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STUDI
ORIENTAMENTI POLITICI DI DON BOSCO NELLA
CORRISPONDENZA CON PIO IX DEL TRIENNIO 1858-1861
Francesco Motto
I rapporti di cordiale e profonda amicizia intercorsi fra il papa Pio IX
(1792-1878) e don Bosco (1815-1888) sono già stati oggetto di riflessione,
nei cento e più anni che ci separano dalla loro morte, da parte di vari
studiosi. Ma la recente scoperta di alcune lettere dell'educatore di Torino al
pontefice,1 mentre consente un qualche ulteriore approfondimento delle
loro relazioni, offre pure una non trascurabile chiave di lettura del giudizio
di don Bosco su personaggi ed avvenimenti politico-religiosi del triennio
cruciale che condusse all'unità d'Italia.
La documentazione portata alla luce è tanto più importante perché
fonti attendibili e adeguate sull'atteggiamento da lui assunto in tali
circostanze sono piuttosto scarse; come d'altronde è problematico, sempre
per la carenza di documenti irrefutabili, anche per altri momenti del
risorgimento italiano.2 I nuovi ritrovamenti non mancheranno pertanto di
orientare con più sicurezza la risposta alla domanda, sempre attuale, del
Martina, se per la conciliazione fra Stato e Chiesa in Italia abbiano
lavorato in modo più costruttivo i padri Curci e Passaglia oppure il
sacerdote di Valdocco.3
1 G. Bosco, Epistolario. Introduzione, testi critici e note a cura di F. Motto. Vol. I
(18351863). Roma, LAS 1991. Nel corso dello studio verrà indicato sempre con la sigla E(m)
1.
2 L'analisi più ampia al riguardo finora è quella di P. STELLA, Don Bosco nella storia della
religiosità cattolica. Vol. II. Mentalità religiosa e spiritualità. Roma, LAS 19812, pp. 73-95.
Riferimenti alla posizione assunta da don Bosco in ambito politico si trovano in molte
cronachette conservate nell'archivio salesiano centrale di Roma e in buona parte pubblicate
nelle Memorie Biografiche, ma si tratta di fonti che solo di riflesso ci permettono di conoscere
gli orientamenti politici di don Bosco. Utili sono poi i saggi di F. MOLINARI, La «storia
ecclesiastica» di Don Bosco in Don Bosco nella Chiesa a servizio dell'umanità. Studi e
testimonianze, a cura di P. Braido, pp. 203-237; F. TRANIELLO, Don Bosco e l'educazione
giovanile: la «Storia d'Italia» in Don Bosco nella storia della cultura popolare, a cura di F.
Traniello. Torino, SEI 1987, pp. 81-111; P. BRAIDO, Il progetto operativo di Don Bosco e l'utopia
della società cristiana. Quaderni di SALESIANUM, 6. Roma, LAS 1982, passim.
3 G. MARTINA, L'insegnamento della storia contemporanea della Chiesa, in «Seminarium»
n. 1, 1873, p. 158.

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Francesco Motto
Il 1858 fu l'anno della svolta nei rapporti fra il pontefice e don Bosco. I loro
colloqui del marzo 1858 sembrano all'origine non solo di un forte incremento
della corrispondenza, ma soprattutto di una diversa «qualità» del messaggio.
Infatti dei diciotto scritti inviati al pontefice nel decennio 1848 - 1858, ben otto
avevano come oggetto la semplice richiesta di indulgenze per particolari circo-
stanze, sei erano domande o di poter benedire croci e medaglie, o di poter leggere
libri proibiti, o di concedere titoli onorifici in favore di benefattori; tre poi quelli
di poter celebrare all'Oratorio le messe natalizie a mezzanotte, di poter confessare
fuori diocesi e di ottenere un oratorio privato; solo lo scritto dell'ottobre 1857,
con cui accompagnava l'omaggio del volume La Storia d'Italia, era una lettera
vera e propria.4 Degli stessi anni sono però alcune missive al card. Antonelli, di
cui faremo immediatamente breve cenno.
Invece per il triennio successivo al viaggio a Roma del 1858, accanto ad una
supplica per indulgenza, ad una richiesta per poter assolvere dai peccati riservati
e ad una lettera di ringraziamento per il dono papale di due preziosi cammei in-
viatigli a Torino per la lotteria del 1862, si collocano altre cinque lettere, di parti-
colare interesse sotto il profilo politico-religioso. Sono quelle che verremo pre-
sentando in questo saggio.5
I precedenti: riflessi di avvenimenti di politica ecclesiastica in tre lettere al car-
dinal Antonelli dei primi anni cinquanta
Era dalla fine degli anni quaranta che la politica ecclesiastica del governo
sabaudo si trovava in rotta di collisione con gli orientamenti delle autorità religio-
se di Torino e di Roma. La ferma volontà della monarchia di procedere sulla via
delle riforme e dell'ammodernamento dello Stato veniva sopprimendo gli ultimi
privilegi non più consoni con una società moderna, sulla base dell'affermazione
dell'uguaglianza dei cittadini. L'abolizione della
4 E(m) I p. 33, lett. n. 335.
5 Come si evince dal titolo, limitiamo l'analisi alla corrispondenza tenuta col papa duran-
te il triennio preparatorio all'unità d'Italia, senza con questo far supporre che don Bosco abbia
poi modificato radicalmente il suo atteggiamento nei riguardi della cosiddetta questione roma-
na. Le lettere al pontefice inoltre non esprimono in tutto e per tutto gli orientamenti politici di
don Bosco; sfumature diverse si possono sempre cogliere in altre fonti, specialmente nei vari
Galantuomo e nei libri, quali, ad esempio, già per i primi anni cinquanta, La Chiesa cattolica-
apostolica-romana è la sola vera religione di Cristo. Avviso ai cattolici...». Ia ed. 1850; II Cattolico
istruito nella sua religione. Trattenimenti di un padre di famiglia co' suoi figliuoli intorno alla
Cattolica religione...». 1853.

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Orientamenti politici di don Bosco...
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censura ecclesiastica nel 1847 e la dichiarazione della libertà di culto nel 1848
avevano incontrato forti opposizioni negli ambienti ecclesiastici; l'approvazione
delle leggi Siccardi nel 1850 aveva provocato le proteste, l'arresto e l'esilio del-
l'arcivescovo di Torino, mons. Luigi Fransoni (1789-1862).
Un'accentuazione della linea laicizzante si era poi avuta nel 1855 con le leg-
gi Rattazzi-Cavour, che liquidando la tradizionale prassi concordataria Stato-
Chiesa, definivano, su basi liberal-costituzionali, un nuovo rapporto fra le due
sfere. Le conseguenti reazioni pontificie, mentre sanzionarono la definitiva rottu-
ra fra i vertici ecclesiastici e i politici del giovane stato costituzionale piemontese,
crearono altresì fra cattolici e liberali quella grave frattura che si sarebbe poi
allargata negli anni seguenti, man mano che il risorgimento assumeva un conte-
nuto anticlericale.
Don Bosco, fedele al proprio arcivescovo e al pontefice, in quei frangenti
era stato dalla loro parte. Sul finire del 1847 e nei primi mesi del 1848 aveva
partecipato «alle angustie ed ai dolori di Mons. Fransoni»;6 nel settembre 1849
aveva lodato «a tutto cielo» la sottoscrizione a favore della rimozione degli osta-
coli al ritorno dell'arcivescovo a Torino;7 nel febbraio - marzo 1850, a rientro
avvenuto, gli era stato vicino, così come in occasione dei due successivi arresti,
nel maggio-giugno e nell'agosto-settembre.8
Ma anche la fedeltà a Roma rientrava fra i punti fermi della sua teologia.
Così non meraviglia che sul finire dell'agosto 1850, nel mezzo del processo al-
l'arcivescovo Fransoni, di fronte a quanti coglievano l'occasione per un attacco al
papato solidarizzante col presule di Torino, don Bosco si schierasse sulla sponda
opposta. Scriveva difatti al cardinal prosegretario di Stato, Giacomo Antonelli:
«La gioventù torinese in numero di oltre tre mila che frequenta gli Orato-
ri ha un cuor solo ed un'anima sola pel rispetto dovuto al Supremo Ge-
rarca della Chiesa: e checché si dica e si faccia per allontanarli dall'unità
cattolica tutti si rifiutano con onore disposti a qualsiasi frangente anzi-
ché dire o fare cosa contraria a quella religione di cui è capo il Romano
Pontefice; e passa per proverbio ne' laboratori, questo sia detto a mag-
gior gloria di Dio, zitto non parlare male del papa, la c'è uno dell'Orato-
rio».9.
6 Memorie Biografiche III 278.
7 E(m) I p. 89, lett. n. 41: 25 settembre 1849.
8 Dubbi e perplessità permangono sul fatto, narrato dalle Memorie Biografiche (III 278)
che don Bosco sul finire del 1847 e nei primi mesi del 1848 si recasse dall'arcivescovo tutte le
sere verso le 5£ e vi rimanesse fino alle otto. Anche la visita di don Bosco a Lione non è per ora
suffragata da testimonianze attendibili.
9 E(m) I p. 107, lett. n. 55: 28 agosto 1850.

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Francesco Motto
Attento per altro a quanto succedeva attorno a lui, non aveva omesso di ag-
giungere quella che era una convinzione sua e di tanti ambienti cattolici:
«Però non tutti quelli che vivono fra noi hanno simili sentimenti, come
purtroppo è noto a V. E.; ma posso assicurarlo che il numero dei tristi è
piccolo assai, e sebbene audacissimi tentino tante strade per rovesciare
ogni ordine politico e religioso, tuttavia parmi si possa nutrire ferma
speranza, che i loro conati produrranno un effetto solamente passegge-
ro, e che il Signore mosso dalle preghiere dei buoni si sveglierà per seda-
re la burrasca e ridonare la calma primiera».10
Due anni dopo, il 30 novembre 1852, ribadendo le sue angustie per il profi-
larsi di una sempre più difficile situazione religiosa del paese, si dava pensiero
soprattutto di quelli che riteneva potessero essere le prime vittime della temutis-
sima libertà di stampa, i giovani:
«ma un profluvio di libri e giornali perversi ci fa temere un tristo avve-
nire: i libri più antireligiosi ed osceni si vendono in pubblico e si offrono
ad ogni passo dagli schiamazzatori per le piazze. Voglia Iddio usarci
una grande misericordia affinché almeno possa preservarsi l'inesperta
gioventù dal rio veleno dell'irreligiosità».11
Quelle di don Bosco erano le medesime preoccupazioni del pontefice che
nel marzo successivo avrebbe invitato i vescovi «affinché non cessassero dall'e-
sortare gli uomini eminenti per ingegno e per sana dottrina a pubblicare scritti
opportuni che avessero il compito di illuminare le menti dei popoli e si sforzasse-
ro di dissipare gli errori che serpeggia[va]no».12
La «tenebra degli errori» da rigettare con «la luce della verità» era soprattut-
to quella del protestantesimo, per cui don Bosco, che nello stesso mese di marzo
aveva pubblicato Il cattolico istruito nella sua religione (primo fascicolo delle
«Letture cattoliche»), due mesi dopo poteva scrivere al card. Antonelli:
«Unisco qui alcune copie delle Letture Cattoliche contro di cui tanto si
10 Ibid.
11E(m) I p. 175, lett. n. 136: 30 novembre 1852. La riunione dei vescovi della provincia ec-
clesiastica di Torino, tenutasi nel luglio 1849 a Villanovetta (Cuneo) al fine di concretizzare
una risposta alle difficoltà nate dal processo di laicizzazione in atto nello stato sardo, aveva favo-
rito il sorgere di una vasta rete di stampa, volta a contrapporsi all'«abuso indegno» che della
stessa stampa facevano gli avversari.
12 Cf Inter multíplices del 21 marzo 1853.

