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STUDI
SALESIANI A ROMA DURANTE L’OCCUPAZIONE NAZIFASCISTA
(settembre 1943 - giugno 1944)
Francesco Motto
ACS - DPP Archivio Centrale dello Stato - Roma, Divisione Polizia Politica
ASC B 067 Ziggiotti Renato
ASC B 494-497 Tomasetti Francesco
ASC B 576 Berruti Pietro
ASC C 440 Tomasetti Francesco
ASC D 494 Roma-Procura
ASC D 554 555 Tomasetti Francesco, documenti vari
ASC D 874 Verbali delle riunioni capitolari in Roma pro tempore
ASC E 944-946 Ispettoria romana, Corrispondenza
ASC F 536 537 Roma-S. Cuore, Corrispondenza
ASC F 540 Roma-Testaccio, Corrispondenza
ASC F 785
Città del Vaticano, Cronaca, dattil.; orig. ms. in Archivio della
Comunità Salesiana
ASC F 896 Roma-S. Cuore, Cronaca, dattil.; orig. ms. in ASIR
ASC F 899
Roma-Testaccio, Cronaca, dattil.; copia datt. in Archivio della
Comunità Salesiana
ASC F 899 Roma-Mandrione, Cronaca, dattil.
ASC F 946 Ispettoria romana, Cronaca, dattil.
ASIR
Archivio Storico Ispettoria Romana - Corrispondenza, documenti,
Circolari ai direttori
Introduzione
Nell’ambito degli studi sui Cattolici e la Resistenza, l’«esigenza di
disporre di dati quantitativi e accertati e di una documentazione coeva e con-
validata dagli opportuni riscontri, al fine di superare un’attività di studio
molto spesso in larga parte ancora basata sulla memorialistica e sulla lettera-

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218 Francesco Motto
tura successiva», è stata recentemente sottolineata nel corso di un convegno
nazionale organizzato dall’Istituto Sturzo; 1 convegno nazionale che conclu-
deva cinque convegni interregionali di studio,2 nei quali si era anche affer-
mato che all’interno del mondo ecclesiastico era «stato fin troppo trascurato
dagli storici il ruolo ricoperto dagli ordini e dagli istituti religiosi».3
Il presente saggio intende costituire un contributo in tale direzione, por-
tando a completamento quella geografia dell’ospitalità salesiana in Roma, che
nell’Istituto Pio XI e nelle due case del comprensorio delle catacombe di S.
Callisto ha avuto la massima espressione, sia mediante la sottrazione alla cat-
tura e al lavoro coatto di renitenti alla leva, ebrei, ex prigionieri alleati, soldati
sbandati, sia con l’ospitalità di decine di ragazzi ebrei, sia con l’assistenza
materiale, morale e religiosa alla popolazione colpita dai bombardamenti.4
Si farà ricorso soprattutto, come è stato richiesto, alle fonti scritte, anche
se non si mancherà di valorizzare le fonti orali, per trovare conferme e coprire
vuoti, dovuti appunto alla carenza di documentazione scritta.5 Non si può in-
fatti dimenticare quanto a fine ottobre 1945 scriveva don Pietro Berruti, il vi-
cario del Rettor Maggiore, al superiore salesiano di Roma, don Ernesto Berta:
«Sappiamo per esperienza che i Salesiani sono assai pronti a fare il bene a
costo anche di gravi sacrifici, ma anche sono piuttosto ritrosi, e alle volte re-
frattari, a stendere la relazione di ciò che fanno».6
Per una miglior ambientazione dello studio, lo si fa precedere da una
breve sintesi circa la presenza salesiana in Roma. A conclusione si indiche-
1 È quanto scrive Filippo MAZZONI, Il Centro in Cattolici, Chiesa e Resistenza, a cura di
Gabriele De Rosa. Bologna, Il Mulino 1997, p. 169.
2 Seminario interregionale di Salerno (3-4 maggio 1995); di Perugia 9-11 maggio 1995;
di Vicenza 16 giugno 1995; di Torino (8-9 giugno 1995); seminario regionale de L’Aquila (2-3
giugno 1995). Tutti i relativi Atti sono stati editi da Il Mulino, Bologna.
3 Giorgio VECCHIO, L’episcopato e il clero lombardo nella guerra e nella resistenza
(1940-1945) in Cattolici e Resistenza nell’Italia settentrionale, a cura di Bartolo Gariglio. Bo-
logna, Il Mulino 1997, p. 106.
4 F. MOTTO, Gli sfollati e i rifugiati nelle catacombe di S. Callisto durante l’occupazione
nazifascista di Roma. I salesiani e la scoperta delle Fosse Ardeatine, in RSS 24 (1994),
pp. 77-142; ID., L’Istituto salesiano Pio XI durante l’occupazione nazifascista di Roma: «asilo,
appoggio, famiglia, tutto» per orfani, sfollati, ebrei in RSS 25 (1994), pp. 315-360. Per la zona
dei Castelli romani cf ID., Il contributo dei salesiani di Frascati all’opera di assistenza della
popolazione colpita dai bombardamenti. Cronistoria degli avvenimenti: 8 settembre 1943-4
giugno 1944 in RSS 32 (1998), pp. 33-52.
5 Da intendersi in senso non eccessivamente rigido, visto che a seguito di successive ri-
chieste tutte le case di Roma fecero una sia pur breve relazione del loro operato ai Superiori di
Torino. Ecco comunque i nomi dei salesiani intervistati per questo saggio: mons. Camillo Fa-
resin, don Armando Buttarelli, don Gioacchino Carrano, don Gaetano Conti, don Carlo Fiore,
don Giuseppe Ghiandoni, don Wolfgang Gruen, don Gaetano Scrivo, Lamberto Lama. Inoltre
le Figlie di Maria Ausiliatrice: suor Paolina Meloni, suor Maria Pia Palombi; gli ebrei: Alberto
Astrologo, Michele Tagliacozzo e le famiglie Coen e Di Capua.
6 ASIR Lett. Berruti-Berta, 22 ottobre 1945.

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Salesiani a Roma durante l’occupazione nazi-fascista 219
ranno le fonti ispiratrici dell’atteggiamento e delle scelte dei salesiani
di Roma nel periodo considerato.
I salesiani di don Bosco a Roma (e nei dintorni)
La presenza dei salesiani nella capitale risaliva al 1880 con la fonda-
zione della chiesa e dell’ospizio del S. Cuore presso la stazione Termini,
anche se in Roma la fama di don Bosco risaliva alla fine degli anni sessanta,
periodo nel quale era stato al centro dell’attenzione dell’opinione pubblica ro-
mana per le sue doti di taumaturgo e di «mediatore» fra Chiesa e Stato per la
nomina di vescovi alle sedi vacanti dell’ex regno di Sardegna.7
Sul finire dell’ottocento si erano aperte due altre case salesiane sui Ca-
stelli Romani: quella di Frascati (Seminario, poi convitto Villa Sora) e quella
di Genzano (convitto); all’inizio del nuovo secolo si era fondata in città, al
rione Testaccio, una seconda opera, composta di parrocchia, oratorio e scuola
elementare (1901). Si dovrà poi aspettare 14 anni per trovare una terza casa
salesiana in Roma, la colonia agricola e noviziato di via del Mandrione (1915).
Ma fu soprattutto nel dopoguerra che la società salesiana incrementò la
sua presenza in città e nei dintorni, favorita non solo dal suo noto ossequio
alla Santa Sede, ma anche dall’altrettanto conclamata estraneità ad ogni
forma di politica. Nel 1926 fu loro affidata la parrocchia di Castelgandolfo;
nel 1929 si aprì al Tuscolano l’istituto Pio XI con annessi oratorio e parroc-
chia; nel 1930 si affidò loro la custodia delle Catacombe di S. Callisto; nel
1931 la scuola agricola di S. Tarcisio nel medesimo comprensorio catacom-
bale; sei anni dopo (1937) la direzione della Poliglotta Vaticana e l’ammini-
strazione dell’«Osservatore Romano»; nel 1928 si aprirono le case parroc-
chiali e gli oratori di Civitavecchia e di Grottaferrata; nel 1929 l’aspirantato
di Gaeta; nel 1931 una casa di formazione a Lanuvio; nel 1933 le parrocchie
e gli oratori di Frascati-Capocroce e di Littoria (poi Latina).
Negli anni quaranta – gli anni di nostro interesse – l’«ispettoria» (o pro-
vincia) romana aveva oltre 300 salesiani, di cui una metà sacerdoti, un’ottan-
tina laici e tutti gli altri giovani salesiani in formazione. Risiedevano in una
quindicina di case, comprese le quattro della Sardegna (Mussolinia-Arborea,
Lanusei, Santulussurgiu e Cagliari). Nella stessa città di Roma appartenevano
giuridicamente all’«ispettoria centrale» di Torino le tre case di S. Callisto, S.
Tarcisio, Poliglotta Vaticana (e quella di Castelgandolfo), mentre la comunità
7 Cf F. MOTTO, La mediazione di don Bosco fra Santa Sede e Governo per la conces-
sione degli exequatur ai Vescovi d’Italia (1872-1874). Roma, LAS 1987; ID., L’azione media-
trice di don Bosco nella questione delle sedi vacanti in Italia. Roma, LAS 1988.

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220 Francesco Motto
della Procura dipendeva direttamente dal Consiglio Superiore di Torino fin
dal suo sorgere a fine ottocento.
Indubbiamente a tali fondazioni tanto ravvicinate tornò molto utile l’ami-
cizia personale con don Bosco e coi salesiani di papa Pio XI, sotto il cui pon-
tificato si erano conclusi i processi di beatificazione (1929) e di canonizzazio-
ne del fondatore (1934). Se infatti in tali circostanze celebrazioni solenni si
tennero in tutte le città e i paesi in cui erano presenti i salesiani, vastissima eco
suscitò la cerimonia civile della canonizzazione tenutasi il 2 aprile 1934 sul
Campidoglio di Roma, presenti le massime autorità dello Stato, fra cui il capo
del governo Benito Mussolini, il presidente del Senato Luigi Federzoni e l’am-
basciatore presso la Santa Sede, il quadrumviro conte Cesare Maria De Vecchi
di Val Cismon. Questi, nel suo discorso ufficiale, dopo aver esordito col defi-
nire don Bosco «il più italiano dei Santi», aveva sottolineato come «il miraco-
lo vivo, permanente, dilagantesi di don Bosco, [fosse] nelle sue case, nelle sue
scuole, nei suoi campi, nelle sue officine». Ovviamente non aveva mancato di
citare l’ultima fondazione laziale, quella dal significativo nome di Littoria.8
Direttive salesiane dopo i bombardamenti di Roma dell’estate 1943
e dopo l’8 settembre
Il Rettor Maggiore, don Pietro Ricaldone, non appena ebbe notizia dal-
l’ispettore don Ernesto Berta del primo bombardamento di Roma (19 luglio
1943), che fra i salesiani fortunatamente non aveva procurato vittime, ma solo
immenso spavento,9 lo autorizzò a organizzare un eventuale sfollamento per
8 Circa la beatificazione e la canonizzazione di don Bosco come momento di ritrovata
intesa fra Stato Italiano e Santa Sede ma anche come «contrapposizione cattolica alle mitizza-
zioni fasciste di un programma educativo mirante alla forza e alla conquista» si veda P.
STELLA, La canonizzazione di don Bosco fra fascismo e universalismo in Don Bosco nella
storia della cultura popolare, a cura di F. Traniello. Torino, SEI 1987, pp. 359-382; ID., Don
Bosco nella storia della religiosità cattolica. III. La canonizzazione (188-1934). Roma, LAS
1988, pp. 247-254. Don Ricaldone rimase sempre in cordiale relazione col conte De Vecchi di
Val Cismon (1884-1959), al punto di farlo metterlo in salvo in case salesiane del Piemonte fin
dall’ottobre 1943, ancor prima della sua condanna a morte il 10 gennaio 1944 da parte del tri-
bunale speciale di Verona. Successivamente il conte rimase alcuni mesi a Roma presso le cata-
combe di S. Callisto (dicembre 1946 - giugno 1947), finché emigrò in l’Argentina, dove visse
in casa salesiana fino al 1949. Intanto la condanna di 5 anni di carcere inflittagli dalla Corte
d’Assise Speciale di Roma gli era stata interamente condonata, prima ancora che il ricorso alla
Corte di Cassazione e l’amnistia Togliatti facessero il resto: cf Il Quadrumviro scomodo. Il
vero Mussolini nelle memorie del più monarchico dei fascisti, a cura di Luigi Romersa. Mi-
lano, Mursia 1983, p. 271; inoltre Hans WOLLER, I conti con il fascismo. L’epurazione in Italia
1945-1948. Bologna, Il Mulino 1997, p. 60; Romano CANOSA, Storia dell’epurazione in Italia.
Le sanzioni contro il fascismo 1943-1948. Milano, Baldini & Castoldi 1999, pp. 354-355.
9 ASC E 944 Lett. Berta-Ricaldone, 19 luglio, 22 luglio 1943.

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Salesiani a Roma durante l’occupazione nazi-fascista 221
i giovani degli internati della città o sulle case dei castelli romani
o a Gaeta, benché questa cittadina, a suo giudizio, non fosse affatto sicura.10
All’ulteriore richiesta dell’ispettore di poter procedere anche a trasferimenti
di salesiani,11 la risposta da Torino fu ancora affermativa, anche se poi in riva
al Tevere si pensò bene di soprassedere.12
Il 24 agosto successivo, saputo delle conseguenze del secondo bombar-
damento di Roma (13 agosto 1943), che aveva provocato danni alle due case
salesiane del Mandrione e del Pio XI,13 don Ricaldone concesse a don Berta
immediatamente speciali poteri nei riguardi sia dei salesiani della propria
ispettoria e sia dei confratelli di altre ispettorie, i quali, per motivi di guerra,
non potessero comunicare coi propri superiori.14 Lo stesso giorno incorag-
giava i salesiani di Roma a mantenersi sereni, fiduciosi e uniti; la settimana
dopo ribadiva gli stessi pensieri, invitandoli a rafforzare «lo spirito di pietà e
di sacrificio».15
Venne poi il famoso 8 settembre con l’armistizio, con il terribile bom-
bardamento di Frascati e con l’immediata occupazione tedesca della capitale.
Furono momenti di trepidazione per tutti. Combattimenti fra soldati italiani e
tedeschi ebbero luogo presso la casa salesiana del Sacro Cuore, che ricoverò
«giorno e notte» uomini dell’una e dell’altra parte. I furiosi scontri presso la
porta di S. Paolo avvennero a poca distanza dalla casa salesiana del rione Te-
staccio; altri disordini e sparatorie si ebbero nelle vicinanze delle case di S.
Tarcisio e S. Callisto. Nel cortile dell’istituto Pio XI al Tuscolano furono ab-
bandonati munizioni, armi pesanti, mezzi di trasporto e muli. In Genzano poi
i Tedeschi, rimasti padroni della situazione dopo furiosi combattimenti, occu-
parono buona parte della casa salesiana.16
In un contesto di grave lacerazione sociale, di pericolosa confusione poli-
tica, ai salesiani di Roma occupata il Rettor Maggiore immediatamente racco-
mandò sia di manifestarsi molto cortesi con le autorità sia di aiutare in tutti i
modi chi avesse bisogno di sostegno, protezione e salvezza.17 Il che significava
trasformare le loro case in centri di aiuto e protezione, soprattutto a favore di
ufficiali, soldati, prigionieri alleati fuggiti, perseguitati politici, patrioti ecc.
10 ASIR Lett. Ricaldone-Berta, 23 luglio 1943.
11 ASC E 944 Lett. Berta-Ricaldone, 24 luglio, 26 luglio 1943.
12 Ivi, 1° agosto 1943.
13 Ivi, due lett. del 13 agosto e una lett. del 18 agosto 1943.
14 ASIR Lett. Ricaldone-Berta, 24 agosto 1943.
15 Ivi, 30 agosto 1943. Nella stessa lettera comunicava che avrebbe contribuito alle
spese per accogliere dieci orfani, fra quelli di cui gli aveva fatto cenno la Procura: ASC D 555
Lett. Tomasetti-Ricaldone, 24 agosto 1943; cf F. MOTTO, Gli sfollati e i rifugiati… in RSS 24
(1994), pp. 93-95.
16 ASC E 944 Lett. Berta-Ricaldone, 15 settembre 1943.
17 ASIR Lett. Ricaldone-Berta, 17 settembre 1943.

