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RECENSIONI
BRACCO Giuseppe (Ed.), Torino e Don Bosco. Parte prima: Saggi; Parte seconda: Im-
magini realizzate da Mario Serra; Parte terza: Documenti scelti da Rosanna
Roccia. Torino, Archivio Storico della Città di Torino 1989, 378 + 172 p.,
XXIII mappe.
Tra le pubblicazioni scientifiche e celebrative del primo centenario della morte
di don Bosco, quest'opera si può considerare, senza dubbio, il contributo più ricco,
valido e originale: non solo per l'edizione sontuosa, ma anzitutto per i contenuti, dei
quali la veste esteriore è degna cornice. Il lavoro, realizzato da una folta équipe di
studiosi coordinati dall'infaticabile prof. Giuseppe Bracco, risponde pienamente
all'ardito scopo prefissato: «apportare un contributo alla conoscenza di molteplici
aspetti della vita cittadina torinese e (...) fornire una chiave di lettura (...) degli stimo-
li, delle difficoltà, delle collaborazioni e dei contrasti che circondarono l'attività di
uno dei nostri grandi Santi» (I 9).
Come sottolinea il sindaco della città, Maria Magnani Noya, le tre parti sono
inscindibili, reciprocamente concatenate e illuminanti, costruite su una documenta-
zione dimostratasi in seguito a pazienti e intelligenti ricerche molto più ricca e sor-
prendente di quanto facesse prevedere la tradizionale storiografia salesiana.
I saggi della densa parte prima tendono ad illustrare la figura di don Bosco nel
contesto cittadino: sarebbe, infatti, impossibile comprendere il significato e la porta-
ta della sua azione e del suo messaggio, anche a raggio mondiale, prescindendo dalle
«radici» originarie, piemontesi, torinesi. In questo senso il titolo delle pagine intro-
duttive di Bracco, Una città alla riscoperta di un suo cittadino, potrebbe venir conver-
tito nell'altro: Un cittadino che muove e guida cala riscoperta della sua città.
In questa prospettiva di contestualizzazione, non estrinseca, si sviluppa anzitutto
il vasto e compatto studio di U. Levra: Il bisogno, il castigo, la pietà. Torino 1814-
1848 (I 13-97), documentata diagnosi dell'essere e dell'apparire della città dal punto
di vista della crescita demografica, della sussistenza («la morte tira le somme»), della
povertà, dell'igiene, delle forze preposte alla vigilanza e alla «conservazione» (e tutta-
via con l'affiorare di forze nuove, di avvenire). L'azione benefica, caritativa, «socia-
le» di don Bosco risulta ulteriormente «situata» grazie al sintetico contributo di C.
Felloni e R. Audisio su I giovani discoli (I 99-119), con rapidi scandagli nei mondi
delle «cocche» e della Generala, ai quali don Bosco non è estraneo. Nell'universo
mentale e operativo di don Bosco introduce, quindi, l'originale e innovativa ricerca
del prof. Giuseppe Bracco, Don Bosco e le istituzioni (I 121-159). Essa obbliga a
ristudiare gli inizi dell'oratorio, modificando tradizionali prospettive circa i rapporti
di don Bosco con i primi collaboratori (solo collaboratori?), con le autorità munici-
pali (in particolare il Vicario di Città, Michele Benso di Cavour), nelle prime fasi di
insediamento a Borgo Dora. Risulteranno proficue allo studioso informazioni e
documentazioni relative a un trentennio di storia a Valdocco: acquisti e vendite,
lotte-

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Recensioni
rie, ispezioni... Interessante appare quanto Bracco scrive sul metodo del «coinvolgimento»
seguito da don Bosco con i ragazzi e i collaboratori: indicare (ed esagerare) mete ardue, per
acuire consensi e solidarietà (I 156); meno convincente, invece, risulta quanto è detto circa un
presunto «vasto movimento» torinese nell'assistenza ai giovani e nell'organizzazione oratoriana
(I 124). Ancora al tema del «contesto» è riferita la ricerca di E. Bellone su La presenza dei
sacerdoti nel Consiglio comunale di Torino 1848-1878 (I 161-194): essi sono Luigi Capello di
S. Franco, Giuseppe Baruffi, Giuseppe Ghiringhello, Pietro Baricco: quest'ultimo, dinamico
assessore per un ventennio all'istruzione elementare e tecnica, l'unico veramente informato
dell'azione di don Bosco e sostanzialmente concorde, pur su posizioni culturali e «politiche»
diverse (I 194).
Seguono quattro studi intesi a illustrare alcune particolari iniziative di don Bosco, prima-
riamente o esclusivamente inserite nel tessuto religioso e culturale torinese. Incomincia F.
Motto, che con la già collaudata accuratezza ricostruisce su documenti di prima mano le vicen-
de che precedettero, accompagnarono e seguirono il temporaneo impegno di don Bosco nella
costruzione della chiesa di san Secondo (I 195-215). Informazioni e spunti vari offre V. Mar-
chis su La formazione professionale: l'opera di Don Bosco nello scenario di Torino, città di
nuove industrie (I 217-218). Analitica e ricca di apporti nuovi è la cronistoria redatta da R.
Roccia su // Collegio-convitto Valsalice sul colle di Torino (I 239-275). Rapide notizie su Don
Bosco, le sue suore e l'Oratorio femminile a Torino, accanto all'opera salesiana di Valdocco,
sono fornite da A. Bertero (I 277-287).
Gli ultimi puntuali, talora affascinanti, contributi riguardano il patrimonio artistico, archi-
tettonico e pittorico, che in qualche modo arricchisce Torino, attraverso il graduale sviluppo
delle opere di don Bosco: edifici e strutture connesse coll'attività benefica e educativa, chiese e
luoghi sacri, da Valdocco a S. Giovanni Evangelista a Valsalice. Vi concorrono con sicura
competenza tecnica e sensibilità artistica e critica gli studi di G. Picco, La crescita di un'opera
nel contesto urbanistico torinese 1841-1888 (I 289-305); M. Leva Pistoi, Le chiese di Don
Bosco nel contesto dell'architettura torinese dell'Ottocento (I 307-320); R. Maggio Serra, La
pittura religiosa in Torino ai tempi di Don Bosco (I 321-323); C. Thellung, Due chiese e tre
pittori; Don Bosco e l'arte figurativa a Torino (I 345-364).
La seconda parte dell'opera è tutta da fruire esteticamente, ma anche e soprattutto da uti-
lizzare culturalmente; infatti, «la sequenza figurata riconduce alle riflessioni suggerite dagli
Autori o ne commenta il racconto; soprattutto indugia sulle architetture e sugli interventi deco-
rativi che segnarono il volto di Torino nel secondo Ottocento, guidando il lettore lungo un
percorso connotato da importanti testimonianze scoperte o rivisitate nell'anno centenario della
morte di Don Bosco per comprendere meglio il rapporto del Santo con la sua Città» (II 7).
La terza parte è costituita da un portfolio contenente 23 splendide mappe in fac-simile di
progetti edilizi, che illustrano e chiariscono ulteriormente, a livello tecnico, i discorsi della
prima parte.
Tra le tante suggestioni — che è impossibile qui sottolineare — sembra particolarmente
felice una notazione riguardante la chiesa di Maria Ausiliatrice, «un genui-