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Orientamenti politici di don Bosco...
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arrabbiano i protestanti, il cui numero va di giorno in giorno
ingrossando [...] Eminenza! La fiera è uscita dal suo covile, non havvi
più cacciatore armato che l'atterrisca: sonvi soltanto alcuni domestici
secondari che gridano a più non posso, ma un tetro e cupo schiamazzo
cerca di soffocarne la voce. Il fatto sta che i protestanti sono in via di
dare principio ad altro tempio quivi in Torino».13
Le informazioni di don Bosco rispecchiavano la verità dei fatti. Il decreto di
emancipazione con cui era stata concessa ai Valdesi la pienezza dei diritti civili e
politici aveva effettivamente incentivato quella loro opera di «evangelizzazione»,
invero presente in Piemonte ben prima del febbraio 1848. In quegli anni
cinquanta si poteva però assistere ad una notevole fioritura della presenza valdese
grazie alla stampa periodica ed alla costruzione di luoghi di culto in varie città del
regno, capitale compresa. Ed i cattolici come don Bosco non potevano non
preoccuparsene e soffrirne.
1. Estate 1858: un intervento per il «caso Fransoni»
Tentativi di riallacciare buone relazioni fra Torino e Roma si erano avuti
negli anni 1856-1857, ma nella primavera-estate del 1858 la situazione era
ancora di completo stallo.
Due mesi dopo essere ritornato a Valdocco dal viaggio di Roma, don Bosco
si sentì in dovere di esprimere al pontefice sentimenti di gratitudine per le
udienze accordategli e soprattutto per i «favori spirituali» che, concessi per suo
tramite, già erano stati occasione di bene, nello spazio di poche settimane, in «più
di trenta paesi». L'unico rimpianto che gli manifestava era quello «di non aver
più avuto tempo» di accogliere l'invito di presentarsi ad una nuova udienza.
L'argomento di essa, presumeva don Bosco sulla base dei passi compiuti
precedentemente a Roma, sarebbe dovuto essere il suo interessamento per la
soluzione del caso Fransoni.14
13 E(m) I p. 197, lett. n. 160: 31 maggio 1855. Ovviamente non è da questi brevi tratti di
corrispondenza con il card. Antonelli che si può inferire la lettura religiosa che don Bosco
faceva degli avvenimenti degli anni cinquanta, avvenimenti molto complessi, intrecciati come
erano di patriottismo, anticlericalismo o semplicemente moderatismo. Come si è già detto (cf
nota. 5) ci si dovrebbe fondare — ma non è l'intento del presente saggio — anche su altre fonti.
14 Cf M. F. MELLANO, Il caso Fransoni e la politica ecclesiastica piemontese (1848-1850).
Roma, PUG 1964. Per i numerosi riferimenti che faremo alla situazione politica italiana in
generale, la bibliografia è vastissima. Ci limitiamo ad indicare sommariamente P. PIRRI, Pio IX e
Vittorio Emanuele II dal loro carteggio privato, 3 voli, in 5 tomi. Roma, PUG 1945-1961; G.

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Francesco Motto
Ma la motivazione della lettera di don Bosco si rivela soprattutto di carattere
pastorale:
«Comunque sia, io continuo a raccomandare alla paterna bontà di V. S.
lo stato deplorabile di questa Diocesi. Io dico a V. S. quello che i fedeli
di Lione un tempo dicevano a S. Eleutero degno vostro antecessore: Be-
atissimo Padre, date pace alla nostra chiesa e provvedete ai nostri bisogni.
Non siamo in tempo di aperta e sanguinosa persecuzione; ma il male
si va propagando sordamente, ma terribilmente. I buoni, il cui numero la
Dio mercé è ancora assai grande, gemono e non sanno che fare; i mali-
gni diventano ogni giorno più audaci; i deboli ingrossano ogni giorno
le file dei traviati. Che se pel colmo di sciagura l'eresia montasse legal-
mente al potere, io temerei spaventose cadute anche da chi in questa
Diocesi copre sublimi cariche ecclesiastiche. Io parlo nel Signore: V. S.
mi perdoni».15
Un pontefice come Pio IX, spesso assorbito dalla dimensione religiosa al
punto da perdere di vista aspetti altrettanto importanti, non poteva non condivide-
re le inquietudini di don Bosco, che comunque dà atto alle autorità dello Stato di
non attuare una politica di «aperta e sanguinosa persecuzione». «Il governo è
attaccato alla religione dello Stato, — aveva scritto, in una circolare agli inten-
denti, il reggente il ministero dell'interno, Camillo Cavour, il 16 gennaio 1858 —
non osteggia la Chiesa, rispetta i suoi ministri, anzi è sempre pronto a promuo-
verne i veri interessi, a tutelarne i legittimi diritti».16
Ma lo statista piemontese aveva altresì aggiunto: «[Il governo] mantiene con
irremovibile fermezza l'indipendenza del potere civile e la libertà di coscienza;
respinge ogni intervento d'ordine ieratico a ciò che si riferisce all'ordine pubblico
e civile [...] Non crede egli che le relazioni che potevano essere razionali ed op-
portune fra il potere assoluto ed una chiesa esclusiva dominatrice della società
spirituale, possano mantenersi invariate in un reggime [sic] di libertà e di legali-
tà».17
A questo punto don Bosco, di fronte alla rivendicazione, da parte dello Sta-
to, di quelle libertà e di quella piena autonomia dalla Chiesa, che la for-
MARTINA, Pio IX, 3 voli. Roma, PUG 1967-1990; R. ROMEO, Cavour e il suo tempo, 3 voli.
Bari, Laterza 1977-1984.
15 E(m) I p. 352, lett. n. 363: 14 giugno 1858. Il fatto di S. Eleutero (segnalato dalla «sto-
ria ecclesiastica» di Eusebio di Cesarea), era stato narrato pochi mesi prima da don Bosco nella
Vita dei Sommi Pontefici S. Aniceto, S. Sotero, S. Eleutero, S. Vittore e S. Zeffirino, pubblicata
a Torino nelle «Letture cattoliche» del marzo dello stesso anno.
16 Cf l’Armonia del 19 gennaio 1858.
17 Ibid.

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Orientamenti politici di don Bosco...
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mazione ecclesiologica ricevuta e la coscienza rifiutavano, non poteva più essere
d'accordo e parlava esplicitamente di «eresia», così come del resto faceva Y Ar-
monia, giornale da lui non disdegnato, con quel sarcasmo misto ad intransigenza
che lo contraddistingueva: «Il governo è attaccato alla religione dello Stato, ed è
in continua discordia colla S. Sede? [...] mantiene in esilio due Arcivescovi? [...]
muove guerra agli ordini religiosi? [...] si adopera perché siano espulsi dalla Ca-
mera i canonici? [...] promuove le inchieste contro il clero? [...] la lascia tuttodì
insultare dai suoi giornali? [...] si fa servire da chi critica gli Evangeli? [...] lascia
impunemente stampare in Torino, che la Bibbia è un libro immorale? [...] Il go-
verno rispetta i ministri della Chiesa [... e] mons. Fransoni, Monsignor Marongiu,
il quaresimalista di Mondovì, i preti del ducato di Aosta, il canonico Gliemone, il
P. Pittavino? [...] la polizia mandata ad origliare presso i confessionali? [...] i par-
roci sempre miserabili? [...] Il governo è sempre pronto a tutelare i legittimi diritti
de' preti e promuoverne i veri interessi [... e] il Seminario di Torino, e la tutela
[...] che avete esteso sui suoi beni, tutela che ne espulse i chierici e professori, e
ne convertì la casa in caserma militare? [...] la libertà di coscienza proclamata da
voi è la libertà dei culti, la libertà dell'eresia».18
Don Bosco, non contento di aver esposto le sue gravi angustie per l'eventua-
le «caduta nell'eresia» di qualche alto esponente del clero torinese — ma a chi
pensasse non è dato sapere — non passò sotto silenzio neppure il suo timore per
eventuali nomine di vescovi solidali con la politica governativa:
«Corre voce e si stampa nei giornali che debba essere proposto al vesco-
vado d'Asti il T. Genta curato di S. Francesco di Paola in questa capi-
tale. Per norma di V. S. noto che egli è molto ligio al governo. Poco fa
ebbe la croce di S. Morizio e Lazzaro pel suo zelo illuminato: parole del
decreto. È giobertiano, e diede segni di approvazione del matrimonio
civile».19
Poche parole ma esplicite: sentimenti filoliberali, simpatie giobertiane, ade-
sione ad audaci avanzamenti teologici con inevitabili risvolti politici da parte di
aspiranti vescovi erano per don Bosco validi motivi per escluderne la candidatu-
ra.
18 Armonia del 20 gennaio 1858.
19 E(m) I p. 352. Il giudizio di don Bosco sul Gioberti, se nel 1848 era stato positivo — lo
aveva definito «grande» nell'edizione della Storia Ecclesiastica di quell'anno, — già pochi mesi
dopo mutò radicalmente, a seguito, con molta probabilità, della messa all'indice di alcune ope-
re. Così almeno sembra di poter evincere da una lettera di don Bosco al padre rosminiano Giu-
seppe Fradelizio del 5 dicembre 1849: E(m) I p. 92, lett. n. 43.

