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STUDI
UN «NUOVO PRETE»
E LA SUA FORMAZIONE CULTURALE
SECONDO DON BOSCO
Intuizioni, aporie, virtualità
Pietro Braido
Esiste una certa letteratura, invero modesta per quantità e qualità, su «Don
Bosco prete». Essa, però, è sorta sotto forma di proposte di un modello di santità
sacerdotale e si presenta, quindi, con un taglio eminentemente edificante.1 Man-
cano, invece, consistenti studi monografici sulla collocazione di don Bosco in
quanto sacerdote nella storia ecclesiale e civile, salvo, naturalmente, tutto quanto
è stato scritto in generale sulla sua vita e le sue opere in prospettiva storica.
Nemmeno è stato ancora tematizzato il concetto che don Bosco ebbe del prete in
rapporto alle esigenze dei tempi o il «progetto» di prete, che sottendeva più o
meno esplicitamente il suo impegno in favore delle vocazioni ecclesiastiche sia
nel momento della ricerca e della promozione sia nelle varie fasi della formazio-
ne.
Nelle note che seguono si tenterà di documentare, in base all'esperienza da
lui vissuta, alle dichiarazioni in documenti scritti, ad affermazioni occasionali, i
tratti propri della nuova figura di prete, che sorge necessariamente dalle nuove
urgenze educative e pastorali, quali egli percepì e sottolineò, soprattutto all'inter-
no delle sue istituzioni, e le linee caratterizzanti le sue iniziative di formazione di
questo nuovo tipo di ecclesiastico.
1 Si possono citare P. ALBERA, Don Bosco modello del sacerdote salesiano, in Lettere circo-
lari di D. Paolo Albera ai Salesiani (Torino, SEI 1922), pp. 388-433 (la circolare è del 19 marzo
1921; don Paolo Albera fu il secondo successore di don Bosco alla guida della Società Salesiana
dal 1910 alla morte, nel 1921); E. CERIA, Don Bosco modello del sacerdote (Milano, Scuola Tip.
Salesiana 1929, 32 p.); D. BERTETTO, Don Giovanni Bosco, maestro e guida del sacerdote (Colle
Don Bosco, Libreria Dottrina Cristiana 1954, XI-444 p.); G.M. GARRONE, L'éducateur: Saint
Jean Bosco, nel voi. Le prêtre (Paris, Editions Universitaires 1975), pp. 194-200; A.A.
BALLESTRERO, S, Giovanni Bosco, sacerdote di Cristo e della Chiesa (Leumann-Torino, LDC
1988, 23 p.).

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8 Pietro Braido
Dato il particolare modo di essere e di operare di don Bosco, alieno dalle te-
orizzazioni astratte, incline a sviluppare la sua riflessione all'interno dello stesso
operare, non ci si attenderà da lui anche su questo tema particolare — la figura
del prete e la sua formazione culturale — un modello e un progetto compiuta-
mente delineati e senz'altro universalizzabili. Inoltre, risulterà che essi rispondo-
no primariamente alle esigenze dell'azione educativa e pastorale salesiana e solo
indirettamente possono venire estrapolati ad analoghe possibilità di impegno
sacerdotale in altri ambiti.
1. I termini essenziali di un'antitesi
Basandosi sul testo delle Costituzioni della Società Salesiana nell'edizione
latina del 1873, presentato alla S. Congregazione dei VV. e RR. per la definitiva
approvazione, il Consultore P. Bianchi O.P., quanto agli studi osservava (Anima-
dversiones, n. 27):
«Manca ugualmente la Costituzione degli studi per gli aspiranti al
Sacerdozio. Secondo che riferiscono alcuni Ordinari, i quali hanno esa-
minati candidati ai sagri ordini, gli studi ecclesiastici in questo istituto
sarebbero assai mal'ordinati e debolissimi il che non deve recare maravi-
glia, quando si sa che i chierici, nello stesso tempo degli studi, vengono
applicati alla cura dei giovani alunni. Si opinerebbe di prescrivere che i
chierici dell'istituto dopo due anni di Filosofia fossero tutti applicati al-
meno per quattro anni agli studi Teologici o in qualche Collegio speciale
dell'istituto, o in qualche Seminario senza che possano esserne distratti
per essere applicati alle opere dell'Istituto».2
Don Bosco tentava una difesa con alcune precisazioni e un'importante moti-
vazione:
«Non è notato nelle costituzioni, ma vi sono trent'anni di prova che
ci garantiscono il buon effetto (...). Non si può avere una casa di studio
separata dagli altri collegi, perché il governo subito domanderebbe con
quale autorità si dà quell'insegnamento, e bisognerebbe chiudere imme-
diatamente, o sottoporsi alle leggi della pubblica istruzione che sarebbe
una cosa medesima. In quanto al non applicare gli studenti alle opere del-
l'istituto non è possibile perché noi abbiamo per base che gli studenti abbia-
2 Voto del rev.mo Consultore, 9 maggio 1873, Cost. SDB 243. Nel riassunto ufficiale trasmesso a don Bosco
dal Segretario della S. Congregazione il testo viene così contratto (n. 17): «Similmente manca la Costituzione
degli studi. Quelli che aspirano al sacerdozio dovrebbero essere tutti applicati per quattro anni agli studi teologi-
ci o in un collegio specialedell'Istituto, o in qualche Seminario, senza applicarli intanto alle opere dell'Istitu-
to» (Cost. SDB 245).

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Un «nuovo prete» e la sua formazione culturale secondo Don Bosco
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no sempre la loro prova nei catechismi, nelle assistenze ecc., ma sempre in
modo che possano compiere i loro studi come fin'or a si è fatto. Si aggiunge-
rà pure un capo in cui si esporrà il modo con cui si fanno gli studi».3
Il cap. XII De studio, introdotto nei due testi delle Costituzioni, stampati a
Roma a gennaio e a marzo del 1874 e presentati nelle fasi finali della pratica di
approvazione, nei suoi quattro articoli non stabiliva nulla circa i due punti richie-
sti con particolare insistenza dall'autorità romana: la durata degli studi teologici e
la casa separata nella quale compierli da parte degli studenti liberi da qualsiasi
impegno di vita attiva.4
Nella Consultazione si trova un ultimo tentativo di difesa della posizione di
don Bosco, che ribadisce l'affermazione di principio già avanzata nelle Osserva-
zioni:
«Relativamente alla osservazione decimasettima nella quale si pre-
scrive la costituzione degli studi, ed in specie della scienza teologica pel
corso di quattro anni, il Superiore vi avrebbe già provveduto con parti-
colare disposizione nel § 12 pag. 30, apponendovi il particolare titolo De
studio e non si mostra alieno di determinarvi il tempo di quattro anni.
Pertanto fa riflettere che non si può avere una casa di studio separata
dagli altri collegi per non essere sottoposti alle leggi della pubblica istru-
zione, od altrimenti essere costretti a chiudere la casa stessa. Non essere
poi cosa incompatibile con la condizione di studenti se questi insegnino il ca-
techismo e si prestino ad assistere gli alunni, mentre ciò si eseguisce in mo-
do che possano compire il corso degli studi, ed insieme così offrono una pro-
va, e si esercitano in opere cui tende lo scopo dell'Istituto».5
Al momento dell'approvazione il testo viene modificato nel senso voluto
dalla Congregazione: un biennio di studi filosofici e un quadriennio teologico da
compiere in un'apposita casa di studentato, liberi da altri impegni. Viene, quindi,
ritoccato il precedente art. 1 e ne sono aggiunti due:
« 1. Presbyteri omnesque socii, qui clericalem militiam petunt, studiis
Philosophicis per biennium, Ecclesiasticis vero per quatriennium stre-
3 Osservazioni sulle Costituzioni della Società di S. Francesco di Sales e loro applicazione,
n. 17, Cost. SDB 247. Il corsivo è nostro.
4 Cap. XII De studio. 1. Sacerdotes omnesque socii, qui clericalem militiam petunt, stu-
diis Ecclesiasticis strenuam operam dabunt. 2. Praecipuum eorum studium totis viribus dirige-
tur ad Bibliam Sacram, ad Historiam Ecclesiasticam, ad Theologiam dogmaticam, speculati-
vam, moralem, necnon ad libros vel tractationes, quae de iuventute in religione instituenda ex
professo pertractant. 3. Noster Magister erit divus Thomas, et alii auctores qui in catechesi et in
doctrina Cathoiica interpretanda celebriores communiter censentur. 4. Praeter quotidianas
collationes quisque socius contexere sataget seriem meditationum atque instructionum primitus
pro adolescentulis, deinde pro omnibus Christi fidelibus accomodatam.
5 Consultazione per una congregazione particolare, 1874, p. 8, OE XXV 394. Il corsivo è
nostro.

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Pietro Braido
miam operam dabunt. 4. Ad disciplinas tradendas cum philosophicas
turn Ecclesiasticas ii doctores prae caeteris deligantur, sive Socii sint sive
externi, qui vitae probitate, ingenio, ac doctrinae praestantia aliis
praecellunt. 6. Cavendum sedulo est ne socii, quamdiu in studia
incumbunt, a Constitutionibus praescripta, iis Charitatis operibus, quae
ad societatem Salesianam spectant, nisi necessitate cogente, operam
navent; haec enim magnam plerumque studiorum iacturam adferre
consueverunt».6
Don Bosco, però, si mostra irriducibile: pressato, oltre tutto, da urgenze
imposte dal rapido diffondersi delle opere, sproporzionato rispetto alle forze
disponibili, introduce nella edizione italiana delle Costituzioni (Torino, 1875) un
semplice avverbio che attenua il carattere tassativo dell'art. 6:
«I soci, finché attendono agli studi prescrìtti dalle costituzioni, non si
applichino troppo alle opere di carità proprie della Società salesiana, se
non vi sono costretti dalla necessità, perché questo per lo più suole
recare grave danno agli studi».7
La vicenda, a prima vista, sembrerebbe semplicemente mettere in evidenza
il contrasto tra teoria e pratica, tra le richieste del diritto e le esigenze
dell'operatività, tra le insistenze dell'Autorità sollecita dell'inquadramento
canonico e le preoccupazioni pressanti di un uomo di azione. Ma a una
considerazione più attenta e tenuto conto delle motivazioni di sostanza già
chiaramente emerse, il problema non appare riconducibile solo a queste antitesi.
Sono chiaramente presenti più sostanziali divergenze nel modo stesso di
concepire la figura e la missione dell'ecclesiastico chiamato ad operare in un
mondo attraversato da problemi nuovi, in un tempo carico di molti timori, ma
anche di almeno altrettante speranze.
2. Le «origini» storiche e ideali di una nuova prospettiva
Nel titolo di una recente raccolta di testi di don Bosco si è condensato in
termini essenziali un binomio che si intende meglio, se è colto nella realtà
concreta piuttosto che attraverso formule convenzionali: Don Bosco per i
giovani: l’«oratorio» - una «congregazione degli oratori».8 È la sintesi
esperienziale determinante, che gradualmente qualificherà ciò che don Bosco
sente del prete, dei suoi compiti e del suo globale «modo di essere». Emergeva
alla coscienza una figura «nuova», come era «nuova», o tale gli appa-
6 Cost. SDB 130-131 - OE XXV 445-446.
7 OE XXVII 85.
8 Roma, LAS 1988.

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Un «nuovo prete» e la sua formazione culturale secondo Don Bosco
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riva, l'immagine dell'«oratorio» e delle sue modalità di funzionamento, come
osserva in una «memoria» del 1854 a proposito di dissensi sorti in taluni settori
del mondo civile ed ecclesiastico:
«In questo tempo prevalse un'altra diceria che già prima andavasi
propagando: essere gli oratori un mezzo studiato per allontanare la gio-
ventù dalle rispettive parrocchie; per istruirla in massime sospette. Quest'ul-
tima imputazione fondavasi specialmente su ciò che io permetteva ai miei
ragazzi ogni sorta di ricreazione purché non fosse peccato e non contraria
alla civiltà (...)• Più io mi sforzava per far conoscere le cose nel vero
aspetto, più erano sinistramente interpretate».9
Su una linea parallela, e cioè la formazione degli educatori dei giovani, si
collocavano le osservazioni critiche sul testo delle Costituzioni salesiane, che
venivano avanzate da varie parti. Così l'arcivescovo di Torino, Riccardi di Netro,
mentre le approvava per quanto si riferiva allo scopo di «raccogliere e catechizza-
re i ragazzi ed avviarli a qualche arte o mestiere», si opponeva, invece, allo scopo
della formazione degli ecclesiastici, poiché da questo lato «non potrebbe riuscire
che a gravissimo danno della Chiesa, della Diocesi e del Clero».10 I rilievi erano
precisati nell'osservazione terza:
«I socii devono, secondo le Costituzioni, scientiarum studio se ipsos per-
ficere prima di attendere alla cura degli altri. Ma non si accenna nean-
co di passaggio quali studi dovranno fare i laici e quali i chierici. Il tut-
to quindi sarà rimesso all'arbitrio del superiore, cui si riferisce dalle
Costituzioni autorità troppo estesa ed arbitraria, e il quale potrebbe, in
caso di bisogno, presentare agli ordini sacri chierici che non avessero fat-
to gli studii necessari per la carriera ecclesiastica e senza la dovuta voca-
zione ed educazione. Starà poi sempre a lui solo prescrivere gli anni da
dedicarsi agli studii ecclesiastici, il come dovranno essere fatti, se nei se-
minari vescovili o sotto professori speciali, se ciascuno alunno in priva-
to, o tutti riuniti. Non è provvisto nelle Costituzioni, se gli alunni della
Società debbano durante gli anni di studio essere liberi dall'attendere al-
l'istruzione altrui, o se siano obbligati a prestare servizio siccome i socii
non studenti e non chierici. L'uso attuale è che molti dei chierici fanno
da Prefetti o Maestri ai ragazzi ricoverati e non possono applicarsi quindi
agli studii ecclesiastici, compiono questi studii in privato, e senza profes-
sori speciali. Una parte di essi frequenta le scuole del Seminario, perché
obbligati dall'Ordinario Torinese, ma avvi a credere tutto che liberi dalla
sua dipendenza faranno come gli altri e come pare sia lo spirito dell'Isti-
tuto. Questo sistema non può che tornare di grave danno alla Chiesa ed
al clero. Non essendo infatti i socii chierici obbligati che per
9 P. BRAIDO, Don Bosco per i giovani..., p. 41. Il secondo corsivo è nostro.
10 Lettera al card. Angelo Quaglia, 14 marzo 1868, MB IX 96-97.

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Pietro Braido
un triennio possono liberamente abbandonare la Congregazione e si avrà
così un clero che non sarà istruito, né educato convenientemente».11
Egli, inoltre, proponeva alla Congregazione dei VV. e RR. «che prima di da-
re qualunque approvazione si degnasse di incaricare qualche persona estranea,
pia, dotta, sperimentata, e pratica di educazione della gioventù, di venir sul luogo
ed esaminare le cose e riferirne».12
La proposta ebbe parzialmente un seguito qualche mese dopo, quando il Se-
gretario della S. Congregazione, mons. Svegliati, pregava mons. Tortone, incari-
cato di affari della S. Sede a Torino, non di fare un'ispezione vera e propria, ma
di fornire
«un'esatta informazione intorno all'andamento dell'Istituto in di-
scorso e specialmente per ciò che riguarda gli studii e la educazione ec-
clesiastica dei chierici che formano parte dell'Istituto medesimo, giacché
non debbo omettere di prevenirla (...) che mentre alcuni tra i Vescovi
raccomandano il Bosco e fanno elogi dell'Istituto, deplorano con fogli
riservati la educazione del giovane Clero addetto a quello stabilimento,
tanto in riguardo agli studii, quanto in merito allo spirito, perché essen-
do i chierici addetti alla sorveglianza dei giovanetti raccolti nello stabili-
mento non possono formarsi con quello spirito ecclesiastico, al quale è
necessario s'informi un giovane, che vuole giungere al sacerdozio».13
Nella sua relazione mons. Tortone confermava e aggravava le osservazioni
dell'arcivescovo:
Mentre don Bosco ottiene meritati successi nell'educazione giovanile,
«pare che la stessa cosa non possa dirsi sull'esito degli studii e sullo spi-
rito ecclesiastico dei chierici che si trovano raccolti nel succitato Istituto.
Sembra che la prima idea di don Bosco sia stata di formare nel suo Isti-
tuto un Clero separato da quello della Diocesi. Mi risulta infatti che sino
dal principio tentò di ottenere ed ottenne poscia che i suoi chierici stu-
diassero nel suo istituto la Filosofia e la Teologia; la cosa camminò così
colle stampelle per alcuni anni, ma siccome i suoi chierici non si presen-
tavano all'esame, o questi avevano un esito infelice, allora si prescrisse
da questa Curia Arcivescovile che anche i chierici di Don Bosco dovesse-
ro intervenire alle scuole del Seminario per la Filosofia e la Teologia. Al-
cuni di essi chierici che, provvisti dei mezzi sufficienti furono ammessi
nel Seminario di Chieri, furono trovati così mediocri nello studio che lo
stesso rettore di quel Seminario ebbe a confessare che i medesimi non ca-
pivano la lingua latina. Dacché però frequentano la scuola di questo Se-
minario il profitto negli studii pare alquanto migliorato; non tutti i chie-
11 Osservazioni intorno alle Costituzioni proposte dal Sac. Don Giovanni Bosco per la
Congregazione di S. Francesco di Sales, MB IX 98-99; Cost. SDB 236.
12 Lettera del 14 marzo 1868, MB IX 97.
13 Lettera di mons. Svegliati a mons. Tortone, 28 luglio 1868, MB IX 366.

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Un «nuovo prete» e la sua formazione culturale secondo Don Bosco
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rici che la frequentano si presentano agli esami ed alcuni se ne astengono, perché
riconosciuti inabili a sostenerlo. Del resto non è a stupire che il risultato di tali
studii sia cosi mediocre, se si riflette che Don Bosco affida a tali suoi chierici va-
rie ed altre incombenze da disimpegnare nell'Istituto, come sarebbero quelle di
maestro delle scuole per i ragazzi, di prefetto, di assistente, etc. etc. cariche tutte
che fanno impiegare in altre cose quel tempo che dai chierici si dovrebbe conse-
crare allo studio».lA
3. Ragioni di un conflitto
In una recente monografìa su Lorenzo Gastaldi, arcivescovo di Torino,15
Giuseppe Tuninetti rileva come uno dei primi e più continuati motivi di dissenso
tra don Bosco e l'ordinario diocesano sia costituito precisamente dal problema
degli studi filosofici e teologici dei chierici salesiani e della loro ordinazione.16 È
emblematica sull'argomento la lettera inviata dall'arcivescovo il 20 aprile 1873 al
card. Andrea Bizzarri, prefetto della Congregazione dei Vescovi e Regolari. In
essa, dopo varie considerazioni su questioni vitali quali il noviziato e le ordina-
zioni, egli toccava infine il tema degli studi e avanzava una precisa proposta:
«Finalmente in questa Congregazione non si possono formare eccle-
siastici bene istruiti nella Filosofia razionale e nella teologia e nelle altre
scienze sacre; perché la massima parte attendono a questi studi mentre
fanno la scuola di latinità o di altra arte o scienza: e mentre per contro,
la S. Sede aveva prescritto che tutti gli studenti di Teologia che sono in
Torino appartenenti a questa Congregazione frequentassero le scuole del
Seminario Arcivescovile: si trovò modo di ottenere da questa prescri-
zione una dispensa.
Venendo a una conclusione pratica io proporrei, che (...)
4. Tutti gli studenti di Teologia debbano almeno per quattro anni
14 MB IX 367-368. Il corsivo è nostro. Il Tortone, nel sistema di vita e di disciplina vi-
gente nell'Oratorio, vede «ancora maggiori difficoltà per poter infondere nei medesimi il vero
spirito ecclesiastico e quei principii di buona educazione così necessaria ai sacerdoti». A suo
parere non possono favorirlo «il continuo contatto che hanno quei chierici cogli altri giovani
laici dell'Istituto, la troppa famigliarità e dimestichezza con cui si trattano gli uni cogli altri»; e
non lascia di esternare l'impressione «ben penosa» avuta «al vedere quei chierici frammisti agli
altri giovani che imparano la professione di sarto, falegname, calzolaio, etc. correre, giuocare,
saltare ed anche regalarsi qualche scapellotto, con poco decoro per parte degli uni, con poco o
niun rispetto per parte degli altri. Il buon Don Bosco, pago che i chierici stiano con raccogli-
mento in chiesa, poco si cura di formare il loro cuore al vero spirito ecclesiastico e di infondere
per tempo in essi quei sentimenti di dignità dello stato che vogliono abbracciare» (MB IX 368).
15 G. TUNINETTI, Lorenzo Gastaldi 1815-1883, voi. II. Arcivescovo di Torino 1871-1883,
Casale Monferrato, Edizioni Piemme 1988.
16 G. TUNINETTI, o.c, p. 260.

