva ancor meglio
che lavorava per Dio e sotto gli occhi di Dio».
150 Il cristiano guidato..., pp. 183-186, OE III 397-400.

3.7 Page 27

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Il sistema preventivo di don Bosco alle origini (1841-1862) 281
nentemente «preventivo»151 compilato o ritoccato, comunque, destinato da don Bosco
alla pubblicazione nel 1853, Fatti contemporanei esposti informa di dialogo. Nel
terzo dialogo tra Felice riconvertito e l'amico si pone in antitesi la caoticità delle
spiegazioni protestanti, la frigidità del loro tempio e la serena chiarezza del discorso
del prete: «Qui tutto cangiò aspetto: il modo facile, affabile, tranquillo e chiaro con
cui venivano sciolti tutti i miei dubbi, fece tosto conoscere esservi qualche cosa nel
Cattolicismo, che non trovavasi nel Protestantismo».152 Nel dialogo successivo, Un
ministro protestante ed un infermo, viene contrapposta la sete di perdono inevasa dal
ministro protestante e la nostalgia della confessione e del prete da parte di un infer-
mo: «Voglio pregare mia madre affinché vada a pregare l'antico mio confessore; egli
mi ha sempre voluto bene, e mi dava ottimi consigli: egli è una persona prudente, e
saprà aggiustare le partite dell'anima mia».153 In maggior rilievo è delineata la figura
del prete nell'episodio in due tempi del sesto e settimo dialogo, La madre cruciata e
La buona accoglienza. Luigi, ragazzo esemplare, sui 18 anni, a causa di «cattive com-
pagnie» e della lettura di «libri o giornali cattivi» diventa «insolente, disubbidiente»,
si iscrive all'anticlericale «società degli operai», spreca il danaro nel gioco, ruba. Di-
nanzi alla madre afflitta il curato riconferma la sua fiducia nel ragazzo: «In così
poco tempo io credo che vostro figlio non sia divenuto tanto malvagio, che le ragio-
ni non gli possano più giovare. Mandatemelo: parlandogli, spero di poterlo ridurre a
buoni sentimenti».154 L'incontro tra i due, facilitato da uno stratagemma, si risolve in
un colloquio confidenziale, nel quale il giovane si apre con tutta schiettezza a chi per
10 anni fu «padrone del (suo) cuore e dell'anima (sua)». L'accoglienza amorevole
del sacerdote ha «guadagnato» di nuovo il cuore di Luigi, che si riaffida a lui per il
futuro, concludendo con riflessioni significative: «Egli mi ha sempre voluto bene»;
«egli stesso sa che più volte aveva anche parlato male di lui; pure egli mi accoglie
come se nulla fosse stato, e pare che mi ami ancor più; questi sono i veri amici. Si
conosce proprio, che egli desidera il bene dell'anima mia»; «la contentezza che pro-
vo in questo momento, vale più di tutti i piaceri goduti in questi sei mesi».155
Un altro prete, zelante e buono, custode premuroso del suo gregge, è protagoni-
sta del primo episodio della Raccolta di curiosi avvenimenti contemporanei esposti
dal sac. Bosco Gioanni. Un parroco di una piccola località della collina torinese
intraprende «un corso regolare di sacre istruzioni, dirette a premunire il suo gregge
contro gli errori, che fatalmente si vanno tuttodì spargendo a danno delle anime».
Ciò gli attira «prima l'invidia, poi l'animosità, e in fine l'odio mortale di alcuni».156
«Come un fulmine al cuore» dei «tre omacci di fiero aspetto», che gli tendono
151 «Io mi raccomando ai padri ed alle madri di famiglia, affinché facciano leggere e spie-
ghino alla loro figliuolanza questi fatti, che potranno servire di norma nell'operare e di preser-
vativo nelle critiche circostanze in cui l'incauta gioventù in questi procellosi tempi si trova» (Al
lettore, p. 3, OE V 53).
152 Fatti contemporanei..., p. 19, OE V 69.
153 Fatti contemporanei..., p. 28, OE V 78.
154 Fatti contemporanei..., pp. 36-37, OE V 86-87.
155 Fatti contemporanei..., p. 48, OE V 96.
156 G. Bosco, Raccolta di curiosi avvenimenti..., p. 5, OE V 373.

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282
Pietro Braido
un'imboscata e stanno per ucciderlo, sono le parole del sacerdote: «vi prego di un
favore (...) di lasciarmi un istante le braccia in libertà per togliermi la camicia dai
fianchi, affinché non sia guastata dal coltello, e possa ancora servire a coprire qual-
cuno de' miei parrocchiani nel futuro inverno». Disarmati dall'amore gli chiedono
perdono, che viene loro assicurato insieme al silenzio sull'aggressione subita. La sto-
ria finisce ancora una volta con l'elogio del prete della carità tessuto dai suoi nuovi
amici: «La dolcezza delle vostre parole, la tranquillità del vostro aspetto, quel volere
fino all'ultimo momento fare opere di carità, tutte queste cose unite alle incessanti
fatiche che voi vi prendete pel bene dei vostri parrocchiani, ci hanno propriamente
disingannati; ci hanno fatto aprire gli occhi».157 Ugualmente ispirato a carità pastorale
verso il padre di Pietro è il «direttore della chiesa» di san Francesco di Sales, dove
il giovane aveva fatto la prima comunione: «ministro del Dio della consolazione», da
vero amico induce il suo interlocutore a una sincera rasserenante confessione.158
Di eccezionale significato sono i due discorsi pronunciati da don Bosco all'orato-
rio di san Francesco di Sales il 10 luglio e nella chiesa di san Francesco d'Assisi il
30 agosto nelle messe di trigesima in memoria di don Giuseppe Cafasso (+23 giu-
gno I860).159 La santità del maestro è illustrata dalla Vita sacerdotale privata e dalla
Vita mortificata.160 L'oratore, però, ama sottolineare in primo luogo le virtù «pubbli-
che», la Vita sacerdotale pubblica, le espressioni della carità verso i giovani, i carce-
rati, gli adulti di tutte le classi sociali.161 Dei «poveri giovanetti» egli si prendeva cura
speciale in diversi modi secondo i bisogni: istruirli nelle verità della fede, fornirli di
abiti convenienti, collocarli «al lavoro presso ad onesto padrone», pagare «la spesa
dell'apprendimento», somministrare «pane». Don Bosco conclude: «Il primo cate-
chista di questo nostro oratorio fu Don Caffasso, e ne fu costante promotore e be-
nefattore in vita e dopo morte ancora».162 Quanto ai carcerati erano note «le intere
giornate che passava nelle carceri a predicare, confortare, catechizzare quegli infelici
detenuti, ed ascoltarne le confessioni».163 Inoltre, ricorrevano a lui adulti di tutti i ceti,
«sacerdoti e borghesi, ricchi e poveri», i «molti infermi da lui confortati, i moribondi
assistiti, le lunghe schiere di penitenti d'ogni età e condizione che in ogni giorno e in
ogni ora del giorno trovavano in lui un pio, dotto e prudente direttore delle loro
coscienze», i «tanti infelici condannati all'ultimo supplizio (...)».164 Predicatore
157 G. Bosco, Raccolta di curiosi avvenimenti..., pp. 8-10, OE V 374-376.
158 G. Bosco, La forza della buona educazione, pp. 42-45, OE VI 316-319.
159 Sono stati da lui raccolti nell'opuscolo Biografia del sacerdote Giuseppe Caffasso espo-
sta in due ragionamenti funebri dal sacerdote Bosco Giovanni. Torino, tip. di G. B. Paravia e
comp. 1860, 144 p., OE XII 351-494, rispettivamente pp. 9-45 e 63-110, OE XII 359-395, 413-
460.
160 G. Bosco, Biografia del sacerdote Giuseppe Caffasso..., rispettivamente, pp. 25-29 e
29-34, OE XII 375-379 e 379-384.
161 G. Bosco, Biografia del sacerdote Giuseppe Caffasso..., pp. 18-25, OE XII 368-375.
162 G. Bosco, Biografia del sacerdote Giuseppe Caffasso..., pp. 19-20, OE XII 369-370.
163 G. Bosco, Biografia del sacerdote Giuseppe Caffasso..., p. 20, OE XII 370.
164 G. Bosco, Biografia del sacerdote Giuseppe Caffasso..., pp. 23-24, OE XII 373-374.

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Il sistema preventivo di don Bosco alle origini (1841-1862) 283
ricercato di «tridui, novene, esercizi spirituali e missioni al popolo di varii paesi», si
faceva «tutto a tutti per guadagnare tutti a Gesù Cristo». Si aggiungano le «confe-
renze pubbliche e private» e la somministrazione di libri e di mezzi pecuniari «ai
sacerdoti ristretti di mezzi di fortuna».165 La carità è presentata come il nucleo più pro-
fondo della spiritualità del Cafasso anche nel discorso del 30 agosto. La sua vita fu
«un continuo e non mai interrotto esercizio di carità»:166 «altri lo dicono un S. France-
sco di Sales per mansuetudine, pazienza e carità; quegli il dice un S. Vincenzo de'
Paoli per la grande carità che egli usò ad ogni sorta di infelici (...); lo chiamano un
novello S. Alfonso per dolcezza, accondiscendenza e bontà».167 In sintesi, «il cuore di
D. Caffasso era come una fornace piena del fuoco di amor divino, di viva fede, di
ferma speranza e d'infiammata carità».168
Don Bosco sembra proiettare sul Cafasso tratti del suo prete ideale quando sve-
la in un intero capitoletto i Segreti di D. Caffasso per far molto bene: «la costante
sua tranquillità», l'adozione del «niente ti turbi» di santa Teresa d'Avila, «la lunga
pratica degli affari congiunta ad una grande confidenza in Dio», «l'esatta e costante
occupazione del tempo», la temperanza, la «parsimonia del riposo».169
6. Regolamentazione e pedagogia dell'oratorio
Prima del termine del decennio 1844-1854 don Bosco dà forma sostanzialmente
definitiva all'«Oratorio», redigendone il regolamento e delineandone la «fisionomia
preventiva».
6.1 Orientamenti preventivi del «Regolamento»
Nel 1854 la redazione del regolamento per gli esterni si può dire cosa compiuta.
Il testo stampato nel 1877 non se ne discosta nelle determinazioni principali. Esso si
rifa, certamente, a dei modelli. Di essi, però, riproduce in forma semplificata le
strutture: per esempio, la molteplicità delle cariche e i complessi sviluppi circa le
pratiche religiose, se ci si riferisce a una testo talora citato, Regole dell'Oratorio di S.
Luigi eretto in Milano il giorno 19 Maggio 1842 in contr.a di S. Cristina N. 2135.™
Inoltre, il regolamento di don Bosco esprime, indubbiamente, una carica particolare
di umanità e dolcezza.171
Alla carità esercitata verso i detenuti l'oratore dedica l'intero capitolo Sue fatiche apostoliche
nelle carceri del discorso del 30 agosto (Biografia..., pp. 81-88, OE XII 431-438).
165 G. Bosco, Biografia del sacerdote Giuseppe Caffasso..., pp. 18-19, OE XII 368-369.
166 G. Bosco, Biografia del sacerdote Giuseppe Cafasso..., pp. 67-68, OE XII 417-418.
167 G. Bosco, Biografia del sacerdote Giuseppe Caffasso..., pp. 72-73, OE XII 422-423.
168 G. Bosco, Biografia del sacerdote Giuseppe Caffasso..., p. 88, OE XII 438.
169 G. Bosco, Biografia del sacerdote Giuseppe Caffasso..., pp. 91-97, OE XII 441-447.
170 All'interno: Regolamento Organico, Disciplinare e Pratico dell'Oratorio Festivo di S.
Luigi in P. Comasina, Contrada di S. Cristina 2135 D. Il testo si trova in un grosso quaderno
manoscritto custodito in ASC D 487.
171 Cf P. BRAIDO, Il sistema preventivo di Don Bosco. Torino, Pontificio Ateneo Salesiano

3.10 Page 30

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284
Pietro Braido
Nell'Introduzione al Piano di Regolamento don Bosco lo propone come strumento «per-
ché si conservi unità di spirito e conformità di disciplina».172 Bipartito, deputato all'inquadra-
mento del personale (prima parte con 13 capitoli) e a definire il contegno dei giovani, le prati-
che religiose e la compagnia di s. Luigi (seconda parte con 10 capitoli), esso è rimasto lettera
morta quanto all'organico delle «cariche», tutto tributario di regolamenti di derivazione lom-
barda (scuole della dottrina cristiana e oratori).173 È interessante soprattutto per quegli elemen-
ti, «preventivi», che sono più direttamente legati alla mentalità e all'apporto personale di don
Bosco.
Campeggia nel proemio la descrizione-definizione dell'oratorio o giardino di ricreazione,
che non è solo luogo di preghiera, né solo «ricreatorio», né solo «scuola domenicale», ma è
tutte tre le cose insieme. Soltanto così esso si rivela adeguato ai bisogni emergenti e ai fini
prefissati: «procurare ai giovani più abbandonati tutti quei vantaggi civili, religiosi e morali»
che sono possibili: «giovani dai dodici ai venti anni, di cui gran parte usciva dalle carceri od era
in pericolo di andarvi». «Col mezzo di piacevole ricreazione allettata da alcuni divertimenti,
con catechismi, istruzioni e canto parecchi divennero morigerati, amanti del lavoro e della
Religione. Ci sono anche le scuole del canto tutte le sere, e le scuole domenicali».174 «Lo scopo
di quest'oratorio è di trattenere la gioventù ne' giorni festivi con piacevole ed onesta ricreazione
dopo di aver assistito alla sacre funzioni di chiesa».175 Alla definizione segue il chiarimento dei
termini essenziali. «Dicesi 1o Trattenere la gioventù nei giorni festivi, perché si ha particolar-
mente di mira la gioventù operaia, la quale ne' giorni festivi va soprattutto esposta all'ozio, alle
cattive compagnie, che come due canali aprono la strada ad ogni disordine. Non si rifiutano
però gli studenti che ne' giorni festivi od anche ne' giorni di vacanza vi volessero intervenire. 2°
Piacevole ed onesta ricreazione, atta a ricreare, non ad opprimere e adattata agli individui che
intervengono. 3° Dopo aver assistito alle sacre funzioni di chiesa. L'istruzione morale e religio-
sa, l'insinuare le massime di nostra santa religione è lo scopo primario. Il resto è accessorio e
come amminicolo ai giovani per farli intervenire». La definizione si trovava in nuce già in una
cronaca pubblicata nel «Giornale della Società di Istruzione e d'Educazione» nel luglio 1849
(testo probabilmente ispirato da don Bosco stesso): «trattenendoli in piacevoli ed oneste ricrea-
zioni, dopo che hanno assistito ai riti ed
1955, pp. 87-92. Sembra rimarcare più del dovuto convergenze e somiglianze G. BARZAGHI, Tre
secoli di storia e pastorale degli Oratori milanesi. Leumann-Torino, Elle Di Ci 1985, pp.253-
273.
172 II testo del regolamento è affidato a un ms autografo di don Bosco di 28 pagine inte-
grate da un foglio volante che precisa il significato di «oratorio». Le correzioni e le aggiunte di
don Bosco sono molte e significative: ASC D 482, fase. 01, Fdb 1955 Bl-D 5.
173 È noto che la lontana matrice della regolamentazione degli oratori moderni è costituita
dalle Constitutioni et Regole della compagnia et scuole della dottrina Christiana, di san Carlo
Borromeo, pubblicate a Milano nel 1585 (il testo in Acta Ecclesiae Mediolanensis, a cura di
Achille Ratti, vol. III. Milano 1892, col. 149-270). Anch'esse veicolano in parte tipici tratti
«preventivi»: cf P. BRAIDO, Breve storia del «sistema preventivo». Roma, LAS 1993, pp. 26-29.
174 Agli amministratori dell' Opera Pia della Mendicità istruita, 20 febbr. 1850, Em I 96.
175 Regolamento dell'Oratorio, parte I, proemio, p. 1.

4 Pages 31-40

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4.1 Page 31

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Il sistema preventivo di don Bosco alle origini (1841-1862) 285
agli esercizi di religiosa pietà».176 Essa riecheggia nell'opuscolo La forza della buona
educazione: «Talvolta il padre col suo caro Pietro veniva qui tra noi a passare la sera
in piacevole ed onesta ricreazione, assistendo alle rappresentazioni, commedie, o
cose simili che sogliono aver luogo nel nostro Oratorio nelle sere festive d'inver-
no»;177 «nei giorni festivi dopo le sacre funzioni tra di noi si sogliono distribuire pa-
recchi trastulli nel recinto dell'Oratorio, affinché i giovanetti che ivi intervengono
possano passare il tempo in piacevole ed onesta ricreazione».178
Nello stesso proemio è descritta ciò che costituisce l'anima dell'oratorio, la cari-
e la cortesia: «questo Oratorio poi è posto sotto alla protezione di S. Francesco di
Sales, per indicare che la base sopra cui questa congregazione si appoggia tanto tra chi
comanda quanto in chi ubbidisce deve essere la virtù caratteristica di questo santo».
Nel capo II della seconda parte, dove sono esposte le Condizioni di accettazione,
risaltano ancor meglio il tipo di ragazzi a cui l'oratorio è preferibilmente aperto e il
significato «preventivo» della sua azione: «1o Lo scopo essenziale di quest'oratorio
essendo di tener la gioventù lontana dall'ozio e dalle cattive compagnie particolar-
mente ne' giorni festivi, tutti vi possono essere accolti non eccettuato grado o condi-
zione di persona. 2° Quelli però che sono più poveri, più abbandonati, e più igno-
ranti sono di preferenza accolti e coltivati; perché costoro hanno maggior bisogno di
assistenza per camminare nella via dell'eterna salute. (...) 5° Che siano occupati in
qualche arte o mestiere, perché l'ozio e la disoccupazione traggono a sé tutti i vizi,
quindi inutile ogni religiosa istruzione. Chi è disoccupato e desidera darsi al lavoro
può indirizzarsi ai protettori, e sarà da loro aiutato. 6° Entrando un giovane in que-
st'Oratorio deve essere intimamente persuaso che questo è luogo di religione, in cui
unicamente si desidera di fare buoni cristiani ed onesti cittadini, perciò è rigorosa-
mente proibito bestemmiare, fare discorsi contrarii a' buoni costumi e contrari alla
santa cattolica religione. Chi commettesse tali mancanze sarà paternamente avvisato
la prima volta; che se non si emenda si renderà consapevole il Rettore, da cui sarà
licenziato dall'Oratorio. 7° Anche i giovani discoli possono essere accolti, ma si deve
[guardar] bene che non diano scandalo, e si ricerca che manifestino buona volontà di
emendarsi e di tener condotta migliore».179
Seguono i capitoli consacrati agli operatori con tipiche norme di «metodo». Il
direttore «deve precedere gli altri incaricati nella pietà, nella carità, e nella pazien-
za»; «mostrarsi costantemente amico, compagno, fratello di tutti, perciò sempre
incoraggire ciascuno nell'adempimento dei proprii doveri in modo di preghiera non
mai di severo comando»; «ascolta le confessioni di quelli che si dirigono a lui sponta-
neamente»; «colla dolcezza e colla esemplarità procura d'acquistarsi la loro [dei
176 «Giornale della Società d'Istruzione e d'Educazione» 1 (1849) luglio, p. 459.
177 G. Bosco, La forza della buona educazione, p. 47, OE VI 321.
178 G. Bosco, La forza della buona educazione, p. 63, OE VI 337; e ancora nel 1862: «Ivi
sono trattenuti con onesta e piacevole ricreazione dopo aver soddisfatto al precetto festivo»
(Elenco degli oggetti graziosamente donati a benefizio degli Oratorii... Torino, tip. di G. Speira-
ni e figli 1862, p. 1, OE XIV 197).
179 Regolamento..., parte II, cap. II Condizioni di accettazione, art. 1-2, 5-7, pp. 17-18.