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Francesco Motto
Ma il problema più preoccupante era un altro: come risolvere la situazione
venutasi a creare a Torino con l'esilio dell'arcivescovo Fransoni. Nel suo viaggio
a Roma don Bosco aveva consegnato un promemoria del fratello del conte Camil-
lo Cavour, il marchese Gustavo, che proponeva la promozione del Fransoni a
cardinale e la nomina di un coadiutore con diritto di successione.20 Don Bosco,
che della proposta aveva già parlato in primavera a Roma sia con Pio IX che col
card, segretario di Stato, scrivendo da Torino due mesi dopo, coglieva il punctum
dolens della questione:
«Se si trattasse di stabilire un principio, io non ci avrei alcuna fiducia,
trattandosi di un fatto particolare si può sperare qualche risultato, so-
prattutto che egli [Camillo Cavour] dimostra tuttora i medesimi desi-
deri».21
La richiesta del conte Cavour di avere una precisa garanzia dalla santa sede
per la rinuncia del Fransoni — rinuncia che il papa pur desiderava ma che non
avrebbe mai esplicitamente chiesto — non trovò assenso presso il card. Antonelli.
Questi, non volendo isolare il problema di Torino da quello della politica genera-
le della Chiesa, preferiva la nomina di un semplice coadiutore e la concomitante
sistemazione dell'altro contenzioso. Sulla composizione del caso Fransoni aspi-
ravano così entrambe le parti, solo che l'una, la curia romana, la intendeva come
segno della disponibilità governativa a rivedere radicalmente la politica ecclesia-
stica portata avanti da un decennio, vale a dire a mettere in questione i principi
giurisdizionalistici che avevano sorretto la medesima politica dal 1848 in poi;
l'altra, il governo sabaudo, mirava invece a risolvere singoli casi, senza con ciò
rinunziare ai propri principi. Tale divergenza di vedute, che aveva fatto naufraga-
re tutti i precedenti tentativi di accordo, mandò a monte anche quello cui prese
parte don Bosco.
Perdurando l'assenza del vescovo dalla diocesi, la situazione rimaneva gra-
vida di conseguenze e don Bosco se ne faceva portavoce presso il pontefice:
«Per evitare mali certamente difficili a ripararsi, bisogna che V.S. prov-
veda in qualche maniera alle necessità della diocesi di Torino».22
Pensava a mons. Balma che a volte aveva amministrato le cresime in
20 L'intera questione è presentata in RSS 5 (1886) 3-20; vedi pure nota 14.
21 E(m) I p. 532.
22 Ibid.

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Orientamenti politici di don Bosco...
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diocesi?23 Potrebbe essere, ma don Bosco non prospetta nulla di specifico. Quel
che è certo è che per il bene delle anime una soluzione andava pur escogitata.
2. Lettera del febbraio 1859: una messa in guardia contro i rivoluzionari
Alcuni mesi dopo, approfittando dell'andata a Roma del canonico Sossi di
Asti, una «persona sicura» — dati i tempi riteneva di non fidarsi troppo della
posta — don Bosco riprendeva contatto col papa:
«Alcuni malevoli vorrebbero far centro a Civitavecchia, ad Ancona, ed
a Roma. Lo scopo sarebbe di promuovere idee rivoluzionarie per porle
in pratica sul finire del mese di marzo».24
I «malevoli» non vengono identificati, ma dei piani «eversivi» del governo
sabaudo e di altre frange rivoluzionarie i giornali di quei primi mesi dell'anno, sia
pure in diversi modi a seconda degli orientamenti, davano spesso notizia. Non era
così un mistero che nel gennaio Massimo D'Azeglio era andato a Roma ufficial-
mente con l'incarico di portare il collare dell'ordine della SS. Annunziata al prin-
cipe di Galles che risiedeva in quei giorni nella città papale, in realtà con precisi
obiettivi in ordine all'ormai imminente guerra contro l'Austria; sulla stampa si
scriveva che il La Farina, i comitati della società nazionale e altri gruppi locali
erano stati allertati onde promuovere iniziative insurrezionali nella medesima
occasione; si era sparsa la voce dell'arrivo di Mazzini a Genova e dell'allontana-
mento di alcuni «unionisti» dalle legazioni pontificie; si discuteva anche di pro-
vocazioni piemontesi al confine col territorio modenese.
Né si può certo credere che Pio IX avesse bisogno delle informazioni di don
Bosco: aveva ben altri canali per venirne a conoscenza, anche se rimane vero che
forse s'illuse sull'impossibilità di insurrezioni nelle provincie pontificie25 almeno
fino al giugno, allorché personalmente denunciò i disordini causati nei suoi Stati
da emissari del Piemonte.26 Altrettanto fece il card. Antonelli il 12 agosto in una
nota ufficiale alle cancellerie di vari paesi, là
23 Mons. Giovanni Antonio Balma sarà uno dei nominativi che don Bosco proporrà al
card. Antonelli per la nomina vescovile qualche anno dopo: cf F. MOTTO, L'azione mediatrice
di Don Bosco nella questione delle sedi vacanti, in P. BRAIDO (a cura di), Don Bosco nella Chiesa
a servizio dell'umanità. Roma, LAS 1987, p. 296.
24 E(m) I p. 368, lett. n. 383 del febbraio 1859.
25 G. MARTINA, Pio IX (1851-1866)... II, p. 98.
26 Allocuzione Ad gravissimum del 20 giugno.

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Francesco Motto
dove stigmatizzava l'attiva cooperazione a mantenere la rivolta negli stati della
Chiesa da parte di ufficiali piemontesi.27
Ma col suo messaggio tanto accorato quanto sostanzialmente generico (e
pertanto praticamente inutile ai fini di un'eventuale difesa), don Bosco si dimo-
strava però sacerdote ossequiente al pontefice, amico fidato, persona lealmente
interessata alla salvaguardia della tranquillità del regno pontificio. Il papa, pensa-
va forse don Bosco, avrebbe sempre potuto contare su di lui.
Se poi Roma gli premeva, ancor più a cuore gli stava Torino, la sua città, per
la quale ribadiva le sue preoccupazioni dell'anno precedente:
«Le cose di questa nostra Diocesi sono ognor più incagliate».28
È innegabile il riferimento al permanente esilio dell'arcivescovo, per la cui
soluzione, venuto meno l'abboccamento dell'agosto 1858 col Cavour, aveva riten-
tato nel febbraio successivo. Il conte lo aveva ricevuto e gli aveva manifestato la
volontà di «presentare altri candidati per le diocesi vacanti».29 All'epoca tre erano
le diocesi in queste condizioni: Fossano, vacante dal 1852, Alba vacante dal 1853
e Alessandria vacante dal 1854, senza contare Torino, Asti e Cagliari i cui presu-
li, rispettivamente L. Fransoni, F. Artico e G. E. Marongiu Nurra, erano fuori
sede a motivo di provvedimenti politico-giudiziari.
Solo che — continuava don Bosco — non si poteva dar eccessivo credito al-
la «buona volontà» del primo ministro. Qualche dubbio era legittimo sulla sua
sincerità; ed inoltre — aggiungeva con comprensibile apprensione — «è circon-
dato da gente trista che lo trascina chi sa dove».30
Il giudizio di condanna di don Bosco dunque su esponenti della classe diri-
gente sabauda pare senza appello. La convinzione che il liberalismo in qualche
modo anche in Italia potesse conciliarsi col cristianesimo era in quel momento
ben lungi dalla sua mentalità, per la quale i problemi di natura storica, politica e
culturale apparivano importanti soprattutto, e spesso soltanto, nella misura in cui
condizionavano e interessavano la vita e la libertà d'azione della Chiesa. Ma dalla
sua parte aveva alti esponenti della gerarchia ecclesiastica, il cardinal segretario
di Stato Antonelli e soprattutto il papa, per il quale l'antipatia nei confronti di
Cavour era un dato di fatto,
27 Civiltà Cattolica 1859, serie IV, vol III pp. 483-484.
28 E(m) I p. 368.
29 Ibid.
30 Ibid.

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Orientamenti politici di don Bosco...
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anche se, dopo la morte, ne riconobbe i meriti politici ed espresse sentimenti di
perdono per colui che aveva guardato come il responsabile di tutti i suoi guai.31
3. Lettera del 9 novembre 1859: all'indomani dell'invasione piemontese delle
Romagne
Il 26 aprile era scoppiata la guerra fra l'Austria e il Piemonte. Gli scontri de-
cisivi si sarebbero avuti a Solferino e S. Martino sul finire di giugno. Nel frat-
tempo nei ducati, nelle legazioni e in Toscana manifestazioni di popolo si conclu-
sero con la cacciata dei rispettivi principi. Governi provvisori formatisi nelle
principali città chiesero l'annessione al Piemonte. L'11 luglio Francesco Giuseppe
e Napoleone III a Villafranca discussero i preliminari della pace, che sarebbe
stata firmata a Zurigo il 10 novembre. Intanto le assemblee costituenti di Mode-
na, della Toscana, delle Legazioni e di Parma fra il 20 agosto ed il 12 settembre
avevano votato a favore dell'annessione al Piemonte. Il papa, spodestato di parte
dei suoi territori, fece immediatamente sentire la sua voce. Accusò la «rivoluzio-
ne», parlò ancora una volta di manovre diaboliche32 e interruppe completamente
le relazioni diplomatiche col governo sabaudo. Sarebbero passati 69 anni prima
che venissero riprese.
Don Bosco, nella difficile situazione del momento, parve prestare attenzione
ai presagi dell'una o dell'altra profezia. Il 12 giugno, inviando al conte Edoardo
Crotti di Costigliole l'originale della profezia della Monaca di Taggia (Imperia),
non aveva mancato di avvertire che «le cose ivi notate si vanno di giorno in gior-
no compiendo, che se tutte si adempiranno avremo un triste avvenire».33 Si trat-
tava delle predizioni di una suora domenicana morta nel 1847 — predizioni rife-
rite da Domenico Cerri e poi in parte pubblicate nel Galantuomo per il 1861 — in
cui fra l'altro si annunciava che il regno di Napoleone sarebbe durato poco, che
una grande persecuzione si sarebbe scatenata contro la Chiesa da parte degli stes-
si suoi figli, che si sa-
31 Cf G. MARTINA, Pio IX (1851-1866)... pp. 100, 104, 145.
32 L'attribuzione satanica dei sommovimenti sociali non era nuova nella letteratura catto-
lica; il collegamento con tali forze aumentava poi allorquando gli avvenimenti pubblici rag-
giungevano toni drammatici. Don Bosco risentiva di questa mentalità, che del resto condivide-
va con Pio IX, i cui discorsi popolari di quegli anni, ma specialmente dopo il 1870, fecero
spesso riferimento ad interventi diabolici: cf G. MARTINA, Pio IX (1851-1866)... p. 107.
33 E(m) I p. 379, lett. n. 397.