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no documento della cultura popolare». In sintesi, si ha l'impressione che l'omaggio del Comune
di Torino a don Bosco nel centenario della morte sia esso stesso un riuscitissimo «monumento»
(documento, testimonianza, opera d'arte e di scienza) per una vasta impresa di promozione
culturale e umana autenticamente «popolare».
P. BRAIDO
CASALEGNO Ugo (preparado por), Antropologi e missionari a confronto. Roma, LAS 1988,
127 p.
Es la aportación de un «seminario de estudio», celebrado en la Universidad Pontificia Sa-
lesiana (Roma) a fin de «cotejar la reflexión antropològica con la reflexión teològica en torno
al tema de la misión». Pasado ya el tiempo en el que «antropólogos y misioneros se confronta-
ron sin superar la barrera de la apologética por una parte y de la polémica por otra[...,] ¿por qué
no intentar —antropólogos y teólogos— una reflexión conjunta, convencidos de las ventajas de
una recíproca escucha, con la puesta en común de cuanto puede ponerse razonablemente, res-
petando siempre competencias y metodologías?» (pp. 5-6, 13). Así, siete «serios estudiosos»
ofrecen una reflexión serena y profunda.
La significativa Introducción (pp. 9-15) de Ugo CASALEGNO resalta el hecho, «que pre-
senta una indiscutible novedad», de que «este encuentro se celebre, y se celebre precisamente
en el recinto institucional de una Universidad que es Pontificia y Salesiana» (p. 9). Es decir,
promovido «por una congregación religiosa que es misionera en sentido estricto y que no hace
tantos años[...] se vio condenada, en el cuarto Tribunal Russel, por su acción misionera amazó-
nica» (p. 14).
Antonino COLAJANNI —en la primera ponencia: Un dibattito aperto: i termini in discus-
sione (pp. 17-30)— considera «el problema muy complejo»; entre misioneros y antropólogos
se ha de dar «una relación ambivalente y sensible», «una confrontación objetiva, simétrica,
articulada»: «el coloquio y el diálogo podrán instaurarse únicamente cuando los diferentes
filones de los que se compone nuestra cultura —y de los que todos participamos— se nos
presenten claros y vengan plenamente respetados». Un caso de la complejidad del problema
aflora en la intervención siguiente de Patrizio WARREN Barbados, Manaus e oltre. Alcuni
commenti sulla politica indigena delle missioni cattoliche nel! Amazzonia Peruviana (pp. 31-
52)—, comentario a la Declaración de Barbados (1971) —«hoy recordada con frecuencia
como la partida de nacimiento de una nueva concepción de las relaciones entre las comunida-
des y los grupos indígenas de la América Latina y los emisarios de la Sociedad nacional»—, y
al Documento final del Io Encuentro Panamazónico de Pastoral Indigenista (Manaus, junio
1977), en el que la Iglesia católica latino-americana «identificaba los objetivos fundamentales
de la pastoral indígena en Amazonia con un compromiso por la supervivencia física y cultural
de las etnias aborígenes». Sabine SPEISER —en su relación: Le culture e le religioni autoctone:
come le vede l'antropologo e come le vede il missionario. Un punto di partenza diverso: la
risposta dal Basso (pp. 53-65)—

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Recensioni
hace hincapié en el problema, concluyendo que «nadie, ni la Iglesia, ni el antropólogo, puede
autodesignarse como lider o simple colaborador. Unicamente la comunidad, únicamente el
grupo pueden —tras haber examinado el comportamiento y el servicio prestado por una perso-
na— autorizarla a hablar en su nombre y a ejercitar funciones de mediación».
La aportación lingüística —con «la responsabilidad de la traducció», de las lenguas abo-
rígenes— viene subrayada por Maurizio GNERRE Semantica del missionario e semantica
dell'antropologo (pp. 67-77)— como problema que «en direcciones y modalidades distintas,
hermana el ejercicio intelectual de muchos antropólogos y misioneros», analizando el caso
alentador de los shuar. Profundizan en la temática: Bernardo BERNARDI La polémica 'antro-
pologi-missionari'. Panorama storico (pp. 79-92): «¿una insoluble contradicción?»—; André
SEUMOIS Evangelizzazione e proselitismo (pp. 93-103)..., «di cattiva lega»—, y Adam
WOLANIN Chi non crede non si salva: intolleranza? Il cristianesimo di fronte alla diversità
di religioni o di culture (pp. 105-124): «La salvación de los no cristianos»... «El término incul-
turación está de moda»—...
En todo el recorrido del encuentro «la duda de que la idea misionera, más que a lo especí-
fico cristiano pertenezca a lo específico 'occidental' de nuestra cultura, no aparece ya meramen-
te académica (pp. 13, 29, 84-90). Mucho más cuando, por su parte, la reflexión teológica des-
cubre en la 'inculturación' —por tanto, en lo particular—, el nombre y el destino de la universa-
lidad cristiana» (pp. 90-94). «En tal contexto es preferible, a mi parecer —confiesa A. Wola-
nin— emplear la expresión evangelización de las culturas más bien que inculturación» (pp.
118-123).
Al reducirse el encuentro a una sola «jornada de reflexión», éste se ha limitado a la expo-
sición de la amplia temática sin proporcionar tiempo al diálogo, al intercambio de visión. Acu-
saría también limitación especial, dando preferencia absoluta a Latinoamérica (Perú, Brasil,
Ecuador...) con leve alusión al habitat africano (Kenya, Tanzania, Uganda).
«Consideramos este momento[...] el primer paso de un largo camino» (p. 14), advierte el
coordinador del encuentro y del volumen, prof. Casalegno; mas también se puede considerar
una cierta meta alcanzada, pues por la riqueza de sus contenidos y lo insinuante de sus suge-
rencias es ciertamente «un primer paso, modesto en las intenciones, pero capaz, por cuanto dice
y sobrentiende, de logros consistentes» (p. 6). Sin duda, «hoy ya, extraños a toda polémica, la
problemática del encuentro, ofrecida a la reflexión conjunta de creyentes y antropólogos, se
presenta prometedora».
J. BORREGO
CODI Marino, Don Bosco a Savona 1892-1988. Savona, Editrice Liguria 1988, 271 p.
Sull'onda del fervore suscitato dal centenario della morte di Don Bosco l'Editrice Liguria,
in anticipo sul 1993, ha pubblicato «Don Bosco a Savona 1892-1988», una raccolta di memorie
con la quale Marino Codi SDB ha inteso offrire a nome di «noi Salesiani di questa città, un
modesto contributo alle solenni celebrazioni orga-

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nizzate in tutto il mondo» (p. 9), «commemorare un centenario tanto caro al nostro
cuore di Salesiani e Amici di Don Bosco» (p. 213).
11 1892, termine a quo della raccolta, aiuta a leggere correttamente il testo. Il di-
scorso, infatti, cade non tanto su don Bosco, richiamato solo in pochissimi paragrafi
ai capitoli I e X, quanto sull'Opera Salesiana (p. 3) di Savona, campo di lavoro dello
stesso Autore in tempi fra loro distanti, prima da giovane chierico e in seguito, come
in questi ultimi anni, da prete.
Lungo le 271 pagine corredate di un numero abbondante di fotografie e distri-
buite, dopo una Prefazione e una Premessa, in undici Capitoli e due Appendici,
Codi rievoca con amorosi sensi le alterne vicende di un organismo ben vivo, ripercor-
rendone lo sviluppo a cominciare dalla provvidenziale gestazione nel cuore di
Mons. Leopoldo Ponzoñe fino all'inizio ufficiale (1893) in via Trincee, alla costru-
zione della vera «prima sede» nell'attuale via don Bosco, al trasloco in via Piave,
alla inaugurazione della Chiesa, che diverrà Parrocchia molto più tardi, alla costru-
zione del Teatro e via via, attraverso le immancabili componenti di un buon Orato-
rio salesiano — catechismo, sport, musica, filodrammatica, associazionismo... —
giunge alla «Comunità giovanile» di don Ghilardi, senza tralasciare di evidenziare
quelli che sono i frutti più belli di tanto dinamismo: le vocazioni sacerdotali, dav-
vero molte.
Non mancano schematici cenni alla presenza salesiana nel mondo e in Liguria.
Spazi più ampi vengono riservati a «figure indimenticate e indimenticabili di sacer-
doti e laici... che hanno lasciato un gradito ricordo dentro e fuori le mura di questo
Oratorio» (p. 9). Ciò rientra nell'ispirazione generale di esprimere «sentita ricono-
scenza verso tutti coloro che di questa storia furono protagonisti e costruttori» (ib.).
Intenzione più che encomiabile. Ma quando ci mettiamo sul piano della storia
— vedi sottotitolo p. 3 — s'impongono doverose riserve. Insospettisce, per esempio,
il fatto di avere scarse notizie sugli ultimi venticinque anni. Sul metodo della ricerca
i dubbi si acuiscono di fronte a certi equivoci: fondazione dell'Oratorio di Valdocco
(p. 166), Vespignani (p. 166), Dogliani (p. 194), titoli accademici di don Cimatti
(ib.), professione religiosa dei primi Soci salesiani (p. 201), ultima spedizione missiona-
ria (p. 202), per limitarci ai più vistosi. Il profilo del maestro Attilio Acquarone di-
venta più vero se di lui si dice anche che fu chierico salesiano. A p. 13 e a p. 211 non
sono state menzionate tutte le Case salesiane, come invece era nell'intenzione. Dei
sei manoscritti riportati, non sempre fedelmente trascritti, tre fotocopie incorporano
consistenti e inspiegate omissioni; una quarta è contrassegnata da una didascalia non
pertinente.
L'elenco delle rappresentazioni teatrali non collima con quanto viene ricordato
qua e là nel testo. L'indice dei nomi — assente nell'indice generale — pecca di in-
compiutezza e di fedeltà.
Per finire, il materiale andrebbe ripreso, ricontrollato diligentemente e struttu-
rato con criterio più organico onde evitare sia le ripetizioni che l'affastellamento
disordinato delle memorie.
L'incentivo potrebbe scaturire dal prossimo centenario: 1993.
B. CASALI