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222 Francesco Motto
Del resto non si trattava di un novità. Già ai primi di agosto, i superiori
di Torino, su richiesta dei due gerarchi Luigi Federzoni e Dino Grandi e del
card. Vincenzo La Puma, avevano autorizzato i salesiani di Roma a nascon-
dere per qualche tempo Franco Paolo Grandi, il diciottenne figlio del membro
del Gran Consiglio, Dino, che con il proprio “ordine del giorno” il 25 luglio
aveva abbattuto Mussolini e il fascismo.18 Come pure su richiesta del card.
segretario di Stato, Luigi Maglione, il Rettor Maggiore si era dichiarato di-
sponibile a proteggere i familiari di Mussolini.19
Non potendo poi garantire un costante collegamento epistolare fra To-
rino e Roma, sul finire del mese di ottobre 1943 don Ricaldone mandò a
Roma il suo vicario, don Pietro Berruti (1885-1950), accompagnato dal cate-
chista generale, don Pietro Tirone (1875-1962) e dal consigliere professionale
generale, don Antonio Candela (1878-1961), allo scopo di confortare i con-
fratelli sul fronte della guerra 20 e, appena possibile, riprendere contatto con le
ispettorie meridionali e con le altre sotto il controllo degli Alleati. I loro inter-
venti presso i superiori locali e i singoli salesiani mirarono essenzialmente a
due priorità: mantenere ad ogni costo attivi gli istituti, evitando per quanto
possibile la requisizione da parte di truppe occupanti e offrire risposte crea-
tive e duttili alle urgenze del momento.
La responsabilità maggiore delle decisioni ovviamente gravò sulle spalle
del sessantenne don Ernesto Berta, il quale a sua volta si tenne in stretto con-
tatto con le comunità della città e delle zone circostanti attraverso visite e cir-
colari, queste ovviamente ispirate alle direttive del Rettor Maggiore e dei suoi
tre rappresentanti presenti nella stessa sede ispettoriale di via Marsala. Così
ad esempio il 2 ottobre 1943 raccomandava ai direttori di far tornare i confra-
telli che eventualmente fossero fuori sede e dava precise disposizioni per at-
trezzare ricoveri antiaerei, per preparare il necessario per periodi di emer-
genza, e anche per saper effettuare in poche ore un eventuale sfollamento.21
Il 1° novembre, in occasione del cambio del personale, chiese che le opere
funzionassero nel modo più completo possibile, tenuto conto di due partico-
lari circostanze: i pochi ragazzi interni e i molti salesiani disponibili.22 Il 20
gennaio 1944 trasmetteva un’importante lettera del Rettor Maggiore che poco
prima aveva invitato tutti i salesiani a portare ovunque un «raggio di Fede,
18 ASC D 555 Lett. Tomasetti-Ricaldone, 7 agosto 1943, 11 agosto 1943; cf F. MOTTO,
Gli sfollati e i rifugiati… in RSS 24 (1994), pp. 93-95.
19 Cf lettera di Edvide Mussolini del 16 agosto 1943 edita in Don Pietro Berruti. Lumino-
sa figura di Salesiano. Testimonianze raccolte dal sac. Pietro Zerbino. Torino, SEI 1964, p. 366.
20 «Ora avete i Superiori vicini e con loro potrete più facilmente risolvere qualsiasi diffi-
coltà!»: ASIR lett. Ricaldone-Berta, 17 novembre 1943.
21 ASIR Circolare ai direttori, 2 ottobre 1943.
22 Ivi, 1° novembre 1943.

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Salesiani a Roma durante l’occupazione nazi-fascista 223
un soffio poderoso di Speranza, ed opere di fattiva Carità» e invitava a
promuovere corsi di conferenze e lezioni religiose, e magari anche sociali,
ma escludendo «in modo più assoluto la trattazione di argomenti riferentesi
alla politica».23
Con l’avanzata dal sud di Roma degli Angloamericani la situazione del-
l’ispettoria peggiorò al punto che il Rettor Maggiore si sentì in dovere di co-
municarlo a tutti i salesiani sparsi nel mondo: «Ora poi l’ispettoria romana sta
salendo il suo calvario. Le case di Lanuvio, Genzano, Grottaferrata, Castel-
gandolfo, Frascati, Capocroce sono in parte danneggiate, esposte a pericoli
gravissimi e continui, e quasi abbandonate: così dicasi di Littoria e di Gaeta.
Le stesse case di Roma vivono ore tragiche e la situazione si fa sempre più
penosa anche per le altre ispettorie».24
In mezzo a tali gravissime emergenze si può comprendere a quale arduo
compito fosse chiamato l’ispettore. «Ha un coraggio da leone: sta al fronte e
viaggia da una casa all’altra per portare conforto e direttive», si legge in una
lettera di don Berruti a don Ricaldone del 1° febbraio 1944.25
Tutti i confratelli, come s’è detto, erano predisposti a sfollare. In pratica
però nell’intero periodo di occupazione lo fecero i novizi da Roma-Man-
drione a Roma-S. Callisto (16 settembre 1943), i salesiani di Civitavecchia,
dalla città alla vicina campagna (4 ottobre 1943), i chierici di filosofia da La-
nuvio 26 e i salesiani dei Castelli (Genzano, Frascati, Grottaferrata) per trasfe-
rirsi (in parte) prima nella Villa Pontificia di Propaganda Fide a Castelgan-
dolfo (28 gennaio) e poi o al seminario francese di Roma o a Roma-S. Cuore
(11 febbraio). Ad essi vanno aggiunti i salesiani di Frascati-Capocroce trasfe-
riti a Frascati-Villa Sora (28 gennaio) e quelli di Littoria ricevuti al suddetto
seminario Francese (13 aprile). In tale sede dal 15 febbraio 1944 risiedettero
anche alcuni salesiani di Frascati-Villa Sora, per un totale di 45 persone.27
Ma vediamo quale fu nei tragici nove mesi di Roma occupata la con-
creta azione delle cinque case salesiane di nostro interesse.
23 Ivi, 20 gennaio 1944; il dattiloscritto con firma autografa riprendeva in parte la cir-
colare del Rettor Maggiore del 24 febbraio edita in ACS XXIV gennaio-febbraio 1944,
pp. 317-318.
24 Ivi. Il 27 gennaio don Berta tornava ad insistere coi salesiani di Roma sulla preghiera,
sulle opere di espiazione e di propiziazione, e nel contempo sulla necessità di aprire «sempre
più il cuore alla carità» verso i confratelli che ormai erano costretti a sfollare dalle case del
Lazio sud e dei Castelli: ASIR Circolare ai direttori, 27 gennaio 1944.
25 ASC B 576 Lett. Berruti-Ricaldone, 1° febbraio 1944.
26 Circa la casa di Lanuvio cf [Paolo FREZZA], Lanuvio e i Salesiani. Unione Ex allievi.
Lanuvio 1977.
27 Cf ASC E 946 Ispettoria Romana, Cronaca; anche lettere di don Berruti in ASC
B 576, passim.

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224 Francesco Motto
Ospizio, Parrocchia e Oratorio del Sacro Cuore di via Marsala 28
La casa salesiana di via Marsala – denominata semplicemente Ospizio
Sacro Cuore di Gesù – era un’opera piuttosto complessa, dal momento che
comprendeva non solo le scuole ginnasiali parificate, la scuola media per in-
terni ed esterni, la parrocchia e l’oratorio festivo e quotidiano, ma anche la re-
sidenza di decine di studenti, chierici e sacerdoti, che frequentavano univer-
sità pontificie. I salesiani inoltre avevano la cura pastorale di cinque cappel-
lanie. Vivaci erano anche le associazioni dei giovani dell’Azione Cattolica e
l’Unione degli Exallievi. All’epoca direttore era don Roberto Fanara (1894-
1951), parroco don Giovanni Brossa (1884-1966) e direttore dell’oratorio don
Michele Gillone (1913-1982).
Situato accanto alla stazione ferroviaria di Termini, l’Ospizio, soprat-
tutto dopo i duri bombardamenti estivi del quartiere S. Lorenzo e Tiburtino,
aveva programmato un eventuale sfollamento, parziale o totale, dei residenti.
Invece non solo rimase aperto per loro, ma poté anche ospitare molte altre
persone, grazie a posti-letto lasciati liberi da un certo numero di alunni interni
impossibilitati a raggiungere Roma per l’interruzione delle comunicazioni.
Così già ad inizio d’anno scolastico accolse una trentina di aspiranti che
per le dure condizioni del momento non poterono raggiungere la loro sede ad
Amelia, in Umbria. Vennero ripartiti per classe e inseriti fra gli interni, con i
quali condivisero scuola, studio, refettorio e dormitorio. Sempre ad inizio
anno l’Ospizio diede accoglienza ad un gruppo di salesiani studenti del primo
corso di Teologia dell’ispettoria romana e adriatica, precedentemente desti-
nati allo studentato teologico di Bollengo (Torino). Inoltre dal 10 febbraio
1944 alla fine dell’anno scolastico furono ospitati, come s’è accennato, una
cinquantina di salesiani dello studentato filosofico di Lanuvio, già sfollato
a Castelgandolfo. Da una colonia elioterapica di questa stessa località dei
Castelli vennero al S. Cuore, verso metà maggio 1944, oltre 20 orfani.
All’accoglienza di tali gruppi di giovani si deve aggiungere l’ospitalità
offerta a singole persone: tra gli altri ai tre citati membri del Consiglio gene-
rale, che rimasero per 20 mesi (dal 26 ottobre 1943 al 13 giugno 1945); al ve-
scovo salesiano, mons. Felice Ambrogio Guerra proveniente da Gaeta, già ar-
civescovo di Santiago di Cuba, rimasto dal 25 settembre in poi, per vari mesi;
a mons. Dionigi Casaroli, arcivescovo di Gaeta, sfollato in condizioni pietose
da Priverno col suo cameriere il 5 dicembre 1943 e trattenuto al S. Cuore fino
al 14 febbraio 1944, su esplicita richiesta di mons. Domenico Tardini della se-
greteria di Stato a nome del papa.29
28 Informazioni ricavate da documenti conservati in ASC F 537 e 896 Roma-S. Cuore.
29 ASC Città del Vaticano, Cronaca, 10 dicembre 1943.

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Salesiani a Roma durante l’occupazione nazi-fascista 225
Per tutti la vita al S. Cuore fu dura, soprattutto nei mesi invernali. Il 17
febbraio 1944 don Berruti annotava nel suo taccuino: «Qui manca tutto, per-
sino il lievito del pane, perché ieri ne fu bombardata la fabbrica, e il pane di-
venta parente prossimo dei mattoni».30 E due mesi dopo, il 13 aprile 1943:
«Al Sacro Cuore i giovani preti e i chierici non riescono a togliersi l’appetito
nei pasti, e prima esso presenta i caratteri di fame. Uno mi disse giorni fa che
era andato in biblioteca, ma che dopo un’ora e mezzo dovette uscire perché
non poteva più leggere. È il male di tutti in questi giorni»; 31 «È una stretta
continua al cuore il vedere questi poveri chierici della Gregoriana e degli Stu-
dentati Teologici e Filosofici, pallidi, deboli, poco atti allo studio, con dei ve-
stiti esterni ed interni che fanno compassione».32
Ovviamente della fame, del freddo, degli allarmi, delle precipitose di-
scese nei rifugi, dell’arrivo degli americani hanno ben vivo ricordo i chierici
dell’epoca, i quali ricordano pure il clima di trepidazione e di ansia in cui vi-
vevano. L’atmosfera era particolarmente delicata per il fatto che, nel gruppo
degli studenti presso le università pontificie, c’erano salesiani provenienti da
nazioni appartenenti ai due fronti in guerra. Fedeli agli impegni costituzionali
che proibivano espressamente discussioni politiche, non si ebbero seri con-
trasti e neppure troppo animate discussioni.33
Stante la situazione logistica si potrebbe pensare che all’interno dell’O-
spizio non ci fosse posto per altri «ospiti», per cui tutto ciò che la casa sale-
siana potesse fare – e lo fece effettivamente più d’una volta – era solo aprire e
chiudere immediatamente il portone di ingresso in occasione delle numerose
retate delle forze di occupazione, per mettere in salvo gli uomini che casual-
mente si trovassero nella zona.34 Non fu così e l’Ospizio di via Marsala fece la
sua parte per accogliere possibilmente al suo interno o per lo meno collocare
in rifugio sicuro quanti ne avevano estremo bisogno. La parrocchia e l’an-
nesso oratorio collaborarono attivamente a questa opera di accoglienza, grazie
alla solidale complicità dei fedeli, all’aiuto di giovani universitari 35 e soprat-
tutto alle dame della S. Vincenzo de Paoli, sorta in seno al Circolo S. Cuore.
30 Don Pietro Berruti…, 447. Lo stesso giorno don Berruti scriveva al Rettor Maggiore:
«Abbiamo numerosi sfollatti (ragazzi) al S. Cuore e al Pio XI: sono bisognosi di tutto, special-
mente di vestiti; ci si aggiusta come si può»: ASC B 576 Lett. Berruti-Ricaldone.
31 Ivi, p. 450.
32 Ivi, p. 455.
33 Cf lettera di don Gaetano Scrivo, da Loreto, in data 15 febbraio 1997, di don Carlo
Fiore, da Torino nella stessa data, di don Gaetano Conti da Messina del 18 febbraio 1997,
di don Armando Buttarelli da Roma del 16 febbraio 1997. Don Luigi Castano in un’intervista
rilasciata allo scrivente a fine agosto 1994 ricorda solo una sorta di manifestazione di chierici
fascisti, subito disapprovata dalla comunità.
34 Testimonianza concorde di tutti i testimoni consultati.
35 ASC F 537 Attività dell’Oratorio Salesiano S. Cuore (via Marsala 41, Roma) durante
il periodo di guerra a vantaggio dei bisognosi.

1.10 Page 10

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226 Francesco Motto
I locali e gli spazi più reconditi furono messi a disposizione di 50 gio-
vani di leva e di altri possibili ricercati, ex allievi dell’oratorio o no; non
meno di dieci di loro furono ospitati piuttosto a lungo; un altro centinaio
venne nascosto e mantenuto presso famiglie di sicuro affidamento; trenta fu-
rono forniti di abiti borghesi; una ventina, catturati e rinchiusi nella caserma
Cavour, furono rimessi in libertà grazie all’interessamento dei salesiani
dell’Oratorio, che ottennero per loro permessi e certificati garantiti dalle
Autorità.36 Dieci oratoriani bisognosi vennero mantenuti a scuola nell’istituto
a totale carico dell’Oratorio, per una cifra che nel corso dei 4 anni di guerra
superò le L. 60.000; molti altri ebbero colazione e pranzo caldo gratuito per
tutto l’anno 1943-1944 per un spesa di circa L. 25.000; altri ancora, nel corso
delle ricorrenti premiazioni, ricevettero indumenti e generi alimentari per
un totale di L. 70.000; si distribuirono altresì buoni alimentari per un valore
di L. 10.000.
Due volte alla settimana vennero visitati i malati e i feriti degenti nella
clinica ortopedica della città universitaria e si portarono loro conforti religiosi
e materiali per un totale di L. 36.000. Fu pure organizzato un ufficio sanitario
per l’assistenza igienico-sanitaria di sfollati, sinistrati e bisognosi vari; si di-
stribuirono medicinali per un valore di L. 9.000; funzionò altresì un Ufficio
Notizie con un’attività giornaliera in favore della popolosa parrocchia. Per il
centinaio di famiglie di sfollati dei bombardamenti del Tiburtino, del Man-
drione, di Lanuvio, di Gaeta e di Velletri, si organizzò la cucina economica
del Circolo S. Pietro, nella sezione Macao, presso un asilo delle Suore,
offrendo loro denaro, molti generi alimentari e indumenti per complessive
L. 206.000. Si prestò loro assistenza religiosa e scolastica nei locali adibiti a
dormitori e scuole di via dei Campani e di via Magenta.
Le spese sostenute dall’Oratorio per tutta questa assistenza materiale
raggiunsero complessivamente le 384.741 lire; quelle del Segretariato della
carità presso la Parrocchia L. 7.160.500 (di cui 7.000.000 per l’Assistenza
ad ebrei).
Pure costosa, tragicamente interrotta una prima volta, ma ripresa con
molto vigore e significativi risultati nel dopoguerra, fu l’attività in favore
delle decine di «Ragazzi della stazione Termini»,37 che si guadagnavano da
vivere in modi non sempre leciti. Iniziatasi nel periodo natalizio del Natale
36 Non si trascurarono ovviamente i 150 giovani del locale Circolo S. Cuore chiamati
alle armi. Si continuò ad assisterli attraverso la corrispondenza e tramite i rispettivi cappellani.
Di uno di tali giovani, il laureando ingegnere Franceschi Tullio, morto in un campo di concen-
tramento in Germania il 28 ottobre 1944, il cappellano filippino di Biella, padre Ottorino Mar-
colini, tessè grandi elogi in una sua successiva deposizione.
37 I famosi “sciuscià”, per i quali sorse successivamente un’apposita casa salesiana
al quartiere Prenestino.