2.2 Page 12

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20
Francesco Motto
rebbe levato un «persecutore», il quale avrebbe aggregato molti settari per perse-
guitare la Chiesa con false massime e con la forza, e che molti buoni sarebbero
stati travolti dalla loro malizia. Aggiungeva inoltre la medesima profezia: «Que-
sto avverrà in Italia, dove vi saranno molti martiri durante una guerra sanguino-
sissima mossa alla religione».34
Intanto il 18 ottobre la Gazzetta del popolo scatenava un violento attacco al-
la seconda edizione della Storia d'Italia, che accusava di ideologia antipatriottica
e demoralizzatrice della gioventù.35 Don Bosco cercò di parare il colpo facendo
pubblicare sull'Istitutore del 26 novembre e sull'Armonia del 4 dicembre succes-
sivo una valutazione positiva del Tommaseo, scrittore cattolico sì, ma non troppo
sgradito alle autorità governative per la sua posizione di non allineamento con
Roma nella querelle in corso.
Il 9 novembre 1859, proprio il giorno in cui si promulgava il decreto dell'as-
semblea parlamentare con cui veniva temporaneamente investito del governo
delle Romagne Luigi Carlo Farini — futuro presidente del Consiglio — don Bo-
sco inviò al pontefice un lunghissimo messaggio di solidarietà e di partecipazione
alla sofferenze del momento. Dopo aver assicurato «un cattolico e filiale attacca-
mento» alla «sacra» di Lui persona «come successore di S. Pietro, vicario di Gesù
Cristo, supremo pastore della Chiesa, a cui, chi non è unito, non può sperare salu-
te», entrava decisamente in argomento:
«Noi disapproviamo altamente quanto il nostro governo ha fatto e fatto
fare nelle Romagne; che se non fu possibile impedire il male, abbiamo
sempre colla voce e cogli scritti disapprovato quanto ivi facevasi. La
maggior parte degli ecclesiastici, e quasi tutti i parroci, e potrei anche
dire la maggior parte dei secolari sono del medesimo pensiero, sebbene
non osino manifestarlo pubblicamente. Ma la stampa perversa, le mi-
nacce, le promesse di chi governa ha purtroppo sedotto molti e molti o
titubanti o nascosti, a segno che il numero di coraggiosi cattolici è terri-
bilmente diminuito».36
Don Bosco ridefiniva così la sua posizione fra coloro che non accetta-
34 I futuri destini degli Stati e delle Nazioni ovvero profezie e predizioni riguardanti i rivol-
gimenti di tutti i Regni dell'Universo sino alla fine del mondo. Nuovissima compilazione. Torino
1854, p. 116. Nelle edizioni successive, ad es. la 5a del 1861 (pp. 275-276), la profezia continua-
va: «Il Sommo Pontefice verrà spogliato del suo dominio temporale, e chiamato solamente
vescovo di Roma». E così farà don Bosco ne 77 Galantuomo. Almanacco piemontese-lombardo
per l'anno 1861, p. 8.
35 La storia d'Italia raccontata alla gioventù da' suoi primi abitatori sino ai nostri giorni
corredata di una carta geografica d'Italia dal sacerdote Bosco Giovanni. Torino 1859 (Ia ed.
1855). Su quest'opera vedi il saggio di F. Traniello, citato nella nota 2.
36 E(m) I p. 386, lett. n. 410.

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Orientamenti politici di don Bosco...
21
vano mosse politiche, vere o presunte, volte a spogliare il papa del suo dominio
temporale, ritenuto necessario per un'effettiva e visibile indipendenza del governo
della Chiesa. E lo faceva in sintonia con una tradizione facente capo al Bossuet,
ripetuta da apologisti del settecento, ribadita da Pio VII ai primi dell'ottocento, da
Pio IX37 e da un'immensa pubblicistica del tempo.38 Aveva in verità già in
qualche modo affrontato il tema nel Cattolico istruito del 1853, là dove aveva
trattato della visibilità della Chiesa di Gesù Cristo39 e del Capo visibile della
Chiesa di Gesù Cristo;40 nella Storia d'Italia poi aveva consacrato al dominio
temporale un capitolo intero per infondere nei giovani la convinzione che nel
regno temporale del papa, capo di una religione per sua natura spirituale, le due
autorità erano perfettamente conciliabili.
Aveva scritto fra l'altro: «Tale dominio temporale non solamente appartiene
ai sudditi degli Stati Romani, ma si può chiamare proprietà di tutti i cattolici, i
quali come figli affezionati, in ogni tempo concorsero e devono tuttora concorrere
per conservare la libertà e le sostanze del capo della cristianità».41 Anche in ciò
non si discostava dalle posizioni papali: «La dignità e i diritti di questa Santa sede
non sono i diritti di una dinastia, ma bensì i
37 Nella sopracitata allocuzione concistoriale del 20 giugno 1859 il pontefice aveva
riaffermato la necessità del potere temporale «per poter svolgere il suo ministero pastorale con
piena libertà e per diffondere più facilmente la religione [...] e compiere tutti gli altri beni
ritenuti vantaggiosi a tutta la repubblica cristiana secondo i tempi e i luoghi».
38 Sia pure con posizioni più o meno radicali, più o meno attente alla necessità relativa
alle condizioni e al bisogno dei tempi, più o meno sensibili ai cambiamenti storici, rimane il fatto
che la pubblicistica intransigente difendeva l'integrità del dominio temporale della santa sede,
ritenuto essenzialmente connesso coll'indipendenza e col libero esercizio del supremo pontificato.
I giornali conservatori davano ovviamente largo spazio a tali scritti, prima fra tutti l’ Armonia,
che un mese prima, il 4 ottobre 1859, giungeva ad intitolare l'articolo di fondo: «I nemici del
papa-re sono gli eretici del nostro tempo»; tre giorni dopo faceva precedere l'«editoriale» sulla
conferenza di Zurigo con l'espressione stampata in caratteri maiuscoli: «Vogliamo sino
all'ultimo che il papa sovrano, supremo tutore della Religione in Europa, principe elettivo ed
italiano, non solo sussisti e regni, ma regni sempre in Italia e difeso dagli italiani».
39 Il Cattolico Istruito nella sua religione. Trattenimenti di un padre di famiglia co' suoi
figliuoli secondo i bisogni del tempo epilogati dal sac. Bosco Giovanni. Torino, 1853, II parte,
tratt. XI pp. 26-36.
40 Ibid, tratt. XII pp. 37-47.
41 G. Bosco, Storia d'Italia..., (Ia ed.) pp. 213-214. La fedeltà assoluta al papa è
testimoniata pure dalla cronaca di don Bonetti del 7 luglio 1862 {Annali III, ASC 110 Bonetti,
4, pp. 20-24): «Io [don Bosco] dirò loro subito quello che penso: io sono col Papa, sono cattolico,
obbedisco al Papa ciecamente». In una lettera inedita del 30 aprile 1865 scriverà al pontefice:
«Tutto il mondo è in grande agitazione pensando quale cosa sarà per fare il santo Padre; ma
tutti tosto si consolano dicendo: comunque si faccia, se la cosa è trattata dal papa, sarà sempre
ben fatta e da tutti approvata».

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22
Francesco Motto
diritti di tutti i cattolici».42
La piega che la politica piemontese liberale aveva ormai preso non poteva
essere condivisa da don Bosco, e il motivo ancora una volta era soprattutto l'at-
tacco direttamente o indirettamente portato alla fede del popolo; per cui prose-
guiva:
«In mezzo a questi disastri religiosi i buoni si strinsero coi loro vescovi e
si posero ai loro cenni. Ma noi Torinesi fummo e siamo esposti al mag-
giore dei pericoli. Il nostro Arcivescovo in esilio; il Vicario generale mi-
nacciato se per poco apre bocca; i protestanti protetti dalle autorità non
risparmiano né danaro né fatica per propagare i loro errori; la licenza
della stampa e dell'insegnamento sono cose che si uniscono insieme a
formare mortale cancrena ne' costumi e nella religione».43
Pure sotto questo profilo quella di don Bosco non era che risonanza di tante
altre autorevoli voci, delle quali conserva affinità di idee e di linguaggio. Contro
le vessazioni di ecclesiastici, contro le offese portate alle cose religiose in pubbli-
cazioni e teatri vibrava infatti alta la protesta della quasi totalità degli episcopati.
L'arcivescovo di Torino in esilio a Lione in una pastorale data alle stampe il
14 ottobre, ma pubblicata sull'Armonia 5 giorni prima che don Bosco scrivesse al
pontefice, affermava: «Noi fremiamo veramente di orrore al sentire come anche
nella, un dì, sì religiosa Torino si diffondano impunemente gli scritti i più ingiu-
riosi alla sacra Persona del Vicario di Cristo, e più accanito volgasi il dente a
morderne il temporale dominio, di cui lo si vorrebbe ad ogni costo spogliato».44 E
continuava esortando i fedeli a rigettare scritti, a evitare di impugnare errori e di
discutere coi liberali non solo per non perdere tempo, ma anche perché non meri-
tavano tale onore. La conclusione era un invito alla preghiera.
Sulla medesima linea di pensiero si poneva ad esempio sul finire di novem-
bre il vescovo di Cuneo: «Noi, o figli dilettissimi, noi non temiamo per la Chiesa,
né per l'augusto suo Capo: essi hanno per sé la divina promessa che non può falli-
re, e qualunque lotta più accanita non sarà per essi che l'occasione di un nuovo
trionfo. Ma una tale promessa non riguarda i singoli fedeli né questo o quel luogo
in particolare: e perciò noi tremiamo per voi e per la vostra fede, paventando che
non sia smossa dai clamori degli
42 Lettera di Pio IX a Napoleone II l'8 gennaio 1860: ed. in P. PIRRI, Pio IX e Vittorio
Emanuele II... II, II, p. 150.
43 E(m) I p. 386.
44 Cf l’ Armonia del 4 novembre 1859.

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Orientamenti politici di don Bosco...
23
empi accompagnati da tante seduzioni ed inganni. Guardatevi, vi diremo pertan-
to, guardatevi da costoro: non accomunatevi con essi: rigettate da voi con orrore i
pestilenziali loro scritti, sotto qualunque forma vi si presentino; chiudete le orec-
chie ai loro discorsi: tenetevi saldamente attaccati agli insegnamenti della Chiesa
maestra infallibile di verità e non date ascolto ai lusinghieri e seducenti sofismi
dei sapienti del secolo».45
A sostegno e difesa del clero piemontese, cui tanto andava l'interesse di don
Bosco, era sceso in campo poco prima il sempre battagliero redattore dell'Armo-
nia, Giacomo Margotti: «Il clero Piemontese conobbe per tempo la rivoluzione,
la guardò sdegnosamente in fronte, l'assalì e la vinse. Perde i suoi beni, i suoi
privilegi, ma conservò il suo onore. Patì la prigione e l'esilio, ma tenne sempre
sollevato il Labaro non ostante le più grandi minaccie e i più tremendi pericoli
[...] Si pigli qualunque classe della Società, e non ve n'ha alcuna in cui, fatte le
debite proporzioni, siavi minore quantità di colpevoli. Anzi possiamo aggiungere
che, considerate le rivoluzioni avvenute negli Stati Sardi, poche ve ne sono, nelle
quali s'abbia a deplorare un così picciol numero d'apostasie. Alcuni apostati ci
furono certo, [...] ma furono sì pochi da non offendere, anzi da contribuire al
lustro del corpo. E oggi che questo Clero Subalpino soffre da tanti anni, non s'ac-
cascia sotto il peso della maldicenza e della persecuzione, non si perde d'animo
per gli indugi del trionfo; ma è sempre fermo, sempre pronto alla lotta come il
primo giorno».46
Don Bosco aveva precisato che molti non osavano manifestare apertamente
la loro opposizione alla politica governativa. La conferma viene dalla stessa pa-
storale di mons. Fransoni, che lasciava alla prudenza dei singoli parroci l'indizio-
ne o meno di pubbliche preghiere. I rischi di schierarsi apertamente contro il
governo, paventati da don Bosco e dall'arcivescovo, erano notevoli e le spese
delle proteste le avevano fatte proprio in quei mesi giornali intransigenti,
l’Armonia di Torino e il Cattolico di Genova anzitutto, sequestrati, denunciati e
condannati per aver condiviso la versione papale d'incresciosi fatti di Perugia e
della Savoia.47
In don Bosco la voce della coscienza ispirata a ragioni soprannaturali preva-
leva su quella dell'eventuale convenienza politica. Nel nuovo assetto territoriale
che si stava attuando vedeva il danno gravissimo per le anime, la
45 Cf l’Armonia del 25 novembre 1859.
46 Cf l’ Armonia del 26 ottobre 1859.
47 Un decreto ministeriale fece sospendere il 30 giugno la pubblicazione de l'Armonia che
poté riprendere solo il 25 settembre. Analogo trattamento ebbe il Cattolico di Genova, giornale
altrettanto conservatore.

