16_anno9_num1_0243-0252


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RECENSIONI
ARAMAYO ZALLES Alberto, Los salesianos en Bolivia, tomo II. La Paz, Ed. «Don
Bosco» 1988, xv, 535 p., tav.
L'A. ricorda nell'introduzione che il primo volume, uscito l'anno 1976, aveva
raccontato le vicende delle sole due fondazioni di La Paz e di Sucre estendendosi,
con dovizia di digressioni, su circa 350 pagine, per gli anni 1896-1912. Era logico
attendersi diversi volumi per il seguito. Invece questo secondo volume completa il
racconto fino ai giorni nostri. Il venerando A. (La Paz, 1906) implicitamente se ne
scusa, avvertendo che questa continuazione non era stata da lui programmata.
Siamo grati all'Ispettoria e all'A. di queste pagine che, con penna ben fornita,
riassumono le vicende esteriori delle presenze salesiane sulla base delle cronache di
ciascuna di esse. Vero è che il volume sembra dimenticare opere in località menziona-
te nei cataloghi annuali della Società Salesiana (ad es. il seminario minore San
Luis in Cochabamba) o dar rilievo a presenze di brevissima durata (ad es. a Potosí).
Non occorreva dilungarsi sulla pedagogia di DB (p. 3-23) o sulle origini dell'Istituto
delle Figlie di Maria Ausiliatrice in Italia (p. 67-77) inserendo pagine che il lettore
può agevolmente trovare in altre pubblicazioni. Anche gli antefatti circa la diocesi di
La Paz o l'origine dei seminari boliviani... potevano essere assai più succinti. Si
doveva, d'altra parte, aggiungere uno o più capitoli sul perché della tardiva creazione
dell'ispettoria o provincia salesiana in Bolivia, sull'opera organizzatrice e d'anima-
zione esercitata da Lima prima e da La Paz poi dai superiori provinciali e dal loro
consiglio...
Un lodevole seppur perfettibile inizio, dunque, che altre ispettorie e nazioni,
ben più ricche d'opere e di personale, debbono invidiare.
A.M. PAPES
BASTARRICA José Luis, Luis Chiandotto, un sembrador de felicidad. Ed. CCE,
Madrid, 1988, 235 p.
Nel presentare una biografia la considerazione va spontaneamente a tre ele-
menti che vi sono collegati: il protagonista, di cui si scrive; il biografo; la biografia
stessa.
Il protagonista. Nella galleria di salesiani meritevoli di un particolare ricordo
che ne tramandi e conservi la figura, la testimonianza e il peculiare apporto alla
missione, alla spiritualità, alla storia della Congregazione va certamente annove-
rato Don Luigi Chiandotto (Concordia Sagittaria, VE., 1921 Roma 1971). Siamo
quindi grati a Don J.L. Bastarrica che ci offre di lui questa discretamente ampia
biografia (sintesi a sua volta di una stesura molto più ampia, rimasta per ora non
pubblicata, di cui accenna nella «Presentazione», p. 12). Vi troviamo, spesso con
dovizia di particolari, le caratteristiche dell'uomo, del salesiano, del sacerdote, colte
nel vivo dell'operosità di una esistenza troppo presto (a giudizio umano) conclusasi.
Il sottotitolo «sembrador de felicidad» mette in luce non solo una particolare angola-
tura da cui il biografo focalizza la figura di D.C., ma una delle caratteristiche com-
prensive della sua personalità, che implica serenità, gioia, capacità di contatto umano
e, radi-

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calmente, interiorità, profondità di motivazioni e di idealità, ricchezza di fede,
oblatività apostolica. La biografia ci tramanda le dimensioni fondanti e le manifesta-
zioni di questa personalità: maturità umana, ricchezza culturale, coerenza cristiana e
religiosa da una parte; e dall'altra capacità di lavoro, dedizione apostolica (nell'inse-
gnamento, nell'apostolato, nell'organizzazione giovanile, nella formazione di
vocazioni religiose e sacerdotali, nelle responsabilità di governo di una comunità di
studenti di teologia e poi dell'Ispettoria del PAS), la disponibilità al sacrificio, fino
all'oblazione dell'ultima malattia. Diciamo, anzi, che l’A. ha la consapevolezza — e
lo fa chiaramente capire — di trasmetterci non solo il ricordo di una personalità
non comune, ma una tipica realizzazione di autentica santità salesiana; e non è,
forse, occasionale che nella «dedica» sottolinei la coincidenza della pubblicazione
della biografia con la celebrazione del centenario della morte del Fondatore.
Il biografo ha vari titoli per dedicarsi a quest'opera e per garantirne la riuscita.