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GARIBAY ALVAREZ Jorge, Un mexicano con estilo salesiano: R.P. Juan Ignacio Arias S.D.B.
México, Ediciones Don Bosco S.A. 1988, 104 p.
El pròlogo identifica ya el trabajo: «Es una semblanza sobre un hombre egregio —[p.
Juan Ignacio Arias (1884-1956)]—, perteneciente a la Congregación Salesiana... Una semblan-
za histórica basada en la verdad y el testimonio» (p. 5). Sin embargo, su estructura interna
muestra la intención primordial de ofrecer su perfil apostólico-espiritual. En un breve capítulo I
Generalidades (pp. 13-19) con esporádicas alusiones (pp. 21-23, 53-56, 63-97: capítulo
IV)—, recapitula el «curriculum vitae». En los restantes capítulos —el II: México, un espacio
apostólico (pp. 21-52); el III: Centro América, otro espacio de su apostolado (pp. 53-62); el V:
Hechos y dichos, experiencias y recuerdos, testimonios (pp. 69-99)— aparece, —a través de
sus escritos minúsculos (educativos, informes, poesías)—, el sacerdote educador, el formador
de aspirantes, el hombre de confianza, el animador de la Familia salesiana... Tal vez el afán de
resaltar «al personaje rico en dimensiones y en pinceladas humanas y espirituales» (p. 11), ha
difuminado la auténtica «semblanza histórica» que el autor propone en la introducción: «ire-
mos viendo con más detalle las acciones y su pensamiento —[éste sí se ve]—, ubicados en su
lugar y en su propia cronología» (p. 19).
Escrita en estilo directo, algo repetitivo, la semblanza está cimentada en una apreciable
«recopilación de material bibliográfico y archivistico», avalado «además con el juicio de per-
sonas que lo conocieron» (pp. 103-104). Sin duda, traza un camino a seguir para «difundir...
parte de nuestra historia salesiana desarrollada» (p. 11) en México y doquier.
J. BORREGO
GUANELLA Luigi, Scritti per le Congregazioni. Introduzione di Piero Pellegrini. Schede intro-
duttive, note e indici di Bruno Copparoni (= Opere edite e inedite di Luigi Guanella, 4).
Roma, Centro Studi Guanelliani-Nuove Frontiere Editrice 1988, XXXI-1482 p.
Com'è noto, il beato Luigi Guanella (1842-1915), fondatore dell'istituto religioso femmi-
nile delle Figlie di Santa Maria della Provvidenza e della congregazione dei Servi della Carità,
fu e operò con don Bosco tra i salesiani dal gennaio 1875 al settembre 1878. La copiosa raccol-
ta di Scritti recentemente edita con viva sensibilità storico-critica e spirituale dal Centro studi
guanelliano risulta, quindi, di estremo interesse non solo per i membri delle due fervide fami-
glie fondate dal sacerdote comasco, ma anche per i salesiani.
Una sobria Introduzione aiuta a inquadrare la serie degli scritti dello sviluppo storico del-
le due fondazioni e illustra adeguatamente i criteri di edizione, che assicura un contatto diretto
con le redazioni manoscritte e le edizioni autentiche di Regole, Costituzioni, Regolamenti,
commenti. Essi contengono il meglio delle intenzioni

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profonde del Guanella e degli orientamenti da lui dati ai suoi religiosi e religiose,
preoccupato di non fermarsi semplicemente a «legiferare» o a «regolamentare», ma
piuttosto a ispirare e animare, in linea con l'ardore di carità che urgeva dentro e in-
tendeva trasmettere ai suoi collaboratori e continuatori. Seguono gli scritti, distri-
buiti in tre parti fondamentali: Primi saggi di regole (1886-1894), abbozzi di normati-
va religiosa diretti alle due famiglie di collaboratori, operanti nella medesima Casa
della Divina Provvidenza e poi in due case distinte. Le altre due parti raccolgono
scritti rivolti alle due Congregazioni sempre più nettamente distinte, se non nello
spirito e nell'identità dell'azione caritativa, quanto alle strutture giuridiche e orga-
nizzative: Parte II, Scritti per la Congregazione delle Figlie di Santa Maria della
Provvidenza (1896-1913); Parte III, Scritti per la Congregazione dei Servi della Cari-
tà (1896-1915).
Due impressioni globali emergono manifeste dalla lettura del ricchissimo mate-
riale. Anzitutto, appare dominante un tipico stile fondazionale e spirituale «guanel-
liano»: ardente nella sua specifica scelta caritativa, sorretto da una «pietà» che tradi-
sce le ascendenze religioso-popolari, sollecito per il dettaglio della precettistica, tutta
concretezza e tesa all'operatività immediata e tempestiva, senza indulgenze per il
dottrinarismo astratto e funambolesco. Si comprende, anche da questi tratti, come il
Guanella abbia potuto ammirare e amare don Bosco e, insieme, abbia sentito irresi-
stibile l'impulso a seguire una sua via nell'immenso spazio dell'impegno apostolico e
caritativo cristiano. E tuttavia — ed è questa la seconda impressione — don Bosco
resta sempre presente nel ricordo, nell'imitazione, nella condivisione di preferenze
mentali e operative. Si possono contare in parecchie decine le «citazioni» esplicite e
implicite. Domina su tutte la proclamata adozione del «sistema preventivo» in tutta
la sua estensione, formalmente «regolamentato» e ribadito ancora nell'ultimo scritto
redatto a poche settimane dalla morte: «Chi è capo della disciplina, usi tutta la più
coscienziosa vigilanza sopra i suoi soggetti e li educhi col sistema preventivo del ve-
nerabile don Bosco, che apprenderà da vari manuali di sacerdoti salesiani» (Norma
a praticarsi nelle case dei Servi della Carità, 1815, art. 31). Ma l'identità di vedute è
espressa con spontanea sincerità su tanti altri punti non marginali: l'arte di «insi-
nuarsi nei cuori», lo «spirito di allegrezza», l'umanità della carità, l'inevitabile «ap-
prossimazione» nell'operare il bene urgente («il meglio è nemico del bene»: l'aveva
scritto don Bosco allo stesso Guanella il 27 luglio 1878), l'oculata larghezza nella
ricerca di vocazioni, la rilevanza del lavoro, la regolata audacia nell'economia e l'ope-
rosa fiducia nella provvidenza, la divozione all'Eucaristia e la comunione frequente,
il sentimento filiale della presenza di S. Maria della Provvidenza e Ausiliatrice.
Sorge spontanea la domanda se tra le due formule «religiose» e spirituali non
esista una comunanza di più profonde radici cristiane e culturali di matrice popola-
re; e se lo studio e l'approfondimento congiunto di esse non possa approdare a un
ulteriore arricchimento delle due famiglie guanelliana e salesiana sia nel senso del-
l'unità e delle convergenze come della specificità e della distinzione, che è anche indi-
ce di ricchezza spirituale e operativa.
P. BRAIDO