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286
Pietro Braido
giovani] stima e la benevolenza, adoperandosi in ogni maniera possibile per insinua-
re ne' loro cuori l'amor di Dio, il rispetto per le cose sacre, la frequenza de' Sacra-
menti, filiale divozione a Maria SS., e tutto ciò che costituisce la vera pietà».180 Il
prefetto, «è confessore ordinario de' giovani; dirà messa, farà il catechismo, e se fa
mestieri, anche l'istruzione dal pulpito»; a lui è «affidata la cura delle scuole serali e
domenicali».181 Gli invigilatori «vedendo taluno mancare ciarlando o dormendo, lo
correggeranno con belle maniere, movendosi il meno possibile dal loro posto, senza
mai percuotere alcuno anche per motivi gravi, nemmeno sgridarlo con parole aspre,
o con voce alta.182 Un appello particolare è rivolto ai catechisti, titolari di uno degli
uffici più importanti. «Voi, o Signori catechisti, insegnando il catechismo, fate un'ope-
ra di gran merito dinanzi a Dio e dinanzi agli uomini. Dinanzi a Dio perché coope-
rate alla salute delle anime redente col prezioso sangue di Gesù Cristo; dinanzi agli
uomini, perché i vostri uditori benediranno mai sempre le vostre parole, con cui loro
additaste la via per divenire buoni cittadini e il mezzo onde conseguire la vita eter-
na». Seguono poi particolari norme pedagogico-didattiche: «cinque minuti prima
che termini il catechismo, al suono del campanello, si racconterà qualche breve e-
sempio tratto dalla Storia Sacra, o dalla Storia Ecclesiastica, oppure si esporrà chia-
ramente e con popolarità un apologo, od una similitudine morale, che tende a far
rilevare la bruttezza di qualche vizio, o la bellezza di qualche virtù in particolare»; «i
vizi che si devono spesso ribattere sono la bestemmia, la profanazione de' giorni
festivi, la disonestà ed il furto, la mancanza di dolore e di proponimento nella con-
fessione»; «le virtù da menzionarsi spesso sono: carità coi compagni, ubbidienza ai
superiori, amore al lavoro e fuga dell'ozio e delle cattive compagnie, frequenza
della confessione e comunione»; «ciascun catechista dimostri sempre un volto ilare,
e faccia vedere, come difatti lo è, che quanto insegna è di grave importanza. Nel cor-
reggere od avvisare usi sempre parole che incoraggiscano, ma non mai avviliscano.
Lodi sempre chi lo merita, sia tardo a biasimare».1831 pacificatori hanno il compito
di «impedire le risse, gli alterchi, il bestemmiare e qualsiasi altro genere di cattivo
discorso»; «in caso di dover fare correzioni, abbiasi riguardo che siano fatte in priva-
to (...) eccetto che questo fosse necessario per riparare un pubblico scandalo».184 Parti-
colareggiate sono le norme relative ai giochi e ai compiti dei Regolatori della Ricrea-
zione.1*5 Delicato e impegnativo è l'ufficio Dei patroni o protettori. Essi «hanno l'im-
portantissima carica di collocare a padrone i più poveri ed abbandonati, e di vigilare
che gli apprendisti e gli artigiani, che frequentano l'Oratorio, non siano con padroni
presso di cui sia in pericolo la loro eterna salute»; «è pure uffizio dei patroni il ricon-
durre a casa que' figli che ne fossero fuggiti, adoperarsi per collocare a padrone colo-
ro che desiderano d'imparare qualche professione, o che sono privi di lavoro»;
180 Regolamento…, parte I, cap. I Del Rettore, art. 1, 2, 6, p. 2.
181 Regolamento…, parte I, cap. II Del prefetto, art. 5 e 7, p. 3.
182 Regolamento…, parte I, capo VII Degli Invigilatori, art. 5, p. 8.
183 Regolamento…, parte I, cap. 8 Dei catechisti, art. 1, 8, 11-12, 16, pp. 8-10.
184 Regolamento…, parte I, cap. 9 Dei pacificatori, art. 1 e 3, p. 11-12.
185 Regolamento…, parte I, cap. 11 Regolatori della ricreazione, pp. 12-15.

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Il sistema preventivo di don Bosco alle origini (1841-1862)
287
«avranno cura di notarsi nome, cognome, dimora dei padroni, che abbisognano di
apprendisti o di artigiani per mandare all'uopo i loro protetti»; «nelle convenzioni
coi padroni abbiasi per prima condizione, che siano cattolici e lascino l'allievo in
libertà per santificare il giorno festivo»; «accortisi che qualche allievo è collocato in
luogo pericoloso accudisca quello affinché non commetta disordini, avvisi il padro-
ne, se parrà conveniente, e intanto si adoperi per cercare migliore posto al suo pro-
tetto».186 Infine, a tutti gli addetti dell'oratorio si ricorda che le cariche, «essendo
tutte esercitate a titolo di carità, deve ciascuno adempirle con zelo»; «carità, pazien-
za vicendevole nel sopportare i difetti altrui, promuovere il buon nome dell'Orato-
rio, degli impiegati, ed animare tutti alla benevolenza e confidenza col Rettore, sono
cose a tutti caldamente raccomandate».187 È interessante notare che il capo relativo
al Contegno in ricreazione precede il capo sul Contegno in chiesa, seguito dal capo sul
Contegno fuori dell'Oratorio.169 I capi quinto e sesto elencano le pratiche religiose e
trattano dei sacramenti della confessione e della comunione. A proposito di questi si
avverte tra l'altro: «ritenete, o figliuoli, che i due sostegni più forti a reggervi a cam-
minare per la strada del cielo sono i due Sacramenti della confessione e della comu-
nione»; «ognuno si accosterà liberamente per amore e non mai per timore»; «io con-
siglio tutti i figli dell'Oratorio a fare quanto dice il catechismo della Diocesi di Tori-
no, cioè: è bene di confessarsi ogni quindici giorni od una volta al mese»; «il confes-
sore è l'amico dell'anima vostra e perciò vi raccomando di avere in lui piena confi-
denza. Dite pure al vostro confessore ogni segretezza del vostro cuore e siate persua-
si che egli non può rivelare la minima cosa udita in confessione»; il suo consiglio è
particolarmente importante circa «la scelta dello stato».189
I due responsabili della Compagnia di S. Luigi, a cui è dedicato l'ultimo capito-
lo, sono il priore, che dev'essere un laico, e il direttore spirituale, nominato dal diretto-
re, e che è anche direttore spirituale della Società di mutuo soccorso.190
6.2 La prima pedagogia oratoriana
Oltre che offrire nel Regolamento i fondamentali lineamenti «preventivi» dell'o-
ratorio don Bosco ne abbozza la «teoria», raccontando e riflettendo, nell’Introduzio-
ne e nel Cenno storico. Ne emergono i tratti essenziali del suo stile entro una precisa
visione cristiana del destino umano: 1) è formulato un giudizio positivo sulla gioven-
tù, «la porzione più delicata e la più preziosa dell'umana Società», che «non è per se
stessa di indole perversa», ma, se sbaglia o appare talvolta «guasta», lo è per «la tra-
scuratezza dei genitori, l'ozio, lo scontro de' tristi compagni» ed è facilmente recupe-
186 Regolamento..., parte I, cap. 12 Dei patroni o protettori, art. 1-2, 4-6, pp. 15-16.
187 Regolamento..., prima I, cap. I Incumbenze riguardanti a tutti gli impiegati di quest'orato-
rio, art. 1 e 4, p. 16. Qualità e doveri degli operatori rispecchiano indicazioni di una antica
tradizione cattolica riassunta anche nel primo capitolo delle Constitutìoni et regole di san Carlo.
188 Regolamento..., parte I, capo II, III, IV, pp. 18-21.
189 Regolamento..., parte II, cap. 6 Confessione e comunione, art. 1-3, pp. 21-23.
190 Regolamento..., parte II, cap. 10, art. 4 e 5, pp. 27-28.

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288
Pietro Braido
rabile ai «valori» dominanti, cioè «i principii di ordine, di buon costume, di rispetto,
di religione»;19' 2) è affermata la necessità di un nuovo tipo di «incontro», che grazie
alla flessibilità della sollecitudine secolare della Chiesa può individuarsi nel-
l'«oratorio» inteso in modo nuovo e originale: luogo di preghiera e di ricca espansione
umana nell'istruzione, nel gioco, nel vivere insieme; luogo dove la «piacevole ed one-
sta ricreazione» è indissolubilmente legata agli «esercizi della vita religiosa»,192 poiché
«l'istruzione religiosa trattiene i giovani per qualche spazio di tempo, dopo è mestieri
qualche sfogo, o passeggiando o trastullandosi»193 e le altre attività didattiche e assi-
stenziali.
Anche con don Bosco l'oratorio sorge come istituzione di «Chiesa», non di un
istituto religioso particolare; nasce «diocesano», anche se non parrocchiale né inter-
parrocchiale, per giovani «dispersi», non facilmente collocabili nelle strutture par-
rocchiali. È, secondo le riflessioni dell'Introduzione al Piano di regolamento, creazio-
ne della fecondità e versatilità della Chiesa cattolica, istituzione immutabile nei prin-
cipi e insieme profondamente radicata nella storia.194
7. La prevenzione nell'istituzione totale: la «casa annessa»
Il «preventivo» educativo tende a rinvigorirsi e a irrigidersi di fronte a più gravi
pericoli antichi e nuovi. Nascono per questo strutture che rinforzano l'aspetto pro-
tettivo e costruttivo dei processi di formazione della coscienza religiosa, morale e
civile dei giovani più esposti a idee ed esempi di matrice laicista, ereticale e anticleri-
cale. Nei primi anni la cosiddetta «casa annessa», il minuscolo «ospizio», non assume
grande rilievo, dando ricetto a un numero esiguo di ragazzi, che frequentano botte-
ghe o scuole private esterne. Poi, nel giro di sette anni (1853-1859) l'Oratorio diven-
ta ancor più «preventivo» con l'accrescimento progressivo degli alunni della «casa
annessa», che possono avviarsi all'apprendimento di un'arte e mestiere o agli studi
medi in laboratori e classi interne. Con l'allargarsi dell'esperienza, negli anni '60 e
'70, nasce una prassi educativa più intensa quanto a «prevenzione», protettivodiret-
tiva: è la pedagogia «collegiale», codificata in modo privilegiato nelle pagine del 1877.
Il primo documento organico che ne dà la misura è il Piano di Regolamento per
191 Nel Cenno storico riferendo sui ragazzi dei primi anni '40 confluenti alla chiesa di san
Francesco d'Assisi, don Bosco conferma il suo giudizio positivo sui giovani: «Questi principii
mi fecero conoscere due importantissime verità: che in generale la gioventù non è cattiva da
per sé; ma che per lo più diventa tale pel contatto dei tristi e che gli stessi tristi gli uni separati
dagli altri sono suscettibili di grandi cangiamenti morali» (Cenno storico, in Don Bosco educato-
re, p. 111). Il concetto ritorna poche righe più avanti a proposito delle visite alle carceri compiute
negli stessi anni (Cenno storico, in Don Bosco educatore, p. 112).
192 Cenno storico, in Don Bosco educatore, pp. 107-109.
193 Cenno storico, in Don Bosco educatore, pp. 112-113; ulteriori sottolineature a pp. 114,
122-123.
194 Introduzione, in Don Bosco educatore, pp. 108-109.

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Il sistema preventivo di don Bosco alle origini (1841-1862) 289
la Casa annessa all'Oratorio di S. Francesco di Sales. Esso reca ancora alcune impronte del
regolamento dell'oratorio festivo, sia perché nel tempo delle prime redazioni l'ospizio di Val-
docco è ancora in parte un semplice pensionato sia perché funzioni e modalità di esercizio si
ispirano a quei principi di ragione e di amabilità, che per don Bosco devono indirizzare, in
qualsiasi istituzione, tutte le espressioni della vita morale e religiosa. Solo dal 1853, infatti,
hanno timidi inizi i laboratori artigiani interni dei calzolai, legatori, sarti. Il Regolamento rag-
giunge relativa completezza tra il 1854 e il 1855, pur non contando ancora sulla presenza delle
scuole interne.195 Esso tende a creare uno spazio educativo ben ordinato, riservato, per la se-
zione studentesca che è la più numerosa, a ragazzi buoni, al massimo compresi tra i «dissipa-
ti», non certamente discoli veri e propri.
In apertura si parla di giovani oratoriani «che trovansi in condizione tale da rendere inutili
tutti i mezzi spirituali se non si porge loro soccorso nel temporale»; «già alquanto inoltrati in
età, orfani o privi dell'assistenza paterna, perché i genitori non possono o non vogliono curarsi
di loro, senza professione, senza istruzione»; «esposti ai più gravi pericoli spirituali e corporali
né si può impedirne la rovina se non si stende una benefica mano che li accolga, li avvii al
lavoro, all'ordine, alla religione». La «casa annessa» ha lo scopo di «dare ricetto ai giovani di
tal condizione».196 Nei Cenni storici, del 1862, più vicini alla realtà dei «collegi» successivi,
don Bosco fa notare che «la brama ardente manifestatasi in molti di percorrere i corsi scientifi-
ci regolari ha fatto fare qualche eccezione sulle condizioni di accettazione. Laonde per lo stu-
dio si accettano anche giovani non abbandonati e non totalmente poveri purché abbiano tale
condotta morale e tale attitudine allo studio da lasciar non dubbia speranza d'onorevole e cri-
stiana riuscita in una carriera scientifica».197
Vengono poi regolamentati nella prima parte i vari uffici, alcuni ancora legati allo stile
oratoriano,198 in quanto ci sono ancora giovani che lavorano all'esterno: il direttore, il prefetto,
il catechista, l'assistente, i protettori, i capi di camerata, la servitù (cuoco, cameriere, portinaio),
i maestri d'arte. Segue un'Appendice per gli studenti, che dimorano nella casa e frequentano
insegnanti esterni, mentre prestano anche qualche servizio. La seconda parte (Della disciplina
della casa) si occupa della vita dei giovani ospiti: la pietà, il lavoro, il contegno verso i supe-
riori e verso i compagni, la modestia, il contegno dentro e fuori casa. In chiusura si indicano
Tre mali sommamente da fuggirsi: la bestemmia e il nominare Dio invano, la disonestà o impu-
rità, il furto; e alcune Cose con rigore proibite nella Casa: ritener danaro, i giuochi fisicamente
e moralmente pericolosi, il fumare, le uscite.
195 Cf ASC D 482, fase. 02, FdB 1958 C2-D2, 1958 E2-1959 A3, 1960 B4-D9. Ci si riferi-
sce alla bella copia - FdB 1959 D4-1960 B3 - del documento FdB 1959 A4-D3.
196 Piano di regolamento..., Scopo di questa Casa, p. 3. Nel capo Io vengono elencate in arti-
coli distinti le qualità indicate: Accettazione, pp. 4-5.
197 Cenni storici, in Don Bosco educatore, p. 146.
198 Per esempio, il protettore, «un benefattore che si assume l'importantissima carica di
collocare a padrone i figliuoli della Casa, ed invigilare che non sieno padroni presso di cui o a
cagione di essi o a cagione di qualche compagno, abbia ad essere in pericolo la loro eterna
salute» (Piano di regolamento..., [parte I], capo VI, art. 1, p. 11).

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Pietro Braido
In genere prevalgono prescrizioni disciplinari; si possono, però, cogliere anche
elementi propriamente educativi. Sia ad artigiani che a studenti sono particolarmente
raccomandate la pietà, la frequenza dei sacramenti della penitenza e dell'eucaristia,
la scelta di un confessore stabile e la «piena confidenza» con lui;199 ma è ugualmente
sottolineata la diligenza nel lavoro e nello studio. Il capo Del lavoro offre elementi di
grande interesse: «l'uomo (...) è nato per lavorare»; «per lavoro s'intende l'adem-
pimento dei doveri del proprio stato sia di studio, sia di un'arte o mestiere»; «me-
diante il lavoro» ci si può rendere «benemeriti della società, della religione e fare gran
bene all'anima» propria; l'età giovanile «è la primavera della vita; chi non s'abitua al
lavoro in tempo di gioventù per lo più sarà sempre un poltrone fino alla vecchiaia
con disonore della patria e dei parenti e forse con danno irreparabile dell'anima pro-
pria, perché l'ozio mena seco tutti i vizi».200 Classico è il discorso sull'obbedienza,
«fondamento d'ogni virtù in un giovane», che si traduce in pressanti esortazioni:
«persuadetevi che i vostri superiori sentono vivamente la grave obbligazione che li
stringe a promuovere nel miglior modo il vostro vantaggio, e che nell'avvisarvi, co-
mandarvi e correggervi non hanno altro di mira che il vostro bene»; «onorateli ed
amateli come quelli che tengono il luogo di Dio e dei vostri parenti»; «sia la vostra
ubbidienza pronta, rispettosa ed allegra»; «aprite loro liberamente i sentimenti del-
l'animo vostro considerando in essi un padre amorevole, che desidera la vostra feli-
cità».201 Non è meno curata l'amicizia e fraternità tra i giovani allievi: «onorate ed
amate i vostri compagni come altrettanti fratelli»; «amatevi tutti scambievolmente
(...), ma guardatevi dallo scandalo».202 Analoghe, ma più esigenti, sono le norme sulla
pietà e lo studio proposte agli studenti: «ogni studente deve mostrarsi modello di
virtù a tutti i figli della casa sia nell'adempimento dei doveri, sia nella pietà. Farebbe
certamente disonore ad uno studente occupato continuamente in cose di spirito, e
fosse inferiore nella condotta ad un artigianello occupato tutto il giorno ne' suoi
pesanti lavori».203 Essi, veri privilegiati, sono più attentamente seguiti e controllati:
ogni sabato, in una conferenza, «l'assistente darà il suo parere sulla buona o cattiva
condotta di ciascuno, e proporrà qualche cosa che viemeglio possa contribuire all'a-
vanzamento dello studio e della pietà»; «chi non è assiduo allo studio oppure reca
disturbo (...) sarà avvisato» e se «non si emenda sarà tosto destinato ad altre occu-
pazioni»; «chi non ha il timor di Dio abbandoni lo studio, perché lavora invano»; «la
virtù che è in particolar maniera inculcata agli studenti è l'umiltà. Uno studente su-
perbo è uno stupido ignorante. Il principio della sapienza è il timor di Dio (...). Il
principio d'ogni peccato è la superbia».204
Le biografie di Domenico Savio (1859), Michele Magone (1861) e Francesco
199 Piano di regolamento..., parte II, capo I Della pietà, pp. 23-25, e Appendice per gli stu-
denti, capo I Condotta religiosa degli studenti, pp. 20-21.
200 Piano di regolamento..., parte II, capo II Del lavoro, art. 1-6, pp. 25-26.
201 Piano di regolamento..., parte II, capo III Contegno verso i superiori, art. 1-5, pp. 26-27.
202 Piano di regolamento..., parte II, capo IV Contegno verso i compagni, art. 1-2, p. 27.
203 Piano di regolamento..., Appendice..., capo I Condotta religiosa degli studenti, art. 1,
pp. 20-21.
204 Piano di regolamento..., Appendice..., capo II Dello studio, art. 3-4, 6-7, pp. 22-23.