Gode di una comprovata esperienza in questo tipo di lavori, avendo dedicato con
successo la sua cura alla pubblicazione della biografia di altri Confratelli salesiani e
a ricerche storiche circa le opere salesiane in Spagna. Questa volta, poi, scrive di un
Confratello con cui ha avuto non solo personale conoscenza, ma lunga dimestichez-
za, fraterna amicizia e intensa collaborazione negli operosi anni di permanenza di
D.C. in Spagna (1943-1965); elementi che, complessivamente presi, possono avere
un effetto ambivalente: assicurano, da una parte, una conoscenza più diretta, più
profonda, più «provata», e sim-patica; dall'altra potrebbero facilitare qualche
tendenza alla esaltazione e alla idealizzazione.
La biografia. Di tutto ciò il biografo è consapevole; particolarmente dei requisi-
ti di obiettività e di documentazione. Sappiamo l'assillo di documentazione che lo
ha guidato (come egli stesso garantisce e specifica nella «presentazione», p. 12),
anche se la documentazione non è sempre riportata nel testo, nell'intento peraltro di
renderlo accessibile a un più vasto pubblico di lettori. È però comprensibile che la
lunga conoscenza e la profonda amicizia facilitino talora qualche linea interpretativa,
che tuttavia ne trae anche giustificazione e convalida. Lo stile poi dello scrittore è
fluente e anche fascinoso; al che si aggiunge un certo entusiasmo, che rende attraen-
te e comunicativa anche nella biografia la personalità di D.C. «Maestro con todas las
letras mayúsculas»; «Líder de movimientos juveniles»; «Hombre de ideas y de acción»;
«Director por santa obediencia»; ecco qualche titolo significativo di capitoli, che
qualificano gli anni «spagnoli» di D.C., ma che vanno al di là della descrizione di
singole mansioni, per arrivare alle dimensioni della persona.
Una menzione particolare merita il periodo tra gli anni 1965-1970, nei quali
D.C. fu Ispettore (Provinciale) nell'Ispettoria del Pontificio Ateneo Salesiano (poi
Università Pontificia Salesiana), anni in cui alla normale responsabilità di tale ufficio
si aggiunsero due circostanze che congiuntamente, anche se in modo diverso,
avrebbero inciso sulla sua persona e sulla sua azione di governo dell'Istituzione
Religiosa: la malattia, che si manifestò e andò sviluppandosi fino a portarlo alla
morte, e le tensioni del «dopo '68» e del «postconcilio» che ebbero notevoli riper-
cussioni sia nell'ambiente dell'Università che nelle Comunità religiose delle quali
D.C. era Superiore. Ognuno di questi tre elementi e la loro combinazione ponevano
al biografo una specifica problematica, più difficile da penetrare per il fatto che,
non essendo egli dell'ambiente, non poté avere degli eventi che si succedettero e
delle situazioni che si crearono una esperienza vissuta, come, invece, di gran parte (e
la più operosa) degli anni precedenti della vita di D.C. Va per questo rilevata la
cura che egli mise

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nella ricerca, nello studio dei documenti reperibili, nella consultazione paziente del
più alto numero possibile e della maggiore varietà di testimoni disponibili, come nella
stessa laboriosa stesura e revisione dei corrispondenti capitoli della biografia,
impegnandosi a dare delle situazioni una visione vera e sufficiente per una valuta-
zione in esse della personalità e dell'opera di D.C., pur nell'esplicito intento di non
attribuirsi il compito dello storico dell'Università Salesiana per quegli anni. Non fa,
però, meraviglia — per la oggettiva difficoltà della materia e per la possibile varietà
soggettiva delle valutazioni — che proprio questa parte della biografia possa suscitare
anche qualche riserva; che però, se può presentarsi sul versante della cronistoria
dell'Istituzione e delle sue componenti, ci pare non intacchi la dimensione umana,
sacerdotale e salesiana della personalità di D.C., che è l'obiettivo primo dell'opera di
Don Bastarrica.
Il «Prologo» è di un grande amico di Don Chiandotto, S. Em.za il Card. Anto-
nio M. Javierre Ortas, che di Don Luigi ricorda particolarmente gli anni riechi di
promesse, ma anche già di attuazioni, vissuti insieme frequentando la Facoltà di
Teologia dell'Università di Salamanca. Una amicizia che è continuata tutta la vita,
come è dimostrato dalla biografia. S. Em.za ha condiviso con D.C. anche gli anni in
cui questi fu Ispettore al PAS ed Egli era Decano della Facoltà di Teologia.
A chiusura del volume è offerta una serie di fotografie relative a vari momenti
della vita di Don Chiandotto.