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KAROTEMPREL Sebastian (Ed.), Don Bosco's charism and Asian culture. Studies to-
wards an interpretation of Don Bosco's charism for Asia. Dimapur (India), Sale-
sian College Publications 1988, 233 p.
Segnaliamo questa raccolta d'articoli con la quale lo studentato filosofico del-
l'India Nord-Orientale vuole esprimere la propria meditata partecipazione alle cele-
brazioni mondiali per il primo centenario della morte di san Giovanni Bosco. I col-
laboratori, ad eccezione di uno soltanto, provengono dal Kerala, verosimilmente
dalla Chiesa Siro-malabarica e vanno salutati quali strumento provvidenziale della
continuata evangelizzazione in India in questo scorcio di secolo. Benché esca dal
sopra nominato centro di studi, non crediamo che il volume rappresenti la mente
per così dire ufficiale di quel Centro. Ogni singolo collaboratore pubblica sotto la
sua personale responsabilità lo studio che firma. Riveste una maggior importanza il
fatto della collocazione geografica del Centro: Dimapur è situato nello stato deno-
minato Nagaland, parte integrante dell'Unione Indiana, di eguale dignità con tutti
gli altri stati, differente da tutti gli altri per popolazione, lingue e tradizioni.
La silloge ci presenta tre tipi di contributi: i primi spingono all'inculturazione,
gli ultimi sei invece propongono paralleli tra Don Bosco (o la prassi educativofor-
mativa che a lui s'ispira) con alcune specifiche situazioni indiane. Il terzo contributo,
di F. Alancherry (p. 67-95) con il quarto, di P. Vadakumpadam (p. 96-119), dise-
gnano il senso generale della formazione salesiana in contesto indiano.
Gli studi di questa sezione centrale mostrano di tener presente la specificità so-
pra accennata del territorio nel quale i post-novizi si preparano a salesianamente
operare; sono sobri nelle parole e solidi nella dottrina. Non si può loro chiedere
originalità.
Nella terza sezione si tratta del posto che la religione occupa nell'educazione in
Don Bosco e nell'induismo (A. Panampara, p. 120-141), in Vivekananda (M. Kottara-
thil, p. 142-156) ossia nella frazione più battagliera dell'induismo rinnovato. Due
altri apporti descrivono il senso che l'operosità tiene in Don Bosco e nel poema de-
nominato Bhagavad-gita (K. Pereira, p. 172-192) o la castità in Gandhi e in Don Bo-
sco (J. Kuruvachira, p. 203-226). M. Kottarathil, in un suo secondo apporto, ritiene
utile confrontare il direttore salesiano quale Don Bosco tratteggia col kalyanamitra
buddhista (piccolo veicolo) (p. 193-202). Infine A. Kuzhikannam nelle pagine
157170 delinea i tratti salienti della vita e del carisma del keralese b. Kuriakose Elias
Chavara (1805-1871) che fondò una congregazione religiosa per l'educazione e l'e-
vangelizzazione ancorata al carisma carmelitano-teresiano.
Questi studi ci sembrano utili sotto il punto di vista informativo. Ci piace, tutta-
via rilevare non solo quanto scrisse il Wittgenstein (cf p. 190) — nessuno s'accontenta
di proposizioni individue, ma ne vuole insieme un fascio — ma anche che ogni fascio
di proposizioni costituisce un'unità perché vivificate da uno spirito. Le analogie tra
Don Bosco e mille altre personalità o tra il suo sistema e quello d'altri non vanno
considerate senza esplicito rapporto allo spirito differente che loro sottende. Cosa
che ci sembra poco evidente nei contributi descritti.
P. Puthanangady introduce la prima sezione col breve ma pugnace 'Carisma sa-

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lesiano e culture asiatiche' (p. 17-26). Quanto dice della Congregazione in genere (p.
22-23) o della situazione dei salesiani in Asia (p. 17-19) non pare materia opinabile
né sembra originale. Ma quando enumera gli aspetti caratterizzanti (in implicita
contrapposizione con quelli che avrebbe l'Occidente) della cultura asiatica si
smarrisce del tutto: religiosità, tecnologia, marxismo, giustizia sociale, dialettica fra
nazionalismo ed universalismo sono alcuni degli elementi praticamente comuni di
tutte le culture odierne non primitive. Bisognava che ci puntualizzasse la misura
diversa, il colore particolare... che esse mostrano in Asia. In Asia? Ma non è un...
villaggio...
Il contributo di S. Karotemprel circa il metodo educativo di Don Bosco in
contesto asiatico solleva all'inizio un discutibile polverone sul lemma 'preventive
system of education' che traduce (o tradisce) i termini impiegati da Don Bosco in
connotazione ormai da decenni accessibile, che l'articolista propone con chiarezza.
Inafferrabile, poi, il contesto 'asiatico' che le pagine 51-53 ci dovrebbero presentare.
La condizione 'sradicata' dei giovani sta soltanto nell'intitolazione del paragrafo e i
due paragrafi che seguono offrono soltanto delle genericità. Nulla circa la concreta
situazione di uno dei mille popoli dell'Asia... La proposta formativa salesiana (a p.
53 e sgg. FA. impiega educative proprio nel senso che a p. 31 aveva deprecato!) sarà
creativa, insegna l'articolista, se valorizzerà 'valori religiosi asiatici' (p. 56).
D'accordo, se si esplicita che essi sono ta spennata tu logu, germoglio di Cristo alla
cui pienezza, rivelata nella Bibbia dalla Chiesa, essi tendono. Insofferente del Savio e
della Vicuña, opta per santi 'like mahatma Gandhi' (p. 57). Bene, in quel che in
Gandhi risulti animato dallo Spirito che fu nell'uomo Gesù ed è stato da Lui diffuso
perché tutti siano una cosa sola.
Occorre spezzar lance in favore dell'inculturazione? Può darsi che nell'India
Nord-orientale lo sia. Comunque, a Don Bosco poco interessavano le questioni
dottrinali: egli nel Nagaland avrebbe tentato le vie concrete per un'evangelizzazione
inculturata. Il volume che presentiamo rimane in clima teorico, anzi astratto perché
generico e approssimativo. Di ben diverso taglio sarà l'inculturazione cristiana fra le
tribù di quello stato e di quelli contermini, tra i quali lavoreranno i salesiani che si
formano a Dimapur.
A.M. PAPES
MOLINERA Maria Teresa (Ed.), Don Bosco e i Biellesi. Vigliano Biellese, Edizioni
Polgraf 1988, 208 p.
Grazie al munifico concorso dell'exallievo salesiano Dante Gaudino è stata
curata da Maria Teresa Molineris, «nel quadro delle celebrazioni salesiane» (p. 7)
per il centenario della morte di don Bosco, la riedizione di «San Giovanni Bosco e i
Biellesi. Spigolature aneddotiche di un Cooperatore Salesiano Biellese», il can.
Basilio Buscaglia, che le aveva date alle stampe nel maggio 1934 in coincidenza con
gli «unanimi solennissimi omaggi» (p. 13) della Città e della Diocesi di Biella al
«Taumaturgo di Valdocco» (ib.) all'indomani della canonizzazione di don Bosco.

1.10 Page 10

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440
Recensioni
Introduce il volume, corredato di una quarantina di illustrazioni, il plauso del Rettor
Maggiore dei Salesiani, don Egidio Vigano.
Nella prefazione Maria Teresa Molineris indica metodi e criteri della nuova edizione, ag-
giornata per un terzo del volume con «nuovi contributi» di autori vari.
Le «spigolature» propongono, come suggerisce il titolo, le «relazioni particolari che il
novello Santo ebbe con la nostra regione e con molti Biellesi» (p. 13) Prelati, Sacerdoti, Laici
«per farle conoscere ai presenti e tramandarne le memorie ai posteri» (ib.).
Il can. Buscaglia ci rassicura sulla credibilità delle cose narrate, per averle «raccolte con
ogni diligenza» (p. 14) ed esposte «con tutta fedeltà» (ib.).
Sul piano emotivo l'idea di raccogliere in un album ricordi di persone e luoghi biellesi le-
gati in qualche maniera a don Bosco non può non riscuotere interesse, come riconosce don
Vigano.
A livello storiografico invocheremmo un uso più professionale della diligenza e della fe-
deltà. L'Autore «spigola», per esempio, nel campo delle Memorie Biografiche spesso senza
segnalarlo o se non genericamente; il brano riportato, a volte con parole proprie, non sempre
rispetta la fedeltà alla fonte o appare mutilato di qualche dettaglio, destando il sospetto di una
selezione arbitraria; si dà anche il caso che manca o è sfocata la datazione.
Nel comprensibile rispetto del testo originale non si poteva impreziosire l'opera con note
adeguate, come del resto ne sono state apposte esorbitando dagli spazi entro i quali si è mosso
l'Autore? (vedi p. 139).
Dall'agile «documento di cronache» (p. 7) balza in definitiva — anche tenendo conto dei
«nuovi contributi», non esenti da mancati controlli — un'immagine tradizionale, 'prescientifica'
di don Bosco, ma pure un'inoppugnabile testimonianza di affetto e di devozione verso l'Opera
salesiana, che svolge ancor oggi la sua missione in terra biellese «con il coraggio e l'entusia-
smo voluti dal suo fondatore» (p. 8).
B. CASALI
PAZINI A., Crònica de fundação e início do Colégio Salesiano S. José, de Sorocaba (S. Paulo,
Escolas Profissionais Salesianas 1988), p. 215.
Cento anni fa, degli immigranti italiani si insediarono a Canas, vicino a Lorena, nel Brasi-
le. Lì è nato l'autore di questa cronaca, da una famiglia che sempre ha sostenuto le cause della
Chiesa e dei Salesiani. All'autore, ormai alla terza età, è toccato di andare a fondare a Sorocaba
il Collegio S. Giuseppe, fiorente Istituto di quella dinamica città.
Il libro è un racconto cronologico e abbastanza fedele in cui si presentano i fatti, le perso-
ne, le situazioni dell'epoca e anche i sentimenti provati dall'autore in quegli anni difficili. Una
abbondante documentazione rende più pregevole l'opera. È un contributo di notevole valore
non solo per la conoscenza della storia del collegio salesiano, ma anche della vita di Sorocaba
in quelli anni.
A.S. FERREIRA