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Il sistema preventivo di don Bosco alle origini (1841-1862) 291
Besucco (1864) rispecchiano in gran parte questa normativa, resa ancor più vincolante per
studenti avviati allo stato ecclesiastico.205 Vi si ispirano visibilmente anche i regolamenti delle
«compagnie» religiose che prosperano soprattutto nell'internato con forte carica «preventiva».
8. Forme di associazionismo giovanile
Né l'oratorio né l'ospizio raccolgono masse indifferenziate di giovani. Nel periodo 1847-
1859 sorgono al loro interno varie associazioni giovanili di carattere religioso, educativo e
caritativo,206 oltre i gruppi che si costituiscono per lo svolgimento di attività particolari: la
schola cantorum, il complesso bandistico, la filodrammatica.
L'inizio è dato nel 1847 dalla diffusissima e tradizionale compagnia di san Luigi di carat-
tere devozionale, ma per l'oratorio uno dei fattori di più forte aggregazione soprattutto espressa
nella festa annuale del santo, con il relativo priore e le sue munificenze, così come appare
anche nel Cenno storico.201 Il suo regolamento, approvato dall'arcivescovo Luigi Fransoni il 12
aprile 1847,208 resta la base dei regolamenti e della spiritualità di tutte le compagnie, una spiri-
tualità di cui articolo per articolo è presentato modello san Luigi: «evitare tutto ciò che può
cagionare scandalo, e procurare di dare buon esempio in ogni luogo, ma specialmente in chie-
sa» (art. 1); accostarsi ai sacramenti della penitenza e della comunione ogni quindici giorni e
nelle maggiori solennità: essi, infatti, «sono le armi per cui si porterà sicura vittoria contro il
demonio» (art. 2); «fuggire come la peste i cattivi compagni, e guardarsi bene dal fare discorsi
osceni» (art. 3); «usare somma carità coi compagni, perdonando facilmente qualunque offesa»
(art. 4); mettere «grande impegno per il buon ordine dell'oratorio, animando gli altri alla virtù,
e a farsi ascrivere alla compagnie» (art. 5); assicurare assistenza spirituale e materiale ai con-
fratelli malati (art. 6); «mostrare grande amore al lavoro e all'adempimento de' proprii doveri
prestando esatta ubbidienza a tutte le persone superiori» (art. 7).
Tra gli iscritti alla compagnia di s. Luigi prende vita nel 1849 - come indica il titolo del
rispettivo Regolamento — la Società di mutuo soccorso di alcuni individui della compagnia dì
san Luigi eretta nell'oratorio di san Francesco dì Sales.209 Essa ha
205 Era una delle condizioni di accettazione nella sezione studenti: «Niuno è ammesso a
studiare il latino se non ha volontà di abbracciare lo stato ecclesiastico; lasciandosi però libero
di seguire la sua vocazione compiuto il corso di latinità» (Piano di regolamento..., Appendice...,
art. 3, 3°, p. 20).
206 Cf P. STELLA, Don Bosco nella storia economica e sociale (1815-1870). Roma, LAS
1980, pp. 259-269. Già nel Giovane provveduto don Bosco aveva riservato qualche pagina ad
Avvertimenti per li giovani ascritti a qualche Congregazione o a qualche Oratorio (Il giovane
provveduto..., pp. 29-31, OE II 209-211).
207 Cenno storico..., in Don Bosco educatore, pp. 131-132.
208 ASC - E 452 Compagnie religiose. Nella stessa posizione si trovano anche i regolamenti
delle altre compagnie.
209 Torino, Dalla tipografia Speirani e Ferrerò 1850, 8 p., OE IV 83-90.

4.8 Page 38

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292
Pietro Braido
lo scopo di «prestare soccorso a quei compagni che cadessero infermi, o si trovasse-
ro nel bisogno, perché involontariamente privi di lavoro».210 Oltre il vantaggio materia-
le sono previsti frutti spirituali, come augura don Bosco nell'Avvertenza preliminare:
«Il Signore infonda la vera carità e la vera allegrezza nei vostri cuori, e il timor di
Dio accompagni ogni vostra azione».211
Nel 1856 sorge la compagnia o società dell'Immacolata per il concorso di vari,
tra cui Giuseppe Rocchietti, Domenico Savio, Giuseppe Bongioanni. Essa è di parti-
colare livello spirituale, rivolta ad assicurare ai soci «il Patrocinio della Beatissima
Vergine Immacolata» «per dedicarsi interamente al suo santo servizio». Il regola-
mento riprende in gran parte quello della compagnia di san Luigi, condividendo le
linee della cosiddetta «spiritualità giovanile» di don Bosco. Essa implica anzitutto
l'inserimento totale nella vita della comunità: «osservare rigorosamente le regole della
casa»; «edificar i compagni ammonendoli caritatevolmente ed eccitandoli al bene
colle parole, ma molto più col buon esempio, occupar rigorosamente il tempo». E
viene enunciato un principio singolare sul rapporto tra carità e il binomio obbedien-
za-castità: «la carità ci stabilisce nella perfezione ma sol coll'ubbidienza e la castità
possiamo acquistare questo stato che tanto ci avvicina a Dio». Seguono articoli par-
ticolari che confermano determinazioni già note: «1. A regola primaria pertanto
adotteremo una perfetta ubbidienza ai nostri Superiori, cui ci sottometteremo con
una illimitata confidenza. 2. L'adempimento dei proprii doveri sia la nostra prima e
speciale occupazione (...). 3. Una carità reciproca unisca i nostri animi; ci farà amare
indistintamente i nostri fratelli, i quali con dolcezza ammoniremo quando mostrino
di abbisognar una correzione. (...) Procureremo di evitare fra noi qualunque minimo
dissapore sopportando i malati e studiando fra di noi di mantenere una perfetta
armonia, unità di affetti e di sentimenti». Sono escluse pratiche religiose particolari, si
esorta a migliorare quelle comuni: «la frequenza dei sacramenti»; «aggiungiamo la
divozione del SS. Rosario»; «procureremo di manifestare ai nostri superiori qualun-
que cosa di qualche rilievo si passi fra noi per guarentire così le nostre azioni suppo-
nendole al giudizio di essi».212
Nel 1857 viene istituita la compagnia del SS. Sacramento, di cui è primo diret-
tore il chierico Giuseppe Bongioanni. Essa ha un carattere essenzialmente devozio-
nale.213 Ne è naturale germinazione il gruppo del Piccolo Clero. Esso è costituito nel
1858 dai «giovani più anziani e più esemplari» della compagnia ed è particolarmente
consacrato ad assicurare il decoro delle funzioni liturgiche.
L'ultima, quella di san Giuseppe, viene promossa tra gli artigiani nel 1859 ad
opera del chierico Giovanni Bonetti. È quella che agli elementi devozionali e al mu-
tuo aiuto in caso di malattia associa un notevole impegno di fedeltà allo stile di vita
della comunità quale è previsto dai regolamenti della casa. I soci finiscono col diven-
tare gli alleati dei superiori neh"attuare i fini dell'istituzione educativa: si propongo-
210 Società di mutuo soccorso..., Regolamento, art. Io, p. 4, OE IV 86.
211 Società di mutuo soccorso..., p. 3, OE IV 85.
212 FdB 1868 E2-10.
213 FdB 1869 E4-5.

4.9 Page 39

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Il sistema preventivo di don Bosco alle origini (1841-1862) 293
no di «farsi ognor più buoni» e di «animare col buon esempio e colle parole i compagni sulla
strada della virtù»; si impegnano ad «evitare tutto ciò che può recar scandalo», a «fuggire come
la peste i cattivi compagni, e guardarsi bene dal fare discorsi osceni», a «usare somma carità
coi compagni perdonando facilmente a qualunque offesa», a «mostrare grande amore al lavoro
ed all'adempimento dei propri doveri prestando esatta obbedienza a tutte le persone superiori»,
a «osservare con tutta esattezza le regole della casa, non dando mai segno di disapprovare
quello che ordinano i superiori».214
Intanto la società di mutuo soccorso si era fusa con le conferenze «annesse» di san Vin-
cenzo de' Paoli organizzate nei tre oratori di san Francesco di Sales, san Luigi, Angelo Custode
in seguito all'epidemia di colèra del 1854, riconosciute come tali dal Consiglio Generale di
Parigi I'll maggio 1856.215 Nei primi anni l'attività è piuttosto ridotta e consiste principalmente
«nell'assistenza dei giovani in chiesa e nell'Oratorio». Ma non mancano le attività caritative
istituzionali.216
9. L'arte del coinvolgimento: gli operatori del «preventivo»
Don Bosco ha la straordinaria capacità di coinvolgere nel suo progetto «preventivo» le
più vaste cerchie di persone.217 Essa si rivela particolarmente incisiva a partire dagli anni '50 in
tre direzioni: i giovani e la loro «casa», le «Letture Cattoliche», le lotterie.
9.1 Per i giovani e la loro casa
L'assillo primario è costituito, naturalmente, dai giovani e dalle case e attrezzature neces-
sarie. Ne è testimonianza privilegiata l'epistolario. Non sono molte le lettere che non contenga-
no richieste di aiuti per sostenere le proprie iniziative in favore di giovani da strappare alla
strada e preparare alla vita. La rappresentazione della realtà, spesso dilatata, mira a suscitare
apprensioni, responsabilità e collaborazioni concrete. Nella circolare del 20 dicembre 1851 -
che suscitò un moto di ribellione in alcuni oratoriani, che ritennero presentata in termini offen-
sivi la loro condizione si parlava di «giovani oziosi, e malconsigliati che vivendo di accatto o
di frode sul trivio e sulla piazza sono di peso alla società e spesso strumento d'ogni misfare» e
di altri che andavano «nei giorni festivi consumando nel gioco e nelle intemperanze la
214 FdB 1868 B 2-6.
215 Cf F. MOTTO, Le conferenze «annesse» di S. Vincenzo de' Paoli negli oratori di don Bo-
sco. Ruolo storico di un'esperienza educativa, nel vol. L'impegno dell'educare, a cura di J. M.
Prellezo. Roma, LAS 1991, pp. 467-492.
216 Cf F. MOTTO, Le conferenze «annesse»..., pp. 474-480.
217 La drammatizzazione delle difficoltà tende a ottenere una solidarietà più partecipata e
generosa: cf G. BRACCO, Don Bosco e la società civile, in Don Bosco nella storia. Atti del Io Con-
gresso Internazionale di Studi su Don Bosco (Roma, 16-20 gennaio 1989), a cura di M. Midali.
Roma, LAS 1990, pp. 334-335.

4.10 Page 40

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294
Pietro Braido
sottile mercede guadagnata nel corso della settimana».218 La formula più breve e densa è usata
in una lettera al conte Solaro della Margherita, un conservatore sensibile ai problemi dell'ordi-
ne sociale, per il quale don Bosco intenzionalmente sottolinea il termine «pericolosi»: «Se io
nego un tozzo di pane a questi giovani pericolanti e pericolosi li espongo a grave rischio dell'a-
nima e del corpo (...). Qui non trattasi di soccorrere un individuo in particolare, ma di porgere
un tozzo di pane a giovani cui la fame pone al più gran pericolo di perdere la moralità e la
religione».219 L'espressione ritorna rafforzata in una successiva circolare in favore di scuole
diurne per «giovanetti che si possono chiamare veramente abbandonati, pericolanti e pericolo-
si».220
La gamma dei destinatari va dal papa e dal suo segretario di stato al re, ai ministri, a fun-
zionari statali, ad autorità provinciali e comunali, a vescovi, sacerdoti, laici di svariati strati
sociali. Fin dagli inizi del 1858 egli si rivolge a Pio IX per semplici richieste formali di benedi-
zioni, indulgenze, grazie, mentre l'interlocutore romano privilegiato è il card. Antonelli.221 Dal
giugno 1858, invece, le lettere a Pio IX sono più diffuse su cose riguardanti l'Oratorio, la dio-
cesi, l'Italia, la Chiesa.222
Oltre al re Vittorio Emanuele II e a principi di casa Savoia molte sono le lettere indirizza-
te a ministri degli Interni, della Giustizia, della Guerra: per l'accettazione di giovani raccoman-
dati o per chiedere sussidi in danaro o vestiario. Spiccano Minghetti, Peruzzi, Durando, La-
marmora e, su tutti, Urbano Rattazzi (1808-1873), particolarmente generoso di appoggio e di
aiuti pecuniari;223 prefetti e sindaci di Torino, intendenti di finanza; nobili e banchieri, tra cui i
Gonella, Cotta, i Fassati, i Galleani d'Agliano i Ricci des Ferres; tra gli ecclesiastici i canonici
Gastaldi e De Gaudenzi, Antonio Rosmini e altri padri dell'Istituto della Carità; enti di benefi-
cenza come la «Mendicità Istruita». Incombono la «nota del panattiere» e l'urgenza di «dar da
218 Em I 139.
219 Lett, del 5 genn. 1954, Em I 212.
220 Circ. del 1 ott. 1856, Em I 304. Già nel dicembre 1849 in un «Avviso» di esercizi spiri-
tuali per giovani oratoriani egli ammoniva: la gioventù «rettamente educata, ci sarà ordine e mora-
lità, al contrario, vizio e disordine»: cit. nel «Bollettino Salesiano» 4 (1880), n. 12, die, p. 6.
221 Cf lett. del 28 ag. 1850, Em I 107-108; 30 nov. 1852, Em I 175-176; 31 maggio 1853,
Em I 197-198; 7 sett. 1856, Em I 301.
222 Cf lett. del 14 giugno 1858, Em I 352-353; febbr. 1859, Em I 368; 9 nov. 1859, Em 1
386-387; 13 apr. 1860, Em I 400-401; 10 marzo 1861, Em I 441-442; 27 sett. 1861, Em I
471473; 30 apr. 1862, Em 1494: cf F. MOTTO, Orientamenti politici di don Bosco nella corrispon-
denza con Pio IX del triennio 1858-1861, in «Ricerche Storiche Salesiane» 12 (1993) 9-37; ID.,
Don Bosco mediatore tra Cavour e Antonelli nel 1858, in «Ricerche Storiche Salesiane» 5 (1986) 3-
20.
223 Ci sono documentazioni in proposito che vanno dal 12 maggio 1854 (il primo incontro
avvenne a Valdocco nell'aprile precedente, come si rileva dal «Bollettino Salesiano» di ottobre e
novembre del 1882, pp. 171-172, 179-180) al 27 dicembre 1859: MB V 60-61, 430-431, 434,
460, 533-534, 616, 643-645; A. GlRAUDO, «Sacra Real Maestà». Considerazioni intorno ad alcuni
inediti di don Bosco, in «Ricerche Storiche Salesiane» 13 (1994) 267-314. In data 21 marzo 1862
don Bosco scrive al Rattazzi: «Approfitto di questa occasione per esprimere il mio piacere che
Ella sia alla Presidenza dei Ministri. Ella ha sempre beneficato i nostri poveri giovani e ne spero
la continuazione» (Em I 488).

5 Pages 41-50

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5.1 Page 41

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Il sistema preventivo di don Bosco alle origini (1841-1862) 295
mangiare ai poveri affamati»,224 «le strettezze della corrente annata», le necessità dei «poveri
ed abbandonati giovani».225 Dare un «sussidio» significa «venire in ajuto di tanti giovanetti
poveri e pericolanti», della «gioventù abbandonata e pericolante»,226 dei «più poveri, abbando-
nati, e pericolanti figli del popolo»,227 di uno «stabilimento destinato a favore della povera e
pericolante gioventù».228
9.2 «Letture Cattoliche»
Una delle forme più evidenti di azione «preventiva» popolare e giovanile sono le «Letture
Cattoliche», che godono di un'azione diretta di don Bosco almeno fino al 1870.1 fascicoli
«saranno di stile semplice, dicitura popolare, e conterranno materia, che riguardi esclusivamen-
te alla Cattolica Religione»; per l'abbonamento si rinvia ai referenti diocesani.229 Nella circola-
re del 30 ottobre 1854 viene chiaramente dichiarato il fine preventivo della pubblicazione
periodica; le «Letture cattoliche» sorgono dal «vedere le arti sopraffine che i nemici di nostra
santa religione usano per diffondere l'errore, e corrompere il buon costume nelle popolazioni»
e sono «destinate a premunire il popolo cristiano contro alle trame che in tante svariate maniere
gli tendono in fatto di religione». È richiesta, perciò, la più intensa collaborazione: «V. S. può
prestarmi grandi ajuti in quest'opera di carità, sia col fare quanto può nel suo particolare, sia col
raccomandare o incaricare qualche persona pia, che Ella certamente conosce, onde arguât,
obsecrei, increpet in omni patientia et doctrina (...). Forse V. S. si stupirà ch'io mi raccomandi
così vivamente a Lei per questo affare; ma si persuada che siamo in momenti assai calamitosi
pe' seguaci della cattolica religione. I pericoli che minacciano chieggono la cooperazione e la
sollecitudine di tutti i buoni e segnatamente degli ecclesiastici».230 La denuncia dei pericoli e il
coinvolgimento nella collaborazione si ripetono negli appelli diramati al termine del terzo231 e
quarto232 anno della pubblicazione. «Libri cattivi, e pessimi scritti fatti per corrompere i cuori e
falsare l'intelletto dei semplici si spandono a profusione ed impune-
224 Lett, al barone Feliciano Ricci des Ferres, 7 maggio 1856, Em I 288; alla duchessa C. La-
vai de Montmorency, 12 ag. 1856, Em I 297; al can. Pietro De Gaudenzi, 19 genn. 1854, Em I 215.
225 Lett, al gen. Durando, nov. 1855, Em I 268-269.
226 Circolare, 1 ott. 1856, Em I 305; lett. alla «Mendicità Istruita», 18 nov. 1852, Em I 173.
227 Al sindaco di Torino G. B. Notta, 25 genn. 1855, Em I 244: «dimando solo un sussidio
onde poter dar pane a questi miei poveri ragazzi finché sia passata l'invernale stagione» (p.
243); «ho tutta la buona volontà di fare del bene alla gioventù più pericolante di questa città, e
specialmente in questo vicinato, ma ho bisogno che ella vengami in aiuto con mezzi pecuniarii»
(12 die. 1857, Em I 337).
228 Al sindaco di Torino, A. Nomis di Cossilla, 1 febbr. 1861, Em I 436.
229 Piano dell'Associazione, collocato in quarta pagina di copertina del numero zero Avvi-
si ai cattolici del febbraio 1853.
230 Circolare ai vicari generali delle diocesi, 30 ott. 1854, Em I 233.
231 Nel fascicolo 23 e 24, 10 e 25 febbraio: Libro della orazione domenicale scritto da San
Cipriano. Torino, Tipografia G. B. Paravia e Comp. 1855, pp. 3-13
232 Nel fascicolo 12 di febbraio: Due conferenze tra due ministri protestanti ed un prete cattoli-
co intorno al purgatorio. Torino, tip. di G. B. Paravia e comp. 1857, pp. 1-15, OE IX 21-35.