2 Pages 11-20

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2.1 Page 11

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Salesiani a Roma durante l’occupazione nazi-fascista 227
1942 con accoglienza, aiuto alimentare, vestiario e catechesi, il 31 gennaio
1943 trenta di loro potevano già ricevere la prima comunione e la cresima
dalle mani di mons. Felice Ambrogio Guerra. Nel luglio successivo invece
quarantacinque, sorpresi da un’improvvisa retata, furono rinchiusi nel carcere
minorile di via dei Reti n. 72. I salesiani del S. Cuore immediatamente si atti-
varono per la loro liberazione, ma mentre erano a buon punto le relative pra-
tiche il bombardamento del 13 luglio li trovò ancora racchiusi nelle loro celle
e ne uccise molti sotto le macerie.38
Don Camillo Faresin e la salvezza di un centinaio di ebrei 39
Dall’epoca della retata al ghetto (16 ottobre 1943) in poi gli ebrei furono
di certo i più esposti al pericolo di cattura (e di successivo invio ai campi di
sterminio). Ecco allora il direttore dell’Ospizio, il parroco e il direttore dell’O-
ratorio del S. Cuore concedere loro una prima accoglienza in casa in attesa di
un rapido trasferimento o alle catacombe di S. Callisto attraverso l’intervento
dell’attivissimo don Fernando Giorgi,40 oppure presso i due vicini istituti delle
Figlie di Maria Ausiliatrice o anche presso famiglie private della zona.
Quanti furono questi ebrei, per lo più nuclei famigliari, messi al sicuro
dai salesiani del S. Cuore, in collegamento con la Delasen? 41 Impossibile sa-
perlo, anche se il loro numero è presumibile sulla base dei 7 milioni spesi in
alimenti, vestiti e altro, milioni raccolti generosamente in loco. Dovette trat-
tarsi di oltre 100 persone di varie nazionalità (italiani, iugoslavi, francesi, te-
deschi…) stando alla testimonianza degli ebrei stessi e del protagonista di tale
opera di salvataggio, don Camillo Faresin.
Il professor Wolfgang Gruen, di origine ebraica, emigrato con la fami-
glia in Brasile prima della guerra e fattosi successivamente salesiano, il 1° lu-
38 Cf anche «Bollettino Salesiano», marzo 1946, p. 47. Terribile la descrizione del bom-
bardamento del carcere che si legge in Cesare SIMONE, Venti Angeli sopra Roma. I bombarda-
menti aerei sulla Città Eterna 19 luglio e 13 agosto 1943 (Milano, Mursia 1993, p. 148): «I cu-
stodi, alle prime esplosioni, scappano via senza curarsi di aprire i lucchetti e serrature, i ragazzi
detenuti urlano di terrore: “Aprite, fateci uscire. Abbiate pietà!”, gridano mentre le mura tre-
mano alle esplosioni e i calcinacci piovono dai soffitti. Solo una metà di quei ragazzi potrà sal-
varsi, quando una bomba apre un grande varco in uno dei muri esterni e quelli che riescono
fuggono arrampicandosi sui detriti. Poi un’altra bomba fa crollare l’ala dell’edificio e almeno
una quarantina di piccoli prigionieri rimane schiacciata nelle celle».
39 Oltre alle cronache conservate in ASC, le notizie provengono dai testimoni citati, dal
testo a stampa [G. FARESIN], Da Maragnole a Guiratinga. Vicenza 1990, e da una lettera dello
stesso protagonista indirizzata il 22 febbraio 1992 allo scrivente (che ebbe modo di intervi-
starlo successivamente nell’estate 1994).
40 Cf F. MOTTO, Gli sfollati e i rifugiati… in RSS 24 (1994), p. 104.
41 Organizzazione di assistenza ebraica, diretta all’epoca in Roma dal noto cappuccino
francese padre Marie Benôit: cf Antonio GASPARI, Nascosti in convento. Incredibili storie di
ebrei salvati dalla deportazione. Italia 1943-1945. Roma 1999, p. 64.

2.2 Page 12

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228 Francesco Motto
glio 1989, in occasione del conferimento al Faresin, diventato vescovo, del
premio Menorah concesso dalla comunità ebraica di Belo Horizone, affermò
nell’aula del Parlamento alla presenza di autorità civili e religiose dello Stato:
«Lavorando contro l’orologio, il giovane sacerdote Faresin cercò di na-
scondere ebrei – più di un centinaio – in case di religiosi e di altre per-
sone generose, col rischio della vita per tutti. Abitava con essi nella clan-
destinità. Per salvare più vite, preparava falsi certificati di battesimo. Le
SS gli diedero la caccia; dormì in prigione, si nascose nel convento dei
Padri Cappuccini».42
A sua volta un altro ebreo convertito, Giorgio De Leon, che proprio
grazie ai salesiani di Roma poté salvarsi con tutta la sua famiglia, scrisse:
«Tra i più attivi in quest’opera meritoria disseminata di pericoli i sacerdoti
salesiani e per quanto mi concerne, il «covo» di via Marsala, divenuto in
breve tempo il crocevia di – come dire? – assistenza, rifugio, smistamen-
to e consolazione per quanti chiedevano soccorso. Tutti l’ottennero e buo-
na parte oggi può raccontare quel miracolo di carità e di amore spontaneo
e disinteressato. Tutti si adoperarono e si sacrificarono, ma vorrei ricor-
dare il valido e indispensabile contributo di tre sacerdoti salesiani, allora
giovani, dinamici e attivi: don Camillo Faresin, don Luigi Castano e il
rimpianto don Enrico Da Rold [1914-1979]. Ognuno con il proprio carat-
tere e le proprie qualità spirituali, ma uniti in un unico impegno: salvare
quanti più possibile e assisterli fino a che la tempesta fosse passata».43
Camillo Faresin, nato nel 1914, appartenente giuridicamente all’ispet-
toria salesiana del Mato Grosso, era stato ordinato sacerdote a Roma-S. Cuore
il 9 giugno 1940, vigilia dell’entrata in guerra dell’Italia. Data la situazione,
non potendo partire per il Brasile, si fermò a Roma e completò gli studi otte-
nendo la laurea in filosofia l’8 luglio 1943. L’anno scolastico 1943-1944 lo
vide collaboratore all’Oratorio del Sacro Cuore, cappellano delle Figlie di
Maria Ausiliatrice di via Marghera e professore di religione nell’istituto tec-
nico «Duca degli Abruzzi», dove col collega e confratello don Gillone era
molto apprezzato dal preside, professor Gaetano Papa, che pur di sentimenti
anticlericali non disdegnava di passare vari pomeriggi nel cortile dell’Ora-
42 [G. FARESIN], Da Maragnole a Guiratinga…, p. 164. Lo stesso relatore continuava poi
con una notizia inedita, incredibile, che se venisse confermata da fonti estranee al protagonista
Faresin e allo stesso Gruen, potrebbe assumere un grande significato: «In questa lotta per la vi-
ta, egli agì con coraggio e intelligenza. Nella sinagoga era conservata la lista dei nomi e indiriz-
zi dei membri della comunità israelitica di Roma […] la vera carta topografica della miniera per
i persecutori. Don Faresin riuscì ad arrivare prima senza attirare l’attenzione, penetrò nella si-
nagoga, si impadronì delle preziose liste e le consegnò a sicura custodia in Vaticano» (pp. 164-
165). Nella suddetta intervista al redattore di queste note mons. Faresin invero accennava a non
meglio identificati registri, datigli da amici ebrei, onde metterli al sicuro in Vaticano.
43 Ivi, pp. 174-175.

2.3 Page 13

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Salesiani a Roma durante l’occupazione nazi-fascista 229
torio salesiano del S. Cuore. Col suo consenso il 23 marzo ben 800 giovani
del “Duca degli Abruzzi” fecero al S. Cuore la loro preparazione alla Pasqua
e il 24 marzo – la tragica giornata della strage delle Fosse Ardeatine – ricevet-
tero la comunione Pasquale.44
Come cappellano delle Figlie di Maria Ausiliatrice, don Faresin il «bo-
roro» come lo chiamava il direttore don Fanara, raccolse colà sotto la sua re-
sponsabilità ebrei, giovani renitenti alla leva, disertori, sfollati. Per poter ac-
coglierli le Figlie di Maria Ausiliatrice ridussero gli spazi loro riservati e
quelli utilizzati dai loro convittori e da un gruppo di 30 bambini sfollati da un
orfanotrofio di Anzio nel gennaio 1944. Si fece ricorso anche al garage e al
terrazzo, al quale si accedeva dagli scantinati passando per una scaletta a
chiocciola. Una porta camuffata, dipinta di bianco, immetteva in esso, af-
ferma suor Pia Palombi.45 A tutte le donne era stato dato il secondo vestito
delle suore, perché lo potessero indossare in caso di emergenza. Molte notti
don Faresin le passò nella portineria o nel parlatorio delle suore, adagiato su
un materassino provvisorio, d’accordo con la direttrice, Ida Perotti, splendida
figura di suora, instancabile nell’alloggiare in casa e nelle vicinanze chi fosse
in pericolo 46 e nel cercare, in Roma ma soprattutto sui castelli romani, i ne-
cessari alimenti per la comunità e per i numerosissimi ospiti privi di tessera.
Ovviamente don Faresin non mancò di far accettare fra gli allievi dell’ospizio
del S. Cuore qualche ragazzo ebreo, con falso nome, magari con quello del
medico del collegio, dottor Pratesi.47
Sia la «Trinità» – come scherzosamente venivano chiamati i tre membri
del Consiglio Superiore – che l’ispettore e il direttore sapevano della ri-
schiosa attività del giovane sacerdote (e colleghi); lo lasciavano però fare, li-
mitandosi a raccomandargli prudenza.48 Cosa, quest’ultima non sempre facile.
44 Lo stesso avvenne il 30 marzo per altrettanti studenti dell’Istituto Magistrale «Alfredo
Oriani» col loro Preside. Il 4 aprile fu la volta dell’Istituto «Milani». Anche gli altri giorni della
settimana furono riservati alla preparazione spirituale di centinaia di adulti, uomini e donne,
singoli o riuniti in associazioni: ASC F 537 Elenco degli esercizi spirituali.
45 Lettera al redattore di queste note, da Civitavecchia, in data 24 aprile 1990.
46 Cf lettera allo scrivente da parte di suor Paolina Meloni, da Cagliari, in data 29 set-
tembre 1995. A memoria della Figlia di Maria Ausiliatrice gli ebrei ricoverati, uomini, donne,
bambini, si aggiravano sui 25-30 (oltre ad alcuni altri giovani cattolici). Parecchi di loro alla
domenica non disdegnavano di partecipare alla S. Messa.
47 Testimonianza dello stesso mons. Faresin che ricorda di essere stato solennemente
ringraziato dai due fratelli Pratesi – di cui uno dall’indiscutibile nome ebraico Enoch – in occa-
sione di un successivo rimpatrio a Roma. Altri ebrei si mantennero in corrispondenza episto-
lare con lui in Brasile.
48 Circa tale segretezza e prudenza è quanto mai eloquente la testimonianza di don Giu-
seppe Ghiandoni quando al redattore di queste note scrive, da Roma, in data 12 febbraio 1997:
«Al S. Cuore stesso c’era un sacerdote brasiliano che doveva terminare i suoi studi universitari,
di cui non ricordo più il nome [Camillo Faresin], che si dava molto da fare per aiutare questa
povera gente a nascondersi». Lo stesso Faresin ricorda come in questa attività “segreta” fu

2.4 Page 14

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230 Francesco Motto
Ma la sorte gli fu sempre favorevole, così come anche più di una volta gli
tornò utile l’amicizia dell’ex allievo, dirigente del fascio romano – un certo
dottor Calosso – amico di famiglia per avergli don Faresin assistito la madre
in punto di morte.49 Con qualche telefonata cifrata o anche direttamente lo av-
visava dei rischi e dei pericoli che correva. Un pomeriggio ad esempio si
salvò dalla cattura da parte di due SS, fingendo di recarsi in camera a pren-
dere una borsa e invece fuggendo, per un’entrata secondaria, a S. Callisto,
dove rimase nascosto una settimana. La vigilia di Natale 1943, uscendo da un
rifugio dove aveva confortato un giovane, fu preso e portato alla vicina ca-
serma Macao, dove passò la notte, seduto per terra, in un gelido stanzone,
sotto stretta sorveglianza. Sottoposto poi il giorno di Natale ad un minuzioso
interrogatorio, riuscì a salvarsi grazie a documenti vaticani, a quelli civili ita-
liani e brasiliani, alla tessera di professore e anche ad un certo sangue freddo
con cui coraggiosamente sfidò l’ufficiale che lo interrogava parlando diverse
lingue. Poté così tornare a casa, dove lo attendeva con trepidazione il diret-
tore. Un’altra volta fu fermato di notte da due poliziotti mentre, nascoste sotto
il pane che portava ad un famiglia povera, teneva due rivoltelle di partigiani.
Fortuna volle che uno dei due, quello non ubriaco, impedisse all’altro di per-
quisire la borsa del sacerdote.
Meno spregiudicato di don Faresin, ma certamente più coraggioso del
parroco don Brossa, fu don Luigi Castano, all’epoca «consigliere» responsa-
bile dei chierici, insegnante di religione e cappellano presso le Figlie di Maria
Ausiliatrice di via Dalmazia. In tale ruolo ebbe modo di intervenire a favore
di ebrei, che ebbero colà accoglienza.50 Fra gli altri la famiglia già ricordata
dei De Leon, residenti a Roma, ma provenienti da Torino. Il padre Emilio (n.
1891), la madre Lidia Servi (n. 1902), e due figli erano stati battezzati nel
1938 per sfuggire alle leggi razziali. La tragica giornata del 16 ottobre 1943 il
padre, che aveva un magazzino di ricambi elettrici, in piazza Fiume, avvertito
del pericolo, riuscì a sottrarsi alla cattura. Fece accogliere come alunna delle
suore la moglie, già maestra, ma che intendeva sostenere gli esami di maturità
liceale. L’aspetto molto giovanile poteva farla confondere con le altre allieve.
La signora si sdebitava dell’ospitalità concessale assieme alla figlia Pinuccia
dando lezioni di ricamo alle novizie delle Figlie di Maria Ausiliatrice. Rima-
sero colà al sicuro per nove mesi.51 Invece Emilio, il marito e Giorgio, il
anche vittima di qualche denuncia malevole avanzata presso don Berruti, il quale però non
prestò fede a tali voci.
49 Quella dell’aiuto degli amici-conoscenti ed ex allievi fu una costante a Roma e altrove.
50 Testimonianza rilasciata allo scrivente in data 30 agosto 1997.
51 Testimonianza rilasciata a chi scrive dai familiari stessi, che ben ricordano l’allor gio-
vane suora Severa Donati. Presso le FMA si conserva memoria tutt’oggi di due sorelline ebree
ospitate. È forse qui l’occasione per menzionare anche altre famiglie ebree che ebbero ricovero

2.5 Page 15

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Salesiani a Roma durante l’occupazione nazi-fascista 231
figlio sedicenne, trovarono rifugio dai fratelli Maristi di via Montebello,
all’istituto S. Leone Magno, dove prima di don Faresin era cappellano don
Enrico Da Rold.
«Da dove arrivavano i nuovi documenti, le carte di identità, le nuove
carte annonarie? Il “covo” di via Marsala e la sapiente, paziente, certo-
sina opera di don Luigi Castano provvedevano a tutto».52
Altri rifugiati
Gli adulti e i rifugiati politici all’interno dell’Ospizio del S. Cuore, se si
escludono i numerosi ufficiali italiani accolti nei primi giorni dell’armi-
stizio,53 non furono più di una dozzina. A tali ospiti temporanei fu riservato
come rifugio l’ultimo piano della casa, dopo le finestre dei dormitori, proprio
sotto il tetto.
In qualche modo la cosa non poteva passare inosservata dai salesiani
della casa, ma è evidente che non se ne parlava mai, tutto era tenuto in gran
riserbo e non si documentò mai per iscritto tale ospitalità. Risulta comunque
che grazie all’intervento del chierico siciliano Stefano Nicoletti (1917-1986)
nativo di Patagonia (Catania) venne accolto come uomo di fatica un giovane
del suo paese. A liberazione avvenuta si venne a sapere che era un sottouffi-
ciale dei carabinieri che aveva lasciato l’arma dopo l’8 settembre 1943.54 Così
pure don Giuseppe Ghiandoni (n. 1919) ricorda come la sera dell’arrivo degli
angloamericani alla periferia di Roma, salendo nella camerata con i compagni
per il riposo notturno, trovarono una cella con tendina stranamente chiusa,
dalla quale fuoriusciva un rigagnolo d’acqua. Aperta la tenda trovarono sul
letto, addormentato, un uomo coi baffi, ai piedi del letto un fiasco d’acqua ro-
per qualche tempo presso le Figlie di Maria Ausiliatrice (accanto all’Istituto salesiano Pio XI)
di via Tuscolana: la famiglia di Ugo Del Monte con moglie Elvira di Castro e tre figli Wanda,
Marco e Valentina; la famiglia Cesare Menasci con moglie Olga del Monte e figlio Mario;
la signora Adelaide Pontecorvo (vedova Di Veroli) con il figlio Pacifico, con la figlia Elvira
sposata con Leone Di Capua e i loro tre figli, Mario, Sarina e Graziano, e con la figlia, Clelia,
sposata Renato Di Veroli: testimonianza scritta da Nir Etsiyon (Israele) di Michele Tagliacozzo
in data 27 novembre 1994 e 15 gennaio 1995 e testimonianza orale di alcuni membri della
famiglia Di Capua.
52 [G. FARESIN], Da Maragnole a Guiratinga…, p. 175.
53 Così si legge nella Cronaca del S. Cuore l’11 settembre: «Alle ore 13 suona l’allarme
e d’ogni parte giungono in casa in cerca di ricovero uomini e donne: in breve il collegio è pieno
di gente impaurita ed eccitata. Tutto intorno intanto ferve la mischia tra reparti italiani e truppe
germaniche: alcuni scontri sono vicinissimi all’Ospizio e accrescono il panico della popolazio-
ne. Ore di umiliazione inenarrabili. Lo stato di allarme perdura tutta la giornata e la notte. Si
mangia nel refettorio dei giovani e si organizzano turni di vigilanza notturna per l’assistenza di
tutti i ricoverati». E due giorni dopo: «Giungono nella notte gli ufficiali di un nostro ospedale da
campo per avere ospitalità. Sono accompagnati dal ten. Cappellano don Rossi nostro confratel-
lo. Il direttore mette a loro disposizione l’infermeria: ASC F 896 Roma S. Cuore, Cronaca.
54 Lettera a chi scrive di don Gaetano Conti, da Messina, in data 18 febbraio 1997.

