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RECENSIONI
ACCORNERO Pier Giuseppe, Il Pioniere. Leonardo Murialdo tra giovani e mondo
operaio. Milano, Edizioni Paoline 1992, 315 p.
MORERO VITTORIO, Rosaz, il vescovo dei poveri. Fossano, Editrice Esperienze, 1991,
303 p.
Segnaliamo i due volumi non certo per particolari significatività storiografiche
o metodologie innovative — gli autori sono affermati giornalisti, non storici di pro-
fessione — bensì perché siano tenuti presenti in qualche modo da coloro che si inte-
ressano della storia salesiana. E non solo in quanto entrambi i personaggi biografati
hanno avuto notevoli rapporti con don Bosco — specialmente il Murialdo — ma
soprattutto per il fatto che favoriscono l'apertura a quella sempre agognata e mai
sufficientemente raggiunta ampia prospettiva della santità piemontese (e torinese)
nella quale se don Bosco rifulge di luce propria, si trova però accanto a tanti altri
santi dell'epoca, santi sociali o meno, semplici sacerdoti o vescovi, povere suore o
ricche nobildonne.
L'Accornero presenta la figura del Murialdo, che mentre è intento allo studio
delle tematiche sociali e pastorali, spirituali e culturali, non disdegna l'impegno per-
sonale nella difesa dei poveri, dei giovani apprendisti, dei fanciulli lavoratori, delle
donne operaie. Tre specialmente gli interessi apostolici del Murialdo: gli oratori per i
giovani, il collegio Artigianelli in cui fonda la congregazione di S. Giuseppe, la stam-
pa e la cultura popolare, settore in cui sollecita l'impegno del laicato. Accanto ai
«fatti» si collocano le «interpretazioni» e le riflessioni dell'A., che, sulla base di vari
studi anteriori, primo fra tutti quelli del Castellano, cerca di mettere a fuoco la figura
e l'opera di un educatore, di un pioniere dei diritti sociali di tutti, di un propugnatore
di principi che avrebbero trovato largo eco nella Rerum No varum di Leone XIII.
Ho detto «cerca di mettere a fuoco», perché in verità in primo piano pare si situino le
vicende ottocentesche, il quadro generale di riferimento anziché il soggetto biogra-
fato.
Diverso l'obiettivo del volume del Morero che già nella prefazione precisa come
ogni capitolo sia composto di due parti, distinte anche tipograficamente: una prima,
di taglio biografico, che informa sulle dimensioni della personalità del vescovo di
Susa, fondatore di famiglia religiosa, «operatore sociale» che si ispira al vangelo vis-
suto e testimoniato in ogni occasione; una seconda parte che invita alla meditazione
sui problemi di oggi, sulla base alla vicenda storica del prelato. Il Rosaz, diversa-
mente dal Murialdo, attende ancora una biografia vera e propria, e il volume in que-
stione potrebbe costituire un primo passo per un atto di giustizia «verso un'esperien-
za troppo ignorata e in un certo qual senso emarginata dalla storiografia e agiogra-
fia ufficiale».
Qualche novità di interesse donboschiano sembrerebbe a prima vista di poter ri-
scontrare nei due volumi: in realtà poi un'analisi serrata delle fonti — purtroppo in
simili lavori, per forza di cose, o assenti o genericamente e insufficientemente indica-

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402 Recensioni
te — induce a ritenere tali novità frutto di qualche fretta di consultazione, di lapsus,
di maggior attenzione alla parola forbita che non alla rigorosità del metodo.
F. MOTTO
BOSSI Federico, Lodovico Pavoni fondatore del Pio Istituto di S. Barnaba in Brescia e
della Congregazione dei Figli dell'Immacolata. Per inserire nel mondo del lavoro
la gioventù orfana abbandonata povera. Trento, Grafiche Pavoniane 1992, 271 p.
Il sacerdote bresciano Ludovico Pavoni (1784-1849) occupa un posto di rilievo
nella storia dell'educazione popolare in Italia, soprattutto al servizio della gioventù
povera della sua città. Di estrazione nobiliare, segretario del vescovo e canonico, egli
si rese conto fin dai primordi del suo sacerdozio (1807) che Brescia curava con parti-
colare attenzione la formazione religiosa e culturale della classe abbiente, media e
superiore; ma trascurava gli strati più umili, assistendo quasi impotente all'abban-
dono in cui si trovavano soprattutto i fanciulli e gli adolescenti. Ad essi egli tentò di
venir incontro con opere e stile educativo, che anticipano le iniziative che qualche
decennio dopo don Bosco adotterà, in condizioni più favorevoli, nella città di Torino
(in uno stato diverso: non nel Lombardo Veneto austriaco, ma nel Regno Sardo).