5.2 Page 42

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296 Pietro Braido
mente da una mano ignota, ma scaltra e che specula l'oro sulle umane passioni a
detrimento della fede, dei costumi, preparando alla famiglia, alla società intiera mali
incalcolabili! È dunque di tutta importanza, anzi è dover nostro affine di diminuire
per quanto è possibile i tristi effetti di quelli, di opporvi libri buoni per alimentare lo
spirito ed i cuori di principi morali (...). Tale è stato, o Signori, ed è lo scopo delle
Letture Cattoliche. Favorire pertanto questo nostro intento, è fare opera eminente-
mente cattolica e sociale, è fare opera di carità (...).233 «Non si tratta qui di speculazio-
ne libraria né di alcun materiale interesse; essa è opera di zelo, è opera di carità reli-
giosa e sociale, è opera tutta morale. Si tratta di istruire e di raffermare i buoni nei
principii del cattolicismo, di illuminare e attirare con quella affabilità, con quella dolce
carità che era propria e caratteristica del nostro divino Maestro, i traviati alla pratica
dei doveri religiosi (...). Le associazioni o società protestanti si gloriano di spargere
tra i cattolici a milioni a milioni i loro opuscoli, i loro scritti corrompitori della fede
e dei costumi, e noi cattolici vorremo lasciarci vincere? permetteremo, che in mezzo a
noi venga adulterata la nostra fede, maltrattata la nostra santissima Religione, perdu-
ta la moralità, senza che ci adopriamo con ogni mezzo con ogni sforzo a fine di
porvi un argine una barriera per impedire tanto male?».234
Parallelamente è sollecitato il sostegno di personaggi di particolare prestigio,
soprattutto vescovi: il card. Giacomo Antonelli, segretario di stato,235 l'arcivescovo
di Ferrara, card. Luigi Vannicelli Casoni,236 il vicario generale di Torino, Filippo Ra-
vina,237 l'arcivescovo di Firenze, Gioacchino Limberti.238 Al vescovo di Tortona, Gio-
vanni Negri, scrive: «questa nostra umile opera non è una speculazione libraria, né
di alcun interesse materiale, ma bensì un'opera di economia sociale e religiosa (...).
Al fine pertanto di poter continuare a contrapporre Letture istruttive e morali ai
mille opuscoli e fogli pessimi, che vanno spargendosi per corrompere nei semplici la
fede e la morale, abbisogniamo del valevolissimo suo patrocinio e dei saggi suoi
consigli».239 Diretta ad allargare la cerchia di quanti collaborano alla diffusione è la
circolare inviata nel settembre 1858 Ai benemeriti corrispondenti ed ai benevoli lettori
delle «Letture Cattoliche», segnalando la circolare diffusa negli stati pontifici dal
cardinal Vicario su ordine del papa Pio IX.240
233 Libro della orazione domenicale..., pp. 3-5.
234 G. Bosco, Due conferenze tra due ministri protestanti..., pp. 2-4, OE IX 22-24.
235 Lett, del 31 maggio 1853, Em I 197-198: «voglia aggiungere un novello tratto di bontà
col benedire l'associazione delle Letture Cattoliche, benedire tanti sgraziati giovani che in
mille guise sono ingannati nella religione, benedire me, povero sacerdote, che più di tutti abbi-
sogno».
236 Lett, del 19 die. 1853, Em I 209.
237 Lett, del 20 die. 1855, Em I 277-278.
238 Lett, del 21 genn. 1861, Em I 435.
239 Lett, del 30 genn. 1857, Em I 315.
240 Circ. del 15 sett. 1858, Em I 359-360.

5.3 Page 43

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Il sistema preventivo di don Bosco alle origini (1841-1862) 297
9.3 Lotterie
«Le lotterie - scrive Giuseppe Bracco - sono uno dei più grandi strumenti di
coinvolgimento della società civile nell'opera di don Bosco. Don Bosco, quando lan-
cia una lotteria, presenta una sua idea. Poi incomincia un'opera di coinvolgimento,
che è enorme, per la raccolta dei doni. Il momento della vendita dei biglietti è, sì, un
momento di coinvolgimento, ma certamente minore del coinvolgimento che viene
fatto prima per andare a costituire la Commissione promotrice, radunare i sostenitori
e i donatori: sono migliaia di persone».241 Due si svolgono nel 1852, una nel 1854 e
un'altra nel 1855, due di grandi dimensioni nel 1857 e nel 1862. La lotteria del 1857
conta su una Commissione di 20 membri, su 200 promotori e 141 promotrici,242
quella del 1862 dispone di una commissione di 23 membri, di 326 promotori e 208
promotrici.243 l’Appello della Commissione lanciato per la prima in data 20 dicembre
1851, già citato, è un capolavoro di «pedagogia preventiva» per adulti e giovani,
dove la visione fosca della situazione giovanile dà luogo all'indicazione dei mezzi e
dei metodi per farvi fronte.244 Gli inviti successivi (1857, 1862) seguono una traccia
analoga. Si pubblicizzano i tre oratori torinesi, dove «nei giorni festivi sono raccolti,
nel maggior numero che si può, quei giovani pericolanti della città e de' paesi di pro-
vincia che intervengono a questa capitale». Si parla di cappella per le funzioni reli-
giose, di locali per scuole di catechismo, scuole diurne e serali di lettura, scrittura,
musica vocale e strumentale, di spazi per la ricreazione, di collocamento al lavoro, di
assistenza continuata che «ad un buon padre si conviene»: tutte misure che servono
tra l'altro ad allontanare i giovani «dalle cattive compagnie, ove di certo correrebbe-
ro rischio di perdere lo scarso guadagno del lavoro, la moralità e la religione».245
Non c'è categoria di persone che non venga raggiunta a cominciare dalle autori-
tà civili (prefetto, intendente di finanza, ecc.) e non solo per gli indispensabili adem-
pimenti burocratici; e si moltiplicano le lettere circolari e individuali a persone di
ogni ceto sociale.246 Ritornano immancabili i consueti motivi preventivi: la condizione
dei «giovani poveri e abbandonati» e l'urgenza di farvi fronte, per il loro bene
241 G. BRACCO, Don Bosco e la società civile, p. 235. Sulle lotterie ci sono pagine interes-
santi del medesimo autore nel saggio Don Bosco e le istituzioni, in Torino e Don Bosco, a cura
di Giuseppe Bracco, vol. I Saggi. Torino, Archivio Storico della Città di Torino 1989, pp.
130142, 153-156.
242 Catalogo degli oggetti posti in lotteria a favore dei giovani dei tre oratorii di S. France-
sco di Sales in Valdocco, di S. Luigi a Porta Nuova, del Santo Angelo Custode in Vanchiglia.
Torino, tip. di G. B. Paravia e comp. 1857, 11-15 p., OE IX 1-17.
243 Elenco degli oggetti graziosamente donati a benefizio degli oratorii di S. Francesco di
Sales in Valdocco, di S. Luigi a Porta Nuova e dell'Angelo custode in Vanchiglia. Torino, tip. di
Giulio Speirani e figli 1862, 11-26 p., OE XIV 195-222.
244 Circolare del 20 die. 1851, Em I 139.
245 Catalogo degli oggetti..., pp. 1-2, OE IX 3-4.
246 In un breve saggio sui Lotti di beneficenza in Piemonte a metà dell'Ottocento («Studi
Piemontesi» 19 (1991) n. 2, novembre, pp. 447-451) Laura Borello sottolinea che rispetto ad
altre lotterie quelle di don Bosco si distinguono per la più vasta risonanza, il maggiore succes-
so, la molteplicità dei doni e l'alta percentuale di partecipanti, uomini e donne (p. 451).

5.4 Page 44

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298
Pietro Braido
individuale e l'ordine sociale: «la necessità di mantenere intatta la moralità della gioventù e di
promuoverne la cristiana istruzione»,247 «raccogliere la gioventù pericolante»,248 «prendere in
benigna considerazione lo stato di abbandono di questi poveri giovani»,249 «il bene morale dei
giovani poveri ed abbandonati che sono esposti a tanti e gravi pericoli girovagando per le vie
della città e paesi»,250 «toglier dalla via del disordine i più pericolanti giovanetti di codesta
nostra capitale per avviarli al lavoro ed alla moralità».251 Ne consegue, naturalmente, il soste-
gno da prestare agli oratori di don Bosco, «quest'opera di pubblica beneficenza», «questi luo-
ghi di pubblica beneficenza», «quest'opera di pubblica carità».252
10. Verso l'organizzazione di operatori «preventivi» associati
Dopo alcuni esperimenti tentati tra il 1849 al 1852 di preparare giovani collaboratori nel-
l'opera degli oratori, verso il 1854 si fa strada il progetto di una «associazione» o «congrega-
zione religiosa» che ne garantisse la continuità e la stabilità. Uno dei primi membri, don Rua,
attesta che la sera del 26 gennaio 1854 don Bosco propose a quattro suoi allievi sui sedici anni
di fare «una prova di esercizio pratico della carità verso il prossimo, per venire poi ad una
promessa; e quindi, se (fosse stato) possibile e conveniente di farne un voto al Signore».253 A
questa data, il 1854, don Bosco assegna nel 1876 l'inizio della storia della società salesiana.254
Poi nel corso del 1858 è redatto il primo Regolamento della congregazione di san Francesco di
Sales, tramandato in una copia di mano del chierico Rua.255 L'inizio della società salesiana
avviene formalmente il 18 dicembre 1859 con l'adesione dei primi diciotto membri e l'elezione
del consiglio direttivo. Li muove un risoluta volontà «preventiva», come risulta esplicitamente
dal verbale: i congregati si sono associati «tutti allo scopo ed in uno spirito di promuovere e
conservare lo spirito di vera carità che richiedesi nell'opera degli Oratorii per la gioventù ab-
bandonata e pericolante, la quale in questi calamitosi tempi viene in mille maniere sedotta a
danno della società e precipitata nell'empietà ed irreligione. Piacque pertanto ai medesimi
Congregati di erigersi in Società o Congregazione, che avendo di mira il vicendevole aiuto per
la santificazione propria, si proponesse di promuovere la gloria di Dio e la salute delle anime,
specialmente delle più bisognose d'istruzione e di educazione».256
247 Al vescovo di Biella, Pietro Losana, 4 maggio 1852, Em I 155.
248 Al vescovo di Acqui Terme, Modesto Contratto, 21 maggio 1852, Em I 158.
249 All'intendente di finanza, 22 marzo 1855, Em I 251.
250 Al prefetto della provincia di Torino, 14 marzo 1862, Em I 486.
251 Circolare a vari ministeri, 1 ag. 1862, Em I 513.
252 All'intendente di finanza di Torino, febbraio e aprile 1852, Em I 150-153.
253 L'informazione è riportata in MB V 9.
254 G. BARBERIS, Cronichetta, quad. 4 A, p. 40, mercoledì 2 febbr.
255 Costituzioni della Società di San Francesco di Sales (1858-1875), a cura di F. Motto,
Roma, LAS 1982 (Cost. SDB).
256 II testo del verbale si trova in MB VI 335-336.

5.5 Page 45

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Il sistema preventivo di don Bosco alle origini (1841-1862) 299
10.1 Chiesa, papi, sacerdoti per i giovani
Il fondamentale motivo preventivo viene esplicitato nel proemio e nell'introduzione stori-
ca alle Costituzioni già nella prima redazione del 1858. Si avverte un'evidente analogia con la
nota Introduzione al Piano di regolamento dell'Oratorio del 1854; però, nel 1858 il testo ap-
proda non più soltanto all'oratorio, ma a quella che, in un manoscritto del 1864, don Bosco
definirà la «congregazione degli oratori». Ancora e più che nel 1854 vede la sua iniziativa in
continuità con la secolare «sollecitudine de' ministri della chiesa», consapevoli che «dalla
buona o cattiva educazione» della gioventù «dipende un buono o tristo avvenire ai costumi
della società», e con il costante zelo dei «sommi pontefici», i quali «seguendo le vestigia del
Pontefice eterno, il Divin Salvatore», «promossero in ogni tempo e colla voce e cogli scritti la
buona educazione della gioventù, e favorirono in modo speciale quelle istituzioni che a questa
parte di sacro ministero dedicano le loro cure».257
Ed è significativo che negli stessi anni, mentre redige la serie delle vite dei papi, don Bo-
sco metta in luce in esse gli identici aspetti della sua sollecitudine «preventiva», sia pure con
evidenti forzature della storia reale: l'impegno benefico e pastorale in favore dei fedeli giovani
e adulti, lo stile della religiosità e dell'amore, l'uso frequente dei sacramenti della penitenza e
dell'eucaristia. Fin dal battesimo Cleto «divenne presto il modello della crescente cristianità. La
sua mansuetudine guadagnava il cuore degli stessi pagani»;258 così pure il successore, Clemen-
te, nel quale l'esempio del martirio di Pietro e Paolo aveva contribuito «ad infiammare la (...)
carità, a rafforzare (...) lo zelo e a rendere immobile la (...) fede», governava la Chiesa «con
ammirabile mansuetudine e saviezza».259 A proposito dello zelo di Anacleto si dice che il pon-
tefice, «persuaso che tutti i fedeli hanno bisogno di cibarsi sovente del sacro corpo di G. Cristo
per conservarsi nello stato di grazia, ordinò che tutti quelli che andavano ad ascoltare la santa
messa dovessero trovarsi in tale stato da poter fare la santa comunione ogni volta che assiste-
vano a questo divin sacrifizio»;260 «S. Evaristo unicamente occupato a soddisfare a tutti i dove-
ri di un buon pastore, non si riposava quasi mai né giorno né notte; predicava la parola di Dio
ai sacerdoti ed ai semplici fedeli, visitava gli ammalati, distribuiva egli stesso più volte al
giorno la santa Eucaristia. Il suo zelo infaticabile diffondevasi perfino ai fanciulli, i quali con
amorevolezza accoglieva e incoraggiava alla virtù».261 Durante la persecuzione di Adriano
257 Cost. SDB, p. 28.
258 G. Bosco, Vita de' sommi pontefici S. Lino, S. Cleto, S. Clemente. Torino, tip. di G. B.
Paravia e comp. 1857, p. 50, OE IX 386.
259 G. Bosco, Vita de' sommi pontefici S. Lino..., p. 62, OE IX 398.
260 G. Bosco, Vita de' sommi pontefici S. Anacleto, S. Evaristo, S. Alessandro I. Torino,
tip. di G. B. Paravia e Comp. 1857, p. 20, OE IX 464. In conclusione di capitolo egli riassume
il suo pensiero sulla comunione ben fatta e frequente, anticipando, arricchendolo, tutto ciò che
affiderà nel 1877 alle pagine sul sistema preventivo (Il sistema preventivo nella educazione della
gioventù, IL VII e Vili): la prassi dei cristiani della chiesa primitiva, l'autorità di S. Agostino, le
dichiarazioni del concilio di Trento (sess. 22, cap. 6) (Vita de' sommi pontefici S. Anacleto..., pp.
25-26, OE IX 469-470).
261 G. Bosco, Vita de' sommi pontefici S. Anacleto..., p. 33, OE IX 477.

5.6 Page 46

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300
Pietro Braido
sant'Alessandro «raddoppiò zelo e coraggio. La sua sollecitudine confortata dalla grazia gli
aveva fatto guadagnare l'affetto di tutto il popolo».262 S. Sisto «si fece tutto a tutti per guada-
gnar tutti a Gesù Cristo»;263 e a Sotero la «suprema dignità» anziché impedire, servì «a far
risplendere quel carattere di carità e beneficenza che in ogni tempo ha sempre reso celebre la
Chiesa Romana» e «in ogni tempo il Sommo Pontefice» chiamato «anche per questo titolo
padre universale dei fedeli».264 Di s. Zeffirino è messa in rilievo «la carità grande con cui rice-
veva i peccatori a penitenza; che anzi condannò alcuni che insegnavano non doversi concedere
il perdono a quelli che cadevano nel peccato di disonestà»;265 e di s. Urbano la «grande carità
verso i poveri, la sollecitudine nel convertire i gentili al vangelo e nel soccorrere ed incoraggire
i cristiani che pativano per la fede».266 Fermezza nel conservare «il deposito della sana dottri-
na», «dolcezza e pazienza», «carità e pazienza», «zelo e grande carità» sono lodate in Stefano
I267 e Felice I.268
10.2 L'avvento dei salesiani per i giovani e la prima codificazione delle istituzioni «preventi-
ve»
L'essenziale intenzione «preventiva» appare chiaramente identificata con lo scopo della
società salesiana. «A' nostri giorni però il bisogno è di gran lunga più sensibile. La trascuratez-
za di molti genitori, l'abuso della stampa, gli sforzi degli eretici per farsi seguaci, mostrano la
necessità di unirci insieme a combattere la causa del Signore sotto allo stendardo della fede, e
così conservare la fede ed il buon costume in quella classe di giovani che per essere poveri
sono esposti a maggiori pericoli
262 G. Bosco, Vita de' sommi pontefici S. Anacleto..., p. 43, OE IX 487.
263 G. Bosco, Vita de' Sommi Pontefici S. Sisto, S. Telesforo, S. Igino, S. Pio L... Torino,
tip. di G. B. Paravia e Comp. 1857, p. 6, OE X 6.
264 G. Bosco, Vita de' sommi pontefici S. Aniceto, S. Sotero, S. Eleutero, S. Vittore e S.
Zeffirino. Torino, tip. G. B. Paravia e compagnia 1858, pp. 23 e 25-26, OE X 227 e 229-230.
265 G. Bosco, Vita de' sommi pontefici S. Aniceto..., p. 72, OE X 276.
266 G. Bosco, Vita del sommo pontefice S. Urbano I. Torino, tip. G. B. Paravia e comp.
1859, p. 3, OE XI 297.
267 G. Bosco, Vita e martirio de' sommi pontefici san Lucio I e santo Stefano I. Torino,
tip. G. B. Paravia e comp. 1860, pp. 48-49, OE XII 194-195.
268 G. Bosco, Il pontificato di s. Felice primo e di S. Eutichiano papi e martiri. Torino, tip.
dell'Oratorio di S. Frane, di Sales 1862, pp. 22-23 e 32, OE XIII 360-361, 370. Il vertice sarà
raggiunto, in una «vita» dell'anno seguente, da un papa perseguitato che si occupa anche di
«giovanetti poveri e abbandonati». S. Cajo, dimorando «in oscuri nascondigli», «colà riceveva,
instruiva nella fede tutti quelli che facevano a lui ricorso»; ma faceva anche «frequenti gite»
all'esterno e «gli ammalati degli ospedali, i giovanetti poveri ed abbandonati, gli infermi, i
poveri, i carcerati, e tutti insomma i bisognosi erano oggetto della sua carità e del suo zelo» (G.
Bosco, Il pontificato di S. Cajo papa e martire. Torino, tip. dell'Orai, di S. Frane, di Sales
1863, pp. 88-89, OE XIV 450-451); «instruire i fanciulli; aver cura delle vedove e degli orfani»
sarebbe stato uno dei principali uffici dei preposti alle 25 parrocchie romane durante il pontifi-
cato di Marcello I (G. Bosco, Il pontificato di S. Marcellino e S. Marcello papi e martìri. Torino,
tip. dell'Orai, di S. Frane, di Sales 1864, p. 68, OE XV 68).

