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LINEE PORTANTI DELL’ANIMAZIONE SPIRITUALE
DELLA CONGREGAZIONE SALESIANA
DA PARTE DELLA DIREZIONE GENERALE TRA 1880 E 1921
Aldo Giraudo *
Nell’agosto 1876, a nome di don Bosco, Giulio Barberis, giovane maestro
dei novizi, scriveva ai direttori una circolare con le norme per i chierici che do-
vevano trascorrere le vacanze a Lanzo. Questi sarebbero stati affidati alla vigi-
lanza di don Rossi, il quale, si diceva tra l’altro, «è incaricato di dar nota ogni
sera della condotta di ciascuno in particolare e di mandare ogni giorno detta let-
tera al Sig. D. Bosco» 1. Ci troviamo di fronte ai primi tentativi di avviare pro-
cessi regolati e disciplinati anche fuori delle incipienti strutture formative, mo-
dellati su una prassi in uso nella diocesi torinese, richiamata in vigore dall’Arci-
vescovo, che sottoponeva i seminaristi al controllo dei parroci durante le va-
canze estive. Il riferimento al modello formativo diocesano si percepisce anche
nelle espressioni che chiudono la circolare di Barberis:
«Ci sia grande impegno in tutti di essere Lux mundi et sal terrae. Non vi sia
neppure un momento nella nostra vita in cui nella pratica non ricordiamo
questo precetto che il nostro Divin Maestro dava ai Sacerdoti ed a tutti
quelli che aspirano al Sacerdozio. Si cerchi invece che la lucerna nostra
mandi sempre maggior luce affinché dia splendore ed illumini bene tutta la
casa in cui ci troviamo. Si faccia in modo che il sale nostro sia sempre più
condiente ad acquisti sempre maggior forza nel dar gusto e preservare dalla
corruzione coloro che ci avvicinano».
In queste espressioni si sentono riecheggiare motivi familiari alla lettera-
tura e all’omiletica sul buon seminarista e sul santo prete che aveva alimentato le
meditazioni della prima generazione salesiana a partire dagli anni Cinquanta, e
in precedenza di don Bosco stesso nel seminario di Chieri e nel Convitto eccle-
siastico. Questi elementi essenziali della spiritualità sacerdotale costituiscono
l’humus nel quale il Fondatore e i suoi collaboratori andavano coltivando il te-
nero germoglio dell’identità e della spiritualità salesiana. Luce e sale indicavano
appunto la santità della vita e la consistenza dottrinale, le virtù che avrebbero
potuto dare efficacia al ministero.
* Salesiano, docente presso la Pontificia Università Salesiana di Roma.
1 Giulio BARBERIS, Molto Reverendo Direttore… (Torino, 17 Agosto 1876), circolare
autografa in ASC E229.

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66 Aldo Giraudo
Ma questo era solo un aspetto della coscienza e dell’identità di religiosi
che in quella temperie si stava elaborando. La stessa circolare terminava con
un’espressione sintomatica dello spirito di coesione salesiana delle origini:
«Queste, M. R. Sig. Direttore, sono le cose che il nostro caro Padre D.
Bosco, mi incaricò di scriverle il che io feci con gran sollecitudine e molto
piacere non essendovi altra cosa che più mi stia a cuore che prontamente
obbedire a colui che per me e per tutti noi fa da rappresentante di Dio
medesimo».
La paternità autorevole dell’amato Fondatore e lo spirito di generosa obbe-
dienza sono altri due elementi, che nei decenni successivi verranno continua-
mente evocati in documenti e interventi di animazione e governo della Congrega-
zione. Era questa l’impronta impressa da don Bosco fin dall’inizio, nel suo sforzo
di dar stabilità funzionale e di formare la mentalità della sua famiglia religiosa,
insieme al senso di fraternità, allo spirito di preghiera e alla tensione missionaria.
1. La prospettiva spirituale indicata da don Bosco
Don Barberis il 3 febbraio dello stesso anno aveva annotato, nella cronaca
di una conferenza generale pubblica dei salesiani, un articolato intervento di don
Bosco che conteneva gli elementi essenziali di quell’ascetica salesiana che sa-
rebbe stata costantemente richiamata nei decenni successivi. Si trattava, in so-
stanza, per il Fondatore di acquistare uno «spirito», cioè di formarsi atteggia-
menti interiori e di assimilare una forma mentis incentrata sull’osservanza esatta
per motivi di fede, sull’offerta disinteressata di sé, sull’obbedienza, sul senso di
appartenenza ad un corpo religioso e sull’idea comunitaria di missione. Don
Bosco aveva esordito dicendo:
«Quello che mi consola di più è il vedere il modo con cui si va acquistando
dai soci il vero spirito della Congregazione; quell’ideale che io mi prefig-
geva quando si trattava di radunare individui che mi ajutassero a lavorare
per la maggior gloria di Dio. Vedo in generale uno spirito di disinteresse
proprio eroico, uno spirito di abnegazione della propria volontà, un’obbe-
dienza che mi consola»2.
Poi era passato ad insistere sulla necessità di conoscere le Regole, di stu-
diarle e praticarle,
«poiché se si vuol lavorare anche con buon spirito, ma non nella cerchia
comportata dalle nostre regole che ne verrà? Che […] il lavoro resta indi-
2 Dalla Cronaca di G. Barberis (quaderno 14, 2° verso, pp. 26-27), citata da Pietro
BRAIDO, Tratti di vita religiosa salesiana nello scritto “Ai Soci Salesiani” di don Bosco del
1877/1885. Introduzione e testi critici, in RSS 14 (1995) 93.

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Linee portanti dell’animazione spirituale della Congregazione Salesiana… 67
viduale non collettivo, ed il bene che deve aspettarsi dagli ordini religiosi
avviene appunto da ciò che lavorano collettivamente»3.
1.1. Un’ascetica robusta e oblativa
La prospettiva in cui si colloca don Bosco è principalmente quella del-
l’ascetica austera e dell’oblatività generosa attinta dalla spiritualità tradizionale:
«Questo pensiero è concepito in una sola parola: – Obbedienza. Sì, cia-
scuno nella sua sfera procuri di essere intieramente obbediente, sia alla re-
gola sia ai singoli comandi dei superiori. […] Questo soggetto va fatto tema
di letture, di conferenze, di prediche. Ciascuno poi rilegga ben bene il capo
delle nostre regole che parla del voto di obbedienza, anzi si studii; e poi un
punto principale attorno a cui deve versare l’obbedienza si è intorno alle
pratiche di pietà. Si rilegga anche bene questo capitolo e si procuri di osser-
vare; l’obbedienza, e specialmente in questo è la chiave della Congrega-
zione, quello che la sosterrà»4.
1.1.1. Sono questi i temi centrali e caratterizzanti dell’impegno formativo
del don Bosco fondatore e consolidatore della sua Congregazione religiosa. Se
essi vengono appena delineati nella prima circolare del 12 gennaio 1876 – in cui
il Santo esprimeva soddisfazione per lo spirito col quale i salesiani dimostravano
di lavorare e, in considerazione delle continue richieste di opere5, esortava a col-
tivare le vocazioni e ad offrire se stessi nella totalità della consacrazione6 –, in
seguito prevarranno come il filo conduttore e il tema dominante della proposta
spirituale offerta ai discepoli.
3 Ibid., p. 94.
4 Ibid., p. 95.
5 «Si lavora, si osservano le costituzioni della Società, si mantiene la disciplina, si fre-
quentano i santi Sacramenti, si promuove lo spirito di pietà, e si coltivano le vocazioni […]. Ho
pure la consolazione di parteciparvi come la nostra Società prenda ogni giorno maggior incre-
mento […]. Ma che diremo delle dimande che si fanno di aprire Case in tante parti? In molte
città d’Italia, di Francia, d’Inghilterra; nell’America del Nord, del Centro, del Sud e segnata-
mente nell’Impero del Brasile e nella Repubblica Argentina; in Algeria, nella Nigrizia, in
Egitto, in Palestina, nelle Indie, nel Giappone, nella China, nell’Australia vi sono milioni e mi-
lioni di creature ragionevoli, che, tuttora sepolte nelle tenebre, dell’errore, dall’orlo della perdi-
zione levano loro voci dicendo: Signore, mandateci operai Evangelici, che ci vengano a portare
il lume della verità, e ci additino quella strada, che sola può condurre a salvamento […]», Let-
tere circolari di D. Bosco e di D. Rua ed altri loro scritti ai Salesiani, Torino, Tipografia Sale-
siana 1896, pp. 9-10.
6 «Noi però non perdiamoci di animo, e per ora ci applicheremo seriamente col lavoro,
colla preghiera e colla virtù a preparare novella milizia a G. C., e ciò studieremo di conseguire
specialmente colla coltura delle vocazioni religiose; e se farà d’uopo a suo tempo offriremo
anche noi stessi a quei sacrifizi che Dio si degnasse di chiedere per nostra ed altrui salvezza»
(ibid., p. 10).

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68 Aldo Giraudo
Lo si vede con chiarezza, ad esempio, nella lettera circolare del 6 gennaio
1884, tutta dedicata all’osservanza delle regole come mezzo privilegiato per
«assicurarsi l’eterna salvezza»:
«Le cose poi che voi dovete praticare, a fine di riuscire in questo grande pro-
getto, voi potete di leggieri indovinarle. Osservare le nostre Regole, quelle
Regole che Santa Madre Chiesa si degnò di approvare per nostra guida e per
il bene dell’anima nostra e per vantaggio spirituale e temporale dei nostri
amati allievi. Queste Regole noi le abbiamo lette, studiate, ed ora formano
l’oggetto delle nostre promesse, e dei voti con cui ci siamo consacrati al Si-
gnore […]. Tutto quello che abbiamo, o nell’ordine spirituale o nell’ordine
temporale, appartiene a Dio; perciò quando nella professione religiosa noi ci
consacriamo a Lui, non facciamo altro che offerire a Dio quello che Egli
stesso ci ha, per così dire imprestato, ma che è di sua assoluta proprietà […].
L’osservanza delle Regole costa fatica in chi le osserva mal volentieri, in chi
ne è trascurato. Ma nei diligenti, in chi ama il bene dell’anima, questa osser-
vanza diviene, come dice il Divin Salvatore, un giogo soave, un peso leg-
giero: Jugum meum suave est, et onus meum leve»7.
Pare che la prospettiva dell’osservanza, nella mente di don Bosco e nelle
sue vigorose argomentazioni, acquisti prevalentemente una connotazione asce-
tica marcata ed austera, fondata tuttavia su una tensione di ispirazione mistica. In
fondo, a ben guardare, si trattava dell’assunzione di quel modello di pastore
santo propugnato dalla Riforma cattolica, recepito prevalentemente attraverso la
raffigurazione e la concretizzazione offerta dal Cafasso e declinato in chiave di
consacrazione religiosa, come si percepisce dalla conclusione della circolare:
«E poi, miei cari, vogliamo forse andare in Paradiso in carrozza? Noi ap-
punto ci siamo fatti religiosi, non per godere, ma per patire e procurarci me-
riti nell’altra vita; ci siamo consecrati a Dio non per comandare, ma per ob-
bedire; non per attaccarci alle creature, ma per praticare la carità verso il
prossimo, mossi dal solo amor di Dio; non per far una vita agiata, ma per
essere poveri con Gesù Cristo, patire con Gesù Cristo sovra la terra, per
farci degni della sua gloria in Cielo».
Da qui egli traeva motivi di conforto, di invito alla perseveranza «nel di-
vino servizio fino agli ultimi momenti della vita», di stimolo ad un più deciso
orientamento operativo:
«Animo adunque, o cari ed amati figli; abbiamo posto la mano all’aratro,
stiamo fermi; niuno di noi si volti indietro a mirare il mondo fallace e tradi-
tore. Andiamo avanti. Ci costerà fatica, ci costerà stenti, fame, sete e forse
anche la morte; noi risponderemo sempre: se diletta la grandezza dei premi,
non ci devono per niente sgomentare le fatiche che dobbiamo sostenere per
meritarceli: Si delectat magnitudo praemiorum, non deterreat certamen
laborum» 8.
7 Ibid., pp. 21-22.
8 Ibid., p. 22. Si vedano gli analoghi motivi delineati da san Giuseppe Cafasso nella pre-