Per questo, meritatamente, egli è considerato un «precursore»; anzi si può pen-
sare che l'educatore piemontese abbia potuto avere informazioni più o meno estese
sulle opere bresciane e abbia potuto leggere gli scritti normativi che ne definivano lo
spirito e lo stile, essenzialmente «preventivo». Quanto alle istituzioni si nota uno svi-
luppo che, con maggiori articolazioni e ricchezza di opportunità, don Bosco riper-
correrà a Torino già nel primo quindicennio del suo Oratorio di Valdocco
(18461862). Nel 1812 il Pavoni dà inizio alla «Congregazione giovanile» e oratorio
festivo per i ragazzi (don Bosco non è ancora nato); poi, nel 1821, egli apre presso la
chiesa di S. Barnaba un «Collegio d'Arti» o centro di formazione artigianale (ap-
provato dal Governo nel 1825); nel 1831 appare il seguente prospetto di arti e mestie-
ri: la tipografia (la Patente è concessa dall'autorità civile nel 1831), la legatoria, la
cartoleria, l'arte dell'argentiere, del fabbroferraio, del falegname, del tornitore, la
calzoleria (arricchiti da altri nel periodo 1845-1846).
Quanto alla tipografia si può ricordare che in una lettera del 7 dicembre 1853
Antonio Rosmini segnalava a don Bosco il laboratorio del canonico bresciano, pro-
ponendo di introdurne uno analogo a Valdocco. Don Bosco non si sente ancora
preparato a un impegno del genere e risponde: «Comincio per dirLe che tale idea
forma un oggetto principale de' miei pensieri da più anni, e la sola mancanza di
mezzi e di locale me ne ha fatto sospendere la esecuzione» (Em I 211); la tipografia
avrà inizio a Valdocco nel 1862. Continuando nella realizzazione dei suoi progetti, a
garanzia della continuità delle opere educative il sacerdote bresciano organizza gra-
dualmente una congregazione di religiosi educatori, sacerdoti e laici («detti fratelli
Coadiutori»), «i primi occupati nella direzione spirituale e negli ufici convenienti
al loro ministero; i secondi applicati al pratico insegnamento delle arti». Ad essi è
proposta «una vita perfettamente comune: comune l'orazione, comune la mensa, la
ricreazione ecc.».
Tutto ciò è raccontato e documentato in una monografia, esemplare per il rigore
del metodo e l'essenzialità del discorso, redatta dallo storico pavoniano Federico
Bossi, che ha al suo attivo pregevoli studi sulla genesi e sul tormentato sviluppo del-

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Recensioni 403
la Congregazione fondata dal Pavoni, che prima della morte ne ha potuto vedere
soltanto l'approvazione dell'autorità diocesana, l'8 dicembre 1847 (oltre quella
imperiale, indispensabile e previa, nel 1846).
La segnaliamo, convinti che gli studiosi di don Bosco potranno trarre grande
profitto dalla conoscenza di questa ricerca e di altre analoghe.
P. BRAIDO
CAVAGLIA Piera - BORSI Mara, Solidale nell'educazione. La presenza e l'immagine della
donna in don Bosco. Roma, LAS [1993], p. 195.
Con questo volume la Facoltà di Scienze dell'Educazione «Auxilium» apre la
collana «Orizzonti», che ha lo scopo di approfondire la storia e la spiritualità dell'I-
stituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice.
Oggetto del volume è la presenza della donna nella vita e nell'opera di S. Gio-
vanni Bosco e in particolare la focalizzazione di alcuni tratti dell'immagine di donna
che vi emergono. Parte da una considerazione globale, unitaria e vitale degli scritti
del Santo, delle sue realizzazioni e scelte operative e della sua vita. Riflette sul rap-
porto da lui stabilito con le donne e cerca di individuare la sua concezione della donna
a partire da alcuni suoi scritti. Tenta di rispondere ad alcuni interrogativi che sorgono
da una prima e globale considerazione dell'argomento: quale fu l'apporto delle donne
alla missione educativa di don Bosco a favore della gioventù povera e bisognosa?
Che tipo di relazione stabilì con loro? Quale immagine di donna è possibile ritrova-
re nella sua mentalità e nei suoi scritti?
Incomincia contestualizzando il tema, collocandolo sia nel quadro storico-
culturale della condizione della donna nell'Ottocento piemontese sia nella vita di
don Bosco. Va a cercare se la considerazione del rapporto di don Bosco con la don-
na è presente nelle diverse fonti a cui ha attinto la ricerca e come quel rapporto venga
interpretato. Passa in esame gli studi degli storici di ieri e di oggi su don Bosco, le
testimonianze del processo di canonizzazione, gli scritti di don Bosco. Di questi si
prendono in considerazione le MO, il carteggio epistolare indirizzato dal Santo alle
donne — laiche e religiose — e vari profili di donne — o collaterali alle vicende
narrate, oppure protagoniste del racconto — che emergono nelle «Letture Cattoli-
che».