2 Pages 11-20

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2.1 Page 11

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Recensioni
441
PINOCHET DE LA BARCA Oscar, El cardenal Silva Henríquez - Luchador por la justicia. San-
tiago de Chile, Editorial Salesiana 1987, 248 p.
«La Editorial Salesiana ha creido que la mejor manera de celebrar los 80 años de vida del
Cardenal Emérito [de Santiago de Chile] Raúl Silva Henríquez es publicar su biografía y ha
encargado su redacción a don Oscar Pinochet de la Barca», quien ha logrado describir su «per-
sonalidad compleja... con la clara y ordenada suma de sus actuaciones y una cuidadosa obser-
vación sicológica del personaje». Personalidad —siempre en sentir de los editores— «vasta-
mente conocida tanto en Chile como en el extranjero y, por supuesto, alabada y discutida al
mismo tiempo» por haberle tocado dirigir la archidiócesis de Santiago en una época «no de
tiempos ordinarios sino de vuelcos históricos en la pastoral de la Iglesia y en la política de la
patria» (Segunda de cubierta y p. 12).
Los mismos títulos de cada capítulo, bien distribuidos y estructurados, delatan en el autor
esta preocupación primordial: Años deformación (1914-1938) —familiar, científica, salesiana,
sacerdotal—; El Padre Silva, educador y organizador (19391958), con «espíritu renovador» (p.
33), bajo la égida de «San Juan Bosco, el Amigo de la juventud» (p. 11); Veintiocho meses
inolvidables (1959-1962) —obispo de Valparaiso, arzobispo de Santiago y cardenal—; El
Cardenal en el Concilio Vaticano II (1962-1965); Horas de cambios e incertidumbres (1964-
1970) —Frei, presidente de la República... reforma Agraria chilena—; Difíciles días en un
gobierno premarxista (1970-1973) bajo el gobierno de Allende; El Cardenal en medio de la
violencia desatada (1973-1975) —guerra civil y muerte de Allende, relaciones difíciles con el
nuevo gobierno militar—; La voz de los que no tienen voz (1976-1978): Vicaría de la Solidari-
dad, pastoral para los obreros...; En el espíritu de Puebla (1979-1981); Construyamos la paz en
la justicia (1981-1983)... y «el 1o de mayo [1983], fiesta de San José Obrero, el Cardenal apro-
vecha para comunicar a sus amigos, los trabajadores, como representantes de todos sus feligre-
ses de la Arquidiócesis, que ha terminado su período de Arzobispo», aún conservando a sus 75
años «toda la fuerza espiritual que le ha convertido en una de las figuras más importantes del
país» (pp. 238-239).
Una biografía que, pese a las limitaciones impuestas por la falta de perspectiva histórica,
intenta radiografiar la «fuerte personalidad eclesial» del cardenal salesiano chileno, cuidando el
entorno socio-político-religioso «de esa atribulada hora histórica» y teniendo en cuenta «las
leyes de la herencia [que] dan una figura con el signo de la tenacidad... con un sentido práctico
envidiable, con una marca, la suya, que llevarán todas sus iniciativas», mientras que el estudio
de Don Bosco —«su lectura del Evangelio, su genialidad pedagógica y su criterio pastoral—,
tejieron en él una mentalidad sacerdotal que lo guió en cada una de las variadas etapas de su
existencia» (p. 12).
El autor, experto en el género biográfico y de ensayo, no se deja, sin más, seducir por el
hechizo del biografiado hacia el que confiesa sentir «interés y admiración». La relación, en la
que no escasea la fuente testimonial, sobre todo está entretejida con los escritos —
correspondencia, pastorales, discursos, entrevistas, «Mis recuerdos»— del cardenal, hasta
antojársele al lector, con sus rasgos autobiográficos, un

2.2 Page 12

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442
Recensioni
anticipo de sus posibles «Memorias».
Don Egidio Vigano, actual Rector Mayor de los Salesianos y compañero del biografiado,
finaliza su prólogo agradeciendo al autor el habernos proporcionado, «en una síntesis atrayen-
te, la posibilidad de contemplar el testimonio de una vida entregada a Chile, a sus jóvenes y a
sus pobres» (p. 12).
J. BORREGO
SALVATORE Franco, S.D.B., Villa Ranchibile, storia documentata narrata dai salesiani dell'Isti-
tuto nel primo cinquantenario della loro presenza nella Villa Ranchibile, 1938-1988 [Pa-
lermo, Stampa Tea Nova, 1988] 319 p., ill.
È la storia del fondo e della costruzione nella quale dal 1938 ha sede l'Istituto Salesiano
Don Bosco. L'A. trovò l'impresa facilitata dal reperimento di un volume folto di circa 800
pagine che raccoglie cronologicamente documenti che vanno dal 1682 al 1863. Dove giace
detta documentazione? Come vennero i salesiani a conoscerla? Interrogativi senza risposta.
Che non si tratti, però, di una bubbola come quella del Manzoni nel prologo del suo romanzo,
possiamo essere certi: alcune pagine del detto volume ci vengono offerte in fac-simile.
«Storia documentata» viene dichiarata. A ragione. Per il periodo 1863-1937 si son fatte
ricerche archivistiche e catastali: una nota di natura tecnica a pie pagina non avrebbe guastato.
Nel cinquantennio salesiano le fonti non sono indicate; sembra trattarsi prevalentemente di
memorie rapportate all'elenco del personale dell'Istituto e a poco di più. Tutto è documentato,
dunque, anche se non univocamente. Ma l'A. non concede al lettore facoltà d'appello.
Più corretto, dunque, chiamarla «storia raccontata». Apprezzabile, infatti, l'arte letteraria.
L'A. riesce a tener sotto controllo elementi peculiari eruditi, soprattutto nella prima sezione del
racconto, fin verso p. 100, che si snoda in clima ancor quasi feudale. Piacevoli e utili (per pro-
fani, come il recensore) le illustrazioni verbali nel testo o a pie pagina di costumanze o termi-
nologia antiquate.
Rimane da compilare la storia dell'educazione salesiana che l'Istituto ha impartito nel pas-
sato cinquantennio. Generici e sfumati cenni certo non mancano. Si auspica una documentata
riflessione cronologica in argomento.
A.M. PAPES
Trino e i Salesiani. Studi trinesi 7, Biblioteca civica maggio-giugno 1988, 157 p.
La Città di Trino, rappresentata dall'Amministrazione Comunale, per «la ricorrenza del
centenario della morte di San Giovanni Bosco e il vicino centenario dell'arrivo dei Salesiani»
(p. 5) a Trino ha promosso la pubblicazione, nella Collana «Studi Trinesi», del volume «Trino
e i Salesiani» a cura di Franco Crosio, Ugo Falabrino, Bruno Ferrarotti, mirato a ricostruire «la
'storia' dei Salesiani a Trino e dei rapporti tra i Salesiani e la città» (p. 5) nell'ambito di una più
vasta «storia culturale» trinese.