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Linee portanti dell’animazione spirituale della Congregazione Salesiana… 69
1.1.2. I primi articoli delle Regole o Costituzioni della Società di S. Fran-
cesco di Sales, rivelano sinteticamente, ma efficacemente, questo orientamento
spirituale e questa ottica specifica dell’identità salesiana secondo il Fondatore.
Lo scopo della Società Salesiana è indicato, contemporaneamente e inscindibil-
mente, nella «cristiana perfezione de’ suoi membri», in «ogni opera di carità
spirituale e corporale verso i giovani, specialmente poveri» e nella «educazione
del giovane clero». Il modello di riferimento è Gesù Cristo, il quale
«incominciò a fare ed insegnare; così anche i soci Salesiani incominceranno
a perfezionare se stessi colla pratica d’ogni virtù interna ed esterna, e col-
l’acquisto della scienza, di poi si adopreranno a benefizio del prossimo».
Vengono segnalati gli «esercizi» di carità spirituale e corporale propri della
Congregazione, innanzitutto quelli rivolti alla gioventù: «raccogliere i giovanetti
poveri ed abbandonati per istruirli nella santa Cattolica religione, particolarmente
ne’ giorni festivi»; ricoverare quelli «totalmente abbandonati» in case nelle quali
somministrare loro – «coi mezzi che la Provvidenza ci porrà tra le mani» – vitto,
vestito, istruzione religiosa e avviamento «a qualche arte o mestiere»; e favorire
le vocazioni allo stato ecclesiastico coltivando «nella pietà quelli che mostrassero
qualche attitudine allo studio». Ma si prospetta ai soci anche un’azione pastorale
più vasta, per «sostenere la Religione Cattolica […] particolarmente nei villaggi»,
predicando esercizi spirituali «per confermare e indirizzare nella pietà coloro, che
mossi dal desiderio di mutar vita, si recassero ad ascoltarli», diffondendo «buoni
libri nel popolo» e cercando «di porre un argine all’empietà e all’eresia, che in
tante guise tenta di insinuarsi fra i rozzi e gli ignoranti»9.
Come si può notare, si trattava di una descrizione sintetica della vasta
azione caritativa e pastorale svolta fino a quel momento dal Fondatore e dai col-
laboratori, ma prospettata ai salesiani in stretta connessione con la tensione verso
la perfezione cristiana e l’esercizio delle virtù, così come si presentavano nei
quadri mentali di don Bosco e di quanti come lui erano cresciuti nel fervore spi-
rituale e apostolico del suo ambiente. Cioè il frutto di un orientamento totaliz-
zante di amore a Dio e di offerta generosa, nella mortificazione dell’amor pro-
prio e nell’aderenza al vissuto quotidiano, che recepiva la lezione attinta dalle
opere di sant’Alfonso e dai classici della spiritualità, ma si esprimeva in un con-
testo culturale e operativo di fatto nuovo, tale da caricare espressioni e contenuti
classici di inedite connotazioni.
Così, la vita comune e i voti, non potevano non essere descritti nella luce di
una «carità ardente» che, mentre «unisce in guisa di formare un cuor solo e un’a-
dicazione al giovane clero (Opere complete. III: Meditazioni per esercizi spirituali al clero;
IV: Istruzioni per esercizi spirituali al clero, Ist. Internaz. della Consolata, Torino 1925).
9 Regole o Costituzioni della Società di S. Francesco di Sales secondo il Decreto di ap-
provazione del 3 aprile 1874, Torino [Tipografia dell’Oratorio di S. Francesco di Sales] 1877,
pp. 53-55 (cap. I: Scopo della Società di S. Francesco di Sales, artt. 1-7).

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70 Aldo Giraudo
nima sola per amare e servire Iddio colla virtù dell’ubbidienza, della povertà e
della castità, si esprime nell’esatto adempimento dei doveri di buon cristiano»;
in una «fedeltà» che persevera «fino alla morte»10; in una «obbedienza al supe-
riore» preoccupata essenzialmente di «fare in ogni cosa la santa volontà di Dio»
e caratterizzata da atteggiamento filiale, «senza riserva», attuata «prontamente,
con animo ilare e con umiltà», «senza alcuna resistenza né col fatto, né colle pa-
role, né col cuore»11; in una «povertà di fatto», consistente nell’avere «il cuore
staccato da ogni cosa terrena», capace di adattamento12; in una «castità consape-
vole e vigilante», custodita «diligentissimamente» con tutti i mezzi naturali e
soprannaturali 13.
Il modello di religioso che emerge dalle pagine di queste Regole è caratte-
rizzato inoltre da una pietà fervida e interiorizzata, da un’operosità multiforme, da
una libertà interiore che lo rende pronto non solo ad obbedire gioiosamente, ma
anche, «quando la necessità lo richieda, a soffrire caldo, freddo, sete, fame, fa-
tiche, disprezzi, qualora questo ridondi alla maggior gloria di Dio, all’utilità spiri-
tuale altrui, e alla salvezza dell’anima propria». Si tratta, insomma, di espressioni
e atteggiamenti virtuosi che promanano da una costante tensione interiore verso il
«perfetto adempimento dei doveri generali del cristiano» e verso la santità della
vita, tali da rendere il salesiano un «esempio agli altri in ogni cosa»14.
1.1.3. La formula della professione religiosa, inserita a conclusione delle
Regole, esprime in modo concreto il primato di questa caratteristica tensione
verso la perfezione, come pure la tonalità affettiva che la pervade:
«Io intendo promettere a Dio di aspirare alla santificazione dell’anima col
rinunciare ai piaceri ed alle vanità del mondo, colla fuga di qualunque pec-
cato avvertito e di vivere in povertà di spirito. Conosco pure che profes-
sando queste Costituzioni debbo rinunziare a tutte le comodità e a tutte le
agiatezze della vita, e ciò unicamente per amore del N.S.G.C. cui intendo
consacrare ogni mia parola, ogni mia opera, ogni mio pensiero per tutta la
vita […]. Sono pronto, e di tutto cuore lo desidero e coll’aiuto di Dio spero
di essere fedele alle mie promesse»15.
Soprattutto nel prologo alle Regole – lo scritto Ai Soci salesiani –, oltre alle
dipendenze letterarie che ne hanno sostanziato la redazione16, è possibile cogliere
10 Ibid., pp. 55-57 (cap. II: Forma di questa Società, artt. 1 e 6).
11 Ibid., p. 57 (cap. III: Del voto di ubbidienza, artt. 1-5).
12 Ibid., pp. 58-60 (cap. IV: Del voto di povertà, artt. 1-6).
13 Ibid., pp. 60-61 (cap. V: Del voto di castità, artt. 1-5).
14 Ibid., pp. 80-83 (cap. XIII: Pratiche di pietà, artt. 1-13).
15 Ibid., pp. 87-88.
16 P. BRAIDO, Tratti di vita religiosa salesiana nello scritto “Ai Soci Salesiani” di don
Bosco del 1875, in RSS 13 (1994) 391; ID., Tratti di vita religiosa salesiana nello scritto “Ai
Soci Salesiani” di don Bosco del 1877/1885, in RSS 14 (1995), 102-106.

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Linee portanti dell’animazione spirituale della Congregazione Salesiana… 71
la connotazione specifica di quest’orientamento spirituale in prospettiva orga-
nica. Lo scopo dichiarato da don Bosco è quello di fornire indicazioni pratiche
per facilitare «la conoscenza dello spirito» di cui le Regole «sono informate»17.
La sua argomentazione segue un filo costituito innanzitutto da un’istruzione sulla
vita religiosa e sulla vocazione nel quadro della teologia alfonsiana, per poi
estendersi alla presentazione dei voti, della carità fraterna, delle pratiche di pietà,
dell’importanza e del modo di fare il rendiconto, del comportamento da adottare
in caso di dubbio sulla vocazione e di cinque particolari difetti da evitare. Il do-
cumento, sentito come parte integrante della regola salesiana, verrà conservato
come prologo in tutte le successive edizioni delle Costituzioni. Della sua impor-
tanza erano coscienti i salesiani. Don Paolo Albera, nel 1896 attesta che questa
introduzione «in poche pagine riassume tutto ciò che un religioso ha da sapere
intorno alla vita spirituale», e afferma che a molti Salesiani «ha porto abbondante
materia a serie meditazioni, ad imparziali esami di coscienza e ad utilissime riso-
luzioni», tanto che può essere considerata «il nostro Manuale di pietà»18.
1.2. Obbedienza confidente al Direttore
Uno degli aspetti più rimarcati dagli interventi di don Bosco è l’obbedienza
unita alla confidenza nel Superiore. Le espressioni da lui usate vanno lette nel
conteso della peculiare identità e dei compiti che egli affidava al direttore della
casa salesiana e ai superiori in genere. Così, nel prologo delle Costituzioni, trat-
tando dell’importanza del rendiconto mensile al direttore, egli non può fare a
meno di introdursi con un invito alla confidenza – «una delle cose, che maggior-
mente giovano al buon andamento d’una Congregazione religiosa, ed alla pace e
felicità de’ singoli soci» –, e dei vantaggi che derivano dall’aprire il cuore al su-
periore19. L’articolo relativo delle Regole specifica che la «somma confidenza»
che si deve dimostrare nel rendiconto consiste nella manifestazione «con sempli-
cità e prontezza» delle «mancanze esteriori commesse contro le regole, ed anche
il suo profitto nelle virtù, affinché possa riceverne consigli e conforti»20.
Si percepisce sullo sfondo la valenza «ascetica» di questa particolare rela-
zione tra religioso e superiore nella mente di don Bosco: il direttore della Casa è
per lui prevalentemente una guida spirituale, il pastore della comunità, e il rendi-
conto è prospettato più come un dialogo di direzione spirituale che come sem-
17 Regole o Costituzioni della Società di S. Francesco di Sales secondo il Decreto di
approvazione del 3 aprile 1877, Torino [Tipografia dell’Oratorio di S. Francesco di Sales]
1885, p. 4.
18 Presentazione delle Lettere circolari di D. Bosco e di D. Rua, pp. 3-4.
19 Regole o Costituzioni (ed. 1885), pp. 37-38 (Ai Soci Salesiani. Dei rendiconti e della
loro importanza).
20 Regole o Costituzioni (ed. 1877), p. 58 (Cap. III: Del voto di ubbidienza, art. 4).

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72 Aldo Giraudo
plice ragguaglio e confronto su ruoli e compiti operativi all’interno della Casa.
Dunque, anche se nella specificazione dei punti sui quali ci si deve soffermare
don Bosco afferma esplicitamente che «il rendiconto si aggira solamente in cose
esterne e non di Confessione», egli chiede al salesiano che, oltre a trattare della
salute, dello studio e del lavoro, riveli se «abbia comodità d’adempiere le pra-
tiche religiose, e qual diligenza si ponga nell’eseguirle», come «si diporti nelle
orazioni e meditazioni», come osservi «i voti, e se non vi siano dubbi in fatto di
vocazione», se abbia «dispiaceri e perturbazioni interne, o freddezza verso qual-
cuno». Inoltre riporta un’ampia citazione dalle costituzioni delle Visitandine di
san Francesco di Sales, in cui il colloquio di rendiconto viene descritto come
un’apertura del cuore, «con ogni semplicità e fedele confidenza», per rivelarne
«tutti i segreti», cioè «perdite e mancamenti negli esercizi dell’orazione, della
virtù e della vita spirituale; […] tentazioni e pene interiori». Infine continua rac-
comandando «caldamente ai Direttori che non trascurino mai di ricevere simili
rendiconti» e ricordando ai confratelli che se li faranno «bene, con tutta schiet-
tezza ed umiltà», ne sperimenteranno «un grande sollievo pel cuore, e un aiuto
potente per progredire nella virtù»21. Anche le motivazioni della schiettezza col
superiore riportate in seguito, tratte dall’Esercizio di perfezione e di virtù reli-
giose del gesuita Alfonso Rodriguez22, contribuiscono a ricondurre la relazione
nell’ambito di una direzione spirituale intesa in senso lato.
Tale concezione marcatamente spirituale e ascetica del rapporto Direttore-
suddito era ben compresa dai discepoli, tanto che la parte del prologo relativa al
contenuto del rendiconto mensile verrà inserita in forma prescrittiva come mo-
mento integrante dell’esercizio mensile della «buona morte» nelle Deliberazioni
dei sei primi Capitoli Generali della Pia Società Salesiana, edite nel 1894 a mo’
di esplicitazione regolamentare delle Costituzioni23.
La rappresentazione del superiore in genere e del direttore in particolare
come «padre spirituale» doveva, nella mente di don Bosco, configurare un tipo
di vita religiosa che inseriva la modalità relazionale improntata all’amorevolezza
e allo spirito di famiglia tipici del suo Oratorio su un atteggiamento dello spirito
connotato dalla consegna umile e disponibile nelle mani del superiore, esplicita-
zione concreta della decisione di totale offerta di sé a Dio nella quale egli rinser-
rava l’essenza della vita salesiana.
Tra i molti testi che documentano questa mentalità, ne citiamo uno, tratto
dalla circolare del 21 novembre 1886 nella quale, annunciando l’elezione dei
21 Regole o Costituzioni (ed. 1885), pp. 38-39 (Ai Soci Salesiani. Dei rendiconti e della
loro importanza).
22 Cf P. BRAIDO, Tratti di vita religiosa salesiana nello scritto “Ai Soci Salesiani” di don
Bosco del 1875, RSS (1995) 148-150.
23 Deliberazioni dei primi sei Capitoli Generali della Pia Società Salesiana precedute
dalle Regole o Costituzioni della medesima, S. Benigno Canavese, Tipografia e Libreria Sale-
siana 1894, pp. 262-263 (art. 362).