2.6 Page 16

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232 Francesco Motto
vesciato. Seppero poi che si trattava di un ebreo bulgaro.55 Un altro rifugiato
politico, per comunicare col quale don Faresin corse più volte il rischio di es-
sere catturato, fu il tenente colonnello, già capodivisione al ministero dell’A-
reonautica, ingegner Mario Mele. Venne nascosto nel convento dei servi di
Maria in via del Corso per un certo tempo e poi in altri luoghi ritenuti sicuri.
Don Faresin lo andava a visitare ogni mercoledì per portargli notizie della fa-
miglia e altre cose necessarie, a proprio rischio e a rischio del generale stesso
e dei padri Serviti.56
Nessun rifugiato ebbe particolari noie al S. Cuore, dove si registrò
solo qualche rara presenza di tedeschi ma senza alcuna perquisizione vera
e propria.
Chi invece corse più pericolo fu don Michelangelo Rubino (1869-1946)
già cappellano militare nella prima guerra mondiale, decorato con medaglie
al valore d’argento e di bronzo per la guerra di Spagna in qualità di ispettore
dei cappellani della Milizia Volontaria Salvezza Nazionale, all’epoca ispet-
tore dei cappellani della Legione Volontari d’Italia «Giulio Cesare». Alla ca-
duta del fascismo rimase all’Ospizio S. Cuore; 57 il 20 settembre 1943 si di-
mise dal suo incarico; 58 alla fine di ottobre confermò la sua volontà di rima-
nere a Roma: 59 solo successivamente si trasferì a Littoria, da dove però di
fronte all’avanzata degli angloamericani il 5 febbraio 1944 ritornò a Roma.
In occasione della Pasqua, il 9 aprile 1944, fu richiesto di celebrare una
messa al campo nella zona III di Roma con l’assistenza dell’ordinario mili-
tare italiano, mons. Angelo Bortolomasi Angelo.60 Ai primi di giugno, all’ar-
rivo degli alleati a Roma, venne ricercato dai partigiani nella portineria
del S. Cuore, e solo il sangue freddo dell’ispettore don Berta, che garantì
che don Rubino quella sera non era in casa e neppure sapeva dove fosse,
gli valse la libertà e forse la vita, che per altro si spense naturalmente due
anni dopo.61
55 Lettera al redattore di queste note, da Roma, in data 12 febbraio 1997.
56 Testimonianza scritta del Faresin in data 22 febbraio 1994, il quale ricorda quella
volta in cui si accorse di essere pedinato nel suo recarsi in via del Corso. Si fermò allora in
chiesa solo per pregare e poi tornò a casa dove gli venne comunicato dal dottor Calosso quanto
lui stesso aveva intuito.
57 ASC E 944 Lett. Berta-Ricaldone, 26 luglio 1943.
58 Emilio CAVATERRA, Sacerdoti in grigioverde. Storia dell’ordinariato militare italiano.
Milano, Mursia 1993, p. 60.
59 ASC F 537 Lett. Berruti-Ricaldone, 30 ottobre 1943.
60 Cf «Il Messaggero», 10 aprile 1944.
61 Lettera a chi scrive di don Carlo Fiore in data 15 febbraio 1997. Don Rubino morì
il 26 ottobre 1946.

2.7 Page 17

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Salesiani a Roma durante l’occupazione nazi-fascista 233
Noviziato e scuola di avviamento agrario di via del Mandrione 62
Due giorni dopo il bombardamento di Roma del 19 luglio 1943, il gruppo
dei novizi della casa di via del Mandrione, nel quartiere Tuscolano, si trasferì
sui castelli romani a Lanuvio (e di là, in settembre presso le catacombe di S.
Callisto). Restarono solo pochi confratelli addetti alla custodia della casa ed
alla stalla. Nel secondo bombardamento romano, il 13 agosto, venne colpita la
colonia agricola, distrutta la porcilaia e resa inservibile la vasca d’irrigazione.
La casa rimase senza acqua e senza vetri, ma ciononostante, anche dopo il se-
condo bombardamento, accolse molta gente che dalla non lontana Stazione
Casilina – soprattutto una volta interrotta la linea per Termini – affluì di giorno
e di notte per chiedere provvisorio soccorso, rifugio e medicamenti.
Dopo l’8 settembre 1943 si diede alloggio a vari soldati sbandati, i quali
però poterono restarvi solo per una settimana, in quanto a metà settembre la
camerata dei novizi viene requisita da 42 ferrovieri tedeschi, che la occupa-
rono fino al 21 settembre, per ritornare successivamente, anche se in numero
minore – una quindicina – il 29 ottobre e rimanervi fino al 3 giugno 1944. Si
dovettero lasciare a loro disposizione vari ambienti, ma grazie a tale disponi-
bilità i pochi salesiani rimasti poterono instaurare buoni rapporti di convi-
venza sia col tenente che col maresciallo. Utile fu soprattutto la presenza del
salesiano tedesco don Giovanni Rodenbeck (1900-1974). Gli «ospiti» tede-
schi non mancarono di partecipare alla Messa di mezzanotte a Natale, cele-
brata dal neo direttore don Elia Riva (1877-1967). Sul finire del 1943, per
qualche tempo, la casa accolse pure alcuni ricercati ed ebrei, fra cui Pacifico
Astrologo, ovviamente con falso nome e professione.63 Come già alle cata-
combe di S. Callisto, sotto lo stesso tetto salesiano convissero così oppressori
ed oppressi, ricercatori e ricercati, vincitori e vinti.64
Più che dai tedeschi occupanti i salesiani del Mandrione dovettero difen-
dersi dagli italiani che continuamente rubavano nei campi, nell’orto, nella
stalla, in casa. Fu necessario mettere una guardia che ebbe da lottare con i
ladri. «A tanto di disordine e mala coscienza sono giunti gli Italiani, ludibrio
dei Tedeschi, che ridono e ci disprezzano e ci tengono per ladri e furfanti»
commenta tristemente la cronaca salesiana in data 9 marzo 1944.
Dopo che il bombardamento del 19 gennaio colpì il limite estremo del-
l’orto 65 e ruppe per l’ennesima volta i vetri della casa, si alloggiarono presso
62 Informazioni ricavate da ASC F 899 Roma-Mandrione, Cronaca.
63 Cf F. MOTTO, L’Istituto salesiano Pio XI… in RSS 25 (1994) p. 340, nota 107.
64 Cf «Bollettino Salesiano», marzo 1946, p. 44.
65 Fortuna volle che le cinque bombe caddero su terreno molle, per cui non fecero quasi al-
tro che sollevare una grande quantità di terra, senza neppure ferire il salesiano laico Giuseppe Piras
che si trovava a poche decine di metri: ASC F 899 Roma-Mandrione, Cronaca, 19 gennaio 1944.

2.8 Page 18

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234 Francesco Motto
l’Oratorio e nel rustico numerosi sfollati da Genzano, Ariccia, Albano; altret-
tanto si fece sul finire di maggio per vari contadini della campagna romana
che con loro portarono una trentina di mucche, buoi, cavalli e un centinaio di
pecore onde sottrarli alle razzie dei tedeschi.
Il Mandrione fra le case salesiane fu quella che ai primi di giugno, per la
sua posizione, direttamente poté assistere alla fuga dei tedeschi, all’avanzata
degli alleati in Roma e, purtroppo, anche a qualche atto di giustizia sommaria.
Precisa nei minimi particolari e non meno eloquente nel sintetizzare con poche
parole l’atmosfera carica di tensione che si visse in Roma in quei giorni, è la
cronaca della casa salesiana del 3/4 giugno che qui integralmente e con tutte le
sue incertezze linguistiche riportiamo.
«Come tutte le precedenti notti continua il cannoneggiamento e il mitra-
gliamento, meno intenso però e meno frequente è il movimento. Non
manca l’inseguimento pel cielo su coloro che si ritirano, non dando loro
via di scampo. La notte però li aiuta a fuggire e permette loro di traspor-
tare autoblinde, carri armati e cannone e salvarsi. Continuano i tedeschi a
distruggere e far saltare ciò che può essere utile al nemico. I poveri con-
tadini e proprietari non sanno come salvare roba e bestiame. Anche que-
sta mattina ne giungono una decina: non si sa poi dove installarli. Si fa co-
me si può. Tutta la notte fu un fuggi fuggi con carri ecc. Il mattino sorse
sinistro pei tedeschi. Pare diventi realtà l’asserzione degli AA di voler es-
sere a Roma nella Domenica dello Statuto. Povera Italia nostra! E cara!
Che fine: che strazio! Che ruinio, che trepidazioni, che spasimo! Vera-
mente, in parte, si affaccia alla mente ma con più orrore e spavento e di-
sorganizzazione della Tragedia Adelchi del M[anzoni]. Sin da mattino
spari e come gli altri giorni saltar di mine e distruzione di certi palazzi –
il Macao e dicono incendiato il Ministero dell’Aviazione (ma non par ve-
ro); tanto che alla S. Messa delle 8,30 venne poca gente, per il pericolo, in
cappella e il Vangelo lo rimandai alla fine della S. Messa e fui breve.
Fino a dopo pranzo continuò la sparatoria da parte dei tedeschi, cercati
sempre dall’aviazione che si abbassa in picchiata, specialmente sugli au-
tomezzi. Dopo pranzo si vedono altri tedeschi; i primi si erano riparati
nella via piuttosto stretta del Mandrione e presto dopo aver chiesto
acqua, ripresero la via della ritirata, sebbene stanchi morti. Gli altri verso
le tre pomeridiane venivano dalla via Casilina, attraversarono i binari e
si gettarono sul Mandrione per ripararsi dagli aeroplani minaccianti.
L’attraversarono verso l’acquedotto e alquanto dopo mossero verso la
Tuscolana.
Ora mentre scrivo passano altri soldati alla spicciolata e un autocarro.
Degli aeroplani li spiano e li indicano ai cannonieri che fanno piovere di
tanto in tanto tonanti e scoppianti granate.
Per un’ora circa si fa il deserto intorno e guardando dalla finestra non si
vede anima vivente; poi ricomincia una frequente sparatoria, alternata da
granate che spaventano; schegge frequenti sono raccolte qua e là nel cor-
tile; sono i patrioti che intervengono e preparano la via all’invasione o
meglio all’arrivo dei liberatori.
Intanto poderosi scoppi fan tremare fin dalle fondamenta la Casa.

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Salesiani a Roma durante l’occupazione nazi-fascista 235
Quasi tutto il pomeriggio si passa nel rifugio e nei piani mezzo sotter-
ranei. Alle 4 due tedeschi entrano nel nostro cortile, girano dietro la Casa
col fucile in mano. Mi affaccio ed essi mi fanno cenno di tacere, di non
muoversi, scavalcano il muro di cinta e fanno cenno ai camerati che at-
traversano le rotaie e si versano sulla via del Mandrione.
Alle sei e mezzo ecco due soldati in cachì, entrano: uno si appoggia a un
carretto. Sono accompagnati da uno in divisa di aviazione che parla ita-
liano, domanda medicamenti: uno dei canadesi era ferito alla coscia. Fu
medicato e fasciato; vi è la pallottola ancora ma non profondamente,
l’altro aveva una semplice scalfittura. Domandano acqua fresca, ringra-
ziano e se ne vanno ancora a perlustrare. Dopo un po’ ecco entrano altri
cinque Americani in perlustrazione. Vogliono salire sulla Casa, sul tetto
perché una mitragliatrice spara e non s’è individuata e vogliono sapere
se è dei tedeschi o dei patrioti. Discendono e riprendono fieri e contenti
il loro ufficio per dar poi cenno alla truppa che aspetta nelle retrovie.
Intanto i tedeschi annidati all’Acqua Santa avendo saputo che dalla Casi-
lina piegano verso via del Mandrione una colonna d’avvicinamento degli
Americani presero a cannoneggiare Porta Furba alcuni americani (una
ventina) e donne e bambini proprio un po’ fuor di posto e crudelmente;
ormai era un ammazzare e un rovinare per ammazzare e rovinare.
Detta colonna di avvicinamento passava poi in fila indiana e in silenzio
davanti al nostro cancello e cortile. Crudelmente e inutilmente: infatti
venivano subito circondati, qualcuno ucciso e gli altri alzavano le mani.
In via Appia e Tuscolano irrompeva con carri armati il grosso della
quinta armata tra gli applausi e pianti di gioia e commozione: si sentiva
rinascere la vita».66
Parrocchia, oratorio e scuola del rione Testaccio
Nei nove mesi di occupazione tedesca la comunità del Testaccio, com-
posta da una dozzina di salesiani sotto la direzione di don Enrico Pinci (1884-
1970), con don Luigi Albisetti (1913-1944) parroco e don Cesare Perucca (n.
1914) direttore dell’Oratorio, cercò di mantenere il ritmo normale della vita
scolastica, parrocchiale e oratoriana con le tradizionali attività in casa, in par-
rocchia e nel rione: lezioni, esami, funzioni festive, occasionali, tridui, no-
vene, esposizioni di libri cattolici, accademie musico-letterarie, commedie e
drammi teatrali, tornei sportivi, schola cantorum, riunioni ex allievi ecc. alla
presenza spesso dell’ispettore, dei tre Superiori di Torino residenti a Roma e
di alti prelati di Roma.67
Solenni furono anche quell’anno sia la festa dell’Immacolata Concezione
l’8 dicembre sia quella di Maria Ausiliatrice celebratasi il 26 maggio 1944, pre-
66 ASC F 899 Roma-Mandrione, Cronaca.
67 Ivi, Roma-Testaccio, Cronaca; v. anche «Bollettino Salesiano», aprile 1946, p. 57.

2.10 Page 20

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236 Francesco Motto
senti a quest’ultima mons. Rotolo, vescovo salesiano di Velletri, e il succitato
mons. Felice Guerra; venne invece soppressa due giorni dopo, il 28 maggio, la
festa patronale di Maria Liberatrice con la tradizionale processione mariana.68
Fu quello un anno certamente difficile per i salesiani del Testaccio, consi-
derata la grandezza della parrocchia, con oltre 23.000 abitanti, i 1400 ragazzi
iscritti alla catechesi sacramentale, i 350 studenti delle scuole elementari e me-
die, e il migliaio di giovani iscritti all’Oratorio, di cui un quarto normalmente
frequentanti. Evidentemente erano costoro che più davano preoccupazione agli
educatori salesiani. Ecco quanto si legge in una relazione del novembre 1945:
«Sempre il Testaccio è stato famoso per le sue bande di ragazzi obbe-
dienti ad un capo e pronti a difendersi tra loro contro eventuali nemici
supposti o ricercati… Ma dalle vacanze estive del ’43 c’è stata una forte
accentuazione ed un risveglio nelle bande causato dalla lontananza dei
capi di famiglia, dall’occupazione delle scuole da parte degli sfollati,
dagli avvenimenti politici e bellici svoltisi sul posto […].
Caduto il fascismo, per tutta una giornata le bande del Testaccio si as-
sunsero il compito di defenestrare i mobili di decine di abitazioni e di
portarsi a casa oggetti ricordo.
All’entrata dei Tedeschi in Roma vedemmo bande di ragazzi a Porta S.
Paolo, non solo armati di fucili, mitra e bombe, ma persino squadre che si
assunsero il compito di frugare ed alleggerire le salme dei caduti. E c’era
sui carri armati cellulosa ed altro e tutto presero e portarono seco ricrean-
do, ricreandosi e scottandosi con spari di razzi e fiammate per dei mesi in-
teri. E gli assalti al mattatoio, alle cantine, ai mercati generali ed ai nego-
zi e forni vanno assegnati ad iniziativa dei monelli della strada. Ed anche
dai bombardamenti dell’Ostiense venne un nuovo impulso ai maschietti
Testaccini per lo sgombero dei residui trasportabili. All’entrata degli alleati
queste bande fecero il loro ingresso in Roma sui carri alleati partecipando
all’alleggerimento di quanto sui medesimi era mobile e usufruibile ed an-
che lustrando il non lustrabile e così poi, stabilitosi al centro, con i loro sga-
bellini e spazzole da “sciuscia” ritornavano a sera con i loschi guadagni.
Veramente sempre i salesiani della Parrocchia cercarono il modo di trat-
tenere questa frenesia d’avventura dei ragazzi e c’erano riusciti quasi per
tutto il 1943 fino al 3 marzo ’44 e trattenerli con ogni industria nel loro
cortile. Durante il tempo dei rastrellamenti ne ebbero talmente tanti da
far temere abbondante retata. D’altra parte la gioventù che vuole svago
aveva bisogno di uscire di casa e la casa salesiana con la scritta “Pro-
prietà della Santa Sede” dava anche un certo affidamento. Bombardato
l’Ostiense avvenne lo sbandamento e c’è voluto non poco per ricomin-
ciare da capo».69
La comunità salesiana del Testaccio dovette dunque far fronte ai molte-
plici bisogni del suo rione, ma lo poté fare, grazie anche alla grande stima che
68 Ivi, Roma-Testaccio, Cronaca.
69 ASC F 540 Roma Testaccio, Bande di ragazzi della strada. Si riproduce qui il testo
dattiloscritto senza le correzioni successive, apportate forse in vista di una pubblicazione.