2.3 Page 13

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Recensioni
443
L'opera, in dignitosa veste tipografica, si apre con una presentazione giustificatri-
ce a firma del Sindaco e dell'Assessore alla Cultura, una prefazione illuminante ed
ispirata a gratitudine per l'iniziativa da parte del Direttore dell'Istituto Salesiano,
una premessa metodologica degli stessi curatori. Si sviluppa poi su due direttrici.
La prima affronta, da angolazioni diverse — oratorio, scuola, costume, movi-
menti rivoluzionari, devozione mariana, teatro, sport — e con l'utilizzo di cronisto-
rie messe a disposizione dagli Istituti «S. Cuore» dei Salesiani e «S. Famiglia» delle
Figlie di Maria Ausiliatrice, il tema della presenza salesiana a Trino.
La seconda, sotto la voce «documentazione fotografica», recepisce parte di una
mostra fotografica «ricca di 'tempo vissuto'» (p. 5) allestita sempre dall'Amministra-
zione Comunale unitamente agli Istituti «S. Cuore» e «S. Famiglia» e con la fattiva
collaborazione della popolazione.
Per la comprensione del testo occorre avvertire che il termine «salesiano» ivi
usato può riferirsi sia ai Salesiani propriamente detti che alle «Suore salesiane» (vedi
p. 31), cosa che favorisce confusioni, come nel caso della cessione del canonico Carlo
Sincero (p. 24). Si noti ancora che il titolo «Trino e i Salesiani» non intende insinua-
re contrapposizione. Basti per questo richiamare la valutazione di Franco Crosio:
«Senza oratorio salesiano, Trino sarebbe stata diversa» (p. 25), che è riconoscere con
don Umberto Bernardi l'imprescindibilità della presenza salesiana, se si vuol «defi-
nire l'identità stesso di Trino» (p. 7).
Gli studi, rispetto all'arco di tempo considerato — un secolo — e alla multifor-
me vita pulsante nei diversi settori — oratorio, scuola, chiesa — dei due Istituti, si
susseguono piuttosto brevi; alcuni, anzi, sono assorbiti quasi completamente o in
buona parte dalla trascrizione di una qualche cronistoria o di altro documento, inseri-
ta nel corpo stesso dell'articolo o aggiunta al medesimo a mo' di appendice. Più pro-
lisso quello su Maria Ausiliatrice, ma prende le mosse dal IV secolo e passa per
le mediazioni devozionali della pietà mariana di Carmelitani, Francescani, Dome-
nicani...
La documentazione fotografica, riportata in ordine non rigorosamente crono-
logico, occupa quasi metà volume. Il materiale vi è classificato per contenuti omo-
genei: oratorio, exallievi... Le nove fotografie di «Attività educativa salesiana» si
rapportano in effetti al solo ambito scolastico. Osserviamo inoltre che la fotografia
priva di dati anagrafici (vedi pp. 112, 114-117, 142-153) perde il suo valore docu-
mentario.
Complessivamente il tono del volume è cronachistico. A p. 7 troviamo che vie-
ne qualificato come «Catalogo», non ancora giunto, cioè, alla elaborazione storio-
grafica. Il tessuto storico affiora più per suggestioni o è colto più per intuizioni, che
per essere stato ricostruito.
L'iniziativa non perde per questo il suo significato di simpatica testimonianza
e può costituire una tappa di una serie di studi e di ricerche volte a documentare il
deciso inserimento dei Salesiani e delle Figlie di Maria Ausiliatrice nella vita della
città trinese.
B. CASALI

2.4 Page 14

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444
Recensioni
TUNINETTI Giuseppe, Lorenzo Gastaldi 1815-1883 Vol. II. Arcivescovo di Torino
1871-1883. Roma, Edizioni Piemme 1988, 413 p.
Presentando qualche anno fa il primo volume della biografia di mons. Gastaldi
scritta dal Tuninetti (RSS 5 1984), concludevamo il nostro dire con l'auspicio che
anche il secondo volume — attesissimo oltretutto perché avrebbe affrontato la tanto
complessa quanto interessante vertenza fra don Bosco e l'arcivescovo di Torino —
fosse improntato a sincera ricerca della verità, senza timore alcuno di rilevare quanto
la documentazione disponibile permettesse di fare. Alla prova dei fatti ci pare di
poter dire che il nostro augurio si è pienamente attuato.
Il voluminoso e documentatissimo studio del Tuninetti, com'è ovvio, non si li-
mita alla presentazione del conflitto tra mons. Gastaldi e don Bosco: tratteggia le
caratteristiche della mentalità episcopale del prelato, espone la sua linea pastorale,
descrive la situazione economica e sociale di Torino e del Piemonte degli anni settan-
ta, presenta la personalità dei principali collaboratori dell'arcivescovo, sottolinea
l'interesse primario da lui riservato al clero (sinodo diocesano, trasferimento della
Facoltà teologica dall'università al seminario, riforma dei seminari e del Convitto),
specifica il suo atteggiamento verso gli altri vescovi ed i religiosi, dà spazio alla sua
posizione concettuale e al suo concreto intervento nell'ambito di quei due fenomeni
caratteristici del tempo che rispondono al nome di «movimento cattolico» e «que-
stione rosminiana». Man mano che i sedici capitoli si snodano, sotto i nostri occhi
si apre un'ampia panoramica sia sui tratti del personaggio biografato, — un perso-
naggio di notevole statura intellettuale e morale, anche se non privo di durezze e di
contraddizioni — sia sulla situazione di una città e di un'intera provincia.
Al tema di nostro specifico interesse è dedicato il capitolo dodicesimo (pp.
259290), ma il nome di don Bosco ricorre continuamente lungo le pagine del volu-
me: anzi, è quello più citato nell'indice dei nomi delle persone. Un sì ampio spazio è
giustificato dall'autore sulla base del fatto che la memoria storica del clero diocesano
dell'epoca gastaldiana ha privilegiato proprio il contrasto con l'educatore di Valdoc-
co e che la tradizionale agiografia salesiana, sia pure con motivi più che legittimi, è
scesa decisamente in campo a unilaterale sostegno della posizione del proprio fonda-
tore. Se poi la vicenda Don Bosco-Gastaldi, come giustamente afferma il T., assume
un significato emblematico di un particolare momento storico della Chiesa in Italia
— disagio di fronte ad un'ecclesiologia papale che tendeva a porre in ombra la legit-
tima autorità episcopale — non si può non essere d'accordo con l'opzione fatta.
L'esame dell'intera vertenza si presenta piuttosto arduo: l'immensa documenta-
zione edita ed inedita è spesso di non facile valutazione sotto il profilo dell'attendibili-
tà; le reali motivazioni del comportamento delle due forti personalità in conflitto
tendono a sfuggire agli strumenti della critica storica; i personaggi minori, ma non
per questo meno importanti ai fini della comprensione della «querelle», possono costi-
tuire a seconda dei punti di osservazione, un alibi, una logica spiegazione, un'aggra-
vante della responsabilità dei due contendenti.
Quali i risultati dello studio del T.? Nella prima parte del capitolo sono presen-
tati i tempi ed i modi in cui la vertenza venne ad acuirsi, fino alla completa rottura

2.5 Page 15

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Recensioni 445
degli anni 1878-1879 ed all'atto di «concordia» del 16 giugno 1882; nella seconda
parte se ne offre la sintesi interpretativa. A giudizio dell'autore i motivi del contende-
re si collocavano su un triplice piano. Anzitutto su quello ecclesiologico: si era di
fronte ad una diversa ecclesiologia: più papale, verticistica, più pragmatica quella di
don Bosco, non ben armonizzata fra formazione tendenzialmente episcopalista ed
accettazione di elementi ultramontani quella di mons. Gastaldi. In secondo luogo
sul piano personale: diversi per estrazione sociale, per formazione, per esperienze
apostoliche, si assomigliavano per caparbietà nel sostenere le proprie posizioni,
l'uno irremovibile nei suoi diritti e doveri di vescovo, perfezionista nelle sue attese,
l'altro tenace nella sua convinzione di dover fare il bene a qualunque costo, e per-
tanto piuttosto disinvolto nel suo agire una volta persuaso della bontà delle sue ini-
ziative; a completare il quadro personale si aggiungano l'impulsività e la spigolosità
di carattere dell'uno a fronte di qualche imprudenza e di qualche «furbizia» di troppo
dell'altro. Infine non vanno sottaciute le responsabilità di quanti gravitavano nell'or-
bita dei due contendenti e che avevano buone ragioni per schierarsi a fianco del
proprio superiore od amico: in particolare il Chiuso ed il Colomiatti da una parte,
qualche salesiano ed i sacerdoti diocesani don Anfossi (ex salesiano) e don Turchi
(ex allievo salesiano) dall'altra.
Possiamo dire che con questa interpretazione si è completamente spiegato il
contrasto fra don Bosco e mons. Gastaldi? Diciamo subito che la ricostruzione del
T. ci sembra condotta con profondo senso della misura e lontano da semplificazioni,
sopravalutazioni o denigrazioni arbitrarie; quindi non può non trovarci consenzien-
ti. L'autore ha cura di seguire con vigile attenzione la sequenza degli avvenimenti, di
interpretarli con serenità di giudizio ed anche con la necessaria severità, quando pre-
sentano il fianco alla critica. Siamo di fronte ad un'interpretazione abbastanza nuo-
va, equilibrata nei suoi elementi, distaccata da esaltazioni e condanne ingiustificate.
Ma con tutto ciò, in implicito accordo per altro col T., ci pare non sia ancora giunto
il momento per accettare come definitivo il suo giudizio. Qualcosa sembra sfuggire
ancora alla sua pur attentissima analisi.
Si può legittimamente dubitare che la decisa e documentata opposizione del
Chiuso e del Colomiatti a don Bosco abbia avuto su mons. Gastaldi un peso analo-
go a quella di qualche non precisato salesiano su don Bosco nei confronti dell'arci-
vescovo, tenuto conto della discrezione usata dal sacerdote di Valdocco in tutta la
vicenda. La figura morale di un don Rua, il collaboratore più stretto di don Bosco, è
forse assimilabile a quella dei confidenti di Gastaldi della tempra dei citati Chiuso e
Colomiatti? Non siamo dell'avviso, e ciò al di là dell'immagine che dei due si fecero
successivamente i salesiani. In questo senso andrebbe anche apprezzato l'elogio
apparso sul Bollettino Salesiano all'indomani della morte dell'arcivescovo: «La
morte di Mons. Lorenzo Gastaldi ci tornò assai dolorosa pel modo con cui è avvenu-
ta, dolorosa soprattutto pel bene che Egli ci fece sin dai primordii del nostro Istituto
[...] Egli era insomma per D. Bosco quale un amico ed un fratello [...] cooperò in
varie guise a vantaggio nostro, come la storia dirà a suo tempo».
Così pure nello sforzo di massima obiettività andrebbe forse più sottolineato il
diverso atteggiamento dei due contendenti: rigido, sicuro di sé, decisionista, appel-