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Il sistema preventivo di don Bosco alle origini (1841-1862)
301
di loro eterna salute. Egli è questo lo scopo della congregazione di s. Francesco di Sales inizia-
ta in Torino nel 1841».269 Evidentemente non è questa la data dell'inizio reale della Società di
san Francesco di Sales. E riflette ancora la preoccupazione di don Bosco di dare alla sua socie-
tà religiosa una patente di antichità, quanto scrive più avanti nella introduzione al testo delle
Costituzioni.270 Da essa, invece, risulta persuasiva la genesi, con accresciute motivazioni «pre-
ventive», delle tre istituzioni giovanili di base: l'oratorio, l'ospizio-pensionato, l'ospizio-
collegio con laboratori e scuole interne.
L'inizio è segnato dall'esperienza dell'«oratorio», descritto come forma caratteristica di
approccio e di vita con i giovani: nella chiesa di san Francesco d'Assisi, accanto al convitto
ecclesiastico nel triennio 1841-1844, al Rifugio negli anni 1844 - 1845 e altrove tra il 1845 e il
1846. Le modalità sono tipiche: «accogliere in appositi locali i giovani più abbandonati della
città di Torino a fine di trattenerli con trastulli e nel tempo stesso dar loro il pane della divina
parola [disporre di] un edifizio a forma di chiesa con facoltà di fare ivi quelle sacre funzioni
che sono necessarie per la santificazione dei giorni festivi e per istruzione de' giovani che ogni
giorno più numerosi intervenivano».271
Emerge ben presto una più radicale esigenza «preventiva» con una soluzione «oratoriana»
nuova, l'ospizio-pensionato. Esso è destinato a quei molti che per l'analfabetismo religioso e
culturale, la povertà e l'abbandono, dovettero essere «accolti in una casa per essere tolti dai
pericoli, instrutti nella religione e avviati al lavoro». Ne è prototipo la «casa annessa all'Orato-
rio di s. Francesco di Sales ove i ricoverati sono in numero di duecento circa».272
La «casa annessa», poi, con la organizzazione di laboratori e di classi ginnasiali interni
per artigiani e studenti, assumeva l'ulteriore forma di ospizio-internato, dive-
269 Cost. SDB, p. 60.
270 Cost. SDB, p. 70. Secondo un uso secolare il termine «congregazione» significa anche
confraternita, riunione o associazione religiosa (si pensi, per esempio, alle «congregazioni ma-
riane»), oratorio festivo. In data 28 agosto 1850 don Bosco chiede in due suppliche distinte al
papa Pio IX particolari indulgenze per «una Congregazione sotto il titolo e protezione di S.
Francesco di Sales» e per «una Congregazione sotto il titolo e protezione del Santo Angelo Cu-
stode»; dell'una e dell'altra don Bosco si dichiara «Direttore» e l'una e l'altra hanno lo scopo
«d'istruire nella religione e nella pietà la gioventù abbandonata» (Em I 109 e 110). Con la
stessa data come «Direttore degli Oratorii sotto il titolo del S. Angelo Custode, di S. Luigi
Gonzaga, e di S. Francesco di Sales stabiliti in Torino per istruire nella religione e nella pietà la
gioventù abbandonata» supplica il papa di accordargli la facoltà almeno ad triennium di bene-
dire corone, crocifissi e medaglie indulgenziati (Em I 111).
271 Cost. SDB, p. 62. Don Bosco tiene a sottolineare le ampie facoltà date dall'arcivescovo
nel 1844 per cui l'oratorio svolge praticamente le funzioni di parrocchia (per giovani senza
parrocchia) (Cost. SDB, p. 64). L'affluenza dei giovani e il diverso bisogno di due altri quartieri
della città, l'uno minacciato dalle vicine chiesa e scuola valdese e l'altro estremamente povero,
porta alla fondazione degli oratori di san Luigi a Porta Nuova e dell'Angelo Custode a Vanchi-
glia.
272 Cost. SDB, pp. 66-68. Nel 1859 i ricoverati risultano 184, significativamente accresciuti
rispetto ai 113 dell'anno precedente.

5.8 Page 48

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302
Pietro Braido
nendo modello del «collegio» che doveva avere un prevalente sviluppo nei decenni
successivi.
Di queste tre istituzioni educative e di altre forme «preventive» offre un'esau-
riente normativa il primo capitolo delle Costituzioni, partendo dalla definizione dello
«scopo della congregazione»: l'imitazione delle «virtù del nostro divin Salvatore»
(prima redazione), «specialmente nella carità verso i giovani poveri» (redazioni del
1860/1861), «ogni opera di carità spirituale e corporale verso de' giovani specialmente
se sono poveri, ed anche la educazione del giovane clero» (dalle redazioni del
1862/1864).273 «Il primo esercizio di carità» è ovviamente l’oratorio, dove si raccolgo-
no «giovani poveri ed abbandonati per istruirli nella santa cattolica religione, special-
mente ne' giorni festivi».274 Segue l’ospizio-pensionato, dove sono accolti «quelli che
sono talmente abbandonati che per loro riesce inutile ogni cura se non sono ricove-
rati» e «sarà loro somministrato alloggio, vitto e vestito», «saranno istruiti nelle verità
della fede» e «avviati a qualche arte o mestiere».275 Si aggiungono istituti di studio sia
per aspiranti al sacerdozio di cui salvaguardare la vocazione, i piccoli seminari, sia
per giovani «mancanti di mezzi onde fare altrove i loro studi», i collegi.216
Ma oltre l'impegno specificamente giovanile è prospettata una più vasta opera
di preservazione e di prevenzione per cerchie più ampie di destinatari, anche adulti:
«sostenere la religione cattolica» «fra gli adulti del basso popolo e specialmente nei
paesi di campagna», con la predicazione di «esercizi spirituali», la diffusione di
«buoni libri», le «letture cattoliche», insomma «tutti que' mezzi che suggerirà la carità
industriosa» purché «colla voce o cogli scritti si ponga un argine all'empietà e all'e-
resia che in tante guise tenta d'insinuarsi fra i rozzi e gl'ignoranti».277
11. Verso due formule di sintesi
Quando don Bosco scrive i Cenni storici, tra il 1861 e il 1862, è già in possesso
di una formula doppiamente «classica», appartenente sia al mondo dell'antica
Roma che al primo monachesimo occidentale: «farsi amare piuttosto che [prima di,
se vuoi] farsi temere». Meno esplicita, ma fortemente radicata nella realtà è l'altra
enunciata nel 1877: «ragione, religione, amorevolezza».
11.1 «Studia di farti amare piuttosto che farti temere»
Nei Cenni storici la prima viene così enunciata: «saperci fare amare per farci di
poi temere».278 Essa sarà ripetuta in seguito in documenti più o meno ufficiali, a co-
273 Cost. SDB, art. 1, p. 72.
274 Cost. SDB, art. 3, p. 74.
275 Cost. SDB, art. 4, p. 74.
276 Cost. SDB, art. 5, p. 76.
277 Cost. SDB, art. 5, p. 78.
278 Nel testo manoscritto l'approdo definitivo è preceduto da diverse varianti: «bisogna
che facciamo di farci amare e non mai di farci temere», «bisogna studiare il modo di farci ama-
re per di poi farci temere», «studiare il modo di farsi amare per farsi poi all'uopo temere».

5.9 Page 49

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Il sistema preventivo di don Bosco alle origini (1841-1862) 303
minciare da quella lettera a don Rua del novembre del 1863, che sotto il nome di Ricordi con-
fidenziali, sarà poi riservata, in una redazione più ampia, ai direttori salesiani.
La dialettica, per antitesi o integrazione, di amore e timore è presente nella spiritualità e
nella pedagogia di don Bosco fin dai primi scritti per i giovani; e descrive il modo di concepire
i rapporti sia tra l'uomo e Dio sia tra i giovani e gli educatori. Nell'un caso e nell'altro sono
presupposti una certa concezione di Dio e un particolare modo di essere educatori. Dio, bontà e
misericordia, vuole la felicità temporale ed eterna del giovane; lo guida con i precetti, lo induce
all'osservanza con pensieri di eternità e di timore, i «novissimi», lo «assiste» amorosamente
con i mezzi di natura e di grazia. L'educatore non ha che da ispirarsi a così alto modello.
In questo senso, l'origine remota della formula può rintracciarsi negli anni in cui don Bo-
sco era impegnato nella compilazione del Giovane provveduto, a contatto soprattutto con
l’Istruzione della gioventù nella pietà cristiana del sacerdote parigino Charles Gobinet (1613-
1690),279 che Pietro Stella considera la fonte primaria del libro di don Bosco.280 In questo si
possono facilmente individuare contenuti e ispirazioni provenienti dalla prima parte del libro
del Gobinet: il singolare amore di Dio per i giovani, lo stretto legame tra età giovanile, vita
onesta e salvezza, i mali che derivano dai peccati commessi in gioventù, in particolare «l'otte-
nebrazione dello spirito e l'ostinazione nel vizio». Da questi principi si sviluppa l'itinerario
spirituale del giovane scandito dal pensiero della salvezza, l'acquisto della virtù, l'esperienza
unitaria del timore e dell'amore. Sia la creazione che la grazia del battesimo, l'essere cristiano,
ha una sorgente unica, Dio: che è «Padre», «misericordia», «bontà», «amore specialissimo» se
si tratta di età giovanile.281 La risposta dell'uomo non può che riassumersi nel duplice atteg-
giamento, amare e temere. «Iddio ha avversione per tutti i peccatori (...) ma l'ha ancor maggio-
re per coloro, a' quali avendo date prove irrefragabili del suo amore, e della sua benevolenza,
indegnamente se ne abusano».282 Bisogna, dunque, porsi «nel cammino della virtù durante gli
anni giovanili»: il che, anzitutto, «consiste nel temer Dio, e nel fuggire intieramente il pecca-
to»; non già il «timore servile, che teme la pena senza abborrire il peccato», ma «il timore
amoroso de' figli di Dio, che loro fa odiare il peccato, perché dispiace a S. D. M. ed amare il
bene a causa che gli è aggradevole», il «timor di Dio, che fa osservare i suoi comandamenti in
tutte le parti, e per suo amore».283 Ma il timor di Dio è solo «il cominciamento della sapienza»
per cui «si considera la grandezza, e la maestà di Dio, la santità sua, la sua potenza e giusti-
zia».284 Se «la grandezza di Dio ci obbliga a temerlo,
279 Cf P. sTELLAj Valori spirituali nel «Giovane provveduto» di san Giovanni Bosco. Roma,
[PAS] 1960, pp. 22-36, 78. Don Bosco si è servito del testo in traduzione italiana incluso nella
Scelta biblioteca economica di opere di religione, vol. XXIII. Torino, Librai Maspero e Serra
1831.
280 P. STELLA, Valori spirituali..., p. 78.
281 C. GOBINET, Istruzione della gioventù..., parte I, p. 17, 22, 31.
282 C. GOBINET, Istruzione della gioventù..., parte I, cap. VI, p. 38.
283 C. GOBINET, Istruzione della gioventù..., parte II, cap. I, p. 91; cfr. cap. Il, pp. 92-93.
284 C. GOBINET, Istruzione della gioventù..., parte IV, cap. II Del timor di Dio, p. 247.

5.10 Page 50

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304
Pietro Braido
ed onorarlo con profondo rispetto, la sua bontà ci obbliga altrettanto ad amarlo.
Bisogna temer Dio a cagione della sua grandezza, che lo rende infinitamente adora-
bile: bisogna amarlo a cagione della sua bontà, che lo rende infinitamente amabile;
né si debbono separar queste due cose, il timore, e l'amore. Il timore di Dio è il
principio del suo amore, come dice la sacra Scrittura; l'amore è la perfezione del
timore».285
Anche se non tematizzato il binomio amore-timore è trasferito in certa misura
nel Giovane provveduto. I giovani sono invitati a indirizzare ogni loro azione al fine
per cui sono stati creati specialmente per «il grande amore» che Dio porta a loro,
per la «particolare affezione» di cui sono oggetto, comprovata anche dalla «speciale
benevolenza» del Salvatore verso i fanciulli. Lo stesso Dio, però, «minaccia terribil-
mente coloro che con parole o con fatti (...) danno scandalo».286 La considerazione
della dignità battesimale e la prospettiva del paradiso elargite da Dio che «ama qual
tenero padre» non possono occultare il pericolo di perdizione in «anima e corpo» se
si sbaglia la via e l'obiettivo:287 «devi considerare (...) che questo Dio, quantunque
buono, tuttavia resta grandemente sdegnato quando l'offendi. Perciò hai molto a
temere, che quando i tuoi peccati siano pervenuti ad un tal numero, egli ti abbando-
ni».288
Una svolta decisiva nell'integrazione di amore e timore è evidenziata nella Storia d'Ita-
lia, compilata nel biennio 1854-1855.289 In essa la formula «farsi amare piuttosto che farsi
temere» appare in più versioni, spesso occultata sotto espressioni che sottolineano la giusti-
zia, la bontà, l'amabilità di un personaggio - governante, generale o simili - che avrebbe
potuto invece privilegiare la potenza e la temibilità. Ciò è conforme alla sua derivazione
classica greco-romana, riferita, in negativo, al tiranno crudele e sospettoso e, in positivo, al
governante giusto e «pio», l'uno e l'altro all'origine di contrastanti atteggiamenti di timore o
di amore da parte dei sudditi.29" È difficile stabilire quando e in quale misura l'antitesi o la
composizione di amore e timore, presenti nella Storia d'Italia, derivino dalle fonti utilizzate o
siano proprie dell'autore. Tra i libri di storia da cui dipende la compilazione di don Bosco
sembrano risultare più vicini, limitatamente all'epoca antica, La storia antica raccontata
a'fanciulli dal sig. Lamé Fleury291 e, con minor peso, il Compendio della storia romana per
285 C. GOBINET, Istruzione della gioventù..., parte IV, cap. III Dell'amore di Dio, p. 248;
cfr. ancora, pp. 249-250.
286 G. Bosco, Il giovane provveduto..., pp. 10-11, OE II 190-191.
287 G. Bosco, Il giovane provveduto..., pp. 32-33, OE 212-213.
288 G. Bosco, Il giovane provveduto..., pp. 35-36, OE II 215-216.
289 G. Bosco, La storia d'Italia raccontata alla gioventù da' suoi primi abitatori sino ai
nostri giorni. Torino, tip. Paravia e comp. 1855, 559 p., OE VII 1-559.
290 Si rinvia alla densa ricerca di K. GROSS, Plus amari quam timeri. Eine antike politische
Maxime in der Benediktinerregel, in «Vigiliae Christianae» 27 (1973) 218-229. Sulla presenza
della formula negli scritti di don Bosco si possono vedere rapidi cenni in Don Bosco educato-
re..., pp. 281-284.
291 Per la Storia greca si è utilizzata la traduzione di Giannantonio Piucco, terza edizione.
Venezia, tip. e libr. Santini e figli 1846; per la Storia romana, 2 vol., la traduzione di G. Caleffi.
Seconda edizione. Firenze, S. Coen 1847.