M. SIMONCELLI
BETTAZZI Luigi, Obbediente in Ivrea. Mons. Luigi Moreno, vescovo dal 1838 al 1878.
Torino, SEI 1989, 555 p.
Tracciando un bilancio della storiografia italiana sulla chiesa, nel convegno di
studio di Brescia del 1985 promosso dall'associazione italiana dei professori di storia
ecclesiastica, G. Martina sottolineava come per un insieme di motivi si stava
assistendo anche in Italia ad un maggior sviluppo della storiografia sui vescovi,
intesa sia come sintesi generali che come profili di singoli pastori. In questa linea,
sia pure con precisi limiti che immediatamente indichiamo, si potrebbe porre il
volume che l'attuale vescovo di Ivrea ha dedicato al suo illustre predecessore (1800-
1878).
Scrive il Bettazzi: «Mi decido ora a pubblicare questa storia, anche se riconosco
che l'indagine non ha potuto essere accurata e completa come sarebbe stato necessa-
rio. Del resto essa non è scritta come contributo per gli storici di professione, ma
come conversazione con amici su alcune vicende del secolo scorso con un abbozzo
della figura di questo vescovo di quel tempo». E conclude: «Forse il titolo più
adeguato sarebbe allora: Contributi per una storia di mons. Moreno e dell'Armo-
nia» (p. 10).
Concordiamo perfettamente con questo giudizio dell'autore, anche se eviden-
temente dal nostro punto di vista ci saremmo augurati che il suo lavoro, che pure ha
trovato tanti collaboratori, avesse potuto avvalersi di un'altra «figura: quella di uno
studioso avvezzo alla ricerca specificatamente storica, che dall'analisi critica
approfondita ed ordinata del notevole materiale qui pubblicato per disteso —la
parte del volume più ampia e significativa — traesse una sintesi di qualche decina
di pagine che con ampiezza di prospettive e solidità di informazioni offrisse del
personaggio studiato un'immagine completa, sicura ed equilibrata. Tutto ciò invece
resta ancora

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da fare, nonostante le 500 e più pagine pubblicate dal Bettazzi, al quale per altro va
riconosciuto il grande merito di aver osato affrontare, in mezzo ai molteplici impe-
gni pastorali cui la sua missione di vescovo lo chiama, una simile imponente fatica.
A beneficio dei nostri lettori ricordiamo che i temi sui quali più abbondante è la
documentazione e la riflessione dell'autore sono quelli connessi con la situazione
politico-sociale italiana (letta soprattutto alla luce di quanto scritto per un trenten-
nio sul giornale portavoce di mons. Moreno, «L'armonia della religione e della
civiltà»), con la posizione del vescovo che, nel corso del Concilio Vaticano I, si
dichiarò contrario, per motivi di opportunità politica, alla proclamazione dell'infallibi-
lità pontifìcia, e col rapporto non sempre facile con D. Bosco a proposito delle «Letture
cattoliche» (pp. 157-201). Qui come altrove, abbondantissime le citazioni di testi
(sovente già editi nelle Memorie Biografiche), felici alcune intuizioni, scarna e
talvolta incompleta l'interpretazione.
L'autore e i collaboratori che gli hanno segnalato materiale utile, che hanno
trascritto dettature in bobine o brani trovati da varie parti, non hanno risparmiato
spazio nel pubblicare in extenso ogni documento, anche quelli che potevano essere
facilmente sintetizzati. Solo che privi come sono della benché minima nota risulta
molto difficile al lettore rintracciarli immediatamente nella loro fonte primigenia.
Per ovviarvi non era proprio possibile adottare qualche espediente, per lo meno
qualche sigla, sia pure all'interno del testo qualora non lo si volesse fare a pie'
pagina? La «sofferenza» che forse ne avrebbe avuto il carattere divulgativo del
volume non sarebbe forse stato compensato dal vantaggio che ne avrebbero
ricavato gli «addetti ai lavori»? Ed in tale ottica, un indice dei nomi non avrebbe
giovato ad una più proficua ed ampia utilizzazione dell'opera?
F. MOTTO
BODRATTO Francesco, Epistolario («1857»-1880). Edición crítica, introducción y
notas por Jesús BORREGO (= Istituto Storico Salesiano Roma, Fonti – Serie se-
conda 1). Roma, LAS 1988, 518 p.
