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RECENSIONI
CERRATO Natale, Il linguaggio della prima storia salesiana. Parole e luoghi delle «Memo-
rie Biografiche di Don Bosco», Roma, LAS 1991, 450 p.
L'autore di Car ij me fieuj, saggio sul dialetto nella vita e negli scritti di Don Bosco
(1982), presenta ora questo volume destinato ai lettori delle MB (e dell'Epistolario di Don
Bosco). Non si tratta di uno studio critico di linguistica o dialettologia. È pensato come
strumento di lavoro, un sussidio per le giovani generazioni salesiane affinché, nell'accostarsi
ai volumi di Lemoyne, Amadei e Ceria, possano comprendere il significato «di espressioni
locali o disusate», abbiano «l'appropriata intelligenza di luoghi e istituzioni dell'800 pie-
montese» e intendano «il senso delle numerose citazioni latine ivi riportate». Dunque, la
cerchia dei destinatari è ben definita: non gli studiosi, ma coloro che maneggiando le MB
si sentono lontani dal mondo lessicale e dal linguaggio che era familiare ai salesiani di un
passato non troppo remoto.
L'opera è suddivisa in tre parti organizzate sul modello dei dizionari (Glossario, Dizio-
nario locale, Frasario latino), precedute da un'introduzione e seguite da due appendici. Ogni
voce è corredata dal riferimento ad un passo esemplificativo delle MB o dell'Epistolario.
L’Introduzione (pp. 15-28) è caratterizzata da un interessante elenco di particolari
grafologici, morfologici, sintattici e lessicali che si diversificano dall'uso corrente.
Il Glossario (pp. 33-214) raccoglie «voci e locuzioni italiane antiquate, ... e termini
dialettali, latini, stranieri o comunque di oscura accezione». Vi sono inclusi anche nomi di
persone, di luoghi, di associazioni, istituzioni, enti e periodici. Nonostante una certa etero-
geneità e il non sempre trasparente criterio di scelta, questa parte presenta, a nostro giu-
dizio, elementi di interesse.
Il Dizionario locale si suddivide in due sezioni: Torino (pp. 219-283) e Piemonte (pp.
285-339). Nella prima, ai nomi di luogo, l'autore aggiunge quelli di edifici, istituzioni, asso-
ciazioni, iniziative, pubblicazioni, cariche e impieghi riferiti alla città di Torino, con do-
vizia di particolari e meticolosità descrittiva.
La seconda sezione comprende tutte le località e i centri abitati del Piemonte che ap-
piono nelle MB e nell'Epistolario. Dispiace che il ricco elenco non sia corredato dalla ripro-
duzione di una pianta coeva della città e di una mappa del Piemonte: coloro che non cono-
scono il tessuto urbano e regionale ne trarrebbero notevole vantaggio.
Il Frasario latino (pp. 341-429) riporta «citazioni bibliche o di autori classici e cristiani,
motti e modi di dire, frasi latine compiute, titoli latini di libri e di argomenti vari sparsi nel
testo delle MB» (nonché l'incipit di documenti ecclesiastici), con relativa traduzione, rife-
rimenti e spiegazioni.

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Recensioni
L’Appendice 1 scioglie abbreviazioni oscure usate nelle MB, mentre l’Appendice II elenca tutti i
testi latini, francesi, spagnoli, inglesi, tedeschi e piemontesi che, per motivi di praticità, non sono stati
inclusi nell'opera.
Il libro di N. Cerrato, frutto di un lavoro lungo, appassionato, oltre a centrare gli obiettivi che si
prefigge, svela la preoccupazione di chi, cresciuto in una cultura ormai ignota ai più, vuol salvaguarda-
re dall'oblio e consegnare la ricchezza di un orizzonte espressivo — fatto di luoghi, risonanze, sfuma-
ture e allusioni — indispensabile per una più profonda comprensione dell'ambiente e della mentalità di
Don Bosco e dei suoi. Ma proprio in questa scelta di campo emerge il limite dell'opera, riconosciuto
dallo stesso autore, che stuzzica l'attesa di studi approfonditi e specifici sul linguaggio della prima
storia salesiana.
A. GIRAUDO
MISCIO Antonio, Firenze e Don Bosco 1848-1888. Firenze, Libreria editrice salesiana, 1991, 362 p.