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Pietro Braido
frequentare le scuole del Seminario della città ove trovasi la loro casa; e
quindi nelle case della Congregazione dei luoghi ove non sono Seminari,
non si tengano soggetti i quali percorrono lo studio di questa scienza».17
Don Bosco verrà a conoscenza della lettera quasi un anno dopo, il 20 marzo
1874, pochi giorni prima della Congregazione particolare dei cardinali deputati a
dare un parere circa l'approvazione delle Costituzioni Salesiane. Egli risponderà
tra l'altro, appellandosi più a ragioni pratiche che a motivazioni di principio invo-
cate in altre occasioni:
«9° È poi bene di notare che se si ammettessero le condizioni appo-
ste, la Congregazione Salesiana priva di mezzi materiali com'è, dovrebbe
chiudere le sue case, sospendere i suoi catechismi, perché non avrebbe
più né catechisti, né maestri (...)».18
Non è, certo, astratto conflitto tra autorità e carisma, come giustamente os-
serva il Tuninetti. È incontestabilmente, dissidio tra due mentalità, due diverse
responsabilità, due differenti modi di collocarsi di fronte alla realtà e alla storia,
di percepire le urgenze dei tempi e di rispondervi con le soluzioni più adeguate e
tempestive.
Semplificando, si potrebbe forse pensare che quanto all'aspetto pragmatico
del problema tra Gastaldi e don Bosco si sia ripetuta l'antica divergenza tra don
Cafasso e don Bosco: «il bene doveva farsi bene»; «il bene basta farlo così alla
buona in mezzo a tante miserie». Erano però radicalmente cambiate le situazioni
e le posizioni dei «personaggi»: l'uno arcivescovo, l'altro fondatore e superiore di
una Congregazione religiosa, impossibilitati a trasformare in amabile discussione
tra amici un grosso conflitto di competenze, di responsabilità e di decisioni.
Invece, sul piano delle mentalità, le divergenze sulla formazione ecclesiasti-
ca si radicavano in modi notevolmente differenti di vedere il prete e la sua mis-
sione nella Chiesa e nella società o, almeno, il prete chiamato in misure sempre
più vaste a occuparsi in attività educative e pastorali, con metodi in parte innova-
tivi, in favore della gioventù e degli strati popolari, in tempi di grave emergen-
za.19
17 G. Bosco, Opere edite XXV, Roma, LAS 1978, pp. 351-352.
18 Promemoria ai cardinali di fine marzo 1874, E II 375-376.
19 E significativo quanto alla concezione gastaldiana del prete e della sua formazione
emerge dalle Regulae seminariorum archiepiscopalium clericorum archidioecesis taurinensis (Tau-
rini, P. Marietti 1875), da lui redatte e promulgate. Si potrà facilmente costatare, dal discorso
che si sta facendo, quanto la prospettiva di don Bosco sia «mentalmente» e quasi costituzio-
nalmente lontana dalla sua: frutto anche delle diverse «radici» culturali e delle diverse originarie
esperienze pastorali. Il seminario ha il compito di portare i chierici ad acquistare «le

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Echi di tali divergenze si trovano in alcune deposizioni rese nel corso dei
processi di beatificazione di don Bosco, in relazione a testimonianze negative
prodotte dal can. E. Colomiatti.
Il teol. Giuseppe Allamano dichiarava:
«Nell'epoca posteriore alla mia uscita dall'Oratorio, e quando io ero
già chierico e sacerdote, udiva come generale nel Clero Torinese il
lamento che la formazione degli alunni dell'istituto Salesiano fosse
incompleta. Era notoria una deficienza in quella educazione
propriamente detta ecclesiastica. Si sapeva che i Chierici Salesiani erano
facilmente più applicati a studi classici che non a studi teologici. Come
già ho deposto, nel Seminario si lamentavano le assenze frequenti dei
Chierici dell'Istituto Salesiano, mentre si lodava la frequenza assidua dei
Chierici del Cottolengo. Circa gli esami stessi notavasi che l'esito per i
salesiani non era sempre soddisfacente, anche quando se la cavavano con
una certa disinvoltura di esposizione, ma con minor possesso della
materia. I Chierici in generale, come già ho accennato, appartenenti o no
alla Congregazione, erano occupati circa l'andamento dell'Oratorio.
Non so come il Venerabile giustificasse la cosa, la quale peraltro si
comprende di per se stessa, stante le necessità dell'Istituto, dove erano
raccolti a centinaia i giovani studenti ed artigiani».20
Mons. G.B. Rossi, vescovo di Pinerolo, precisava un particolare
interessante, che si ritrova sottolineato nella relazione di mons. Tortone:
«Dall'anno scolastico 1865-1866 fino al 1869-1870 io ho insegnato
filosofia positiva prima nel Seminario di Bra poscia, l'ultimo anno, in
virtù proprie della dignità sacerdotale e la dottrina necessaria al compimento dei ministeri
spirituali»; le virtù elencate sono: fede, speranza, carità, umiltà, obbedienza, castità, modestia,
devozione, temperanza, mortificazione (don Bosco avrebbe aggiunto, certamente, zelo,
laboriosità, spirito di iniziativa, attenzione alle necessità spirituali e materiali del prossimo);
quanto agli studi filosofici e teologici è chiara l'insistenza sull'apprendimento letterale e
mnemonico dei trattati; per il regime interno il seminario è assimilato dapprima al collegio
apostolico, ma soprattutto a una casa religiosa («ad instar domus religiosae», «jugiter exhibeat
typum domus religiosae»), dove è assicurato il permanente «raccoglimento dello spirito»; il
medesimo impegno domenicale dei chierici nei catechismi parrocchiali è ristretto al tempo
strettamente richiesto dalla pura attività catechistica, senza alcun supplemento di stile
«oratoriano»; in nessun momento, nemmeno nei tempi di ricreazione è lecito ai chierici «loqui
voce elata ita ut clamores vel tumultus audiantur»; meticolose sono le prescrizioni
regolamentari sul modo di compiere gli esercizi di pietà, in particolare di fare il segno della
croce, di genuflettere, di stare in piedi, di entrare in chiesa; gli alunni sono obbligati ad
accostarsi al sacramento della penitenza ogni quindici giorni e ad esibirne l'attestato; i rapporti
con i superiori devono essere improntati a rigida deferenza; non sono ammesse discussioni, ecc.
Cf G. TUNINETTI, o.c, pp. 150-163 (Il pensiero e l'opera di Gastaldi sui seminari diocesani): egli
considera le Regúlete come «l'espressione più chiara e più completa del pensiero e della pastorale
dell'arcivescovo Gastaldi sui seminari» (p. 151).
20 Positio super dubio: an adducta contra ven. Servum Dei obstent, quominus in Causa
procedi possit ad ulteriora? Romae, Typ. Augustiniana 1921, pp. 112-113.

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quello di Chieri. Ivi trovavansi alunni provenienti dall'Oratorio di D.
Bosco. La loro formazione spirituale era buona. La preparazione intellet-
tuale circa la mia materia era deficiente e ciò attribuisco al fatto che D.
Bosco non aveva ancora presso l'Oratorio scuole regolari, dovendo D.
Bosco aggiustarsi alla meglio come poteva».21
Un ex-allievo, don G.V. Cerva, aggiungeva:
«Ricordo che molti anni or sono, si accusava D. Bosco che non
provvedesse a sufficienza alla coltura intellettuale dei suoi alunni Chierici,
per cui taluni del Clero lo lodavano per ciò che Egli faceva a favore della
gioventù in generale, ma pensavano diversamente per la deficiente istru-
zione che ne avevano i Chierici. Era pur vero che D. Bosco faceva quan-
to poteva al riguardo, come in tutte le altre necessità dei suoi alunni, e
naturalmente non poteva avere a disposizione mezzi cospicui, e doveva
limitarsi a quelli di cui poteva disporre».22
4. Nuovi compiti degli ecclesiastici in tempi nuovi
Si può ammettere che si tratti realmente, nel caso di don Bosco e degli agita-
ti inizi della sua opera, di una situazione imposta anzitutto da uno stato di neces-
sità, con inevitabili conseguenze parzialmente negative. Ma potrebbe risultare
riduttivo limitarsi a questo aspetto dell'effettiva realtà storica. Come si è visto,
altre ragioni aveva don Bosco nel difendere il suo «sistema» di formazione eccle-
siastica. Senza elaborare in proposito una precisa «teoria», quando è provocato da
concrete istanze giuridiche o da situazioni pratiche egli mostra di possedere idee
ben chiare e consolidate su questo preciso argomento. Appare soprattutto deter-
minante il persuasivo apporto dell'esperienza del lavoro «oratoriano» tra i giova-
ni, accompagnato da lucida coscienza delle sue esigenze «totalizzanti»: esso,
infatti, richiedeva operatori, e in primo piano il prete, impegnati letteralmente a
tempo pieno e senza risparmio di energie, preparati al loro compito da un severo
tirocinio che doveva ricoprire in misure diverse l'intero iter formativo.
a) L'urgenza di «forza-lavoro» per un operare incalzante
In una lettera preoccupata al card. Filippo de Angelis, arcivescovo di Fermo,
don Bosco manifesta chiaramente l'aspetto utilitaristico della sua richiesta di im-
mediato impegno operativo tra i giovani dei suoi chierici stu-
21 Ibid., p. 144.
22 Ibid., p. 149.

2 Pages 11-20

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2.1 Page 11

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Un «nuovo prete» e la sua formazione culturale secondo Don Bosco
17
denti di filosofia e di teologia, mentre sia da Roma che da Torino giungono
perentori richiami alla «normalizzazione» seminaristica.
«Io ed il Cottolengo eravamo al punto di chiudere le nostre case
dove gli allievi sono assistiti ed ammaestrati da chierici, o disubbidire al
superiore (...). Eppoi se io mando i chierici in seminario, dove sarà lo
spirito di disciplina della Società? Dove prenderò oltre a cento catechisti
per altrettante classi di fanciulli? Chi passa un quinquennio in seminario
avrà volontà di rivenire a chiudersi nell'Oratorio».23
Dieci anni più tardi, e con un maggior numero di opere, don Bosco insisterà
sulla opportunità, o quasi necessità, di disporre del maggior numero di preti, che
offrissero più ampie possibilità di ministeri all'interno e all'esterno. Egli si rivela,
insieme, deciso sostenitore — e tale rimarrà sino alla fine della vita — di
ordinazioni precoci, da farsi anche prima del termine degli studi teologici, che gli
ordinati, appoggiati dalla comunità religiosa, potranno continuare in seguito. Su
questo tema egli si trova talora in contrasto con alcuni collaboratori (Cagliero,
Rua...), che denunciano le gravi carenze culturali di questi preti improvvisati e
considerano poco fondata la speranza che dopo l'ordinazione si applicheranno
realmente a completare gli studi teologici incompiuti.24
Il moltiplicarsi delle domande di apertura di case di educazione è visto da
don Bosco come una benedizione della Provvidenza,25 che giustifica la politica
del massimo impiego delle forze disponibili, anche se qualche perplessità rimane
sulla solidità della formazione data.
23 Lettera del 9 settembre 1868, E I 573.
24 «D. Bosco espose come si abbia un bisogno straordinario di preti nelle varie case
aperte e da aprirsi perché quando si è preti si può supplire in mille guise a mancanze di messe
nelle cappellanie e nelle case: si ha maggior autorità ecc. esserci bisogno ora di vedere tutti i
chierici che ne hanno l'età conveniente e le necessarie disposizioni morali e si propongano per
le ordinazioni. Su questo punto D. Bosco da molto tempo batte e ribatte ed invece da varii si
insiste per far vedere che è necessario non ordinare nessuno se non ha già fatti gli studii
teologici pressoché completi: poiché ora vi sono già varii preti in Congregazione i quali si
trovano straordinariamente indietro ed in qualunque conversazione non farebbero buona figura:
alcuni non si osano mandare in case particolari od in luoghi di suggezione perché si teme dicano
qualche sproposito. — D. Bosco insiste che, presa la messa si facciano continuare gli studii —
ma ad altri pare impossibile l'ottenere questo regolarmente: alcuni ne hanno molta voglia e si
esimono da altro e lo fanno; altri invece per poco che abbiano altro da fare si mettono in quello
e non studiano più. — Tuttavia D. Bosco è proprio di parere che si vada avanti il più che si
può: si facciano ordinare anche prima che sieno terminati gli studii teologici secondo le
convenienze, ma si provveda che presa la messa si continuino gli studii» (Seduta del Capitolo
Superiore del 15 maggio 1878, ms Barberis, pp. 9-10). Si veda anche più avanti, pp. 24-25, 27,
28.
25 «Le numerose domande — affermava — ci devono fare molto coraggio ed essere
persuasi che la Congregazione è benedetta da Dio e dagli uomini» — Verbali del Capitolo
Superiore, 16 settembre 1885, fol 74r.

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18
Pietro Braido
«D. Bosco prende la parola dicendo non doversi pretendere che i
Chierici giunto il tempo chiamino essi stessi le ordinazioni sacre: Essere
ufficio del Catechista della Congregazione provvedere per questo. Si ten-
ga informato dagli ispettori se vi siano ordinandi che per età, studi, tem-
po, si meritino di essere fatti promuovere agli Ordini: Se ve ne sono di
quelli che per bisogni particolari è conveniente anticipar loro questo
ordine etc. etc.».26
Qualche giorno dopo, mentre insiste che «gli Ordinandi sappiano bene i trat-
tati de Ordine e de Eucaristia», ritorna con ugual forza sull'idea che potranno
completare successivamente il corso teologico.27
«Lamenta che molti salesiani hanno nulla di Spirito salesiano. Tutti
gli anni ci sono defezioni dopo tanto lavoro per educarli, appena preti
bisogna disperderli e non hanno tempo a formarsi. Certi preti furono or-
dinati perché la necessità stringeva. Bisognerà andare adagio nelle Ordi-
nazioni e un anno di studentato prima delle Ordinazioni».28
«D. Bosco a proposito degli Ordinandi dice che eziandio se fossero
indietro nei trattati in quanto agli esami se sono di buona condotta e si
abbia fondata speranza che continueranno a studiare si faciliti la promo-
zione all'Ordine Superiore».29
b) Il primato dell'azione in un mondo che privilegia le opere
È un'esigenza che ha radici più profonde che non sia l'utilità immediata. An-
zi, non riguarda soltanto i salesiani. Essa nasce da più generali urgenze di «pre-
senza cristiana» in una società e in tempi radicalmente mutati. La mentalità di
don Bosco in proposito si rivela chiaramente attraverso un'interessante informa-
zione fornita dal can. Allamano ai Processi di beatificazione:
«Recatomi una volta, poco dopo il 1880 (...) presso il Venerabile D.
Bosco, parlando di D. Cafasso, Egli mi disse queste parole: "In una cosa
sola non eravamo d'accordo, ed abbiamo avuto in proposito una discus-
sione passeggiando sul piazzale del Santuario di S. Ignazio. Egli diceva
che il bene doveva farsi bene, ed io sosteneva che bastava farlo così
alla buona in mezzo a tante miserie"».30
Le «congiunture» erano molte, tra le altre: l'aggressione che da più parti ve-
niva portata contro la Chiesa e il vivere cristiano; il vasto fenomeno
26 Verbali..., 9 settembre 1885, fol 72v.
27 Verbali..., 18 settembre 1885, fol 79r.
28 Verbali..., 5 nov. 1885, fol 87r.
29 Verbali..., 14 nov. 1885, fol 108v.
30 Positio super dubio..., p. 115.

2.3 Page 13

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Un «nuovo prete» e la sua formazione culturale secondo Don Bosco
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della gioventù povera, abbandonata, pericolante, pericolosa; infine, quasi sintesi,
un'ottica nuova secondo cui don Bosco vedeva la presenza nella società del
cristiano e in particolare degli uomini di Chiesa.
Già nel suo primo libro significativo, la Storia ecclesiastica (1845), egli
aveva accentuato il suo modo «attivistico», caritativo e operativo, di considerare
la vita della Chiesa. Come è stato osservato, sui Papi e sulla politica prevalgono i
santi e la santità (e i papi in quanto santi); e tra i santi vengono privilegiati «i
santi della carità o almeno la carità dei santi».31 «Don Bosco si chiede quali santi
fiorirono nella Chiesa, quali opere di carità si sono promosse».32
La sua vita stessa, del resto, appare ed è percepita come messaggio incarnato
di intenso operare cristiano e sacerdotale, inteso quale principio costruttivo di
fede e di amore effettivi in una società «nuova», secolarizzata, che esige tangibili
modi di impegno produttivo a tutti i livelli, anzitutto nella realizzazione della più
ampia gamma di valori umani.33 Soprattutto nell'ultimo periodo della vita,
parallelamente all'espansione sovranazionale delle istituzioni educative, la sua
testimonianza di instancabile uomo d'azione diventa anche «manifesto»
proclamato in decine di conferenze, discorsi, lettere diretti alle più svariate
categorie di persone.
«Noi cristiani dobbiamo parimenti come "gli uomini del secolo"
unirci in questi difficili tempi, ed unirci nello spirito di preghiera, di
carità e di zelo adoperando tutti i mezzi che la religione somministra per
rimuovere quei mali che oggidì ad ogni momento possono mettere a
repentaglio l'importante affare della eterna salvezza».34
«Scopo nostro è di far conoscere che si può dare a Cesare quel che è
di Cesare, senza compromettere mai nessuno; e questo non ci distoglie
niente affatto dal dare a Dio quel che è di Dio (...). Nessuno è che non
veda le cattive condizioni in cui versa la Chiesa e la religione in questi
tempi. Io credo che da S. Pietro sino a noi non ci siano mai stati tempi
così difficili. L'arte è raffinata e i mezzi sono immensi. Nemmeno le
persecuzioni di Giuliano l'Apostata erano così ipocrite e dannose. E con
questo? E con questo noi cercheremo in tutte le cose la legalità. Se ci
vengono imposte taglie, le pagheremo; se non si ammettono più le
proprietà collettive, noi le terremo individuali; se richiedono esami, questi
si
31 F. MOLINARI, La «Storia ecclesiastica» di don Bosco, nel vol. Don Bosco nellaChiesa
a servizio dell'umanità. Roma, LAS 1987, p. 216; cf pp. 215-217.
32 P. STELLA, Don Bosco nella storia della religiosità cattolica, vol. I. Roma, LAS 19792,
p. 230.
33 Su ciò scrive, persuasivamente, P. BROCARDO, Don Bosco «profeta di santità» per la
nuova cultura, in Spiritualità dell'azione. Roma, LAS 1977, pp. 197-202.
34 Associazione di buone opere (1875), p. 4, OE XXV 484.