Francesco Bodratto nasce a Mornese il 18 ottobre del 1823. Padre di due figli,
dopo la morte della moglie e varie vicissitudini, ebbe la fortuna d'incontrare Don
Domenico Pestarino, mornesino amico di Don Bosco, che lo consigliò di abbando-
nare il commercio minuto, con il quale trovava difficoltà a sostentare la famiglia
(cui si era aggregata la sorella), per completare gli studi, prendendo il diploma di
maestro elementare. In questa posizione, poté aiutare il buon sacerdote nella pasto-
rale parrocchiale, ed ebbe modo di conoscere Don Bosco, al quale si sentì attratto
e poi definitivamente legato, nel 1864, quando lasciò il paese nativo per l'Oratorio
di Valdocco e diventò poi Salesiano.
Il 7 novembre del 1876 dirige una spedizione missionaria di 22 salesiani per
Buenos Aires e Montevideo. Gli fu affidata prima la parrocchia degli Italiani detta
«della Misericordia» e poi, l'anno seguente, anche quella più vasta e impegnativa di
San Giovanni Evangelista della Boca. Fonda nel 1878 la Scuola «Pio IX» di arti e
mestieri ad Almagro (Buenos Aires). Nel medesimo anno viene pure nominato
Ispettore dell'Ispettoria Americana. Subito dopo la cosiddetta rivoluzione dell'80,
di cui i Salesiani e le opere loro affidate nella capitale subirono delle conseguenze, si
fa più grave il suo già precario stato di salute. Muore il 4 agosto del 1880.

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Don Borrego ci ha fornito un'opera di grande impegno. In essa ci sono presentate
in edizione critica tutte le lettere di Don Bodratto giunte sino a noi (molte sono andate
perdute), in tutto 186. Abbracciano l'arco di tempo che va dal 1876 al 1880, eccetto le
prime sette che sono datate tra il 1853 e il 1873. Sono indirizzate, per la maggior
parte a Don Bosco (una cinquantina) e ai confratelli di Valdocco. Di esse, a differen-
za di altre lettere «missionarie», sono state pubblicate nel «Bollettino Salesiano» solo
una mezza dozzina. Il motivo è che sono quasi tutte di carattere «intimo e riservato».
Questo è anche il motivo che le rende così preziose e interessanti per lo storico. Si
dipana in esse la storia dell'appena nata Ispettoria Americana, la cronaca quasi
quotidiana delle Case di Buenos Aires, soprattutto del Collegio di Almagro, dei
confratelli e di quanti venivano a contatto con essi. Si percepisce, da un osservatorio
senza pregiudizi, come uno sprazzo, vivido e senza schermi, della vita ecclesiastica e
civile della capitale. Da esse emerge soprattutto il personaggio unico e originale
dell'autore, con le sue idee, le sempre uguali e ritornanti preoccupazioni, uno stile di
scrittura rapido, ma che volutamente sceglie le parole e carica talvolta gli episodi con
il gusto di farsi leggere. Taluni episodi sono di vero divertimento... e l'autore lo sa!
(Vedi lo scherzo macabro dei capretti, pag. 84-86).
L'edizione critica, che non ha trovato particolari difficoltà di realizzazione se
non per la mole di lavoro che essa comportava, si adegua alle norme che l'Istituto
Storico Salesiano ha già ottimamente collaudato nelle esemplari edizioni che l'hanno
preceduta. L'apparato critico è essenziale. Le note storiche sono brevi ma sostanziose
e precise, anche se qua e là, soprattutto il lettore italiano avrebbe preferito qualche
altra notizia.
Il volume si apre con un'introduzione, che contiene una sostanziosa biografia del-
l'autore delle lettere (pag. 15-40), una descrizione precisa del materiale edito, dei
criteri di edizione e del contenuto di esso (pag. 40-70). Il tutto si conclude, dopo 5
brevi appendici (pag. 469-484), con un utilissimo Indice analitico (pag. 485-511) e
l'Indice generale.
Se ci è lecito esprimere un piccolo desiderio, a riguardo dell'Indice analitico, di-
rei che si sarebbe potuto aggiungere anche il riferimento a «Don Bosco». A pochi
potrebbe venire in mente di andare a cercarlo sotto la voce «Padre» («Padre don
Bosco»: pag. 496). Ma ciò si potrà fare in una prossima ristampa o edizione, quando
si potranno correggere anche gli errori di stampa, occorrenti in prevalenza nella
lingua spagnola più che in quella italiana.