Sono ormai decine i volumi e i volumetti che presentano il rapporto fra don Bosco ed una città o
una località. Le recenti celebrazioni centenarie della morte del santo e gli anniversari di fondazioni di
case salesiane hanno ulteriormente dato la stura ad opere siffatte. È però nostra convinzione che, se si
eccettuano i tre volumi «Torino e don Bosco», pubblicati dal comune del capoluogo piemontese col-
l'apporto di un nutrito gruppo di studiosi [vedi RSS 15 (1989) pp. 431-433], nessun altro studio analo-
go superi in interesse e qualità quello che qui presentiamo.
L'autore, professore di italiano e storia in una scuola secondaria di Firenze, è pugliese di origine,
ma ha vissuto per oltre cinquant'anni in Toscana. Quasi trenta poi quelli passati nel capoluogo. Dunque
fiorentino di adozione e la sua passione per la città medicea, di cui con disincantato realismo vede vizi
e virtù, non solo sta all'origine della ricerca ma traspare pure da ogni pagina dell'opera.
Don Bosco e Firenze: un rapporto durato 22 anni, con ben 23 presenze sicure, due mesi di per-
manenza, la fondazione di un'opera (1881), oltre un centinaio di lettere tuttora conservate e decine di
personaggi, conosciuti, stimati, amati. Dunque c'era di che scrivere; ma un enorme contrasto sembrava
far morire sul nascere qualunque iniziativa in tal senso: «Firenze, città tanto laica in tutte le sue mani-
festazioni. Don Bosco tanto clericale, tanto stretto nei suoi schemi ecclesiali e nelle sue devozioni.
Firenze così grande nelle sue espressioni di vita, di cultura, di secoli, di tradizioni; così eterna, così
universale. Don Bosco su tutto un altro registro, così umile nei suoi inizi, così limitato nella sua cultu-
ra, nei suoi scopi, nelle sue espressioni di vita, così giovane» (p. 7).
Superato però il disappunto dell'«accostamento difficile, stridente, improponibile», un altro si pa-
rò immediatamente dinanzi all'autore: per quella che avrebbe dovuto essere la «propria» storia non si
poteva far ricorso più di tanto alle molte pagine dedicate a Firenze nelle Memorie Biografiche e nep-
pure ai libretti degli anni tren-

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Recensioni 147
ta, pena il cadere nell'agiografico stantio o nell'inutile devozionalismo, privi entrambi di sicura base
storica. L'unica strada da percorrere era quella degli archivi salesiani, di quelli ecclesiastici e soprattut-
to di quelli delle aristocratiche famiglie fiorentine. Ricerca piuttosto ardua, specialmente quest'ultima,
perché alle fonti «morte», quali sono in un certo senso gli archivi privati, si poteva arrivare solo attra-
verso quelle fonti «vive» che sono i discendenti, e questi, supposto che esistano, non sempre sono
reperibili a distanza di cento e più anni. Pur nei ristretti spazi di una documentazione incompleta e non
sempre all'altezza delle esigenze di studiosi seri, l'indagine è stata coronata da un successo superiore ad
ogni previsione. E così i cultori di storia salesiana e gli appassionati di Firenze hanno un altro libro da
porre sugli scaffali della loro libreria.
Il Miscio, nelle fitte pagine del suo volume, sa farci sentire come la «piccola» storia dei rapporti
personali ed epistolari di don Bosco con personaggi della Firenze ottocentesca si inserisca nello svi-
luppo storico della città che in un ventennio passa da una meravigliosa stagione di gloria (gli anni
1865-1870 di Firenze capitale d'Italia) ai tristissimi momenti di crisi e di bancarotta degli anni ottanta.
L'umile vicenda di don Bosco e di una «certa Firenze» viene a costituire così una goccia nella vita
della «grande» città toscana, centro di cultura e di politica, attrattiva per tutti, meta di quanti sono
sensibili all'arte ed al gusto estetico. Goccia sì l'avventura fiorentina di don Bosco, ma non meno im-
portante perché vera, di quella verità che non ha paura di essere svelata a tutti.