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Francesco Motto
cui salvezza eterna gli stava soprattutto a cuore. In tale logica si comprende come
potesse riferire al papa che i sacerdoti si erano uniti nel diffondere libri e giornali
«buoni», nel fare catechismi, nel predicare esercizi, tridui, novene volte a difen-
dere le verità della fede e il rispetto al papa. Con grande soddisfazione gli comu-
nicava i risultati del suo operare: tre mila ragazzi frequentavano gli Oratori di
Torino, altri cinquecento le scuole, trecento quelli ricoverati, diciotto i giovani
che avevano già fatto la vestizione clericale e alcuni già arrivati al sacerdozio.
Altro motivo di legittimo orgoglio poi era quello di poter dedicarsi all'insegna-
mento senza avere particolari problemi, nonostante che uno degli aspetti del pro-
cesso di secolarizzazione in corso fosse proprio quello di sottrarre al controllo
ecclesiastico l'ambito dell'insegnamento e dell'educazione.48 Era questo il suo
contributo a quella gara di solidarietà che si andava sviluppando fra quanti in
mille modi, con opuscoli polemici, libri apologetici, lettere49 accoglievano l'invito
del pontefice ad unirsi a lui per salvare «la cristianità».50
Il presente era difficile ma il futuro pareva annunciarsi peggiore. Proseguiva
don Bosco nel suo messaggio:
«Io temo un governo che si regge sulla rivoluzione; temo la giornaliera
diminuzione de' buoni cattolici; temo il grande numero dei nemici del-
l'ordine che si rifugiano tra noi o vanno ad ingrossare le file dei ribelli
nelle Romagne; temo poi, Dio tenga lontano tale flagello, temo che Vo-
stra Santità sia ancor maggiormente molestata e forse perseguita chi sa
in quante maniere».51
Ma a consolazione del pontefice aggiungeva immediatamente:
«Questo io dico qual figliuolo affezionatissimo, che teme ognora qual-
che male pel suo amato Padre; per ciò prego la santa Vergine Immaco-
lata che ci ottenga da Dio tempi migliori e pace alla Chiesa. A consola-
zione di V.S. le dirò che dal momento che scoppiarono i turbidi [sic] ne-
gli Stati della Santa Sede i miei giovani stabilirono di recitare ogni giorno
speciali preghiere per Lei ed una decina si accostano alternativamente
ogni giorno alla santa comunione per implorare da Dio sanità, grazia e
conservazione di Vostra Santità».52
48 E(m) I p. 387.
49 Un indirizzo di 72 sacerdoti («una parte considerevole degli ecclesiastici di Torino»)
venne pubblicato, senza firme, su l’Armonia del 21 gennaio 1860. Il 13 aprile lo stesso giornale
pubblicava la risposta papale datata 18 febbraio.
50 L'appello era stato lanciato nel concistoro del 26 settembre 1859; l’Armonia lo aveva
pubblicato integralmente il 6 ottobre successivo.
51 E(m) I p. 387.
52 Ibid.

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Orientamenti politici di don Bosco...
25
Ansia per la situazione politico-religiosa del paese, amarezza per le difficol-
tà dell'azione pastorale, consapevolezza del dovere di difendere l'indipendenza
del papato, fiducia nella preghiera era questo lo stato d'animo di don Bosco sul
finire del 1859. Di fronte alle due possibilità, quella di aprirsi al dialogo con la
realtà ormai di fatto — alla stregua di alcuni circoli di cattolici liberali — e quella
orientata verso il rigetto globale di questa realtà, sulla scia del Barruel e della
produzione libraria che all'autore francese si ispirava, don Bosco pare ribadire la
sua scelta di intransigenza. Una concezione più comprensiva nei confronti della
realtà circostante, una posizione filoliberale, forse anche un ammorbidimento
della linea dura, gli sembrava, in quel momento, un inaccettabile cedimento. Del
resto non era isolato: stava dalla parte del Papa e della quasi totalità dell'episco-
pato italiano e di altri stati.53
4. Lettera del 13 aprile 1860: al momento delle annessioni
L'unificazione italiana proseguiva inesorabile. L'11 ed il 12 marzo 1860 le
popolazioni della Toscana e dell'Emilia Romagna mediante plebisciti chiesero
l'annessione al Piemonte. Non passarono quindici giorni che Pio IX fulminò la
scomunica maggiore contro gli autori delle annessioni e loro consiglieri, compli-
ci, «invasori ed usurpatori».54 Pochi giorni dopo, al discorso del re al parlamento
del Regno dell'Italia centrale e settentrionale, con cui si era proclamata l'annes-
sione delle Legazioni al Piemonte, il papa rispose con la nomina a capo dell'ar-
mata pontificia del generale francese Louis Juchault de Lamoricière. Si profilava
uno scontro armato.
In tale frangente don Bosco fece pervenire al papa un indirizzo di piena fe-
deltà dei suoi giovani, unito al loro contributo per l'obolo di S. Pietro. Vi allegava
una lettera personale in cui ribadiva la propria angoscia per la situazione critica
della chiesa in Italia, e in Piemonte in particolare.55 Scriveva come, dopo essersi
per vario tempo limitato a pregare privatamente, per non esporsi «inutilmente» ad
eventuali rappresaglie — la prudenza non era
53 Cf ad es. la Civiltà Cattolica, 1859, serie IV, vol. V, pp. 145-166 e molti numeri
dell’Armonia dell'epoca. Don Bosco nella propria opzione poteva trovare sostegno in tale
stampa ultraconservatrice, che fra l'altro non mancava di ospitare interventi favorevoli all'opera
di Valdocco e recensioni dei suoi libri (cf ad es. Y Armonia del 4 febbraio, 11 marzo, 18 aprile,
28 aprile, 29 giugno, 21 settembre, 29 ottobre, 4 novembre 1858).
54 II breve di scomunica portava la data del 26 marzo.
55 E(m) I pp. 400- 401, lett. n. 429: 13 aprile 1860.

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Francesco Motto
mai troppa, tant'è vero che pochi mesi dopo sarebbe stato oggetto di perquisizioni
domiciliari — al momento si sentiva in dovere di uscire in un certo senso più allo
scoperto, tanto da fare pubblicare su l’Armonia l'indirizzo dei suoi giovani.56
Da mesi però don Bosco sembrava aver vinto la paura di prendere ufficial-
mente posizione. Se la missiva del novembre 1859 era rimasta riservata, il breve
di risposta del pontefice del 7 gennaio 1860 non rimase chiuso nel cassetto della
sua scrivania. Non solo lo stampò in due lingue (originale latino e traduzione
italiana) su grandi manifesti ma lo divulgò attraverso il giornale del Margotti.57
Un forte incoraggiamento gli poteva venire dalla mole di manifestazioni di
solidarietà al pontefice che da ogni parte si tenevano in quell'inizio d'anno. La
Civiltà Cattolica del 10 gennaio aveva poi invitato il clero a non disdegnare di
dire la propria in politica «supposto che la politica, non certo per opera del clero,
sia stata recata in piazza e fatta pascolo delle ignare e voltabili moltitudini; sup-
posto che uomini scredenti ed iniqui si facciano della politica poderoso strumento
a pervertire le menti, a corrompere i cuori, soprattutto della gioventù inesperta,
traboccando la società in peccati enormi con inestimabile ruina di anime; suppo-
sto che la politica invada le appartenenze religiose, professando di volere spoglia-
ta la società».58
Nella «Collezione di buoni libri a favore della religione cattolica», edita a
Torino e ben conosciuta da don Bosco, che se ne servì come modello e come
fonte per le «Letture cattoliche», erano usciti in quei mesi ben tre fascicoli dal
titolo Del potere temporale dei papi. Opuscoli e documenti. Raccoglievano testi
pontifici e tutto quanto era stato scritto e pubblicato un po' ovunque a favore del-
l'integrità dei domini pontifici. Sulla stessa linea difensiva del papa-re si colloca-
vano, alzando la voce in parlamento, personaggi familiari o comunque in qualche
modo vicini a don Bosco, quali C. Solaro della Margherita, C. Cays di Gillette, A.
Della Motta, I. Costa della Torre, V. Tettù di Camburzano, A. Brignole di Sale.
L'informazione dunque di cui disponeva don Bosco continuava ad essere
monocorde nel rigettare ciò che potesse considerarsi un'apertura al nuovo. Ma
come sempre la sua preoccupazione maggiore era relativa all'atteggiamento che
gli ecclesiastici potevano assumere in tali circostanze:
56 Cf l’Armonia del 12 aprile 1860. Ovviamente non vi erano posti i nomi dei 710 giovani
firmatari.
57 Armonia del 28 gennaio.
58 Civiltà Cattolica, 1861, serie IV, vol. V, p. 161.