A proposito di questa pubblicazione si può ben ripetere che non è possibile pen-
sare alla Congregazione Salesiana delle origini, senza il contributo, inteso nel senso
più vasto e pieno della parola, dei primi Salesiani e delle prime opere dell'Ispettoria
Americana. Quest'opera è importante proprio da questo punto di vista. E così è
stata voluta dall'editore, con una scelta intenzionale (v. pag. 13). Don Ceria del resto
nota esplicitamente nel I volume degli Annali della Società Salesiana (Torino, SEI
1941, pag. 249) che i primi Salesiani erano convinti che con la prima spedizione
missionaria (novembre 1875) «s'iniziava per l'Oratorio e la Società Salesiana una
nuova storia», si apriva la «nuova frontiera», nella quale Don Bodratto, senza volerlo,
acquistava un ruolo di primo piano.
Non ci rimane altro che congratularci con Don Borrego per questa esemplare o-
pera critica e storica e augurare a lui e all'Istituto Storico Salesiano ulteriori suc-
cessi soprattutto nell'edizione critica degli scritti di Don Bosco e delle fonti a lui
coeve.
R. FARINA

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248 Recensioni
DESRAMAUT Francis, Etudes préalables à une biographie de saint Jean Bosco. VIL La
grande expansion (1878-1883) in «Cahiers salésiens, recherches et docu-
ments...». Numéro 20-21 Avril-octobre 1989. 14. Rue Roger-Radisson 69322
Lyon Cedex 5. 250 p. [Dattiloscritto riprodotto in offset].
Con una rapidità che può sorprendere solo chi non conosce l'invidiabile tren-
tennale famigliarità che il Desramaut ha con le fonti e la bibliografìa salesiana, è
apparso il secondo voluminoso fascicolo degli studi preparatori ad una biografia
di don Bosco. Abbiamo detto «secondo» fascicolo, anche se in realtà corrisponde al
settimo (o penultimo) della serie completa prevista dall'autore.
Se nel numero precedente si prendeva in considerazione l'ultimo lustro della
vita di don Bosco (1884-1888, la vieillesse), in questo si intendono ricostruire gli
avvenimenti del sessennio immediatamente precedente, che l'autore definisce come
quello della grande espansione. I temi affrontati corrispondono ai cinque capitoli in
cui si suddivide lo studio: Il primo anno del pontificato di Leone XIII (in particolare
la presenza e l'operato di don Bosco a Roma in quell'anno); il rapporto di don
Bosco con le autorità civili in Italia ed in Francia tra il 1878 ed il 1883; le complica-
zioni e l'epilogo del caso Gastaldi (1879-1883); il viaggio di don Bosco in Francia
nel 1883; le idee forza di don Bosco sulla vita salesiana tra gli anni 1878 e 1883
(tratte in massima parte dagli interventi di don Bosco ai capitoli generali dell'epo-
ca).
Che dire di questo nuovo saggio, se non ribadire quanto sotto il profilo meto-
dologico abbiamo già osservato nella recensione al primo fascicolo? (RSS 13 1988,
pp. 465-467). L'impostazione programmatica è quella colà annunciata, un po' eccessi-
vo il ripiegamento su alcuni documenti per costituire una sintesi definitiva, identi-
co il modulo interpretativo di indole psicologica che, privo come è di necessaria
storicizzazione, ci pare non totalmente condivisibile; pertanto non abbiamo motivo
di mutare opinione.
Ci basti sottolineare ancora una volta che l'autore è dotato di magistrale chia-
rezza espositiva, si fa leggere molto volentieri, è fecondo come sempre di brillanti
intuizioni; ammirevole è la sua capacità di coniugare il rigore filologico con l'enuclea-
zione delle idee sottostanti (esemplari in tal senso alcune valutazioni poste al termine
dei singoli capitoli); ma nel contempo non possiamo non ribadire come gli scritti
dell'autore suscitino sovente qualche perplessità, sia quanto alla selezione dei fatti
(non sono eccessive le pagine relative alla Francia in questo numero?) sia quanto
all'interpretazione degli stessi. A questo punto si oserebbe quasi dire che il Desra-
maut da autore esperto nella ricerca storica trovi un certo gusto a sottoporre a
rivisitazione antiapologetica quelle letture storiografiche del passato (leggi Memorie
Biografiche) che — invero troppo spesso — non reggono al setaccio di una critica
documentaria, diciamolo pure, di stampo positivistico ma proprio per questo
sempre attenta ed accurata.
Il quadro offerto dall'autore con quelle che definirei cinque panoramiche o cinque pro-
lungati «flashes» sulla vicenda umana di don Bosco negli anni considerati, non costituisce
certo l'unica fonte ai fini della ricostruzione della sua vita in quel periodo; ulteriori riletture si
potranno fare su avvenimenti e problematiche dell'epoca vissute dal nostro santo (le
numerose e sovente difficili fondazioni in Italia ed in Spagna, l'avanzamento delle «missioni
salesiane» in America Latina, le vicende dell'istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice prima
e dopo la morte di madre Mazzarello, ecc.). Rimane però sempre vero che questo e gli altri
saggi dello studioso france-

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Recensioni 249
se, se lasciano aperto più di un problema, aprono altresì interessanti ed inedite piste
di ricerca che pure altri possono efficacemente percorrere.
