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DON BOSCO E ANNIBALE STRAMBIO
Eugenio Valentini
Nell'anno scolastico 1834-35 Giovanni Bosco frequentava a Chieri la
classe di retorica o V ginnasiale. Negli anni antecedenti aveva stretto amicizia
con il giovane Annibale Strambio, già suo condiscepolo. Si può dire che quella
fu la sua prima amicizia, antecedente a quella del Comollo. Durante le vacanze
pasquali i genitori del suo amico, che avevano avuto occasione di ammirare
le doti del giovane Bosco, lo invitarono a Pinerolo, dove abitavano. Egli andò,
spingendosi poi fino a Barge per far visita al suo professore dott. D. Pietro
Banaudi.
Di quella gita stese una lunga relazione in una lettera che ci è giunta,
non intera, nella brutta copia. Nella numerazione delle pagine che va fino a 10,
mancano le prime 4. E' l'unica lettera che abbiamo di lui studente di ginnasio
e Ceria la pubblica, benché monca, all'inizio dell'Epistolario.
Dal contesto si rileva che la scrisse dopo il ritorno a Chieri, forse per
mandarla agli amici di Castelnuovo, con i quali aveva ripreso contatto sul
principio delle vacanze.
E' un documento interessante perché rivela la mentalità di D. Bosco e,
insieme, resta testimonianza della sua amicizia con Annibale Strambio.
1. Documento-base
La trascriviamo dal testo edito da E. Ceria.
« ... Il giorno seguente mi determinai ad andare a Barge, che è distante
da Pinerolo otto miglia.1 Ascoltata la prima Messa, presa colazione e inca-
ricato di fare molti complimenti al nostro professor Banaudi, me ne partii
il giorno 12 dello stesso mese, Domenica delle Palme, osservando, via facendo,
molte belle valli e bei paesi, che quasi sembravano città, fra i quali annoverai
Rasco,2 Bricherasio, S. Secondo, Bibiana, la quale ultima forma tre parrocchie.
Ed eccomi giunto prosperamente a Barge.
Chiesto della casa del professore di retorica Don Banaudi, tosto mi fu
indicata. Andai, ma mi venne detto che cantava il Passio. Attentamente ascoltai
1 II miglio piemontese era di quasi due chilometri e mezzo (m. 2466). Fece dunque
circa Km. 20.
2 Probabilmente si tratta di Osasco.

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146 Eugenio Valentini
la sua dilettevole voce, e dopo la funzione andai ad aspettarlo in piazza.
Intanto stavo osservando quella gente tutta nuova per me, perché erano
quasi tutti pastorelli, ma di bell'aspetto e ben portanti della persona.
Il professore fu il primo a vedermi, mi venne incontro, mi prese pel-
la mano, mi baciò quasi lacrimando e tante cose voleva dirmi; ma non poteva
profferir parola, vinto dalla contentezza che provava. Io ero egualmente com-
mosso. Calmato quel primo sussulto del cuore, incominciammo con somma
gioia a ragionare su varii argomenti e andammo intanto alla sua casa. Ivi
fui ricevuto colla più grande cortesia e vi dimorai due giorni. Come io sia
stato, non si può esprimere; soltanto dico che passai due giorni di paradiso.
Dovunque andavamo a spasso o per qualche affare, tutti ci invitavano alle
loro case, e se dicevamo di non voler andare, ci prendevano per mano e ci
conducevano alle loro abitazioni con infiniti atti di cortesia. Fummo dal
vicario e dal prefetto delle scuole, dal sindaco, dal vicesindaco e dall'alber-
gatore Balbiano, parente di questo che è qui a Chieri. Fummo da tutti lauta-
mente ricevuti.
Passati quei due giorni, deliberai di partire. Il mio professore voleva
a tutti i costi ritenermi ancora, e mi nascose il paracqua; ma vedendomi riso-
luto, si rassegnò, accompagnandomi per cinque miglia e mezzo. A questo
punto della via, messici a sedere sopra una ripa, discorremmo alquanto lieta-
mente; ma allorché accennai di volermi congedare, egli si mise a piangere
e non parlava. Io volevo parlare e non poteva. Calmatici alquanto, dopo aver
discorso di qualche cosa confidenziale che doveva rimaner fra noi due soli3
ci alzammo e ci dividemmo con una muta stretta di mano. Affrettando il
passo, io giunsi a Pinerolo. Quivi ebbi nuovi complimenti e nuove dimande
intorno al viaggio e al professore Banaudi.
In questi ragionamenti io ed Annibale stabilimmo di fare una passeg-
giata verso Fenestrelle. Per fare questo viaggio domandammo la carrozzella
dell'illustre Alberto Nota, il più famoso scrittore di commedia ai nostri tempi.
Egli ce la imprestò molto volentieri e ce la fece allestire e fornire di ogni
cosa. Noi, poste sopra la carrozzella alcune provviste, salimmo e lentamente
uscimmo da Pinerolo.
Il primo paese, che incontrammo, si chiama Porte, paese annidato fra
le rupi, poi Floé, sempre sulla strada regia che costeggia il Chisone. Questo
fiume raddoppia le acque del Po. Dall'altro lato della via si innalzava una
catena di monti. Finalmente da lungi scoprimmo un'altissima montagna, che
si chiama Malanagi o Malandaggio,4 la quale ci sembrava coperta di neve,
ma non era; imperciocché, fattoci più da vicino, conoscemmo che era un
monte di pietra bianca, alle falde del quale vi erano circa mille cinquecento
uomini che lavoravano in quelle pietre.
Attaccate alla vetta, penzolavano lunghissime corde fino al fondo, poiché
le rupi sono così liscie e a picco, che neppure i gatti potrebbero arrampi-
carvisi. Gli operai si aggrappano a queste grosse funi e salgono fin dove si
vuol fare una mina. Là giunti, piantano due ferri accuminati nella pietra
viva, perché sostengano un asse, e su questo seduti fanno il loro foro per
la mina e lo riempiono di polvere e lo muniscono di miccia che scende fino
a terra. Preparata una mina, il suono della tromba avvisa tutti gli operai,
perché scendano e si allontanino e si dà fuoco. Sono enormi i massi che
3 Forse al degno professore parlò della sua vocazione, il cui pensiero gli occupava
la mente.
4 II Malanaggio, che ha vaste cave di gneiss granitico.

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Don Bosco e Annibale Strambio 147
divelti precipitano nella valle. Le colonne tanto alte e tanto grosse, che sono
a Torino alla Madonna del Pilone, furono staccate da queste cave. Dieci bot-
teghe da fabbro lavorano solamente a fare ed aggiustare pungoli, martelli e
scalpelli. Stati alquanto ad ammirare quella meraviglia, seguitammo la no-
stra strada.
Dopo un miglio di viaggio sulla pietra viva, coperta di sabbia traspor-
tata, trovammo un paese mezzo di cristiani e mezzo di barbetti,5 e perciò
hanno due chiese; l'una per i cattolici, sulla quale campeggia la croce, l'altra
pei valdesi senza croce. Intorno a questo paese vi è una montagna, alta due
miglie e mezzo6 così ripida che nessuno vi si potrebbe arrampicare. E' tutta
abitata, ed ecco in qual modo. Collo scalpello formano scalini nella pietra
viva, e su questi pianerottoli innalzano i loro tuguri e dintorno vi portano
terra dalla valle, e vi seminano patate, fagiuoli ed altre cose simili.
Preso adunque riposo in questo misero paese, procedemmo verso Fene-
strelle. Eravamo già a quel gran monte, che si chiama Monviso,7 vedevamo
già di fronte Fenestrelle, quando si levò un vento così furioso, che respin-
geva il cavallo, ci toglieva le forze di reggerlo e persino la parola. Turbinoso
si sollevava il polverìo della strada, mescolato a pietruzze, che battendo nei
nostri volti ci faceva molto male. Un buio spaventevole si stendeva su tutta
la strada. Il cavallo urtava or qua or là, e sbuffando non poteva più andare
avanti. Noi a tal vista sbigottiti fermammo il cavallo e lo rivoltammo indietro
per ritornare a Pinerolo. Ma calando noi giù dal monte, ci assalse un nuovo
timore. Quel vento precipitoso minacciava di rovesciare noi, il cavallo e la
carrozzella giù per la china del monte fra le rupi e là in fondo farci perdere
miseramente la vita. Ma la Provvidenza venne in nostro aiuto. Accanto alla
strada scorgemmo un incavo del monte, che ci offriva un sicuro rifugio.
Quivi stentatamente menammo il cavallo, aspettando che passasse la bufera.
Dopo circa un'ora e mezzo, il vento cessò, ma la notte sopraggiungeva. La
luna però ci illuminava la via ed entrammo in Pinerolo verso le 11.
Stetti ancora due giorni a Pinerolo e sempre allegramente e mi deter-
minai di venire a Chieri il giorno 16. Incaricato di diverse commissioni e di
salutare il sig. Valimberti,3 il dì prefisso salii sulla diligenza, e giunto a Torino,
di qui feci ritorno a Chieri. In questo viaggio impiegai sette giorni, che a
me sembrarono sette ore, poiché tanto a Barge come a Pinerolo, quantunque
indegno, fui trattato onorevolmente quanto mai dire si possa. Scusatemi, sono
ancora un misero il quale... »?
2. Altri documenti
L'anno seguente il ch. Giovanni Bosco, studente nel I anno di filosofia
nel seminario di Chieri, così scriveva al padre di Annibale Strambio. La mi-
nuta lettera è senza firma e senza data.
5 Nomignolo con cui si designano nel Piemonte i Valdesi, i cui ministri si chia-
mano barbèt.
6 Errore di calcolo o di penna.
7 Avrà voluto dire che erano in vista del Monviso, che è molto più lontano.
8 Don Eustachio Valimberti, collega d'insegnamento del Banaudi nel ginnasio di Chieri
e professore di Giovanni nella Ia ginnasiale.
9 E 1, 1-4.