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Orientamenti politici di don Bosco...
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«Siamo in un momento il più calamitoso. Finora il clero piemontese si
tenne fermo nella fede; ma ora le minacce, le promesse, le largizioni, e i
mal esempi del clero de' paesi annessi fanno temere assai in avvenire.
Qualche parte di clero in alcune diocesi ha dato pubblico segno di ade-
sione alla politica attuale; alcune corporazioni religiose fecero ripetuta-
mente l'illuminazione per festeggiare la famosa annessione».59
Invero i casi di adesione del clero alla politica governativa furono pochi e la
resistenza ai richiami delle legittime autorità ecclesiastiche fu per lo più di indivi-
dui isolati.60 Comunque fosse, la posizione di ecclesiastici che, senza essere apo-
stati e transfughi del sacerdozio e della vita religiosa — quali forse si potevano
considerare G. Bravi, G. Asproni, G. Robecchi e altri — optassero per soluzioni
diverse da quelle tradizionali, e magari partecipassero a manifestazioni popolari
connotate da liberalismo e ancor più da radicalismo, era da don Bosco giudicata
inaccettabile.
Nel seguito della lettera dava ulteriori informazioni politiche, per altro già di
dominio pressoché pubblico, e riconfermava il proprio caratteristico modo di
combattere l'irreligiosità dell'epoca:
«Il progetto è non solo d'invadere le Romagne, ma tutte le altre Provin-
cie della Santa Sede, di Napoli, Sicilia etc. La religione è combattuta,
avvilita legalmente; non possiamo difenderla altrimenti se non con pic-
coli e popolari stampati, scuole e catechismi».61
A fronte di un presente della Chiesa di profonda sofferenza, anzi proprio per
questo, il futuro si annunciava, nonostante tutto, carico di speranze:
«Pertanto, o Beatissimo Padre, se consideriamo lo stato delle cose ap-
59 E(m) I p. 400.
60 Così a Brescia, Pinerolo, Bologna, Modena, in Toscana: cf ad es. VArmonia del 31
gennaio, dell'11 e 13 aprile, del 9 maggio, del 10, 13 e 23 maggio 1860.
61 E(m) p. 401. Si noti che la lettera rispecchia quello che era il clima di aspettativa di se-
gni dal cielo che si viveva a Valdocco. Ruffino nella sua cronaca (I, 1860 p. 2) scriveva con
compiacenza della morte improvvisa del generale Quaglia, presidente provvisorio delle camere
per la prima volta riunite alla presenza dei deputati della Romagna, di Modena e di Toscana.
Sul conflitto scatenato contro la chiesa dall'«angelo delle tenebre» e sulla grande prova «per
ignem et aquam» che stava per arrivare don Bosco si soffermerà anche in altre lettere al pontefi-
ce, come ad es. il 27 dicembre 1861, il 13 febbraio 1863, il 10 marzo 1863, il 25 gennaio 1864
ecc. Non va qui dimenticato che secondo una certa mentalità del tempo i grandi flagelli, le
inondazioni, la fame, le infezioni, i fenomeni meteorologici si abbattevano sulle società perché
queste si erano scrollate di dosso le istituzioni favorevoli o gradite alla chiesa. Il motivo domi-
na anche in molti scritti di don Bosco, per cui non meraviglia che a simili mali opponga mezzi
religiosi quali confessioni e comunioni.

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28
Francesco Motto
poggiato sul soccorso umano, dobbiamo dire che ci avviciniamo ad u-
n'epoca di distruzione per la fede, epoca di sangue per chi vuole difender-
la. Tuttavia, Beatissimo Padre, si rallegri nel Signore. La Santa Vergine
Immacolata prepara dal cielo un gran trionfo per la sua Chiesa. Questo
trionfo sarà fra breve tempo. È vero che ci precederà un'orribile cata-
strofe di mali, ma essi saranno da Dio abbreviati. Noi preghiamo che
abbia fine il regno del peccato e in ogni cosa si faccia la santa volontà
di Dio».62
Mettere in risalto le gravi conseguenze, per la fede, della politica seguita dal
governo di Torino, invitare alla preghiera e alla fiducia nell'immancabile trionfo
finale costituiva in quel momento il convincimento e l'obiettivo di tanti ambienti
conservatori. Da parte di molti poi si coltivava la speranza, lungamente nutrita, di
un imminente crollo del nuovo stato e del ritorno degli antichi sovrani; del resto i
precedenti storici del 1798 e del 1849 potevano indurre a pensare ad un esito in
tal senso.
Così sull'Armonia si leggeva: «Noi stiamo col papa [...] noi abbiamo una
certezza che il Papa trionferà [...] Tutti noi stiamo con Pio IX, siamo certi della
vittoria [...] in tutte le guerre la prudenza stessa consiglia di dubitare dell'esito;
nella guerra contro la Chiesa e contro il papato tale dubbio per i cattolici è un
delitto. Nessun credente ha osato dubitare mai del trionfo [...] Riguardo alla Chie-
sa ed al Papato, vogliamo ripeterlo, noi siamo certi che conseguiranno dalla lotta
larghi guadagni».63 Ed ancora: «Il cattolico non può temere perché il potere tem-
porale del Papa si collega colla sua spirituale indipendenza, per questo verso è
certo che le porte dell'inferno non prevarranno. La navicella di Pietro può essere
bensì flagellata, dai flutti, ma non sommersa»;64 «I nemici del Papa sono nemici
di Roma, nemici della popolazione dello Stato Romano, nemici dell'Italia».65
È fin troppo facile riconoscere quell'atmosfera di attesa propria delle previ-
sioni che il Cerri continuamente ripubblicava.66 Si tendeva sempre più a farne una
lettura di stretta attualità politica, così come nella medesima chiave veniva divul-
gata e immediatamente accolta quella dell'abate cister-
62 ibid.
63 Armonia del 15 ottobre 1860.
64 Armonìa del 19 ottobre 1860.
65 Ibid.
66 Nel 1861 uscirà la quinta edizione «riveduta ed interamente accresciuta e con appendi-
ce in fine di nuove interessanti predizioni» del già citato Ifuturi destini... Vedi nota n. 34. Nel
1859 il Cerri aveva pubblicato un altro volume dall'eloquente titolo: O Papa o irreligione, anar-
chia e morte.

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Orientamenti politici di don Bosco...
29
cense Eugenio Pecci (morto nel 1810): «1. L'ultima occupazione che dovrà aver
luogo nello Stato Pontificio non recherà alcun danno, e Roma non sarà occupata.
2. Quest'invasione avrà i suoi limiti, e giungerà solamente ad un termine, ove per
essa sta scritto: Non plus ultra. 3. Il Papa sarà sul punto di perdere il potere, ma i
tentativi saranno pienamente inutili. Quando agli occhi del mondo ogni cosa
sembrerà perduta, avverrà un subito cangiamento [...] 7. Un regno intiero entrerà
nella Chiesa Cattolica; ed il Santo Padre, reintegrato in tutti i suoi stati, canterà il
Nunc dimittis».61
D'altra parte don Bosco credeva all'imminenza di un'era di persecuzione dei
credenti, di cui l'invasione dei territori pontifici era solo un prodromo.68 Ed anche
quando gli avvenimenti e le situazioni raggiunsero toni drammatici, mai diminuì
in lui la carica di fiducia e l'attesa dell'apocatastasi. Del resto un identico messia-
nismo aveva preso piede fra i cattolici e fra i loro avversari: quello dei cattolici
che attendevano il trionfo del papato, quello degli anticlericali che attendevano il
crollo del medesimo e della Chiesa Romana.
Ma l'attesa di don Bosco, e di quanti si arroccavano su posizioni difensive
oltranziste, era priva di autentica concretezza. Pochi mesi dopo, nel maggio, sa-
rebbe suonata l'ora dei Mille di Garibaldi; nello stesso mese sarebbe stato depor-
tato a Torino il card. Corsi, sarebbero scoppiate durissime polemiche sul clero
cantante e non cantante il Te Deum; nel maggio-giugno sarebbero sorte altre
polemiche a Torino perché il vicario arcivescovile negava il celebrei a. un prete
deputato al parlamento che aveva votato l'annessione delle Romagne al Piemonte;
negli stessi mesi don Bosco medesimo e vari altri sacerdoti avrebbero subito in-
giuriose perquisizioni e rischiato l'arresto; negli ultimi mesi dell'anno fra scontri
militari di piemontesi con truppe pontifìcie, note di protesta dell'Antonelli e dure
allocuzioni papali, lo
67 Armonia del 17 luglio 1860. La «profezia» verrà inserita dal Cerri nella quinta edizione
de I futuri destini... di cui alla nota prec.
68 Fin dal 1854, nella premessa al fascicolo Ai contadini. Regole di buona condotta per la
gente di campagna utili a qualsiasi condizione di persone, si poteva leggere che l'unione delle forze
avrebbe dato «la consolazione un giorno di vedere i nostri nemici, i nemici della fede Cattolica e
della Società, o convinti dei loro errori, delle loro utopie convertirsi a noi; o scornati e confusi
ravvolgersi nel fango della loro sconfitta, incapaci di più nuocere». Analoghe espressioni di
speranza, consonanze di idee, coincidenze sue o da lui sottoscritte si trovano anche in altri fasci-
coli delle «Letture cattoliche». A riguardo della presenza all'epoca di tutta una letteratura profe-
tico-apocalittica, cf P. STELLA, Per una storia del profetismo apocalittico cattolico ottocentesco, in
«Rivista di Storia e letteratura religiosa», IV, 1868, pp. 448-469; il tema è ripreso in P. STELLA,
Don Bosco nella storia della religiosità cattolica... II. pp. 532-547. Si veda pure la nota 81.

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30
Francesco Motto
Stato pontificio, privato dell'Umbria e delle Marche, sarebbe stato ridotto da
41.000 kmq. a 12.000 kmq.
5. Lettera del 10 marzo 1861: all'indomani della proclamazione dell' unità
d'Italia
Il calvario di Pio IX non conosceva soste. All'indomani della proclamazione
del regno d'Italia sotto la monarchia Savoia, Cavour in due storici discorsi
ribadiva che la capitale del nuovo regno non poteva essere che Roma. Sosteneva
anche che con la privazione del potere temporale il papa avrebbe avuto di che
guadagnare. Libera Chiesa in libero Stato proclamava una formula di moda, per
altro carica di ambiguità nelle sue interpretazioni. Da Roma il card. Antonelli
protestava: «Un re cattolico, mettendo in non cale ogni principio religioso,
sprezzando ogni diritto, calpestando ogni legge, dopo aver spogliato a poco a
poco l'augusto Capo della Chiesa cattolica della più amplia e florida parte dei
suoi legittimi possedimenti, assume oggidì il titolo di Re d'Italia. Con ciò egli
vuole suggellare le già compiute sacrileghe usurpazioni».69 L'indomito Margotti
dalla pagine dell'Armonia lanciava il noto proclama: né eletti né elettori.
L'opinione pubblica era divisa, gli spiriti liberali, comprese frange cattoliche,
potevano stimare che il potere spirituale sarebbe stato meglio assicurato se il
pontefice si fosse spogliato del peso del governo temporale.
Nella chiesa di Torino qualche ecclesiastico la pensava in tal senso. Don
Bosco invece, da apologeta del regno pontificio qual era, tendente ad obbedire al
papa senza discuterne le istruzioni, faceva della fedeltà al pontefice quasi una
questione di fedeltà dogmatica, oltre che di disciplina religiosa. Nella sua
ecclesiologia ogni separazione dal papa era separazione da Cristo, era perdita
della fede col conseguente pericolo di dannazione. Per lui, al pari di Louis
Bonald, Joseph de Maistre, del primo La Mennais e di altri esponenti della
corrente ultramontana, il cristianesimo si realizzava e concentrava nel papato, pur
senza con questo ridursi alla struttura della Chiesa e all'establishment.70 Il
lealismo verso il pontefice gli impediva di ap-
69 La protesta ufficiale del cardinale segretario di Stato ai rappresentanti di governi è del
15 aprile 1861. La condanna papale invece era intervenuta a sole 24 ore di distanza dalla
proclamazione del regno, ed esattamente nell'allocuzione al concistoro segreto del 18 marzo
1861. Il pontefice aveva dichiarato che non avrebbe mai ceduto alla pressione degli
«usurpatori» ed aveva affidava la causa della Chiesa a Dio «vendicatore della giustizia e del
diritto».
70 Un'ampia panoramica delle ecclesiologie ottocentesche è offerta da AA. VV. L'ec-