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Linee portanti dell’animazione spirituale della Congregazione Salesiana… 73
superiori del Capitolo Superiore, rammentava ai confratelli le caratteristiche
dell’obbedienza salesiana:
«Questa obbedienza sia pronta, umile ed ilare, quale ce la prescrivono le
Regole. Riguardiamo i nostri Superiori come fratelli, anzi come padri amo-
rosi, che nulla altro desiderano che la gloria di Dio, la salvezza delle anime,
il nostro bene ed il buon andamento della nostra Società, Ravvisiamo in
essi i rappresentanti di Dio stesso, abituandoci a considerare le loro disposi-
zioni, come manifestazioni della divina volontà. E se qualche volta avverrà
che diano ordini non conformi ai nostri desideri non rifiutiamoci perciò dal-
l’obbedienza. Pensiamo che anche a loro torna penoso il comandar cose
gravi e spiacevoli, e ciò fanno, solo perché riconoscono tali ordini come ri-
chiesti dal buon andamento delle cose, dalla gloria di Dio e dal bene del
prossimo. Si faccia pertanto volentieri sacrifizio dei propri gusti e delle pro-
prie comodità per sì nobile fine, e si pensi che tanto più sarà meritoria
presso Dio la nostra ubbidienza, quanto più grande è il sacrificio che fac-
ciamo nell’eseguirla»24.
2. Gli indirizzi spirituali prevalenti sotto il rettorato di don Rua
Nella presentazione del volume contenente le lettere circolari di don Rua, il
successore le descriveva come «quintessenza dello spirito religioso», «compendio
dei trattati di ascetica», «capolavori di pedagogia salesiana», auspicando che fos-
sero «sovente rilette nelle conferenze, negli esercizi annuali e nel giorno fissato
per l’esercizio della buona morte», come «pascolo spirituale [dei] confratelli tutti
desiderosi di fare ogni giorno qualche passo nella perfezione»25. Nonostante le
espressioni che risentono dell’influsso della retorica fiorita del periodo, le parole
di don Paolo Albera rilevano la connotazione precipua degli interventi di don Mi-
chele Rua. Il nocciolo della sua animazione, così come appare dalle lettere circo-
lari e dalle Lettere edificanti, è quello di un orientamento ascetico robusto, che ri-
prende la caratteristica concezione della vita religiosa e spirituale di don Bosco e
la applica alle condizioni di una Congregazione in pieno sviluppo, in un tempo di
rapide mutazioni ed evoluzioni culturali come quello del suo rettorato.
2.1. La tensione alla perfezione come perno della vita salesiana e la responsa-
bilità dei direttori
Già l’8 febbraio 1888, nella lettera ai Direttori con indicazioni sui suffragi
per il defunto Fondatore, don Rua lanciava la parola d’ordine che caratterizzerà
24 Lettere circolari di D. Bosco e di D. Rua, pp. 41-42.
25 Lettere circolari di don Michele Rua ai Salesiani, Torino, Tip. S.A.I.D. «Buona
Stampa» 1910, pp. V-VII.

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74 Aldo Giraudo
tutta la sua linea di governo: «La santità dei figli sia la prova della santità del
Padre» 26. Un indirizzo che si concretizza nello sforzo di promuovere una
«sempre più fedele osservanza dello spirito di D. Bosco», anche e soprattutto da-
vanti alle difficoltà e alle tribolazioni, come si esprimerà ad esempio dopo i
«casi di Varazze» in occasione della dichiarazione di venerabilità del Fondatore:
«Sia quindi nostro impegno di mostrarci non indegni figli di un Padre che
la Chiesa chiamò Venerabile. Ciascuno osservi scrupolosamente quelle Co-
stituzioni che D. Bosco ci ha dato e si sforzi di copiare in se stesso le pre-
clare virtù che il nostro Venerabile Fondatore ha praticato. Oh! Se mi ve-
nisse dato di constatare da questo punto un vero accrescimento nello spirito
di pietà, di ubbidienza e di sacrifizio in tutti i membri della nostra Pia So-
cietà!» 27.
Questo programma mi pare definire lo stile generale di don Rua. Si ha
quasi l’impressione che egli concepisca il suo rettorato come un proseguimento
della carica di Vicario ricevuta dal Padre: l’obiettivo primario pare essere quello
di mantenere la linea tracciata da don Bosco, le sue vedute e sensibilità, il conte-
nuto e lo spirito della sua missione e delle sue opere, il metodo, ma anche le mo-
dalità spicciole della vita quotidiana di Valdocco, con i suoi ritmi e le sue scan-
sioni. Nel leggere la sua produzione ufficiale, nello scorrere la corrispondenza
privata e gli appunti degli interventi orali, nel seguire i verbali delle riunioni del
Capitolo Superiore si direbbe che don Rua si protenda in un’azione di garanzia
della continuità e della fedeltà, tendendo a ritrarsi dietro l’ombra del Fondatore.
Ma è proprio questo proposito, vissuto con tanta aderenza alle alterne e mutevoli
vicende in cui si trova implicata la Congregazione nei ventidue anni del suo
governo, che caratterizza e rende importante il suo magistero.
Le sue circolari sono percorse da una marcata insistenza sull’ascesi, la
pietà e le motivazioni interiori della vocazione salesiana, sulla regolarità della
vita religiosa, sullo zelo pastorale e il primato della religione nella formazione
dei giovani, oltre che dal richiamo alla fedeltà a don Bosco e all’impellenza della
missione. Si prende atto che con l’incremento della Congregazione c’è pure il ri-
schio di smorzare quello slancio spirituale, quella carica motivazionale radicata
nell’interiorità, quell’ideale di offerta incondizionata di sé al Signore e ai fratelli
(le «anime») che distingueva il «Padre e Maestro» e il gruppo cresciuto accanto
a lui. Don Rua incomincia a definirlo genericamente «buon spirito» o più speci-
ficamente «spirito di don Bosco», facendo riferimento ad una mentalità, ad una
serie di motivazioni e di atteggiamenti che qualificavano il Fondatore e la sua
opera ed erano codificati nella Regola28. Si trattava di una «maniera di pensare e
26 Ibid., p. 5.
27 Ibid., pp. 519-520 (6 agosto 1907, lettera edificante n. 10: D. Bosco Venerabile!).
28 Si veda ad esempio la lettera del 1° dicembre 1909, sull’Osservanza delle Costituzioni
e dei Regolamenti, in cui don Rua tenta di definire questo «spirito»: «Vi è in ogni Congrega-

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2.1 Page 11

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Linee portanti dell’animazione spirituale della Congregazione Salesiana… 75
di fare» assimilata dai primi discepoli per comunanza di vita e di azione, per
osmosi, per contatto diretto e comunicazione di principi, ideali e progetti. Don
Rua stesso è rappresentante tipico di tale fervore delle origini, del primato, nella
tensione verso la perfezione personale e nella passione apostolica, della dimen-
sione mistica che sfocia e sostiene un concetto di vita salesiana asceticamente
esigente e tenacemente osservante, ma genera anche la capacità di lucide analisi
delle mutazioni in atto. Risulta molto interessante prendere in considerazione i
punti che a lui paiono determinanti per il mantenimento di questo spirito e di
questo zelo.
2.1.1. La prima linea che egli cura di garantire è l’osservanza della Regola,
concepita come espressione e «midollo» dell’identità salesiana: «Per arrivare
quindi ad essere ben imbevuti dello spirito del Ven. D. Bosco noi dobbiamo leg-
gere e meditare le nostre Costituzioni»29. Le raccomanda come via di santifica-
zione a tutti i confratelli30, come «il più bel ricordo e la più preziosa reliquia del
nostro amatissimo Don Bosco»31, e come oggetto di cura particolare da parte dei
superiori: «procurino essi, con mano ferma, di mantenere in ogni Casa la perfetta
osservanza delle Regole e il vero spirito di D. Bosco», poiché, ricorda, «qui sta il
cardine di tutto l’avvenire della nostra cara Società»32. Tale osservanza parte
dalla conoscenza e dalla meditazione del testo e sfocia nella concreta e operativa
verifica del vissuto:
«Perché la lettura delle nostre Costituzioni ci torni veramente vantaggiosa,
dovrebbe essere accompagnata d’uno sguardo sopra la nostra condotta; do-
vremmo stabilire un coscienzioso confronto fra i nostri doveri e la nostra
vita; la nostra Regola dovrebbe essere, per così dire, sulla nostra persona
come misura per conoscere il grado di virtù a cui siamo arrivati. Più noi
saremo costanti nell’esaminarci su questo punto, e maggiore sarà il bene
che faremo all’anima nostra e a coloro che siamo chiamati a dirigere»33.
zione un insieme d’idee e di tendenze, una maniera di pensare e di fare, che forma lo spirito
proprio della medesima cioè la S. Regola» (ibid., p. 410).
29 Ibid., p. 410.
30 Citiamo solo due brani, fra i molti: «Sì, miei carissimi Figliuoli, facciamo tutti vedere
che non siamo alunni indegni di un Maestro, del quale la Chiesa giudicò di cominciare così
presto la Causa di Beatificazione. Attendiamo ognuno con ardore all’osservanza della Santa
Regola, che Egli ci ha dato per santificarci», ibid., p. 48 (6 giugno 1890: Iniziamento del pro-
cesso di beatificazione di Don Bosco); «Pongo come primo mezzo [per progredire nella perfe-
zione] l’osservanza della Santa Regola. La qual Regola deve essere da noi considerata come il
libro della vita, il midollo del Vangelo, la speranza di nostra salvezza, la misura della nostra
perfezione, la chiave del Paradiso», ibid., p. 123 (1 gennaio 1895: Ringraziamenti. Vicariato
di Mendez. Profitto nostro e delle anime).
31 Ibid., p. 123.
32 Ibid., p. 279 (19 marzo 1902: Resoconto del IX Capitolo Generale. Raccomandazioni
agl’Ispettori e ai Direttori).
33 Ibid., pp. 410-411 (1 dicembre 1909: Osservanza delle Costituzioni e dei Rego-
lamenti).

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76 Aldo Giraudo
2.1.2. La seconda insistenza tipica dell’animazione spirituale di don Rua è
quella che evidenzia la tensione alla santità nella vita di don Bosco e del salesia-
no pastore ed educatore. La santità va desiderata come il bene più grande, infatti
«se questa brama è ardente nei nostri cuori, saremo presto adorni di ogni
virtù, e cammineremo a gran passi sulla via della perfezione, non mancando
certo l’abbondanza delle divine grazie a chi coltiva con impegno tale santo
desiderio» 34.
Il dovere di «attendere a santificare se stesso» è una «obbligazione comune
a tutti i membri della Congregazione»35, di fronte al quale il lavoro, anche quello
più santo e apostolico, passa in secondo piano.
«Come le tante volte avete udito e letto nei libri ascetici, nell’emettere i
santi voti si contrasse l’obbligo di andar innanzi continuamente nella perfe-
zione che conviene allo stato che si è abbracciato. Quindi questa tendenza
verso la perfezione diviene pel Salesiano come un debito che egli paga ogni
giorno, ma che sulla terra non finisce mai di saldare […]. L’arrestarsi è in-
dietreggiare; non guadagnare è perdere; deporre le armi è dichiararsi vinto;
lavorare senza energia è disfare il già fatto»36.
Lo zelo per la salvezza delle anime e per la perfezione del prossimo, se-
condo questa visione, scaturisce da un cuore proteso a Dio e preoccupato di per-
fezionare se stesso. Se don Bosco, come si ricorda nel 1894 ai superiori salesiani
d’America, dispiegò uno «zelo infaticabile» e adoperò «innumerevoli industrie
[…] per attirare anime a Dio», e in questa missione «non diede un passo, non
pronunziò parola, non mise mano ad impresa che non avesse di mira la salvezza
della gioventù», dicendo «col fatto, non solo colla parola: Da mihi animas cae-
tera tolle», anche i suoi figli devono «sforzarsi di camminare sulle traccie del
suo zelo e della sua attività», particolarmente coloro che «spontaneamente e con
islancio superiore ad ogni elogio, diedero addio ai parenti, alla patria e, quel che
è più, con indicibile sacrifizio, si staccarono dal fianco di Don Bosco per recarsi
ne’ lontani paesi»37. La situazione, alla quale don Rua si riferisce in questa cir-
colare indirizzata agli ispettori e ai direttori del Nuovo Continente, protesi nello
sviluppo delle opere e nell’impianto di nuove fondazioni, è negativamente con-
notata dal prevalere di uno stile di guida delle comunità che si allontana dall’i-
spirazione iniziale, piuttosto imprenditoriale e indipendente, accompagnato tal-
volta da trascuratezza nella cura della propria interiorità. Pochi anni appresso, la
34 Ibid., 120 (1 gennaio 1895: Ringraziamenti – Vicariato di Mendez – Profitto nostro e
delle anime).
35 Ibid., p. 113.
36 Ibid., pp. 195-196 (29 novembre 1899: Il Sacramento della Penitenza. Norme e
consigli).
37 Ibid., p. 109 (24 agosto 1894: Santificazione nostra e delle anime a noi affidate).