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20
Pietro Braido
subiscano;' se patenti o diplomi, si farà il possibile per ottenerli; e così
s'andrà avanti (...). Bisogna avere pazienza, saper sopportare e invece di
riempire l'aria di lamenti piagnucolosi, lavorare a più non si dire, perché
le cose procedano avanti bene».35
«In altra epoca bastava riunirsi insieme in sante pratiche di pietà, e
la società ancora piena di fede seguiva la voce de' suoi pastori. Ora i
tempi si sono cangiati, e quindi oltre al ferventemente pregare, conviene
lavorare ed indefessamente lavorare, se non vogliamo assistere alla inte-
ra rovina della presente generazione».36
«Una volta poteva bastare l'unirsi insieme nella preghiera; ma oggi dì
che sono tanti i mezzi di pervertimento, soprattutto a danno della gioventù
di ambo i sessi, è mestieri unirsi nel campo dell'azione ed operare».37
«Lavoro, lavoro, lavoro! dicevano. Ecco quale dovrebb'essere l'o-
biettivo e la gloria dei preti. Non stancarsi mai di lavorare. Così, quan-
te anime si salverebbero! Quante cose vi sarebbero da fare per la gloria
di Dio! Oh se il missionario facesse davvero il missionario, se il parroco
facesse davvero il parroco, quanti prodigi di santità splenderebbero da
ogni parte».38
e) Particolare urgenza di nuova qualità operativa salesiana tra ì giovani
Una «nuova operatività» specifica è richiesta da don Bosco nell'ambito cir-
coscritto dal problema centrale dell'azione salesiana, quale grande «movimento»
al servizio dei giovani. Essa riguarda sia l'aspetto dei contenuti (il da farsi) sia il
versante metodologico (il come fare). La «salvezza» della gioventù, quale condi-
zione di «salvezza» della società, religiosa e civile, esige, infatti, puntuale atten-
zione a tutta la gamma dei bisogni e degli interessi.
«Lo scopo della Società Salesiana si è la cristiana perfezione de’ suoi
membri, ogni opera di carità spirituale e corporale verso dei giovani,
specialmente poveri»;39 «liberare dagli immensi e gravi pericoli in cui
si trovano in generale i fanciulli poveri e abbandonati».40
35 I Capitolo Generale (1877), 24a conferenza, MB XIII 288.
36 Conferenza ai cooperatori di S. Benigno Canavese, 4 giugno 1880, BS 4 (1880) n. 7.
luglio, p. 12.
37 Conferenza ai cooperatori di Borgo S. Martino, 1 luglio 1880, BS 4 (1880) n. 8, ago-
sto, p. 9.
38 «Sogno» della notte 29/30 settembre 1884, MB XVII 383.
39 Costituzioni della Società di S. Francesco di Sales, I ediz. ital. 1875, cap. 1, art. 1, OE
XXVII 53.
40 F. MOTTO, Memorie dal 1841 al 1884-5-6 pel sac. Gio. Bosco a' suoi figliuoli salesiani,
RSS 4 (1985), pp. 108-109. Cf P. BRAIDO, L'idea della Società salesiana nel «Cenno storico»
di don Bosco del 1873/1874, RSS 6 (1987), pp. 263-264 (Una Congregazione consacrata alla
carità operativa).

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Un «nuovo prete» e la sua formazione culturale secondo Don Bosco
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Lo intuì ed espresse con precisa aderenza alla realtà (e, certamente, alle in-
tenzioni di don Bosco) il card. Lucido M. Parocchi, Vicario di Roma, nella confe-
renza salesiana dell'8 maggio 1884, cercando di definire il carattere proprio, la
fisionomia tipica della Società salesiana:
«Se ne ho ben compreso, se ne ho bene afferrato il concetto, se non
mi fa velo all'intelligenza, il suo scopo, il suo carattere specifico, la sua
fisionomia, la sua nota essenziale è la carità esercitata secondo le esigenze
del secolo: Nos credidimus Charitati; Deus Charitas est; e si rivela per
mezzo della Carità. Il secolo presente soltanto colle opere di Carità può
essere adescato, e tratto al bene. Il mondo ora null'altro vuole conoscere
e conosce, fuorché le cose materiali; nulla sa, nulla vuol sapere delle cose
spirituali. Ignora le bellezze della fede, disconosce le grandezze della reli-
gione, ripudia le speranze della vita avvenire, rinnega lo stesso Iddio (...).
Così è il secolo presente: Cieco, sordo, senza intelligenza per le cose di
Dio e per la Carità. Questo secolo comprende della carità soltanto il
mezzo e non il fine ed il principio (...). Dite agli uomini di questo secolo:
Bisogna salvare le anime che si perdono, è necessario istruire coloro che
ignorano i principii della religione, è duopo far elemosina per amor di
quel Dio, che un giorno premierà largamente i generosi; e gli uomini di
questo secolo non capiscono. Bisogna dunque adattarsi al secolo, il quale
vola terra terra. Ai Pagani Dio si fa conoscere per mezzo della legge natu-
rale; si fa conoscere agli Ebrei col mezzo della Bibbia; ai Greci scismatici
per mezzo delle grandi tradizioni dei Padri; ai protestanti per mezzo del
vangelo; al secolo presente si fa conoscere colla carità: Nos credidimus
Charitati. Dite a questo secolo: Vi tolgo i giovani dalle vie perché non
siano colti sotto i tramwai, perché non cadano in un pozzo; li ritiro in
un ospizio perché non logorino la loro fresca età nei vizii e nei bagordi; li
raduno nelle scuole per educarli perché non diventino il flagello della so-
cietà, non cadano in una prigione; li chiamo a me e li vigilo perché non si
cavino gli occhi gli uni gli altri, e allora gli uomini di questo secolo capi-
scono ed incominciano a credere: Et nos cognovimus et credidimus Chari-
tati, quam habet Deus in nobis (...)».41
La singolarità, però, non stava soltanto nelle opere e nei contenuti dell'azio-
ne «educativa» e rieducativa. Si evidenziava inscindibile il modo, il metodo, lo
stile con cui operare educativamente tra i giovani: un modo nuovo che don Bosco
riassumeva nelle formule «sistema preventivo» o «spirito salesiano». Esso impli-
cava un tipo assolutamente impegnativo di assidua presenza tra i giovani: assi-
stenza ininterrotta, amore fraterno, paterno, clima familiare, condivisione totale
della vita della comunità giovanile, coinvolgimento pieno negli interessi e nei
problemi del mondo giovane. La pras-
41 BS 8 (1884) n. 6, giugno, pp. 90.

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Pietro Braido
si veniva efficamente espressa nella lettera da Roma del 10 maggio 1884, nella
redazione lunga, destinata agli educatori salesiani.
«Che i giovani non solo siano amati, ma che essi stessi conoscano di
essere amati (...). Che essendo amati in quelle cose che loro piacciono col
partecipare alle loro inclinazioni infantili, imparino a veder l'amore in
quelle cose che naturalmente lor piacciono poco; quali sono la discipli-
na, lo studio, la mortificazione di se stessi e queste cose imparino a far
con amore (...). Che amino ciò che piace ai giovani e i giovani ameranno
ciò che piace ai Superiori (...). Ora i Superiori sono considerati come Su-
periori e non più come padri, fratelli ed amici (...). Famigliarità coi gio-
vani specialmente in ricreazione. Senza famigliarità non si dimostra l'a-
more e senza questa dimostrazione non vi può essere confidenza. Chi
vuole essere amato bisogna che faccia vedere che ama. Gesù Cristo si
fece piccolo coi piccoli e portò le nostre infermità. Ecco il maestro della
famigliarità. Il maestro visto solo in cattedra è maestro e non più, ma se
va in ricreazione coi giovani diventa come fratello. Se uno è visto solo
predicare dal pulpito si dirà che fa né più né meno del proprio dovere,
ma se dice una parola in ricreazione è la parola di uno che ama».42
5. Un «nuovo prete»
Appare ovvio, dunque, che le istanze che impongono il modello di azione
salesiana finiscono anche con il modificare sensibilmente l'immagine del prete —
o almeno di particolari categorie di preti — «in cura d'anime» (dove «anime»
assume un significato più denso). Anche se don Bosco non si è esplicitamente
occupato di questo aspetto più generale del problema, tuttavia egli mostra di aver
subito una significativa evoluzione rispetto alla formazione ecclesiastica ricevuta
negli anni 1835-1844.
Naturalmente, egli ha percorso l’iter tradizionale della formazione seminari-
stica nelle tre fondamentali dimensioni: spirituale, culturale, disciplinare, per
l'acquisizione di quello «spirito ecclesiastico» che mirava a fare del prete l’homo
Dei, distaccato dal mondo, con un'alta coscienza della propria dignità e sacralità,
e che lo distingueva per un comportamento esteriore ispirato a «modestia», una
virtù dalle molteplici ramificazioni, oltre che dalla forte radicazione interiore.43
42 P. BRAIDO, La lettera da Roma di don Bosco del 10 maggio 1884, RSS 3 (1984), pp.
342-346. Alle esigenze del sistema preventivo si richiama pure la Confutazione delle accuse formu-
late contro la causa del Ven. Giovanni Bosco (Roma 1922), in particolare a riscontro delle Accu-
se riferentisi alla trascuratezza die il ven. Servo di Dio avrebbe usata, sia nella formazione religio-
sa degli alunni e dei novizi, sia, in genere, nel fare il bene (pp. 291-293).
43 Cf M. GUASCO, La formazione del clero: i seminari, nel vol. Storia d'Italia. Annali 9

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Un «nuovo prete» e la sua formazione culturale secondo Don Bosco
23
In seminario e nel convitto anche don Bosco si sarà sentito suggerire senti-
menti e comportamenti analoghi a quelli che il Cafasso andava diffondendo con
le sue Istruzioni per gli esercizi spirituali al clero, che saranno pubblicate postu-
me dal nipote, il can. Giuseppe Allamano.44
Il sacerdote «è come un terzo, che si trova tra Dio e l'uomo, ma più
vicino e più appartenente a Dio che non all'uomo (...) un uomo di
Dio».45 «Quel Dio, che è invisibile ad occhio umano su questa terra, ha
voluto in un certo modo porgere agli uomini il conforto della sua presen-
za (...). Scelse un uomo, lo separò dal resto degli altri, lo rivestì de’ suoi
poteri e lo elevò tant'alto, da costituirlo suo ministro e rappresentante in
terra; sicché l'occhio del credente, al vedere, al contemplare il sacerdote in
tutto il suo esterno, dovesse dire tra sé: ecco il mio Dio, cioè a dire, ecco
una persona che mi ricorda Dio, mi rappresenta Dio, mi raffigura e quasi
mi fa vedere co' miei occhi Iddio (...). E che cosa è (...), che avrà da for-
mare questo esterno del sacerdote, che ha da essere così regolato da ren-
derlo come un Dio in terra? Questa virtù (...) è la modestia (...). Quel
volto composto a tranquillità e quiete, quegli occhi dimessi, quel sem-
biante piacevole e candido, quel capo fermo e quieto, quel portamento
dignitoso, quel camminare naturale e grave, quella maniera di vestire
pulita, ma semplice (...)».45
Ma qui, nel seminario e soprattutto nel Convitto, concresce anche «il nuovo
don Bosco», «l'uomo della condivisione». Attraverso la sua esperienza di prete
dei ragazzi egli finirà col costruire e proporre «un altro tipo di prete».47 Più nella
pratica che teoricamente «don Bosco capisce che è l'immagine del prete che deve
cambiare, la sua formazione, il suo stile di vita: non più e soltanto l'uomo del
sacro, l'uomo separato, ma l'uomo coinvolto nelle cose a cui si dedica, l'uomo
della partecipazione e della condivisione».48
«Così all'oratorio abituava i suoi seminaristi a comportarsi in un
La Chiesa e il potere politico dal Medioevo all'età contemporanea, a cura di G. Chittolini e G.
Miccoli. Torino, Einaudi 1986, pp. 664-668.
44 G. CAFASSO, Istruzioni per gli esercizi spirituali al clero pubblicate per cura del Can.
Giuseppe Allamano. Torino, Canonica 1893.
45 G. CAFASSO, Istruzioni..., pp. 13-14.
46 G. CAFASSO, Istruzioni..., pp. 49, 57.
47 M. GUASCO, Don Bosco nella storia religiosa del suo tempo, in Don Bosco e le sfide della
modernità. Torino 1988, pp. 32-33.
48 M. GUASCO, O.C, p. 33. Naturalmente, nella storia della Chiesa, la «novità» di cui qui
si parla, rappresentata da don Bosco, è soltanto relativa. Nei secoli precedenti abbondano ec-
clesiastici e ci sono interi Ordini e Congregazioni religiose, che vivono il sacerdozio e la vita
consacrata nella totale identificazione operativa con i poveri, gli infermi, i carcerati, gli «ignoran-
ti», caratterizzando la loro «spiritualità» mediante le «opere di misericordia» e la «professiona-
lità» richiesta dal loro esercizio.

2.8 Page 18

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24
Pietro Braido
modo che non era piaciuto all'incaricato d'affari della S. Sede, e che non
piaceva neppure all'arcivescovo: ma che contribuiva a trasformare pro-
fondamente la futura immagine del prete, e dargli quelle caratteristiche
che diverranno essenziali negli anni successivi. L'uomo del sacro diventa
l'uomo della condivisione, il personaggio lontano e che incute paura di-
venta il compagno di vita, anche di gioco; poiché il gioco, la conseguente
allegria, la gioia profonda sono momento essenziale della sua pedagogia,
del suo sistema educativo.Così al binomio salvezza-timore, si sostituisce
il binomio salvezza-gioia. Il primo elemento non cambia: scopo essenzia-
le di tutte le attività è sempre e solo la salvezza delle anime. Tutti gli in-
segnamenti di don Bosco mirano a riproclamare quell'unica verità. Ma
lo strumento e i metodi cambiano. Emergono, o forse riemergono, ter-
mini un po' dimenticati nella storia della chiesa del tempo: con la gioia,
l'allegria, si parla di amorevolezza, di paternità, di tenerezza (...)».49
Più precisamente, con Pietro Stella e altri, va sottolineato che la figura del
prete cambiava non solo in rapporto all'impegno educativo tra i giovani e alle sue
modalità, ma anzitutto in connessione con un più comprensivo concetto di «sal-
vezza», che è insieme eterna e temporale, rivolta al cielo e attenta agli «interessi»
terreni dei giovani. Ne restava fortemente marcato quantitativamente e qualitati-
vamente il lavoro educativo-pastorale: il religioso e il prete diventavano necessa-
riamente «imprenditori» del sacro e del profano, «liturghi» in senso pieno, orga-
nizzatori di scuole e di laboratori, gestori in certo senso di uffici di collocamento
e di assistenza, musicisti sacri e profani, teatranti e registi, promotori di associa-
zioni ricreative, ginniche, sportive, di opere di civilizzazione e di cultura.50
L'ideale del prete che don Bosco incarna e propone non è né don Abbondio
né padre Cristoforo né il card. Federigo: è il «prete-operaio» in tutte le opere
della carità religiosa e umana, affettiva ed effettiva. È testimonianza resa nei fatti,
ma talvolta anche esplicitamente proclamata, come si può ricavare da alcuni di-
scorsi conviviali degli ultimi anni rivolti a ex-alunni sacerdoti.
«Io avrei ora molte cose a dirvi. La principale si è che vi adoperiate a
fare tutto il bene possibile alla gioventù delle vostre parrocchie, delle vo-
stre città, dei vostri paesi, delle vostre famiglie. D. Bosco e i suoi Salesiani
non possono trovarsi dappertutto, né fondare scuole ed Oratorii pei fan-
ciulli in tutti i luoghi, dove se ne avrebbe bisogno. Voi, miei amatissimi,
che avete in questa Casa medesima ricevuta la prima vostra educa-
49 M. GUASCO, O.C, p. 33. Cf sopra n. 14.
50 Per alcune suggestioni, cf P. STELLA, Don Bosco e le trasformazioni sociali e religiose
del suo tempo, nel vol. La famiglia salesiana riflette sulla sua vocazione nella chiesa di oggi. Torino-
Leumann 1973, pp. 145-170, soprattutto pp. 162-170.

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Un «nuovo prete» e la sua formazione culturale secondo Don Bosco 25
zione, vi siete imbevuti dello spirito di S. Francesco di Sales, e avete
imparate le regole e le industrie da usarsi pel miglioramento della
tenera età, voi dovete supplire secondo le vostre forze, voi dovete venire
in aiuto a D. Bosco, a fine di conseguire più facilmente e più largamente il
nobile scopo, che si è proposto, il vantaggio cioè della Religione, il
benessere della civile società, mediante la coltura della povera gioventù
(...). Così facendo, vedrete fruttificare il vostro ministero, coopererete a
formare buoni cristiani, buone famiglie, buone popolazioni (...). Ma per
riuscire bene coi giovanetti, fatevi un grande studio di usare con essi belle
maniere; fatevi amare e non temere; mostrate e persuadeteli, che
desiderate la salute della loro anima; correggete con pazienza e con
carità i loro difetti; soprattutto astenetevi dal percuoterli; insomma
adoperatevi che, quando vi veggono, vi corrano attorno, e non vi
fuggano, come fanno purtroppo in molti paesi, e il più delle volte ne
hanno ragione, perché temono le busse. Forse per alcuni vi sembreranno
gettate al vento le vostre fatiche, e sprecati i vostri sudori. Pel momento
forse sarà così; ma non lo sarà sempre, neppure per quelli che vi paiono
più indocili. Le buone massime, di che opportune et importune li avrete
imbevuti, i tratti di amorevolezza, che avrete loro usato, rimarranno loro
impressi nella mente e nel cuore. Verrà tempo in cui il buon seme
germoglierà, metterà i suoi fiori, produrrà i suoi frutti».51
«Il mondo ci copre di villanie ed anche d'ingiurie? E noi copriamolo
di benefizi, lavorando al suo benessere religioso, morale, e, potendo,
anche fisico e materiale. Mettiamo in pratica il consiglio di S. Paolo:
Noli vinci a malo, sed vince in bono malum (...). Sopra tutto attendete a
fare del bene ai fanciulli, ai poveri, agli infermi, come il divin Maestro,
e in tal modo chiuderete la bocca ai tristi, e quel che vai meglio attirerete
la protezione di Dio sopra di voi e sulle opere del vostro sacro Ministero,
e chi è protetto e benedetto da Dio sarà invincibile».52
6. Teoria e pratica nella formazione culturale del prete
Una ricerca approfondita potrebbe mettere in evidenza in don Bosco un vivo
apprezzamento della cultura ecclesiastica, non solo a livello «popolare», ma
anche medio e superiore. Egli vorrebbe gli ecclesiastici non secondi agli altri
nelle più significative espressioni della letteratura, della scienza, della storia,
dell'arte, della tecnica. Ma in concreto appare in lui primaria e più preoccupata la
sollecitudine per la disponibilità del maggior numero di sacerdoti e religiosi
meno dotati quanto a cultura teorica, ma generosi e competenti sul piano
dell'azione.
51 Discorso del 29 luglio 1880, BS 4 (1880) n. 9, settembre, p. 11.
52 Discorso del 27 luglio 1882, BS 6 (1882) n. 9, sett., p. 151; cf anche discorsi del 24
giugno e del 19 luglio 1883, BS 7 (1883) n. 8, agosto, pp. 127-129.