Non si attiene solo alla donna reale, ma descrive anche quella immaginata dal
Santo, o proposta attraverso testi didattici e formativi scritti per il popolo o per i
giovani.
Il volume vuol arrivare alla conclusione che don Bosco, durante tutta la sua vi-
ta, stabilì rapporti con le più svariate categorie di donne: popolane e nobili, laiche e
religiose, giovani e anziane, benefattrici e bisognose di aiuto. Seppe interagire e col-
laborare con loro valorizzandone le risorse materiali e spirituali, soprattutto con
l'intento di farsi aiutare nella sua opera educativa.
In questa recensione non ci è dato di trattare di tutti gli svariati aspetti che il
volume presenta e nemmeno sarebbe possibile farlo in questa sede. Lasciamo ad
altri il compito di approfondirne la ricchezza pedagogica e spirituale. Vogliamo però
rendere atto della posizione equilibrata e serena con cui le autrici affrontano l'argo-
mento. Va evidenziata pure la grande felicità con cui presentano il capitolo su Mar-
gherita Occhiena nelle Memorie dell'Oratorio.

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404
Recensioni
E passiamo a qualche leggero appunto: Nel trattare dei contributi storico -
biografici su don Bosco, pare che si siano lasciate prendere un po' la mano dalla
preoccupazione — esistente in alcune fonti — di mettere in risalto che don Bosco
era una persona normale. Che lo sia, non si dimostra con ragionamenti, ma si costata
dalla sua vita e dalle sue opere. Una volta liberatesi dalla suddetta preoccupazione
sarebbe stato possibile considerare tanti altri aspetti presenti negli autori citati.
Una parola sulle testimonianze del processo di canonizzazione. Metodologica-
mente esse si trovarono imbrigliate nella griglia degli interrogatori, la quale non
facilita di sicuro una ricerca come quella che le autrici si proponevano di fare. I te-
stimoni poi non trasmisero solo quanto loro avrebbe potuto suggerire l'esperienza
del contatto vitale con don Bosco; si servirono anche degli articoli preparati per
rendere più agile il lavoro sia di chi testimoniava sia di chi doveva giudicare. Ora
questi articoli dipendono in grande parte dal materiale esistente nell'Archivio Sale-
siano Centrale. È un materiale composito: sono ben diverse le prospettive dell'uno e
dell'altro scritto; gli stessi fatti non sono concordemente narrati. Il servirsi del mate-
riale del processo di canonizzazione senza individuarne previamente la dipendenza
dalle fonti archivistiche è per lo meno rischioso.
Quanto all'analisi dell'epistolario, l'ampiezza delle conclusioni a cui arriva la ri-
cerca è pure condizionata dai temi presenti nel dibattito che attualmente la nostra
società porta avanti sulla condizione femminile. L'analisi positiva delle fonti, fatta
per quanto possibile in forma indipendente da queste preoccupazioni, avrebbe forse
portato a conclusioni molto più ricche e queste a loro volta avrebbero arricchito il
dibattito in corso.
Tutto questo però non può far dimenticare la fecondità dello studio presentato
da Piera Cavaglià e da Maria Borsi. Ci congratuliamo con loro per il lavoro fatto e
ci auguriamo che non si fermi qui. Sia nel campo degli studi su don Bosco che in
quello su don Rua e sugli altri primi collaboratori del santo, esiste una ampia possi-
bilità di ricerca, ancora quasi tutta da sfruttare, sulla concezione che avevano della
condizione femminile e sulle innumerevoli iniziative che portarono avanti per la for-
mazione della donna. Basterebbe ricordare quanto affermava Lasagna, che cioè
nelle missioni la presenza delle suore è quasi più urgente che quella del sacerdo-
te.
A.S. FERREIRA
DEL PEZZO Pio, Don Bosco e Napoli; ricerca su una eventuale seconda venuta di don
Bosco a Napoli [Castellammare di Stabia (NA)], CEMM, 1991, 38 p., ill.
T. Chiapello aveva pubblicato nel 1929 tre discorsi su DB appena beatificato e
una nota storica su DB a Napoli. Il Fondatore dei Salesiani vi si era recato a fine
marzo 1880 (MB XIV 452-455, pagine che riassumono la nota del Chiapello). Vi
sarà ritornato più tardi? si interroga il Chiapello. Sembrano richiederlo, dichiara il
Chiapello, i ricordi di mons. M. Palladino (Campobasso 1842, vesc. d'Ischia [NA]
dal 1901 e di Caserta dal 1913, qui morto nel 1921) espressi in pubblica conferenza
nel collegio di Caserta l'anno 1915: DB sarebbe stato presente all'inaugurazione del
monumento a S. Francesco a Posillipo di Napoli il 3 ottobre 1882.