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Linee portanti dell’animazione spirituale della Congregazione Salesiana… 77
visita straordinaria di don Paolo Albera alle case d’America avrebbe confermato
questa impressione.
Affinché lo zelo sia «ordinato» e «la carità ben intesa», ricorda don Rua, è
indispensabile
«occuparsi dapprima della correzione dei propri difetti, attendere al proprio
avanzamento nella perfezione, e così renderci atti a lavorare con profitto
per gli altri. Così pure c’inculcò nostro amatissimo Don Bosco nel I articolo
della Santa Regola, ove ci dice che scopo della nostra pia Società si è prima
la cristiana perfezione de’ suoi membri e poi ogni opera di carità spirituale
e corporale verso la gioventù».
Dunque,
«Dio non permetta che, occupati continuamente a spingere innanzi gli altri
nel sentiero della virtù, dimentichiamo la stretta obbligazione contratta nel
giorno in cui emettemmo i santi voti, di avanzarci ognora nella perfezione.
Oh! Persuadiamoci bene che più un Direttore si studia di progredire egli
stesso nella virtù, più sarà fecondo il suo ministero sacerdotale, e più sa-
ranno abbondanti i frutti spirituali della sua saggia direzione»38.
2.1.3. Appunto sui direttori grava la responsabilità di garantire la vitalità
spirituale, la tensione alla perfezione e l’azione apostolica delle comunità. Gli
interventi di don Rua a questo riguardo sono molteplici. Egli partiva da due prin-
cipali preoccupazioni: quella di salvaguardare la figura del superiore salesiano
quale don Bosco l’aveva voluta e quella di rimarcare la sua funzione di forma-
tore, in un tempo di piena espansione della Congregazione e di precarietà delle
strutture formative39.
Don Rua offre soprattutto indicazioni pratiche: i direttori salesiani vigilino
contro ogni forma di rilassatezza e di abuso, mantengano la regolarità delle pra-
tiche di pietà, cerchino anzitutto la salvezza delle anime, diano esempio di fe-
deltà e di zelo, insistano e correggano fraternamente in pubblico e in privato, si
facciano maestri dei propri dipendenti:
«Insegnate la pratica della perfezione nelle conferenze, nelle confessioni e
nei rendiconti; insegnatela in ogni conversazione come faceva D. Bosco
[...]. Tuttavia più che la parola insegni la perfezione il vostro esempio,
poiché questo è il linguaggio più fruttuoso».40
38 Ibid., pp. 110-111.
39 Si vedano ad esempio le insistenze sulla cura della preparazione teologica dei chierici
(ibid., pp. 30-31; 165-166), sulla necessità di farsi «guida e maestro nella virtù e nella perfe-
zione» ai confratelli (ibid., pp. 113-117) e sul dovere di spingerli sulla via della perfezione
(ibid., pp. 195-198), sull’importanza del rendiconto (ibid., pp. 216-220; 344-346), sulla cura
del personale salesiano (ibid., pp. 260-265; 282-285) e sull’osservanza delle Costituzioni e dei
Regolamenti (ibid., pp. 409-412).
40 Ibid., p. 197 (29 novembre 1899: Il Sacramento della Penitenza. Norme e consigli).

2.4 Page 14

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78 Aldo Giraudo
Essi devono curare soprattutto i confratelli di voti temporanei usciti dal no-
viziato, vigilando che siano fedeli alla pratica quotidiana della meditazione, della
lettura spirituale e dell’esame di coscienza – «assolutamente necessarie per isra-
dicare i difetti e conservare il fervore» –, inculcando nelle conferenze «lo spirito
di D. Bosco, l’amore alla nostra Madre la Congregazione ed una scrupolosa os-
servanza della Santa Regola», ascoltando mensilmente il loro rendiconto, avvi-
sandoli pazientemente e ripetutamente perché correggano i propri difetti, riflet-
tendo «che forse la vocazione di questi Confratelli triennali dipende dal modo
con cui voi li trattate e dalla cura che ne avrete»41.
Nella mente del Rettor Maggiore e dei salesiani cresciuti alla scuola di don
Bosco la centralità spirituale della figura e del ministero del direttore nelle sin-
gole opere è indiscussa. La prassi formativa e religiosa di Valdocco e il modo di
essere e fare il «superiore» di don Bosco avevano contribuito a definirne il ruolo
di padre spirituale, di guida esterna e di confessore, di ispiratore della pietà, di
esempio nella santità e nel metodo educativo e di stimolo e traino nello zelo pa-
storale. Il lavoro di aggiornamento delle Costituzioni e dei Regolamenti attuato
nel corso del X Capitolo Generale (1904) aveva apportato poche novità in riferi-
mento al ruolo e all’identità del direttore salesiano, ma aveva dovuto recepire il
decreto del Santo Ufficio del 24 aprile 1901, che proibiva ai superiori religiosi di
essere confessori dei propri sudditi. Soppresse le deliberazioni precedenti sul di-
rettore-confessore, mettendo fine a una prassi veneranda, si credette tuttavia op-
portuno rimarcare il valore del rendiconto per mantenere al superiore della Casa
il compito che il Fondatore gli aveva assegnato:
«Il Capitolo Generale decimo volle rendere i Direttori responsabili effetti-
vamente del progresso religioso dei soci, costituendoli veri Direttori Spiri-
tuali di essi, sebbene non ne siano i confessori. A tale fine raccomandò loro
che le anime siano il loro principale pensiero; le opere spirituali, il perfezio-
namento morale e il progresso religioso la loro precipua cura, acciocché
formetur in omnibus Christus e non abbiano solamente una società d’impie-
gati o di istitutori»42.
Le convinzioni venivano confermate dall’esperienza. Al termine della vi-
sita straordinaria alle Case Salesiane, il 1° dicembre 1909, don Rua constata che
l’attenta lettura delle relazioni dei visitatori rivela
«che ove trovasi un Superiore fornito delle necessarie qualità, guidato da
vero e ardente zelo, fedele imitatore del nostro Venerabile Padre e Fonda-
tore D. Bosco in quella casa fiorisce la pietà, regna una grande illibatezza di
costumi, si ammira un continuo progresso negli studii, si respira un’atmo-
sfera profumata dalla fragranza d’ogni più eletta virtù»43.
41 Ibid., pp. 198-199.
42 Regolamento per le Case della Pia Società di S. Francesco di Sales, I, Torino, Tipo-
grafia Salesiana (B.S.) 1906, p. 40 (art. 135).
43 Ibid., p. 408 (1 dicembre 1909: Osservanza delle Costituzioni e dei Regolamenti).

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Linee portanti dell’animazione spirituale della Congregazione Salesiana… 79
Come esempio è utile riportare alcune raccomandazioni concrete, atte nella
mente e nell’esperienza di don Rua a garantire la fecondità del ministero del di-
rettore a vantaggio della vita spirituale della comunità. Nella circolare agli ispet-
tori e direttori di America, del 24 agosto 1894, egli applica ai suoi destinatari
l’invito di san Paolo a Timoteo, «Attende tibi»:
«1. Attende tibi, quindi siate ben convinti che le pratiche di pietà sono il più
valido sostegno della vita religiosa […].
2. Attende tibi, e quindi siate veramente Direttori del vostro Istituto, avendo
a cuore tutto ciò che riguarda la vostra carica. Considerate falso quello zelo
che vi fa credere immenso il bene che voi potreste fare al di fuori, e vi na-
sconde il male, di cui vi rendete colpevoli non curando quelle anime che
Iddio, per mezzo dell’ubbidienza, vi ha affidate […].
3. Attende tibi, quindi memori di quelle parole che nella perfezione, cum
consummaverit homo, tunc incipiet, pensate che molto vi resta da imparare,
molti difetti da correggere e molte virtù da acquistare. Alcuni avendo una
certa nozione della virtù, sapendo discretamente parlarne, si danno a cre-
dere di possederla, ignorando che dalla scienza teorica alla pratica corre
un gran tratto. Veggano i Confratelli che voi cercate di acquistarla, che vi
studiate di rendervi ogni giorno migliori.
4. Attende tibi, e quindi sforzatevi di tenervi ben fondati nell’umiltà. Pur
troppo se ci esaminiamo in modo diligente ed imparziale, dobbiam confes-
sare esistere in fondo al cuore, grande amor proprio, desiderio di primeg-
giare e d’essere stimati, compiacenza delle nostre azioni, suscettibilità ed
orrore di tutto ciò che potrebbe umiliarci. Chi sa che la carica, a cui fummo
elevati, non contribuisca ad alimentare questa terribile passione, la su-
perbia? Perciò meditando sovente sulla virtù dell’umiltà, sul modo di prati-
carla nelle azioni, nelle conversazioni, nei nostri affetti e pensieri, non mai
credendoci da più degli altri, né prefiggendoci come fine di superare gli
altri nelle nostre imprese, bensì sempre avendo di mira la gloria di Dio ed
il bene delle anime, giammai l’onore e la gloria propria […].
5. E queste ultime parole mi suggeriscono ancora un avviso della massima
importanza. Pel bene della nostra Pia Società a cui, non v’ha dubbio, voi
siete teneramente affezionati, ve ne scongiuro, fate che nella vostra Casa
fiorisca l’ubbidienza, e voi datene agli altri l’esempio. Siate scrupolosi os-
servatori della Santa Regola e delle Deliberazioni dei Capitoli Generali; in
esse voi troverete una guarentigia del buon ordine in casa ed il segreto della
vostra perfezione […]. Si ubbidisca, e poi si lasci tutto nelle mani della
Provvidenza, che mai non permetterà che voi abbiate a pentirvi d’aver ubbi-
dito. Dalle sante nostre Costituzioni e dalle Deliberazioni dei Capitoli Ge-
nerali prendete le norme sul modo di trattare coi Confratelli, cogli allievi
e cogli estranei. Leggetele e rileggetele voi, fatene oggetto delle vostre con-
ferenze ai confratelli, inculcatene la lettura e l’osservanza in pubblico ed
in privato e col vostro esempio siate agli altri modello ed eccitamento a
perfetta osservanza»44.
44 Ibid., pp. 111-113 (24 agosto 1894: Santificazione nostra e delle anime a noi affidate).

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80 Aldo Giraudo
I superiori locali devono rammentare che incombe loro «il dovere di fare
agli altri da maestri nella virtù e nella perfezione»: i confratelli «hanno bisogno
che il Direttore li diriga, li assista, li aiuti e li renda atti ai vari uffizi, a cui sono
destinati». Il «lavoro della formazione» dei confratelli più giovani, iniziato dai
maestri di noviziato, va proseguito. I direttori debbono «coltivarli nello spirito, e
vegliare che nessuno abbia a perdere la vocazione» 45. L’andamento generale
delle opere, la qualità spirituale delle comunità dipendono appunto dal loro im-
pegno:
«Vegliate attentamente perché sia allontanato qualsiasi ostacolo s’oppo-
nesse al loro avanzamento spirituale. Vegliate notte e giorno perché siano
tolti gli abusi nell’osservanza della Santa Regola, specialmente per ciò che
spetta alla pratica della povertà e della castità. Vegliate perché si facciano
regolarmente le pratiche di pietà prescritte; perché sia allontanato il peccato
ed ogni pericolosa occasione, perché anzitutto si cerchi la salvezza delle
anime» 46.
L’importanza del superiore per l’andamento generale e la salvaguardia
dello spirito religioso è confermata infine nel 1907, dopo i dolorosi «fatti di Va-
razze», dalla revisione operata dal Capitolo Superiore. Si prese una serie di deli-
berazioni di carattere disciplinare, poi comunicate da don Paolo Albera agli
ispettori: «non dobbiamo contentarci di vani lamenti, bisogna subito metterci al-
l’opera». La situazione generale della Congregazione a vent’anni dalla morte di
don Bosco, consiglia di «non doversi pensare ad opere nuove o all’ampliamento
delle già esistenti», è anzi necessario ridurne il numero per meglio consolidarle e
regolarle. Si è constatato che causa di molti inconvenienti nelle Case è «l’inetti-
tudine del direttore o la negligenza di lui nel compiere i suoi doveri»; è compito
di ogni ispettore «fare uno studio accurato delle virtù e dei difetti di ciascun di-
rettore» per deporre quelli «inetti a governare la loro comunità secondo lo spirito
del nostro Venerabile Fondatore». Gli ispettori «con zelo instancabile» spronino
i direttori «a prendere veramente a cuore i doveri della loro carica», ad essere at-
tivi, presenti fra i giovani, a non assumersi impegni esterni, a ricevere regolar-
mente i rendiconti, a vigilare sulla disciplina e il buon ordine, a controllare le
uscite e le relazioni degli alunni, a curare che le pratiche di pietà si facciano re-
golarmente e in comune e a darne l’esempio, a porre fine «all’inesplicabile indif-
ferenza con cui si trasgrediscono le Regole e i Regolamenti». Ma soprattutto l’i-
spettore deve «rendersi conto se i giovani dei suoi Collegi hanno un’assistenza
scrupolosa e non mai interrotta, secondo il sistema preventivo, sicché si eviti il
peccato ed i giovani siano nella quasi impossibilità di far il male». Infine, «per
evitare quanto potrebbe essere contrario alla moralità, si deliberò di usare in
45 Ibid., p. 114.
46 Ibid., pp. 196-197 (29 novembre 1899: Sacramento della Penitenza. Norme e
consigli).