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Orientamenti politici di don Bosco...
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provare l'operato del suo re, che pure amava e a cui non mancava di rivolgersi. La
ragion politica era dunque quella del papa, non del governo piemontese o italia-
no; meglio ancora, la ragione vera era quelle delle anime, dell'annuncio della
salvezza a tutti e con tutti i mezzi moralmente leciti.
Il 10 marzo 1861, il giorno stesso in cui il primo ministro Camillo Cavour
presentava alla camera il disegno di legge, già approvato dal senato, per il confe-
rimento al re Vittorio Emanuele del titolo di re d'Italia, don Bosco riprese il suo
dialogo epistolare col pontefice:
«Il nostro clero si tenne coraggiosamente fermo; ma si avvicinano gran-
di prove, e se il Signore non ci fortifica colla sua grazia io temo qualche
naufragio. Promesse, minacce, oppressioni sono i tre nemici con cui
fummo assaliti; ora si avvicina il tempo della persecuzione. I fedeli sono
fervorosi; ma ogni giorno un gran numero dalla tiepidezza va ad un
apatico indifferentismo; che è la maggior piaga del cattolicismo ne' no-
stri paesi. Ma i timidi cacciarono ogni paura e si mostrano intrepidi
ovunque occorra mostrarsi cristiano [...] La cosa che maggiormente af-
fligge l'animo sono i disastri che sovrastano alla chiesa universale. Co-
raggio, Beatissimo Padre, noi abbiamo pregato ed oggidì raddoppiamo
le nostre preghiere per la conservazione della sacra di Lei persona».71
Come si vede, non comunicava nulla di nuovo rispetto a quanto già riferito
nella lettera dell'aprile anteriore: le solite ansietà per la fedeltà del clero, per il
rischio di perdita della fede da parte dei laici, per «i disastri» e le persecuzioni
che sovrastavano, cui ci si poteva opporre solo con la preghiera. Né poteva don
Bosco far altrimenti, una volta che si era posto — come già detto — fra coloro
che badavano soprattutto ai riflessi che i fatti politici e i nuovi orientamenti so-
cio-culturali potevano avere sull'azione spirituale della Chiesa.
Nel clima di trepida attesa che si respirava a Valdocco non era da escludere
una «visione» profetica di qualche ragazzo. Del resto don Bosco, pubblicando e
ripubblicando la biografia di Domenico Savio,72 non aveva forse inserito la pre-
dizione sul ritorno dell'Inghilterra alla religione cattolica, che il Cerri aveva im-
mediatamente ripreso nella sua nuova compilazione?73 Né, vista la terminologia
adottata, si può escludere che don Bosco si
clésiologie au XIX siècle. Paris, Ed. du Cerf, 1960; vedi pure F. MOLINARI, La «Storia Ecclesia-
stica» di Don Bosco... pp. 219-225.
71 E(m) Ip.441, lett. n. 495.
72 Cf Vita del giovanetto Savio Domenico allievo dell'Oratorio di S. Francesco di Sales per
cura del sacerdote Bosco Giovanni. Torino, 1859, pp. 98-99; 2a ed. con aggiunte: 1860; 3a ed.
accresciuta: 1861.
73 I Futuri destini... 5a ed. 1861, pp. 281-282.

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Francesco Motto
accingesse a scrivere la sua lettera dopo aver letto sull'Armonia della stessa do-
menica 10 marzo il fondo: «Le rose di Pio IX e le spine di Napoleone». Ma ecco
il testo di don Bosco:
«Un giovanetto che da alcuni anni dà chiari segni di avere speciali lumi
dal Signore, si è più volte espresso con queste parole: Quante tribulazioni
addoloreranno il paterno cuore di Pio IX: La Vergine Immacolata por-
ge al Santo Padre un gran mazzo di rose, ma egli le deve impugnare nella
parte ove sono pungentissime spine. Un'altra persona è di parere che se
il Signore non cangia i suoi disegni, V. S. dovrà di nuovo abbandonare
Roma; che sarà un gran bene in mezzo al male; poiché interi popoli cor-
reranno a venerarla; milioni di uomini abbracceranno il cattolicismo u-
nicamente mossi dalla fortezza dalle tribulazioni del Vicario di Gesù
Cristo, che con questo mezzo illuminerà tante anime dal medesimo no-
stro Salvatore redente. Insomma si avvicinano avvenimenti spaventosi,
forse inauditi nella storia delle nazioni; ma vostra Santità riporterà su tut-
to il più glorioso trionfo allorché, dopo sanguinosissimi conflitti, ritor-
nerà ad essere tranquillo possessore de' suoi stati, accolto dallo amore
de' suoi popoli, benedetto dai re e dalle nazioni».74
Dimostrandosi estremamente fiducioso nell'intervento della provvidenza,
don Bosco rivelava altresì una sicurezza che sarebbe stata presto smentita dai
fatti. La mancanza di senso storico in quel momento gli impediva di riconoscere
come irreversibile il processo in corso, fino al punto che un momentaneo arresto
di una decisione lo interpretava non come temporanea sconfitta dell'avversario,
un semplice incidente di percorso, bensì come la prova più evidente della verità
delle proprie ragioni.75
Ma si trattava della mentalità dominante nei vertici della curia romana76 e in
molti intransigenti nutriti ad un'apologetica apocalittica affetta da provvidenziali-
smo. Da premesse di ordine teologico traevano una sicura
74 E(m) I pp. 441. Si noti qui che dell'eventualità di un nuovo abbandono di Roma da
parte del papa, dopo quello del novembre 1848, si scriveva pure sui giornali dell'epoca; ovvia-
mente non poteva non trattarne il Cerri ne 77 Vaticinatore. Nuova raccolta dì profezie e predi-
zioni in continuazione a quella intitolata I futuri destini degli Stati e delle nazioni. Torino 1862.
Vedi in particolare dove si accenna ad una visione mariana a piazza Castello a Torino (pp. 23-
26).
75 Così per la sospensione temporanea della discussione in parlamento sulla legge sulle
corporazioni religiose e sui beni ecclesiastici, di cui si ha un'eco nella lettera, inedita, del 30
aprile 1865.
76 Ancora nel 1864 Pio IX scriveva al card. Corsi in esilio a Torino: «È fuor di dubbio
che li sforzi d'inferno che finora si sono palesati, così permettendolo Iddio debbono avere il
loro termine, perché il piede della Madre di Dio già preme sul capo dell'antico serpente. Quan-
do però sia per giungere il momento che quel capo velenoso sia schiacciato, è cosa del tutto
ignota»: cit. in G. MARTINA, Pio IX (1851-1866)... p. 150.

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Orientamenti politici di don Bosco...
33
convinzione che la provvidenza, in modo imprevedibile ma sicuro — magari
prodigioso77 — sarebbe venuta in soccorso del pontefice. Si ispiravano, senza
porsi molti problemi, ad interventi portentosi di Dio nell'antico testamento e nella
storia della chiesa;78 arrivavano al punto di far quasi ricorso al precedente della
resurrezione di Cristo per giustificare l'attesa di una «resurrezione» del papato.79
Una volta fatto proprio il criterio religioso per valutare gli eventi politici del
tempo, don Bosco non poteva sottrarsi al giudizio di condanna sulle persone e
sulle fazioni che unilateralmente avevano tolto privilegi e territori alla Chiesa.
Così, a fronte del sicuro trionfo della religione e del papato, stava la triste sorte
dei «nemici»:
«Ma e que' regnanti, que' loro aderenti che sono la causa di tanti mali?
Costoro che sono la causa di tanti mali, oppure che li potrebbero
impedire e non li impediscono; costoro sono nelle mani di Dio come un
bastone di cui egli si serve per punire i delitti degli uomini; di poi il
bastone è spezzato e gettato nel fuoco».80
Il tema della morte dei persecutori meriterebbe lunghe riflessioni, che ci
porterebbero lontano dal nostro intento; qualcosa comunque è già stato scritto.81
Basterà qui ribadire come fosse convinzione comune, appoggiata
77 Ad un intervento «dall'alto» aveva ad esempio accennato il vescovo di Nizza, mons.
Sola, nella sua circolare del 10 novembre 1859: «Persuadiamoci pure che quella Provvidenza,
suprema moderatrice dell'universo, [...] la quale [...] ispirava a pii personaggi ed a religiosi
Sovrani il nobile pensiero di spogliarsi dei temporali loro diritti sovra una porzione della diletta
nostra Italia, per investirne il Supremo Gerarca della Cattolica Chiesa saprà in ogni tempo
trovar mezzi, ED ALL'UOPO OPERARE ANCHE PRODIGI PER ASSISTERLO [sic]: cf Armonia del 26
novembre 1859.
78 Si trovava conforto appellandosi alle figure di Mosè, di Giobbe, dei profeti ecc.: cf tre
lunghi articoli dal titolo Le speranze dei cattolici pubblicati sull'Armonia del 22, 23 e 28
dicembre 1860.
79 L'Armonia del 31 marzo 1861 si apriva con l'articolo di fondo: Le Resurrezioni del
papato.
80 E(m) Ip.441.
81 Cf P. BRAIDO - F. MOTTO, Don Bosco tra storia e leggenda nella memoria su «Le
perquisizioni». Testo critico e note, in RSS (14) 1989, pp. 111-200. Si veda pure F. MOLINARI,
La «Storia Ecclesiastica» di Don Bosco... pp. 207-210; F. TRANIELLO, Don Bosco e l'educazione
giovanile.... L'animus con cui don Bosco si accostava al tema del castigo dei persecutori della
Chiesa è precisato anche in P. G. CAMAIANI, Castighi di Dio e trionfi della Chiesa. Mentalità e
polemiche dei cattolici temporalisti nell'età di Pio IX, in «Rivista storica italiana», 1976, p. 727.
L'evocazione del demonio, il richiamo della morte e del terribile giudizio divino, l'attesa
fiduciosa di interventi straordinari di Dio sono ricorrenti nella religiosità del tempo sia ai
massimi livelli magisteriali che nella pubblicistica popolare: segno dunque di una diffusa
mentalità: cf P.G. CAMAIANI, Il diavolo Roma e la Rivoluzione in «Rivista di Storia e Letteratura
Religiosa» (1972) pp. 485-516.