Con piacevole acribia il del Pezzo dimostra sulla base della cronologia desumi-
bile dalle MB che DB non ebbe il tempo materiale di puntare su Napoli in quel-

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Recensioni 405
l'autunno e abbastanza convincentemente addebita all'età del presule le impossibili convergen-
ze cronologiche.
Una lacuna. Non si sono sfogliati i giornali e le probabili cronache manoscritte circa l'i-
naugurazione del monumento e le connesse celebrazioni del centenario francescano. DB era,
nell'ultimo decennio terreno, una personalità conosciutissima; la sua presenza non passava
inosservata. La tesi del nostro critico sarebbe riuscita più convincente.
A.M. PAPES
DEL PEZZO Pio, Don Bosco mette radici in Calabria, Napoli, Ispettoria Salesiana Meridionale
[1992] 191 p., ill.
Segnaliamo volentieri questa pubblicazione di indole narrativa per l'indovinata integra-
zione di fonti a stampa e manoscritte, di pagine analitiche e di succose sintesi, di interessi per
luoghi e situazioni in cui vescovi, benefattori e salesiani operano nel quarantennio a cavallo dei
secoli XIX e XX. Don Bosco non interviene che idealmente (pp. 15-56). Chi ha seminato e si è
preoccupato del primo germogliare è stato il suo immediato successore, il beato M. Rua (pp.
59-137). L'attenzione del secondo successore a capo della Congregazione, don P. Albera, si
esaurirebbe in una fugace visita del 1914 (pp. 139-142).
E una panoramica che attende, ovviamente, approfondimenti sulle singole presenze locali
e su alcuni degli attori principali delle iniziative a favore di una regione marginalizzata nel
settore dell'educazione scolastica e giovanile in genere.
A.M. PAPES
FONCK Françoise, De l'orphélinat Saint-Jean Berchmans au centre scolaire Don Bosco. Cent
ans de présence salésienne à Liège (1891-1991) [par] Françoise Fonck, avec la collabora-
tion de Gabriel Ney, [Liège, Ed. de l'Institut Don Bosco, 1992] 276 p., ill. anche color.,
cm. 23 x 24,5.
Non sorprenda il fatto che l'ispettoria belga meridionale abbia affidato a una 26enne la cu-
ra del volume che inquadra le vicende della casa madre di tutte le fondazioni belghe. La signo-
rina s'era licenziata in storia dell'arte nel 1988 con una memoria sulla chiesa neo-gotica che F.
Scaloni aveva fatto progettare all'ardi. G. Helleputte quasi cent'anni or sono.
Lo scritto si articola in quattro parti. La prima descrive nel contesto del movimento ope-
raio e scolastico cattolico belga di fine Ottocento (pp. 19-26) le trattative intercorse fra mons.
V.-J. Doutreloux (pp. 27-54), i precedenti immediati e il festoso arrivo dei primi salesiani
coll'immediato loro radicare in rue des Wallons (pp. 55-101).
Nella seconda parte G. Ney delinea le successive fasi dell'opera educativa sotto gli aspetti
complementari di scuola e di avvio alle arti e mestieri dei giovani (pp. 103-171).
Riprende la penna la Fonck per delineare le attività complementari della fondazione: l'o-
ratorio, le associazioni, la parrocchia (pp. 173-218) e fare infine una succosa panoramica delle
trasformazioni edilizie che si sono susseguite e concludere con un suo apprezzamento estetico
dell'insieme (pp. 219-265).

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406
Recensioni
Le pagine d'inizio propongono voti e riflessioni d'autorità varie. Tra gli indici
posti alla fine segnaliamo la bibliografia (pp. 267-269): oltre a periodici, opuscoli e libri
a stampa, si elencano gli archivi consultati: statali, locali, ecclesiastici. Le note che
infiorano la maggior parte delle pagine attestano la serietà della ricerca.
Si potrà lamentare che il dettato letterario rimane sulle generali, che parecchie
delle illustrazioni sono di qualità scadente. Tuttavia il volume si raccomanda per l'ele-
gante sobrietà e misura del formato, della stampa e dell'insieme del contenuto.
A.M. PAPES
MARTINA Giacomo S.J., Pio IX (1867-1878). Roma, Editrice Pontificia Università
Gregoriana, XII-613 p.