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Linee portanti dell’animazione spirituale della Congregazione Salesiana… 81
questa parte maggior severità eliminando alcuni confratelli dal consorzio dei
giovani», consapevoli di «quanto D. Bosco fosse rigoroso in fatto di costumi»47.
L’esito della presa di coscienza dei problemi derivanti dalla superficialità
spirituale e dalla incuria o impreparazione dei direttori, andrà oltre l’emergenza
del momento e segnerà l’inizio di una accentuazione in termini di austerità e di
regolarità religiosa, di una più marcata insistenza sugli aspetti ascetici e di cura e
preparazione del personale in formazione che caratterizzerà gli ultimi anni del
governo di don Rua e il rettorato di don Albera.
2.1.4. In questa prospettiva va collocato il grande sforzo di organizzazione
dei percorsi formativi dei giovani confratelli. Sotto il rettorato di don Rua ci si
concentrò soprattutto nella regolarizzazione dei noviziati. Il ruolo svolto da don
Giulio Barberis, prima come Maestro «centrale» della Congregazione, poi come
Catechista generale, fu determinante. I passi di questo sviluppo sono accennati
sommariamente in alcune pagine del Vade mecum dei giovani salesiani (edizione
1905): costituzione canonica del primo noviziato nel 1874, apertura dei noviziati
di Buenos Aires nel 1876, di Las Piedras nel 1879, di Marsiglia e di Sarrià nel
1883, di Foglizzo nel 1886, della Sicilia nel 1890, di Lorena e di Fontibon nel
1893, di Macul nel 1895, di Hechtel, di Sangolquì e di Genzano nel 189648. I no-
viziati sono ventidue nel 190649. Ma i documenti d’archivio rivelano le carenze, i
ritardi e le resistenze, come si può constatare per esempio dalla corrispondenza tra
don Giuseppe Vespignani, don Rua e don Barberis su questo specifico aspetto50.
Tali problemi possono essere in parte intuiti dal tono dalla lettera circolare
del 5 agosto 1900, nella quale don Rua emana alcune norme per le case di novi-
ziato, stabilendo in particolare che
«nei due mesi immediatamente precedenti all’emissione dei voti [...] gli
Ascritti non attendano ad altra occupazione, che non sia il prepararsi a quel
progresso nelle virtù, ed a procurarsi quella perfezione d’animo, che sono ne-
cessarii per rendersi degni delle vocazioni alla quale sono da Dio chiamati»51.
In quei due mesi si sperava di garantire loro un periodo di lavoro spirituale
concentrato, mirato a supplire i vuoti formativi dei mesi precedenti, dovuti sia
47 ASC E229, minuta di circolare di don Paolo Albera agli ispettori, 12 agosto 1907.
48 Giulio BARBERIS, Il Vade mecum dei giovani salesiani. Ammaestramenti consigli ed
esempi esposti agli ascritti ed agli studenti della Pia Società di S. Francesco di Sales, 2° Edi-
zione. Parte I, S. Benigno Canavese, Scuola Tipografica Salesiana 1905, pp. 56-57: l’elenco
del Barberis contiene alcune imprecisioni.
49 Morand WIRTH, Da don Bosco ai nostri giorni. Tra storia e nuove sfide (1815-2000),
Roma, LAS 2000, p. 354.
50 È in corso una ricerca di Mario Fissore sui problemi relativi alla regolarizzazione
dei processi formativi nelle corrispondenze di don Giuseppe Vespignani.
51 Lettere circolari di don Michele Rua ai Salesiani, p. 213 (5 agosto 1900: Spirito di
povertà. Formazione religiosa).

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82 Aldo Giraudo
all’utilizzo dei novizi per l’assistenza e la scuola, sia al fatto che i maestri di no-
viziato spesso erano contemporaneamente direttori di opere o impegnati in altre
incombenze 52.
Lo sforzo per la normalizzazione delle case di noviziato continuerà sotto la
cura assidua di don Giulio Barberis, il quale con circolari mensili, tra 1901 e
1902 emanerà direttive specifiche per regolare minutamente l’andamento in-
terno, l’orario della giornata e le varie pratiche53, ma notificherà anche i criteri
di ammissione al noviziato, alla professione e agli ordini sacri54, specificherà i
compiti rispettivi del maestro e del direttore della casa55, e il modo di curare gli
ascritti coadiutori56.
Il Vade mecum composto da don Giulio Barberis, apparso in una prima edi-
zione di due volumi nel 1901, e in una seconda edizione accresciuta in tre vo-
lumi nel 1905-1906, verrà a colmare parte delle lacune formative, offrendo ai
giovani salesiani e ai loro formatori un manuale completo di vita religiosa. Il
pregio dell’opera consisteva nella presentazione di istruzioni progressive e siste-
matiche sulla vita consacrata, gli esercizi ascetici e la spiritualità salesiana, ma
anche nelle letture esemplificative che seguivano ogni capitolo per esplicitare
narrativamente, con riferimenti alla storia salesiana o a personaggi significativi,
quanto si era esposto teoricamente.
Il ricorso ad una formazione «narrativa» aveva radici lontane, risalenti al-
l’impegno editoriale di don Bosco e alla sua preferenza per i racconti a sfondo
storico biografico ed edificante. Nel 1876 era stato pubblicato un fascicoletto in-
titolato Brevi biografie dei confratelli salesiani chiamati da Dio alla vita eterna,
per assecondare il desiderio manifestato da amici dell’opera salesiana «che fos-
sero rese di pubblica ragione» le biografie dei salesiani defunti, nella persua-
sione «che ne possa ridondare gloria a Dio e vantaggio ai prossimi»57. L’anno
successivo don Bosco stesso nel corso del I Capitolo Generale espresse la vo-
lontà che al catalogo annuale dei salesiani si aggiungesse un profilo biografico
dei confratelli defunti: «in questa monografia si accenneranno le virtù principali,
in cui si segnalò il defunto»58. Da quel momento si inaugurò una fiorente produ-
52 Ibid., pp. 212-215.
53 ASC E229, Lettera circolare litografata di don Giulio Barberis, 21 ottobre 1901.
54 ASC E229, Norme per le proposte all’Ascrizione, alla professione religiosa, alle
S. Ordinazioni e per le accettazioni dei postulandi, circolare a stampa di don Giulio Barberis,
2 luglio 1902.
55 ASC E229, Minuta autografa di lettera circolare di don Giulio Barberis, 3 otto-
bre 1902.
56 ASC E229, Norme per gli Ascritti Coadiutori, circolare litografata di don Giulio
Barberis, 14 ottobre 1902.
57 Brevi biografie dei confratelli salesiani chiamati da Dio alla vita eterna, Torino, Tipo-
grafia e Libreria Salesiana 1876, p. 3.
58 Eugenio CERIA, Annali della Società Salesiana, I, Torino, SEI 1941, pp. 143-144. Il
Capitolo Generale delibererà in proposito: «Affinché siano informati i confratelli dell’anda-

2.9 Page 19

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Linee portanti dell’animazione spirituale della Congregazione Salesiana… 83
zione di necrologie59, biografie e «memorie biografiche» orientata prevalente-
mente ad evidenziare gli aspetti edificanti del vissuto dei confratelli, la loro
esemplarità di vita religiosa, la loro devozione, il loro impegno ascetico e spesso
anche i risvolti oblativi, vittimali e mistici della loro spiritualità.
Questi documenti, solo parzialmente studiati, hanno costituito probabil-
mente uno degli strumenti più efficaci e suggestivi per la diffusione di un mo-
dello spirituale e di un’identità, perché non soltanto venivano proposti alla consi-
derazione personale dei confratelli, ma, con la lettura pubblica e la frequente ri-
presa negli interventi orali da parte dei formatori e dei direttori, fornivano l’e-
semplificazione concreta di uno spirito salesiano fatto di atteggiamenti e di com-
portamenti virtuosi reali e aderenti al vissuto quotidiano. Essi vanno studiati con
più cura per comprendere la «spiritualità salesiana» nella sua collocazione sto-
rica, nelle sue dipendenze, ma anche nella sua connotazione specifica. Dalla raf-
figurazione narrativa di queste figure esemplari e comuni potremmo anche es-
sere aiutati a comprendere come i testi della spiritualità classica usati per la me-
ditazione o la lettura spirituale e le stesse tendenze devote della temperie storica,
venissero di fatto filtrati e salesianamente declinati.
2.1.5. Documento significativo e simbolo di questa linea ascetico-spirituale
è, in particolare, una preghiera che entra in uso nel 1894. Quell’anno, a seguito
di una decisione del VI Capitolo Generale, si pubblica un volume contenente,
oltre alle Regole, le Deliberazioni dei primi sei Capitoli Generali60. Vi troviamo
anche l’elenco delle pratiche di pietà «comuni a tutti i giovani» e quelle supple-
mentari per i Confratelli («la meditazione e la lettura spirituale con la visita al
SS. Sacramento»). Qui appare per la prima volta in un documento ufficiale il
testo della preghiera a Maria Ausiliatrice, da farsi alla fine della meditazione61.
La cosa doveva essere nuova, poiché don Rua nel gennaio successivo fu indotto
ad offrire una spiegazione:
«Giudico opportuno dare qui risposta alla dimanda fattami da varie parti
sulle preghiere a farsi dopo la meditazione e la lettura spirituale secondo le
Deliberazioni Capitolari: dopo la meditazione si dica la preghiera a Maria
Ausiliatrice; dopo la lettura, si dica la preghiera per la Comunione spiri-
mento della Congregazione, si stamperà ogni anno nel mese di gennaio un catalogo dei socii
[...]. In fine si porrà una breve biografia dei soci chiamati in quell’anno all’altra vita» (Deli-
berazioni del Capitolo Generale della Pia Società Salesiana tenuto in Lanzo Torinese nel
settembre 1877, Torino, Tipografia e Libreria Salesiana 1878, pp. 26-27).
59 Antonio PAPES, L’attività letteraria e le relative norme circa le Memorie dei defunti
nella Congregazione Salesiana, in RSS 8 (1989) 57-110.
60 Deliberazioni dei primi sei Capitoli Generali della Pia Società Salesiana precedute
dalle Regole o Costituzioni della medesima, S. Benigno Canavese, Tipografia e Libreria Sa-
lesiana 1894.
61 Ibid., pp. 282-284.

2.10 Page 20

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84 Aldo Giraudo
tuale, seguita dal Pater, Ave, Gloria a s. Francesco di Sales col relativo
Oremus» 62.
Il testo della preghiera a Maria Ausiliatrice, che nel Piccolo manuale di
pratiche di pietà del 1903 viene chiamata Preghiera e Consacrazione a Maria
Ausiliatrice63, è stato compilato sulla falsariga di un’analoga preghiera composta
tra 1888 e 1889 da don Giovanni Bonetti per le Figlie di Maria Ausiliatrice64.
2.2. Una ventata di mistica salesiana
Comunicando la notizia della morte di don Giovanni Bonetti, direttore spi-
rituale della Congregazione e direttore generale delle Figlie di Maria Ausilia-
trice, avvenuta il 5 giugno 1891, don Rua scrive:
«la sua morte fu la più bella, la più invidiabile: essa parve, più che ogni
altra cosa, uno slancio d’intenso amore verso il Cuore dolcissimo di Gesù,
di cui sempre era stato divoto e di cui scrisse, come sapete così belle pa-
gine» 65.
Il riferimento agli scritti di don Bonetti rimanda all’ondata di devozione e
di afflato mistico caldeggiato in quegli anni da una parte dei vertici della Con-
gregazione. Il caso di don Andrea Beltrami è il più noto, grazie alla documentata
biografia scritta dal suo maestro e direttore spirituale don Barberis66, ma una
serie di pubblicazioni fiorite in ambito salesiano e vari cenni emergenti da necro-
logie e biografie di confratelli ci fanno ritenere che il fenomeno fosse molto più
consistente e si trattasse di una sensibilità spirituale diffusa, particolarmente tra
le generazioni più giovani.
62 Lettere circolari di don Michele Rua ai Salesiani, p. 129 (1° gennaio 1895: Ringra-
ziamenti – Vicariato di Mendez – Profitto delle anime).
63 Piccolo manuale delle pratiche di pietà in uso nelle case salesiane. 3a Edizione, S. Be-
nigno Canavese, Scuola Tip. Ed. Libraria Salesiana 1903, pp. 5-8; preghiera – si dice – «che il
Sommo Pontefice Leone XIII in data 17 Dicembre 1896, si degnava di arricchire in perpetuo
coll’indulgenza di 300 giorni» (pp. 5-6); cf anche il Regolamento per le case della Pia Società
di s. Francesco di Sales, I, Torino, Tipografia Salesiana (B.S.) 1906, p. 44.
64 Libro delle preghiere e pratiche di pietà ad uso delle Figlie di Maria Ausiliatrice, To-
rino, Tipografia Salesiana 1889, p. 120; la lettera introduttiva di don Rua è datata 24 agosto
1888. Debbo la segnalazione sull’autore di questa preghiera alla cortesia di Sr. María Esther
Posada.
65 Lettere circolari di don Michele Rua ai Salesiani, p. 58 (15 giugno 1891: Morte di
D. Bonetti).
66 Giulio BARBERIS, Memorie e cenni biografici per servire alla vita del sac. D. Andrea
Beltrami, morto in concetto di santità nel Seminario delle Missioni Estere in Valsalice il 30 di-
cembre 1897, San Benigno Canavese, Scuola Tipografica Salesiana 1901. Ne uscirà una se-
conda edizione con l’aggiunta di una parte dedicata alle virtù del biografato, strutturata se-
condo gli schemi dei processi di beatificazione: ID., Memorie e cenni biografici del sacerdote
D. Andrea Beltrami, S. Benigno Canavese, Scuola Tipografica Don Bosco 1912.