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148 Eugenio Valentini
« Avendo già più volte scritto al suo figlio Annibale, amico mio pre-
diletto, e non sapendo se abbia ricevuto lettera o no, poiché non ebbi rispo-
sta, giudicai bene scrivere a V.S. pregandola favorirmi nel fargli avere que-
sta lettera.
Non so se Annibale studii la gita10 a Pinerolo o dove: neppure so se
sia chierico o secolare: disse però che sarebbe andato a prendere l'esame di
vestizione chiericale e che avremmo parlato insieme in tal tempo; ma a cagion
del colera, che in allora minacciava le nostre contrade,11 non potei più parlare
ad Annibale e non seppi più nulla se abbia preso l'esame di vestizione o no.
Io studio il primo anno di filosofia nel seminario di Chieri. Bramo molto
saper nuova di V.S. come pure di Madama Strambio, di cui non posso di-
menticare la generosità usatami allora che andai a Pinerolo. Seppi che Dome-
nico 12 era ammalato e non so se siasi ristabilito bene.
Desidero insomma di saper nuove di tutta la famiglia... ».13
Dopo la citazione di questa lettera il Lemoyne, senza indicare la fonte
a cuia cui attinge, soggiunge: « La risposta fu che Annibale aveva indossato
l'abito talare. Ma questa non era la via, per la quale lo voleva il Signore.
Si trovava già innanzi nello studio della teologia,14 quando incominciò a venirgli
dubbio sulla sua vocazione (...). I suoi parenti, che erano eccellenti cristiani,
essendosi nelle vacanze accorti del cambiamento, scrissero a Giovanni, perché
venisse a Pinerolo e s'intrattenesse col figlio sull'argomento che loro stava a
cuore. Giovanni, lasciato ogni affare che aveva per le mani, volò dall'amico,
si fermò più giorni, parlò lungamente con lui, lo incoraggiò a lasciar da parte
ogni melanconia, gli suggerì le norme opportune per procedere con sicurezza
nella risoluzione che avrebbe presa, e lo lasciò consolato. Infatti, l'anno se-
guente, sicuro di sé, depose tranquillamente l'abito chiericale »,15
Una testimonianza della stessa epoca la si ha ancora in D. Lemoyne:
« Abbiamo più sopra parlato del giovane Annibale Strambio, il quale, coi suoi
due fratelli Domenico e Pietro, era stato compagno con Giovanni a Chieri,
nei corsi ora detti ginnasiali. Orbene nel 1838 il Pietro riceveva una lettera,
nella quale Giovanni invitavalo a farsi prete, adducendogli per ragione la sua
indole quieta e lene e la sua buona condotta. Nel 1898 Pietro Strambio, Cava-
liere, Consigliere emerito di Prefettura, riferiva al Prof. D. Francesco Cerniti:
"Io non seguii il consiglio di D. Bosco, perché non mi sentiva trasportato
verso la carriera propostami. Conservai però cara memoria di quel bell'invito,
il cui ricordo mi fece sempre del bene nel corso della mia vita. Tengo ancora
gelosamente presso di me la sua lettera, la quale ridesta ognora nel mio cuore
10 L'andata.
11 Nel 1836.
12 Fratello di Annibale e condiscepolo di Giovanni Bosco.
13 E 1, 4.
14 Questo dovette dunque avvenire all'inarca nel 1838-1839. Prima del ricevimento
degli Ordini Sacri.
15 MB 1, 354-356.

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Don Bosco e Annibale Strambio 149
la commozione che allora provai nel riconoscere quanta buona opinione avesse
di me un condiscepolo e amico di tanto merito. Non è a dire la stima che i
miei fratelli ed io avevamo per lui. Noi alcuni anni dopo eravamo a Camagna
ed egli venne a visitarci. Lo accogliemmo con un vero tripudio; ma quei
giorni vennero funestati da un grande incendio sviluppatosi in una cascina.
D. Bosco colla sua calma abituale prestava mano a salvare le masserizie e com-
parve recando la polenta già preparata per la mensa di quel colono. Io gli
dissi allora: — Tu, o D. Bosco, che sei tanto buono e che operi miracoli, fa
cessare questo incendio". E questa opinione della sua santità era radicata e
diffusa nei suoi compagni, a cagione dell'importanza che davasi alle sue parole
ed alle sue lettere ».16
Ultima testimonianza di quei tempi, fu narrata da D. Bosco a D. Giacomo
Ruffino e al chierico Viglietti il 19 luglio 1884, all'inizio di un suo soggiorno
in Pinerolo, ospite del vescovo Mons. Filippo Chiesa. Disse che di Pinerolo
serbava caro il ricordo fin dalla giovinezza. Studente di ginnasio e poi chierico
vi era stato due volte ospite nella famiglia di quel suo amico che fu Annibale
Strambio; e come vi ripassasse appena ordinato sacerdote, dovendosi recare a
Fenestrelle per una predicazione.17
Questo avvenne alla fine di giugno o al principio di luglio del 1841.18
Da quest'anno fino al 1877 non si hanno ulteriori notizie di Annibale Strambio
nella documentazione storica salesiana.
3. Attività consolare di Annibale Strambio
Desiderosi di colmare questa lacuna ci siamo dati a una diligente ricerca,
e siamo riusciti a cogliere alcune notizie, anche se non molto estese.
Tutta l'attività consolare di Annibale Strambio si svolgerà nel 1851 come
console a Trieste, poi nel 1859 come console generale a Bucarest, nei Prin-
cipati Danubiani. Per comprendere bene questa sua attività, sarà opportuno
dare uno sguardo alla situazione di quelle nazioni e alla politica del Governo
Sardo verso di esse.
Il Congresso slavo che aprì le sue assise a Praga il 2 giugno 1848, pur
nei suoi pochi giorni di vita, aveva consentito di chiarire molte idee, di met-
tere a fuoco il problema centrale delle relazioni fra i singoli popoli slavi.
Quando a metà giugno il Congresso si sciolse sotto le baionette e i cannoni
del Windischgrätz, i delegati si sparsero in tutta l'Europa e tornarono ai loro
luoghi d'origine, agitando nelle coscienze tutto un insieme di problemi, circa
i rapporti fra i singoli popoli slavi, che rimarrà uno dei più vivi fermenti del-
16 MB 1, 454-455.
17 MB 17, 108.
18 MB 2, 28.