2.10 Page 20

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26
Pietro Braido
a) Due curricoli nella formazione degli ecclesiastici?
Di fatto, in varie esperienze, particolarmente in quella delle vocazioni adulte
e della cosiddetta «scuola di fuoco»,53 appare presente un'idea che è più volte
emersa nella storia della Chiesa dei secoli precedenti, in particolare in epoca di
«illuminismo cattolico»: e cioè l'ipotesi di due differenti programmi di formazio-
ne teologica, riservati a due distinti tipi di studenti: una teologia superiore per
pochi, una teologia inferiore per i più, destinati all'attività pastorale tra il popo-
lo.54
Della formazione culturale del clero dopo il Tridentino M. Guasco scrive:
«I programmi di studio, sulla carta, presentavano profonde analogie
in ogni regione: umanità e retorica, filosofia, teologia spesso ridotta alla
morale, qualche capacità linguistica (...). Tutti i programmi insistevano
sullo studio del latino e quindi della teologia morale. Lo stesso sant'Al-
fonso ricordava la necessità di tale studio che rendeva i preti atti a con-
fessare (...). Ma l'atteggiamento di fronte allo studio era sempre ambi-
guo: lamenti per le situazioni miserande, ed erano numerosissime; ma
anche diffidenza verso chi tendeva ad esagerare in questo ambito: scien-
tia ìnflat, e rende superbi (...). Alfonso, con molti altri autori, pensava
che ragioni diverse potevano anche indurre il vescovo a ordinare chi non
era in grado di studiare filosofia e teologia; tutti però dovevano fare
umanità e logica, e soprattutto teologia morale».55
La scelta di don Bosco non appare un ripiego, una resa imposta da uno stato
di necessità, certamente reale, ma una decisione consapevole, maturata dalla
constatazione di esigenze operative, le quali altro non richiedevano che una cultu-
ra realistica, efficace, tempestiva («secondo i bisogni dei tempi»).
È idea formulata con particolare incisività in due circostanze autorevoli, nel
1880, durante il Capitolo Generale II, e in una seduta del Capitolo Superiore del
1885.
53 Iniziata nell'anno scolastico 1873-1874 e rinvigorita nel 1874-1875: cf MB X
13261327; XI 55-56, 68-69 (Regolamento stampato in aprile 1875).
54 Già nella Ratio studiorum dei gesuiti era prevista una formazione prevalentemente
morale per quelli meno idonei a più severi studi di filosofia e teologia. «Coloro che nel corso
degli studi fossero trovati inadatti alla filosofia o alla teologia devono essere destinati, a giudi-
zio del provinciale, allo studio della casistica o all'insegnamento» (Regola del preposito provin-
ciale 19 § 4). Il professore di casi di coscienza «deve sforzarsi di indirizzare tutto il suo impegno
e tutta la sua fatica alla preparazione di bravi parroci o ministri dei sacramenti» (Regola del
professore di casi di coscienza 1).
55 M. GUASCO, La formazione del clero..., pp. 673-674. Sulla straordinaria importanza at-
tribuita alla teologia morale nella formazione del prete-confessore da don Cafasso, cf Istruzioni
per gli esercizi spirituali..., pp. 246-250.

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Un «nuovo prete» e la sua formazione culturale secondo Don Bosco
27
«In questi tempi in cui le vocazioni si fanno tanto rare tra i giova-
netti che frequentano i collegi ed i medesimi nostri ed in cui la chiesa
si trova tanto mancante di preti è una benedizione del cielo il poter
avere dei giovani adulti i quali tendano allo stato ecclesiastico. Noi a
questo scopo abbiamo stabilito l'opera dei figli di Maria. Questi gio-
vani saranno rozzi ed ignoranti ma hanno già superato i pericoli e gli
assalti del mondo, per altra parte sono di una buona volontà straordi-
naria: possono riuscire tanti tesori per la Chiesa: bisogna adunque aju-
tarli in ogni modo possibile, sostenerli, non pretendere che sappiano
tante cose; facilitare molto ad essi l'ingresso in Congregazione; quan-
do poi si vedano per questa decisi, accettarli come Ascritti e allora so-
stenerli in ogni modo, mettere loro maestri, stabilire maestri e scuole
apposite; non dire: dovrebbero sapere questo o quello e abbandonarli
perché non sanno, ma prenderli al punto che sono e fare sì che sappia-
no e farli progredire poco alla volta. Ma credo un errore massiccio il
non volerli accettare finattanto che non possano proprio star a pari con
quelli che fecero regolarmente la 5a ginnasiale; come credo errore
massiccio nella scuola mettere questi adulti coi ragazzi; essi sono di
minore ingegno, di più poca memoria e al vedere che i ragazzi facen-
do poco ed anche con poca attenzione sanno più di loro si scoraggiano
e danno indietro dalla via incominciata e poi se il maestro si occupa
dei primi deve trascurare i secondi e vice versa. Vi siano adunque due
scuole distinte di filosofia: l'una per quelli che sono giovani e fecero i
loro corsi regolari e l'altra per quelli adulti o che non fecero i loro cor-
si regolari ed in questa seconda scuola si sminuzzino le cose, si stia a
questo che capiscano il senso letterale del trattato facendolo leggere,
se ne faccia la costruzione, la traduzione e spiegando le parole che non
si capiscono: riguardo poi a letteratura bisogna che ripetano la gram-
matica e si veda di ridurli a non fare errori: poi si facciano esercizi di
traduzione su S. Girolamo e nei due anni di filosofia si ha tempo a far-
li progredire in modo che vengano a capire bene i loro trattati di teo-
logia».56
«D. Bosco dice che i figli di Maria sono per l'azione, mentre i pic-
colini che vengono su col loro ingegno saranno per la scienza. D. Du-
rando nota se non potrà coll'andar del tempo venire scoraggiamento
nei figli di Maria qualora si scoprano inferiori in scienza ai nuovi, ve-
nuti su più giovani. D. Barberis risponde che no perché non mancano
tra i figli di Maria di quelli che riescono benissimo per la scienza e
sono di grande ingegno».57
Ma i «figli di Maria» rappresentano soltanto un caso particolare, se si vuole,
un caso-limite, emblematico, della figura del «nuovo prete», educatore, operatore
religioso e sociale, che don Bosco sta fattivamente progettando e plasmando.
56 Lanzo, 6 sett. 1880, Verbali ms di don G. Barberis.
57 Verbali..., fol 77v.

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28
Pietro Braido
b) Lineamenti di una nuova cultura ecclesiastica funzionale
Don Bosco non ebbe tempo né opportunità né stimoli per elaborare un piano
per la formazione del «nuovo prete». Semmai vi contrastavano urgenze pratiche,
insuperabili difficoltà sul piano giuridico e i noti dissidi con talune autorità eccle-
siastiche. Tuttavia, se ne possono ricavare alcuni lineamenti da osservazioni
frammentarie, da dichiarazioni ripetute in sedi impegnative (Capitoli Generali,
Capitolo Superiore), da prese di posizione dinanzi a situazioni concrete. Almeno
tre sono i punti fondamentali sui quali egli ha potuto esprimere il suo pensiero in
modo sufficientemente chiaro: 1) l'ovvia presenza di una essenziale dimensione
culturale di base, soprattutto teologica; 2) la necessaria, determinante funzione
dell'esperienza sul campo, di un effettivo consistente «tirocinio»; 3) l'indispensa-
bile integrazione assicurata da un’adeguata cultura o competenza «professiona-
le», strumentale, richiesta dai diversi compiti educativi, didattici, amministrativi:
letteraria, scientifica, tecnica, artistica, oltre che propriamente pastorale e catechi-
stica.
Se ne può, forse, trovare una formulazione sintetica in un discorso rivolto a
ex-alunni sacerdoti il Io agosto 1881, in risposta a un cenno spregiativo ai preti
formati a Torino da don Bosco, fatto da un giornale fiorentino.58
«Del resto, poi, io non voglio che i miei figli siano enciclopedici (...).
A me basta che ognuno sappia bene quello che lo riguarda; e quando un
artigiano possiede le cognizioni utili ed opportune per ben esercitare l'ar-
te sua; quando un professore è fornito della scienza che gli appartiene
per istruire adeguatamente i suoi allievi; quando un sacerdote, precedenti
i dovuti esami, è giudicato idoneo ad esercitare il santo ministero, e lo
esercita difatto con frutto delle anime, costoro, dico, sono dotti quanto è
necessario per farsi benemerito della Società e della religione, ed hanno
diritto ad esser rispettati quanto altri mai».59
Si può tuttavia, fondatamente supporre che quell'inciso «precedenti i
58 Era la «Gazzetta d'Italia», che il martedì 7 giugno aveva pubblicato un articolo critico
su II giovane clero, accusato di basare la propria cultura esclusivamente sulla lettura del brevia-
rio e di uno dei giornali integristi, che si atteggiavano «ad unici paladini della Chiesa e del Pa-
pa». L'accusa era ricavata dal volume di CM. Curei, La nuova Italia ed i vecchi zelanti (Firen-
ze, Bencini 1881), pp. 59-60. Di don Bosco e dei suoi preti il giornale scriveva: «Vi è a Torino
un sacerdote, Don Bosco, che, in parecchi de’ suoi istituti, educa al servizio della chiesa centinaia
e centinaia di giovanetti; molti si danno poi alle missioni in Africa e nell'America Meridionale e
nelle Indie; ma parecchi rimangono, o, dopo qualche anno di vita fra gl’infedeli, ritornano alle
nostre chiese. Ognuno può immaginare che sacerdoti sieno. Per novanta su cento vengon fuori
da’ più bassi strati sociali (...). Ma in quei giovani nessuna educazione di spirito, nessuna genti-
lezza di modi (...)».
59 BS 5 (1881) n. 8, agosto, p. 16. Il corsivo è nostro.

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Un «nuovo prete» e la sua formazione culturale secondo Don Bosco
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dovuti esami», sottintenda pure una qualche «riforma» degli studi teologici quali
egli stesso aveva sperimentati e velatamente criticati. In realtà don Bosco non
doveva ricordare con eccessiva simpatia la formazione filosofica e teologica rice-
vuta in seminario; i contenuti dovettero essergli apparsi, alla luce delle successive
esperienze tra i giovani, piuttosto astratti e sterili, anzi in alcuni punti addirittura
angoscianti;60 per di più insegnati con metodo del tutto «depositario», passivo,
orientato semplicemente a operare il travaso di parole e di nozioni dal libro alla
memoria. Si può, infatti, ragionevolmente supporre che non abbia ingenerato
particolare fascino uno studio che dalla latinità alla teologia consisteva essen-
zialmente nel «memorizzare»: anche se utilitaristicamente gradito in periodo
scolastico, quanto profìcuo ai fini di una cultura vitalmente produttiva? e quanto
potevano risultare indispensabili al raggiungimento di traguardi tanto modesti un
lungo parcheggio quadriennale e corsi residenziali a tempo pieno?
Fin dalle classi di latinità, ricorda don Bosco, «l'attenzione alla scuo-
la mi bastava ad imparare quanto era necessario», anzi «non faceva di-
stinzione tra leggere e studiare».61 «La mia memoria continuava a favo-
rirmi, e la sola lettura e la spiegazione dei trattati fatta nella scuola mi
bastavano per soddisfare i miei doveri. Quindi tutte le ore stabilite per lo
studio io poteva occupare in letture diverse (...). [Autorizzato a studiare
i trattati del 4° anno durante le vacanze], in due mesi ho potuto collo
studio esaurire i trattati prescritti e per l'ordinazione delle quattro tem-
pora di autunno sono stato ammesso al suddiaconato».62
60 Cf P. STELLA, Don Bosco nella storia della religiosità cattolica, vol. I. Roma, LAS
19792: «Anche sull'insegnamento delle materie ecclesiastiche ricevuto in Seminario Don Bosco
esprime un giudizio complessivo d'insoddisfazione» (p. 59). «Si hanno buoni motivi per sup-
porre che in Seminario avessero acquistato un contesto ragionato il premozionismo e il prede-
stinazionismo che in termini popolari Don Bosco aveva appreso in trattatelli spirituali (non
esclusi quelli di S. Alfonso) e sul tema specifico della scelta dello stato. E in sede di teologia
morale diede una spiegazione ragionata a quanto aveva appreso dal catechismo diocesano e
dalle spiegazioni parrocchiali, ad esempio sulla necessità di confessare i peccati dubbi, asserita
con assolutezza anche da probabilioristi e tuzioristi» (p. 63). «In questa tormenta interiore
[sofferta da don Bosco in ordine alla propria salvezza] motivata dall'insegnamento scolastico è
da vedere anche una delle ragioni dell'atteggiamento critico di Don Bosco: si insegnava la
"speculativa"; e non si badava sufficientemente al fatto che una dottrina discussa e discutibile,
presentata come la vera o "la più vera", era talvolta causa di mortali lacerazioni interiori» (p.
64).
Nella Cronaca del chierico Ruffino, in data 16 gennaio 1861 si trova questa significativa
annotazione: «Don Bosco fu interrogato del suo parere intorno ai sistemi dell'efficacia della
grazia e rispose: Io studiai molto queste questioni; ma il mio sistema è quello che ridonda a
maggior gloria di Dio. Che mi importa di aver un sistema stretto e che poi mandi un'anima
all'inferno o che abbia un sistema largo purché mandi anime al paradiso» (Cronache dell'Ora-
torio di S. Francesco di Sales, N. 2, pp. 8-9).
61 MO 77.
62 MO 111, 113.

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Pietro Braido
Di contro sta il famoso passo, implicitamente critico nei riguardi del semina-
rio, del tutto positivo per il convitto, nel quale si oppone cultura estranea alla vita
e cultura operativamente funzionale:
«Il Convitto Ecclesiastico si può chiamare un complemento allo stu-
dio teologico, perciocché ne’ nostri seminarii si studia soltanto la dom-
matica, la speculativa; di morale si studia soltanto le proposizioni con-
troverse. Qui si impara ad essere preti. Meditazione, lettura, due confe-
renze al giorno, lezioni di predicazione, vita ritirata, ogni comodità di
studiare, leggere buoni libri (...). Affinché poi i giovani leviti, terminati
i corsi in seminario, potessero imparare la pratica del sacro ministero,
il teologo Guala fondò quel maraviglioso semenzaio, da cui provenne
molto bene alla Chiesa, specialmente a sbarbare alcune radici di gianse-
nismo, che tuttora si conservava tra noi».63
Sono critiche molto diverse da quelle, dotte, rivolte da Opstraet, Rosmini e
altri.64 L'ottica di don Bosco è, essenzialmente, la funzionalità, la praticità, la
disponibilità al pronto intervento ai fini della «salvezza delle anime» (e dei cor-
pi).65
Anche per questo gli poté apparire compatibile, anzi culturalmente e vital-
mente fecondo il connubio di studio e azione, in particolare tra l'apprendimento
teologico e l'immersione nel vivo della pratica educativa.
È convinzione di cui rimane una significativa testimonianza fissata da Giulio
Barberis in data 19 febbraio 1876 nella sua Cronachetta. Il discorso verte sugli
studi dei cosiddetti «figli di Maria»; sorge il dubbio se riunirli tutti nella casa di
Sampierdarena oppure mantenerne ancora un gruppo a
63 MO 121.
64 Sono ricordate da P. STELLA, Don Bosco nella storia..., vol. I, pp. 60-61; C. BONA, Li-
nee di storia e storiografia della Chiesa in Piemonte (sec. XIX), nel vol. Chiesa e società nella II
metà del XIX secolo in Piemonte, a cura di F.N. Appendino. Casale Monferrato, P. Marietti
1982, pp. 24-27 {Seminari e formazione ecclesiastica).
65 In proposito non pare inutile tener presente quanto Pietro Stella scrive circa la fascia
di cultura ecclesiastica nella quale si colloca don Bosco, ovviamente inclinato a proiettare sui
suoi il proprio livello e ideale culturale. «La cultura e il linguaggio del santo piemontese ap-
paiono dai suoi medesimi scritti come il prodotto e il segno culturale di un clero medio, pasto-
ralmente impegnato, nel periodo di lunga crisi degli studi ecclesiastici tra rivoluzione francese e
primo '900 (...). Don Bosco, dopo aver studiato dettature o stampati di teologia dogmatica e
morale, leggeva trattazioni erudite di storia ecclesiastica o di altro del settecento; ma soprattutto
leggeva e maneggiava catechismi, libri devozionali, vite di santi, libri di ascetica, libretti a uso
scolastico per adolescenti. La cultura ecclesiastica in Piemonte, fatta ormai in seminari attenti a
formare il buon prete ministro della catechesi, dei sacramenti e dell'assistenza ai bisognosi,
oltre tutto, se non in polemica con quella della facoltà di teologia e di ambo le leggi dell'universi-
tà di Torino, era in larga parte disancorata da essa» (P. STELLA, Le ricerche su don Bosco nel
venticinquennio 1960-1985: bilancio, problemi, prospettive, in Don Bosco nella Chiesa a servizio
dell'umanità. Roma, LAS 1987, pp. 387-388).

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Un «nuovo prete» e la sua formazione culturale secondo Don Bosco
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Torino; è preferita la seconda soluzione, anche se implica l'impiego come inse-
gnanti di un maggior numero di chierici; don Bosco vede vantaggioso che essi
possano abbinare studio teologico e tirocinio pratico.
«Propendo per lasciarli separati. Per riguardo a professori che son
doppi: da noi si han molti chierici, i quali facendo queste scuole, serve
loro di grande esercizio. È vero che non possono più attendere tanto alla
teologia, ma vedo proprio che anche dalla parte di teologia poco ne
perdono, perché se non hanno insieme qualche altro studio a fare, rara-
mente son molto applicati in quello. Invece se han anche un po' da fare
scuola occupano molto meglio il tempo essendovi uno studio che incalza
l'altro».66
7. Cultura ecclesiastica di base
In quell'ottica don Bosco si impegna nel discorso sugli «studi ecclesiastici»,
in particolare teologici, palesando un atteggiamento ambivalente: ne dilata for-
malmente l'importanza e l'estensione nei documenti ufficiali, mentre scende a
generosi compromessi sul piano pratico-operativo in favore di soluzioni più di-
namiche, sostanzialmente innovative (e insieme funzionali a pressanti situazioni
di fatto).
Così nel Cenno istorìco del 1873/1874, preparato per la commissione cardi-
nalizia che avrebbe dovuto pronunciarsi sull'approvazione definitiva delle Costi-
tuzioni, egli suppone lo svolgimento regolare del corso ginnasiale e del biennio
filosofico (o del triennio liceale per chi si preparava a esami pubblici). Quanto
alla teologia scrive: «Per la teologia abbiamo i corsi regolarmente stabiliti nell'O-
ratorio di S. Francesco di Sales» e tende a dimostra-
66 G. BARBERIS, Cronachetta, quad. 4°, p. 81. Il corsivo è nostro. In questa linea è estre-
mamente significativa una tardiva testimonianza di un salesiano, che visse l'esperienza forma-
tiva attuata da don Bosco come studente-educatore, Erminio Borio (1853-1934); E. Ceria, che
ne è il destinatario, vi accenna in MB XIII, 820: «S. Pier d'Arena 21.VI. 1931. Carissimo D.
Ceria, mi viene in mente un detto del nostro Beato Padre D. Bosco che mi pare abbia grande
importanza e designi come un programma di vita salesiana. Nel periodo di tempo che io tra-
scorsi a Borgo San Martino dal 1874 al 1881, essendo venuto, come soleva, ad una festa estiva,
forse di S. Luigi, ricordo che un giorno ci siamo trovati parecchi confratelli attorno a lui sotto i
portici discorrendo così alla buona come solevasi fare con lui. Per conto mio gli dissi: Ma, D.
Bosco, noi abbiamo tanto da fare per i nostri vari doveri ed uffici che non ci resta quasi più
tempo per attendere ai nostri studi particolari e convenientemente istruirci.'E D. Bosco pronto
con un tono che mi suona ancora all'orecchio: "Ed è così che voglio". Ora che ormai ho percor-
so la mia via, riportandomi alle istruzioni che D. Bosco faceva agli Esercizi, mi pare inculcasse
la massima del non plus sapere quam oportet sapere, e questo tanto, dovercelo procurare fatico-
samente con la nostra attività ed industria, riuscendo così lavoratori salesianamente temprati
sull'esempio del Padre» (ASC 123 Erminio Borio).