3 Pages 21-30

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3.1 Page 21

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Linee portanti dell’animazione spirituale della Congregazione Salesiana… 85
La consacrazione della Congregazione al Sacro Cuore, proposta per la
notte del 31 dicembre 1900, non appare come pura scelta celebrativa, un
omaggio al movimento devoto propugnato dalle gerarchie della Chiesa. Don
Rua, anzi, rivela una iniziale reticenza:
«Da lungo tempo e da molte parti mi fu chiesto con grande insistenza di
consacrare la nostra Pia Società al Sacro Cuore di Gesù con atto solenne e
perentorio. Specialmente insistettero in questo assunto le nostre Case di
Noviziato e di Studentato [...]. Dopo un lungo ritardo, consigliatomi dalla
prudenza, credo opportuno esaudire queste suppliche ora, che il secolo de-
cimonono volge al termine e si avanza, lieto di molte speranze, il secolo
ventesimo» 67.
Egli si decide a questo passo in considerazione dei «grandi beni spirituali»
che la devozione al Sacro Cuore avrebbe portato ai Salesiani. Lo muove anche la
considerazione dei favori, delle grazie straordinarie e dell’assistenza del Signore
sulla Congregazione e si dice convinto essere giunto il momento opportuno per
l’offerta totale dei singoli e dell’intera opera salesiana, che non dev’essere un
atto sterile: «Mi pare bello e, direi sublime, nell’istante che divide i due secoli,
presentarci a Gesù, anime espiatrici per i misfatti dell’uno, e apostoli per conqui-
star l’altro al suo amore»68.
La circolare è seguita da una lunga Istruzione sulla divozione al Sacro
Cuore di Gesù, illustrata come «divozione di tutti i tempi». Ricollegandosi agli
insegnamenti di san Francesco di Sales e di Margherita Maria Alacoque, don
Rua orienta l’attenzione dei Salesiani sui frutti di fervore e di santità che tale
atto, opportunamente preparato, avrebbe potuto arrecare: «l’aumento di divo-
zione, di fervore e di slancio nel fare il bene»; una più lucida coscienza della
«grandezza delle obbligazioni che abbiamo verso Dio [...] e con questa con-
siderazione eccitare in noi l’aumento dello spirito di sacrifizio, in modo da
essere pronti a qualunque fatica, pur di salvare l’anima nostra e di concor-
rere a salvare altre anime»;
un accrescimento «di fervore nella vita religiosa, specialmente con la completa,
costante, fervorosa osservanza dei nostri voti»69. Il filo conduttore delle rifles-
sioni resta quello di una pietà fervida e robusta, mirata a formare un solo cuore e
una sola volontà con quelli di Cristo, in un atteggiamento di offerta e disponibi-
lità senza condizioni e in uno slancio d’amore oblativo contraddistinto da un tipo
di «mistica» dinamica che sfocia in slancio missionario e apostolico che non si
arresta di fronte a difficoltà e persecuzioni:
67 Lettere circolari di don Michele Rua ai Salesiani, p. 222 (21 novembre 1900: La Con-
sacrazione della nostra Pia Società al Sacro Cuore di Gesù).
68 Ibid., pp. 223-224.
69 Ibid., pp. 246-247.

3.2 Page 22

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86 Aldo Giraudo
«Orsù svegliamoci, o carissimi: scuotiamo la polvere de’ nostri calzari: non
ci spaventi l’infuriare delle tempeste, non ci turbi l’ira dei nemici dello
stato religioso; nell’umiltà e nella mitezza, semplici come colombe, pru-
denti come serpenti, proseguiamo l’opera nostra. Poniamo sotto i piedi l’i-
nerzia, l’infingardaggine; di buon grado vagliamoci dei mezzi, che la Di-
vina Provvidenza ha posto nelle nostre mani, sia nell’ordine intellettuale sia
in quello morale: alle viste individuali si sappia dare una pia e sapiente ri-
nunzia, purché siano salve le anime, purché si affretti la vittoria della buona
causa, purché possiamo renderci degni dell’amor grande che Gesù ci porta;
purché possiamo renderci degni figli di D. Bosco»70.
Nella formula di consacrazione pronunziata dal Rettor Maggiore e dai su-
periori del Capitolo, si invocavano appunto le grazie necessarie affinché «questa
nostra Pia Società tutta intiera ora e sempre in avvenire abbia a corrispondere
allo scopo per cui venne fondata»71. Quantunque si proponessero, sull’onda di
una tendenza ecclesiale generalizzata, favorita da Leone XIII, una serie di pra-
tiche devote per onorare il Sacro cuore (i Nove Uffizi, la Guardia d’onore, l’Ora
Santa, l’Apostolato della Preghiera e la pratica dei Nove primi Venerdì del
mese), gli esiti auspicati di questa devozione paiono andare in senso contrario a
quel devozionalismo sentimentale lamentato in quegli anni, tra gli altri, da mons.
Geremia Bonomelli: «Meno devozioni, meno pratiche religiose, meno consumo
delle forze spirituali negli atti esterni, e sarà più vigorosa la vita dello spirito, più
vivo il fuoco della carità interna»72.
Proprio don Bonetti, a partire dal suo primo opuscolo sul Sacro Cuore,
edito nel 1875, aveva contribuito ad alimentare nella compagine salesiana una
devozione mirata al consolidamento di una vita cristiana virtuosa e operosa e al-
l’accrescimento della carità73. Come Catechista Generale, poi si era impegnato
in un’intensificazione della pietà, declinandone preferenzialmente le sfumature
mistiche, come testimonia una sua interessante Esortazione alla pratica del-
l’amor di Dio inviata a tutti i salesiani nel gennaio 189174, che potrebbe essere
70 Ibid., pp. 248-249.
71 Ibid., p. 255.
72 Geremia BONOMELLI, Il culto religioso: difetti-abusi. Pastorale per la Quaresima del
1905, citato da Massimo MARCOCCHI, Le dimensioni educative nella letteratura di pietà, in
Luciano PAZZAGLIA (ed.), Cattolici, educazione e trasformazioni socio-culturali in Italia tra
Otto e Novecento, Brescia, Editrice La Scuola, p. 196.
73 Cf Giovanni BONETTI, Il Cuor di Gesù nel secondo centenario dalla sua rivelazione,
Torino, Tipografia e Libreria dell’Oratorio di s. Francesco di Sales 1875; ID., Il giardino degli
eletti ossia il Sacro Cuore di Gesù. Trenta lezioni, Torino, Tipografia e Libreria Salesiana 18872.
74 [Giovanni BONETTI,] Esortazione alla pratica dell’amor di Dio, Torino, Tip. Salesiana
1891: «Nell’occasione, che il nostro veneratissimo Superiore generale D. Rua manda alle varie
nostre Case di Europa e di America l’Elenco dei Soci Salesiani, l’umile sottoscritto giudica
bene di unire queste poche pagine, con preghiera ad ognuno che le voglia gradire e leggere
con fraterna benevolenza» (p. 3).

3.3 Page 23

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Linee portanti dell’animazione spirituale della Congregazione Salesiana… 87
stato uno dei testi ispiratori per l’itinerario spirituale che accompagnerà Andrea
Beltrami dall’accettazione rassegnata della malattia (manifestatasi per la prima
volta nel febbraio di quell’anno) alla sua sublimazione vittimale.
Il piccolo trattato di don Bonetti si propone di offrire alcuni mezzi per aiu-
tare i confratelli «nell’acquisto della religiosa perfezione e nella santificazione
del prossimo»75. In una stagione di incremento numerico della Congregazione è
necessario prendere atto che non il numero ma la qualità spirituale rende efficace
la missione. L’invito di san Paolo, «vi scongiuro che presentiate i vostri corpi
come ostia viva», viene spiegato nel senso della necessità di offrirsi «come vit-
time per essere sacrificate nel fuoco dell’amore» in funzione e prospettiva pasto-
rale: un salesiano
«che voglia ottenere pel suo prossimo grazie di misericordia, di perdono, di
conversione, di perseveranza, deve presentarsi al trono di Dio coll’anima
candida, cioè priva di peccati, e nel tempo stesso ricca di buone opere e
specialmente calda di santo amore».
Se tutti sono chiamati alla santità, lo è in particolar modo chi, come il reli-
gioso salesiano, «deve occuparsi personalmente intorno al prossimo, o nei labo-
ratorii, o nelle scuole, o negli oratorii festivi, o nel confessionale e simili», ed
«ha ancor più bisogno di essere santo, affinché coll’esempio, colla pazienza,
colle finezze e industrie della carità metta negli altrui cuori il disgusto del pec-
cato e la stima ed il piacere della virtù»76.
Partendo da questa premessa, viene indicata come virtù centrale di ogni
santità la «pratica dell’amor di Dio»; si interpreta la natura di questo amore se-
condo la dottrina di san Francesco di Sales77; si illustrano i mezzi «intellettuali o
speculativi» e quelli «affettivi e pratici» utili ad acquistarla78. La specificazione
operativa degli atti di «benevolenza» fatta da don Bonetti è utile per farci com-
prendere il tono fervido, le motivazioni e gli esiti della pietà propugnata:
«Praticano quindi atti di amore di compiacenza quei Salesiani, che nel par-
lare, nell’insegnare, nello scrivere, nell’assistere, in casa e fuori di casa,
colgono studiosamente tutte le occasioni per far conoscere, amare, lodare il
loro Dio, e per impedirgli delle offese; quelli, che si trattengono volentieri
negli Oratorii festivi coi ragazzi ancorché ruvidi e indisciplinati, coll’inten-
zione di conservarli o guadagnarli a Dio; quelli specialmente che deside-
rano, domandano di andare nelle Missioni estere, e ci vanno davvero, sacri-
ficando quanto hanno di più caro al mondo, ed esponendo la propria vita a
grandi disagi, allo scopo di far conoscere Gesù a chi lo ignora, e far risuo-
nare il suo nome adorabile in più altri luoghi della terra, emulando lo zelo
degli Apostoli e dei Missionarii»79.
75 Ibid., p. 4.
76 Ibid., pp. 6-7.
77 Ibid., pp. 9-11.
78 Ibid., pp. 12-32.
79 Ibid., p. 24.

3.4 Page 24

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88 Aldo Giraudo
Il salesiano è invitato ad amare Dio e promuovere il suo regno facendo
«atti di preferenza», «di penitenza e di condoglianza», ma soprattutto «atti di
conformità al volere di Dio, che più di ogni altro sono efficacissimi ad accre-
scere in noi il santo timor suo»80, accogliendo volentieri avversità e vicende pe-
nose, privazioni e lavori disagevoli, caldo e freddo, calunnie e malattie:
«Quanti atti di amor di Dio può fare un Salesiano, costringendo la volontà
sua a stare paziente, a stare rassegnata e contenta eziandio, riflettendo che è
Dio, il quale nella infinita sua sapienza e sovrana bontà dispone e permette
così per la sua maggior gloria e pel maggior vantaggio temporale ed eterno
delle sue creature. E questi atti di conformità alla volontà e alle disposizioni
di Dio, mentre accrescono l’amor nostro verso di Lui, producono eziandio
una sovrumana contentezza in fondo all’anima»81.
Ma la cosa più importante, afferma don Bonetti, è che tale amore sia carat-
terizzato da due proprietà essenziali, che «non sono già la dolcezza, la tenerezza,
la sensibilità e simili», ma «l’attività nelle opere, e la fortezza nel patire per
Iddio». Il vero amore, infatti, non lascia la persona pigra, «ma sempre la spinge
ad operare» e ad essere forte nelle difficoltà e nelle sofferenze. Tale fortezza «la
vediamo in tanti nostri Fratelli dell’Europa e dell’America, ai quali bisogna por
freno col comando, ché altrimenti anzi tempo si consumerebbero nel lavorare e
nel patire, perché caldi del vero amor di Dio»82.
L’esortazione di don Bonetti culmina appunto con questa ardua ed insieme
intraprendente prospettiva dai toni mistici e oblativi, quella stessa che faceva
esclamare a santa Teresa,
«mossa da questo verace amore [...]: O patire o morire» e all’apostolo
sant’Andrea, «condannato a morir in croce come il suo Maestro [...]: Vieni,
o croce amabile, amata, desiderata, sospirata, ricercata, e ricevimi sopra
di te, affinché sopra di te io patisca e muoia, e da te me ne vada al mio
dolce maestro Gesù»83.
Offerta oblativo-vittimale, dunque, che si concretizza nella fortezza
d’animo e nella condivisione dei sentimenti di san Paolo:
«Chi mi dividerà dall’amore di Cristo? [...]. Deh! simile a questo rendete
l’amor vostro verso il Re celeste, o miei buoni Confratelli, onde questo
amore sia appunto quale lo Spirito Santo voleva che fosse l’amore della
Sposa dei Sacri Cantici»84.
E si palesa in uno slancio quotidiano di adesione amorosa alle esigenze
della vita:
80 Ibid., p. 29.
81 Ibid., p. 31.
82 Ibid., pp. 33-34.
83 Ibid., p. 34.
84 Ibid., p. 35.