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3.1 Page 21

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Salesiani a Roma durante l’occupazione nazi-fascista 237
in esso godevano. Soccorse finanziariamente famiglie povere, che si rifugia-
vano nelle aule scolastiche inutilizzate e nelle cantine in occasione di allarmi
aerei. Protesse numerosi giovani ed uomini durante i rastrellamenti delle forze
occupanti. Nascose per qualche tempo alcuni giovani a rischio di cattura; uno
di essi, sedicenne, incappato in una retata, fu liberato grazie all’intervento dei
salesiani. Alcuni ebrei vi trovarono rifugio; 70 fra gli altri un macellaio, che
aveva la moglie cristiana ed i figli battezzati; a liberazione avvenuta si fece
poi battezzare.71 Nei sotterranei della scuola per alcuni giorni si rifugiarono al-
cuni soldati americani, venuti clandestinamente in città prima della liberazio-
ne.72 Fu anche accolto per qualche mese un colonnello del Tribunale speciale i
cui figli frequentavano la scuola salesiana. Altrettanto si fece con un giovane
della Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale, che, laureato, fu accolto e
posto temporaneamente ad insegnare nella scuola. Nuovamente persecutori e
perseguitati, occupanti e liberatori erano alloggiati nella stessa casa salesiana.
Comunità della Poliglotta vaticana 73
Anche la comunità salesiana della Poliglotta vaticana diede accoglienza
a qualche «ricercato». Invero le possibilità del direttore don Pietro Fedel
(1893-1956) non erano molte: i salesiani erano dipendenti della S. Sede; ave-
vano a loro disposizione un minimo di ambienti indispensabili per loro, al
punto da essere espressamente richiamati a non concedere facilmente ospita-
lità ad altri salesiani; inoltre l’ubicazione all’interno delle mura vaticane, se
da un lato offriva loro protezione, dall’altro li condizionava nella libertà di
azione. Vi si aggiunga il permanere all’epoca di alcune difficoltà d’intesa tra
salesiani e alte autorità vaticane in ambito amministrativo.74
La «pioggia» di domande cui «come sacerdoti piange[va] il cuore non
poter andare loro incontro» fu un vero dramma durato nove mesi per don
Fedel e salesiani, tanto più che spesso le domande era appoggiate da direttori
delle altre loro case, da superiori maggiori, da autorità pontificie stesse. La lo-
70 Cf 75° dell’Opera salesiana al Testaccio, 1997. Numero unico.
71 Lett. di don Gioacchino Carrano al redattore di queste note, da Roma, in data 11 feb-
braio 1997.
72 Ivi. Lo stesso testimone scrive che nel corso dell’anno, nella massima segretezza, riu-
scirono a vedere il famoso film di Charlie Chaplin, Il dittatore.
73 La fonte principale delle informazioni è la cronaca dattiloscritta della casa conservata
anche in ASC F 785 Città del Vaticano.
74 Non si ha alcun elemento per confermare quanto la fonte fiduciaria della Polizia
politica riferiva il 13 settembre 1937, vale a dire che don Fedel avesse «in animo di epurare
l’ambiente antifascista [dell’«Osservatore Romano»] specie quello della pubblicità, ove si an-
nida il […] marcio»: ACS DPP Fasc. Personali, Giuseppe Fedel.

3.2 Page 22

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238 Francesco Motto
cale cronaca continuamente sottolinea le richieste di protezione, di ricovero, di
inserimento nella Guardia Palatina,75 di assunzioni come operai, soprattutto
dopo la chiusura prima parziale e poi totale del Poligrafico dello Stato che
mise sul lastrico migliaia di persone. Si supplicava qualunque lavoro, si chie-
deva qualsiasi carica, anche modestissima, pur di essere esentati dal servizio al
lavoro coatto.
A qualcuno non si poté dire di no. Così dal 20 ottobre a Natale venne se-
gretamente ospitato il giovane Pietro Provera (n. 1927), figlio dell’ingegnere
Angelo Provera,76 benefattore della casa salesiana di Mirabello Monferrato
(Alessandria), in intima amicizia con don Ricaldone. Poiché non c’erano ca-
mere libere, il salesiano laico Mario Coppo (n. 1915) gli cedette la propria e
andò a condividere quella del confratello Giacomo Pagliassotti (1907-1987).
Il 1° gennaio 1944 fu la volta del capitano di corvetta e (dal 1838) ufficiale
d’ordinanza del Principe del Piemonte, Giovanni Cantù. A lasciargli la stanza
questa volta fu lo sfollato don Lorenzo Del Favero (1905-1986) che si al-
loggiò con don Carlo Marchisio (1906-1981).77
Qualche giorno dopo la domanda di ospitalità venne avanzata da un per-
sonaggio di grande prestigio e amico dei salesiani: l’ottuagenario ammiraglio
Paolo Thaon di Revel (1859-1948), già capo di stato maggiore della Marina
dal 1913, senatore dal 1917, duca del mare nel 1923, ministro della marina
dal 1922 al 1926. I salesiani della comunità erano disposti a cedergli una
stanza, ma il Governatorato del Vaticano oppose un netto rifiuto. Interpellato
allora il vicario del Rettor Maggiore, don Berruti, la risposta fu positiva, con-
siderata l’età avanzata del personaggio e il suo bisogno di assistenza. Il 24
gennaio, dopo la visita a S. Pietro, passando per la scala di Costantino, giunse
fino all’appartamento dei salesiani, dove don Fedel gli diede il benvenuto.
L’ammiraglio, così come il conte, rimase con i salesiani fino al 6 giugno.
Una foto ricordo lo ritrae il 10 giugno 1944 assieme alla moglie.78
75 Le guardie palatine da poche centinaia nel 1942, giunsero a 4.000 nel dicembre 1943,
di cui oltre 400 di origine ebraica; anche se la maggior parte di loro risiedevano fuori delle
mura vaticane, erano però tutti forniti del lasciapassare vaticano, che li metteva al riparo dalla
cattura dei tedeschi: cf E. P. LAPIDE, Roma e gli ebrei. L’azione del Vaticano a favore delle vit-
time del Nazismo. Milano 1967, p. 191. Il 6 novembre 1943 il papà aveva deciso l’assunzione
di ben 1500 nuove guardie palatine: ASC 785 Città del Vaticano, Cronaca.
76 È lo stesso ingegnere che nel luglio 1944 raccomandò il latitante Amilcare Rossi,
sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei ministri dal 6 febbraio 1943, a don Virginio
Battezzati perché lo accogliesse nella casa presso le Catacombe di S. Callisto, dove invero
trovarono sicuro anche altri ricercati: v. Appendice I.
77 Fu lo stesso don Del Favero a portare il Cantù in Vaticano, nascosto sotto le valigie
accatastate nella sua Topolino: cf Marco BONGIOANNI, Don Bosco in Vaticano. Roma, Poli-
glotta vaticana 1990, p. 134.
78 Il 5 giugno 1944 il Cantù e il Thaon di Revel si incontrarono con don Berruti com-
mossi e riconoscenti: Don Pietro Berruti…, p. 455. Il duca rimase sempre in relazione con i sa-

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Salesiani a Roma durante l’occupazione nazi-fascista 239
Un episodio degno di memoria fu anche quello della liberazione dal car-
cere del generale d’artiglieria Amedeo Oreste Fumero.79 Dalla fine di set-
tembre 1943 si trovava in carcere a Regina Coeli. Don Fedel, dietro richiesta
del fratello colonnello, promise un suo diretto interessamento. Tentò una
prima volta il 10 novembre 1943, ma passò tutta la mattinata nella sala d’a-
spetto di palazzo Braschi, all’epoca sede della ricostituita federazione romana
del partito fascista repubblichino. Vi ritornò il giorno dopo e poco prima di
mezzogiorno fu ricevuto da uno dei responsabili del fascio romano, Gino
Bardi. «L’animo mio è agitato ma invoco D. Bosco e Maria Ausiliatrice e
vado innanzi. L’impressione è buona. Chiede benignamente cosa voglio. Alla
richiesta del Gen. Fumero scatta dichiarandosi disposto a qualunque cosa
fuorché al Generale Fumero», scrive don Fedel.80
Il Bardi era convinto che il generale fosse stato il capo dell’opposizione
antifascista nel Ministero per cui lo tratteneva in prigione. Però dopo 40 minu-
ti di colloquio cambiò idea e ne ordinò l’immediata scarcerazione. Don Fedel,
all’espressione di commiato del Bardi: «È contento? L’ho fatto per Lei Sacer-
dote», gli espresse la sua soddisfazione ma, guardandolo negli occhi, non poté
trattenersi dall’aggiungere: «Federale, verrà il giorno che anche Lei avrà biso-
gno. Se potrò fare qualche cosa sarò lieto d’essere Sacerdote anche per Lei».81
Non ne ebbe forse il tempo, dal momento che due settimane dopo – ed
esattamente sabato 27 novembre – reparti tedeschi e gli stessi agenti della PAI
(Polizia Africana Italiana) fecero irruzione nel palazzo, liberando un conside-
revole numero di persone ivi tenute in stato miserevole e arrestando una qua-
rantina di fascisti, compreso il Bardi, che venne trasferito al nord Italia.
Conferma dell’episodio si trova pure in altri diari. Si legge in data 30
novembre 1943 di uno di essi:
«Di certi soprusi consumati la dentro mi ha dato oggi contessa [sic] don
Fedel, che sovraintende alla Tipografia Poliglotta Vaticana. Egli nei
giorni scorsi ha avuto un colloquio con Bardi; in conseguenza della sua
perorazione ha ottenuto la libertà per il generale Fumero detenuto da una
cinquantina di giorni. Il Fumero era vittima personale del Bardi, il quale
addebitava al generale certo trattamento energico nei suoi confronti du-
rante il periodo badogliano, allorché Bardi aveva voluto ripristinare non
so in quale ufficio i simboli fascisti; don Fedel, che è un degno figlio di
don Bosco, ebbe più fortuna di padre Cristoforo con don Rodrigo e ot-
lesiani e con don Ricaldone in particolare. Del 5 luglio 1949 ad es. è una lettera dal paese di
Ternavasso (Torino) per ringraziare degli auguri onomastici inviatigli e per scusarsi della
sua dimenticanza di non aver fatto altrettanto qualche giorno prima per la festa di S. Pietro:
F. RASTELLO, Don Pietro Ricaldone…, p. 366.
79 Altro amico e benefattore dei salesiani della Poliglotta. Il 28 agosto 1943 era stato
da loro a pranzo: cf ASC Città del Vaticano, Cronaca, 29 agosto 1943.
80 Ivi, 11 novembre 1943.
81 Ivi, 11 novembre 1944.

3.4 Page 24

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240 Francesco Motto
tenne la liberazione del generale perché Bardi non si è dimostrato insen-
sibile alle parole di un sacerdote di Cristo».82
Infine non meno degna di nota è la collaborazione dei salesiani della Poli-
glotta all’intenso traffico di autocarri biancogialli tra Centro Nord Italia e Ro-
ma, per provvedere al vettovagliamento della città, nella quale la situazione ali-
mentare si andava facendo sempre più pesante e molti poveri riuscivano a so-
pravvivere solo grazie alle minestre preparate dalle mense vaticane. I convogli
erano identificabili dai colori pontifici, ma non erano garantiti al punto da non
essere scambiati per colonne tedesche dall’aviazione alleata. Non mancarono
vari morti fra gli autisti. Fra gli accompagnatori più assidui di tali pericolosi
viaggi umanitari ci fu don Carlo Marchisio, l’amministratore della Poliglotta.
Decine i suoi viaggi a Milano, Torino, Firenze, Trevi, Castelli Romani, Anzio,
Napoli, dalla fine di gennaio al giugno 1944 e anche dopo il ritiro dei tedeschi.83
Procura salesiana di via della Pigna
La casa salesiana della Procura, in vicolo della Minerva n. 51, era un pic-
colo isolato a tre piani, comprendente uffici, piccola chiesa e due camere. Vi
erano annessi tre appartamenti di una casa attigua, presa in affitto, con una
dozzina di stanze. Dal 1924 il Procuratore era don Francesco Tomasetti (1868-
1953), coadiuvato da don Pasquale Angelini (1897-1983), segretario generale
della Procura, da don Giovanni Trione (1870-1956) addetto ai rapporti coi mi-
nisteri. Inoltre vi erano i salesiani laici Lamberto Lama (n. 1912) e Alfonso
Merlino (1900-1986). D’Alessio Lamberto (1882-1964) era il bibliotecario.
Grazie alla notevole personalità di don Tomasetti la Procura salesiana
aveva una sua importanza nella Roma dell’epoca. Scrisse il Rettor Maggiore,
don Renato Ziggiotti
«Al di sopra delle divergenze ideologiche e politiche, uomini di Chiesa e
di Governo, Vescovi, Cardinali, Religiosi eminenti di vari Ordini, Parla-
mentari e Pubblicisti, esponenti di varie correnti di pensiero e di azione
trovavano alla Procura nella accogliente ospitalità e nella spiccata perso-
nalità di D. Tomasetti il punto di convergenza per la soluzione di vertenze
e di situazioni difficili che altrove non avevano potuto essere risolte».84
82 Carlo TRABUCCO, La prigionia di Roma. Diario dei 268 giorni dell’occupazione
tedesca. Roma, 1944, p. 113.
83 La situazione alimentare era grave anche per i salesiani di Roma, se don Tomasetti
chiese alle autorità vaticane il trasporto da Pesaro sui loro camion della carne macellata di due
suini di sua proprietà: ASC D 555 Tomasetti-Bonelli (commendatore), 10 febbraio 1944.
84 Lettera mortuaria in ASC C 440.

3.5 Page 25

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Salesiani a Roma durante l’occupazione nazi-fascista 241
Ulteriore conferma si può reperire in due note informative della Polizia
politica:
«Don Tomasetti “è tenuto in molta considerazione nelle alte sfere vaticano-
religiose, anche perché è una autorità … tipo Padre Tacchi Venturi, ed è
molto in buon rapporto con le alte Gerarchie del regime e dello Stato […]
È in ottimi rapporti con l’attuale pontefice, il quale gli affida incarichi di fi-
ducia. Spesso Don Tomasetti è intrattenuto fino a tarda notte dal Papa. Sa-
cerdote piissimo, tiene esemplare condotta. È anche assai erudito […]”.85
È “una specie di ambasciatore privato che agisce tra il Vaticano e il Pa-
lazzo del Governo in Piazza Venezia” 86».
In costante comunicazione con autorità vaticane per motivo di carattere
religioso, e in buoni rapporti per ragioni di ufficio e per via di amicizia con
alcuni esponenti del regime, fra i quali non mancavano ex allievi salesiani,87
don Tomasetti aveva dunque la possibilità di raccogliere facilmente informa-
zioni e richieste da entrambi le parti e di farne quell’uso che ne credeva.88
Così ad esempio, il giorno immediatamente successivo al crollo del Fa-
scismo, don Tomasetti ebbe un colloquio col Federzoni e la mattinata del 27
luglio era già in grado di personalmente comunicare al papa tutti i particolari
della riunione del Gran Consiglio, gli avvenimenti immediatamente prece-
denti e successivi, la situazione di Mussolini al momento, le prospettive del
nuovo ministero, che definiva «di transizione», la minaccia tedesca di «met-
tere a sacco l’Italia».89 Il 7 agosto poteva riferire al Rettor Maggiore che i Te-
deschi avevano intenzione di discendere in Italia sia per attrarre nella valle
del Po gli Anglo-Americani e colà assalirli e sconfiggerli, sia per liberare
Mussolini e rimetterlo al governo. E aggiungeva, forse per esorcizzare l’in-
combente pericolo: «Se ciò si avverasse, dovremmo esclamare: Povera Italia.
Povera Monarchia! E anche povera Chiesa!… L’Italia sarebbe teatro della più
85 ACS DPP Fasc. Persone, Tomasetti Francesco, rapporto 5 settembre 1937.
86 Ivi, 5 gennaio 1940.
87 Fra questi ultimi si colloca lo stesso Mussolini, il maresciallo dell’aria Italo Balbo, i
ministri e membri del Gran Consiglio Edmondo Rossoni e Gaetano Polverelli (allievo di don
Tomasetti) e altri. Mussolini aveva trascorso due anni nel collegio di Faenza, del quale però
conservava penosi ricordi: cf RENZO DE FELICE, Mussolini il rivoluzionario 1883-1920. Torino,
Einaudi Tascabili 1995, pp. 11-13.
88 Il 26 settembre 1939 chiese al papa, su richiesta di alte autorità dello Stato, «di voler di-
re o far dire una parola di compiacimento a S. E. Galeazzo Ciano alla cui energia illuminata
(corsivo in originale) si deve – dopo Dio – se l’Italia non è entrata in guerra». Sei mesi prima
dell’entrata in guerra dell’Italia riferiva la propria impressione che «sia la Corona come il Parti-
to sarebbero d’accordo, nel designare come successore eventuale del Duce, il conte Galezzo
Ciano». Nel settembre 1940 poi il papa aveva comunicato a don Tomasetti il suo compiacimen-
to per i buoni rapporti che all’epoca correvano fra lo Stato Italiano e il Vaticano e il suo deside-
rio, a fine guerra, di avere un colloquio col duce: ASC D 554 Lett. Tomasetti-Ricaldone, passim.
89 ASC D 555 Lett. Tomasetti-Ricaldone, 27 luglio 1943.