F. MOTTO
Éducation et Pédagogie chez Don Bosco. Présentation par Guy Avanzini. Paris,
Pédagogie psychosociale-Éditions Fleurus [67], 1989, 352 p.
Il primo centenario della morte di don Bosco ha dato occasione a un colloquio
interuniversitario tenutosi a Lione, per iniziativa di Francis Desramaut, instancabile
storiografo di don Bosco, dal 4 al 7 aprile 1988 col patrocinio della Pontificia
Università Salesiana, dell'Università Cattolica di Lione, della Università di Lione 2 e
la collaborazione anche di specialisti dell'Istituto Cattolico di Parigi e di Lovanio.
Le comunicazioni, dodici in tutto, hanno espresso un tale livello da suggerirne
la pubblicazione. Ecco, dunque, questo volume, presentato e introdotto da Guy
Avanzini, direttore dell'Istituto di Scienze della Educazione nella Università
Lumière di Lione.
Proposito dichiarato: focalizzare con serietà scientifica il concetto di educazione
presente in don Bosco, enuclearne l'originalità e le ragioni della perdurante attualità,
al fine di giustificarne l'accesso nelle sfere universitarie, in genere mal disposte, in
Francia, verso gli autori cattolici.
Nel testo — fornito anche di una succinta cronologia con le tappe più significati-
ve della vita di don Bosco dal 1815 al 1888 e di un indice di nomi propri di persona
e geografici — gli studi si susseguono non secondo l'avvicendamento della loro
trattazione in aula, bensì secondo un percorso logico, che muove da don Bosco
educatore visto nel contesto sia della situazione socio-politica del Piemonte e
dell'Italia in fase di unificazione (F. Desramaut), sia della pedagogia dominante nel
suo secolo (G. Avanzini); raffronta il «sistema preventivo» col punto di vista
antropologico Freudo-lacaniano in un saggio che non pretende se non promuovere
la riflessione (X. Thévenot); va alla ricerca delle strutture di pensiero, specialmente
teologiche, sottostanti alla pratica educativa di don Bosco e utili nell'orientare gli
educatori di fronte alle sfide attuali (J. Schepens); individua nella persona dell'edu-
cando, originalità irrepetibile ed inviolabile aperta e verso l'Alto e verso gli altri, il
centro del suo sistema preventivo, contrapposto ai contemporanei sistemi spersona-
lizzanti (S. Palumbieri); esamina i termini «prevenzione», «preventivo» allo scopo di
cogliere convergenze e divergenze fra la pratica pedagogica di don Bosco e la
pratica d'assistenza terapeutica e sociale dei nostri giorni (G. Milanesi); analizza le
condizioni che consentano all'amorevolezza di evitare il pericolo di plagio e di
favorire invece la maturazione del giovane (X. Thevénot); vede nell'ottimismo
salesiano fedele a don Bosco uno strumento adeguato per il mondo d'oggi attraver-
sato da uno stato permanente d'indecisione (J.M. Petitclerc); prevede le risposte
dell'intrepida saggezza di don Bosco alle esigenze della nostra epoca in continua e
profonda mutazione (A. de Peretti); infine, non senza aver riferito e valutato l'impatto
del metodo educativo di don Bosco con gruppi magrebini a Lione (G. Schuler) e
col complesso scolastico «Don Bosco» di Haecht, Belgio (W. Wielemans),
conclude tratteggiando quel1'«avventura imprevidibile» che è l'opera educativa,
sempre insidiata dalla libertà dell'altro (P. Meirieu).

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Recensioni
Una vasta carrellata — come si vede — che indaga con ampiezza di attenzione
sulla persona, sul pensiero, sull'opera di don Bosco con la preoccupazione di nulla
concedere al pregiudizio diffidente o alla esaltazione gratuita. Criteri, questi, già
egregiamente affermati negli studi «justement estimés et dus à d'éminents historiens
salésiens» (p. 7) della 'scuola italiana', rispetto ai quali alcune analisi di Lione
sembrano ancora indulgere alla tendenza schematizzatrice, idealizzatrice.
A Lione è stato osservato obiettivamente che don Bosco educatore non fu senza
pecche, come non fu senza ascendenza storica e culturale; ma è stato anche aggiunto
che il calarlo nel quadro storico-culturale del suo tempo consente di apprezzarne
l'apporto originale e di scoprire in lui uno che «a décisivement apporté à la péda-
gogie» (G. Avanzini, p. 10), nonostante l'innata ritrosia all'elaborazione di una
teoria sistematica a supporto della sua azione educativa.