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150 Eugenio Valentini
l'Europa dell'Ottocento. Non fa dunque meraviglia se in Italia, soprattutto
a Torino, a Venezia e a Trieste tutto quanto stava fermentando nell'Europa
centro-orientale e gli stessi aspetti di fondo di quello che veniva chiamato
« problema slavo », venivano avvertiti con particolare sensibilità.
Gli Italiani dunque in quel periodo, allo scopo di proseguire vittoriosa-
mente la guerra contro l'Austria, sono pronti a ricercare un collegamento
con Magiari, Polacchi, Slavi meridionali. A Torino il 7 marzo 1849 nasce
« l'Alleanza italo-slava ».
Ma Cavour ben deciso ad evitare che una unità panslava sotto l'egida
della Russia giunga ad accamparsi nell'Europa centro-orientale, guarda anche
alle prospettive avvenire e avverte la necessità che i colpi diretti contro
l'Austria e la cronica debolezza dell'Impero Ottomano, non si risolvano nel
lasciare via libera alla Russia verso i Balcani e il Mediterraneo.
Se questo era l'orientamento di Cavour di fronte al problema del pansla-
vismo, non bisogna credere che esso derivasse da ipotesi teoriche o da espe-
dienti di propaganda. Di gran lunga più importanti nel segnare questo indi-
rizzo fondamentale di politica estera erano gli elementi, i giudizi e le infor-
mazioni che da anni giungevano dalle legazioni a Costantinopoli, Pietroburgo
e Vienna, come dai consolati in Trieste, dalle agenzie consolari di Dalmazia,19
da Belgrado, da Bucarest, da Jassy. La politica panslava della Russia era una
realtà operante e ormai sotto gli occhi di chiunque. Per tutti, basti qui sot-
tolineare la sensibilità con cui il console a Trieste, Annibale Strambio, seguiva
l'opera di penetrazione svolta dalla Russia nel Montenegro e presso gli Slavi
della Monarchia asburgica: la solerte premura, da parte dell'ambasciata russa
in Vienna, di regolare secondo gli interessi russi la successione al defunto
Vladika del Montenegro, nel 1851;20 l'invio, sempre lassù, di armi e munizioni
nonché di un agente dello Czar la cui missione non era un mistero per alcuno
e la cui influenza ed azione divenivano ogni giorno più visibili; l'afflizione
degli Slavi, « anche i più civili e liberali », come di « un disastro nazionale »
per i rovesci subiti dalla Russia nella guerra d'Oriente; lo scendere « a frotte »
degli Slavi giù dalle montagne della Dalmazia sino a Gravosa « a rimirar dalla
spiaggia i tre bastimenti russi » sequestrati nell'ottobre del 1854: coloro che
riuscivano a salire a bordo « si prosternavano sul ponte e ne baciavano la
polvere ».21
Scopo di Cavour era sempre quello della lotta all'Austria per conquistare
19 Cfr O. RANDI, II servizio consolare in Dalmazia, in « Archivio storico per la Dal-
mazia », a. III, vol. V (1928), p. 55.
20 Lettera di Annibale Strambio a D'Azeglio, 24 novembre 1851. Cfr A. TAMBORRA,
Cavour e i Balcani. Torino, ILTE 1958, p. 66 (Archivio di Stato di Torino, Cons, in Trieste,
Giuseppe Annibale Strambio a D'Azeglio).
21 Lettere di Annibale Strambio a Dabormida, 27 aprile e 12 ottobre 1864. Cfr A.
TAMBORRA, Op. cit., p. 66 (Archivio di Stato di Torino, Cons, in Trieste, Strambio a
Dabormida).

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Don Bosco e Annibale Strambio 151
all'Italia il Lombardo-Veneto, e quindi il favorire moti insurrezionali negli
Slavi e nei Magiari soggetti al Governo austriaco.
Ma nel suo realismo a tutta prova segue attentamente gli eventi per
decidere il da farsi.
Egli non dimentica come la maggior parte dei popoli dell'Europa centro-
orientale anelino all'unità e all'indipendenza e come venga spontaneo in tutti,
di qua e di là dalle Alpi, sentire come feconda, anzi indispensabile per la
vittoria, un'alleanza delle Nazioni, contro la solidarietà dei troni.
Ma intanto, appunto per questo, la sua attenzione si rivolgeva più ad
oriente, e cioè ai Principati della Valacchia e della Moldavia.
I Principati di Valacchia e Moldavia per la loro posizione sul basso
Danubio e il carattere « latino » come si diceva, della loro popolazione, sin
dal 1848-49 erano tenuti ben presenti nei calcoli della diplomazia europea
e nella valutazione dell'opinione pubblica più accreditata.
Essi sono considerati con interesse e simpatia, sono già « qualcuno », se
fin dal 1848 l'autorevole Revue de Deux Mondes considera i Moldo-Valacchi
come « les soutiens de la paix, da la stabilité, de l'intégrité de l'Empire turc
contro la Russie, puissance essentiellement révolutionnaire en Orient », auspi-
cando che tra il Danubio e il Tibisco si costruisca « un état fort pour prendre
ou conserver, vis à vis de la Russie, au nom des intérêts de l'Europe latine,
le rôle d'une sentinelle vigilante et sûre »,22
Così, se Cavour nella sua fervida fantasia di politico e di diplomatico
era giunto a prospettare i Principati danubiani come moneta di scambio con
Modena e Parma sottolineando l'interdipendenza fra Balcani e Italia, que-
stione d'Oriente e questione italiana, molti in Italia fra studiosi, politici,
uomini di cultura guardavano da tempo alle popolazioni romene del Basso
Danubio con simpatia e senso di vincoli comuni.
« Un'altra Italia », « un'Italia che ha conservato più fedelmente di noi
il nome romano » veniva vista nel 1865 da Cesare Correnti distesa fra il
Danubio e il Dniester, un popolo dunque affine all'italiano e come questi in
lotta per la propria individuazione nazionale.
La sistemazione territoriale e politica dei Principati danubiani si svolgeva
giusto all'indomani di una guerra come quella di Crimea che aveva aperto
gli occhi, in Occidente, circa gli obiettivi di espansione della Russia zarista,
sulla sua politica che, nutrita da tanti anni di propaganda slavofila era dive-
nuta nettamente panslavista e ricercava con gli argomenti della religione e
della razza un collegamento con i Piccoli Slavi dell'Europa Centrale dei Balcani.
Lo schieramento delle Potenze intorno alla grossa questione dell'unione
dei Principati danubiani si era già in pratica delineato, sin dal tempo dei
preliminari di Vienna che ebbero inizio il 15 marzo 1855, ma solo a Parigi
venne a definirsi in modo perentorio, senza equivoci. Fu così che venne accolta
22 « Revue des Deux Mondes », 1848, tomo 21, pp. 132-133.