6 Pages 51-60

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6.1 Page 51

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Il sistema preventivo di don Bosco alle origini (1841-1862) 305
uso delle scuole di Oliver Goldsmith.292 Dal Lamè-Fleury don Bosco sembra ricavare il giudi-
zio su Dionigi il tiranno: «Poco geloso di farsi amare dai Siracusani purché essi lo temesse-
ro»,293 quasi trascrivendo: «Poco geloso di farsi amare, purché fosse temuto»;294 e su Vespa-
siano: «Aveva saputo farsi amare dai soldati, tanto per la sua affabilità verso di loro, quanto pel
suo non comune valore nell'arte della guerra».295 Talune convergenze si riscontrano anche con
Oliver Goldsmith, che, ad esempio, così presenta Scipione l'Africano: «le prerogative di un
gran generale s'accoppiavano in lui ad un'insigne onestà e al più tenero cuore (...). L'animo suo
dolce, generoso e benevolo gli fu cagione di vittorie più ancora che la forza stessa delle sue
armi»;296 don Bosco trascrive: «alle prerogative di un gran capitano Scipione accoppiava un'in-
signe onestà, ed era così affabile e benevolo, che vinceva colla dolcezza quelli che non poteva
vincere colla forza».297 Spesso i vincoli colle fonti indicate non sono altrettanto visibili, talvol-
ta del tutto inesistenti; ma la formula, esplicita o implicita, appare ugualmente. Numa Pompi-
lio, scrive don Bosco, «aveva imparato ad essere benefico e giusto verso di tutti, ond'era da
tutti amato», «fece molte leggi (...) favorevoli alla religione. Egli era persuaso essere impossi-
bile frenare i disordini senza di essa».298 I due Gracchi «sarebbero stati amati come buoni ed
onesti giovani, se non avessero voluto conseguire colla forza e colla violenza ciò che un buon
cittadino non deve pretendere».299 Ottaviano «attendeva con tutte le sue forze a promuovere
l'ordine, ed a procacciarsi coi benefizii l'amore de' Romani (...) Primo imperatore dei Romani
(...) da quel tempo Augusto si applicò unicamente al bene de' suoi sudditi, e si mostrava cortese
ed affabile verso i suoi medesimi nemici»;300 Tito «desiderava essere da tutti amato, anziché
temuto».301 Si potrebbero moltiplicare le citazioni nelle quali elementi di timore, non servile e
forzato, energia di comando politico o militare, rispetto per la religione, affabilità e amore si
coagulano suscitando amore nei buoni e paura nei malvagi.302
292 Traduzione di F. Vallardi intieramente riveduta. Torino, G. Marietti 1851.
293 J. R. LAMÉ-FLEURY, La storia greca..., p. 248.
294 G. Bosco, La storia d'Italia..., p. 49, OE VII 49.
295 J. R. LAMÉ-FLEURY, La storia romana..., p. 104. Don Bosco scrive: «Vespasiano era
uomo coraggioso, abilissimo in fatto d'armi, affabile e cortese con tutti, perciò amato da tutti
quelli che lo conoscevano» (La storia d'Italia..., p. 114, OE VII 114); «costui amava la giustizia
ed era da tutti amato per la sua affabilità, pel suo coraggio» (G. Bosco, Vita de' sommi pontefi-
ci S. Lino, S. Cleto, S. Clemente. Torino, tip. di G. B. Paravia e comp. 1857, p. 43, OE IX 379).
296 G. GOLDSMITH, Compendio della storia romana..., p. 98.
297 G. Bosco, La storia d'Italia..., p. 72, OE VII 72.
298 G. Bosco, La storia d'Italia..., pp. 24-25, OE VII 24-25.
299 G. Bosco, Storia d'Italia..., p. 80, OE VII 80.
300 G. Bosco, La storia d'Italia..., p. 96 e 99, OE VII 96 e 99. Ottaviano Augusto trovatosi
«assoluto padrone della repubblica, da severo e crudele che sino allora era stato, divenne con
tutti cortese e affabile, e cercò co' suoi beneficj di guadagnarsi l'amore del popolo e dell'arma-
ta» (J. R. LAMÉ FLEURY, La storia romana..., parte prima La repubblica, volgarizzata e di note
arricchita dal professore Giuseppe Caleffi... Firenze, S. Coen 1847, p. 201).
301 G. Bosco, La storia d'Italia..., p. 117, OE VII 117.
302 Così Alessandro Severo, Gioviano, Totila, Ruggero I, Enrico Dandolo, Cosimo de'
Medici, Lorenzo il Magnifico, Francesco Sforza, Vittorio Amedeo II, Carlo Alberto (G. Bo-

6.2 Page 52

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306
Pietro Braido
La formula era matura per diventare principio di azione pedagogica. Essa si e-
sprime chiaramente in quanto tale negli anni 1861-1962. Secondo un testo che Gio-
vanni Battista Lemoyne afferma ricavato da una cronaca di Giovanni Bonetti, sa-
rebbe comparsa in un sermoncino serale di don Bosco ai giovani dell'Oratorio: «Noi
non vogliamo essere temuti, desideriamo di essere amati e che abbiate in noi tutta la
confidenza».303
11.2 Ragione, religione, amorevolezza
Ma la Storia d'Italia, libro di morale cristiana e civile,304 è la più idonea anche a
stabilire un legame con un'altra formula che uscirà dalla penna di don Bosco nel
1877, ma nella realtà è presente fin dai primi anni della sua attività benefica e educati-
va: «Questo sistema si appoggia tutto sulla ragione, la religione e sopra l'amorevolez-
za». Effettivamente i copiosi elementi affettivi che la percorrono si intrecciano costan-
temente con l'autorità, la legge (la ragione) e la religione, fondamento di ogni stabile
e fecondo ordine sociale e politico. Il governo della cosa pubblica dovrebbe essere
affidato, secondo don Bosco, alla competenza e capacità degli «ottimati» e non
abbandonato agli umori della folla. Per lui ogni rivoluzione di popolo è sopravvento
dell'irrazionale, anarchia, «governo senza legge, e senza religione».305 La comunità civi-
le e politica - sia essa retta a monarchia o a repubblica - è fondata sul governo il-
luminato e paterno, rispettoso della religione, di chi per successione ereditaria o per
altro legittimo titolo, non «democratico» né demagogico, detiene il potere, e sulla
affezione dei sudditi, dediti a promuovere la prosperità comune con l'agricoltura, l'ar-
tigianato e i commerci, nel rispetto religioso di Dio e nell'ossequio all'autorità.306
«Solo nel sentimento religioso e nel rispetto dell'autorità può la società sconcertata
trovare forza e salvezza».307 In fondo la stessa triade - autorità e legge (ragione), reli-
gione e affezione -, che sta alla base del sistema politico, è fondamento
sco, La storia d'Italia..., pp. 131-132, 153, 193, 243, 278, 341, 345-346, 364, 429, 484, OE VII
131-132, 153, 193, 243, 278, 341, 345-346, 364, 429, 484). In controluce: l'arcivescovo di Pisa,
Ruggeri, «nemmeno curavasi di affezionarsi i minori cittadini; i quali opprimeva con insoppor-
tabili gabelle»; il duca di Atene era «un furbo scellerato, che fingeva di amare il popolo, e in
realtà non cercava che opprimerlo per arricchire se stesso» (La storia d'Italia..., pp. 292,
301302, OE VII 292, 301-302).
303 MB VI 320-321.
304 «Il mio scopo, ognuno può vederlo in tutti i capi, [è] di infondere pensieri morali e
condurre il giovane lettore alla considerazione della legge divina che obbliga ogni uomo all'os-
servanza della legge umana» (lett. al ministro Michele Amari, maggio-giugno 1863, Em I 585).
305 G. Bosco, La storia d'Italia..., p. 501, OE VII 501.
306 Descrivendo il ritorno di Pio IX da Gaeta don Bosco si compiace di sottolineare «le
grandi espressioni di affetto e di amore del sovrano verso il suo popolo e del popolo verso il
suo sovrano» (La storia d'Italia..., p. 513, OE VII 513).
307 Sono parole che con evidente condivisione don Bosco attribuisce al generale francese
che ha riconquistato Roma a Pio IX (La storia d'Italia..., p. 509, OE VII 509). Si spiega che
don Bosco dia un senso del tutto positivo alla «restaurazione» e, in particolare, alla «ristora-
zione» del potere temporale del papa (cf La storia d'Italia..., pp. 510, 514, 522, OE VII 510,
514, 522).

6.3 Page 53

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Il sistema preventivo di don Bosco alle origini (1841-1862)
307
pure di ogni valida istituzione educativa, così come l'idea di paternità si può attribuire corret-
tamente al papa «padre spirituale di tutti i fedeli», al capo dello stato, al direttore della casa di
educazione.
12. La formazione «preventiva» dei giovani salesiani»
Nel passaggio dal primo ventennio al periodo successivo, da don Bosco prete diocesano a
don Bosco fondatore religioso, si delinea pure una primordiale pedagogia «salesiana» intesa a
dare una particolare formazione dei collaboratori nella missione «preventiva» dell'oratorio,
costituitisi in potenziale società religiosa nel 1859. Era necessario approfondire la comune
sollecitudine assistenziale ed educativa, forgiare una spiritualità condivisa, fare dell'aggregato
di persone «un cuor solo e un'anima sola».
La prima formazione «salesiana» dei giovani collaboratori avviene nella medesima co-
munità dei giovani, di cui è direttore e animatore don Bosco. Essa si attua principalmente quasi
per osmosi nella consuetudine quotidiana di identiche esperienze di vita: la disciplina, l'am-
biente e l'atmosfera familiare, la «pietà», lo studio, il lavoro, le feste, le attività ricreative. Vi
ha parte notevole il sermoncino serale, nel quale soprattutto don Bosco parla degli avvenimenti
del giorno, consiglia, ammonisce, dà spazio ai «sogni» con insistenti richiami al «futuro».
Tutto è «assistenza» e «prevenzione»: dal pane quotidiano materiale al cibo spirituale, dalle
cose necessarie per lo studio al presidio dei «sacramenti» dispensatori di grazia e di salvezza. I
«religiosi» di don Bosco diventano tali soprattutto a questa scuola.
Si assimila uno «spirito» che si riassume, anzitutto, nello stile di vita e di azione di don
Bosco. Egli era visto quotidianamente dai discepoli quale lo descriveva in quegli anni un gior-
nale amico, «L'Armonia»: «zelante sacerdote ansioso del bene delle anime»; ai giovani costan-
temente «maestro, compagno, esemplare ed amico»;308 «ottimo e caritatevole sacerdote»;309
sacerdote «zelante, operoso, ed insieme intelligente e pratico nell'istruzione del popolo»;310 un
prete dei giovani «che egli ama come suoi figli, e cui essi amano come lor padre»;311 degnissi-
mo sacerdote «tutto dedicato a sottrarre dalla miseria e dall'abbandono i poveri ragazzi, che
lasciati a se stessi sarebbero rovinati o per l'anima o pel corpo, o per amendue»;312 in sintesi,
un singolare «educatore degli educatori» che da vari anni si firma «capo dei birichini» e quali-
fica se stesso come «birichino»,313 che si è proposto come programma: «la mia volontà (...) fu
sempre di fare del bene a tutti quelli cui posso e del male a nissu-
308 «L'Armonia», 7 apr. 1849, OE XXXVIII 11.
309 «L'Armonia» 10 ag. 1854, OE XXXVIII 27.
310 «L'Armonia», 4 febbr. 1856, OE XXXVIII 32.
311 «L'Armonia», 4 febbr. 1858, OE XXXVIII 45.
312 «L'Armonia», 28 maggio 1862, OE XXXVIII 58.
313 Si vedano le tante lettere con questo appellativo a cominciare dal 1849 al 1856. L'Orato-
rio di Valdocco fa parte del casato dei birichini, la «casa birichinoira».

6.4 Page 54

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308
Pietro Braido
no».314 La figura si ingrandisce, affascinando con tratti speciali, nel passaggio dagli anni '50 ai
'60 come si può rilevare dall'autonoma costituzione di una Commissione formata da giovani
chierici impegnati a conservare e tramandare tutto ciò che riguarda don Bosco e la sua azione.
Ne riferisce una cronaca particolarissima: «Le doti grandi e luminose che risplendono in D.
Bosco, i fatti straordinarii che avvennero in lui e che tuttodì ammiriamo, il suo modo singolare
di condurre la gioventù per le vie ardue della virtù, i grandi disegni che egli mostra di ravvol-
gere in capo intorno all'avvenire, ci rivelano in lui qualche cosa di sovrannaturale, e ci fanno
presagire giorni più gloriosi per lui e per l'oratorio».315
Ci sono anche momenti di formazione specifica. Essa, nei primi anni, è dispensata esclu-
sivamente da don Bosco. Se si deve credere alle Cronache di due giovani collaboratori, Gio-
vanni Bonetti (1838-1891) e Domenico Ruffino (1840-1865), che ricoprono un periodo che va
dal 1858/59 al 1864, egli - in conversazioni familiari, sermoncini serali, conferenze - insiste
neh'attribuire a straordinari interventi provvidenziali la sua «vocazione» di servizio ai giova-
ni.316 S'infittiscono soprattutto le rievocazioni di tre «inizi» di tale missione: l'apostolato tra i
propri coetanei e gli adulti della borgata natia; l'inattesa opportunità di iniziare gli studi; l’
Origine dell'Oratorio, i Primordii dell'Oratorio317 Tali «inizi», già per se stessi metodologica-
mente esemplari, prefigurano le caratteristiche del «sistema» con il tipico intreccio di mezzi di
attrazione, compresi quelli dei ciarlatani, di istruzione religiosa e di preghiera.318 Tra l'altro,
don Bosco non manca di raccontare il sogno fatto da studente di filosofia quando si vide «già
prete, e vestito così da prete lavorava in una bottega da sarto ma non cuciva cose nuove, bensì
rappezzava logore»,319 un immagine dei giovani a rischio, poveri e abbandonati.
Un secondo motivo è costituito dall'insistente invito all'esemplarità della testimonianza
personale, decisiva per giovani educatori che facevano vita comune con i loro allievi, poco
meno che coetanei. Verso la fine del 1858 egli sintetizzava in questa raccomandazione una
conferenza riservata ai giovani chierici studenti: «Voi, intorno ai quali sonvi molti giovani, che
continuamente vi adocchiano, fate, adoperate tutto il vostro potere di ben indirizzarli e col
buon esempio, e colle parole, e coi consigli, e cogli avvertimenti caritatevoli».320 L'impegno
dell'esemplarità era dato ai medesimi
314 Lett, del 6 giugno 1862 al can. Giovanni Finazzi, Em I 502.
315 D. RUFFINO, Cronaca 1861, 1862, 1863, 1864, Le doti grandi e luminose..., p. 1.
316 Ne riassume il carattere straordinario nel sermoncino tenuto ai congregati dopo la pro-
fessione dei primi voti, il 14 maggio 1862: G. BONETTI, Annali IH 1862, 1863, pp. 3-4; ribadito
con accresciuta persuasione nella citata Cronichetta di Giulio Barberis del 2 febbr. 1876, quad.
4 A, p. 41.
317 D. RUFFINO, Cronache dell'oratorio di S. Francesco di Sales N" Io 1860, pp. 28-30, 33,
35-37, 38-40; ID., Cronaca 1861, 1862, 1863, 1864, Le doti grandi e luminose, pp. 58-60.
318 D. RUFFINO, Cronaca 1861,1862,1863, pp. 128-129; G. BONETTI, Annali 11860-1861,
pp. 64-67. Nelle medesime cronache, rispettivamente a pp. 123-127 e 54-64, è rievocato il Prin-
cipio degli studii di D. Bosco.
319 G. RUFFINO, Cronaca 1861, 1862, 1863, p. 47.
320 G. BONETTI, Memoria di alcuni fatti tratti dalle prediche e dalla storia, p. 19.

6.5 Page 55

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Il sistema preventivo di don Bosco alle origini (1841-1862) 309
destinatari il 31 dicembre 1858 e 1859 per l'anno successivo: «esemplarità, ricordan-
dosi che sono lumen Chiìsti»;321 «ci raccomandò di ajutare tutti scambievolmente a
salvarci l'anima prima col buon esempio, con buoni consigli, stimandoci felici quando
possiamo impedire fra un nostro compagno anche un solo peccato veniale, dandosi
buoni libri a leggere, insomma ricordocci che un Santo dice: divinorum divinissimum
est cooperan in salutem animaram».322 È motivo esteso a quanti professarono i voti il
14 maggio 1862: «l'unico scopo che ci siamo proposti (...) è la maggior gloria di
Dio, e la salute delle anime (...) alcuni intenti colle prediche ad instruire il basso
popolo, altri all'educazione dei ragazzi abbandonati, taluni a fare scuola, tal'altri a
scrivere e diffondere buoni libri, tutti insomma a sostenere la dignità del Romano
Pontefice, e dei ministri della Chiesa».323 Era ardore di zelo, che egli riassumeva per se
stesso nella seguente confessione: «tutto io darei per guadagnarmi il cuore dei gio-
vani e così poterli regalare al Signore».324
Un altro motivo dominante tocca l'essenza dello «spirito salesiano», la carità,
che in tante manifestazioni diventa autentica amicizia. Già nel 1856 egli scriveva a
un chierico diciottenne, che sarà uno dei massimi collaboratori, poi vescovo e cardina-
le, Giovanni Cagliero (1838-1926): «Studia sempre di diminuire il numero dei nemici,
accrescere quello degli amici e fare tutti amici di Gesù Cristo».325 Una conferenza ai
salesiani della seconda metà di aprile 1861 costituisce una breve lezione di metodo:
«D. Bosco parlò intorno alla carità verso il prossimo e specialmente verso i giovani.
Riguardo al prossimo disse: Si procuri che chiunque tratti con noi ne vada via soddi-
sfatto, che ogni volta parliamo con uno sia un amico che acquistiamo, perché noi
dobbiamo procurare di accrescere il numero degli amici e diminuire quello dei ne-
mici, giacché dobbiamo far del bene a tutti. Ricevere bene e sempre con dolcezza i
forastieri perché questo essi lo pretendono sia che siano Signori sia che siano poveri,
anzi se sono di inferior condizione lo pretendono ancora di più. Per riguardo ai gio-
vani dobbiamo aver carità, usando sempre dolcezza; che non si dica mai più di noi: il
tale è rigoroso, è severo, no, questo non sia più di noi. Se abbiamo da rimproverare
qualcuno prendiamolo in disparte alla buona. Facciamoli vedere il suo male, il
disonore suo, il danno, l'offesa di Dio, perché altrimenti facendo egli abbasserà il
capo alle nostre parole dure, tremerà, ma cercherà sempre di fuggire, sarà poco il
profitto trattone».326 Il discorso prosegue in una seconda conferenza che insiste sull'a-
spetto soprannaturale della carità, che si risolve nell'obbedienza religiosa, ad imita-
zione di Cristo che «coepit facere», obbedendo, e poi si diede al «docere», con le
parole e le opere della carità.327
321 G. BONETTI, Memoria di alcuni fatti..., p. 35.
322 G. BONETTI, Memoria di alcuni fatti..., p. 63; cfr. ID., Annali II 1861-1862, p. 49.
323 G. BONETTI, Annali III 1862, pp. 4-5.
324 G. BONETTI, Annali III 1862, p. 56; cfr. ancora pp. 48-51.
325 Lett, del 23 luglio 1856 da S. Ignazio sopra Lanzo Torinese, Em I 294.
326 D. RUFFINO, Cronaca 1861, 1862, 1863, pp. 26-27.
327 D. RUFFINO, Cronaca 1861 1862 1863, pp. 52-53.

6.6 Page 56

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310 Pietro Br ai do
13. La «stabilizzazione» storica del «preventivo» e la «pedagogia spirituale»
Delle due fondamentali dimensioni del «preventivo», assistenziale e educativa, nei docu-
menti della piena maturità la prima risulterà dominante. I due scritti su Il sistema preventivo
nella educazione della gioventù del 1877 e del 1878 tentano di integrare le due modalità, ma
l'elemento assistenziale finisce coll'essere attratto da quello educativo. È indizio dell'evoluzione
che si determina nella sollecitudine di don Bosco per i giovani: dalla proiezione all'esterno in
una prima azione di raccolta e di ricupero di ex-carcerati, ex-corrigendi, ragazzi delle «coc-
che», «immigrati», egli passa gradualmente ad occuparsi della vita interna delle proprie istitu-
zioni, alla loro gestione materiale, morale, educativa, compreso il crescente impegno nella
fondazione delle «istituzioni religiose» che dovevano garantire la sopravvivenza delle sue
iniziative benefiche.
Si può ritenere con certezza che don Bosco non credesse suo compito né della sua società
religiosa impegnarsi direttamente, per scelta deliberata oltre che per insufficienza e incompe-
tenza del personale disponibile, in favore di soggetti propriamente «marginali». Secondo anti-
che mentalità, per categorie ben precise di pericolanti e «pericolosi» esistevano già luoghi di
punizione o di reclusione o di difesa o di assistenza: carceri, ospizi, ospedali psichiatrici. Per
fasce meno estreme, ma sempre fortemente problematiche c'erano altre istituzioni «speciali»:
istituti per handicappati fisici (ciechi, sordomuti...) e mentali, case di «educazione correziona-
le» per «ragazzi difficili», come a Torino «La Generala», «ricoveri» per ragazze «pericolanti»
o «pericolate», opere benefiche come la «Piccola Casa» del Cottolengo. È naturale che al di là
delle esperienze dei primi anni e delle insistenze sulla «gioventù povera e abbandonata», «peri-
colante e pericolosa» ricorrenti lungo l'intero corso della vita, negli scritti di don Bosco sul
«sistema preventivo» si rispecchi l'esperienza educativa vissuta tra ragazzi solo potenzialmente
«marginali», in istituzioni che dovevano attenersi a criteri almeno parzialmente selettivi nel-
l'accettazione, nella permanenza e nelle modalità formative.328 Per queste istituzioni, codificate
tra l'altro nel testo delle Costituzioni, è nata la riflessione pedagogica esplicita. E non poteva
essere altrimenti, dal momento che il sistema non è teoria astratta, ma riflessione che si è costi-
tuita all'interno di esperienze vissute.
Precisamente per questo intrinseco rapporto ad esse sembra che del «sistema» complessi-
vo si possano individuare, in riferimento al ventennio 1841-1862, almeno quattro principali
«versioni» metodologiche.
La prima rispecchia l'azione rivolta alla gran massa dei credenti, giovani o adulti, da
«premunire» contro ogni forma di minaccia all'integrità della fede e dei
328 A proposito di un ragazzo raccomandato dalla contessa Carlotta Callori e che proba-
bilmente era portatore di una qualche menomazione fisica don Bosco scrive: «Il giovane Gippa
Michele che V. S. B. nella sua carità mi raccomanda non può essere adattato in una casa di
giovanetti vispi e vivaci come appunto sono i nostri. Egli diventerebbe certamente oggetto di
scherzo e dispiaceri. Sembrami di potergli convenire l'opera del Cottolengo, se i parenti non vi
opponessero difficoltà» (lett. del 27 maggio 1862, Em I 499).