Con questo terzo volume è giunta a felice compimento la vasta indagine del pa-
dre Martina dedicata al pontificato di Pio IX. Oltre duemila dense pagine per esporre
e commentare le vicende di trentadue anni di pontificato. Nel primo volume l'atten-
zione dell'autore si concentrava sull'inizio del pontificato, sull'equivoco artatamen-
te alimentato del papa liberale, sul movimento riformista culminante nella conces-
sione della costituzione e nell'allocuzione del 29 aprile 1848, sulla rivoluzione romana
del 15-16 novembre, sulla fuga a Gaeta, sulla repubblica, sulla restaurazione romana
del 1850 fino al duro scontro col regno di Sardegna che portano Pio IX a guardare
con montante sospetto la civiltà liberale. Nel secondo volume accanto alla questione
romana dominavano la definizione del dogma dell'Immacolata Concezione e la
genesi del Sillabo, senza ovviamente trascurare i gravi problemi dell'India in lotta
contro il patronato portoghese, della Polonia alla ricerca dell'autonomia, così come
delle Chiese cattoliche di rito orientali rispetto alla loro latinizzazione ecc. Infine nel
terzo volume campeggiano il Concilio Vaticano I, la breccia di Porta Pia, il Kultur-
kampf, accanto alle vertenze delle Chiese cattoliche di rito orientale e la resistenza
dei Polacchi al tentativo di russificazione. Il tutto si conclude con la morte quasi
contemporanea del pontefice e del I re d'Italia, Vittorio Emanuele IL
Non è RSS il luogo per una valutazione complessiva dell'opera con cui, dato il
soggetto e la serietà dell'autore, per molto tempo gli studiosi dovranno fare i conti;
il versante di nostro interesse è quello del rapporto di Pio IX con don Bosco. Un
rapporto che però non è chiuso in se stesso, ma si allarga ad altre componenti, dal
momento che — nonostante l'autore precisi che si tratta non di una storia della
Chiesa, ma di una biografia di Pio IX — è notevolissima in realtà l'attenzione dedi-
cata al pontificato e alla storia della Chiesa.
Gli accenni a don Bosco nel volume qui considerato sono numerosi: 25 le pagi-
ne in cui appare il suo nome. Vari gli argomenti: la simpatia del pontefice per l'edu-
catore di Valdocco, la posizione tradizionalista di don Bosco circa la questione ro-
mana, l'intervento censorio delle autorità pontificie a proposito di un libretto sulla
vita di S. Pietro, la dimensione missionaria della società salesiana nel quadro di una
chiesa ottocentesca decisamente missionaria, la relazione donboschiana sulla morte
«religiosa» di Vittorio Emanuele II, ecc. Di un certo rilievo i riferimenti agli inter-
venti «politici» di don Bosco a proposito della nomina dei vescovi in Italia e della
concessione loro degli exequatur da parte delle autorità civili. L'intera appendice
XIII riassume, sulla scorta degli studi più recenti, queste mediazioni.

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Recensioni 407
In un volume che intende affrontare problematiche religiose del mondo intero,
il Martina non è certo interessato a dedicare spazio ad approfondimenti di un setto-
re parziale come quello salesiano: utilizza semmai la bibliografia esistente. Ma pro-
prio l'aver offerto il quadro generale in cui collocare la figura di don Bosco e la
nascita delle istituzioni che a lui si rifanno costituisce il massimo pregio del volume
per quanti si dedicano alla ricerca salesiana.
F. MOTTO
Ochenta años de labor salesiana en Honduras, 1911-1991 [Tegucigalpa, Imp. y Offset
Ricaldone, 1992] 190 p., ill.
L'ispettoria (o provincia) salesiana intitolata al «Divin Salvatore» dell'America
Centrale e Panama ha sponsorizzato la pubblicazione. Il lavoro editoriale fu com-
piuto da d. José Atilano Rivera Núñez della casa per ritiri di Ayagualo (El Salva-
dor). Egli stesso raccolse in sintesi le memorie delle trattative (1903-1911, pp. 5-8) e
delle successive fondazioni di Comayaguela (1911-1967, pp. 9-40) e di Colonia Paya-
gui di Tegucigalpa (dal 1968) con l'Istituto San Michele (pp. 41-100), della parroc-
chia di Maria Ausiliatrice (dal 1963) nella capitale (pp. 101-116), delle due presenze
delle Figlie di Maria Ausiliatrice nel Paese, (pp. 117-122) e, in appendice, 8 docu-
menti (pp. 174-190). Le pagine 123-173 ospitano, ad opera del confratello don Wal-
ter Guillen, attualmente residente a Tegucigalpa, il curricolo di 23 confratelli defun-
ti, che avevano lavorato in Honduras.
La compilazione vuole essere un contributo alla cronistoria completa dell'Ispetto-
ria che si spera di raccogliere in vista del centenario della prima fondazione salesia-
na in Centro-America: San Salvador, 2 dicembre 1897.
A.M. PAPES
Prymas Polski August Kardynał Hlond (Il Primate della Polonia August Cardinale
Hlond), a cura di Paweł Wieczorek, Katowice, Górnoslaska Oficyna Wydawnic-
za 1992, 57 p.