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152 Eugenio Valentini
la proposta russa di interpellare con opportuna consultazione i cittadini stessi
della Valacchia e della Moldavia sul loro futuro destino.
La lotta diplomatica che si era aperta, vivace, in seno al Congresso di
Parigi, si spiega ora in tutta la sua ampiezza a Costantinopoli intorno al
modo con cui « organizzare » le elezioni in Valacchia e Moldavia.
Le elezioni che si svolsero fra la seconda metà di settembre e i primi di
ottobre del 1857 diedero vittoria completa alle tendenze unionistiche.
Così, quando nel maggio del 1858 si aprì a Parigi la Conferenza che
doveva fissare lo statuto definitivo dei Principati, i delegati sardi continua-
rono ad essere in prima linea nel sostenere il principio dell'unione, contro
tutte le attenuazioni e i compromessi.
La duplice elezione del colonnello Giovanni Alessandro Cuza a Ospodaro
di Valacchia e Moldavia e la situazione di fatto che le due assemble riescono
ad imporre all'Europa è l'elemento nuovo che, agli inizi del 1859, maggior-
mente impegna la diplomazia sarda nella difesa dell'unità romena. Il 17 gen-
naio 1859 l'assemblea di Moldavia elesse alla carica di Ospodaro il colonnello
Alessandro Cuza, che fece il giuramento il 20 gennaio. Il 5 febbraio del 1859
sarà eletto Ospodaro anche nell'assemblea di Bucarest.23
4. Annibale Strambio console generale a Bucarest
« Quando Vasile Alexandri chiedeva, alla fine di marzo del 1859, nel-
l'udienza col Cavour, un console sardo nei Principati, questi gli rispondeva
che aveva anche nominato al posto di rappresentante della Sardegna il cavalier
Strambio che in quel momento gli serviva da guida a Torino. Data precisa:
il 20 marzo 1859 Vittorio Emanuele II sanziona le decisioni dei Corpi Legi-
slativi in conformità delle quali si costituiva un consolato a Bucuresti e si fis-
savano gli indennizzi dei capi: il console doveva ricevere 12.000 lire annue,
il vice-console, 4.000. Annibale Strambio prenderà residenza a Bucuresti; per
Galati era nominato Durio. Il 26 giugno 1859, il console generale sardo dei
Principati, Strambio, ottenne l'udienza di presentazione presso Cuza Voda.
Vice-console è Cattaneo. Strambio propone pure l'istituzione di un'agenzia
consolare a Sulina per la quale raccomanda Louvières, vice-console francese
di Tulcea.24 Fino alla nomina di un agente consolare di 1a categoria, a Braîla
rimaneva sempre Papadopulo come reggente, obbligato a tenersi in rapporto
con Galati. La ferrovia che, dice Strambio, “nel prossimo anno sarà compiuta
fra Czernadova e Kostendzé” faciliterà il traffico e reclamerà la creazione di
una agenzia anche a Constanza.25
23 A. TAMBORRA, Op. cit., p. 283.
24 Lettera di Strambio a Dabormida, 17 settembre 1859. Cfr D. BODIN, I consolati
del Regno di Sardegna nei Principati Romeni, in « Rassegna storica del Risorgimento »
XXIII (1936), p. 163 (Archivio di Stato di Torino, Consolati Nazionali, Bucarest 1859, vol. 1).
25 Lettera di Strambio a Dabormida, 18 settembre 1859, Ibid., p. 163.

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Don Bosco e Annibale Strambio 153
Così nel 1859, quando comincia un nuovo capitolo nella vita dei Con-
solati Italiani dei Principati Romeni Uniti abbiamo "un Consolato generale
di S.M. il Re di Sardegna nei Principati Uniti di Moldavia e Valacchia",26 con
residenza a Bucuresti.
Da esso dipendevano il consolato di Galati e la delegazione consolare di
Brâila. A loro volta dipendevano direttamente da Galati le delegazioni con-
solari di Ismail e di Reni. In prospettiva vi era una "Delegazione consolare
per le bocche di Sulina e la Bulgaria, con residenza a Tulcia e dipendenza dal
Consolato di Galatz",27 e un'agenzia a Constanza ».28
Ma vediamo quali erano state le direttive che Cavour aveva dato ad
Annibale Strambio, all'inizio della sua missione. Citiamo per intero il docu-
mento perché è d'importanza fondamentale.
Istruzioni al Cav. Annibale Strambio
Console di S.MA a
Torino 24 maggio 1859
Bucarest
S.M. nel destinare la S.V. all'ufficio di Console Generale nei Principati
Moldo Valacchi riconobbe che il mandato che le si affidava aveva un duplice
intento, l'uno politico e l'altro commerciale.
Uniformandomi impertanto agli ordini della prefata M.S. io verrò divin-
sandole le norme a cui Ella dovrà attenersi per secondare le mire del governo
del Re e conseguire quei risultamenti che si desiderano nelle presenti gravi
contingenze.
E' noto a V.S. che il governo ha vivamente raccomandato nel Congresso
di Parigi l'unione della Moldavia e della Valacchia in un solo Principato. Le
è noto che questa unione perfetta non si è potuta ottenere e che la Conven-
zione del 19 d'Agosto 1858 è una composizione tra le varie tendenze delle
Potenze segnatarie. Sarà mestieri che Ella prenda esatta notizia così delle
discussioni del Congresso di Parigi come della Convenzione e dei protocolli
del 1858. Siffatti documenti le daranno contezza non solamente delle stipu-
lazioni che formano oggidì il diritto pubblico dei principati, ma la informe-
ranno eziandio dei concetti o apertamente espressi o male dissimulati dei
vari Gabinetti Europei intorno agli Stati Rumeni.
La Convenzione del 1858 recava che la Moldavia e la Valacchia fossero
amministrate separatamente e governate l'una e l'altra da un Ospodaro loro
proprio il quale sarebbe eletto da un'Assemblea ad hoc e riceverebbe l'inve-
stitura dalla Porta Ottomana. Le assemblee di Moldavia e di Valacchia eles-
sero l'una e l'altra il Colonnello Alessandro Couza per Ospodaro. La Sublime
Porta disse violata la Convenzione e si rivolse alle Potenze segnatarie affinché
provvedessero.
26 Strambio a Cavour, 18/30 settembre 1859, Ibid., p. 164.
27 Strambio a Dabormida, 17 settembre 1859, Ibid., p. 164.
28 Ibid., pp. 163-164.

1.10 Page 10

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154 Eugenio Valentini
Una nuova Conferenza si radunò in Parigi nei primi giorni dello scorso Aprile e
tenne due sedute nelle quali i Plenipotenziari della Porta e dell'Austria dichiararono
che la elezione doveva essere annullata come contraria alla Convenzione; i
Plenipotenziari di Sardegna, Francia, Inghilterra, Russia e Prussia opinarono invece
che si dovesse adottare un temperamento che pur non vulnerando i Capitoli del 1858,
rispettasse in qualche modo la volontà nazionale dei popoli rumeni così solennemente
manifestata. Proposero perciò che mentre si dichiarerebbe che la duplice elezione del
Colonnello Couza non era conforme alle previsioni della Convenzione del 19 Agosto,
si raccomandasse ciò nulla meno alla Sublime Porta di conferire eccezionalmente
l'investitura affine d'evitare le spiacevoli conseguenze cui potrebbe dar luogo una
nuova elezione e di togliere gli ostacoli che si oppongono all'ordinamento definitivo
dell'amministrazione dei due Principati.
I Plenipotenziarii della Turchia e dell'Austria si riservarono di comunicare al
loro Governo la deliberazione della maggiorità della conferenza. In questo frattempo
scoppiarono le ostilità dell'Austria contro il Piemonte, la Francia intervenne in nostro
aiuto, la Conferenza non si poté più radunare, epperò la questione non ebbe finora
uno scioglimento determinativo.
Frattanto e prima della Conferenza, e dopo, il Generale Durando, Ministro di
S.M. a Costantinopoli, non pretermise ufficio alcuno sia per contenere la impazienza
dei Moldo Valacchi che ricorrevano a lui di consiglio, sia per condurre la Porta a
concilievoli risoluzioni.
Raccomandava ai Rumeni di non porgere col loro contegno e con atti poco
ponderati cagione di pretesto al governo ottomano di perseverare nella sua attitudine
contraria ai loro voti e di ricusare la investitura, non introducessero quindi nello Stato
riforme o provvisioni di qualsiasi natura ripugnanti coi termini della Convenzione,
non pensassero di convocare una sola assemblea pei due Principati, non formassero
un Ministero unico per l'Amministrazione dei due Stati che, secondo il pubblico
diritto, dovevano restare separati. Ponessero mente, soggiungeva il R. Ministro che
senza varcare i limiti degli accordi internazionali era loro fatta ampia balia di
procurare il bene del loro paese, rifiorirne il commercio, crescerne la ricchezza
interna, sicurare stabilmente la loro autonomia. Il che tutto servirebbe di scala e di
ponte a quella unione e a quella indipendenza cui sono indirizzati i loro sforzi come a
supremo intento.
Quando poi gli apparecchi militari della Turchia cagionarono serie inquietudini
ai Serbiani ed ai Rumeni non per questo cessarono dal canto del Generale Durando i
consigli di moderazione, di prudenza, e di attenta osservanza dei Trattati. Egli
rappresentava non fondati i timori d'un intervento armato della Sublime Porta in caso
di guerra tra Francia ed Austria, perocché in simile evento l'Austria stessa comeché
aversa ai Rumeni ed ai Serbi distorrebbe la Turchia dall'intraprendere le ostilità
contro i Principati onde non porgere ad altre Potenze propizia occasione di prendervi
ingerimento armato.
Siffatte diligenze adoperò il R. Ministro nella Serbia, in Grecia, nelle Isole
Joniche, e nel Montenegro stesso. E più oltre procedendo, rivolse, con pienissima
approvazione del governo una lettera al Principe Couza che consegnò all'Avvocato
Durio nel suo passaggio a Costantinopoli, affinché la presentasse all'ospodaro. In essa
con militare franchezza e in acconcie parole espononsi i pericoli della presente
condizione, si dimostrano i danni gravissimi a cui s'andrebbe incontro seguitando la
via verso la quale sembrano inclinare le popolazioni Rumene agitate da nobili
passioni bensì, ma non bastevolmente capaci, che la turbazione della pace in Oriente
sarebbe il segnale