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32
Pietro Braido
re che si procede con serietà quanto a programmi, professori, testi, equiparati a
quelli del seminario arcivescovile.67
Naturalmente non fa parola dei chierici studenti sparsi nelle diverse case in
condizioni piuttosto precarie quanto a reali possibilità di studi sistematici.
Analogamente avverrà con le Deliberazioni del Capitolo Generale II (1880;
pubblicate nel 1882) formalmente dirette a «normalizzare» gli studi dei soci
salesiani chierici. In realtà, secondo le stesse Deliberazioni, per gli studenti di
teologia è prevista una duplice normativa: l'una conforme alle prescrizioni
costituzionali, che resterà totalmente disattesa;68 l'altra, in teoria l'eccezione, di
fatto, quanto agli studi teologici, sarà la regola per più di un ventennio.69
«Studii filosofici: 5. Gli studenti di filosofia restino, tutti, per quanto
è possibile, nelle case di studentato. 13. Affinché possano agevolmente
compiere gli studi filosofici e teologici, i nostri soci non frequenteranno
le scuole delle università, se non dopo essere stati iniziati negli ordini
sacri. 14. Per mezzo di regolare e continua assistenza si procuri che
ciascuno occupi bene il tempo».70
Studii Ecclesiastici: 1. Il corso teologico abbraccia quattro anni.
Finito il quadriennio richiesto dalle Costituzioni i socii attenderanno
per due anni allo studio della morale casistica. 2. In ogni ispettoria vi
sarà uno studentato per gli studi teologici. 3. L'anno scolastico durerà
nove mesi intieri. Negli studentati vi saia non meno di tre ore di
scuola al giorno (...).
3. (...) Nelle case dove non si può ancora avere un regolare
studentato sono stabilite non meno di cinque ore di scuola per settimana.
8. Il Consigliere Scolastico del capitolo Superiore fisserà anno per anno
i trattati da studiarsi in tutte le case. 9. L'ispettore nomini a tempo
debito gli esaminatori per ciascuna casa della sua Ispettoria. 11.
Affinché un chierico sia ammesso al sacerdozio, dovrà aver sostenuto
gli esami su tutti i trattati assegnati al quadriennio. Qualora però il
Rettore Maggiore giudicasse farsi alcuna eccezione col presentare alle
sacre Ordinazioni qualcuno prima del compimento del corso teologico,
questi rimarrà ancora obbligato a completare gli studii negli anni
seguenti ed a sostenere gli esami prescritti. 17. I chierici ed i novelli
sacerdoti non applicati all'insegnamento si astengano da letture e studii
non direttamente utili al
67 Cf P. BRAIDO, L'idea della Società Salesiana..., RSS 6 (1987), pp. 266-268; in
particolare, pp. 13-17 [= 294-301] del Cenno istorico (VI. Studio).
68 Deliberazioni del II Capitolo Generale della Pia Società salesiana tenuto in Lanzo
Torinese nel settembre 1880. Torino, Tip. Salesiana 1882, Distinzione IV. Studio, capo I. Studii
Ecclesiastici, art. 1, 2, 3.
69 Ibid., art. 3, 8, 9, 11, 17, 18.
70 Ibid., capo II. Studii filosofici e letterarri, pp. 70-71.

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Un «nuovo prete» e la sua formazione culturale secondo Don Bosco
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sacro ministero. 18. Ogni Direttore procuri che i chierici maestri od
assistenti abbiano mezzo, tempo e comodità di studiare: ed il catechista
invigili che detti studii siano fatti in modo conveniente, che nessuno
perda tempo o si occupi in cose non necessarie, trascurando gli studii
obbligatori».71
Una cultura teologica di base, necessaria e sufficiente a rendere il sacerdote
«idoneo ad esercitare il sacro ministero e lo esercita difatto con frutto delle
anime» è, dunque, ammessa da don Bosco senza ombra di contestazioni. È
doverosa obbedienza alla legge e alla veneranda tradizione della Chiesa
trasmettere quella «scienza sacra» che rende «dotto» il prete quanto basta per far
fronte ai suoi doveri pastorali.72
Ma le applicazioni concrete del principio appaiono poi molto articolate.
Desunte soprattutto da ripetuti interventi in sedute del Capitolo Superiore e in
sessioni dei Capitoli Generali I e II, talvolta in disaccordo con alcuni
collaboratori, sembra si possano ricondurre alle seguenti: 1) è urgente poter
disporre, nelle case di educazione, di sacerdoti in grado di integrare la loro
attività di assistenza e di insegnamento con l'esercizio delle forme fondamentali
del ministero ordinato, in particolare con la celebrazione della Messa; 2) non è
indispensabile o addirittura è irrilevante o inopportuno (in ogni caso, impossibile
nella situazione esistente) che gli studi teologici prescritti siano compiuti in un
luogo separato da studenti del tutto segregati dall'azione diretta tra i giovani;
comunque, di una ipotesi «segregatrice» don Bosco non fa mai parola, nemmeno
come prospettiva ideale; 3) che la Deliberazione del Capitolo Generale II circa lo
studentato teologico in ciascuna ispettoria costituisse più un ossequio formale
alla legge canonica che una perentoria disposizione da eseguire tassativamente
sembra confermato dal fatto che né don Bosco né altri prevedono provvedimenti
in relazione al radicale cambiamento che ne sarebbe venuto nella vita delle case e
alle esigenze del nuovo tipo di formazione che avrebbero fornito gli «studentati»
(come avverrà in parte nel capitolo Generale IX del 1901); 4) non
necessariamente l'ordinazione sacerdotale richiede quale condizione previa il
compimento dell'intero corso teologico, che può, invece, venir opportunamente
portato a termine in seguito; 5) sebbene talvolta affiorino serie carenze nella
formazione liturgica dei sacerdoti e siano messe in luce inadempienze nel
completamento degli studi teologici dopo l'ordinazione, don Bosco non recede
dalle sue idee circa l'ordinazione anticipata; egli insiste con forza perché
71 Ibid., pp. 65-67.
72 Cf il testo citato sopra a p. 28.

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Pietro Braido
strutture e persone, in particolare i direttori, concorrano al regolare svolgimento
dei corsi, predisponendo semmai corsi speciali per quelli che si trovassero in
condizioni culturali sfavorevoli (per esempio, i «figli di Maria»); 6) una forma-
zione tologica completa, con specifiche integrazioni morali, tra cui i trattati de
sexto e de matrimonio, è fatta valere come presupposto al conseguimento della
patente di confessione.
La breve documentazione che segue chiarirà l'uno o l'altro punto di vista.
Già nelle Conferenze autunnali del 1875 si trova denunciata l'inosservanza
delle cerimonie nella celebrazione della Messa e si propone una migliore orga-
nizzazione degli studi ecclesiastici nelle case.
«7° Ancora si venne (...) ad insistere che i direttori invigilassero sul
modo di dir la messa dei loro preti: poiché pare che alcuni eseguiscano
poco bene le cerimonie (...). 9° Anche a questo riguardo si fece osservare
che in varii collegi han mai, o quasi mai scuola di ceremonie; essere que-
sta cosa di grave importanza; perciò dove non c'è si stabilisca subito e si
faccia di regola ogni settimana. 10° Dalla scuola di ceremonie si passò a
parlare della scuola di teologia. I visitatori fecero osservare che in quasi
tutti i collegi furono poco soddisfatti degli esami di teologia e che seppero
in alcuni collegi essersi trascurato molto quella scuola. Perciò la scuola
si prenda a cuore dai direttori e non si lasci mai. Interinamente poi per
guadagnar tempo, ogni direttore procuri subito dopo gli esercizi di avere
i soci per i loro collegi destinati, ed avvertirli che avendo ora tempo si
preparino per l'esame che si darà ai Santi. 11° Per l'uniformità negli stu-
dii teologici si è stabilito che in tutti i collegi si studiassero gli stessi tratta-
ti; si è visto che in alcuni si cambiò l'ordine; cambiando un cherico colle-
gio, per un altro anno si troverà imbrogliato. Si raccomandò che nessuno
cambi l'ordine dei trattati che sono da studiarsi. 12° Avviene anche tra
noi con frequenza che si dia la messa a chi non ha ancora compiuto lo
studio della teologia. Si badi dai singoli direttori che quantunque quei soci
abbiano già la messa non sono dispensati dal prender gli esami di quei
trattati su cui non furono esaminati. Si lasci perciò loro il tempo congruo
e si faccia loro avere comodità di essere esaminati quando sono abbastan-
za preparati su qualche trattato. Anzi nella maggior parte dei casi sarà
bene che si stabilisca che continuino ad andare regolarmente anche essi
alla scuola di teologia e subiscano gli esami insieme agli altri».73
Tra gli argomenti da trattarsi nel Capitolo Generale I (1877) si trova anche
lo Studio. Nello schema preparatorio è prevista l'accettazione in noviziato come
studenti di quelli che avessero compiuto il ginnasio; al noviziato
73 «Cronaca» ms Barberis, quad. 12°, 24 settembre 1875, pp. 33-35.

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Un «nuovo prete» e la sua formazione culturale secondo Don Bosco
35
dovrebbero seguire due anni di studi filosofico-letterari.74 Verrebbero poi gli studi
«ecclesiastici», naturalmente nelle case.
«Ogni direttore procuri che i chierici di sua casa abbiano mezzi, tempo e co-
modità di studiare. Nei casi di bisogno un chierico può essere presentato alle sacre
ordinazioni prima del compimento del corso teologico; ma è obbligato a comple-
tarlo dopo, né potrà presentarsi all'esame di approvazione per le confessioni se
non ha compiuto lo studio della teologia dogmatica, e morale».75
Questo medesimo pensiero don Bosco ha opportunità di ribadire con parti-
colare energia nel corso della discussione accesasi durante la ventitreesima ses-
sione intorno a un articolo — formulato da don Bosco stesso —, inteso a stabilire
che gli Ordini sacri si prendessero possibilmente in tempo di vacanze.
«Vi fu chi fece notare quell'articolo parergli inconveniente; veder necessità
che le Sacre ordinazioni non si facessero prendere tanto in fretta; ma doversi la-
sciare gli opportuni intervalli tra l'una e l'altra mentre lo stabilire che si prendano
lungo le vacanze quasi indicare che la cosa si faccia con troppo precipizio. Ai più
tuttavia parve conveniente lasciare l'articolo: non indicarsi con questo, che tutte le
ordinazioni si devano prendere lungo le vacanze, ma solo che possibilmente si ri-
mandino a quel tempo, sia pel maggior comodo degl'individui i quali avendo ter-
minate le annuali occupazioni possono prepararsi meglio nello studio, nelle sacre
Cérémonie e fare più pacatamente gli esercizi spirituali, sia per comodità della
Congregazione e delle case; poiché così non resteranno tanto interrotte le scuole e
gli altri uffizi, che i candidati alle Ordinazioni hanno tra mano. D’altronde, sog-
giunse D. Bosco, il quale era già stato l'introduttore di quell'articolo, finora vi fu
tale necessità di preti per sopperire ai bisogni delle singole case, che si dovettero
far Ordinare anche di coloro i quali non avevano ancora finiti gli studii e fu anche
necessario che varii prendessero le ordinazioni in fretta. Ora è già aumentato assai
il numero dei preti, perciò il bisogno delle case non sarà più tanto grande, quindi
speriamo non sarà più necessario prendere le cose tanto in fretta. Il bisogno di far
prendere le Ordinazioni anche prima che si abbiano finiti gli studii si fa proprio
sentire; poiché se va in un collegio un semplice chierico otterrà come uno; se il
medesimo è già prete sarà subito tenuto dai giovani in molto maggior conto e po-
trà fare il doppio, senza contare la comodità della messa, che per noi è sempre
grande. D’altra parte poi negli studii quel confratello non ne ha da perdere perché
è sta-
74 Ma tra le aggiunte manoscritte al testo si trova già un’eccezione: «Occorrendo gli A-
scritti potranno anche lungo Tanno essere occupati in studii di filosofia e letteratura» (però, li
sospenderanno tre mesi prima della professione religiosa) — Aggiunta ms di don Barberi s.
75 Capitolo Generale della Congregazione Salesiana da convocarsi a Lanzo nel prossimo set-
tembre 1877. Torino, Tip. Salesiana 1877, p. 5.

3.10 Page 30

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36
Pietro Braido
bilito, e si faccia eseguir bene, che anche colui il quale è prete è tenuto a
prendere l'esame di quei trattati di cui non l'ha ancor preso, e potendo,
anche di frequentare la scuola. Se dunque conviene lungo le vacanze far
ordinare varii, anche un po' più in fretta, essi non ne perdono nello stu-
dio, ne guadagnano le case e l'individuo stesso in quel tempo ha maggior
comodità di farlo essendo libero da ogni occupazione».76
Il Capitolo lasciava sospesa questa e tutte le altre regolamentazioni circa gli
studi dei salesiani, «deliberando» soltanto su un generico articolo unico:
«STUDIO. - Capo I. Studio tra i salesiani. I sacerdoti e i chierici della
Pia Società salesiana regoleranno i loro studi secondo il capo XII delle
nostre Costituzioni e secondo il regolamento interno delle case».77
Anche nel corso del Capitolo Generale II (1880), che doveva approdare alla
platonica deliberazione circa gli studentati teologici ispettoriali, don Bosco non
mancò di intervenire in favore delle soluzioni esistenti, facendo prevedere le resi-
stenze — non, certo, dovute soltanto a ragioni utilitarie — a una letterale attua-
zione del dettato costituzionale.78
Si è coscienti da parte di alcuni della responsabilità di dare ai sacerdoti una
migliore formazione teologica. Se ne fa portavoce autorevole don Giovanni Ca-
gliero: «si venne portati quasi senza accorgersi — annota don Barberis — sugli
studii in generale e che abbiamo alcuni preti che fecero troppo poco studii i quali
perciò mettono in pericolo di farci fare cattiva fi-
76 Verbali del Capitolo Generale I, ms Barberis.
77 Deliberazioni del Capitolo Generale della Pia Società Salesiana tenuto in Lanzo-
Torinese nel settembre 1877. Torino, Tip. e Libr. Salesiana 1878, p. 15.
78 Nella Relazione intorno agli studii teologici e testi da adottare della Commissione 3a del
Capitolo Generale IX, in riferimento alle disposizioni del Capitolo Generale II, si riconosce
apertamente: «Queste disposizioni fin'ora non vennero messe in pratica che in parte. Poiché è
verissimo che non si ammette nessuno alle S. Ordinazioni senza aver superati gli esami su tutti i
trattati del Quadriennio; verissimo che si fissarono in ogni Casa i professori delle materie teo-
logiche, e in ogni Ispettoria Esaminatori che con uniformità di criterio e serietà sottomettessero
a regolare esperimento i chierici; verissimo che i Superiori inculcarono ed inculcano in tutti i
modi lo studio delle discipline ecclesiastiche. Pur tuttavia non si riuscì a conseguire interamente
lo scopo prefisso, e però si vede la necessità di attuare questi studentati Teologici dal Capitolo
II deliberati. — Riguardo poi alla scelta de' testi, la Commissione è persuasa che nelle prece-
denti discussioni si è sempre supposto che gli Studii Teologici si dovessero fare come fin'ora si
fecero nelle Case particolari; e quindi si desiderava che i Testi fossero talmente brevi e semplici
da essere intesi e studiati anche quando e dove non vi fosse un insegnamento regolare. Tanto è
vero che l'art. 582 ha queste parole: «Adatti ai bisogni dei nostri chierici». — E questo certa-
mente ebbero innanzi agli occhi i Confratelli nel compilare i Testi ora in uso ad esperimento.
Ma quando ai nostri chierici si dia tempo e modo di compiere il quadriennio negli Studentati,
come venne stabilito nel 2° Cap. Generale, è evidente che con altro criterio si dovrà procedere
al riordinamento degli studi ecclesiastici e alla scelta dei Testi».

4 Pages 31-40

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4.1 Page 31

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Un «nuovo prete» e la sua formazione culturale secondo Don Bosco
37
gura e si insistette specialmente da D. Cagliero che non si desse la messa se non
dopo assolutamente finito il quadriennio di teologia».79
Ma ancora una volta don Bosco insiste su soluzioni pratiche più flessibili,
secondo lui non dannose agli individui e più vantaggiose per le case: studi teolo-
gici nell'ambito delle istituzioni giovanili, adeguata disponibilità di tempo, possi-
bile anticipo dell'ordinazione sacerdotale, successivo compimento degli studi
ecclesiastici.
«D. Bosco parlò a lungo e sentitamente — continua il cronista — fa-
cendo vedere che se alcuni preti sono troppo indietro si ajutino, si conti-
nuino ad ammaestrare qualcuno, si curi di correggere loro dei lavori.
Che se non hanno ancora compiuto il quadriennio e non han preso l'esa-
me su tutti i trattati, si ottenga ciò che si è già detto tante volte, che conti-
nuino andare a scuola dopo le ordinazioni, che per ciò si lasci loro sempre
qualche po' di tempo da occuparsi di teologia; ma che assolutamente non
si voglia mettere per base una cosa che non è accettata in nessun ordine
religioso, essendoché dappertutto, quando ne è il caso, si promuovono
alle ordinazioni prima che sia finito il corso. Così fanno anche i vescovi
qua e là e questo è suggerito dai bisogni grandi in cui si è ai nostri tempi
di sacerdoti. Notò ancora D. Bosco che il farsi, come si fece, già tanta in-
sistenza su questo punto dipende da un errore, che cioè si confonde ciò
che è di principio da ciò che è di pratica. Il principio è da lasciarsi che
cioè quando il Superiore maggiore lo crede conveniente promuova agli
ordini sacri anche prima che sia finito il corso e presi tutti gli esami. La
pratica poi si regoli prudentemente come sopra si disse procurando di i-
struire, di far ancora studiare, di tenere indietro quegli individui che non
si credono al caso ecc. - Motivi speciali poi che mi inducono a far accele-
rare varii per le ordinazioni sono questi: Io Che con questo si danno all'in-
dividuo maggiori mezzi di perfezione - 2° Con questo si dà a Dio maggior
lode, si ottengono maggiori grazie dal Signore per tutta la chiesa, per la
Congregazione, per noi - 3° Così si può fare più del bene nelle nostre ca-
se perché appena preti si acquista maggior autorità sui giovani, si met-
tono più in libertà i direttori e altri principali superiori, i quali potranno
avere la messa a ora libera, ecc. Vedi il detto altrove. -
79 Capitolo Generale II, sessione del 5 settembre, Verbali ms di don Barberis. Insistenze
su maggior rigore ritornano cinque anni dopo in seno al Capitolo Superiore. In una seduta del
24 agosto 1885, antim. (presieduta, assente don Bosco, da don Rua), «D. Barberis propone che
per avere un criterio giusto negli studii dei nostri Chierici e sulla loro scienza si formi una com-
missione esaminatrice composta sempre dagli stessi Professori che vada a dare gli esami nei
vari collegi. Così allora si potrà conoscere il valore dei voti» {Verbali del Capitolo Superiore, fol
64v). — Nella seduta pomeridiana del medesimo giorno (presieduta da don Bosco) «D. Barbe-
ris presenta il nome di varii che domandano di essere mandati agli esercizii per poter ricevere il
Sacro ordine del Suddiaconato. Il Capitolo li rimanda ad altre Ordinazioni non avendo subito
gli esami necessarii di teologia secondo le regole nostre. Si esige un regolare corso di studi e di
esami poiché tra noi chi è ordinato difficilmente ha poi il tempo per acquistare la scienza che è
necessaria per le troppo occupazioni» (Verbali..., fol 65v).