6.7 Page 57

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Il sistema preventivo dì don Bosco alle origini (1841-1862)
311
costumi. Non è difficile cogliere nell'azione del ventennio esaminato i lineamenti
generali di una «pedagogia pastorale-popolare» espressa nella predicazione e negli
scritti di prevalente carattere religioso, apologetico e morale.
Le altre riguardano principalmente il mondo giovanile e si traducono nelle for-
me derivate della «pedagogia oratoriana», della «pedagogia collegiale» e della «pe-
dagogia spirituale». Le prime due non fanno storicamente problema. Di esse don
Bosco ha lasciato chiare testimonianze esperienziali e scritte. DeH'«oratorio», festivo
e quotidiano, egli ha tracciato molto presto il Regolamento e la storia con il Cenno
storico e i Cenni storici, già illustrati: di siffatta «pedagogia oratoriana» egli stesso
aggiungerà in seguito la traduzione «idealizzata» ed esemplare nelle Memorie dell'O-
ratorio di S. Francesco di Sales. Della forma «collegiale» sono già chiaro manifesto il
Regolamento della «casa annessa», le regole delle singole associazioni e le tante indi-
cazioni dell'epistolario relative all'accettazione e alla dimissione degli allievi.
Una forma particolare, invece, può fare problema. È stata oggetto di attenzione
privilegiata da parte di biografi e di studiosi, definita talora «pedagogia spiritua-
le».329 L'ha delineata per primo don Bosco, specialmente quando, in base ad esperien-
ze vissute nell'Oratorio di Valdocco, ha scritto le tre classiche biografie di Domenico
Savio, Michele Magone e Francesco Besucco.330 Evidentemente la pedagogia che ne
emerge non è «su misura» dei giovani «poveri e abbandonati», «pericolanti e perico-
losi» di cui don Bosco ha esperienza a Torino nel primo decennio e di cui scrive nel
Cenno storico, nei Cenni storici, in tante lettere del primo ventennio, e che diedero
impulso alle prime sollecitudini «assistenziali». Essa è più vicina all'esperienza semi-
naristica, di cui sono espressione, come si è visto, la testimonianza sul chierico Giu-
seppe Burzio (1843) e la biografia di Luigi Comollo (1844), che da modello dei semi-
naristi, diventa nell'edizione del 1854 «modello ad ogni fedele cristiano». I «giovanet-
ti» esemplari di don Bosco vengono tutti e tre da buona famiglia e da una educazione
cristiana di base esemplare (ambiente familiare, parrocchia) : anche Michele Magone,
vivace e potenzialmente a rischio, però sempre in un paese di campagna, è descritto
dal viceparroco come «buono di cuore» e «di semplici costumi».331 Tutti e tre aspira-
no allo stato ecclesiastico e l'istituzione in cui vivono - la sezione studen-
329 C. COLLI, Pedagogia spirituale di don Bosco e spirito salesiano. Abbozzo dì sintesi.
Roma, LAS 1982.
330 Di essa il primo e maggior studioso è stato Alberto CAVIGLIA, La vita di Savio Domeni-
co e «Savio Domenico e don Bosco». Studio di don Alberto Caviglia. Torino, SEI 1943, vol. IV
di Opere e scritti editi e inediti di «Don Bosco»; ID., La vita di Besucco Francesco scritta da
Don Bosco, in «Salesianum» 10 (1948) 103-113; ID., Un documento inesplorato. La «Vita di Be-
succo Francesco» scritta da Don Bosco e il suo contenuto spirituale, in «Salesianum» 10 (1948)
257-287, 641-672; 11 (1949) 122-145, 288-319; ID., Il «Magone Michele». Una classica esperien-
za educativa. Studio, in «Salesianum» 11 (1949) 451-481, 588-614.
331 G. Bosco, Cenno biografico sul giovanetto Magone Michele allievo dell'Oratorio di S.
Francesco di Sales. Torino, tip. G. B. Paravia e comp. 1861, p. 12, OE XIII 166. Dopo sette mesi
dall'entrata nell'oratorio nel fervore del mese di maggio dedicato alla Madonna egli confida al suo
direttore spirituale: «Io so che s. Luigi Gonzaga piacque molto a Maria perché fin da fanciullo
consacrò a lei la virtù della castità. Io pure le vorrei fare questo dono, e perciò desidero di fare il
voto di farmi prete e di conservare perpetua castità» (Cenno biografico..., p. 42, OE XIII 196).

6.8 Page 58

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312
Pietro Braido
tesca della «casa annessa» all'Oratorio - è ispirata in gran parte alla vita disciplinare e religiosa
di un «piccolo seminario», sia pure con forte connotazione preventiva, dove ragione e religione
sono permeate di «amorevolezza».332 Don Bosco stesso scrive al provveditore agli studi di
Torino: «Noto qui di passaggio che lo scopo di questa Casa si è che queste scuole Ginnasiali
siano una specie di piccolo Seminario, ove possono trovare un mezzo per fare i loro studi que'
giovanetti che hanno il merito dell'ingegno e della virtù, ma che sono privi o scarsi di mezzi di
fortuna».333 Si comprendono le linee generali della «pedagogia spirituale» ivi praticata nel
senso della difesa, conservazione e sviluppo della vita di grazia e di una programmatica «ten-
sione alla santità»: inizio del cammino con la confessione generale o, comunque, con un inten-
so impegno di fede, prosecuzione sotto la guida del «confessore stabile», che può essere lo
stesso direttore della comunità educativa; nella vita quotidiana coesistenza di allegria, studio-
lavoro e pietà;334 quindi: intensa vita di preghiera, alimentata da consuetudine con i sacramenti
della confessione e dell'eucaristia, messa e comunione, e da filiale devozione mariana; esattez-
za nell'adempimento del dovere e puntualità nell'osservanza del regolamento della casa in tutte
le sue espressioni; fuga dei compagni cattivi e familiarità con i buoni;335 spirito di penitenza e
culto della «purità»; esercizio della carità manifestata nello zelo per la salvezza delle anime,
incominciando dai propri compagni, nello scambievole aiuto e nelle «buone maniere»; allegria
e giovialità; seria meditazione dei novissimi e anelito al paradiso.
14. Bilancio di un ventennio
Non vengono, dunque, elaborate da don Bosco tutte le metodologie corrispondenti alla
varietà ed eterogeneità delle situazioni «assistenziali» e «educative» giovanili, reali o possibili.
Vi compaiono soltanto quelle che egli ha concretamente realizzato e codificato nelle proprie
istituzioni.
Egli, tuttavia, con il suo «sistema» globale comunica un ricco messaggio di «pre-
332 Si può ricordare che in un articolo della fine di maggio 1860, in riferimento alla per-
quisizione fatta all'Oratorio il giorno 26, la Gazzetta del popolo parla di don Bosco «direttore di
una nidiata di baciapile in Valdocco» come di «un moderno padre Loriquet» (gesuita reazionario,
1767-1845). Opinioni analoghe potevano essere condivise anche in altri ambienti, se in una
lettera del 3 settembre 1861 don Bosco scrive al pro vicario della diocesi, can. Alessandro
Vogliotti: «non vuole che dicasi una cosa sola tra l'Oratorio ed il Seminario di Giaveno, cioè
che si dicano Gesuiti le persone e Gesuitismo l'insegnamento» (Em I 458).
333 Lett, del 4 die. 1862, Em I 542.
334 La sintesi, finita poi in un capitolo della biografia di Francesco Besucco, è già prean-
nunciata negli Annali II (1861-1862) di Giovanni Bonetti, datata al maggio del 1862: «D. Bo-
sco è solito a dire a' giovani dell'Oratorio voler da essi tre cose: Allegria, lavoro e pietà. Ripete
sovente quel detto di S. Filippo Neri ai suoi giovani: Quando è tempo, correte, saltate, diverti-
tevi pure finché volete, ma per carità non fate peccati» (p. 77).
335 I due amici Domenico Savio e Giovanni Massaglia «avevano ambidue la stessa volon-
tà di abbracciare lo stato ecclesiastico, con vero desiderio di farsi santi» (G. Bosco, Vita del
giovanetto Savio Domenico allievo dell'Oratorio di san Francesco di Sales. Torino, tip. G. B. Pa-
ravia 1859, p. 88, OE XI 238).

6.9 Page 59

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Il sistema preventivo di don Bosco alle origini (1841-1862)
313
venzione» che va molto al di là delle sue attuazioni personali e che, nelle sue intenzioni,
coinvolge tutti: autorità civili ed ecclesiastiche a qualsiasi livello, istituzioni sociali, fami-
glie, persone singole. Tale è il «manifesto preventivo» del ventennio 1841-1862.
La realtà dei giovani nella molteplicità delle formule. La singolarità di don Bosco
è quella di aver assunto coraggiosamente la «causa» dei giovani, non in astratto, ma
partendo dalle situazioni concrete vissute nella città di Torino negli anni '40. È esat-
tamente ciò che lo porterà ad aderire alla «condizione giovanile» su piano mondiale.
Le formule si accavallano con martellante ripetitività. Può apparire eccesso di con-
venzionalismo «propagandistico»; è, piuttosto, un'arma per suscitare interesse, coin-
volgimenti concreti, propensione all'aiuto e alla generosità anche in mezzi finanziari.
Ma nello stesso tempo ci sono i fatti e le opere e una dedizione illimitata, accompa-
gnata da forte «passione» emotiva e religiosa, che in mille forme egli tende a rendere
largamente condivisa. La «causa dei giovani» è di tutti: specialmente la causa di
quanti don Bosco cerca di imbrigliare nelle svariate formule: «giovani abbandonati»
(Em I 96, 174, 179), «gioventù pericolante» (Em I 172), «gioventù abbandonata e
pericolante» (Em I 173), «gioventù abbandonata» (Em I 189), «giovani poveri ed
abbandonati» (Em I 195), «poveri figli del popolo» (Em I 202), «poveri giovani»
(Em I 209), «giovani cenciosi ed abbandonati», «pericolanti e pericolosi» (Em I
212), giovani «dei più poveri e pericolanti» (Em 1216), «gioventù pericolante» (Em I
222), «giovani poveri abbandonati e pericolanti» (Em I 229), «alcuni dei più poveri
ed abbandonati» (Em I 235), «alcuni poveri giovani abbandonati e pericolanti» (Em
I 251), «questi poveri ed abbandonati giovani» (Em I 269), «giovani abbandonati e
pericolanti» (Em I 271), «poveri ed abbandonati giovanetti» (Em I 271), giovane
«totalmente povero, abbandonato, pericolante» (Em I 284), «giovanetti orfani ed
abbandonati» (Em I 302), «veramente abbandonati, pericolanti e pericolosi» (Em I
304), «giovanetti poveri e pericolanti» (Em I 305), «giovani pericolanti ed abbando-
nati» (Em I 407).
La debolezza e le possibilità positive dei giovani. Queste e altre connotazioni
mettono in rilievo aspetti prevalentemente negativi. Effettivamente, dal punto di
vista antropologico e psicologico, l'immagine del giovane familiare a don Bosco è
condizionata da una tradizionale mentalità «adultista», che vede nei giovani anzitut-
to l'immaturità, la fragilità, il bisogno di aiuto e di assistenza nel precario cammino
verso l'età adulta. E se tra essi sono degni di cure particolari i «poveri e abbandona-
ti», per lui in definitiva tutti i giovani in quanto tali sono «poveri», sprovveduti, e in
qualche modo «abbandonati», indifesi, vulnerabili: «giovani poveri», in fondo, sono
tutti i «poveri giovani». Ma questo non è tutto ciò che don Bosco sa dire dell'età
giovane. Egli ha nei giovani la fiducia che ha Dio, come scrive, sulla scorta del Go-
binet, nel Giovane provveduto e, in altri contesti, nell’ Introduzione al Piano di Regola-
mento, nel Cenno storico e nei Cenni storici.
L'urgenza preventiva. Sulle loro native possibilità si apre l'intervento «preventi-
vo» con l'intento di «conservare buoni quando lo fossero ancora e di ridurre a far
senno i discoli».336 Nell'esperienza del ventennio due sono le modalità fondamentali
336 Cenni storici..., in Don Bosco educatore..., p. 134.

6.10 Page 60

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314 Pietro Braido
nelle quali si esprime il «prevenire». Primaria è, indubbiamente, la prevenzione pro-
priamente educativa e, all'occorrenza, rieducativa nelle sue essenziali dimensioni:
morale, sociale, religiosa (nell'ipotesi di don Bosco, cristiana, cattolica); fare o mante-
nere e consolidare «buoni cittadini in terra» che siano «poi un giorno fortunati
abitatori del cielo».337 Però, ne è presupposto la modalità secondaria dt\\Y assistenza,
particolarmente urgente ed essenziale per giovani «poveri, abbandonati, pericolan-
ti». È la sollecitudine per il soddisfacimento dei fondamentali bisogni vitali: vitto
vestito alloggio, lavoro, sicurezza, corretto e armonioso sviluppo fisico e psichico,
sufficienza economica, inserimento sociale.
Il termine «prevenire» in senso tecnico non ricorre, ma non mancano sinonimi a
indicare un'azione assistenziale e educativa svolta a difesa e promozione di giovani e
adulti. La stessa memoria del miracolo del SS. Sacramento a Torino è disposizione
provvidenziale perché «servisse ai Torinesi di baluardo contro agli assalti dell'eresia,
che sotto speciose, ma sempre mentite forme, cerca farsi strada in mezzo ai cattoli-
ci».338 La madre di Pietro dell'opuscolo La forza della buona educazione fa riflessioni
analoghe a proposito del figlio: «dobbiamo preservare questo nostro ragazzo da
ogni cattivo incontro, onde egli possa conservare i buoni principii che io ho procura-
to di dargli finora».339 Le «Letture Cattoliche» sono «destinate a premunire il popolo
cristiano contro alle trame che in tante svariate maniere gli tendono in fatto di reli-
gione»; «con questo mezzo parmi si possa mettere un qualche argine al male cre-
scente».340 È quanto viene percepito dal giornale «L'Armonia»: «Un zelante sacerdote
(...) si è consecrato interamente al pietoso ufficio di strappare al vizio, all'ozio ed
all'ignoranza quel gran numero di fanciulli»;341 «si piglia a levare dai pericoli delle
strade e delle piazze tutti que' giovanetti che, abbandonati a se stessi, consumerebbe-
ro inutilmente, per non dire malamente, il dì festivo»;342 «quanti delitti non previene
la carità del pio sacerdote!».343
La quasi onnipotenza dell'educazione. In una considerazione globale sembra che
l'intervento educativo o rieducativo sia ritenuto da don Bosco sempre efficace se
attuato secondo le condizioni tratteggiate a grandi linee nella citata Introduzione a un
Piano di Regolamento del 1854. Vi soccorre un'antropologia non univoca, capace di
tener conto dei molti aspetti negativi di carattere sociale (le famiglie, i compagni, la
società), delle disparate «indoli naturali» e dei dati ambivalenti di tipo «filosofico» e
teologico. «Tutti sono chiamati alla salvezza», eterna sicuramente e, a certe condi-
zioni, anche temporale. Nessuno è costituzionalmente cattivo e impermeabile alla
337 G. Bosco, Il giovane provveduto..., Alla gioventù, p. 7, OE II 187.
338 Notìzie storiche intorno al miracolo del SS. Sacramento.... Torino, tip. dir. da P. DeA-
gostini 1853, p. 27, OE V 27; analoga è l'intenzione del Dramma. Una disputa tra un avvocato
ed un ministro protestante. Torino, tip. dir. da P. De-Agostini 1853, p. 4, OE V 104.
339 G. Bosco, La forza della buona educazione..., p. 6, OE VI 280.
340 Circolare del 30 ott. 1854, Em I 233. Anche «L'Armonia» le considera «il mezzo più
adatto per premunire il popolo» («L'Armonia», 19 maggio 1857, OE XXXVIII 41).
341 «L'Armonia», 2 apr. 1849, OE XXXVIII 11.
342 «L'Armonia», 26 luglio 1850, OE XXXVIII 15.
343 «L'Armonia», 10 agosto 1850, OE XXXVIII 27.