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446 Recensioni
lantesi al diritto, facile a provvedimenti repressivi — e non solo con don Bosco,
occorre ribadirlo — quello di Gastaldi, più sofferto, più riservato, più disponibile
al «soffio dello spirito» quello di don Bosco.
Ancora. La cosiddetta politica del «doppio binario» seguita da Roma nell'ap-
provazione delle costituzioni salesiane e nell'immediata concessione di privilegi che
in via provvisoria limitavano la portata di alcune disposizioni appena approvate,
non è detto sia necessariamente da valutarsi come ambigua. La via dei privilegi
poteva essere o forse era una via più che legale con cui la curia romana ed il pontefi-
ce sopperivano agli impellenti bisogni di nuove congregazioni che trovavano gravi
difficoltà nell'operare sempre e dovunque all'interno delle rigide maglie della legisla-
zione canonica del tempo. Piuttosto avrebbe potuto essere posto l'accento sulla non
molto commendevole abitudine di inviare a Roma rapporti negativi, a volte addirit-
tura anonimi, su autorità religiose locali, rapporti che in linea di massima venivano
presi in seria considerazione dagli organi competenti. Lo stesso Gastaldi, come risulta
anche da nostre scoperte archivistiche recentissime, fu oggetto di accuse pervenute
al S. Padre e ritenute in buona parte fondate: Archivio Segreto Vaticano: Epist.
Lat. Pos. et Min. 83, 125.
Un altro punto avrebbe forse meritato di essere evidenziato, vale a dire la diffe-
rente, meglio, la differenziata coscienza delle personali responsabilità dei due con-
tendenti. Ciò che spingeva don Bosco ad agire in un certo modo (che, forse, ci è facile
giudicare talora poco prudente, se non decisamente scorretto) era il sentirsi investito
di un compito tendenzialmente universale nei confronti dei giovani. Comunque si
vogliano valutare i suoi sogni, resta il fatto che il suo sguardo e le sue iniziative sor-
passarono rapidamente le frontiere regionali, nazionali e continentali. In questa
linea fin dall'inizio del suo apostolato a Valdocco — e non solo durante l'episcopato
di mons. Gastaldi — fece continuamente ricorso a Roma per ottenere indulti, con-
cessioni, privilegi. Percepiva di essere chiamato ad un'originale missione che esigeva
una certa libertà di azione e lo svincolo da quelli che riteneva inutili impacci ad un
generoso ed immediato servizio alla gioventù, servizio per altro riconosciuto da tutti
come estremamente valido. Al contrario mons. Gastaldi, arcivescovo di Torino,
operava all'interno della logica che lo vedeva al vertice di una diocesi, primo respon-
sabile della fede cristiana in essa accolta e vissuta, e pertanto giustamente preoccu-
pato di ridimensionare quanto più possibile — diritto canonico alla mano — un'e-
ventuale esenzione dalla sua autorità. Pare quindi decisamente sostenibile la tesi che
mons. Gastaldi non abbia chiaramente percepito il genuino «carisma» di don Bo-
sco, il quale a sua volta non fu in grado di farsi accogliere come portatore di esso
dall'«autorità». Allo stesso modo si potrebbero pure interpretare le difficoltà — non
minori anche se non assurte agli onori della cronaca — incontrate da don Bosco col-
l'arcivescovo Alessandro Riccardi di Netro.
Infine osiamo avanzare un'idea per la quale il saggio del T. ci offre una splendi-
da opportunità. Forse quello dello scontro Bosco-Gastaldi è uno dei casi in cui sa-
rebbe conveniente abdicare, per lo meno in parte, all'idea di poter trovare uno sche-
ma interpretativo generale in grado di spiegare perfettamente i complessi accadi-
menti. Non ci si fraintenda: non intendiamo sostenere che la storia debba ritrarsi

2.7 Page 17

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Recensioni
447
dall'indagare gli eventi, dallo stabilire connessioni, dall'inquadrare situazioni, dal
far emergere distorsioni, ambiguità, incomprensioni. Ma proprio per questo fatto ci
pare che la storia debba raccogliere fra i suoi dati anche elementi di illogicità dei
comportamenti umani; sul filo logico teso dallo storico c'è posto pure per la costata-
zione di elementi di irrazionalità neh'agire umano. Come spiegare altrimenti la du-
rezza dello zelante arcivescovo Gastaldi verso don Bosco, se il presule sempre lo
riconobbe come uomo che voleva e faceva del bene, se mai smise di aiutarlo in vario
modo, anche economicamente? E come trovare una razionalità assoluta nel compor-
tamento dell'ottimo sacerdote Bosco, che, a quanto pare, difficilmente cedette di un
solo palmo a favore di ciò che il suo legittimo arcivescovo esigeva e che lui invece
riteneva non doversi fare o dare? E come è possibile che i due si contrapponessero e
letteralmente si scontrassero negli anni 1872-1883, quando per almeno due decenni
erano vissuti nella più completa vicendevole stima ed avevano operato in stretta col-
laborazione? Ma qui forse si sfiora il problema del mistero dell'uomo, un problema
per il quale gli occhi della storia non sono sufficienti, i concetti ed i linguaggi storio-
grafici lasciano il passo a categorie proprie di altre scienze. Chi può dire di conosce-
re con sicurezza le correnti profonde che corrono sotto il mulinello di un sì aspro
contrasto? Eppure, anzi proprio per questo, occorre far di tutto per conoscere anche
tali correnti.
In questa prospettiva possiamo dunque affermare che l'attento ed appassionato
studio del T. costituisce un indiscutibile passo avanti nella ricostruzione del «caso»
Don Bosco-Gastaldi. Ma ciò che più conta al di là del caso singolo, sono finalmente
disponibili un'adeguata presentazione della complessa personalità dell'arcivescovo
ed un'efficace analisi dei momenti fondamentali del suo episcopato, il tutto, come si
diceva, incorniciato da un ampio sguardo sulla situazione socio-religiosa dell'epoca.
Non è pura retorica affermare che si avvertiva la mancanza di un'opera come questa
da parte di chi è interessato alla storia della chiesa torinese (e di don Bosco). L'auto-
re ha assolto più che onorevolmente il compito che si era prefissato.
F. MOTTO
VAN SCHAIK A.H.M. - STAATS C. - VAN STERKENBURG ARNOLDSZ P. (red.), Don
Bosco op de Veluwe. Het relaas van Huize Don Rua te Ugchelen 1942-1959.
Leusden, Salesianen van don Bosco 1987, XII-155 p.
In occasione del centenario della morte di don Bosco tre exallievi hanno concepi-
to l'idea di una pubblicazione «in cui tracciare l'origine, il periodo maturo e il tra-
monto» (pag. IX) dell'aspirantato salesiano «Huize Don Rua» di Ugchelen, presso
Apeldoorn. Si proposero di «offrire un resoconto dei fatti, ben leggibile, seriamente
fondato, sullo sfondo della società e della Chiesa di allora» (p. X). Pur affidando a
P. van Sterkenburg la redazione finale, i tre autori hanno redatto ciascuno, indipen-
dentemente dagli altri, una parte del libro. La prima parte (pp. 1-89) traccia la storia
della casa di formazione di Ugchelen (1942-1959) (P. van Sterkenburg); la parte centra-
le (pp. 91-116) traccia un quadro di ciò che fu il «proprium» della spiritualità del-