3.6 Page 26

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242 Francesco Motto
orrenda carneficina e il Re e il Papa, secondo il desiderio del Capo del Partito
Razzista e di Farinacci, il quale si è rifugiato in Germania, dovrebbero essere
presi in ostaggio! Immagini il terrore, specialmente dei fascisti dissidenti, che
votarono contro il Duce. Stanno prendendo precauzioni per salvare le loro fa-
miglie».90 Altre udienze pontificie don Tomasetti le ebbe il 19 novembre
1943,91 il 14 dicembre 1943,92 ai primi di marzo 1944 ecc. In quest’ultima il
papa lo aveva invitato a venirlo a trovare spesso.93
Alla Procura salesiana era stato più volte ospite a pranzo il card. Eu-
genio Pacelli (col nipote principe Carlo, consigliere generale dello Stato della
Città del Vaticano),94 e con lui nel marzo 1939 vi erano stati, fra gli altri, i ge-
rarchi Federzoni e Rossoni.95 Proprio tramite il principe Carlo Pacelli don To-
masetti il 19 aprile 1944 farà pervenire al papa l’elenco di «quegli infelici che
furono prelevati dal carcere di Regina Coeli per essere mitragliati nelle are-
narie vicine alle Catacombe di S. Callisto».96
Pure mons. Giovanni Battista Montini, sostituto della Segreteria di
Stato, aveva a volte utilizzato il salone della Procura per le riunioni della
FUCI; di casa da don Tomasetti erano il card. Vincenzo La Puma, Protettore
dei Salesiani, e il suo successore, il card. Carlo Salotti.
Qualche familiarità il Procuratore salesiano l’aveva anche con la fami-
glia di Mussolini. La sorella, Edvige sposata Mancini, era una sua abituale
confidente. All’epoca in cui la figlia, Maria Teresa, chiese allo zio Benito di
aiutarla ad ottenere il consenso della madre contraria al suo matrimonio con il
conterraneo dottor Clemente Boccherini, lo stesso Mussolini l’avrebbe invi-
tata a chiedere l’intervento di don Tomasetti, il quale riuscì ad avere il con-
senso di Edvige.97 La celebrazione del matrimonio, previe strette misure di si-
curezza data la presenza di ministri, sottosegretari, governatore di Roma, se-
gretario federale, segretario politico e una larga rappresentanza del Corpo di-
plomatico – non mancò il telegramma del papa Pio XI, che mandò la sorella
90 Ivi, 7 agosto 1943.
91 Ivi, 19 novembre 1943.
92 ASC B 4940230 Roma-Procura. Appunti, Minute, Promemoria.
93 ASC D 555 Lett. Tomasetti-Ricaldone, 8 marzo 1944.
94 Testimonianza rilasciata a chi scrive dal salesiano Lamberto Lama.
95 ASC D 555 Lett. Tomasetti-Ricaldone, 29 marzo 1939.
96 Le Saint Siège et les victimes de la guerre. Janvier 1944 - Juillet 1945 [= Actes et
documents du Saint Siège relatifs à la seconde guerre mondiale,10]. Libreria Editrice Vaticana
1989, p. 239. Il Tomasetti si riprometteva di inviare l’elenco dei giustiziati prelevati dal carcere
di via Tasso appena gli fosse pervenuto.
97 Testimonianza di Lamberto Lama, che ricorda d’aver accompagnato personalmente i
due giovani da don Tomasetti. Al dire di De Felice, le due uniche persone che potevano parlare
al duce «senza peli sulla lingua» erano proprio la sorella Edvige e la figlia Edda: cf Renzo DE
FELICE, Mussolini l’alleato. 1. L’Italia in guerra 1940-1943. Tomo secondo. Crisi e agonia del
regime. Torino, Einaudi Tascabili, saggi 1996, p. 1073.

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Salesiani a Roma durante l’occupazione nazi-fascista 243
e la nipote – ebbe poi luogo il 16 febbraio 1935 nella chiesa salesiana del
S. Cuore. Fra i testimoni il ministro plenipotenziario e capo dell’ufficio
stampa, Galeazzo Ciano, cugino della sposa e lo stesso Mussolini che al ter-
mine della cerimonia non mancò di esprimere la sua soddisfazione per l’o-
melia filofascista del parroco, don Giovanni Brossa.98
Quanto alla famiglia reale almeno due volte il principe Umberto venne a
Messa e a colazione alla Procura in occasione della festa di S. Giovanni
Bosco. Invero da molti anni il principe era in affettuosa relazione con i sale-
siani,99 ne aveva visitato spesso le opere e aveva presenziato in S. Pietro alla
canonizzazione di don Bosco in rappresentanza del Re. Pure la regina madre,
Margherita, riceveva talvolta al Quirinale don Tomasetti,100 che per ovvi mo-
tivi vi entrava sempre da porte secondarie.
La posizione centrale della Procura salesiana – a poche centinaia di
metri da Piazza Venezia – non era certo adatta per grandi libertà di manovre,
tanto più che nelle vicinanze c’erano gli Alberghi della Minerva e di S. Chiara
occupati dai tedeschi. Ciononostante dal settembre 1943 al giugno 1944 e
anche successivamente diede rifugio ad alcuni giovani, chi per un mese, chi
per due e chi per molti di più.
I loro nomi sono noti solo in parte; 101 fra di essi spicca quello del diciot-
tenne Giorgio Giorgi, conterraneo di don Tomasetti.102 Durante l’occupazione
tedesca rimase nascosto alla Procura salesiana circa due mesi, dopo i quali la-
sciò il rifugio, contro il parere di don Tomasetti, per stare vicino alla madre
vedova. Disgraziatamente cadde in una retata dei tedeschi, fu rinchiuso nel
carcere di Regina Coeli e successivamente ucciso alle Fosse Ardeatine.
Altri giovani accolti alla Procura salesiana furono il ventottenne vicedi-
rettore di Banca Aldo Mazzanti, figlio dell’oste di via della Pigna, (il fratello
98 ASC D 555 Lett. Tomasetti-Ricaldone, 19 febbraio 1935.
99 Il Rettor Maggiore stesso era particolarmente ossequiente al principe Umberto, che ne ri-
cambiava l’amicizia. Sui loro rapporti prima e dopo il referendum istituzionale del 2 giugno 1946
cf F. RASTELLO, Don Pietro Ricaldone…, pp. 355-364. Anche fra Umberto (principe e successi-
vamente re) e don Tomasetti ebbe luogo regolare corrispondenza. Alla morte di questi, re Umber-
to inviò ufficialmente il ministro della Real Casa, Lucifero Falcone, come suo rappresentante.
100 ASC B 4940232 Lett. Tomasetti-Ricaldone, s. d. Un altro testimone fu Pier Giovanni
Ricci Grisolini, marito della sorella della sposa, Rosetta Mancini.
101 Benché molta documentazione relativa al nostro soggetto sia stata distrutta dal Pro-
curatore salesiano don Evaristo Marcoaldi, che non la ritenne importante ai fini della storia
della congregazione, tuttavia rimangono sufficienti prove documentarie, confermate da un te-
stimone qualificato, e in buona parte protagonista, Lamberto Lama, all’epoca provveditore,
cuoco, autista e uomo di fiducia del Procuratore.
102 La vedova Alma De Giorgi, nata Andreani, da Talamello di Pesaro era venuta ad abi-
tare a Roma, dove aveva chiesto a don Tomasetti di aiutarla a trovare un posto di maestra per la
figlia Giuliana: ASC B 496 Lett. Giorgi-Tomasetti, 28 novembre 1943: v. anche lett. del 26, 28
settembre 1943; abitava in via principe Eugenio n. 106.

3.8 Page 28

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244 Francesco Motto
più piccolo, Franco, faceva il chierichetto), il trentenne carabiniere Giovanni
Lama, fratello del suddetto salesiano, un membro della famiglia Pacelli, un
nipote della contessa Lepri, un avvocato ecc.
Essi restavano in casa tutto il giorno, giocando a carte, leggendo e dando
una mano in cucina. Qualche volta per brevi passeggiate lasciarono la Pro-
cura, vestiti con la talare, ma tale precauzione si rivelava insufficiente, in
quanto facilmente riconoscibili come falsi seminaristi per un comportamento
in pubblico non sempre adeguato al ruolo sacerdotale.103 Tanto più che un re-
sponsabile fascista della vicina zona del Teatro Marcello confidò al collega di
via della Pigna i suoi fondati sospetti sui salesiani della Procura. Ne ebbe una
risposta piuttosto brutale e perentoria: «So io quello che fanno ogni giorno i
Salesiani per i poveri del mio quartiere».104 Il riferimento era alle decine di
pasti gratuiti dati ai poveri della zona.105
Ospitalità e protezione a vari esponenti del fascismo
Ma accanto a tali rifugiati a rischio di cattura e di lavori coatti, alla
Procura salesiana trovarono per qualche tempo ospitalità due altri personaggi
ben più famosi, ma che correvano rischi non minori: si tratta dei due gerarchi
fascisti, Edmondo Rossoni (1884-1965) e Luigi Federzoni (1878-1967).
Il primo, romagnolo, già ex allievo salesiano di Torino, segretario della
Confederazione dei sindacati fascisti nel 1922, deputato, sottosegretario alla
Presidenza di Consiglio dal 1932 al 1935, ministro dell’Agricoltura e Foreste
fino al 1939, era in ottime relazioni coi salesiani. Su sua richiesta il 7 aprile
1938 don Ricaldone era stato insignito della Stella d’oro al merito agricolo; 106
due mesi dopo i salesiani avevano ricambiato la gentilezza ricevendolo con
tutti gli onori a Torino-Valdocco; il ministro aveva visitato successivamente
la scuola agricola di Cumiana (Torino), rimanendone ottimamente impressio-
103 È quanto ha tuttora ben presente Lamberto Lama a proposito di un pomeriggio in una
gelateria, nella quale i giovani che erano con lui, vestiti da seminaristi, con notevole disinvol-
tura cercarono di instaurare amicizia con ragazze colà presenti.
104 Testimonianza di Lamberto Lama.
105 Alla Procura si cercò comunque di sfuggire ad eventuale improvvisa irruzione di fa-
scisti o di tedeschi allestendo un nascondiglio sotto il pavimento della chiesa. Ad un particolare
colpo di campanello tutti i rifugiati dovevano rapidamente scendervi e rimanervi in perfetto si-
lenzio. Ricorda Lama come mentre al primo esperimento i tempi per nascondersi furono lun-
ghissimi – ci fu chi si attardò a mettere la giacca e la cravatta –; la seconda volta, tentata segre-
tamente dai salesiani, i tempi furono invece brevissimi. Ma soprattutto ciò che impressionò
tutti fu che al riemergere non c’era rifugiato che non fosse di un pallore mortale; uno aveva ad-
dirittura ritti i capelli in testa per il terrore suscitato dai passi cadenzati e pesanti, sul tappeto
della botola del pavimento della Chiesa, di supposti militari tedeschi.
106 ASC D 554 Lett. Ricaldone-Tomasetti, 8 aprile 1938.

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Salesiani a Roma durante l’occupazione nazi-fascista 245
nato e ripromettendosi di parlarne al duce.107
Membro del Gran Consiglio del fascismo, pur senza prendere la parola
nella famosa seduta del 25 luglio 1943 aveva votato l’“ordine del giorno
Grandi” contro Mussolini, e dovette nascondersi, prima ancora che il 10 gen-
naio 1944 venisse condannato a morte a Verona. Chiese ed ottenne di risie-
dere, nascosto, alla Procura salesiana: fece quasi vita comune con i salesiani,
prendendo anche i pasti con loro.108 Si allontanò dopo due o tre mesi, per ti-
more che qualche ragazzo del piccolo oratorio sottostante lo potesse vedere
affacciato alla finestra o che il continuo via vai di persone nella stessa Pro-
cura potesse suscitare qualche sospetto. Quella mattina, vestito della veste ta-
lare, si avviò al Vaticano accompagnato da Lama. Percorrendo via dei Coro-
nari si imbattè in una ronda tedesca. Cominciò a tremare come una foglia e ci
volle il coraggio dell’accompagnatore per tranquillizzarlo. In Vaticano lo ac-
colse un monsignore, ma non vi poté rimanere. La Santa Sede, pur ben infor-
mata dell’opera di ospitalità delle istituzioni religiose in Roma, non intendeva
compromettere la sua posizione ufficiale di neutralità accogliendo dentro le
sue mura personaggi di tale rilievo. Il Rossoni venne allora accompagnato in
altra casa religiosa, da dove successivamente riuscì a riparare all’estero.109
Anche un altro gerarca, Luigi Federzoni, già ministro dell’Interno, mini-
stro delle Colonie, senatore, presidente del senato dal 1929 al 1939, non era
estraneo alla società salesiana. Nell’estate 1937 nel corso di un viaggio in
Argentina e Brasile aveva visitato varie scuole salesiane rimanendone
vivamente impressionato. Si riprometteva di farne relazione al governo.110
Entusiasta anche del loro impegno scientifico-culturale, in qualità di presi-
dente dell’Accademia d’Italia due anni dopo aveva proposto don Alberto De
Agostini come Accademico d’Italia in sostituzione del defunto card. Pietro
Gasparri.111
Dopo l’8 settembre rimase nascosto in Roma, e in contumacia venne
condannato a morte dal tribunale di Verona per essersi schierato a favore
dell’“ordine del giorno Grandi”. Più volte nei mesi seguenti si sparse in Roma
la voce di un suo arresto e don Tomasetti ne riferiva puntualmente a don
107 Ivi, 7 giugno 1838.
108 Durante uno di essi seppe della condanna a morte da parte del tribunale di Verona
dalla radio. «Impallidì – ricorda ancor oggi Lama – si sentì venir meno e dovetti accompa-
gnarlo in camera sua».
109 Il 28 maggio 1945 venne condannato all’ergastolo, assieme a Bottai e Federzoni, dal-
l’Alta Corte di Giustizia. Ritornò in Italia nel 1947, dopo che la Cassazione aveva annullata la
condanna; non riprese però la vita pubblica. Rimase sempre riconoscente ai salesiani e appena
riacquistata la piena libertà inviò alla Procura salesiana alcune decine di bottiglie di ottimo vi-
no, nel ricordo del suo nascondiglio nella cantina della stessa Procura: testimonianza di Lama.
110 ASC D 554 Lett. Tomasetti-Ricaldone, 5 settembre 1937.
111 Ivi, 10 marzo 1939.

3.10 Page 30

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246 Francesco Motto
Ricaldone.112 Non venne però mai ospitato alla Procura di via della Pigna,
anche se il suo espatrio fu favorito dai salesiani don Angelini e Lama, i quali
lo accompagnarono all’aereoporto di Ciampino con passaporto a nome di
Luigi Melanzana e riuscirono a non farlo identificare grazie a qualche ritocco
estetico e a un gruppo di ragazzi dell’oratorio che contribuirono a distrarre il
personale addetto con i loro canti di saluto e di arrivederci.113
Un terzo gerarca, Giuseppe Bottai, insieme colpevole e vittima – ed in
quanto colpevole condannato sia dai fascisti che dagli antifascisti: dagli uni
perché aveva voltato le spalle a Mussolini il 25 luglio 1943, dagli altri perché
per troppo tempo si era ben guardato dal farlo – aveva avuto notevoli contatti
coi salesiani. Già sottosegretario di Stato, ministro delle Corporazioni, mini-
stro dell’Educazione Nazionale, nel 1938 aveva visitato con interesse le opere
salesiane di Torino; il 21 aprile 1940 dietro sua proposta don Ricaldone era
stato insignito della Stella d’oro al merito della scuola. Ovviamente Bottai co-
nosceva bene anche don Tomasetti, tant’è che questi il 20 febbraio 1943,
pochi giorni dopo che il ministro era stato sollevato dall’incarico,114 lo aveva
invitato a colazione alla Procura assieme al professore Nazareno Padellaro,
direttore generale dell’ordinamento medio al Ministero dell’educazione na-
zionale e grande amico dei salesiani. L’occasione era la presenza in città del
Rettor Maggiore e dell’Economo generale dei salesiani, don Fedele Giraudi.
Di tale colazione, cui era presente pure Federzoni, è rimasta traccia nel
diario di Bottai.115
«Presiede la mensa don Ricaldone, il quarto successore di don Bosco, un
vecchio piemontese del ’70 (“un anno – commenta con malizioso sorriso
– infausto alla Chiesa”: ma, come dire, che non ci crede, lui a queste
baggianate), alto, con un volto roseo, casto, da uomo dei campi. Quanto,
più tardi, mi racconta avere egli girato tra la Spagna e il Portogallo in
fermento, vestito in borghese, e che così gli pareva d’avere “una faccia
da mercante di bestie”, afferro in un tratto il carattere di quel volto sem-
plice e astuto, da rurale. Ma una furberia soffusa dal candor luminoso,
che ricorda un’anima fiduciosa.
112 ASC B 4940232 s. d. Tomasetti-Ricaldone.
113 Testimonianza di Lamberto Lama. Da Rio de Janeiro il 18 dicembre 1947 ringraziava
don Ricaldone dell’ospitalità ricevuta dai salesiani a Lisbona, a S. Paolo e a Goiana: ASC B
0760314. Rientrò in Italia dopo che la Cassazione nel 1947 ne aveva annullato la condanna. Al-
la notizia della morte di don Ricaldone, il 27 novembre 1951, scrisse al successore, don Renato
Ziggiotti: «Negli anni delle prove più dure per me e per la mia famiglia si manifestò interamen-
te la generosità illimitata del suo cuore di sacerdote e di amico. Nulla potrà mai cancellare dalla
memoria mia e dei miei il bene che avemmo, durante quegli anni, dai salesiani, secondo le soc-
correvoli intenzioni del Rettor Maggiore»: ASC B 0670229 Lett. Federzoni-Ziggiotti.
114 L’8 febbraio 1943 Carlo Alberto Biggini lo aveva sostituito dopo 7 anni al ministero
dell’Educazione Nazionale.
115 Cf GIUSEPPE BOTTAI, Diario 1935-1944, a cura di Giordano Bruno Guerri. BUR
Supersaggi 1997, pp. 362-363.