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38
Pietro Braido
Anche noi siamo poveri, v'è la limosina. Si dà maggior comodità alle
popolazioni».80
Invece, don Bosco si mostra meno interessato ad affrettare l'esame di con-
fessione e, quindi, lo studio previo della morale pratica, che includeva la parte
morale del trattato de matrimonio e la trattazione de sexto, argomenti delicati che
egli preferisce escludere dal corso quadriennale e riservare a un tempo di maggior
maturità dei candidati, irrobustiti dalla grazia particolare del sacramento dell'Or-
dine.
«La seconda cosa che appunto si stabilì fu a questo riguardo che cioè
dopo presa la messa si studiasse ancora per due anni la teologia morale
80 Cap. Gen. II, sess. pom. del 5 sett., Verbale ms di don Barberis. Don Bosco ritornerà
sull'argomento in una seduta del Capitolo Superiore del 18 settembre 1885: «Si guardi che gli
ordinandi sappiano bene i trattati de Ordine e de Eucaristia altrimenti non si ordinino. D. Cerni-
ti nota che certi uni specialmente se abbandonati a se stessi agli studii non andrebbero avanti se
non studiando trattati in Italiano. D. Bosco insiste che non si dimentichino le usanze degli
Ordini religiosi che affrettano talora le ordinazioni e danno il Presbiterato al primo anno di
teologia. Che però ciò che non si studia prima si studi dopo. D. Rua osserva che prese le ordi-
nazioni finora è difficile che uno possa continuare gli studi. D. Bosco continua che esso racco-
manda sovratutto che quando uno vuol prendere le Sacre ordinazioni si osservi bene e si esa-
mini prima che prendano il suddiaconato e si veda: Avete studiato? Come andò la condotta?
Avete perso inutilmente nessun anno? Esiggete moralità e Teologia insieme. Che nei voti dei
trattati vi sia sufficienza: che non vi sia letargo negli studi etc.» (Verbali..., fol 79r). Già nelle
Conferenze di S. Francesco di Sales del 1877 aveva detto: «Vedo che nello Stato Pontificio e
credo quasi universalmente appena si entra in teologia si comincia ad ordinarli e si va poco alla
volta (...). In tutti gli ordini poi vedo che si dà la messa molto presto e la teologia e la morale si
studiano poi quando si è preti». E riferendosi al caso particolare di Angelo Lago (1834-1914;
entrato a Valdocco nel sett, del 1872, professo nel sett. 1873, sac. il 22 sett. 1877), un farmaci-
sta fattosi salesiano e avviato al sacerdozio, osserva: «io non sarei niente discorde che Lago
verso il fin dell'anno fosse ordinato. È di santa vita, è di scienza, e se non sa ancora tanto la
teologia scolasticamente, è però così istruito nelle cose di religione che molti preti non potreb-
bero stargli a fronte» (6 febbr. 1877 - «Cronaca» ms di don Barberis, quad. 13°, p. 18).
Il punto di vista di don Bosco, però, non va confuso con i procedimenti sommari con cui
si arrivava alle ordinazioni in tante diocesi italiane soprattutto del Centro-Sud nell’ ‘800. Egli
esigeva, indiscutibilmente, un curricolo teologico completo, quale era previsto nei migliori semi-
nari del tempo; gli sembrava semplicemente ammissibile che in certi casi tale curricolo in parte
potesse compiersi — seriamente — dopo l'ordinazione e integrarsi con una diligente prepara-
zione all'esame di confessione. Qualche cenno a ordinazioni frettolose in alcune diocesi si trova
negli studi di G. MARTINA, Pio IX e Leopoldo IL Roma, PUG 1967, pp. 383-386; ID., Il clero
italiano e la sua azione pastorale verso la metà dell'Ottocento, in R. AUBERT, Il pontificato di
Pio IX (1846-1878), Parte II. Torino, SAIE 1976, p. 770; ID., // clero nell'Italia centrale dalla
restaurazione all'unità, in Problemi di storia della Chiesa dalla restaurazione all'unità d'Italia.
Napoli, Edizioni Dehoniane 1985, p. 262. Va pure ricordata un’iniziativa di mons. Pier Luigi
Speranza, il quale «nel 1873 decise di istituire un "corso speciale" di teologia, cioè un corso
accelerato, comprendente dogmatica, morale e catechesi, da riservarsi preferibilmente a persone
adulte sprovviste di istruzione secondaria»; dal cognome del primo di essi ordinato prete, Gio-
vanni Pifferi, «i sacerdoti di questo corso vennero comunemente chiamati "Pifferi" con riferi-
mento alla loro scarsa cultura» (Alle radici del clero bergamasco 1854-1879. Bergamo, Edizioni
del Seminario 1981, pp. 128 e 129).

4.3 Page 33

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Un «nuovo prete» e la sua formazione culturale secondo Don Bosco
39
pratica. Dapprima si era detto di stabilire questo studio pratico per un
solo anno ma appena qualcuno lo propose di due D. Bosco unì la sua
voce perché si approvasse: anzi soggiunse: "Io vedo la grande necessità
che vi è di sacerdoti ed il gran bene che il sacerdozio arreca all'individuo
ed alla società e insisto che si conceda con la maggiore facilità possibile
la messa; ma quando poi si tratta di prendere l'abilitazione per la
confessione io non fo mai premura a nessuno; anzi sono contento che si
aspetti quanto è necessario. Sì, più si rimanda la confessione più sono
contento e credo che sarebbe un gran bene sia pei medesimi sacerdoti sia
per le anime se si andasse molto a rilento nel dare la facoltà di
confessare. Egli poi soggiungeva che più va avanti più si trova
disingannato su molti punti e che vi sono non poche cose che a questo
riguardo impara ora ai 60 e più anni. Deplora la assoluta necessità in cui
si trovano ora pressoché tutti i vescovi di mandare subito viceparroci i
preti appena hanno le sacre ordinazioni. Ed anche noi siamo spinti da
necessità per il molto lavorare che vi è nel ministero a non aspettare
molto tardi: tuttavia si stabilì che finito il quatriennio di studi teologici
due anni fossero ancora applicati allo studio della morale pratica prima
di essere abilitato per le confessioni».81
8. L'esperienza sul campo resa pedagogicamente significativa
Il secondo determinante fattore formativo dell'ecclesiastico è costituito
dall'esperienza pratica, per i salesiani in particolare dall'impegno educativo tra i
giovani, per tutti nell'assistenza, per buona parte anche nell'insegnamento.
Nel Cenno istorico, per ragioni di opportunità, don Bosco tende a sminuire
l'estensione e l'incidenza dell'attività pratica nell'iter formativo dei suoi chierici;
ma in sostanza l'ammette e la giustifica, sorretto dall'incrollabile convinzione
della centralità del lavoro in una vocazione sacerdotale e salesiana genuinamente
vissuta.82
«Queste varie occupazioni si addicono al loro stato ed è lo scopo
fondamentale della nostra Società. A questo riguardo è bene di notare,
81 Capitolo Generale II, sess. antim. del 6 sett. 1880, Verbale ms di don Barberis.
82 Riferendo dell'udienza avuta da Pio IX l’8 aprile 1874 dopo l'approvazione delle Costituzioni don
Bosco attesta che il Papa gli concesse, tra altri favori, la facoltà di affidare ai chierici, anche durante l'anno di
noviziato, le stesse occupazioni, che le Costituzioni stabilivano per la prima prova. «Anzi — avrebbe soggiunto
Pio IX —, non metteteli in sagrestia, perché diventano oziosi; ma occupateli a lavorare, a lavorare!» (MB X
799). E nell'edizione torinese delle Costituzioni (1874) in calce all'art. 12 sul noviziato don Bosco faceva
stampare il seguente avvertimento: «Il papa Pio IX concesse che i Novizi potessero provarsi in quegli officii, che
sono notati per la prima prova, ogniqualvolta ciò si giudicherà della maggior gloria di Dio. Concesso di viva
voce, il giorno 8 aprile 1874».

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40
Pietro Braìdo
che queste occupazioni preparano i soci a lavorare pel bene delle anime;
lavorano, ma il lavoro è regolato in modo, che rimane tempo sufficien-
tissimo per attendere agli studi ed alla pietà. Anzi l'esperienza di trentatré
anni ci ammaestra, che queste assidue occupazioni sono un baluardo ine-
spugnabile della moralità. Ed ho osservato che i più occupati ed i più la-
boriosi ricordano vie meglio l'antica loro condizione; godono molta sani-
tà, si conservano più virtuosi, e fatti sacerdoti riportano copioso frutto
nel Sacro Ministero».83
Naturalmente, nelle intenzioni di don Bosco non doveva essere «lavoro for-
zato», primariamente inteso ad assicurare prestazioni indispensabili al buon fun-
zionamento delle case di educazione, a cominciare dall'Oratorio di Valdocco.
Oltre che ispirato a motivazioni di fede e di ragione, esso doveva essere prima di
tutto una «scuola», diretta a promuovere la crescita umana e religiosa degli stessi
operatori. «I cavallacci di don Bosco» («ii cavalass d'Don Bosco» erano detti da
alcuni — come attesta il card. Cagliero — i chierici e i preti di don Bosco) non
erano assolutamente considerati come pura forza-lavoro. Questo era accompagna-
to quotidianamente dalla riflessione critica, correttiva e costruttiva, favorita dal-
l'assidua presenza dei «superiori» e dalla intensa solidarietà comunitaria. Del
resto don Bosco stesso consigliava già i primissimi salesiani a farsi un quaderno
intitolato Esperienza, dove registrare situazioni, problemi, soluzioni, difficoltà,
risultati, e a rileggerlo periodicamente per trarne lezioni di vita e di comporta-
mento per il futuro.84 Un giovane collaboratore, Domenico Ruffino (1840-1865),
nominato ventiquattrenne direttore del collegio di Lanzo Torinese e morto nem-
meno un anno dopo, ha lasciato due quaderni intitolati Libro di esperienza 1864 e
Libro di esperienza 1865, ancora conservati nell'Archivio Salesiano Centrale di
Roma.
a) Il direttore «educatore degli educatori»
A dare sostanza a questa formazione nel vivo dell'esperienza è chiamato so-
prattutto il direttore della comunità religiosa e educativa. Lo chiede esplicitamen-
te don Bosco, ne è egli stesso il modello, e lo sanciscono deliberazioni capitolari
e norme regolamentari.
L'Oratorio di Valdocco era in questo una scuola privilegiata. Don Bosco che
opera tra i giovani, che parla a educandi e a educatori, che «insegna» a questi
mentre si rivolge a tutti, diventa quotidiano dispensatore di
83 P. BRAIDO, L'idea della Società Salesiana..., pp. 298-299.
84 MB VII 523.

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Un «nuovo prete» e la sua formazione culturale secondo Don Bosco 41
«cultura» pedagogica vissuta. All'Oratorio egli viene costruendo il suo «sistema
educativo» nel permanente contatto con tutti i collaboratori, compresi i giovanis-
simi in formazione, in un intenso scambio di idee, punti di vista, consigli e avvisi,
nel quale tutti sono insieme educatori e educandi, soggetti e destinatari di un non
fittizio «discorso pedagogico».
«Noi poi che siamo stati educati dal venerabile, essendo entrati da
giovanetti all'Oratorio — testimoniava il card. Cagliero ai Processi —,
non possiamo non rendere omaggio alla santità dello spinto al quale
siamo stati informati, sia come chierici e sacerdoti, sia come Religiosi.
La vita di Don Bosco, i suoi esempi, la sua parola, la sua autorità pate-
ma, ogni suo minimo atto, ogni suo cenno, erano continuamente il no-
stro modello, semplice ma perfetto, forte e soave ad un tempo, che c'in-
vitavano irresistibilmente e ci trascinavano alla via della religiosa perfezio-
ne, perché erano la vita, la forza morale e gli esempi di un Santo».85
Si può accennare ad alcune iniziative più formalizzate: per i chierici il setti-
manale incontro per la recita e la spiegazione di alcuni versicoli della Scrittura, il
cosiddetto Testamentino,86 molto presto la scuola settimanale di sacre cerimonie,
le periodiche «conferenze» del personale addetto ai giovani, con la discussione di
problemi di disciplina e di educazione, gli incontri privati o «rendiconti» (gene-
ralmente mensili), destinati a una specie di «revisione di vita e di azione».
Ma in questa linea don Bosco dava ai direttori anche orientamenti e norme
di azione. Così nei Ricordi confidenziali ai direttori, un documento originato da
una lettera scritta a don Rua, mandato a dirigere il primo collegio fondato nel
1863 a Mirabello Monferrato, quanto ai comportamenti coi maestri e cogli assi-
stenti e capi di dormitorio egli suggeriva le seguenti regole:
«Coi Maestri (...) 2° Parla spesso con loro separatamente o simulta-
neamente; osserva (...) se in loro classe abbiano allievi bisognosi di cor-
85 Cf Positio super dubio..., pp. 82-83. È’ testimonianza rappresentativa di tante altre
documentabili. Valdocco era considerata una vera «scuola» di educatori e dirigenti. Un esem-
pio: A Marsiglia «si propose e si stabilì di mandarvi direttore D. Bologna (...); egli sa già il fran-
cese abbastanza bene per parlarlo (...). D'altra parte avendo già fatto qui varii anni il prefetto e
sempre stato a contatto con D. Bosco, come colui che fu educato qui, conosce in tutto le abitu-
dini e lo spirito casalingo» (Seduta del Capitolo Superiore, 15 maggio 1878, Verbali ms di don
Barberis, p. 4).
86 «Ai chierici delle scuole di teologia, ed eziandio a quelli dei due corsi di filosofia, aveva
ordinato che ogni settimana studiassero dieci versicoli del Nuovo Testamento e li recitassero
letteralmente al mattino del giovedì, nel refettorio, in tempo di colazione. Questa usanza ebbe
principio nel 1853 (...). A questo esercizio, detto volgarmente Testamentino, egli talora ag-
giungeva qualche osservazione sull'importanza e sul modo di annunziare la parola di Dio»
(MB VI 205-206).

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42
Pietro Braìdo
rezione o di speciale riguardo nella disciplina, nel modo e nel grado
dell'insegnamento (...). 3° In Conferenze apposite raccomanda che
interroghino indistintamente tutti gli allievi della classe (...). 6° (...) non
mandino mai allievi via di scuola (...). Neppure percuotano mai per
nessun motivo i negligenti o delinquenti (...). 7° I Maestri fuori della
scuola non esercitino alcuna autorità su' loro allievi, e si limitino ai
consigli, agli avvisi o al più alle correzioni che permette e suggerisce la
carità ben intesa.
Cogli Assistenti e Capi di dormitorio. 1o Quanto si è detto dei Maestri
si può in gran parte applicare agli Assistenti ed ai Capi di Dormitorio. 2°
Procura di distribuire le occupazioni in modo che tanto essi quanto i
Maestri abbiano tempo e comodità di attendere ai loro studii. 3°
Trattienti volentieri con essi per udire il loro parere intorno alla condotta
dei giovani ai medesimi affidati (...). 5° Raduna qualche volta i Maestri,
gli Assistenti, i Capi di Dormitorio (...). Diano consigli, usino carità con
tutti».87
Più tardi (nel novembre del 1877) veniva pubblicato il Regolamento per le
case della Società di S. Francesco di Sales, che conteneva vari capitoli
riguardanti soprattutto il lavoro dei chierici in formazione: Parte I, capo VI Dei
maestri di scuola; capo VIII Assistenti di scuola e di studio; capo IX
Dell'assistente dei laboratori; capo X Assistenti o capi di dormitorio. Erano
modelli entro cui si plasmava praticamente la personalità degli educatori e degli
insegnanti.88
A queste prescrizioni, tra l'altro, si riferivano le Deliberazioni del I Capitolo
generale, pubblicate nel novembre del 1878, che al capo Studio tra gli allievi
davano le seguenti direttive:
«4. (...). Si mettano in pratica le prescrizioni sancite nelle regole
particolari pel consigliere scolastico, pei maestri e per gli assistenti; e
specialmente i maestri si ricordino di aver massima cura degli allievi
che sono più indietro in classe. 5. I Direttori trattino in capitolo, invitino
gli stessi maestri ad esporre quello che l'esperienza loro ha suggerito e a
suo tempo riferiscano. A tale uopo si facciano non meno di tre
conferenze all'anno coi medesimi maestri. 6. Il consigliere scolastico
procurerà di fare ogni mese una conferenza ai maestri ed a quelli che
fanno ripetizione, o sono in qualche modo applicati nella direzione degli
studii e nelle assistenze degli alunni. 8. Nessun maestro sia messo in
classe ad insegnare, se prima non ha letto e compreso il regolamento
della casa nella parte che lo riguarda».89
87 F. MOTTO, I «Ricordi confidenziali ai direttori» di don Bosco, RSS 3 (1984). pp. 151-
153.
88 Regolamento... Torino, Tipografia Salesiana 1877, pp. 33-41.
89 Deliberazioni del Capitolo Generale... 1877, p. 16.