Il volumetto raccoglie il frutto di un seminario su August Hlond, salesiano e
primate della Polonia. Al seminario, organizzato dall'amministrazione comunale del
paese natale di A. Hlond, parteciparono diversi studiosi di storia e altre discipline.
Si tratta di quattro relazioni alle quali vengono aggiunte l'omelia dell'arcivesco-
vo di Katowice e alcune foto.
Il Curatore si propone di presentare alcuni dei più salienti e rilevanti aspetti del-
la vita di August Hlond. La scelta ci pare un po' discutibile, sebbene venga giustifi-
cata dall'impostazione che si volle dare a questo tipo di seminario.
La relazione di Stanislaw Wilk, professore di storia ecclesiastica alla Università
Cattolica di Lublin, presenta a grandi linee il diario biografico di August Hlond; ne
sottolinea i fatti più significanti e la loro portata sia per la società salesiana che per
la chiesa cattolica in Polonia; ne rileva il protagonismo come salesiano e come servi-
tore della chiesa polacca; accenna alla sua capacità di comprendere i tempi nuovi e
sentire l'urgenza dell'apostolato moderno; riscontra nell'operato di A. Hlond la viva
spiritualità boschiana del «da mihi animas, coetera tolle».

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408
Recensioni
La relazione di Jerzy Pawlik, professore di storia ecclesiastica, si concentra su
A. Hlond come «architetto» della nuova diocesi silesiana, ossia di Katowice, nell'Al-
ta Slesia in Polonia. L'autore ne mette in rilievo la capacità di grande e lungimirante
organizzatore, che seppe mettere le basi giuste su cui si svilupperà una delle più
grandi diocesi nella Polonia; lo mostra come un pastore perspicace a cui non erano
sfuggite né la problematicità né la gravità dei diversi problemi della sua diocesi,
segnata dai gravi scontri a sfondo sociale e nazionalistico.
Franciszek Serafin, professore alla Università Silesiana di Katowice, cerca, nel-
la sua relazione, di presentarci A. Hlond come primate e statista. Secondo lui, Au-
gust Hlond si servì notevolmente del ruolo di primate, così carico di significato sto-
rico, per promuovere il rinnovamento sia morale che sociopolitico della Polonia
coinvolgendo ampiamente il laicato, al quale additò la dottrina sociale della chiesa.
F. Serafin non tralascia di menzionare anche i tempi di dura prova durante la secon-
da guerra mondiale.
Bernard Kołodziej, professore di storia ecclesiastica nel seminario della Societas
Christi a Poznan, rivela un altro lato forse un po' meno conosciuto della personalità
di A. Hlond: la preoccupazione pastorale e anche culturale verso gli emigranti po-
lacchi, di cui, per la nomina di Pio XI, era «Protettore» con speciali facoltà. A.
Hlond per far fronte a questa urgenza si era deciso a fondare una società religiosa,
iniziativa giudicata dall'autore molto positivamente.
Data la finalità della raccolta siamo in presenza di un volume in cui prende il
sopravvento la sintesi sull'analisi. Per questo ci viene difficile giustificare la mancanza
di una relazione su A. Hlond come salesiano, giacché questo aspetto è un momento
chiave, che occupa quasi trent'anni nella vita di A. Hlond e quindi è importante per
poter cogliere a fondo la dimensione spirituale, intellettuale e morale dell'azione
successiva. Inoltre ci viene presentata un'immagine di A. Hlond prevalentemente
immersa nell'azione, scevra di concreti riferimenti a una spiritualità, che certamente
animava il suo instancabile agire. È vero che qua e là ci sono diversi accenni, però
nient'altro. Infine c'è da correggere: il mese della nascita di A. Hlond alle pagine 5 e
6 è il luglio anziché il giugno; l'erezione della diocesi di Katowice è 28.X.1925 e
non 25.X.1925 come è scritto alla 29; pare che queste inesattezze siano dovute a di-
sattenzione, poiché altrove le troviamo corrette.
Pur con queste osservazioni il libro rimarrà come un prezioso contributo a una
già ricca letteratura su August Hlond e può servire per acquisire un'idea succinta
della personalità di August Hlond.
S. ZIMNIAK
WILK Stanislaw, Episkopat Kościoła Katolickiego w Polsce w latach 1918-1939
(L'Episcopato della Chiesa cattolica in Polonia negli anni 1918-1939), Warszawa,
Wydawnictwo Salezjanskie 1992, 468 p.