2.8 Page 18

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448 Recensioni
la «Huize Don Bosco» (T. van Schaik); mentre la terza parte (pp. 117-136) descrive
il trasferimento dell'aspirantato da Ugchelen verso la nuova sede di 's-Heerenberg
(C. Staats).
La prima e la terza parte riguardano direttamente la storia della congregazione
salesiana in Olanda. Vengono brevemente tracciati i primi contatti tra l'Olanda e la
Congregazione salesiana (A. Ariers a Torino [1882], don M. Rua ad Amsterdam
[1898], progetto di una fondazione a Maastricht [1907], H. Poels [1923], l’ispettoria
salesiana del Belgio). L'A. evoca poi il contesto storico a partire dagli anni 1920, in
cui emergono alcuni momenti rilevanti: la fondazione dell'opera salesiana di
Lauradorp (Waubach, 1928), l'attività di Ch. Dury in Olanda e in Italia, la
fondazione dell'aspirantato salesiano a Leusden (Amersfoort) nel 1937. Questi fatti,
insieme al contesto della seconda guerra mondiale, conducono alla fondazione
della «Huize don Rua» a Ugchelen. Quest'ultima si inserisce nell'epoca di grande
fioritura delle fondazioni religiose in Olanda. A Lauradorp i salesiani pensano alla
creazione di un noviziato salesiano. Nel 1942 viene comprata la casa «Caesar» a
Ugchelen. Viene attrezzata per ospitare in un primo momento gli studenti di
teologia e di filosofia (aprile 1942), e più tardi i novizi (15 agosto 1942). Dopo una
seconda occupazione della casa di Leusden da parte dell'esercito tedesco (19 nov.
1942) la «Huize Don Rua» diventa aspirantato, a partire dal dicembre 1942: in un
primo momento per i ragazzi che dovevano lasciare la casa di Leusden; poi, a
partire da settembre, vengono i primi aspiranti autoctoni della «Huize don Rua».
L'A. descrive con abbondanza di dettagli le diverse ristrutturazioni degli edifici,
richieste dalla crescita costante dell'opera, e i grandi sacrifici che venivano richiesti,
date le circostanze belliche, ai Salesiani olandesi e anche agli aspiranti. Anche il
movimentato periodo post-bellico riceve molta attenzione: la partenza del
direttorevisitatore J. van Lent, la nomina del direttore H. ter Meer (die. 1944), la
visita del visitatore straordinario don Simonetti (fine 1945), e la nomina del direttore
W. Gubbels (gennaio 1946). Arriva finalmente un periodo di relativa calma e di
consolidamento in seguito alla nomina dell'italiano Annibale Bortoluzzi (1890-1982)
a capo dell'ispettoria salesiana olandese (dal 1946 al 1962).
Dopo il trasferimento dei novizi e degli studenti di filosofia alla casa di Twello
(ottobre 1947) «Huize Don Rua» ospita prevalentemente aspiranti chierici, aspiranti
coadiutori ed alcuni studenti di teologia. L'A. analizza ampiamente la situazione
finanziaria ed economica della casa, legata alla creazione di una fattoria con una
scuola agricola, trasferita in seguito ad Assel (1951). Il 5 luglio 1950 viene reso noto
l'acquisto del «Bonifatiushuis» a 's-Heerenberg, dove viene trasferito l'aspirantato
di Ugchelen.
Nella prima parte si trovano inoltre numerose pagine in cui vengono tracciati i
profili dei direttori che successivamente guidarono «Huize don Rua»: J. van Lent
(1942-1944), H. Ter Meer (1944-1945), W. Gubbels (1946-1951), S. Wijsman
(19511957), T. Elsakkers (1957-1959), e di alcuni sacerdoti-insegnanti di maggior
rilievo: W. Van Bergen, Th. 't Hort, J. Klein.
Altri temi trattati dall'A., comunque in modo disuguale, riguardano alcuni
aspetti essenziali della vita quotidiana nella «Huize Don Rua»: il programma degli

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Recensioni 449
studi e le caratteristiche della formazione, il reclutamento e le condizioni di ammis-
sione degli aspiranti, la scuola e gli esercizi di pietà, gli insegnanti e gli esami, la vita
nella comunità educativa, la lingua ufficiale e i dialetti, l'igiene, la disciplina e la cen-
sura, le vacanze, l'allontanamento e la partenza degli aspiranti, le manifestazioni
culturali (musica, teatro, film), lo sport e le feste.
Anche la terza parte offre un panorama, di carattere più specificamente storico,
riguardante l'ispettoria salesiana olandese: la continuazione dell'aspirantato di U-
gchelen a 's-Heerenberg (1958-1970). Considerando che la casa di Ugchelen era sem-
pre troppo stretta e che era impossibile ampliarla a causa di una strada statale che
veniva costruita nella vicinanza, si andava a cercare una nuova sede. «Bonifatiu-
shuis», sulla frontiera tedesca, precedentemente casa di formazione dei Padri Bian-
chi, comprata il 27 agosto 1958, veniva ristrutturata e trasformata da seminario a
internato e scuola. Nel 1959 i salesiani e gli aspiranti si trasferirono nella nuova
«Huize Rua» a 's-Heerenberg. Nel 1960 «Huize Rua» a Ugchelen viene venduta. A
sua volta la nuova sede di 's-Heerenberg verrà chiusa nel 1970 e il 6 gennaio 1975
viene venduta.
Nel secondo contributo si osservano più da vicino alcune caratteristiche dell'e-
ducazione salesiana nella «Huize Don Rua» e in particolare della vita religiosa,
quali venivano realizzate dai salesiani (la maggior parte dei quali era stata formata
in Italia). L'A. segnala che l'impostazione dei salesiani non teneva conto del conte-
sto olandese né delle mutate circostanze del tempo. Il proprium salesianum che nel
periodo 1942-1959 distingueva la «Huize Don Rua» dagli altri aspirantati e piccoli
seminari olandesi, secondo l'A., consisteva nella «italianità», nel carattere legalistico
della virtù di obbedienza, nella purezza circondata da rigorismo e ansia, nell'accen-
tuazione delle «petites vertus», nell'assenza di ogni attenzione alla dimensione socia-
le e politica, e nell'esclusione sistematica di influssi esterni (giornale, radio, film,
libri), considerati pericolosi per l'ambiente educativo chiuso. Per ciò che riguarda la
vita di preghiera degli aspiranti, i salesiani erano praticamente insensibili ai frutti del
rinnovamento liturgico in Olanda, e usavano solo testi di preghiera e devozioni che
don Bosco aveva già promossi nel suo tempo. L'A. dedica anche alcune considera-
zioni alla paura del sesso e alla paura del mondo (vacanze, corrispondenza, visite,
escursioni). Egli apprezza positivamente il senso della povertà come pure quella
sfera difficilmente definibile che è tipica del «sistema preventivo in atto» (p. 112),
con tutti i valori educativi connessi con questo.
Il libro offre inoltre, in appendice, una specie di vocabolario dei termini «sale-
siani», dei nomi e delle regole che erano usuali nella «Huize Don Rua» (pp. 137-
153). Il volume è illustrato con alcuni quadri del salesiano J. van Schagen. La «pre-
fazione» (pp. VII-VIII) è di A. Asma, ispettore dei salesiani in Olanda.
Le fonti che gli Autori hanno potuto utilizzare per il loro lavoro, seppure in
modo limitato, comprendono la cronaca della «Huize Don Rua» (1942-1959), i con-
tratti di compra e vendita, i verbali del consiglio ispettoriale, l'archivio dell'archidio-
cesi di Utrecht, informazioni provenienti da numerose interviste. Inoltre utilizzano
studi riguardanti la Chiesa in Olanda, e studi sull'opera educativa e sul metodo edu-
cativo di don Bosco. Soprattutto nella seconda parte l'A. avrebbe potuto trovare in

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450 Recensioni
studi più recenti (Braido, Stella) indicazioni molto utili per ricollocare la vita litur-
gica e devozionale in un contesto più ampio.
Gli autori esprimono critiche sincere e, qua e là, anche qualche giudizio severo.
Il loro lavoro comunque non è inteso come un processo ai salesiani o al passato (p.
X, 88, 135). Non di rado l'esposizione è interessante e talvolta commovente. Questo
però non impedisce di sottolineare che, a loro avviso, i punti cruciali dell'ispettoria
salesiana olandese sono dovuti alla scarsa capacità di adattamento alla cultura olan-
dese, da parte di una generazione di salesiani formata prevalentemente all'estero.
Inoltre, secondo gli Autori, i salesiani hanno riconosciuto troppo poco e troppo
tardi i profondi cambiamenti sociali e la crisi della Chiesa in Olanda. Anche ammes-
so che in sé questo fosse praticamente impossibile, di fatto la chiusura e l'atteggia-
mento di rifiuto, tipici del loro stile di vita, li hanno rinchiusi ulteriormente nell'iso-
lamento (pp. 85-88; 135-136). Nonostante queste osservazioni gli Autori manifesta-
no simpatia per quest «uomini di carne e ossa» che, a modo loro, hanno contribui-
to a formare «onesti cittadini e buoni cristiani» (p. 136).
J. SCHEPENS