2 Pages 11-20

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2.1 Page 11

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Don Bosco e Annibale Strambio 155
della guerra generale, il sui successo ultimo potrebbe riuscire a discapito dei
principati stessi.
La S.V. terrà linguaggio e condotta conformi alle osservazioni contenute in
questa lettera di cui se le unisce copia che già servì d'istruzione all'Avvocato
Durio.
Ella avrà sempre innanzi agli occhi della mente quale è il primario interesse
del Piemonte nel condurre la impresa cui si è accinto coll'aiuto della Francia.
Preme al governo del Re che la guerra rimanga circoscritta all'Italia e che sia
combattuta solamente dalle armi collegate della Sardegna e della Francia. Una
diversione in Oriente sarebbe funesta. La Russia non ne rimarrebbe spettatrice
inoperosa ed allora l'Inghilterra entrerebbe in campo e ad un suo cenno la Prussia
e l'Alemagna intiera. Certo la Francia e il Piemonte hanno preveduto anche
questa eventualità dolorosa e saprebbero, occorrendo, affrontarla. Ma i loro sforzi
più energici e costanti mirano ad impedirla, a renderla impossibile.
Per la qual cosa Ella farà opera continua di calmare gli animi, di sedare le
passioni e di combattere i propositi eccessivi. A tal fine non si periterà di
dichiarare che il Piemonte e la Francia disapproverebbero altamente qualunque
moto intempestivo e lo considererebbero come esiziale alla causa Rumena.
Soggiungerà che il generale Durando ha fatto a Costantinopoli validi uffici per
ottenere dalla Porta la investitura del Principe, che le altre quattro Pontenze
parlano concordi nello stesso senso e che vi è fondamento di credere che il
Sultano non tarderà a consentire ai voti e alle sollecitazioni dei suoi alleati. Per
contro le dimostrazioni ostili e illegali dei Principati darebbero ragionevole
motivo alla Turchia di ricusare le proposizioni conciliatrici, e pretesto
desideratissimo all'Austria e forse ad altri Pontentati di secondarla nel suo rifiuto.
La S.V. troverà questi stessi sentimenti nei consoli di Francia e
d'Inghilterra, spero anche in quello di Russia. Prenderà col primo di essi gli
opportuni convegni con piena fiducia, cogli altri con sagace consiglio.
Il Sig. Astengo Reggente il Consolato di Belgrado è posto sotto la sua
direzione, ella gli darà le convenienti istruzioni ogni qualvolta lo giudichi
opportuno. Di ogni avvenimento informerà non solo il Ministero ma il generale
Durando altresì, al quale manderà copia dei dispacci che manderà al Governo e di
ogni scrittura che per avventura dovesse comunicare al Principe Couza.
Non è finalmente da tacere che le circostanze presenti della politica e della
guerra potrebbero cambiare, in tal caso dovrebbe naturalmente mutare la condotta
che le è oggidì prescritta. Se ciò si avverasse altre istruzioni le segneranno il
contegno ch'ella dovrà tenere.
Passo ora alle considerazioni commerciali.
La valle inferiore del Danubio di cui parte tanto cospicua costituiscono i
Principati uniti si è per natura di terre e temperie di cielo fra le più ubertose
contrade d'Europa. Per lunga notte di secoli quei paesi furono però incolti e
poveri a causa delle devastazioni dei Turchi, degli Ungheri, dei Polacchi, e dei
Russi, e quando incominciò più quieto vivere si videro da una gelosa politica
chiuso il Mar Nero e chiuso lo stesso Danubio alla Porte di ferro.
Ma al cadere del secolo scorso il Mar Nero aprivasi alla navigazione del
mondo, ed i primi esperimenti facevansi d'una navigazione del Danubio da
Vienna al mare. I Principati, benché privi della Bessarabia, della Boccovina, e dei
distretti di Transilvania, che per natura s'aggiungerebbero alla Valacchia,
speravano risorgimento. Questo era però ritardato dalla crisi guerriera che

2.2 Page 12

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156 Eugenio Valentini
scosse l'intera Europa fino al 1815 e dalle calamità interne di tentate e represse
insorgenze di popolo.
Ritornata la pace i benefici della feracità naturale del suolo ed i sempre
crescenti bisogni di cereali in Europa chiamarono alle foci del Danubio le navi
Greche, le Inglesi, le Austriache, e con esse le Sarde, e poscia le Francesi.
Incominciò un commercio granatico d'estrema importanza anche per la Sardegna,
che oltre al traffico di speculazione, vi esercitava quello di consumazione propria
per le centinaia di migliaia d'ettolitri di grano che deve in ciascun anno importare
nel regno. Questo commercio fu tutelato coll'istituzione del Consolato di Galatz e
per lunghi anni dalla Delegazione di Ibrail. Il Consolato di Galatz tutt'ora esiste e
V.S. prenderà sempre notizie delle operazioni di esso, e gli presterà appoggio
presso il Governo centrale.
I vantaggi della navigazione aperta del Mar Nero furono moltiplicati dalla
tanto aumentata navigazione del Danubio, già gli ostacoli fisici furono superati in
parte, ed ora si stanno rimovendo mediante convenzioni Europee anche gli
impedimenti politici di modo che il gran fiume sarà aperto alla navigazione del
mondo e perfino al cabotaggio dei porti d'ogni Stato.
Coi cresciuti consumi crebbero nei Principati uniti le importate ricchezze e
con queste sorse la potenza d'acquisto delle merci straniere e di quanto consegue
all'agiatezza e al lusso. Quindi nelle primarie città dei Principati fondaronsi
colonie Greche, Tedesche, Italiane indagatrici di ogni lucro, ed abili a moltiplicare
coll'esempio i consumi delle merci straniere. Sembra che tutt'ora il traffico sia in
gran parte nella mani di questi esteri, la cui opera prepara i nazionali all'industria
delle officine ed a quella delle operazioni mercantili.
I Sardi, ed in genere gli Italiani commerciano tutt'ora piuttosto per
esportazione di cereali che non per importazione di prodotti. Sommo merito sarà
di chi abilmente consigliando, ed avvisando de' mezzi, sappia aprire la via dei
Principati Uniti anche ai prodotti Sardi ed Italiani, segnatamente alle sete, ai vini,
agli olii, al sale, ai frutti ecc. onde il nostro commercio non si eserciti con mero
cambio di moneta ma divenga vera permuta di prodotti nostri con quelli dei
Principati. Se alcune merci Francesi avranno per ora e forse per lungo tempo la
preferenza, l'introduzione di altre Italiane sarà agevolata dalla convenienza di
prezzo, ed un articolo in specie nel quale la coltura italiana è sì illustre quella
dell'arte cioè dei prodotti letterari verrà facilitata dalle maggiori simpatie ed
affinità di famiglie del popolo nostro e del rumeno. Io quindi invito V.S. a voler
portare la massima attenzione perché la di lei presenza nei Principati Uniti rechi le
primizie dei frutti materiali che può raccogliere l'Italia dal risorgimento rumeno.
Informi il R. Governo del numero e delle condizioni diverse dei R.R. Sudditi nei
Principati, mi nomini sempre le case che godono migliore fama di solidità e
probità, le due basi su cui fondasi il credito e la speranza di futuri commerci.
Anche nei Principati Uniti i R.R. Sudditi dipenderanno dalla di leí giurisdizione,
non altrimenti che nelle Provincie Ottomane dipendono dai consoli locali. Egli è
vero che l'esercizio della giurisdizione civile e penale dei Consoli ha nella Turchia
argomenti a sua difesa che non esistono nei Principati, e quindi il R. Governo
potrebbe forse far cessione un giorno alla civiltà del governo Rumeno d'un diritto
di giurisdizione che è troppo necessario a conservarsi in Turchia. Ma perché si
abbia a prendere in matura considerazione se la tutela dei nostri sudditi nei
Principati permetta il sacrificio d'una facoltà eccezionale, e voglio pur dire
anormale coi buoni principii di diritto pubblico, importa che V.S. abbia
scandagliato appieno se la legislazione locale non solo esista perfetta negli scritti
ma altresì si applichi intemerata impar-