Il libro fu presentato per conseguire il titolo di professore ordinario alla Universi-
tà Cattolica di Lublin, dove l'Autore insegna storia ecclesiastica. E pare che sia il
primo studio completo su questo argomento. Il motivo, che giustifica la sua recen-
sione in RSS, è che il salesiano August Hlond, membro dell'episcopato polacco, era
diventato nel 1926 il primate della Polonia; dunque spettava a lui la convocazione

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Recensioni 409
della Conferenza dei vescovi, dei cui lavori si era mostrato un vero motore. Nello
studio di Wilk la sua figura viene inglobata nell'insieme dell'agire dell'episcopato; il
che però non minimizza il suo ruolo e valore, anzi lo valorizza ancora più.
S. Wilk non intende occuparsi dell'attività dei singoli vescovi in quanto tali e
tanto meno dello studio sulle diocesi da loro guidate. Oggetto del volume è l'episcopa-
to della Chiesa cattolica di rito latino, greco-cattolico e armeno in Polonia, e in
quanto tale, viene chiamato «Conferenza dei vescovi», anticamente «Unione (Zjazd)
dei vescovi».
Lo studio consta di cinque capitoli, a cui si aggiungono la bibliografia accurata-
mente scelta e nonché le fonti studiate, le conclusioni redatte in italiano, inglese e
tedesco e l'indice dei nomi di persone.
S. Wilk prende l'avvio dalla situazione della chiesa cattolica nello Stato polac-
co, tornato all'indipendenza e alla libertà e constata che le autorità polacche non
avevano predisposto subito l'abolizione delle leggi ostili alla chiesa cattolica imposte
dalle potenze straniere, sebbene si fossero rese conto del loro influsso negativo sui
rapporti Chiesa-Stato. L'A. presenta dettagliatamente la situazione ecclesiale, rileva
l'urgenza della riorganizzazione delle circoscrizioni ecclesiastiche, che furono difatto
cambiate in modo definito nel 1925, accenna all'avvicendamento dei vescovi, alla
diversa provenienza territoriale dei vescovi residenziali ed ausiliari; dall'analisi so-
ciologica inferisce un rilevante livello di preparazione sia scientifica sia pastorale dei
membri della Conferenza episcopale.
Al sorgere della Conferenza nazionale dei vescovi e al metodo di lavoro da essa
scelto l'A. dedica il secondo capitolo, descrivendo il prevalere graduale della Confe-
renza nazionale su quelle regionali (che perdettero in seguito il loro ruolo) e il costi-
tuirsi della Conferenza nazionale dei vescovi dal punto di vista giuridico: con lo stabi-
lirne le competenze, le relazioni tra essa e i singoli vescovi, il valore da attribuirsi
alle deliberazioni prese. Tutto questo confluì nel regolamento, alla cui redazione il
primate A. Hlond partecipò con successo.
Un capitolo assai interessante è quello che riguarda la posizione giuridica della
chiesa nella repubblica polacca, un problema cui l'episcopato diede molta importan-
za. Si tratta specialmente dei lavori intorno al concordato, che doveva contenere le
leggi sul rapporto Chiesa-Stato e aprire una nuova fase. Il concordato stipulato nel
febbraio 1925 avrebbe dovuto risolvere i problemi concernenti i rapporti Chiesa-
Stato, ma in realtà lasciò una certa insoddisfazione in entrambe le parti. Inoltre c'e-
rano altre questioni, che rendevano talvolta tesi i rapporti tra l'Episcopato e lo Sta-
to, p.e., quella dei beni temporali e della posizione presa dai vescovi nei confronti
della riforma agraria, nonché la questione delle modalità per la nomina dei parroci
e il culto cattolico bizantino-slavo.
A ragione l'A. si trattiene più che altro sull'azione pastorale della Conferenza
dei vescovi. Egli nota il crescere costante dell'interesse pastorale, una volta che le
questioni di tipo giuridico erano state grosso modo superate e regolate. Il lavoro più
impegnativo, cui la Conferenza dei vescovi aveva prestato rilevante attenzione, fu il
primo concilio nazionale. Esso si svolse nell'agosto del 1936 a Jasna Gòra e segnò
una svolta epocale nella vita pastorale di tutta la chiesa cattolica in Polonia. Alla
sua riuscita, secondo S. Wilk, contribuì notevolmente, più degli altri vescovi, il pri-
mate A. Hlond, che fece tutto il possibile per dargli un indirizzo pastorale. Un pro-
blema che preoccupava l'episcopato polacco era quello della preparazione pastorale

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410
Recensioni
del clero per i nuovi tempi attraverso, tra l'altro, la riforma dei seminari maggiori e
delle pratiche religiose, compreso il culto. La Conferenza episcopale riservò una par-
ticolare dedizione all'Azione Cattolica organizzata sul modello italiano, che in Polo-
nia ebbe inizio nelle cosiddette «Lege», organizzate assai bene a livello diocesano.