Ancor oggi «cent ans après sa mort, sa méthode éducative est toujours une ré-
ponse utilisable, fertile et ouverte aux besoins psychologiques et sociaux des
jeunes» (W. Wielemans, p. 279).
L'educare esige genio e amore. Don Bosco appare come persona che possedette
l'uno e l'altro a servizio della umanizzazione e della santificazione del giovane: «c'est
pourquoi Jean Bosco fut en son temps un très grand éducateur» (F. Desramaut,
p. 47).
B. CASALI
STELLA PIETRO, Don Bosco nella storia della religiosità cattolica, vol. III: La Canoniz-
zazione (1888-1934). Roma, Libreria Ateneo Salesiano 1988, 304 p.
Le manifestazioni per il primo centenario della morte di don Bosco hanno
prodotto un rinnovato interesse della storiografia non solo per la vita del santo, ma
anche per il contesto in cui si è trovato ad agire; e, fatto anche più significativo, tale
interesse si è esteso ben al di fuori della cerchia degli addetti ai lavori e della
congregazione salesiana.
Fra i volumi che rappresentano un contributo particolarmente significativo alla ri-
cerca, credo si possa e debba collocare la raccolta di saggi, curata da F. Traniello, apparsa
con il titolo: Don Bosco nella storia della cultura popolare. Tali saggi, e altri pubblicati
nello stesso periodo, avevano quasi tutti qualche debito scientifico nei confronti di Pietro
Stella: e proprio suo era anche uno scritto pubblicato in quel volume, dedicato a La
canonizzazione di don Bosco tra fascismo e universalismo. Un testo che, forse proprio per il
candore e la serenità con cui lasciava intuire quale uso si potesse fare di determinati docu-
menti, finiva per sollevare forti curiosità nel lettore, e magari qualche apprensione in chi
ha della storia una concezione strumentale, e dimentica spesso quanto ripeteva Duchesne,
che riteneva che il Padre eterno non dovesse troppo preoccuparsi se certi aspetti del
nostro vivere e del nostro operare venivano alla luce, dal momento che non si era opposto
a che si verificassero.
Lo stesso Stella d'altronde non era nuovo a lavori che potevano sollevare apprensio-
ni. Il volume che qui presentiamo è il seguito di una ricerca, e precisamente il terzo (nel 1980
aveva pubblicato anche un ampio Don Bosco nella storia economica e sociale, 1815-1879,
ma come ricerca autonoma) della serie dedicata alla vita, alle opere e alla spiritualità di
don Bosco; in questo caso però, come già un po' nel secondo volume, il protagonista
non è più lo stesso don Bosco, ma il modo in cui

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Recensioni 251
dopo la morte ne è stata costruita un'immagine e un mito, a cui però anche don
Bosco aveva già dato qualche contributo.
Lo stile di Stella rimane lo stesso: una preoccupante (per il lettore) massa di
erudizione, una grande precisione documentaria, talvolta persino un po' superflua,
una grande probità intellettuale, un fraseggiare qualche volta pesante; ma soprattutto
un candore storiografico encomiabile, che probabilmente già in occasione dei primi
volumi aveva prodotto nei suoi confratelli salesiani qualche preoccupazione. Come
non ricordare, ad esempio, le pagine in cui lasciava trapelare qualche dubbio sulla
credibilità di certi miracoli e sogni di don Bosco, a partire da quello più famoso, la
resurrezione di Carlo?
Anche il presente lavoro non manca di riservare sorprese, per chi immagina un
processo di canonizzazione come un cammino lineare che parte dalle indagini sulle
virtù del soggetto studiato e si conclude con la sua apoteosi. Anche il «santo» ha
amici e nemici, ammiratori e detrattori. E ognuno mette in moto tutte le proprie
possibilità per ottenere lo scopo.
Stella ha il merito di non avere trascurato nulla, di non avere steso un velo su
qualche capitolo meno edificante, di avere utilizzato la ricca documentazione di cui
dispone senza lasciarsi condizionare da preoccupazioni apologetiche. L'autore anzi
non disdegna neppure dal fare emergere, quasi in chiave di confessione liberatoria,
alcuni degli stereotipi che vengono spesso utilizzati, magari in modo acritico, per
descrivere la congregazione salesiana.