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Don Bosco e Annibale Strambio 157
ziale e costante. Purtroppo nel Levante le tristi condizioni dei secoli resero
la civile giustizia impossibile e fecero le Curie vaste intriganti e corrotte, e
non sempre si ottiene senza lungo periodo d'insistenza sapiente di divellere
le radici di abitudini inveterate.
Solo in allora che il ridurne i sudditi alla giurisdizione locale non li
esponga a dannose eventualità, il R. Governo potrà fare a quello dei Prin-
cipati la solenne dimostrazione d'onore e di civiltà di rinunciare ai privilegi
giurisdizionali sanciti nei Trattati colla Porta Ottomana.
Queste sono le norme che debbono guidare la S.V. nella Commissione
che le è affidata. Verbali istruzioni le daranno lume sovra altre materie.
Ella studierà gli uomini e le parti del paese, esaminerà imparzialmente
fino a qual punto si possa fare assegnamento sulle forze dei Principati in
caso di guerra.
Oltre il carteggio ordinario ella preparerà, dopo che ne avrà raccolto
gli elementi, un'ampia relazione politica e commerciale sulle condizioni dei
Principati la quale gioverà al Governo per quelle future provvisioni che
diventassero opportune.
Lo zelo e la sagacia di cui Ella diede già prova mi danno fiducia che
la S.V. adempirà con lode il mandato che le viene commesso ed acquisterà
in tal guisa nuovi titoli di benemerenza.
Il Presidente del Consiglio
Ministro per gli Affari Esteri
firmato: Cavour.29
Dimitrie Bodin al termine del suo articolo scriveva:
« Oltre a ciò che risulta anche da questo primo schizzo sui Consolati
sardi nei Principati Romeni, la loro importanza si potrà constatare rispon-
dendo a due domande: che cosa hanno fatto di buono questi consoli a quei
tempi e che cosa ci offre oggi il loro lavoro, di cui sono rimasti soltanto
alcuni mucchi di carta scritta?
Al tempo loro i consoli sardi hanno protetto i connazionali stabiliti nei
Paesi romeni, sia per il desiderio di lavorare con maggior guadagno, sia per-
seguitati dai governi assolutisti per azioni rivoluzionarie. Hanno incoraggiato
ed hanno assicurato il commercio piemontese nei Principati, specialmente il
commercio di cereali. Sono stati attenti osservatori della piazza economica e,
potrei dire, anche spesso politica. Poiché hanno assistito alla rivoluzione per
la libertà dei Bulgari, partita da Braila nel 1840; alla rivoluzione romena
del 1848; e al processo dell'Unione dei Principati ».30
Ora l'ultimo Console Generale degli Stati Sardi fu appunto Annibale
Strambio.
29 Le istruzioni sono riportate integralmente da A. TAMBORRA, Cavour e i Balcani,
pp. 384-388 (Archivio storico del Ministero degli Esteri, Roma: Segreteria e Ministero
degli Esteri del Regno di Sardegna, Istruzioni per Missioni all'Estero, Busta n. 120).
30 D. BODIN, art. cit., p. 164.

2.4 Page 14

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158 Eugenio Valentini
Ci si può domandare: che cosa fece egli nel frangente della guerra italo-
austriaca del 1859?
L'11 luglio scriveva a Cavour facendo presente che Cuza « osteggiato dai
bojari e a sinistra dal partito nazionale e liberale che lo rimproverava di poca
energia e di inettezza nel governo », voleva in qualche maniera intervenire
contro l'Austria.31 Ma Cavour era sordo da questo orecchio.
Venne poi la notizia di Villafranca che colpì dolorosamente i Romeni.
Tuttavia, dal punto di vista formale, Cuza ricevette una soddisfazione:
il 6 settembre chiudeva finalmente i lavori, col riconoscimento implicito della
sua dignità di Ospodaro dei Principati, la Conferenza che si era aperta in
aprile, proprio nell'imminenza delle ostilità.
Un primo notevole risultato era stato dunque raggiunto.
Da questo momento l'iniziativa piemontese che investe a poco a poco
tutta la Penisola italiana sta sotto gli occhi dei Romeni dentro e fuori dei
Principati come un esempio ed un incitamento, che essi sperano di poter
seguire a scadenza non lontana. Ed a significare con quanto consenso viene
seguito sulle rive del Danubio lo sforzo unitario degli Italiani, valgono le
dimostrazioni che si svolgono a Bucarest il 16 marzo 1860 per il compleanno
di re Vittorio Emanuele, dalle quali sale l'augurio di poter salutare il sovrano
come Re di tutti gli Italiani. Altre dimostrazioni di migliaia di persone, calo-
rosissime, salutano alla fine di marzo la notizia dell'annessione dell'Emilia e
della Toscana: il console Strambio ha dovuto ricevere una delegazione e affac-
ciarsi al balcone per ringraziare.32 I successi sardi colpiscono la fantasia e sic-
come l'esercito romeno è in via di formazione, viene richiesto l'invio urgente
della uniforme e dell'armamento completo, per soldato e ufficiale, di bersa-
gliere, che dovranno servire come modello per un battaglione di cacciatori
in formazione.
Il 6 novembre del 1860, partono da Bucarest tre capitani, tre luogote-
nenti e due sottotenenti, incaricati da Cuza di prendere servizio tra le file
dell'esercito sardo mentre è annunziata la partenza di studenti romeni. Un
rappresentante « ufficioso » infine parte da Torino e ad esso vengono assi-
curate tutte le agevolazioni. Questi i fatti, grandi o piccoli, che stanno a signi-
ficare con quali spiriti, dalla Romania in formazione, si guardasse all'Italia.33
Cuza evidentemente si serve degli atti, delle manifestazioni di amicizia
con il Regno Sardo, per ricattare l'Austria, per dirle: se io sono con Francia
e Sardegna è perché solo da questa parte trovo degli amici. Egli, in parti-
31 Strambio a Cavour, 11 luglio 1859. Cfr. A. TAMBORRA, Op. cit., p. 291 (Archivio
di Stato di Torino, Consolato di Bucarest, Strambio a Cavour).
32 Lettere di Strambio a Cavour, 16 e 20 marzo 1860. Cfr A. TAMBORRA, Op. cit.,
p. 292 (Archivio Storico del Ministero degli Esteri, Roma: Segreteria e Ministero degli
Esteri del Regno di Sardegna, Busta n. 252; Corrispondenza telegrafica e in cifra n. 68,
Strambio a Cavour, 25 marzo e 5 maggio 1860).
33 A. TAMBORRA, Op. cit., p. 292-293.