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Un «nuovo prete» e la sua formazione culturale secondo Don Bosco
43
A delineare la figura del direttore, formatore dei propri collaboratori, sono
rivolti due notevoli interventi di don Bosco nel corso del II Capitolo generale.
L'esplicito riferimento all'originaria esperienza personale vissuta all'Oratorio con
i suoi primi giovanissimi collaboratori conferma le sue ferme convinzioni circa
l'insostituibile apporto della «pratica» nella formazione «professionale» degli
educatori e il ruolo decisivo del capo della comunità.
Il primo intervento è del 5 settembre, come si ricava dal verbale manoscritto
di don Giulio Barberis.
«Una parte anche considerevole della conferenza passò nel racco-
mandarsi e schiarirsi le idee su questo punto che D. Bosco raccomandò
tanto, che cioè ogni direttore cerchi di formarsi il personale; non preten-
dere che si assegni un personale già formato in tutte le case. Un confra-
tello anche mediocre se è diretto riesce bene; un altro di maggior capaci-
tà è lasciato a sé e si perde e fa male. In alcune case si ha un personale
scarsissimo e meschino eppure io vedo che le cose vanno avanti bene,
tutti sono contenti, i giovani sono coltivati e questo perché il direttore se
ne cura e ajuta tutti i confratelli ad operare bene. In altre case vi è un
personale più scelto, più intelligente e le cose vanno poco bene, non vi è
chi si curi di esso e di tenerlo unito. - Anch'io, soggiunse D. Bosco, da
principio non aveva chi mi ajutasse, e quei che venivano erano inetti; chi
non contentava nelle predicazioni, chi nelle confessioni, e alcune volte si
era per venire a cose ben sconvenienti; ma ajutava, sosteneva, mi infor-
mava bene e poco alla volta si fece quanto si fece e il personale si formò
e le cose andarono bene (...). Una cosa a cui a questo riguardo è da bada-
re molto si è sul trovar modo di distribuire i lavori dei singoli soci così che
tutti possano aver tempo a studiare e non che il lavoro si accumuli tutto
addosso ad alcuni un po' più abili e altri che lo sono un po' meno siano
lasciati come in disparte; se no quei tali non possono più attendere ai
proprii studii mentre altri se ne stanno neghittosi».90
In sede di Capitolo si giunge anche a costituire una commissione, presieduta
da don Giuseppe Lazzero, incaricata di presentare una serie di norme sul tema:
Modo di esonerare il direttore delle case da uffici speciali perché si possa occu-
pare del personale, poiché «se egli può e sa esonerarsi dai singoli uffìzi speciali
potrà più facilmente attendere ad ajutare ciascuno del personale perché possa
disimpegnare bene quanto ha tra mano».91
La discussione procede tra grosse difficoltà.92 Don Bosco riprenderà
90 Capitolo Generale II, sessione poni, del 5 sett. 1880, Verbale ms di don Barberis.
91 Cap. Gen. II, sessione pom. del 5 sett, e sessione antim. del 7 sett., Verbale ms di don
Barberis.
92 Cap. Gen. II, sessione antim. del 7 sett., Verbale ms di don Barberis.

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Pietro Braido
l'argomento nella sessione antimeridiana del 9 settembre, finendo col dare quasi
una breve summa sul suo modo di intendere i componenti la comunità educativa,
in atteggiamento di formazione permanente, raccolti intorno al loro capo, tenuto
«come padre affettuoso o come fratello maggiore, il quale è posto direttore appo-
sta per ajutar essi a disimpegnare bene i propri uffizi».
Don Bosco mette in evidenza soprattutto tre possibilità o modi di crescita
comunitaria: 1) l'intensa interazione tra l'autorità paterna del direttore-guida e la
spontaneità dell'obbedienza, secondo il modulo già seguito da don Bosco nei
primordi dell'opera; 2) il valore produttivo dell'incontro« rendiconto» mensile di
ciascun collaboratore con il direttore; 3) le «conferenze» o riunioni periodiche di
tutto il personale operativo.
«Nei primi anni che si era aperto l'Oratorio quasi non vi era altro superiore che D.
Bosco: gli ajutanti erano non atti; i lavori erano straordinarii, non vi era ancora nes-
suna pratica di niente, eppure si andava avanti bene ed era una consolazione il
trovarsi in quei tempi. E questo da che cosa si deve ripetere? Credo solo da questo
che D. Bosco si trovava sempre in mezzo a tutti; si dava comodità a ciascuno di co-
municargli i proprii bisogni; tutti conferivano lì, ciascuno aveva con esso il suo cuore
aperto, non gli si faceva nessun mistero: sebbene di pochissima abilità eseguiva volen-
tieri e bene quello che D. Bosco gli diceva di fare e questo essere un cuor solo ed u-
n'anima sola col superiore faceva andar tutto bene a malgrado che si fosse pratici
di niente e si mancasse di tutto. Sì, la bellezza dell'oratorio antico stava nella dolcezza
del comando e nella spontaneità nell'obbedienza e nell'aversi da tutti il cuore aperto
col superiore (...).
Ecco il gran secreto: io credo che questo tratto d'unione sia trovato perfettamen-
te nel rendiconto mensile già tanto raccomandato. Tenetelo a mente: se noi vogliamo
che l'istituzione Salesiana si mantenga qual fu concepita bisogna sapere che quasi tutto
dipende dal rendiconto mensile fatto e fatto fare nel modo conveniente (...).
Per ottenere che i rendiconti ottengano maggiore effetto io credo conveniente che
per quanto si può siano posti direttori delle case quei preti che furono educati nell'O-
ratorio: io trovo che essi più facilmente e quasi senza avvedersene inspirano ed infon-
dono, sarei per dire meglio, il vero spirito della Congregazione. Conviene anche che
siano educati all'Oratorio i varii membri dei capitoli delle case primarie. Qualora e di-
rettori e questi ultimi non si possono avere fra quelli educati all'Oratorio, si cerchi al-
meno che sia stato educato da qualcuno che nell'Oratorio abbia avuta la sua educa-
zione; e questo trasfondere lo spirito di S. Francesco di Sales nei confratelli sia prin-
cipale studio dei direttori sia nel rendiconto che coll'esempio e colle parole in tutti i
casi (...). L'unico scoglio sarebbe l'entrare in cose prettamente di coscienza: non si
entri in queste (...); ciò che è di rendiconto noi possiamo servircene sia pel bene parti-
colare dei soci sia pel bene generale della Congregazione.

4.9 Page 39

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Un «nuovo prete» e la sua formazione culturale secondo Don Bosco
45
Venendo ad altro punto D. Bosco raccomandò le conferenze che se-
condo lo stabilito nel precedente capitolo generale si hanno a fare ai soci
ogni 15 giorni. Queste conferenze sono come un secondo tratto d'unione
perché confratelli e direttore possano essere un corpo solo ed un'anima
sola. In queste conferenze senza trattenerci in punti ipotetici od altro si
trattino di preferenza quelle materie che riguardano l'esecuzione pratica
delle nostre regole (,..)».93
La discussione e gli interventi di don Bosco trovano eco nelle Deliberazioni
poi promulgate. È prescritto, tra l'altro, che il Consigliere Scolastico generale (il
quale ha cura «di quanto spetta all'insegnamento letterario e scientifico delle case
della Congregazione») stabilisca «ogni anno il programma per le scuole di teolo-
gia e di filosofia» e riceva «i voti conseguiti dai chierici negli esami, i quali voti
comunicherà al Direttore Spirituale».94 Inoltre, risulta particolarmente sviluppato
il Regolamento del direttore. Egli deve tener «regolarmente le due prescritte con-
ferenze ogni mese» e far «almeno tre conferenze all'anno con tutto il personale
insegnante ed assistente»;95 dovrà ancora studiare «di conoscere l'indole, la capa-
cità, le doti fisiche e morali de' suoi dipendenti, per essere in grado di dare a cia-
scuno la conveniente direzione. In questo modo potrà conseguire l'importantissi-
mo scopo di formarsi il personale secondo il regolamento interno delle case, affi-
dando a ciascuno l'uffizio che gli è più confacente».96
b) Lo studio della pedagogia 97
Nel quadro formativo complessivo teorico-pratico è pure presente lo studio
della pedagogia, che tuttavia sembra vada poi gradualmente affievolendosi.98
Comunque, nell'introdurre i suoi Appunti di pedagogia sacra (litografati), don
Giulio Barberis, che ne è l'estensore, assicura essere stata esplicita volontà di don
Bosco che i novizi fin dal 1874 frequentassero un corso regolare di pedagogia
sacra. In una successiva conversazione con lo stesso don Barberis egli avrebbe
pure insistito sullo svolgimento prioritario di due temi, particolarmente sensibili
per i salesiani, relativi all’ assistente e all’inse-
93 Cap. Gen. II, sessione antim. del 9 sett., Verbale ms di don Barberis.
94 Deliberazioni del secondo Capitoio Generale..., Dist. I, cap. 5, art. 11.
95 Ibid., Regolamento del direttore, art. 11.
96 Ibid., art. 13.
97 Si seguono in questo paragrafo alcune pagine dello studio di J.M. PRELLEZO, Studio e rifles-
sione pedagogica nella Congregazione Salesiana ( 1874-1941), RSS 7 (1988), pp. 41-47, 52-58.
98 Lo affermava don Filippo Rinaldi nel 1911: cf J.M. PRELLEZO, art. cit., p. 58.

4.10 Page 40

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46
Pietro Braido
gnante. Il voto di don Bosco trova riscontro nelle Deliberazioni del primo Capito-
lo Generale, dove viene sancito: «Nella scuola di Pedagogia Sacra, che è stabilita
tra noi per tutti i Chierici di prima filosofia, si facciano leggere più volte e si
spieghino le norme da seguirsi dai maestri e dagli assistenti».99 Il testo viene ripe-
tuto quasi alla lettera nelle Deliberazioni del Capitolo Generale secondo.100 Inve-
ce, nelle Deliberazioni dei Capitoli Generali terzo e quarto, celebrati ancora vi-
vente don Bosco (1883, 1886), non si trova nessun riferimento allo studio della
pedagogia.
A basarsi sulle dispense di don Barberis, comunemente adottate nei novizia-
ti, il programma seguiva, per la parte teorica, lo schema della manualistica spiri-
tualista dell'epoca (Rayneri, Allievo) e, per la parte pratica, don Bosco e altri
autori religiosi, i cui scritti erano noti a Yaldocco (per es., A. Monfat). I contenuti
appaiono piuttosto nozionistici e modesti.
9. Cultura «professionale»
Uno dei «lamenti» raccolti dal can. Giuseppe Allamano (1851-1926) e da lui
riferito al Processo di beatificazione di don Bosco, era «che la formazione degli
alunni dell'Istituto Salesiano fosse incompleta (...). Si sapeva che i Chierici Sale-
siani erano più facilmente applicati a studi classici che non a studi teologici».101 I
critici non tenevano presente che preti educatori e insegnanti o in qualsiasi modo
«socialmente» impegnati, secondo la concezione e la prassi di don Bosco, dove-
vano coniugare con la cultura formalmente «clericale» anche una specifica cultu-
ra «professionale». Infatti, del tutto coinvolti nei problemi concreti dei ragazzi
degli oratori, delle scuole, degli ospizi, ecc. essi dovevano rendersi competenti
nelle varie materie di insegnamento (lettere classiche e moderne, matematica,
scienze) o, comunque, acquisire abilità tecniche e pratiche relative al mondo del
lavoro, alla formazione professionale e artistica, alle attività integrative o di tem-
po libero: teatro, musica, canto, educazione fisica, ginnastica, ecc. Spesso dove-
vano frequentare università o subire esami per ottenere titoli di studio legalmente
riconosciuti.
Da questo punto di vista alcune deliberazioni del Capitolo Generale II del
1880 non facevano che codificare una prassi già collaudata.
99 Deliberazioni del Capitolo Generale... 1877, Dist. I Studio, capo II Studio tra gli allievi.
art. 7, p. 16.
100 Deliberazioni del Capitolo Generale secondo..., Dist. IV Studii, cap. Ill Studio tra gli
allievi, art. 8, p. 72.
101 Cf sopra, p. 15.

5 Pages 41-50

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Un «nuovo prete» e la sua formazione culturale secondo Don Bosco
47
«Studii filosofici e letterarii: 8. Siccome per sostenere l'insegnamento
nelle pubbliche scuole sono richiesti i titoli legali, così si prepareranno a
questo fine i chierici che danno di sé buona speranza. 10. Atteso il biso-
gno di maestri elementari, gli studenti di filosofia siano preparati a soste-
nere gli esami magistrali. 11. Si raccomanda poi a tutti che, fatta la pro-
fessione religiosa, facciano in modo d'abilitarsi a qualche pubblico esa-
me che possa procurare titoli d'insegnamento tecnico, ginnasiale o licea-
le, ed anche conseguire la laurea in teologia. 12. Queste ultime norme
sono specialmente date per l'Italia. Pei paesi fuori d'Italia procureranno
di sostenere gli esami di abilitazione al pubblico insegnamento in confor-
mità delle leggi ivi vigenti. 13. Affinché possano agevolmente compiere
gli studi filosofici e teologici, i nostri soci non frequenteranno le scuole
delle università, se non dopo essere stati iniziati negli ordini sacri».102
È facilmente immaginabile quanto questo aspetto arricchisca e complichi un
iter formativo tutto da realizzare nel vivo del lavoro tra i giovani e in un giro di
anni piuttosto ristretto.
Tra i profili di salesiani defunti, che accompagnavano l'elenco annuale dei
soci della Congregazione, appare particolarmente significativo quello dedicato
nel 1882 al giovane sacerdote Stefano Albano (1852-1881), visto capace di attua-
re in modo pressoché ideale la sintesi formativa auspicata da don Bosco.
«Egli desiderava particolarmente di essere aggregato nella nostra
Congregazione, e per rendersene meritevole volle applicarsi specialmente
a quegli studii che lo potessero rendere più utile alla stessa. Quindi è che
mentre seguiva con alacrità i suoi studii e si preparava a ricevere i diversi
gradi della carriera ecclesiastica, volle per tempo anche abilitarsi a quegli
altri studii che pur gli dovevano aprire la via a quella dell'insegnamento
nelle pubbliche scuole. Nel 1872 già aveva ottenuta la patente di maestro
di scuola elementare superiore, e nel 1874 quello di maestro di scuola
tecnica (...). Nell'anno 1877 otteneva ancora il diploma di ginnasio, di
Storia e di greco. Per tal guisa salesiano [nel 1870], sacerdote [nel 1876]
ed insignito delle qualità di maestro e professore in diversi rami d'inse-
gnamento, erasi fatto capace di rendere alla Congregazione che lo aveva
accolto, quei servigi che il nostro Superiore aspetta dai figli suoi a vantag-
gio spirituale e temporale dei poveri giovani a lui affidati dal Signore (...).
Modello di maestro e modello di institutore, era poi specialmente mo-
dello di religiosa condotta».103
Ma precisamente questa complessità di esigenze, seppure armonizzate in ca-
si particolari e non sempre in modo indolore, portava in sé elementi di
102 Deliberazioni del Capitolo Generale secondo..., Dist. IV Studii, capo II. Studii
filosofici e letterarii, p. 70.
103 Società di S. Francesco di Sales I882, pp. 12-14.

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48
Pietro Braido
crisi, che più volte sottolineati da alcuni, faranno apparire sempre più precario, in
talune applicazioni concrete, il progetto formativo di don Bosco, inducendo
gradatamente a più articolate soluzioni.
10. Un progetto «incompiuto» e l'invenzione del «triennio pratico»
Si ha l'impressione che diventi sempre più problematico continuare con il
concreto sistema formativo difeso da don Bosco e che si facciano più insistenti le
proposte, che mentre non negano le esigenze sostanziali e le motivazioni di
principio della prassi da lui introdotta, tendono a suggerire modifiche
«strutturali» del regime vigente. Vi convergono da più parti denunce di
persistenti difficoltà oggettive di assicurare una seria e organica formazione
ecclesiastica, prima e dopo l'ordinazione (sovraccarico di lavoro, mancanza di
insegnanti competenti, assorbimento in letture e studi di altro genere, ecc.). Ma vi
è sottesa pure una più esigente concezione del prete, non più soltanto funzionale
al «dir messa» e al fruire di maggior autorità nei confronti degli alunni nel chiuso
del collegio.104 Insieme alla dilatazione del lavoro apostolico e, in particolare, con
l'assunzione delle missioni estere si fa sentire maggiormente il bisogno di preti
meglio preparati a far fronte a una più differenziata varietà di mansioni.105 Non è
casuale che nel coro si alzi forte e decisa la protesta (del resto, non nuova) di
mons. Giovanni Cagliero, Vicario Apostolico della Patagonia.
a) Problemi aperti ricorrenti
Tutto ciò sembra emergere con particolare evidenza, vivente don Bosco in
visibile declino fisico, nell'ambito del Capitolo Generale IV, celebrato dal 1o al 7
settembre 1886, un anno e mezzo prima della morte del fondatore. Vi si
riferiscono le proposte pervenute da parte di alcuni salesiani autorevoli, le
104 Nel parlare di vocazione ecclesiastica ai giovani don Bosco insiste sui maggiori
«pericoli» a cui è esposto il clero diocesano rispetto a quello religioso: «Chi sta ritirato in una
Congregazione, se cade ha subito chi lo solleva» (MB XIII 423); «in religione uno non è mai
solo» (MB XIII 426); «ritirarsi in religione, ove sarà come in una fortezza» (MB XIII 232).
Don Cagliero, invece, afferma: «Noi dobbiamo ricevere chi si trova in grado di slanciarsi in
mezzo al mondo per lavorare alla salute delle anime» (MB XIII 808).
105 Nelle lettere di don G.B. Baccino (1843-1877) è visibile il dramma di un lavoratore
di eccezione nella Iglesia de los Italianos di Buenos Aires, afflitto dall'insuperabile «handicap
de su insuficiente, limitada preparación teológico-pastoral», compiuta a Lanzo nel triennio
1870-1873 mentre era insegnante elementare regolare (J. BORREGO, Giovanni Battista Baccino.
Estudio y edición de su Biografía y Epistolario. Roma, LAS 1977, pp. 45-48, 204-206).