7 Pages 61-70

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7.1 Page 61

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Il sistema preventivo di don Bosco alle origini (1841-1862) 315
buona educazione. Tutto è possibile se nel processo educativo e rieducativo si creano le condi-
zioni materiali, culturali e psicologiche perché possano operare tutte le risorse disponibili: la
grazia divina, necessario sussidio a una natura ferita dal peccato; la subordinata e prioritaria
azione degli educatori; l'obbedienza e la collaborazione dei giovani. Nell'azione congiunta di
queste forze «riesce facilissima cosa l'insinuare ne' teneri loro cuori i principii di ordine, di
buon costume, di rispetto, di religione; poiché se accade talvolta che già siano guasti in quella
età, il sono piuttosto per inconsideratezza, che non per malizia consumata».344
La docile «cordiale» collaborazione del giovane?345 È ovvio che l'azione educativa, se-
condo don Bosco, si svolge nell'ambito della tradizionale «pedagogia dell'obbedienza». Alla
maturità si perviene tramite l'adempimento dei doveri attuato nella «disciplina», seppure «amo-
revole» e paterna, degli educatori con esclusione di ipotetiche forme di reale contestazione e
aggressività. In quest'ottica non sembrano prese in esplicita considerazione, se non per premu-
nire dai pericoli e prevenire cedimenti, situazioni ritenute problematiche: gli incontri e le ami-
cizie, i «compagni cattivi» e le «persone dell'altro sesso», la realtà dell'indifferenza religiosa e
dell'incredulità, la sessualità, le crisi di fede. Tuttavia, l'invito all'obbedienza è decisamente
aperto a varie collaborazioni dei giovani e anche a forme, seppure limitate, di partecipazione
«attivistica», individuale e comunitaria. Vi sospingono forti motivazioni, che superano la pura
antitesi di educatore e educando. Ambedue, infatti, ispirano la loro vita alla prospettiva dei
comuni traguardi di vita, temporali ed eterni, che ragione e religione offrono con singolare
forza persuasiva: è questione di «felicità» proiettata nei più vasti orizzonti. E non manca la
forza dell'amore, quello che ha le sue radici nella paternità di Dio e si diffonde in tutte le forme
umane di paternità e di amicizia. Un'embrionale sintesi di impegno attivistico personale e di
soggezione alla legge del «dovere» si può ritrovare nelle raccomandazioni finali contenute
nella lettera a un quattordicenne: «Tu fa uno sforzo: fatica, diligenza, sommessione, ubbidien-
za, tutto sia in movimento, purché riescano gli esami».346 Comunque la convinta e legittima
obbedienza a una legge vivificante per don Bosco è sempre autentica espressione di libertà.347
Sistema preventivo differenziato e graduato. L'attenzione ai giovani si traduce nella forma
più originale quando non è rivolta alla generalità dei soggetti, «i giovani», ma ai singoli. Don
Bosco propugna fin dagli inizi l'attuazione di un «sistema» che, universalmente valido nei
principi e nei fini ultimi, dovrebbe adeguarsi ai diversi livelli morali dei giovani: «discoli,
dissipati, buoni». Differenti sono le disponibilità e le capacità di risposta, differenti saranno gli
obiettivi e le metodologie: «I buoni si
344 Introduzione, nel vol. Don Bosco educatore, p. 108.
345 Sulla dialettica o «bipolarità tra iniziativa del giovane e necessità della direzione» pre-
senta apprezzabili osservazioni P. STELLA, Don Bosco nella storia della religiosità cattolica II
237-240 Obbedienza e libera iniziativa del giovane.
346 Al marchesino Emanuele Fassati, 1 giugno 1866, E I 399. Si vedano ancora altre lette-
re a un giovane amico: 11 agosto 1859, Em I 381-382; 9 gennaio 1861, Em I 433-434.
347 Cf G. Bosco, La forza della buona educazione, pp. 61-62, OE VI 335-336; Avvisi ai cat-
tolici, p. 27, OE IV 189.

7.2 Page 62

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316
Pietro Braido
conservano e progrediscono nel bene in modo maraviglioso. I dissipati, cioè quelli
già abituati a girovagare, poco a lavorare, si riducono anche a buona riuscita col-
l'arte, coll’assistenza, coll'istruzione e coll'occupazione. I discoli poi danno molto da
fare; se si può ad essi far prendere un po' di gusto al lavoro, per lo più sono guada-
gnati. Coi mezzi accennati si poterono ottenere alcuni risultati che si possono espri-
mere così: Io che non diventano peggiori; 2° molti si riducono a far senno, quindi a
guadagnarsi il pane onestamente; 3° quelli stessi che sotto la vigilanza parevano
insensibili, col tempo si fanno, se non in tutto almeno in qualche parte, più arrende-
voli. Si lascia al tempo di rendere profittevoli i buoni principii che poterono conoscere
come debbansi praticare».348 Don Bosco non si limita a proporre «progetti»: con reali-
stico senso «pedagogico» sa che il «cammino» non inizia dal traguardo ma dal pun-
to in cui il giovane effettivamente si trova e può muovere i primi passi.
Il lavoro come universale via alla costruzione e ricostruzione umana. Anche per
questo don Bosco educatore sente il lavoro come la forma più elementare ed essen-
ziale per far scoprire o riscoprire al giovane la propria «umanità», che è alle sue
radici istinto di vita e di vita onesta: essere in grado di «guadagnarsi onestamente il
pane della vita» significa «guadagnare» se stesso. È singolare che l'anonimo recensore
della Storia sacra del 1847 la definisca «veramente operosa», «imperciocché oltre lo
stimolo alla virtù e l'aborrimento del vizio che scorgesi in ogni pagina, si vede che
l'uomo dabbene deve unire alla virtù il lavoro».349 È logico allora che nessun «disoccu-
pato» possa essere ammesso all'oratorio e se qualcuno vi arriva debbano mettersi in
moto per trovargli lavoro i Patroni o Protettori. Don Bosco stesso nel 1846 si era
obbligato a un lavoro del genere per giovani usciti dalla Generala come socio operan-
te della Società Reale istituita a questo scopo.
Inventare luoghi d'incontro su misura dei giovani e dei loro problemi. È Inorato-
rio»: lo si è esplicitamente illustrato. Don Bosco lo immagina e attua sia come istitu-
zione precisa sia, e soprattutto, come flessibile «possibilità di incontro» costruttivo e
gioioso tra adulti e giovani. Se ne è sottolineato l'esplosivo potenziale umano e cri-
stiano.350
L'amorevolezza. Solo nel 1877 don Bosco enuncia due importanti principi sui
fondamenti del «sistema preventivo», teoria e pratica: «la ragione, la religione e
l'amorevolezza»; «le parole di s. Paolo che dice: la carità è benigna e paziente, soffre
tutto, ma spera tutto e sostiene qualunque disturbo». Si trovano ambedue nell'espe-
rienza e nella coscienza del ventennio. Sono immanenti alla carità «assistenziale»
dell'oratorio e si esprimono in formule diventate essenziali al «sistema»: amorevolez-
za, «farsi amare piuttosto che farsi temere». È per don Bosco stile di ogni rapporto
sociale, come lo evidenziano le espressioni usate con Luigi De Sanctis, un prete pas-
348 Cenni storici..., in Don Bosco educatore..., p. 148.
349 M. G., Lettera d'un maestro di scuola sopra la Storia sacra per uso delle scuole, compila-
ta dal Sacerdote Bosco, in «L'Educatore. Giornale di educazione e d'istruzione» 4 (1848), sett.,
p. 542.
350 Cf ad esempio Cenni storici, in Don Bosco educatore, pp. 138-139.

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Il sistema preventivo di don Bosco alle origini (1841-1862)
317
sato alla chiesa evangelica e in particolare situazione di crisi, quando gli esprime il
«vivo desiderio» di offrirgli «quanto un sincero amico può offerire all'amico» e «uni-
camente spinto dallo spirito di affetto e di carità cristiana» lo invita ad andare a casa
sua;351 e, dopo un deferente riscontro del destinatario, gli precisa il carattere religioso
della sua sollecitudine, «la sua eterna salvezza», e l'umana disponibilità «a fare
tutti i sacrifizi spirituali e temporali» per aiutarlo.352
Religione. Altrettanto si potrebbe dire dell'altro principio enunciato nel 1877:
«La frequente confessione, la frequente comunione, la messa quotidiana sono le co-
lonne che devono reggere un edifizio educativo».353 È già realtà di lunga data, ele-
mento base del primo oratorio, ricco di religiosità, paradigma di tutte le possibili
forme del preventivo che tendono alla salvezza plenaria dei giovani. Nella visione
pedagogica di don Bosco, infatti, la «salvezza» da religiosa finisce con l'abbracciare
l'intera gamma delle possibilità di vita giovanile.
Ragione, cultura. Al culmine dell'esperienza oratoriana don Bosco può parlare
più distintamente delle varie attività di alfabetizzazione e di cultura. Sono i vari tipi
di scuola a cui si è accennato: le scuole domenicali,354 le scuole serali,355 le scuole feriali
diurne356 di canto, musica, ecc. È un fine e un metodo nello stesso tempo. È felice-
mente sottolineato dal giornale «L'Armonia», come sempre informato da don Bosco
stesso: «Ognuno sa che lo scopo di questi oratorii si è accogliere ed instruire nella
religione i giovani più abbandonati e pericolanti e di avviarli ad una professione
per così guadagnarsi onestamente il pane col lavoro delle loro mani».357 Della «ra-
gione», del resto, don Bosco fa largo uso anche nella vasta opera apologetica e cate-
chistica. Non si può «rendere buono il cuore» se non si «illumina la mente».
In clima di gioia. Si è visto l'intimo nesso stabilito da don Bosco tra religione e
felicità, tra pratica religiosa e gioia, tra buona coscienza e allegrezza. Diventa asso-
luta l'esigenza che nell'istituzione educativa sia indissolubile l'intreccio tra elementi
religiosi e elementi temporali e, in questi, tra il serio e il gioioso, tra il «tempo del
dovere» e il «tempo libero». La «ricreazione», il gioco, la gioia, il canto, la musica
costituiscono un tutto che è strutturale all'oratorio e alla sua definizione. I ragazzi
accorrono all'oratorio «per ricrearsi, istruirsi, e santificare i giorni dedicati al Signo-
re».358 Infatti «l'istruzione religiosa trattiene i giovani per qualche spazio di tempo,
dopo è mestieri qualche sfogo, o passeggiando o trastullandosi»;359 «catechismo, pre-
dica, canto e ricreazione» si associano con naturalezza».360 È motivo frequente-
351 Lett, del 17 novembre 1854, Em I 237.
352 Lett, del 26 maggio 1855, Em I 254-255.
353 Cenni storici, in Don Bosco educatore, p. 256.
354 Cenni storici, in Don Bosco educatore, p. 140.
355 Cenni storici, in Don Bosco educatore, p. 142.
356 Cenni storici, in Don Bosco educatore, pp. 143-144.
357 L'Armonia», 12 maggio 1857, OE XXXVIII 41.
358 A mons. Pietro Losana, vescovo di Biella, e a mons. Modesto Contratto, vescovo di
Acqui, rispettivamente il 4 e il 21 maggio 1852, Em I 155 e 158.
359 Cenno storico, in Don Bosco educatore..., pp. 112-113.
360 Cenno storico..., in Don Bosco educatore..., p. 121; e più avanti: «Coraggio, figli, abbia-

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318 Pietro Braido
mente richiamato con esplicita simpatia dal giornale «L'Armonia»: «l'allegria, la gioia, la sere-
nità era scolpita sul volto di quella numerosa gioventù»;361 «voglio parlarvi della bella e divota
musica (...), questa parte dell'educazione della gioventù».362
Il messaggio in proiezione universale. Il prete «torinese» e «diocesano» don Bosco è mol-
to presto proiettato a proporre il problema dei giovani come cura di tutta la società civile e della
Chiesa universale. Di qui trae impulso, come si è visto, la vasta azione di coinvolgimento di
laici ed ecclesiastici, autorità civili e religiose e privati, nei vari campi: l'educazione della gio-
ventù,363 la cultura popolare,364 la lotta antiprotestante, la diffusione delle «Letture cattoliche».
Nel Cenno biografico su Michele Magone si trova anche un appello a tutti i confessori perché
adottino attenzioni particolari («amorevolezza», «bontà») nell'accogliere i giovani penitenti.
Dopo il 1858 e il fascinoso incontro, in particolare con Pio IX, ma anche con la Roma dei
martiri, le sue proiezioni pastorali si estendono: il suo epistolario si orienta verso il papa e ne
condivide le preoccupazioni politiche e religiose; nasce uno scambio di lettere con il marchese
Patrizi a proposito di conferenze giovanili «annesse» di san Vincenzo de' Paoli365 e delle «Let-
ture cattoliche». Si assiste pure a tentativi di allargamento dell'opera: prima verso la cittadina di
Cavour, dove tra giugno e luglio del 1860 è invitato ad andare per la gestione del collegio
civico; poi nel 1862, per analogo scopo, verso Dogliani, ancora nel Piemonte.366 Di questa
apertura virtuale verso tutti i giovani del mondo hanno coscienza anche i membri della com-
missione costituitasi nel marzo del 1861 per raccogliere tutte le possibili «memorie» su di lui:
«Questo impone a noi uno stretto dovere di gratitudine, un obbligo di impedire che nulla di
quel che s'appartiene a D. Bosco cada in oblio, e di fare quanto è in nostro potere per conser-
varne memoria, affinché risplendano un dì quali luminose faci ad illuminare tutto il mondo a
pro della gioventù».367
In questa prospettiva si potrebbe anche cogliere verso la fine del ventennio un
mo un Oratorio. Avremo una chiesa, una sacrestia, posto per la scuola e per la ricreazione» (p.
122); sul canto e la musica, Cenni storici..., in Don Bosco educatore, pp. 126-127, 138-139.
361 «L'Armonia», 4 luglio 1851, OE XXXVIII 17.
362 «L'Armonia», 8 giugno 1856, OE XXXVIII 35; cfr. ancora p. 45, 46, 48, 49.
363 Nel cenno storico, che introduce fin dalla prima redazione le Costituzioni salesiane,
don Bosco attesta che «molti vescovi adottarono il medesimo piano di regolamento e si adopera-
rono per introdurre nelle loro diocesi questi oratorii festivi» (Cost. SDB, p. 66).
364 Si sono già citate sul tema due lettere all'arcivescovo di Firenze, Gioacchino Limberti,
dove don Bosco sottolinea «il bisogno ognora più sentito di avere buoni libri specialmente da
porre nelle mani del basso popolo» (lett. del 21 genn. 1861, Em I 435); ed esorta a promuovere
«la diffusione di buoni libri» aggiungendo: «Ma ciò che deve formare l'oggetto principale delle
pastorali di Lei sollecitudini è l'istruzione de' ragazzi specialmente con catechismi fatti in pic-
cole classi. Questo è quanto da noi si fa ed è, io credo, l'unica cosa che si possa fare a fine di
opporre qualche argine al male crescente» (lett. del 18 giugno 1861, Em I 449).
365 Anche per Bergamo si nota uguale proiezione, come si può ricavare da una cronaca
che riferisce un viaggio in quella città del 6 maggio 1860 e della istituzione di una conferenza di
giovani avvenuta tra i giorni 7 e 8; si veda la cronaca dell'evento in un quaderno mutilo di
Domenico Ruffino, incipit: in tal modo..., pp. 10-11.
366 G. BONETTI, Annali III 1862, pp. 6-7.
367 D. RUFFINO, Cronaca 1861, 1862, 1863, 1864, Le doti grandi e luminose..., p. 1.

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Il sistema preventivo di don Bosco alle origini (1841-1862)
319
qualche preludio a un interesse per la «salvezza» delle giovani. In un biennio in cui don Bosco
incomincia a formare i suoi giovani collaboratori anche con il racconto di «sogni», che hanno
senz'altro un valore pedagogico, pensieri o progetti diurni trasfigurati, compare anche questo,
collocato nella notte tra il 5 e il 6 luglio 1862: «Mi trovava in una grande pianura. Io vedeva i
giovani dell'Oratorio a correre e saltare, e ricrearsi allegramente. Io poi passeggiava colla
marchesa Barolo, la quale mi diceva: "Lascii a me soltanto la cura delle giovani; egli si curi
soltanto dei ragazzi". Io le rispondeva: "Ma mi dica un poco: Gesù ha soltanto redento i giova-
ni e non le ragazze?". "Lo so", ella mi rispondeva, "che ha redenti tutti...". "Allora io debbo
procurare che il suo sangue non sia inutilmente sparso tanto pei giovani quanto per le fanciul-
le"».368
***
Il «sistema preventivo» offre, dunque, un consistente nucleo di principi e di ispirazioni di
base, affidati per le diversificate attuazioni concrete alla passione e alla creatività degli opera-
tori per interventi che non coincidono necessariamente con quelli attuati da don Bosco. Essi
potrebbero benissimo applicarsi in tutti i settori della «prevenzione», anche nelle sue forme più
problematiche. In realtà, oggi lo spettro potenzialmente universale delle intenzioni «salvifiche»
di don Bosco in favore dei giovani e delle classi più deboli e minacciate ha indotto studiosi e
operatori nel campo della prevenzione sociale a estendere le possibilità di attuazione del suo
«sistema preventivo», in misure differenziate, a tutti i livelli della prevenzione: primaria,
secondaria, terziaria; e cioè alla generalità dei giovani: a quelli con rischi più o meno poten-
ziali di comportamento déviante, a quelli che presentano già sintomi di adesione, seppure non
strutturata, a modelli di tale comportamento e, ancora, a soggetti colpiti da forme gravi di
asocialità o di menomazioni psicofisiche.369 Le potenzialità del «prevenire» si prospettano
indefinite. Sono offerte all'intelligenza, al cuore, alla fantasia degli operatori.
368 G. BONETTI, Annali III 1862, notte 5-6 luglio 1862, pp. 31-32. «Sta notte ho fatto un
sogno singolare. Sognai che era insieme alla Marchesa Barolo su di una piazzetta. Io le voleva
dare la destra, ma ella mi disse: "No resti dov'è". Poi si pose a discorrere de' miei giovani e mi
disse: "Va tanto bene che Ella si occupi dei giovani: ma lasci a me che mi occupi delle figlie;
così staremo d'accordo". Al che Le risposi: «Ma il Signore è venuto al Mondo solo per i fi-
gli?"» (D. RUFFINO, Cronaca, 1861 1862 1863 1864, Le doti grandi e luminose, 5 giugno 1862
[luglio], p. 23).
Già nel 1850 don Bosco aveva ricordato l'esistenza a Torino di un oratorio femminile.
Scrivendo a don Daniele Rademacher il 10 luglio 1850 dice: «Sul principio della quaresima se
ne aprì un altro per le figlie a Porta Susina Borgo S. Donato» (Em I 104). Era stato aperto da
don Gaspare Saccarelli (1817-1864), fondatore dell'Istituto della S. Famiglia.
369 Cf G. MILANESI, Il nuovo concetto di prevenzione: una riflessione sociologica, nel vol.
Emarginazione giovanile e pedagogia salesiana. Seminario di Benediktbeuern, 7-12 febbraio
1986 Torino-Leumann, Elle Di Ci 1987, pp. 219-239; ID., Prévention et marginalisation chez
don Bosco et dans la pédagogie contemporaine, nel vol. Education et pédagogie chez don Bosco,
pp. 195-226.

7.6 Page 66

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320
Pietro Braido
Non è sola ipotesi. Anche restando sulla linea delle ispirazioni dirette di don
Bosco si può ricordare don Luigi Guanella (1842-1915), che tra la fine dell'ottocento
e l'inizio del novecento fonda due istituti religiosi, femminile e maschile, che esten-
dono il «sistema preventivo» all'assistenza degli anziani e all'educazione-
rieducazione degli handicappati fisici e psichici. Sono le congregazioni delle Figlie di
S. Maria della Divina Provvidenza e dei Servi della Carità.370 Non sono le uniche isti-
tuzioni che si volgono a settori di assistenza «preventiva» che si possono ritenere
«nuovi» rispetto alle iniziative concrete promosse da don Bosco, ma non estranee
alle potenzialità del sistema da lui adottato e riproposto.
370 P. BRAIDO, Caratteri del «sistema preventivo» del beato Luigi Guanella. Ipotesi di ri-
costruzione e interpretazione. Roma, Nuove Frontiere Editrice 1992.