L'autore non cede alla tentazione del racconto edificante, oleografico, anzi spesso ha il coraggio
di farci sentire la nuda realtà, anche se dolorosa da ammettere: gli errori di valutazione dell'ambiente
cittadino da parte di don Bosco e dei salesiani, la scarsa generosità dei fiorentini per un'opera che non
sentivano come propria, l'ostilità preconcetta fra protestanti e cattolici, Don Bosco in prima fila, i
risvolti — non sempre positivi per tutte le classi sociali — della politica nazionale, regionale e cittadi-
na, la grave situazione economica-scolastica-sociale di molti, di troppi abitanti in una Firenze popolata
di nobili e di ricchi borghesi, ecc.
Spigolare a caso fra le letterariamente scintillanti pagine del Miscio alla ricerca di interessanti e-
pisodi, di avvenimenti significativi, di figure importanti della storia di Firenze e d'Italia sarebbe facile,
ma toglieremmo al lettore il gusto della scoperta, della novità, del particolare inedito. Meglio poi
lasciare integro il delizioso fascino di diligenti analisi con cui l'autore ha dato corpo a quanto emerge
dalle fonti e testimonianze a sua disposizione. Certo, non tutte le letture che l'autore ci propone riesco-
no, per così dire, persuasive; talvolta le supposizioni non godono di sufficiente attendibilità. Ma questo
voluto attardarsi dell'autore per riflettere su fatti e persone, su atteggiamenti e abitudini, che costituisce
il limite «storico» del volume, è anche il suo pregio «stilistico»: quello di un'avvincente narrazione,
snodantesi analisticamente fra cronaca e storia, fra progetti di alto respiro nazionale e progetti di umile
ospizio per ragazzi poveri, impreziosita e ingentilita da sapide puntualizzazioni, da incisive afferma-
zioni, da considerazioni tanto attente quanto stimolanti.
Un grazie dunque all'autore per aver brillantemente rinfrescato la memoria di una vicenda semi-
sconosciuta, ricca di luci e ombre; un grazie pure all'editrice sale-

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Recensioni
siana che in modo dignitoso ha festeggiato i 100 anni della sua presenza in una città amante della
bellezza e dei libri; un auspicio infine che sotto altri cieli qualcuno ne voglia seguire l'esempio.
FRANCESCO MOTTO
OLARTE FRANCO Julio Humberto, De Agua de Dios al mundo. Bogotá, [Instituto de las Hijas de los
Sagrados Corazones] 1991, 599 p., 4 tav. color, e due cartine.
La tesi di dottorato di Julio Humberto Olarte Franco SDB, presso la Facoltà di Teologia dell'Uni-
versità Pontificia Salesiana di Roma, viene pubblicata in occasione del primo centenario dell'opera
salesiana a Agua de Dios. Un prologo del Rettor Maggiore dei salesiani, D. Egidio Viganò, e una
prefazione dell'autore aprono il volume. Questo si divide in due parti, precedute da una introduzione.
L'introduzione incomincia con una breve esposizione del lavoro di Variara come fondatore dell'I-
stituto delle Figlie dei Sacri Cuori di Gesù e Maria e sull'apertura della sua causa di beatificazione.
Segue una rapida analisi delle biografie del Servo di Dio, già pubblicate. E si definisce il proposito del
volume: fare una storia interna degli avvenimenti cercando di mettere in risalto gli elementi fonda-
mentali e quegli tipici della spiritualità di Variara — a livello personale e a livello di proposta di vita
cristiana —, sia in generale che nel caso particolare delle sue figlie spirituali.
Si passa quindi alla descrizione della struttura del lavoro: il testo originale era diviso in tre parti,
delle quali solo due sono pubblicate. Quella che non viene pubblicata tratta delle fonti.
Nel 1948, l'ispettore di Bogotà tentò di inviare a Torino l'abbondante documentazione esistente
nell'archivio ispettoriale di quella città. Le fiamme del bogotazo, la rivolta popolare di quell'anno,
ridussero a ceneri quel prezioso materiale. Perciò, l'autore, prima di passare al lavoro propriamente
detto, si vide obbligato a un arduo compito di ricostruzione della documentazione. Critica degli scritti
pubblicati o che circolavano all'interno dell'Istituto, ricerca di nuove fonti, studio dell'abbondante
materiale dell'ASC, sono in sostanza quanto descrive questa parte metodologica che serve agli studiosi
piuttosto che al pubblico in generale.