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Un «nuovo prete» e la sua formazione culturale secondo Don Bosco
49
discussioni avutesi nel Capitolo stesso, le conclusioni ivi maturate, le delibera-
zioni pubblicate. Di particolare interesse sono quelle che si concentrano intorno a
due nuclei rappresentati dal IV e il V argomento: Sistema da seguirsi nel pro-
muovere alle Sacre Ordinazioni e Modo e mezzi d'impiantar Case di studentato
pei chierici delle nostre ispettorie.
1) Le Ordinazioni
La maggior parte dei testi delle proposte provengono da salesiani già affer-
mati nella Congregazione.
«1o Non si corra troppo; chi va piano va sano: Manus cito ne imposueris etc. S.
Paolo. 2° Terminino prima il corso Teologico come nei primi tempi dell'Oratorio, nei
quali Don Bosco aveva bisogno di Sacerdoti più che nel presente. 3° Questo si con-
seguirà con lo stabilire gli Studentati, dai quali i Chierici usciranno più perfetti perché
più provati (...)». (mons. Giov. Cagliero)
« 1. Esigere per quanto è possibile gli anni di studio prescritti, ed esaminare l'esito
degli Esami. 2. Non ammettere alle Ordinazioni sulla speranza di una futura bontà o
sodezza, od applicazione», (don Antonio Riccardi)
«1o Esigere si compiano i corsi teologici nei quattro anni. Dare la tonsura sul fini-
re del 2° anno; Suddiaconato alla fine del 3°; Diaconato a metà del 4° e quindi il Pre-
sbiterato. Il Candidato faccia precedere a ciascuna ordinazione lo studio dei trattati
indicati riportando agli esami un voto non inferiore al 7». (don Domenico Belmon-
te, che al capitolo risulterà eletto Prefetto Generale)
«Pel bene dei Socii e della Congregazione sarebbe a desiderarsi che nessuno fosse
ordinato Prete se non dopo finito regolarmente il corso di teologia. In generale cia-
scun anno si lascia indietro due o tre trattati, e se si abbrevia il corso, quanti saranno
quelli che non si saranno neppure visti? (...)». (don Domenico Canepa)
«Non si promuovano se non coloro che abbiano fatto regolarmente gli studii te-
ologici, perché post missam actum est de studio, e senza un buon fondamento di teo-
logia è vano sperare maestri sufficienti a combattere gli errori degli scrittori pagani e
a supplire ai loro difetti», (don Matteo Ottonello, insegnante di filosofia e teologia)
«Non si ammettano agli Ordini se non quelli che sono di bastante ingegno, ed
hanno subito felicemente i necessarii esami di teologia (...)». (don Tommaso Laure-
ri)
«Dove vi è, cosa rara, fondata speranza che i Chierici potranno completare i loro
studii, anche dopo ordinati sacerdoti, si potranno imitare i Francescani nell'ordinare
gli anziani, od anche i giovani, in caso di grave necessità di Sacerdoti. In caso contra-
rio al sopradetto, lasciarli studiare almeno il 4° anno prima di promuoverli alle ordina-
zioni maggiori», (don Giovanni B. Branda)

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Pietro Braido
Dalla Relazione generale sui lavori capitolari non risulta nessuna discussio-
ne sullo schema presentato da don Barberis, coincidente con il testo pubblicato
nel volume delle Deliberazioni. Esso praticamente accoglie le istanze avanzate
con le proposte di don Belmonte, don Canepa, don Ottonello.106
2) Voti per l'impianto di Studentati teologici
Sull'argomento è conservato nell'Archivio Salesiano Centrale (ASC) uno
schema di deliberazioni presentato in assemblea e, nella Relazione, un cenno alla
discussione seguitane con l'approvazione di massima, «riservando D. Bosco il
medesimo schema ad un ulteriore e più pratico esame sul modo di eseguirlo».
Esso di fatto, non compare tra le Deliberazioni promulgate.
«1o Chiamatisi case di studentato quelle in cui entrano i chierici ter-
minato l'anno di prova a continuare e compiere i loro studi filosofico-
letterarii e teologici. 2° Visto il numero crescente degli ascritti e il biso-
gno che si ha che i chierici studenti siano più particolarmente formati a
buoni maestri ed assistenti in servizio della Congregazione, si propone
che la Casa di Studentato sia divisa da quella del Noviziato ed abbia un
locale apposito. 3° Considerate le circostanze presenti della Congrega-
zione si consiglia di istituire una casa sola di studentato per ogni Stato,
finché si possa eseguire l'articolo II della Dist. IV Capo I delle delibera-
zioni del 1880 (...). 6° Si propone a compimento dello studentato che il
1o anno di Teologia si faccia in comune sulle materie di Propedeutica.
Proposta. - Attesa la circostanza felicissima di una Chiesa del S.
Cuore in Roma, si propone di inviare colà alunni de' più segnalati sacer-
doti e chierici, i quali mentre attendono al servizio della Chiesa, abbiano
tempo ed agio di perfezionarsi negli studii di Teologia e Diritto Cano-
nico (Studii ecclesiastici)».
«Si chiude la lettura dello schema proponendo che alcuni fra i più se-
gnalati sieno inviati a Roma per completare i loro studi nelle Scuole Su-
periori aperte dal S. Padre. D. Bosco approva e vede bene questo, ma
pare che al presente sia un poco presto, attesa la necessità del personale
per le opere in corso. Si rilegge articolo per articolo per le occorrenti os-
servazioni. D. Bosco raccomanda di mantenere quei nomi o vocaboli in
uso, come Ascritti o anno di prova, invece di Novizi o noviziato, perché
questo non è necessario né utile. D. Bosco ricorda come quando si parlava
dell'approvazione delle Regole fra S.S. Pio IX e il Segretario della Con-
gregazione dei Vescovi e Regolari, si parlava della necessità di dividere
gli Ascritti dagli Studenti e gli Studenti dai Soci. D. Bosco allora
106 Deliberazioni del terzo e quarto Capitolo Generale della Pia Società Salesiana tenuti in
Valsalice nel settembre 1883-1886. S. Benigno Canavese, Tipografia Salesiana 1887, pp. 13-16
(Delle sacre ordinazioni. Norme pel Direttore spirituale della Congregazione).

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Un «nuovo prete» e la sua formazione culturale secondo Don Bosco
51
disse solo che aveva bisogno di Case, di persone, di novizi, di tutti. Allo-
ra Pio IX disse: Andate e fate come potete. — Ma, soggiunse D. Bosco, a
misura che si può si venga a queste divisioni che sono indicate e utili e
necessarie —. Con vari mutamenti si approva in massima lo schema pro-
posto riservando D. Bosco il medesimo schema ad un ulteriore e più
pratico esame sul modo di eseguirlo».107
Ma se si creasse sul serio un sistema completo di Studentati filosofici e teo-
logici, ormai assolutamente indispensabili alla formazione culturale dell'ecclesia-
stico, chi assicurerebbe la vitalità e funzionalità di collegi, scuole, oratori, asso-
ciazioni? Non, certo, i soli sacerdoti. E, d'altra parte, come si concilierebbe questa
inevitabile formazione «in clausura», con l'esigenza di acquisizione di precise
competenze pratico-operative? In realtà, sembrano mancare ancora nel 1886 pro-
poste veramente operabili, quali esigerebbe la soluzione di un problema che inci-
de sulla vitalità stessa delle opere salesiane. L'unica, che prelude al futuro «trien-
nio pratico», è dovuta a un sacerdote vicentino, don Pietro Pozzan, amministrato-
re del «Bollettino Salesiano» e propagandista, che si fermerà per pochi anni nella
Congregazione (1880-1890).
«Ecco quanto parrebbe a me conveniente per formare dei buoni sa-
cerdoti. 1. Siano provati i giovani nei varii collegi. 2. Ammessi al novi-
ziato, se i Superiori son persuasi che non solo hanno vocazione ecclesia-
stica, ma alla vita Salesiana, ben più difficile e scabrosa che qualunque
vita secolare. 3. Non partano dal noviziato se non dopo tre anni di filo-
sofia. 4. Insegnino pure per 3 anni ed anche 4 e si fondino sulle materie
di letteratura e di filosofia, e catechismi, ma non nella teologia. Per
questa ci sia una casa per l'instituzione dei chierici nella teologia almeno
per 2 anni. Se non si fondano nello studio sacro e nella soda pietà, non
avremo né buoni, né bravi sacerdoti salesiani».
3) Teoria e prassi nell'« iter» formativo e funzione magisteriale del direttore
Ma, in ogni caso e soprattutto con il permanere dello status quo, in proposte,
in schemi di deliberazioni, nel corso della discussione, viene ribadito il principio
della indispensabile sintesi di cultura e vita, con la necessaria mediazione del
direttore delle singole case.
Tra varie Proposte per una conferenza a' Direttori, inviate da mons. Caglie-
ro, si trovano le due seguenti:
«(...) 6. Ricordino che prima di tutto debbono assistere, amare e
aiutare i propri confratelli, poi i giovani (...). 7. E questo soprattutto ri-
107 Relazione del 4° Capitolo generale della Pia Società Salesiana... Aimo 1886 - ASC 04 IV
Capitolo Generale.

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Pietro Braido
guardo a’ giovani chierici, provenienti da S. Benigno [sede del novizia-
to], i quali han bisogno si continui loro l'assistenza paterna e la gran
carità che colà si usa, nelle pratiche di pietà e della Congregazione; si
istruiscano ad essere buoni maestri od assistenti col sistema preventivo
di educazione, leggendolo e spiegandolo, e si sostengano nelle difficoltà
che incontrano nel loro uffizio e che son talvolta la causa prima della
loro defezione».
Resta anche una bozza di articoli sui compiti del direttore, preparata in seno
alla Commissione IV. Di maggior interesse è la seconda parte.
«Per ottenere che i chierici possano progredire negli studi teologici
e letterari è conveniente che abbiano le loro occupazioni limitate.
1o Chi fa scuola regolare non abbia altre occupazioni incompatibili
collo studio. 2° Il Direttore d'accordo coi suoi chierici stabilisca il tempo
da consacrarsi alla scuola di Teologia e allo studio della medesima. 3° I
chierici sono raccolti in luogo determinato per attendere allo studio, sotto
la vigilanza di un Superiore. 4° Per avvicinare i confratelli allo studio ol-
tre alla recita quotidiana delle lezioni, assegni un giorno ogni mese nel
quale si faccia una specie di accademica discussione sulla materia già
studiata. 5° Il Direttore prenda spesso occasione per dimostrare l'impor-
tanza dello studio della teologia pel disimpegno del ministero sacerdota-
le e per far maggior bene alle anime. 6° Il Direttore oltre il rendiconto
mensile chieda sovente ed anche ogni giorno, se occorre, relazione ai
suoi subalterni sull'andamento delle proprie attribuzioni e s'informi se
conoscono qualche cosa che possa interessare il buon andamento della
casa».
Infine, nell'ultima sessione del 7 settembre don Rua espone alcune racco-
mandazioni, tra cui spiccano le seguenti:
«6° Il rendiconto. Si pratichi regolarmente. Osservati diligentemente
fanno procedere bene la casa. 7° Cura dei Confratelli. Il Direttore deve
prima curare essi dei giovani medesimi. Si faccia la scuola di teologia e
quella di cérémonie (...). 8° Aiutare i giovani chierici che vengono dal
Noviziato (...) si formino alla pratica del lavoro (...). Tenersi informati
dei loro portamenti nella scuola. Avvisarli caritatevolmente e sincera-
mente. D. Cerniti aggiunge che affidando un ufficio si faccia leggere il
regolamento di quell'ufficio. 9° Leggere in principio d'anno il sistema
preventivo e si spieghi, come fu già determinato. 10° Badare ai principi
quando qualcuno trova difficoltà per aiutarlo opportunamente».
b) Capitolo Generale IX (1901): «deliberate» la fondazione di studentati teologi-
ci regolari e l'istituzione del «triennio di vita pratica»
Nel 1901, con il Capitolo Generale IX, le concezioni formative di don Bosco
trovano, repentinamente non improvvisamente, nuove soluzioni «strutturali», che
tentano di rispondere ad esigenze, istanze, aporie ricorrenti.

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Un «nuovo prete» e la sua formazione culturale secondo Don Bosco
53
La Commissione terza, incaricata di trattare il problema dei testi per gli studi
teologici, si rende conto di non poter fare proposte ragionevoli sul tema particola-
re «senza riferirsi all'ordinamento degli studi Ecclesiastici, quale è richiesto dalle
Costituzioni e dalle Deliberazioni dei Capitoli precedenti» e cioè, in concreto,
senza l'effettiva fondazione degli studentati teologici. Ma, in forza di questa radi-
cale decisione, «la Commissione, considerando inoltre che le Case resterebbero
prive dell'aiuto speciale che i chierici sogliono fornire nell'assistenza e nell'inse-
gnamento agli alunni, qualora gli studii Teologici fossero fatti immediatamente
dopo il Corso Filosofico, opina che compiuto questo, i chierici siano inviati per
tre anni a prestar l'opera loro nelle Case particolari, e che dopo entrino negli Stu-
dentati di teologia per attendere regolarmente ed unicamente agli studii Ecclesia-
stici per un quadriennio a norma delle Costituzioni». Di tale ordinamento sottoli-
nea insieme la duplice valenza formativa, il vantaggio, quindi, primario degli
individui più che delle opere, con perfetta aderenza di spirito alle originarie e
persistenti convinzioni di don Bosco. Infatti, «i chierici ne' tre anni che passano
nelle case particolari daranno saggio della loro vocazione e della loro attitudine
alla vita salesiana, e nel quadriennio seguente di studii Ecclesiastici conforme alle
Costituzioni, essi oltre ad acquistare la necessaria scienza ecclesiastica avranno
modo di ritemprarsi nello spirito e prepararsi convenientemente al S. Ministe-
ro».108
Le Deliberazioni si limitano a enunciare con stile arido e dimesso le deci-
sioni adottate, omettendo ragioni e motivazioni.
«4. Il Capitolo Generale deliberò inoltre che si fondino gli studentati
regolari teologici dove il Capitolo Superiore giudicherà più opportuno in
servizio di una o più Ispettorie. 5. Si stabilì che i chierici facciano due
anni di filosofia invece di tre. 6. Dopo i due anni di filosofia, dovranno
fare tre anni di vita pratica nelle varie Case della Società».109
108 CAP. GEN. IX, Commissione 3a, Relazione intorno agli studii teologici e testi da adottare
(près, don Francesco Cerruti; relatore don Giovanni Marenco, Procuratore Generale, laureato
in teologia e in diritto canonico).
109 IX CAPITOLO GENERALE (1-5 Settembre 1901), Deliberazioni adottate dal IX Capitolo
Generale, pp. 6-7. Le decisioni, per quanto drastiche, erano frutto, più o meno diretto, di criti-
che della situazione esistente, di interventi del Rettor Maggiore don Michele Rua, di reiterate
discussioni nei Capitoli generali, che sottolineavano lacune e possibilità di miglioramento della
prassi vigente e sospingevano all'attuazione di quanto era già stato deliberato nel Cap. Gen. II,
oltre che a una formazione sempre più attenta dei giovani chierici impegnati nella vita attiva. Si
possono citare, in ordine cronologico: lett. di don Rua sullo Studio della Teologia del 29 genn.
1889 (Lettere circolari di don Michele Rua. Torino, S.A.I.D. Buona Stampa 1910, pp. 3031):
Cap. Gen. V (1889): I schema: Studi teologici e filosofici; II schema: Case di noviziato e di studen-
tato; IX schema: Regolamento per le case degli ascritti e per gli studentati; lett. ci re. di don Rua
del 1 nov. 1890, tra l'altro, su Teologia e Cerimonie {Lettere circolari, pp. 52-53); Cap.

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Pietro Braido
Nel corso della discussione il relatore, don Giovanni Marenco, non aveva
mancato di offrire all'assemblea motivazioni pratiche e di principio:
«Il Sig. D. Marenco osserva che, oltre i motivi accennati dalla Commissione, il
trattenere i chierici a fare il quadriennio teologico subito dopo il Corso Filosofico
porterebbe i seguenti inconvenienti: a) I Chierici non s'informerebbero alla vita attiva
propria della nostra Società; b) mancherebbero i Chierici nelle Case per attendere al-
l'assistenza e ad altri piccoli uffici, non essendovi in tal caso che sacerdoti; e) sarebbe
cosa contraria allo spirito delle nostre Regole; d) non si potrebbero sostenere tutte le
opere proprie della nostra Società, perciò la Commissione insiste sull'accettazione del-
la proposta».110
Su una linea analoga si collocano rilievi e raccomandazioni, che don Rua af-
fida alla lettera circolare, nella quale riferisce sulle deliberazioni del Cap. Gen. IX
circa gli Studii pei chierici (19 marzo 1902).
«(...) Era una necessità sentita che i nostri chierici venissero ben formati nelle
scienze sacre; ed era tanto più pressante il provvedere, in quanto che, anche da
competenti autorità ecclesiastiche si erano già fatte osservazioni in proposito. Ma per-
ché questa decisione capitolare produca l'effetto da tutti desiderato occorrono special-
mente due cose. Prima di tutto che i signori Ispettori e Direttori preposti allo studenta-
to filosofico preparino alla lontana molto bene questi nostri chierici agli studii sacri,
sia con la scelta d'insegnanti e di assistenti adatti, sia con ottenere che non si perda
tempo in futili studii ed in letture frivole, sia con procurare che si studino bene le
materie prescritte. Ed in secondo luogo occorre che i varii Direttori delle Case ve-
glino attentamente ed usino i mezzi necessarii affinché i tre anni di tirocinio pratico,
che i chierici devono passare nelle Case dopo lo studentato filosofico, siano ben rego-
lati (...); ed i direttori, in questi tre anni specialmente, facciano proprio da padri, e
tengano una cura affatto speciale di questi novelli figliuoli che loro ven-
Gen. VI (1892): I schema: Studi teologici; IV schema: Regolamento dei noviziati e studentati;
leti. circ. di don Rua sullo Studio della Teologia..., dell'8 ottobre 1893 (Lettere circolari, pp.
98102); Deliberazioni dei sei primi Capitoli generali (S. Benigno Can., Tip. e Libr. Salesiana 1894,
pp. 303-304, Noviziati e studentati); Cap. Gen. VIII (1898): Proposta V: È ogni dì più sentita la
necessità che l'insegnamento della teologia, filosofia e latino sia dato bene e con metodo uniforme
in tutte le nostre Case (...). Quali cose si propongono al conseguimento di questo fine così impor-
tante per la nostra Pia Società? (Atti e deliberazioni dell'VIII Capitolo Generale... S. Benigno
Can., Scuola Tip. Salesiana 1899, pp. 22-42); Proposta III: Come regolare il passaggio dei
nostri chierici e dei nostri coadiutori dallo Studentato e dal Noviziato professionale alle Case
particolari, sicché (...) adempiano nel miglior modo possibile le occupazioni che in esse Case
saran loro affidate, ossia (...) riescano atti a compiere i doveri della Congregazione? (Atti e
deliberazioni..., pp. 85-91).
110 Nelle votazioni sui tre articoli citati sopra, il 4° (studentati teologici), il 5° (studentati fi-
losofici), il 6° (triennio pratico), si ebbero i seguenti risultati: su 147 votanti, 145 sì, 2 no; su
148 votanti, 116 sì, 26 no, 6 astenuti; su 150 votanti, 136 sì, 8 no. 5 schede bianche, 1 nulla.

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Un «nuovo prete» e la sua formazione culturale secondo Don Bosco
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gono consegnati, e che più degli altri abbisognano delle loro attenzioni
non essendo ancora del tutto formati. Questa cura speciale nei detti tre
anni è d'una importanza del tutto eccezionale, perché da essa dipenderà
la perseveranza di molte vocazioni, e la buona riuscita di molte altre, che
senza detta cura non verrebbero poi in seguito a portare i frutti dai
Superiori attesi, essendo in questo tempo specialmente che si formano
i nostri chierici alla vera vita pratica salesiana. Né si cerchi di abbrevia-
re questo tempo: i Direttori non appoggino facilmente le domande di
coloro che cercano di abbreviarlo; anzi incoraggino e sciolgano le diffi-
coltà che detti chierici possono produrre, specialmente col far vedere
che anche non essendo ancora sacerdoti noi possiamo già adempiere la
missione affidataci dal Signore di occuparci della educazione dei gio-
vanetti (...)».111
Finivano — gradualmente, faticosamente (ci vollero decenni per organizza-
re l'intera rete dei centri di studio filosofici e teologici) — le arcaiche e problema-
tiche strutture formative attuate da don Bosco. Non venivano, però, annullate le
sue positive intuizioni sulle caratteristiche di una nuova figura di prete e sulla
qualità della sua formazione, insieme culturale, pratica, professionale: intuizioni
suscettibili di ulteriori aggiornamenti e approfondimenti a profitto di una sempre
più dinamica continuità e solidarietà tra cultura e vita e tra i rispettivi processi
formativi.
111 Lettere circolari..., pp. 275-276. Nella circolare dell'8 marzo 1902. con la quale il Con-
sigliere Scolastico Generale, don Francesco Cerniti, forniva «un elenco di opere d'indole filo-
sofica, sociale e religiosa, proposte per la lettura e studio ai chierici entrati nel triennio d'eser-
cizio pratico», è detto: «Certo importa assalissimo, sotto il triplice aspetto religioso, morale e
intellettuale, che i nostri chierici, aborrendo da letture leggiere, frivole o soverchiamente senti-
mentali, si educhino, si addestrino fin da principio della loro carriera ecclesiastica alla conoscen-
za e all'amore di opere sode, istruttive, adatte allo stato loro e alle condizioni sociali in cui
viviamo, capaci ad un tempo di rafforzarli nella vocazione, di agguerrirli contro gli errori del
giorno e di prepararli convenientemente alla vita pratica salesiana».