3.5 Page 25

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Linee portanti dell’animazione spirituale della Congregazione Salesiana… 89
«Cogliete tutte le occasioni che la divina Provvidenza vi manda di fare
delle buone azioni, siano grandi siano piccole, e queste soprattutto, che
sono le più frequenti, di tutti i giorni, di tutte le ore, di tutti i momenti [...].
Prendete poi la santa abitudine di fare per amor di Dio gli atti di ogni altra
virtù, intendendo sovente e volendo per es. obbedire per amore, essere casti
per amore, soffrire privazioni e pene per amore, tacere per amore, pregare
per amore, confessarvi e comunicarvi per amore, ricrearvi, nutrirvi, ripo-
sarvi per amore e via dicendo [...]. Colla pratica degli atti interiori dell’in-
telletto e della volontà, e coll’esercizio degli atti esteriori delle sante opera-
zioni e colla preghiera, voi, diletti Figli di s. Francesco di Sales e di D.
Bosco, manterrete sempre vivo nel vostro cuore l’amor di Dio, diverrete
abili a santificare il prossimo [...], e finalmente al punto di morte vi merite-
rete l’ambitissima grazia di fare un perfetto atto di amor di Dio»85.
L’insieme delle testimonianze documentarie e biografiche, la produzione
editoriale rivolta all’interno e all’esterno dell’opera salesiana, ci confermano nel-
l’impressione che questa intensa e motivata ispirazione mistica ed ascetica fosse
la linea spirituale incoraggiata dai vertici della Congregazione, ampiamente con-
divisa e vissuta dalla base, specialmente dalle generazioni formate nei noviziati e
negli studentati regolari. L’esperienza di Andrea Beltrami non soltanto conferma
e illustra le modalità e i toni di tale vissuto, ma, nella mente del suo biografo don
Giulio Barberis, assurge ad espressione compiuta di uno spirito salesiano che ha
ormai raggiunto la coscienza della propria maturità e può configurarsi come vera
spiritualità con suoi specifici tratti fisionomici. Convinto della responsabilità che
gli compete, in quanto testimone e formatore, egli scriveva a don Gusmano nel
1902 a proposito della pubblicazione di questa biografia:
«Ormai è un lavoro che nessun altro può fare: è un lavoro necessario: è un
lavoro di premura, che del resto si dimenticano le cose; è un lavoro che pro-
durrà un immenso utile alla pia n[ostra] Società: bisogna finirlo ad ogni
costo e poi si avrà il nostro S. Luigi, il nostro S. Gio[vanni] Berchmans da
proporre ai nostri confratelli. Pazienza se il lavoro ora riesce sconnesso e
non limato: al più si dirà: “Che bestia quel D. Barberis: non è capace fare
un lavoro a modo”. Ma intanto il lavoro ci sarà, farà del bene: io stesso in
seguito, od altri, meglio ancora, lo limerà»86.
3. Gli indirizzi spirituali prevalenti sotto il rettorato di don Albera
Nella prima circolare ai Salesiani, il 25 gennaio 1911, don Paolo Albera
enunciava sinteticamente il programma del suo rettorato: «promisi a D. Bosco e
85 Ibid., p. 38.
86 Giulio BARBERIS, Lettere a don Paolo Albera e a don Calogero Gusmano durante la
loro visita alle case d’America (1900-1903). Introduzione, testo critico e note a cura di Brenno
Casali, Roma, LAS 1998, p. 186 (lettera del 7 maggio 1902).

3.6 Page 26

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90 Aldo Giraudo
a D. Rua che nulla avrei risparmiato per conservare nella nostra umile Congre-
gazione lo spirito e le tradizioni che da loro abbiamo imparato»87. L’impegno di
non scostarsi «dagli usi e dalle tradizioni» gli era stato anche ricordato da Pio X
nell’udienza del 3 settembre 1910, con un’aggiunta:
«Ricordate ai vostri dipendenti che Colui a cui servono, Dominus est. Stia
loro fisso nella mente il pensiero della presenza di Dio, siano in tutto gui-
dati dallo spirito di fede, con fervore compiano le loro pratiche di pietà e a
Dio offrano i loro lavori e sacrifici. Dio sia sempre nella loro mente e nel
loro cuore» 88.
Questo mandato pontificio coglieva un aspetto al quale don Albera doveva
essere particolarmente sensibile, per indole e per formazione, oltre che per l’ab-
bondante letteratura spirituale di cui mostra d’essersi nutrito. Tutto il suo magi-
stero, infatti, rivela l’ottica accentuatamente spirituale nella quale egli tendeva
ad inquadrare e interpretare gli accadimenti, le situazioni problematiche, la voca-
zione, il metodo e l’identità stessa del salesiano e delle opere89. È questa in
fondo l’idea dominante che egli si è fatto di don Bosco, della sua personalità e
missione, continuamente emergente nei suoi scritti.
La personalità e l’azione di Albera è stata poco e solo parzialmente stu-
diata. Le sue circolari e gli abbondanti materiali archivistici si rivelano, tuttavia,
molto promettenti per la ricostruzione di un periodo delicato della storia della
Congregazione90; soprattutto invitano a più accurate ricognizioni per identificare
le componenti della mentalità e della fisionomia interiore di quella generazione
formata direttamente da don Bosco e ricca di esperienze fondanti significative.
Qui ci limitiamo ad indicare alcune essenziali emergenze della sua animazione
religiosa.
3.1. Lo spirito salesiano: fervente pietà e vita disciplinata
Il ruolo di Catechista generale e l’esperienza diretta di opere e di confratelli
accumulata come Visitatore, inducono don Paolo Albera nel maggio 1911 a sce-
gliere come tema inaugurale del suo magistero «edificante» lo «spirito di pietà».
Infatti, l’entusiasmo dei Salesiani, generatore di ferventi iniziative e d’instanca-
87 Lettere circolari di D. Paolo Albera ai Salesiani, Torino, Società Editrice Internazio-
nale 1922, p. 13.
88 Ibid., p. 15.
89 L’impressione è confermata anche nel sobrio bilancio tracciato da Eugenio CERIA, An-
nali della Società Salesiana. IV: Il rettorato di don Paolo Albera 1910-1922, Torino, SEI 1951,
pp. 460-462.
90 Si veda ad esempio: Joe BOENZI, Paolo Albera on the Salesian Spirit. Retreat Themes
1893-1910 [Estratto di dissertazione dottorale N° 374], Rome, Salesian Pontifical University
1996.

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Linee portanti dell’animazione spirituale della Congregazione Salesiana… 91
bile attività, atteggiamenti tanto lodati, fecondi di opere e di sviluppi impensati,
gli si rivela non privo di ombre:
«Parlandovi con il cuore alla mano, vi confesso che non posso difendermi
dal doloroso pensiero e dal timore che questa ventata di attività dei Sale-
siani, questo zelo che sembrò finora inacessibile ad ogni scoraggiamento,
questo caldo entusiasmo che fu fin qui sostenuto da continui felici successi,
abbiano a venir meno un giorno ove non siano fecondati, purificati e santi-
ficati da una vera e soda pietà»91.
È un rischio suffragato dai fatti, in qualche modo collegato alla missione
stessa, al metodo proprio e alla qualità delle opere salesiane92.
Don Albera struttura il suo intervento come una compiuta istruzione sullo
«spirito di pietà»: la sua natura e necessità per la vita cristiana e religiosa, per la
fecondità apostolica, per ottenere forza nelle prove e per la perseveranza finale.
Se, «per grazia di Dio noi possiamo contare molti confratelli» esemplari, esi-
stono purtroppo salesiani trascurati in questo ambito, che offrono «ovunque il
triste spettacolo della loro rilassatezza e indifferenza [...], vegetano sventurata-
mente in una deplorevolissima mediocrità e non daranno mai frutti»93, poiché –
afferma senza timore d’esagerazione – «tutto il sistema d’educazione insegnato
da D. Bosco si poggia sulla pietà» e, se il salesiano «non è sodamente pio, non
sarà mai atto all’ufficio di educatore»94. Non va dimenticato che il «sacro fuoco
della pietà», «l’ininterrotta unione con Dio», era «la nota caratteristica di D.
Bosco»:
«Ne era indizio quella inalterabile egualianza di umore che traspariva dal
suo volto invariabilmente sorridente. In qualunque momento ricorressimo a
Lui per consiglio, sembrava interrompesse i suoi colloqui con Dio per darci
udienza, e che da Dio gli fossero ispirati i pensieri e gl’incoraggiamenti che
ci regalava»95.
91 Lettere circolari di D. Paolo Albera, p. 26.
92 Don Albera lo noterà più volte. Il pericolo toccava soprattutto i salesiani più esposti al-
l’azione e il dibattito si allargava alle scelte pratiche e alle opere, alla sostanza della missione e
alla sussidiarietà dei mezzi. Già nel III Congresso degli Oratori festivi e delle Scuole di Reli-
gione, svoltosi a Faenza nel 1907, ad esempio, si era accesa la discussione proprio sulla dosa-
tura tra attività religiose e mezzi ricreativi: «La discussione procede serenissima finché si
giunge all’articolo che riguarda lo svolgimento degli Oratori e il posto che spetta alle società
ginnastiche, drammatiche e musicali annesse ai Ricreatori festivi, ed ai giochi più atti a pro-
muovere la frequenza dei giovani», «Bollettino Salesiano» 31 (1907) 165; «Che cos’è infatti o
Signori, l’Opera degli oratori festivi nella sua essenza, se non un metodo, un sistema appro-
priato ai tempi per attirare la gioventù ed educarla alla fede ed alla pratica della religione? E i
mezzi e le forme che si adottano per raggiungere l’intento devono considerarsi come elementi
occasionali, accessori, soggetti a variare secondo le esigenze del luogo, del tempo e dell’am-
biente sociale ed anche secondo l’età dei giovani», ibid., 231.
93 Lettere circolari di D. Paolo Albera, p. 30.
94 Ibid., p. 32.
95 Ibid., p. 34.

3.8 Page 28

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92 Aldo Giraudo
Dalla contemplazione dell’ideale, don Albera passava al suggerimento di
risoluzioni operative: esattezza nelle pratiche di pietà stabilite dalle Costituzioni;
santificazione delle azioni quotidiane, vivendole alla presenza di Dio,
«con grande purità d’intenzione per cui non abbiamo altro di mira che com-
piere la sua santa volontà; ma soprattutto generosità di spirito: Se a ciò ag-
giungiamo ancora una santa indifferenza per tutto ciò che Iddio, per mezzo
dei Superiori, dispone, se generosamente accettiamo dalla sua mano le sof-
ferenze con cui egli volesse provare la nostra virtù, noi arriveremo a met-
tere in esecuzione il precetto della preghiera continua, praticheremo la pietà
attiva di cui tratta sovente S. Francesco di Sales, e che fu il segreto della
santità di D. Bosco»96.
Come antidoto al rilassamento e alla pigrizia spirituale egli indica la pratica
sacramentale, l’esame di coscienza, le frequenti elevazioni della mente a Dio
con slanci d’affetto, l’affidamento a Maria Ausiliatrice: iniziative utili per man-
tenere quel fervore di pietà che impregna il vissuto.
«E chiamasi fervore un desiderio ardente, una generosa volontà di piacere a
Dio in ogni cosa. Esso deve manifestarsi in modo speciale quando noi com-
piamo atti di devozione; ma come già si è accennato, deve accompagnare
pure tutte le nostre azioni e trasformarle, per così dire, in altrettante pratiche
religiose» 97.
Ci troviamo, per linguaggio e concetti, nell’alveo della spiritualità mo-
derna, quella che aveva alimentato la letteratura ascetica tra Seicento e Otto-
cento. Ma il diverso scenario storico, in cui Albera prospetta le sue argomenta-
zioni, e le condizioni di vita e di lavoro dell’uditorio a cui si rivolge, danno con-
cretezza alle sue esortazioni e indicano una ben definita patologia spirituale nota
ai membri della famiglia salesiana: «La grande malattia di molti addetti al ser-
vizio di Dio è l’agitazione e il troppo ardore con cui si occupano delle cose este-
riori. Quanto è difficile trattenere nei giusti limiti la nostra attività!». Egli cita la
«evisceratio mentis» di san Bernardo, ma ha di fronte il salesiano reale, immerso
nel vortice della modernità che, per un malinteso culto del lavoro e della ten-
sione operativa, non sa trovare «mai un momento per raccogliersi, per rientrare
in se stesso, per sapere dove vada»98.
È un problema che non affligge solo la Congregazione. Da più parti si de-
nuncia il degrado di quello spirito di «azione cattolica» che, presentato come ne-
cessità vitale per la riconquista cristiana della società e personificato in campioni
della carità come don Bosco99, aveva fecondamente alimentato il rigoglio del
96 Ibid., pp. 36-37.
97 Ibid., p. 38.
98 Ibid., pp. 37-38.
99 In tal modo don Bosco era stato presentato, ad esempio da ROCCA D’ADRIA, Come si
diventa Parroco d’Azione Cattolica. Lettera ad un giovane sacerdote, Torino, Tip. F.lli Cano-
nica 1895, pp. 22-23.