Il lettore ha però l'impressione, anche quando viene messo in risalto qualche
procedimento da parte di addetti ai lavori o di qualche membro della congregazione
meno consono alla dignità che si richiederebbe, che ogni elemento riceva la dovuta
attenzione e quindi anche la dovuta spiegazione. Anche se ogni tanto si sente quasi il
rammarico (lo nota esplicitamente l'autore, p. 277) che nel corso del processo
informativo qualche volta si siano privilegiate le minuzie, lasciando da parte quelle
analisi e quegli elementi che avrebbero rivelato gli autentici meriti e l'indiscutibile
novità del prete piemontese.
Mi pare però che il lavoro di Stella vada letto anche con altri parametri, grazie
ai quali appare meglio come un contributo di indubbio interesse per la storiografia
religiosa contemporanea.
Nonostante l'opinione corrente, Stella costata che il culto di don Bosco non fu
né diffuso né spontaneo nella Chiesa e nella devozionalità italiana: ebbe momenti
salienti «nel 1888, quando si sparse nel mondo la notizia del decesso; nel 1907,
quando, in ambito salesiano ed ecclesiastico in genere, si seppe ch'era stato iniziato il
processo apostolico di beatificazione; nel 1929 e nel 1934, gli anni della glorificazio-
ne e dell'apoteosi suprema» (p. 282); non fu frutto di generazione spontanea, ma
sviluppato dai salesiani, che però non riuscirono a farlo uscire dalla loro cerchia
pur ampia (p. 283). Neppure si può dire che don Bosco si sia imposto alla devozione
popolare per qualche sua specifica prerogativa: come tanti altri santi, viene
implorato «per qualsiasi tipo di grazia o anche solo per una sorta di dialogo con il
trascendente» (p. 280). Don Bosco sembra piuttosto inserirsi in una strategia che
viene dall'alto, dallo stesso papato, una strategia preoccupata di «proclamare santi
dottori della Chiesa e santi patroni per contingenze particolari o per categorie specifi-
che» (p. 280).
Lo studio delle canonizzazioni diventa quindi, come metteva già in risalto P.
Delooz nel suo noto saggio del 1969, lo studio della mentalità religiosa, la ricerca del
modello di santità che la chiesa di un certo periodo vuole proporre ai suoi fedeli: la

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Recensioni
mitologia cui si ricorre, la costruzione del modello, si spiega soprattutto in funzione
della devozione che si vuole diffondere. L'aumento straordinario delle canonizzazioni,
che si verifica a partire dalla seconda metà dell'ottocento, è frutto del desiderio di
ordini e congregazioni religiose di vedere sugli altari il proprio fondatore; ma è
anche segno «delle trasformazioni che stavano avvenendo nella mentalità collettiva
cattolica anche delle aree rurali» (p. 61), e del desiderio della gerarchia ecclesiastica
di offrire a tutte le categorie sociali modelli di vita da imitare. Senza poi dimenticare,
e questo è indubbiamente uno degli aspetti più significativi del lavoro di Stella,
quanto il contesto storico e gli eventi contemporanei influiscano anche sui processi
di canonizzazione: quegli eventi, conclude Stella, «si riflettono e larvatamente
incidono sull'intero sistema di processi istruiti presso le curie vescovili e dibattuti a
Roma» (p. 11).
Infine, una certa documentazione, raccolta in funzione di un processo di
canonizzazione, può diventare fonte preziosa (ed è un altro aspetto del lavoro di
Stella) per lo studio della mentalità di un periodo storico, magari fluttuante, come
era il caso dell'800, tra una «cultura orale magico-sacrale e soprannaturalistica (da
cui la massa dei giovani e Don Bosco stesso provenivano) e quella scientifica,
incline cioè a ricercare nei fatti umanamente percepibili una spiegazione e un senso
nell'ambito delle scienze umane» (p. 116).
Non c'era d'altra parte da stupirsi che nei confronti di don Bosco si ricorresse a
un vero e proprio «gioco di idealizzazione iconografica»; si trattava in fondo di un
metodo «che da sempre aveva animato la religiosità cristiana» (p. 269).
La ricerca di Stella rappresenta dunque un contributo di grande valore su
diversi piani. Ne emergono anche delle provocazioni: non certo per la santità di don
Bosco, che non è per nulla in questione; ma per qualche disinvoltura nei
comportamenti della congregazione salesiana, e ancora più per certe carenze di
quella commissione storica «i cui contributi iniziali furono ben lontani dall'esibire
modelli costruiti con metodi scientifici adeguati» (p. 12). Ma forse, e l'autore ne è
ben consapevole, anche quelle carenze si rivelarono produttive, dal momento che
portarono alla maturazione dell'istanza di una migliore fondazione storica dei
processi di beatificazione.
MAURILIO GUASCO