4 Pages 31-40

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4.1 Page 31

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Salesiani a Roma durante l’occupazione nazi-fascista 247
Ha viaggiato tutt’il mondo, da un capo all’altro, dall’uno all’altro mare. I
giudizi politici, che affiorano qua e là dal suo discorso, mirano più agli
uomini che ai sistemi e alle dottrine. Così il Portogallo, ch’egli conosce a
fondo, si riduce a un giudizio su Salazar: “il più grande – dice – dei dit-
tatori”; e quel comparativo sospeso è pieno di altri giudizi.
La dimestichezza con le sacre scritture dà a questi uomini di Chiesa un
parlar sentenzioso, spesso efficace. Qualcuno dice che è troppo presto,
oggi, parlare di pace; e lui: “Era troppo presto il primo giorno della guer-
ra, è troppo presto oggi. Era troppo tardi allora; è troppo tardi, oggi”.
Girano, lui e i suoi compagni, intorno alle cose attuali d’Italia con destra
prudenza: e si sente delusa la simpatia da loro concessa al Fascismo, e,
più ancora, al suo Capo».
Il giudizio del Bottai su don Ricaldone dunque non si distaccava eccessi-
vamente dai precedenti rapporti dei confidenti della Polizia politica, che una
prima volta, nel settembre 1939, riportava le espressioni medesime del superio-
re generale salesiano: «se l’Italia potrà rimanere veramente estranea alla “guer-
ra tedesca” il nome di Mussolini sarà portato al settimo cielo, da tutti quanti, an-
che da coloro che ne discutono la politica, perché il posto dell’Italia dovrebbe
essere contro la Germania e i Soviety»; 116 e una seconda volta, alcuni mesi
dopo ma sempre prima dell’entrata dell’Italia in guerra, si limitava a riferire:
«Fa buon viso al Fascismo, ma con varie riserve circa tanti punti di vista».117
Il 24 luglio dunque – vigilia del crollo del fascismo! – dichiarando senti-
menti di «filiale sincera devozione» il Bottai mandava a don Tomasetti «carte
e documenti personali, di nessuna compromissione, ma essenziali per even-
tuali documentazioni» e gli chiedeva di comunicargli quando poteva inviargli
«un baule di oggetti d’uso».118 La risposta, positiva, di Don Tomasetti dovette
essere accompagnata da parole affettuose, consolanti e comprensive, se lo
stesso Bottai si sentì in dovere di confidargli l’11 agosto per lettera il proprio
stato d’animo del momento e la riscoperta della fede in Dio.119
Fatto arrestare da Badoglio nell’agosto 1943 e liberato in settembre
quando i tedeschi avevano già occupato Roma, mentre i fascisti lo cercavano
per alto tradimento, nella latitanza lo raggiunse nel gennaio 1944 la condanna
a morte del tribunale «repubblichino» di Verona (e nel maggio 1945 quella al-
l’ergastolo dell’Alta Corte di Giustizia dell’Italia liberata per le sanzioni
contro il fascismo). Non chiese però mai di essere nascosto dai salesiani;
116 Polizia Politica, Fasc. Persone, Ricaldone Pietro rapporto 19 settembre 1939.
117 Ivi, rapporto 27 febbraio 1940.
118 ASC B 4950277 Lett. Bottai-Tomasetti. Mentre tale baule rimase alla Procura sale-
siana solo pochi giorni, «i due plichi di carte» vi restarono fin dopo la liberazione di Roma, dal
momento che il Bottai mandò a ritirarle solo il 14 luglio 1944: ASC B 4970280 Lett. Bottai-
Tomasetti.
119 ASC B 4950279 Lett. Bottai-Tomasetti, ed. in Appendice II.

4.2 Page 32

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248 Francesco Motto
visse comunque nascosto in varie parti di Roma, prima di arruolarsi nell’e-
state 1944 nella legione straniera.120
Chi invece nel marzo 1944 chiese protezione da don Tomasetti e la ebbe,
sia pure non nella sede della Procura, fu Giuseppe Attilio Fanelli, consigliere
nazionale, già arrestato e poi liberato.121 Don Tomasetti nell’estate 1944 ebbe
pure modo di interessarsi per la salvezza dell’ex allievo maceratese Gaetano
Polverelli (1886-1960), ministro della cultura popolare dal febbraio 1943, che
però il 25 luglio aveva votato contro l’ordine del giorno Grandi, come pure
del figlio Wolfango, ex carabiniere, entrambi già agli arresti in via Tasso.122
Alla Procura salesiana furono numerosi anche coloro che chiesero infor-
mazioni e conferme circa i nascondigli segreti dei suddetti esponenti del fa-
scismo; don Tomasetti, ovviamente, sapesse o no, mantenne sempre il se-
greto. Il 4 marzo 1944 ad esempio il noto padre gesuita Pietro Tacchi Ventura
gli comunicò che siccome i tedeschi sapevano dove si era rifugiato Federzoni,
conveniva avvertirlo perché pensasse a ritirarsi altrove. Don Tomasetti ri-
spose che non sapeva dove fosse nascosto, perché aveva tenuto sempre ad
ignorare i rifugi dei vari ricercati.
E la massima riservatezza venne mantenuta da don Tomasetti anche
dopo la liberazione per qualche altro «ricercato» meno famoso. Ne è testi-
mone don Giuseppe Ghiandoni che recandosi alla Procura nel giugno 1945
per chiedere a don Pasquale Angelini una cortesia in occasione della sua
prima messa (16 luglio 1945), vide alcuni «preti», la cui tonaca non riusciva
a nascondere belle capigliature impomatate e tratti non proprio sacerdotali.
Ovviamente solo molto tempo dopo venne a conoscenza che si trattava di
perseguitati politici, colà nascosti.123
Dunque è pienamente conforme a verità quanto l’«Osservatore Ro-
mano» scrisse in occasione della morte di don Tomasetti:
«Quella scala a chiocciola che minacciava il capogiro tanto sale erta,
stretta, violenta, ha visto passare una moltitudine: dalle persone più alte
e qualificate – cardinali, uomini politici, docenti, funzionari, prelati, uo-
mini d’affari, vescovi, missionari di ogni parte del mondo – alla più
umile gente carica di affanni che saliva leggera sulle ali di una speranza
che non andò mai delusa […].
Qui il discorso si avvierebbe naturalmente sul tema dell’ospitalità che
egli praticò larga, avveduta, per gli umili come per i grandi, a favorire
incontri, a studiare persone, a conciliare l’inconciliabile […].
120 Rientrò in Italia a fine ingaggio nel 1948 dopo che anche per lui nel 1947 la Cassa-
zione aveva annullata la condanna all’ergastolo; non riprese però la vita pubblica.
121 Gli aveva chiesto di poter essere accolto come impiegato senza stipendio in Vaticano.
122 ASC B 4970167 Lett. Montini-Tomasetti, 28 luglio 1944.
123 Cf Lettera del Ghiandoni al redattore di queste note, da Roma, in data 12 febbraio 1997.

4.3 Page 33

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Salesiani a Roma durante l’occupazione nazi-fascista 249
Quando nelle tragiche circostanze che tutti ricordano si trattò di salvare
delle vite umane, i tre angusti piani della Procura parvero moltiplicare lo
spazio, miracolosamente. La casetta divenne un alveare. Nessuno se ne
accorse. Dentro, nessuno sapeva dell’altro. Di lì, parecchi trovarono, per
don Francesco la via a mettersi in salvo oltre oceano.
La cronaca fiorì di episodi tragici andati a buon fine, per la sua sollecita
tempestiva carità avveduta; per la sua oculata prontezza nel saper preve-
nire e provvedere […] ma don Francesco […] non ebbe mai la debolezza
di un vanto. Restava sempre lui: umile, dimesso, buono, furbo la sua
parte».124
Conclusione
Delineare completamente il quadro di quella che, anche per i salesiani di
Roma, per usare l’espressione di Giovagnoli,125 si potrebbe classificare come
«assistenza spontanea» proprio per il suo carattere improvviso, nascosto,
frammentario, è praticamente impossibile, vuoi per la comprensibile carenza
di completa documentazione, vuoi per la segretezza che sempre hanno mante-
nuto molti protagonisti e vuoi anche per una precisa scelta dei superiori del
Consiglio Generale, per lo meno per un certo periodo di tempo: 126 «Non si
danno e non si desiderano tali pubblicità»; 127 «Il Capitolo è contrario a questa
pubblicità e non vuole che sia fatta».128
Anche se il contributo delle opere salesiane in Roma dovette essere più
vasto e articolato di quanto siamo riusciti a presentare, ciononostante presu-
miamo di averne offerto un saggio sufficientemente ampio e sicuro.
La loro attività consistette dunque in numerosi gesti di solidarietà verso
la popolazione duramente colpita dagli eventi militari: accoglienza di ragazzi
orfani e sinistrati, assistenza materiale e morale alle famiglie, protezione logi-
stica e sostegno economico ad ebrei, a soldati sbandati, a renitenti alla leva, a
124 «Osservatore Romano», 6 maggio 1953.
125 Cf Agostino GIOVAGNOLI, Chiesa, assistenza e società a Roma tra il 1943 e il 1945,
in Nicola Gallerano (a cura di), L’altro dopoguerra. Roma e il sud. 1943-1945. Milano, Franco
Angeli 1985, pp. 221.
126 Invero negli anni 1946-1947 la rubrica «Apostolato ed eroismo di carità sotto la bu-
fera» del «Bollettino Salesiano» riporterà mensilmente un breve resoconto delle opere com-
piute dai salesiani nelle loro case, sulla base delle informazioni pervenute a Torino a seguito di
precise richieste del Consiglio Superiore: v. sopra nota 5.
127 Così si legge nel verbale del Consiglio superiore nel luglio 1945 in risposta ad un
giornalista che aveva chiesto di fornire appunti e dati per articoli da pubblicarsi sulle beneme-
renze dei salesiani verso israeliti colpiti da leggi razziali o comunque bisognosi di aiuto: ASC
D 874 Verbale delle riunioni capitolari, p. 275.
128 Ivi, p. 284s; ovviamente tale riservatezza si doveva estendere ad ogni altra forma di
intervento: «Qualche cronista di giornale ha chiesto informazioni per parlare del bene operato
dai salesiani o favore di paesi o persone salvate o aiutate nei rivolgimenti politici recenti».

4.4 Page 34

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250 Francesco Motto
giovani a rischio di lavoro coatto, sporadica partecipazione al movimento
di resistenza.
Presentati gli indiscutibili dati di fatto, non rimane che addentrarsi nella
loro lettura per chiedersi quali siano state le motivazioni interiori di tale ope-
rato, per domandarsi come i direttori salesiani – che avevano la responsabilità
delle case e la cui azione di soccorso veniva tenuta nascosta, per motivi di
prudenza, agli stessi confratelli – abbiano percepito gli eventi romani, per in-
terrogarsi con quale stato d’animo tutti i salesiani abbiano affrontato la critica
situazione.
La chiave di lettura della loro azione, proprio perché portata avanti da
persone non particolarmente progressiste, anzi continuamente (e per obblighi
costituzionali) espressamente invitati ad astenersi da ogni forma di impegno
politico, fu decisamente quella religiosa, per non dire, spesso, di pura carità.
Ciò non significa però che la partecipazione ai drammi delle vittime delle per-
secuzioni tedesche e fasciste non li abbia portati inevitabilmente a maturare un
crescente atteggiamento di condanna nei confronti dei persecutori, ad opporsi
alla violenza, e pertanto alla consapevolezza di dover rispondere, in un mo-
mento così drammatico, alle immediate esigenze della popolazione più in dif-
ficoltà, al di là della fede religiosa o della scelta politica.129 «La città è invasa
dai profughi […] la miseria è immensa. Tutti chiedono e non si può rifiutare.
Questi sono i momenti nei quali la Chiesa ed il Clero deve farsi onore» si leg-
ge nella cronaca salesiana della Poliglotta vaticana il 2 marzo 1944.
Dunque gente illustre, meno illustre, povera, poverissima, benestante,
ricca, impegnata politicamente o no fu salvata e aiutata a vivere, nelle case
salesiane, durante i difficili mesi di «Roma città aperta». Anche questa si può
dunque configurare come una sorta di Resistenza, una Resistenza civile, che è
anzitutto, rifiuto della violenza, amore del prossimo, servizio a chi soffre,
lotta contro la dissoluzione sociale e contro chiunque minacci il diritto umano
primario della vita, carità spesa quotidianamente in tanti gesti minuti, nei
quali era però sempre compresa una dose di rischio.130
Si tratta di un dato storico incontrovertibile. Prova ne sia che le stesse
prevalenti motivazioni ispirarono, sia durante l’occupazione tedesca di Roma
sia a liberazione avvenuta, l’accoglienza concessa nelle case salesiane ai cit-
tadini perseguitati dal nuovo regime fascista imposto dai tedeschi, a coloro
che Mussolini voleva colpire come fascisti traditori, a quelli che un tempo
erano stati fascisti ma non intendevano mettersi col nuovo fascismo collabo-
129 Vedi anche F. MOTTO, Storia di un proclama. Roma, LAS 1995, pp. 52-54.
130 Ivi; sulla resistenza non violenta si veda una sintesi in G. GIANNINI, La nonviolenza nel-
la Resistenza in AA.VV., Passato e Presente nella Resistenza. 50° anniversario della Resisten-
za e della Guerra di Liberazione. Roma, Presidenza del Consiglio dei Ministri 1994, pp. 162-168.

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Salesiani a Roma durante l’occupazione nazi-fascista 251
razionista, in una parola, alle persone compromesse in qualche modo col re-
gime. La carità non poteva avere bandiere e il prepotente di ieri era diventato
il disperato di oggi, dunque, una persona bisognosa di misericordia sacerdo-
tale e da riportare, possibilmente, alla conversione del cuore. Lo riconobbero
gli stessi «rifugiati»:
«Durante l’occupazione tedesca, don Virginio Battezzati aveva dato
ospitalità a diecine e diecine di perseguitati politici e di militari ricercati
in forza dei bandi della Repubblica Sociale. Trovava altrettanto giusto
continuare ora quella buona norma, accogliendo con lo stesso spirito
cristiano chi facesse appello a lui per sfuggire alla nuova persecuzione,
non meno ingiusta e inumana, che si rivestiva di forme legali. Egli ne
traeva anzi occasione per condurre o ricondurre a Dio, come esattamente
intendeva e si esprimeva, quelle persone del secolo che la Provvidenza
portava sulla sua strada».131
Del resto tali erano le indicazioni pubbliche che venivano date agli am-
bienti ecclesiastici dalla Santa Sede: «In una casa di un prete romano catto-
lico può andare chiunque (anche contrario alle sue idee) e può trovarvi un
letto e un pane».132 A simili linee di comportamento, la cui fonte ufficiale è
difficile da identificare anche per l’esigenza di non fissarle sulla carta, fa
cenno involontario, mezzo secolo dopo, mons. Faresin quando dal Brasile
scrive al fratello don Giovanni: «Tu sai quanto ho cercato di fare durante la
guerra e non volevo che se ne parlasse più, ma quando meno me l’aspettavo,
è venuta fuori la storia e così il Signore sarà glorificato: abbiamo accolto l’or-
dine di Pio XII: “Salvare i Giudei”, anche a costo di sacrifici e pericoli».133
Ed è lo stesso Faresin, che testimonia come era prassi per lui incontrarsi nella
chiesa di S. Anna in Vaticano con mons. Giovanni Montini, per trasmettere
informazioni, notizie e ricevere ordini e anche denaro per gli ebrei.134
Alla Santa Sede faceva ovviamente eco il Rettor Maggiore, il quale, a
fronte delle tragedie che i salesiani esperimentavano sulla propria pelle in
Italia, in Europa e nel mondo – centinaia di case colpite, oltre 200 salesiani
morti nei soli primi tre anni di guerra, decine e decine chiusi in campi di in-
ternamento – non mancava di sostenere i salesiani di Roma e del Lazio 135 con
continue sollecitazioni spirituali nei momenti più difficili. In occasione del S.
131 Amilcare ROSSI, Figlio del mio tempo. Prefascismo - Fascismo - Postfascismo.
Roma, Romana Libri alfabeto, 1969, p. 331.
132 «Osservatore Romano», 30 dicembre 1943, p. 166.
133 [G. FARESIN], Da Maragnole a Guiratinga…, p. 161.
134 Testimonianza orale rilasciata a chi scrive dallo stesso nell’agosto 1994.
135 Non si deve qui dimenticare che quasi tutte le case del Lazio (Castelgandolfo, Civita-
vecchia, Frascati, Genzano, Lanuvio, Littoria, Grottaferrata…) avevano subito danni più o
meno gravi.