Sulla partecipazione delle associazioni giovanili alla vita politica del paese l'A. evi-
denzia lo scontro delle differenti tendenze tra gli stessi vescovi risolto con l'opzione
apolitica. La Conferenza dei vescovi dovette affrontare in modo deciso la questione
dell'insegnamento della religione nelle scuole aggravata maggiormente per l'infiltra-
zione di insegnanti di sinistra; e, per un certo tempo, l'indisponibilità del ministero
competente. «Alla Caritas» la Conferenza episcopale si sforzava di assicurare una
maggiore libertà dallo Stato e di renderla più presente a livello nazionale.
L'ultima parte dello studio ha per oggetto l'influenza esercitata dalla Conferenza
dei vescovi sulla vita politica del paese, che, assai intensa nei primi anni dell'indipen-
denza e giudicata piuttosto positivamente, coll'andar degli anni si allentò, come fu
confermato dalla costante diminuzione della presenza del clero nel parlamento. Di-
fatto prevarrà in seguito una preoccupazione di carattere morale e sociale. Ciò
trovò eco nelle lettere pastorali pubblicate di comune accordo e, in modo speciale, in
quelle del primate A. Hlond, che indicò chiaramente come costruire una moderna
società civile senza venire irretiti da nessuna ideologia totalitaria. La Conferenza
episcopale toccò anche la questione della convivenza con le altre confessioni, specie
con il giudaismo e con la chiesa polacca nazionale. Infine l'A. rileva la preoccupazio-
ne dei vescovi per i polacchi all'Estero e per la missione «ad gentes». A ciò contribui-
rono molto ambedue i primati, cioè E. Dalbor e il suo successore A. Hlond, che
agirono sempre a nome dell'episcopato.
L'opera di S. Wilk, che a ragione possiamo considerare un evento, presenta un
quadro molto concreto e metodologicamente chiaro sull'operato della Conferenza
episcopale polacca, la quale acquisì col tempo una fisionomia sempre più precisa.
L'A. non nasconde l'esistenza all'interno di essa di divergenze o di diversi punti di
vista, tuttavia ne evidenzia la risolutezza e l'unità nelle questioni di principio, per
quanto potesse essere difficile, e puntualizza la collaborazione tra essa e i nunzi apo-
stolici, che fecero da tramite tra il papa e l'episcopato.
La lettura del volume può comportare qualche difficoltà per l'analisi, che senza
dubbio costituisce il grande pregio di quest'opera, ma rende arduo seguirne il filo
conduttore nonostante la breve sintesi riportata alla fine di ogni capitolo. Anche il
fatto che S. Wilk tende, e d'altronde è un dato positivo, a non dare troppi giudizi, da
alcuni può essere visto come un prendere distanze ingiustificate per uno storico. Il
tono polemico quasi inesistente, tranne qualche accenno alle tesi dei marxisti, ci pare
giustificato dal desiderio dell'autore di far parlare fatti e dati reperiti in innumere-
voli archivi e in gran parte sconosciuti.
L'opera di S. Wilk ci ripropone, per la sua metodologia, una domanda per alcu-
ni già scontata: se la storia ecclesiastica sia una disciplina teologica o solamente
umanistica. Non è possibile qui dare tale risposta, però si può affermare come sia
indispensabile tenere conto della realtà teologica della chiesa come tale; ciò è inevi-
tabile per non cedere alla tentazione sociologistica o cadere nella rete illuministica.
L'A., agguerrito nella conoscenza della dimensione teologica della Conferenza epi-
scopale, le ha dunque ridato un volto reale e veritiero, certamente differente da quel-
lo presentato da alcuni storici marxisti che, toccando lo stesso argomento, si sono
comportati come se si trattasse di qualunque istituzione umana.

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2.1 Page 11

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Recensioni 411
Concludendo, possiamo dire che è uno studio che ci aiuta a comprendere
meglio i motivi dello sviluppo dei salesiani di don Bosco in Polonia, per i quali il
periodo compreso fra le due guerre mondiali corrisponde alla più grande fioritura
da quando si erano inseriti nel lontano 1898. Senza dubbio il fatto che il primate A.
Hlond fosse salesiano favoriva la loro diffusione. Ma più di questo li raccomandava
il loro carisma educativo e il loro indirizzo popolare. I vescovi scorgevano nei
salesiani un mezzo confacente al rinnovamento morale e sociale della società civile.
Le richieste di fondazioni salesiane da parte dei vescovi erano state numerose e
quasi sempre motivate dal desiderio di portare alla società un efficace mezzo di
rinnovamento socio-morale d'ispirazione cristiana e sicura. Quindi chi intendesse
studiare la storia dei salesiani di don Bosco in Polonia deve tenere conto di questa
realtà ecclesiastica, egregiamente analizzata da S. Wilk.
S. ZIMNIAK