2.5 Page 15

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Don Bosco e Annibale Strambio 159
colare, non ha fatto mistero di intrattenere una corrispondenza personale con
Vittorio Emanuele che lo trattava da « fratello minore », né erano ignorate a
Vienna certe lettere di Cavour a lui dirette in cui si parla dei Romeni come
un ramo vivace della grande famiglia dei popoli latini e la cui causa andava
risolta in Italia sui campi della Penisola. « Il conte di Cavour e il console di
Sardegna Strambio — si lamenta Eder a Rechberg — ricordano in differenti
occasioni i legami del sangue » ed i Romeni chiamano l'Italia loro madre patria
e l'italiano la « lingua sorella».34
Non sappiamo per quanto tempo ancora Annibale Strambio si sia fer-
mato in Romania; noi lo ritroviamo nella documentazione storica salesiana,
Console a Marsiglia dal 1877 alla sua morte nel 1881.
5. Annibale Strambio console a Marsiglia
Dal 1841 al 1877 non si hanno documenti che comprovino relazioni tra
D. Bosco e Annibale Strambio. Il 28 febbraio 1877 D. Bosco arrivò a Mar-
siglia e vi rimase fino al 6 marzo. Era andato colà per trattare l'apertura di
una casa destinata ai poveri fanciulli, e in quella circostanza aveva fatto visita
al vescovo Mons. Place, che l'aveva indirizzato all'abate Guiol che era a capo
della parrocchia più ricca di Marsiglia. Non sappiamo se in quella circostanza
fece anche visita al console italiano, il comm. Strambio. Quello che è certo
è che prima del 13 giugno 1877 egli gli aveva scritto una lettera. Scriveva
infatti da Roma al Can. Clemente Guiol nella suddetta data: « Ho scritto
al cconsole italiano comm. Strambio, che spero avremo favorevole nel nostro
progetto, che è tutto umanitario e religioso».35
Un'altra testimonianza l'abbiamo in una lettera di D. Bosco del 15
aprile 1879.
Egli aveva acquistato una nuova casa a Marsiglia, adiacente all'Oratorio
San Leone, e il 5 aprile aveva inviato colà Don Angelo Savio, economo della
Congregazione, perché vi dirigesse i lavori di adattamento. Ma le oblazioni
dei Marsigliesi non erano sufficienti per l'impresa. Allora D. Bosco pensò al
suo vecchio condiscepolo di Chieri, già suo intimo amico, perché intercedesse
per lui un sussidio da Roma. Gliene scrisse dunque, pregandolo vivamente
di prendersi a petto la cosa. Data la natura della sua richiesta non ci si deve
meravigliare che D. Bosco si indugi alquanto a magnificare i vantaggi che agli
immigrati italiani avrebbe arrecato l'opera salesiana. Non è una lettera d'inti-
mità, ma ufficiale, per ottenere un soccorso, e quindi D. Bosco la stende in
uno stile di riguardo, quasi diplomatico.
34 Ibid., p. 295.
35 E 3, 185.

2.6 Page 16

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160 Eugenio Valentini
Eccellenza,
prego V.S. a prendere in benevola considerazione un fatto di cui
Ella ha certamente esatta notizia. In varie occasioni a motivo di affari pri-
vati ho percorso il litorale del mediterraneo da Ventimiglia a Marsiglia ed
ho dovuto con vero rincrescimento osservare una moltitudine di giovanetti
appartenenti a famiglie italiane in un doloroso abbandono. Alcuni, perché
rimasti orfani dei genitori, altri perché sono dai medesimi trascurati, in gene-
rale si danno al vagabondaggio, quindi vanno a finire nei riformatorii, o se
ritornano in patria abituati al mal fare, per lo più sono condotti in luoghi
di reclusione. Ad unico fine di provvedere almeno in parte a questi giova-
netti, ho procurato di attivare un Patronato pei poveri fanciulli nella città
di Nizza Marittima, una colonia agricola alla Navarra presso Fréjus ed un'altra
a St. Cyr presso Tolone. Ma la città di Marsiglia era degna di particolare
attenzione. Come è ben noto alla E.V. in questa città e nei dintorni sonovi
non meno di 80.000 italiani, che lasciano una immensa moltitudine di ragazzi
in balia di se stessi. A fine di dare qualche provvedimento a questi sfortu-
nati giovanetti, d'accordo coll'E.V. e coll'appoggio della carità di Lei e di altri
cittadini, si aprì l'ospizio di artigianelli in codesta città, via Beaujour n. 9.
Ma appena aperto rimase tosto pieno di poveri fanciulli e presentemente vi
sono già circa 50 artigianelli con altrettanti che vengono a scuola come esterni.
In vista del crescente bisogno e del grande vantaggio che si può procacciare
a questi miseri patriotti venne intrapreso l'ingrandimento della casa attuale
per renderla capace di alcune centinaia di fanciulli. Si dié tosto mano ai lavori
che progrediscono alacremente, e la spesa non è inferiore ai 100.000 fr.
Pel passato si appoggiò tutto alla carità cittadina, ma presentemente le
spese di manutenzione dell'edificio, di vitto e vestito pei già ricoverati, e per
condurre a termine il cominciato edificio mancano assolutamente i mezzi neces-
sarii. Egli è per condurre avanti quest'opera benefica che io mi rivolgo alla
S.V. affinché si degni di venirci in aiuto con quei mezzi che sono in suo
potere. La supplico pertanto di voler informare il Governo Italiano e far
uffizi presso il medesimo, perché venga in appoggio per condurre a termine
questa opera destinata alla classe più bisognosa e pericolante della civile Società.
E' vero che questi Istituti non sono esclusivamente per gli Italiani e ciò,
come Ella ben sa, per evitare le suscettibilità nazionali, ma il fatto è che tornano,
si può dire, quasi esclusivamente a vantaggio dei medesimi.
Esposto così il fatto, invoco rispettosamente, ma caldamente la sua auto-
rità presso il Governo Italiano, affinché mi presti il sussidio indispensabile per
sostenere gli Istituti incominciati, terminare le ampliazioni e provvederli del
voluto arredamento.
Con tale piena fiducia ho l'alto onore di potermi professare con gratitudine
e stima
della E.V.
Obb.mo servitore
Sac. Giovanni Bosco36
Torino, 15 aprile 1879
«Ma ecco che nel 1880 si scatena da parte dei radicali francesi una
guerra terribile contro le scuole dei religiosi. E' capeggiata da Jules Ferry.
Il 29 marzo 1880 appaiono i suoi due decreti. Il primo ordinava l'espulsione
36 E 3, 467-468.

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Don Bosco e Annibale Strambio 161
di tutti i Gesuiti e la chiusura di tutte le loro scuole. Il secondo ingiungeva
alle Congregazioni non autorizzate di mettersi in regola entro tre mesi sotto
pena d'espulsione. Il famoso articolo 7 condannava in anticipo gli ex-religiosi,
dichiarandoli incapaci e nefasti.
Un altro decreto estendeva queste disposizioni alle colonie francesi.
Per l'autorizzazione si esigeva che i Superiori Generali abitassero in Francia
e che le Regole e i Regolamenti fossero sottomessi all'esame del Governo.
C'erano allora in Francia circa cinquecento Congregazioni diverse, con
ventimila religiosi e religiose. Da ogni parte si fece causa comune, e ben rare
furono le domande d'autorizzazione.
Il 30 giugno c'è l'assalto contro i Gesuiti. In tutto il paese, dalle 4 del
mattino, la polizia, la gendarmeria e, dove è necessario, l'esercito si presen-
tano. Aprono, o meglio sfondano le porte con fracasso, in mezzo alle reazioni
dei cattolici.
Tutto avviene come una cerimonia ufficiale. I religiosi non si sottomet-
tono che alla forza. Il poliziotto deve tener le mani sulla vittima. S'egli
l'abbandona per un istante, essa sfugge e ritorna in camera sua, e bisogna
ricominciare la commedia.
Quando la casa è vuota, vi si appongono i sigilli. E la vittoria è con-
quistata, ma senza gloria.
All'Oratorio San Leone, ci si tiene sulle vedette, ma l'attività continua.
Don Bosco ha dato le sue istruzioni.
Le case di Nizza, della Navarra e di Marsiglia sono dichiarate alla Pre-
fettura come Opere d'assistenza.
Nell'anarchia di quelle ore difficili, ci si poteva attendere tutto. Ci fu-
rono infatti lettere anonime contro la casa e i Salesiani, relazioni e calunnie
sui giornali di sinistra. Ci fu una campagna contro l'Opera domandandone
la chiusura.
Il can. Guiol ne prese apertamente le difese».37
«In ottobre, la lotta riprende. Una visita domiciliare all'Oratorio con-
stata la mancanza d'autorizzazione. E' l'espulsione in prospettiva.
Il 2 novembre i Salesiani sono avvertiti che debbono lasciare la casa
entro 24 ore, sotto pena d'internamento manu militari. Si avvertono gli amici
e ci si prepara alla resistenza.
L'indomani è tutta un'aspettativa. Si chiudono a doppio giro tutte le
porte d'entrata, con catene e catenacci, e si forma una solida barricata.
Alle otto, ora tragica, tutto è pronto. Si aspetta, ma non arriva nulla,
all’infuori della pioggia, una pioggia forse provvidenziale, per calmare i mar-
sigliesi dal sangue caldo.
Si aspetta fino alle 11 di sera. Si pensa già: Non verranno più. Il can.
37 D. E. VALENTINI, Un campione del Movimento Cecilìano, Don Giov. Battista Grosso.
Torino, SEI 1962, pp. 11-13.