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Francesco Motto
sulla constatazione dell'infelice fine di molti di loro, che il destino dei persecutori
dovesse sempre essere catastrofico. A loro si applicavano direttamente i canoni
del vecchio testamento, anche se mitigati dall'invocazione della misericordia e
dall'attestazione della preghiera, sempre però inquadrate in un orrore privo di
sfumature di qualsiasi genere.82
L’Armonia il 23 febbraio 1860 aveva dedicato un ampio articolo al tema:
«Come finirono i persecutori del papa». A sua volta la Civiltà Cattolica aveva
rincarato la dose in chiave di attualità: «Una cosa non vogliono ora i liberali che
si dica: ed è che la morte del Conte di Cavour fu un castigo di Dio ed un avviso ai
suoi complici. Che quella morte sia stata per l'Italia liberale una grande sventura,
questo i liberali concedono facilmente. Ma che questa sventura sia proceduta da
Dio irato giustamente per tanti delitti, questo essi non vogliono assolutamente
concedere [...] Ora se vi è morte che porti seco chiarissimamente l'impronta di
una vendetta celeste, questa è la morte del Conte di Cavour [...]. I monumenti che
alla sua memoria si vogliono innalzare sono fin d'ora moltissimi. Sopra essi l'adu-
lazione contemporanea porrà molte e varie epigrafi: ma la storia imparziale si
contenterà di scrivere: "Disfece il Piemonte, non fece l'Italia"». E più avanti,
commentando la morte improvvisa del direttore dell'agenzia telegrafica «rivolu-
zionaria», Guglielmo Stefani, e del generale Da Bormida, scriveva: «Anche i
meno creduli incominciano a darsi pensiero delle morti inaspettate che avvengo-
no tra noi [...] Il deputato Cornero [...] Gioberti [...] Pinelli [...] Siccardi [...] Bian-
chi Giovini [...] Buffa [...] Quaglia [...] Conte di Siracusa [...] Ed io cito a memo-
ria questi nomi, e ne dimentico molti altri».83
Da par suo il Margotti non aveva mancato di intervenire preannunciando ca-
stighi per l'intera nazione: «Non tutti i delitti sono puniti in questo mondo, ma di
via ordinaria il Signore non lascia impuniti anche quaggiù i grandi delitti delle
nazioni. Guardate gli ebrei [...] E ciò che oggidì si vuol compiere in Italia contro
il Vicario di Gesù Cristo, ha qualche cosa di simile [...] Iddio disperderà il triste
disegno, ma l'averlo solo concepito e tentato non sarà senza un grave castigo».84
82 «Un Cattolico, e soprattutto un sacerdote che recita almeno il Breviario, non dovrebbe
ignorare che il Dio di pace e di carità è anche il Dio dei gastighi e della vendetta; non dovrebbe
ignorare che il Pontefice se è Vicario d'un Dio d'amore, è altresì Vicario di un Dio di giustizia,
e che, se prega pei figli traviati, e ravveduti li raccoglie al seno, è disposto altresì, quando li
trovi ostinati nel male, a reciderli dal corpo mistico della Chiesa per mezzo della scomunica,
dandoli addirittura al diavolo: tradere satanae»: Civiltà Cattolica, 1861, serie IV, vol. V, pp.
159-160.
83 Civiltà Cattolica, 1861, serie IV vol. XI pp. 107-113.
84 Armonia del 14 marzo 1862.

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Orientamenti politici di don Bosco...
35
Conclusione
Quale dunque in sintesi il giudizio di valore che nelle lettere a Pio IX del
triennio 1858-1861 don Bosco dà delle persone e dei fatti che portarono all'unifi-
cazione nazionale?
Non si è lontani dal vero se si afferma che don Bosco non poté sottrarsi al
giudizio di condanna di quanti in vario modo tolsero alla Chiesa e al papato in
Italia le posizioni di privilegio precedentemente acquisite, e soprattutto il dominio
temporale, da lui ritenuto condizione quasi inderogabile per il compimento della
missione salvifica.
Tendenzialmente integrista, afflitto da ansie tipicamente apostoliche, non
riuscì a simpatizzare con persone che gli apparivano positivamente avverse alla
religione; temette sinceramente il nuovo stato laico, fondato sull'uguaglianza di
tutti i cittadini di fronte alla legge (senza differenza di culto), sull'abrogazione di
ogni controllo religioso sulle scuole, sull'intervento del governo in molte questio-
ni ecclesiastiche, sulla libertà di propaganda religiosa e di stampa, che considera-
va come la fonte di tutti i mali.
La meditazione sulla sequenza degli avvenimenti umani non lo fece appro-
dare a cogliere sempre i nessi e le cause terrene; sotto l'influsso dei valori supre-
mi e trascendenti, lesse fatti che minacciavano la Chiesa come frutto di spirito
diabolico; con Pio IX scambiò per satanico ciò che altri attribuivano alla provvi-
denza.
Ma forme di fatalismo in lui non significarono immobilismo o semplici ana-
temi all'indirizzo dei tempi nuovi; il suo realismo pragmatico lo preservò dalle
conseguenze estreme di quell'ispirazione apocalittico-provvidenzialistica che
avrebbe potuto condurlo come altri o alla lotta aperta — il che lo avrebbe paraliz-
zato nella propria azione — o a un quietismo nefasto quanto la sterile protesta.
Pur guardando quasi unicamente all'atteggiamento eversivo per denunziarlo
e condannarlo, si può dire che don Bosco «non approva né le recriminazioni né le
lotte a spada tratta. Egli è per la pazienza, per la sopportazione e per il lavoro».85
L'evidente resistenza alla politica di governo non implicò né il rifiuto di obbedire
alle leggi e neppure la lealtà verso il paese, per le cui fasce più deboli intese ope-
rare da cauto divulgatore di intransigentismo quale fu. Forse proprio il fatto che
non scese direttamente nella lotta politica — «non mi sono mai mischiato in poli-
tica. In tutto ciò che ho detto, fat-
85 P. STELLA, Don Bosco... II. p. 90.

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Francesco Motto
to, scritto, stampato in questi vent'anni niuno potrà con verità notare una sola
parola che sia in opposizione alle leggi del governo. In questa casa è proibito
parlare di politica in qualsiasi senso»86 — gli permise di portare a maturazione i
suoi progetti senza dover mai chiudere le vie del dialogo con le forze avverse.
Un secondo aspetto merita forse di essere preso in considerazione. Sulla ba-
se dell'analisi che abbiamo condotto, ci si può legittimamente chiedere il perché
di una corrispondenza politica, in cui don Bosco svela sostanzialmente ben poco
di non rilevabile attraverso fonti ufficiali o meno, in cui non fa che collocare se
stesso fra i «buoni» circondati da «individui malevoli», gli uni e gli altri non
meglio precisati, in cui accenna ad un'ipotetica occupazione temporanea di Roma,
seguita poi, a quanto pare, da un ristabilimento del potere temporale del papa. In
altre parole, dichiarandosi continuamente solidale col pontefice nell'avversione al
risorgimento così come territorialmente e religiosamente si stava attuando in
quegli anni, non si può per caso supporre in don Bosco qualche altro ben dissimu-
lato intento? Tanto più che in ogni lettera al pontefice non manca di dare minuti
ragguagli sullo sviluppo della propria azione apostolica.
Alcuni indizi potrebbero far pensare che don Bosco in quegli anni si fosse
reso conto che in ordine al suo progetto di congregazione per i giovani non a-
vrebbe potuto ottenere molto né dall'esule mons. Fransoni — che pure dall'inizio
del suo lavoro apostolico lo aveva assecondato per quanto possibile — e tanto
meno dai suoi vicari di Torino. Essi erano, come è ovvio, interessati al seminario
diocesano e pertanto non potevano vedere sempre di buon occhio che don Bosco
sottraesse in qualche modo i giovani agli studi in seminario e al lavoro in dioce-
si.87 In secondo luogo nella concreta prospettiva di una dilatazione delle opere e
pertanto degli interlocutori, per don Bosco era giocoforza oltrepassare gli angusti
orizzonti diocesani. Vi si
86 Lettera al ministro dell'interno, Luigi Carlo Farini, in data 12 giugno 1860; analoga
quella al ministro della pubblica istruzione, Terenzio Mamiani, nella stessa data: E(m) I pp.
407, 409, lett. nn. 439 e 440.
87 Tipico il caso del chierico Giovanni Battista Francesia, cui venne concessa con diffi-
coltà, e solo «a modo di esperimento» dopo reiterata istanza di don Bosco, la dispensa dall'in-
tervento alle scuole del seminario per alcuni mesi dell'anno. Se mons. Fransoni talvolta a favo-
re di don Bosco oltrepassò gli steccati della normale prassi seminaristica (frequenze scolastiche
obbligatorie, esami nei tempi stabiliti ecc.), lo fece unicamente per la grande stima che aveva
dell'educatore di Valdocco e del bene che colà faceva. Ma sostanzialmente il prelato condivideva
la linea portata avanti con coerenza dalla commissione arcivescovile. Ulteriori approfondimenti
e precisazioni saranno possibili una volta pubblicato l'epistolario di mons. Fransoni, in corso di
stampa a cura di M. F. Mellano.

3.9 Page 29

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Orientamenti politici di don Bosco...
37
aggiunga poi il fatto che disponeva di un precedente assai significativo: l'espe-
rienza della marchesa Barolo, che tanto aveva ottenuto dal pontefice recandosi
personalmente a Roma.88
Pertanto poté credere che dall'asse preferenziale Torino-Lione, tenuto fino a
quel momento, fosse conveniente passare gradualmente a quello Torino-Roma.
Così nel marzo 1858, preceduto dalla fama di prete zelante e già da tempo munito
di un breve pontificio a sostegno delle Letture Cattoliche, si presentò al pontefice
in qualità di direttore delle stesse nonché dei ben avviati oratori per giovani di
Torino. Pur senza avere precise informazioni sui colloqui diretti, si può presume-
re che il papa sia rimasto affascinato da quanto don Bosco gli diceva a proposito
dei due ambiti della sua attività.
Una volta fattosi apprezzare dal pontefice come uno dei sacerdoti che, men-
tre erano lealmente preoccupati per la difficile situazione della chiesa di Torino,
avevano però trovato un modo nuovo ed efficace di operare a servizio della me-
desima, si trattava di consolidare in Pio IX la stima che aveva per lui. Entrerebbe-
ro così in questa logica le missive di piena sintonia col pontefice che abbiamo
analizzato. Fra i due venne così a stabilirsi quella «corrispondenza d'amorosi
sensi», per la quale, se Pio IX poté contare sulla fedeltà a tutta prova dell'umile
sacerdote di Valdocco, questi a sua volta poté fare affidamento sulla benevolenza
papale in ogni circostanza. Prova ne sia che, appena morto mons. Fransoni, don
Bosco fece immediatamente emettere i primi voti religiosi, revisionò le costitu-
zioni e le inviò appena possibile a Roma, per farsi approvare la società, onde
evitare, grazie a qualche conseguente «privilegio», le prevedibili opposizioni
«subalterne» di vescovi e curiali diocesani.
Né si ha motivo per pensare ad un mero uso strumentale delle lettere da par-
te di don Bosco, dal momento che radicata era in lui la convinzione che l'appro-
vazione papale fosse una garanzia di benedizioni celesti sulle opere che stava
promuovendo fra tante contrarietà. Visto che la provvidenza gli apriva la strada,
perché non coglierne i vantaggi? In ciò, in tutta onestà, non vedeva alcuna con-
traddizione.
88 Fu anche grazie ad un viaggio a Roma negli anni 1845-1846, durante il quale poté av-
vicinare molti prelati di curia ed il papa stesso, che la marchesa Giulia Barolo ottenne l'appro-
vazione delle costituzioni dell'Istituto delle sorelle penitenti di Santa Maria Maddalena da lei
fondato.