4.6 Page 36

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252 Francesco Motto
Natale scriveva all’ispettore don Berta: «Esorta i confratelli a slanciarsi in
tutti i modi nell’apostolato per aiutare il più possibile la gioventù povera e il
popolo: datevi attorno in tutti i modi […] Coraggio: niente vi turbi: pregate
molto. Insisti perché tutti siano profondamente compresi della loro grande re-
sponsabilità».136 E direttamente a tutti i salesiani allorché la situazione di
Roma si fece sempre più grave, con la maggiore oppressione tedesca, la man-
canza di risorse, lo spettro della fame, le perquisizioni, scriveva:
«Fatevi coraggio anche voi. Moltiplicatevi nelle espiazioni, nella carità
specialmente in favore del popolo, degli operai, dei giovani più poveri e
abbandonati. Moltiplicate il lavoro di sana propaganda [...] Rasserenate
gli spiriti: insistete perché ognuno senta sempre più forte il dovere del la-
voro, del sacrificio, della espiazione. Rendete più ardente e vivificate di
Fede la pietà».137
Le sofferenze e i drammi della popolazione non costituirono però solo
un appello ad un impegno umanitario percepito dai salesiani come gesto natu-
rale e dovuto – il noto «abbiamo fatto solo il nostro dovere»138 – diventarono
anche uno stimolo ad un recupero della loro identità e spiritualità, a una rin-
novata fioritura operativa, senza con ciò rinunciare all’indispensabile linea di
cautela e di prudenza, indispensabile per non compromettere la comunità sa-
lesiana e la sua missione educativa in quei difficili momenti. Così ancora il
Rettor Maggiore durante i primi mesi del 1944:
«Fatevi coraggio: ricordate le raccomandazioni fatte altre volte. Prodiga-
tevi in favore dei poveri, degli operai, dei giovani. Prestate qualsiasi mis-
sione di cui siate richiesti per il bene delle anime, anche con grave sacri-
ficio. Dobbiamo ricondurre le anime a Dio».139
«Mantenetevi sereni, calmi, fiduciosi. Svolgete quell’azione che potete
in favore del popolo, degli operai, dei poveri: intensificate l’apostolato
della buona dottrina».140
«Incoraggiali [i confratelli] e raccomanda loro illimitata fiducia nella Di-
vina Provvidenza: Maria Ausiliatrice è sempre la nostra cara Madre […]
Il Signore vuole che noi sacerdoti e religiosi siamo i primi nella opera di
espiazione. Accettiamo pertanto i sacrifici, le privazioni, le immolazioni
onde attirare quanto prima le benedizioni del perdono e della pace su di
noi, sulla Congregazione, sulla Chiesa, su tutta l’umanità sconvolta. Pre-
statevi per il lavoro, anzi cercatelo in tutti i campi. Nessuno stia inattivo.
136 ASIR, 16 dicembre 1943.
137 Ivi, 17 gennaio 1944; il dattiloscritto con firma autografa riprendeva la circolare del
24 febbraio: ACS an. XXIV n. 121, gennaio-febbraio 1944, pp. 315- 318.
138 È l’espressione usuale che si coglieva sulle labbra di protagonisti di azione umani-
tarie ad alto rischio; cf F. MOTTO, L’Istituto salesiano Pio XI…, p. 354.
139 ASIR, 31 gennaio 1944.
140 Ivi, 21 febbraio 1944.

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Salesiani a Roma durante l’occupazione nazi-fascista 253
Se è necessario, formate anche dei piccoli gruppi affidando loro opere
speciali, o per l’apostolato, e il ministero sacerdotale, in favore della gio-
ventù con ripetizioni e scuole speciali, od anche per opere di zelo in
mezzo al popolo e agli operai».141
Gli stessi concetti tornava a ribadire in primavera.142 L’appello ai «valori
forti» dello spirito fatto dal Rettor Maggiore ovviamente non risolveva tutti i
problemi concreti delle comunità salesiane. Per accogliere giovani, orfani e
ricercati, per aiutare i sinistrati bisognava trovare mezzi economici, che non
sempre erano disponibili. Don Berta era allora costretto a rivolgersi espressa-
mente ai benefattori:
«Il Signore ci ha risparmiato nella vita, poiché nessuna perdita dobbiamo
lamentare finora tra i nostri confratelli e i nostri convittori. Possiamo
così continuare il nostro lavoro e credo di poter affermare che lo conti-
nuiamo con accresciuto zelo dappertutto: nelle parrocchie, dove in tutti i
modi si cerca di andare incontro ai bisogni spirituali e materiali dei fe-
deli; negli oratori, che rigurgitano di giovani, bisognosi più che mai di
cure e di assistenza; negli istituti, anche se in alcuni di essi sono in parte
rovinati e alcuni sono in parte occupati dalle Forze germaniche, poiché
abbondano di alunni esterni e ospitano numerosi giovani sfollati da varie
parti d’Italia. Mancano invece generalmente gli alunni convittori. Il che
significa che per noi le entrate diminuiscono notevolmente e invece le
spese aumentano spaventosamente; per cui i nostri istituti si trovano
pressoché in pericolo immediato di sbilanci fortissimi, e la fiducia nella
provvidenza ci sostiene. Anche più grave è la situazione delle nostre case
di formazione […] Non mai certo per l’addietro ci siamo trovati in una
così critica situazione. Per ora non pensiamo affatto a ricostruire questo
solo ci preoccupa sul momento: tenere in vita e far fiorire meglio che sia
possibile tutte le nostre opere di bene e avere per noi e per i nostri gio-
vani di che nutrirci e di che vestirci».143
In conclusione si può dunque affermare che i salesiani di Roma, pur
operando praticamente quasi solo all’interno dei loro collegi e nell’ambito
delle parrocchie loro affidate, pur tenendosi lontani da precise scelte poli-
tiche, non solo non vissero estranei all’ambiente cittadino, ma si sentirono
parte viva di una tragica realtà sociale: nonostante la difficilissima situazione
mantennero aperte le loro opere, continuando finché fu possibile le tradizio-
nali attività scolastico-educative e pastorali; intervennero generosamente e
con ammirabile spirito di sacrificio in favore di quanti erano in gravi diffi-
coltà; rivendicarono altresì coi fatti il «diritto di asilo» per chiunque ne avesse
bisogno. Una solidarietà umana e cristiana che non distinse fra amico e ne-
141 Ivi, altra lett. nella stessa data.
142 Ivi, 2 aprile, 18 aprile 1944.
143 Ivi, lett. circolare a stampa, 10 gennaio 1944.

4.8 Page 38

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254 Francesco Motto
mico, capace di stare sopra le parti; una forza morale che si pose come ele-
mento di salvaguardia di valori fondamentali di convivenza e di rispetto del-
l’uomo che la guerra civile aveva travolto.
In una società in preda al parossismo bellico, riscoprirono con altri ec-
clesiastici, con altri religiosi e con semplici famiglie cristiane di Roma l’an-
tico ruolo della Chiesa, quello della pietà e dell’accoglienza.

4.9 Page 39

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Salesiani a Roma durante l’occupazione nazi-fascista 255
APPENDICE
I.
Amilcare ROSSI, Figlio del mio tempo. Prefascismo – Fascismo – Post-
fascismo. Roma, Romana Libri alfabeto, 1969, pp. 329-371, passim
Col 22 luglio del 1944 ebbe inizio il mio trimestrale soggiorno nella ridente,
aprica, accogliente casa di San Giovanni Bosco [presso le catacombe di S. Cal-
listo]. Vi trovai un altro fortunato ospite d’occasione, Guido Cristini, che era stato
presidente del Tribunale Speciale per la Difesa dello Stato. Istituito dal fascismo in un
momento che doveva essere considerato di emergenza per l’applicazione di leggi, che
avrebbe poi dovuto essere rivedute, restò invece, di proroga in proroga, come uno
degli strumenti della sua politica […].
Cristini mi accolse con volto lieto e non mancò di darmi subito notizia che era
potuto entrare in quel luogo per la intercessione di mons. Respighi, notevole persona-
lità del mondo ecclesiastico vaticano.
In realtà, io e lui, ne dovevamo essere grati soltanto alla evangelica bontà, alla
carità cristiana, all’alto senso missionario, con cui concepisce e pratica il ministero
sacerdotale un mistico figlio di don Bosco, don Virginio Battezzati, che aveva in quel
tempo l’incarico della direzione di quell’istituto.
Per il mio caso don Virginio aveva accolto prontamente una preghiera del suo
conterraneo e amico Angelo Provera, assumendone da solo la responsabilità e por-
tando dinanzi a Dio il merito incontestabile di quell’atto di solidarietà cristiana. Si
esimeva, così, dal conformarsi alle norme che tacitamente erano state introdotte, dopo
la… liberazione… Da allora, infatti, almeno in Roma, avevano dovuto adottare in
materia misure restrittive quegli stessi istituti religiosi, che per l’innanzi erano stati
tanto prodighi di ospitalità e di protezione a coloro che si facevano ora i nostri freddi
e inumani torturatori.
La colpa di questo diverso trattamento non era certo degli istituti religiosi, ma
soltanto delle leggi con le quali si era inteso di dare forma di legalità agli arbitri più
smaccati.
Non potevano restare senza effetto pressioni e minacce, più o meno velate, ge-
neralmente di quelle stesse persone che erano debitrici della loro sicurezza, e talvolta
della vita, proprio a quella comprensiva e indiscriminata concezione della carità cri-
stiana «che prende ciò che si rivolge a lei».
Non pochi nemici della Chiesa di Roma, non pochi dichiarati e combattivi anti-
clericali, erano stati generosamente accolti sotto le ampie ali di quella sublime conce-
zione della solidarietà professata e praticata dal clero cattolico, contraccambiata assai
presto con manifestazioni del più incredibile oblio e della più nera ingratitudine.
Durante l’occupazione tedesca, don Virginio Battezzati aveva dato ospitalità a
diecine e diecine di perseguitati politici e di militari ricercati in forza dei bandi della
Repubblica Sociale. Trovava altrettanto giusto continuare ora quella buona norma,
accogliendo con lo stesso spirito cristiano chi facesse appello a lui per sfuggire alla
nuova persecuzione, non meno ingiusta e inumana, che si rivestiva di forme legali.
Egli ne traeva anzi occasione per condurre o ricondurre a Dio, come esattamente in-
tendeva e si esprimeva, quelle persone del secolo che la Provvidenza portava sulla
sua strada. La sua esperienza gli aveva fatto vedere quanto facilmente le contingenze

4.10 Page 40

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256 Francesco Motto
della vita distolgano anche alle più semplici pratiche di pietà e facciano dimenticare i
più elementari doveri verso il Creatore.
Diceva questo con vero senso di dolore e non tralasciava occasione per intratte-
nere me e Cristini sugli argomenti della fede, lieto di vedere quanto sincero interessa-
mento noi vi portassimo. Ci eravamo proposti seriamente di mettere a profitto le cir-
costanze e l’ambiente che ci accoglieva con tanta bontà, per rifarci ai sacri testi. Ciò
che in effetti l’uno e l’altro di noi fece col più assiduo impegno.
Oltre ai premurosi interventi con cui ci soccorrevano la sapienza e la carità vigi-
lante di don Virginio, avevamo anche il conforto di don Gallizia, un esimio teologo,
col quale ci accompagnavamo ogni sera. Favoriti dall’oscurità, ci arrischiavamo di
uscire insieme con lui dal recinto dell’Istituto per delle lunghe passeggiate tra roman-
tiche e accademiche lungo la Via Appia, fino alla tomba di Cecilia Metella. […]
Col bravo Cristini, che è per fortuna un forte e imbattibile dialettico, non ci
scontravamo solamente sul terreno politico. Mi è giocoforza riconoscere che, rispetto
a me, egli disponeva di una maggiore copia di argomenti più o meno … persuasivi,
non esclusa la facile disposizione all’invettiva. Come abituale e invariato sostenitore
egli aveva don Bruno Bunori, prefetto dell’Istituto, una specie di economo o provve-
ditore, e solo nell’ultima settimana io potei vedere migliorata la mia situazione di in-
terlocutore abituale.
Era venuto ad aggiungersi a quelle discussioni, con una concordanza di pen-
siero, per altro non sempre esplicita e combattiva, che si palesava più verso di me che
verso il mio contraddittore, l'avvocato Luigi Licci, da poco accolto all’Istituto.
A carico del Licci era stato promosso procedimento penale per il solo fatto di
essersi trovato presente nel momento che Attilio Teruzzi piombò a Palazzo di Giu-
stizia a protestare vivamente contro il magistrato, che aveva disposto, ancora in pe-
riodo badogliano, il sequestro dei suoi beni patrimoniali. Ma dalla presunta correità
di cui era stato imputato il Licci, che ne era del tutto immune, fu poi prosciolto in
istruttoria. […]
Avendo parlato forse con troppa larghezza degli ospiti di San Callisto, man-
cherei ad un preciso dovere di riconoscenza se non spendessi qualche parola per
porre nella loro fulgida luce le figure degli ospitanti. Tentativo e non altro, perché
non è facile porre nel dovuto risalto tante splendenti virtù religiose e umane.
Di don Virginio Battezzati non è possibile dire le giuste lodi che si debbano alla
sua bontà, al suo vivo e fervido solidarismo, al suo trasumanante ascetismo.
Senza averne l’aria, egli cercava sempre il modo di venirci incontro per la no-
stra via o di farci incontrare sulla sua. Penso, anzi, che egli restasse quasi all’apposta-
mento quando noi ci si avviava per il lungo viale alberato della vasta tenuta agricola
annessa alla casa o studiasse i momenti più opportuni per le sue rare passeggiate.
Egli sapeva che i suoi confratelli non avevano bisogno della sua opera quanto
ne potevamo avere bisogno noi. Anche col ripiegarci che facevamo ora sulle grandi
verità essenziali, non potevano certo raggiungere sul terreno religioso quella capacità
di autogoverno che ha invece naturalmente il più modesto dei «novizi» della Congre-
gazione. E così, come detta il Vangelo, lasciava volentieri per qualche momento la
cura che lo teneva abitualmente legato alle altre novantanove pecorelle per correre
appresso alla pecorella smarrita da recuperare. E con quale tenero senso di paternità
spirituale, con quale discrezione sapeva farlo.
Quando lasciai l’Istituto, gli dissi che ad opera sua avevo avuto il secondo bat-
tesimo giovanneo di verità e sapevo di non dirgli una frase meramente convenzionale.
Su lui, sul suo spirito, sul suo sentimento dell’umano e del divino, erano modellati

5 Pages 41-50

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5.1 Page 41

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Salesiani a Roma durante l’occupazione nazi-fascista 257
tutti gli altri suoi confratelli e aver detto di lui è come aver detto d’ogni altro di essi. Era
edificante per noi, mentre era per essi cosa naturale il farlo, il sentir parlare del fondato-
re della Congregazione, del fascino che esercitava su chi lo avvicinasse, dei miracoli stre-
pitosi che portarono alla sua canonizzazione […] Solo agli estranei potrebbe sembrare
chiuso l’ambiente salesiano, che ha invece tutte le sue finestre aperte sul mondo e nel
mondo opera con effetto vastamente irradiante. In esso si può sentire a suo perfetto agio
chi abbia sinceramente desiderato e si auguri di vedere un giorno navigare la società uma-
na verso le formule e gli istituti atti a realizzare la vera giustizia e la vera fraternità […].
Restai fra i figli spirituali di Don Bosco fino ai primi di ottobre. Non mi ero tut-
tavia licenziato in via definitiva, dove per ogni buon fine avevo lasciata una valigia
piena […] fino alla conclusione del mio processo, avutasi con la pubblicazione della
sentenza numero 566 della Sezione Istruttoria della Corte d’Appello di Roma il 16
agosto 1946. In forza di quella sentenza fui prosciolto con la declaratoria che non do-
vesse ulteriormente procedersi contro di me «per non avere commesso i fatti» attri-
buitimi, e contemporaneamente veniva ordinata la revoca del mandato di cattura
emesso a mio carico dal Procuratore del Regno di Roma (ormai eravamo in regime
repubblicano!) in data 30 aprile 1945.
II.
Lettera di Giuseppe Bottai a don Francesco Tomasetti
Da casa, via Mangili, 9
11 agosto 1943
Reverendo e caro Padre,
Molte volte, durante questi giorni di forzato raccoglimento, sono stato sul punto
di scrivervi, per dirvi quanto le affettuose parole che mi avete fatto giungere e la vo-
stra premurosa assistenza mi sieno state di conforto. Poi, ho rimandato di giorno in
giorno, fino a oggi.
Perdonatemi. Gli è che non è stato facile smaltire intellettualmente i fatti di
questa grande crisi. E dico intellettualmente proprio per significare la serenità morale
con cui li ho vissuti, forte della mia sicura coscienza. Ma, se questa, appellandosi alla
sua segreta ispirazione, poteva, quasi di colpo, attingere un suo imperturbabile equili-
brio, il pensiero faticava e fatica a ragionare di quei fatti in termini diversi da quelli
che da più di vent’anni gli son familiari. Si tratta di compiere in noi stessi, cresciuti
da una guerra a un determinato clima politico, una profonda revisione di linguaggio,
di indirizzi mentali, di orientamenti dialettici.
Tutto ciò si fa facendo giorno per giorno, in un travaglio che non è senza una
sua esaltante drammaticità, cui s’accompagna un approfondimento di quei motivi re-
ligiosi che da anni m’hanno ricondotto a fronte scoperta dinanzi a Dio sugli altari.
Perdonatemi, ancora! Il ringraziamento, il semplice e schietto ringraziamento
che vi debbo, mi prende le vie d’una confidenza, che non può mancare di sorpren-
dervi. Se la sorte vorrà che un dì, prossimo o lontano, io debba vivere un po’ di più
accanto a voi, meglio che non per iscritto io v’aprirò il mio cuore.
Intanto gradite i miei devoti affettuosi saluti,
G. Bottai