2.8 Page 18

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162 Eugenio Valentini
Guiol ricorda una lettera di Don Bosco: "Vi si minaccerà. Vi si molesterà.
Se vi si vuol cacciare, domandate una dilazione per restituire i ragazzi alle
loro famiglie. Frattanto, Dio farà il resto"».38
Le cose si svolsero in un modo semplicissimo. Il Commissario incari-
cato di procedere all'esecuzione del decreto dovette combattere fin verso le
dieci di sera per sfondare le porte e rovesciare le barricate nel convento dei
Domenicani di via Monteaux, sicché l'ora tarda gli impedì di dare l'assalto a
San Leone, che era l'ultima casa religiosa da chiudere. Poi nella notte un
ordine del Ministero ingiunse al Prefetto di sospendere le esecuzioni: motivi
di politica ministeriale consigliavano qualche temperamento. Secondo la parola
di D. Bosco: Dio aveva fatto il resto.
Mal si apporrebbe chi volesse di qui argomentare che D. Bosco passasse
sopra alle provvidenze umane, atte a scongiurare il pericolo. Infatti interessò
vivamente il Console d'Italia a Marsiglia, Annibale Strambio, già suo condisce-
polo a Chieri. Per consiglio di detto Console e con l'approvazione di D. Bosco
fu poi redatto dall'abate Mendre un memoriale giustificativo da presentare
alle autorità contro le accuse dei giornali. Né il documento fu senza effetto,
poiché gli articoli diffamatorii cessarono per ingiunzione della Prefettura.39
Un altro atto di saggia previdenza D. Bosco compie presso il Governo
italiano. Nel mese di ottobre fece ricorso all'onorevole Cairoli, Presidente dei
Ministri e Ministro degli Esteri, per un sussidio che chiedeva in considera-
zione della beneficenza esercitata dalle sue case di Francia a pro dei fan-
ciulli di famiglie italiane ivi dimoranti. « Ti mando, scriveva a D. Dalmazzo
il 18 ottobre 1880, la lettera pel Ministro Cairoli e pel Sig. Comm. Malvano
che si mostrò nostro protettore, sebbene sia Israelita. Fa un bel piego per la
lettera dell'uno e dell'altro e poi la porterai con qualche sollecitudine a mo-
tivo delle cose di Francia che incalzano ». La lettera al Ministro era del
tenore seguente:
Eccellenza,
alcuni anni or sono aveva l'onore di presentarmi a S.E. il sig. Mini-
stro degli Affari Esteri per segnalare l'abbandono in cui si trovano molti
fanciulli di famiglie italiane dimoranti al mezzodì della Francia. Costoro
abbandonati a se stessi e per lo più, dopo essersi resi colpevoli in faccia
alle civili autorità, sono rinviati in Italia. Io proponeva qualche provvedi-
mento che il sig. Ministro lodò e ne incoraggiò l'esecuzione.
A questo fine appoggiato ai soli mezzi della Divina Provvidenza, ho
aperto due Ospizi, uno nella città di Nizza, l'altro a Marsiglia per artigianelli;
una Colonia Agricola presso Fréjus ed un'altra vicino a Tolone.
Un notabile numero di cotali giovanetti vennero ad occupare gli accen-
nati edifizi che ben tosto diventarono ristretti [di fronte] al crescente numero
dei richiedenti; perciò fu posto mano alle riattazioni ed agli ingrandimenti.
38 H. FAURE, Don Bosco à Marseille. Marseille, Imprimerie Don Bosco 1959, pp. 49-50.
39 MB 14, 609-610. Cfr lett. di Don Bosco all'ab. L. Mendre del 25 nov. 1880 - E 3,
636-637.

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Don Bosco e Annibale Strambio 163
Ma in tutte queste imprese mancandomi i mezzi necessari per sostenerle
e continuarle, appoggiato dal Console Italiano a Marsiglia nel mese di aprile
1879 mi faceva ardito di umiliare rispettosamente novella istanza all'E.V.
invocando benevolo aiuto a favore di questi miserabili, che lottano col vizio
e colla miseria, e il cui numero sale a più centinaia.
Non avendo finora conosciuto alcun esito della dimanda già inoltrata
e stimolato dalle stesse urgenze mi fo ardito di rinnovare la medesima preghiera.
Ho piena fiducia che mi voglia venire in aiuto a migliorare la classe
più pericolante e più pericolosa della società; e pregando Dio che la conservi
in buona salute ho l'alto onore di potermi professare
Umile Servitore
Sac. Giov. Bosco40
Torino, 18 ott. 1880
La domanda incontrò le simpatie del Ministro, il quale dispose che fosse
inserita nel bilancio del 1881, la somma di lire mille a titolo di sussidio non
temporaneo, ma duraturo da erogarsi ogni anno alla casa di Marsiglia e alle
affiliate; tuttavia, per evitare noie in Parlamento, presentò tale largizione glo-
balmente con altre somme destinata al Console italiano di quella città in favore
degli italiani.41
Finalmente l'indomani del santo Natale il Console Strambio in una let-
tera molto affettuosa scriveva:
Carissimo Don Giovanni,
ogni pericolo credo sia scongiurato pel tuo Oratorio di S.
Leone e che anzi si cominci ad apprezzarlo come un'Opera altamente
morale e profittevole alle classi derelitte.
Anche la mia povera cappella italiana venne provvisoriamente
salvata. Cantiamo dunque l’Alleluia!
Sento con piacere che al principio dell'anno nuovo verrai a Mar-
siglia e spero che ci vedremo sovente. Passando per Nizza guarda di
prendere in tua compagnia il Barone Héraud e farlo venire qua, onde
possiamo rinnovare la nostra conoscenza. Egli è nipote di una mia zia
e vale la pena che ci trattiamo un po' più amichevolmente. Egli
d'altronde avrà cura di visitare il tuo stabilimento di Beaujour.
Ti auguro che tu possa compiere la tua missione in questo
mondo e che tu vada poi, il più tardi possibile, a godere il premio
che ti aspetta nell'altro.
Mia moglie e figlia ti offrono i loro ossequi.
Io mi riconfermo
Marsiglia, li 26 Dicembre 1880
Tuo vecchio e buon amico
A. Strambio42
40 E 3, 630-631.
41 Lettera di Don Dalmazzo a D. Bosco, Roma 27 novembre 1880.
42 MB 14, 813.

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164 Eugenio Valentini
Purtroppo i due amici non si rividero più, avendo il Console cessato
improvvisamente di vivere il 18 gennaio 1881.
Ecco come ne scrisse D. Bosco all'Unità Cattolica in data 19 gennaio 1881.
Il giornale pubblicò la necrologia il 25 gennaio:
« Marsiglia 19 gennaio 1881
Debbo darvi la dolorosa notizia della morte del Comm. Annibale
Strambio, console italiano in questa città. Un trasporto di sangue alla
testa lo tolse ieri di vita, dopo tre giorni di malattia, nell'età di anni 62.
Egli visse da cattolico e morì da buon cristiano, munito di tutti i con-
forti della nostra santa religione, che aveva praticato nel corso della
vita. Il signor D. Zirio l'assistette negli ultimi momenti. Ho voluto
andarlo a vedere nel suo letto mortuario. Egli teneva il Crocifisso tra
le mani. La sua fisionomia era perfettamente inalterata. Si sarebbe detto
che stava dormendo. Gli Italiani dimoranti in Marsiglia perdono in lui
l'uomo della carità, che non veniva mai meno nei loro bisogni ».
L'articolo ha per titolo: « Il Comm. Strambio, console italiano a Marsiglia.
(Corrispondenza partic. dell'Unità Cattolica) »; ed evidentemente non è firmato.
L'originale di mano di D. Bosco è in ACS, 133 Varia 13.