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Linee portanti dell’animazione spirituale della Congregazione Salesiana… 93
cattolicesimo di fine Ottocento, ma negli ultimi tempi dimostrava di aver perso il
suo radicamento interiore. Pericolo diffuso, con sbandamenti anche ideologici –
evocato nelle raccomandazioni del cardinale Richelmy ai capitolari100 e nelle pa-
role dello stesso Pio X al Rettor Maggiore101 – che suggeriva un recupero della
contemplazione e del raccoglimento, fino ad auspicare da parte di alcuni, come
l’abate Chautard, il drastico ridimensionamento o anche l’abbandono delle atti-
vità ricreative e sociali come inutili «stampelle»102.
Nel corso del suo rettorato, don Albera ricollega le principali tematiche
trattate nelle sue lettere circolari a questo nucleo. Sia che richiami il salesiano
alla disciplina religiosa103, sia che lo esorti a vivere di fede104 o che illustri le
modalità concrete dell’ubbidienza105, della castità106 e dello spirito salesiano nei
nuovi scenari107, oppure tratti dell’Oratorio, delle Missioni e delle Vocazioni108,
sempre si muove nell’ambito della pietà e del fervore e ad esso tutto riconduce,
con finezza e cura dei particolari. Il modello di salesiano emergente dai suoi in-
terventi è ardente nella fede e delicato nei modi, forte di spirito e umile nel
cuore, zelante nelle opere e pacato nelle parole, industrioso nel portare avanti la
sua missione e continuamente immerso in Dio.
Il desiderio «di lavorare con lena alla gloria di Dio e alla salvezza delle
anime», imparato alla scuola di don Bosco, alimenta un atteggiamento interiore
ed esteriore disciplinato, cioè «un modo di vivere conforme alle regole e costu-
manze» della Pia Società Salesiana che permette di attuarne lo scopo: «la perfe-
zione de’ suoi membri, e il mezzo per raggiungerlo soprattutto l’apostolato a fa-
vore della gioventù povera e abbandonata»109. Non basta evitare il male, è ne-
cessario operare il bene in modo irreprensibile. Così in una casa salesiana disci-
plinata «regna l’ordine più perfetto», in ogni cosa risplende «nettezza e pro-
prietà», «l’orario è scrupolosamente osservato», tutto è quiete e laboriosità: «e
chi non sa quanto questa regolarità contribuisca a tener raccolto lo spirito e a
render fecondo il lavoro?». Ma l’esito più rilevante è di carattere «spirituale»:
100 Cf Lettere circolari di D. Paolo Albera, p. 27.
101 Nell’udienza privata concessa il 3 settembre 1910, Pio X «com’era da aspettarsi, rac-
comandò vivamente a tutti i Salesiani di mettersi in guardia contro gli errori dei modernisti»,
ibid., p. 16.
102 Jean-Baptiste CHAUTARD, L’ame de tout apostolat. Ed. entièrement revue et aug-
mentée, Paris, Téqui 1912 ; l’opera avrà molte traduzioni e una grande fortuna.
103 Lettera circolare n. 3: Sulla disciplina religiosa (25 dicembre 1911), Lettere circolari
di D. Paolo Albera, pp. 53-70.
104 Lettera circolare n. 4: Sulla vita di fede (21 novembre 1912), ibid., pp. 82-100.
105 Lettera circolare n. 5: Sull’ubbidienza (31 gennaio 1914), ibid., pp. 134-153.
106 Lettera circolare n. 8: Sulla castità (14 aprile 1916), ibid., pp. 194-210.
107 Lettera circolare n. 9: Consigli ed avvisi per conservare lo spirito di D. Bosco in tutte
le Case (23 aprile 1917), ibid., pp. 214-230.
108 Lettera edificante n. 1: Gli Oratori festivi. Le Missioni. Le vocazioni (31 maggio
1913), ibid., pp. 110-133.
109 Ibid., pp. 55-56.

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94 Aldo Giraudo
«Infatti vedrete trasparire dal volto dei felici abitatori di quella casa un
amabile candore, un’innocente semplicità, una spontanea e santa letizia, che
riflette la pace del loro cuore, la serenità della loro coscienza. Non s’in-
contra alcuno che compia i suoi doveri ex tristitia aut ex necessitate [...].
Ogni religioso si mostra pienamente felice nella sua vocazione, e [...] prefe-
risce mille volte la sua umile condizione agli onori del mondo, la sua po-
vertà e le sue mortificazioni alle ricchezze e ai godimenti del secolo»110.
Quando, al contrario, manca tale disciplina le Regole sono «lettera morta,
le tradizioni di famiglia sono dimenticate o interamente trasformate», l’orario
non è osservato, la vita comune diventa «un peso insopportabile», non si ama
più la casa, si rifiuta l’ubbidienza: «di qui le uscite frequenti e senza permesso o
non giustificate; di qui le visite inutili e pericolose, la negligenza nei propri do-
veri», il malcontento di sé, il cattivo esempio alla comunità. Il salesiano che tra-
scura se stesso in tal modo, «fugge con orrore tutto quello che gli costa sacri-
ficio» e «non si dà pensiero di correggere i proprii difetti», poco a poco soffoca
in sé «il fuoco sacro della pietà»:
«Se è sacerdote, compie il suo ministero in modo da lasciar poco edificati
gli astanti. Che poi dire s’egli deve compiere il delicatissimo ufficio di edu-
catore della gioventù? Iddio nol permetta, ma forse i giovanetti alle sue
cure affidati cresceranno nell’ignoranza e nel vizio, invece d’un padre, d’un
amico, d’un maestro, in lui troveranno una pietra d’inciampo, un pericolo
alla loro innocenza»111.
Il punto di riferimento offerto da don Albera è sempre lo stesso, il don
Bosco della sua giovinezza e della sua formazione:
«ricordano i più anziani tra i confratelli con quali sante industrie D. Bosco
ci preparasse a divenire suoi collaboratori [...]. Così poco a poco ci anda-
vamo preparando alla sua scuola tanto più che i suoi insegnamenti avevano
un’irresistibile attrattiva sui nostri animi ammirati dello splendore delle sue
virtù».
Il ricordo della fede ardente del «buon padre», della delicatezza del suo
tratto e dell’impressione profonda lasciata dalle sue parole, emerge nella mente e
negli scritti del Rettor Maggiore, al di là delle stesse argomentazioni dottrinali e
spirituali, come un richiamo irresistibile:
«Il buon padre con le sue istruzioni, così dense di santi pensieri ed esposte
con ineffabile unzione, apriva continuamente alle nostre menti attonite
nuovi orizzonti, rendeva ognor più generosi i nostri propositi e più stabile la
nostra volontà di rimanere sempre con lui, e di seguirlo ovunque, senza al-
cuna riserva e a costo di qualsiasi sacrificio. Già oltre cinquant’anni passa-
110 Ibid., pp. 57-58.
111 Ibid., p. 59.

4 Pages 31-40

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Linee portanti dell’animazione spirituale della Congregazione Salesiana… 95
rono da quei tempi fortunati, ma il tempo trascorso non valse a cancellare
dai nostri cuori l’impressione che in noi lasciava la parola di D. Bosco»112.
Nella circolare del 23 aprile 1917, in cui si indicano a ispettori e direttori i
mezzi per conservare nelle case lo spirito di don Bosco113, don Albera fornisce
di fatto un elenco degli elementi caratterizzanti l’identità spirituale salesiana:
spirito di sincera pietà, osservanza delle Costituzioni, povertà reale, culto della
castità come stile di vita e clima educativo, ubbidienza generosa, correzione ca-
ritatevole, paternità benevola e paziente, umiltà, zelo per la salvezza delle anime
che si concretizza nella cura industriosa dei confratelli, dei giovani, degli ex-al-
lievi e delle vocazioni114.
L’immagine che ne emerge è vigorosa, intesa ad animare i salesiani, «a
camminare a gran passi nella via della perfezione», combattendo la «mediocrità»
che frena lo slancio spirituale e la «legalità» che indebolisce la generosità del-
l’amore verso Dio115:
«Spingete la barca in alto mare, non limitate le vostre fatiche a ciò ch’è
strettamente necessario, siate grandiosi nelle vostre aspirazioni, quando si
tratta della gloria di Dio e della salvezza delle anime; allontanatevi dalla
spiaggia che tanto restringe i vostri orizzonti, e vedrete quanto abbondante
sarà la pesca delle anime [...]. In questo il motto dell’apostolo zelante sarà
quello stesso del valoroso soldato: coraggio! avanti! [...]. Il buon Salesiano,
accasciato sotto il peso delle croci, delle tribolazioni e dei sacrifici, dirà
pieno di gioia con S. Francesco Saverio: amplius, mandatemene ancor di
più, ovvero con S. Francesco d’Assisi: Tanto è il bene che m’aspetto, / Che
ogni pena m’è diletto» 116.
Le espressioni perdono il sapore retorico che potrebbero evocare quando si
pensa che il riferimento di don Albera in quei tragici anni erano i tanti giovani
confratelli sotto le armi e i pochi rimasti a sostenere le opere, sottoposti a sacri-
fici e fatiche accolte generosamente. Ai confratelli impegnati sul fronte di guerra
egli scriveva una lettera circolare mensile117, che riscuoteva interesse e suscitava
112 Ibid., p. 55.
113 Va detto che con don Albera vengono ancor più rimarcati la centralità, il ruolo e le re-
sponsabilità degli ispettori e dei direttori per il buon andamento delle comunità, il fervore spiri-
tuale dei confratelli e dei giovani, la fecondità educativa e pastorale delle opere. Segno dell’im-
portanza da lui attribuita al coinvolgimento di ispettori e direttori sono le molte lettere a loro
indirizzate, il frequente contatto personale e i rilevamenti sull’andamento delle singole opere,
ma anche l’accurata edizione del Manuale del direttore, S. Benigno Canavese, Scuola Tipogra-
fica Salesiana 1915.
114 Lettere circolari di D. Paolo Albera, pp. 214-230.
115 Lettera circolare n. 10: Contro una riprovevole «legalità» (25 giugno 1917), ibid.,
pp. 231-241.
116 Ibid., p. 239.
117 In ASC E444, sono conservate 32 circolari a stampa, scritte tra il 19 marzo 1916 e
il 24 giugno 1918.

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96 Aldo Giraudo
risposte affettuose e commoventi: la spiritualità salesiana alla prova della guerra,
nelle trincee e nelle caserme, rivelava tutta la sua efficacia. Fortezza d’animo e
spirito di fede, zelo apostolico e servizio umile, esemplarità nel dovere e umanità
cordiale, generosità e semplicità di spirito, sono i tratti dominanti che emergono
da questo vasto materiale, insieme alla lista tragica e gloriosa dei caduti, soldati
esemplari e religiosi fedeli118.
3.2. «Rivestiamoci dello spirito di Don Bosco»
Se il riferimento a don Bosco caratterizza tutti gli interventi formativi di
don Albera, molto più insistentemente e organicamente la figura e l’esemplarità
del Fondatore emergono nelle lettere degli ultimi tre anni. Don Bosco è presen-
tato come modello di dolcezza paterna, qualità essenziale e qualificante del sale-
siano119; come esempio di familiarità e confidenza, di zelo ardente e disinteres-
sato per la salvezza dei giovani120; come incitamento allo «spirito» di fede, di
pietà, di sacrificio e di lavoro costante e infaticabile121.
In particolare, tre corpose lettere scritte nell’ultimo anno di vita, presen-
tano, nella contemplazione illuminata e intelligente di don Bosco, la sintesi spiri-
tuale di don Albera, la sua definizione dell’identità salesiana: Don Bosco nostro
modello nell’acquisto della perfezione religiosa, nell’educare e santificare la
gioventù, nel trattare con il prossimo e nel far del bene a tutti (19 ottobre 1920)
122; Don Bosco modello del Sacerdote Salesiano (19 marzo 1921)123; Sulle voca-
zioni (15 maggio 1921)124.
Se noi Salesiani dobbiamo essere come don Bosco «lavoratori instancabili»
e «iniziatori fecondi delle opere più adatte e opportune al maggior bene della
gioventù d’ogni paese, per conservare alla Congregazione quel primato di mo-
dernità che le è proprio», non abbiamo ancora il diritto di proclamarci suoi veri
figli, se non quando ci spingiamo come lui a «crescere ogni giorno nella perfe-
zione propria della nostra vocazione salesiana, sforzandoci con ogni cura di rico-
piare lo spirito di vita interiore del nostro Venerabile»125. Al cuore di questo spi-
rito, secondo don Albera, due movimenti vanno rimarcati come costitutivi: «il
118 Il carteggio è conservato in ASC B040-B046: si tratta di un materiale vasto e di
grande interesse, totalmente inedito.
119 Lettera circolare n. 12: Sulla dolcezza (20 aprile 1919), Lettere circolari di D. Paolo
Albera, pp. 280-294.
120 Lettera circolare n. 13: Per l’inaugurazione del Monumento al Venerabile D. Bosco
(6 aprile 1920), ibid., pp. 308-318.
121 Ibid., p. 324.
122 Ibid., pp. 329-350.
123 Ibid., pp. 388-433.
124 Ibid., pp. 439-499.
125 Ibid., pp. 334-335.

4.3 Page 33

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Linee portanti dell’animazione spirituale della Congregazione Salesiana… 97
concetto animatore», che era quello «di lavorare per le anime fino alla totale im-
molazione di se medesimo», e «l’atto più perfetto», che era il suo donarsi total-
mente a Dio.
Siamo riportati alla sostanza di quel movimento spirituale fondamentale,
prospettato ai giovani in alcune delle opere più personali di don Bosco, che con-
siste non solo nel «darsi per tempo», ma nel «darsi totalmente a Dio»:
«Gettarsi in braccio a Dio e non allontanarsene mai più fu l’atto suo più
perfetto. Egli lo compì quotidianamente, e noi dobbiamo imitarlo nel mi-
glior modo possibile, per santificare il nostro lavoro e l’anima nostra»126.
Tale movimento caratterizzante della «perfezione» salesiana fonda le virtù
apostoliche ed educative, purifica le intenzioni, alimenta quel particolarissimo
amore di «predilezione» verso i giovani che trasforma l’azione di don Bosco in
una «pedagogia celeste»:
«Essa pensa alla grandezza del ministero d’istruire la gioventù e di formarla
alla virtù vera e soda: di cavare cioè dal bambino l’uomo intiero, come l’ar-
tista cava dal marmo la statua: di far passare i giovani da uno stato d’infe-
riorità intellettuale e morale a uno stato superiore: di formarne lo spirito, il
cuore, la volontà e la coscienza per mezzo della pietà, dell’umiltà, della
dolcezza, della forza, della giustizia, dell’abnegazione, dello zelo e dell’edi-
ficazione, innestate coll’esempio insensibilmente anche in loro [...] e ne
infiamma il cuore, perché la pratichi amando, attirando, conquistando e
trasformando» 127.
126 Ibid., p. 335.
127 Ibid., p. 340.