La prima parte del volume riporta un profilo biografico di Luigi Variara. Non mostra solo la sua
evoluzione personale, ma anche cerca di precisare gli elementi che lo portarono a crescere in quel
senso, specialmente l'esperienza di Dio che egli fa nelle diverse fasi della propria vita.
Il profilo biografico segue l'ordine cronologico, dalla nascita a Viarigi, nel 1875, alla morte —
avvenuta in Cucuta, Colombia, nel 1923. Infanzia (1875-1887); formazione salesiana (1887-1894)
nell'Oratorio-di Valdocco, al noviziato di Foglizzo, nello studentato di Valsalice; primo apostolato a
Agua de Dios, mentre studia da solo la teologia (1894-1898); sacerdozio (1898-1923), sono le tappe di
questa, vita. L'ultima tappa, quella sacerdotale, ha dei periodi molto ben definiti: la guerra dei mille
giorni e l'imminente riforma dell'ispettoria colombiana (1898-1905); la fondazione dell'Asilo Michele
Unia e dell'Istituto delle Figlie del Sacro Cuore (il nome

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Recensioni 149
primitivo, fino al 1908); la lotta per allontanare Variara da Agua de Dios (1909-1919); gli
ultimi cinque anni di vita, a Barraquilla, Táriba e Cùcuta (1919-1923).
Ci sono degli episodi che finora non erano conosciuti e che si trattano in base a do-
cumenti totalmente inediti. Si procede inoltre a una chiarificazione tale degli avvenimenti,
che permette una rilettura critica di molti passaggi della vita del servo di Dio, specialmente
dei rapporti con l'ispettore Antonio Aime.
Nella seconda parte si cerca anzitutto di mettere in evidenza il senso unitario e progres-
sivo della figura spirituale di Variara, come rivelato dallo studio della sua biografia. Poi si
penetra nel mondo delle sue convinzioni spirituali e dottrinali, che costituiscono la base che
ispira l'espressione concreta del suo carisma spirituale. Finalmente si riuniscono per temi i
contenuti spirituali e dottrinali esplicitati, oppure rimasti impliciti, in quello che prima fu
puntualizzato e descritto.
Le rapide indicazioni che abbiamo fornito sono già una prova del valore di questa
pubblicazione, per quanti si interessano alla persona del servo di Dio Luigi Variara oppure
vogliono conoscere le origini dell'istituto religioso da lui fondato. L'aver praticamente
ricostruito la documentazione di quel periodo, per quanto riguarda l'archivio ispettoriale
di Bogotà, sarebbe di per se stesso un valido risultato del lavoro di ricerca di Julio Olarte.
Nell'uso poi della documentazione, l'autore è generalmente molto discreto, cercando di non
far dire ai documenti più di quello che possono dire e riportando elementi che sostengano e
l'una e l'altra parte, quando si tratta di argomenti controversi.
Crediamo però che sia utile qualche osservazione in questo campo. Manca nella docu-
mentazione quanto possa far capire l'evoluzione civile e religiosa della comunità umana di
Agua de Dios, dai primi tempi — quando i veterani dei Lazzaretti seppero suscitare una
fiaccola di speranza in quei diseredati dalla fortuna — fino ai tempi in cui si creò una
forte opposizione ai salesiani e al loro lavoro. Il fatto che non sia ancora stato organizzato
su basi moderne l'Archivio Nazionale della Colombia, rende impossibile per il momento
una visione più chiara dell'evoluzione, in quel periodo, della politica del governo e della
Chiesa nei riguardi dei lazzaretti in generale e di quello di Agua de Dios in particolare.
Forse, ma non per tutto il periodo, si potrebbe supplire con la documentazione degli Archi-
vi Vaticani. Si fa anche desiderare la documentazione dell'Archivio delle Suore della Pre-
sentazione, il cui Istituto è così presente in tutta la vicenda presentata nel libro.
L'autore segue l'ordine cronologico nella presentazione dei fatti e lo fa in maniera tale
che non venga a mancare la loro concatenazione logica. Qua e là, però, si pone la domanda:
di quale logica? Crediamo sia giusto che si presentino gli avvenimenti nella logica di Va-
riara, come ha fatto l'autore, poiché si tratta di una biografia del servo di Dio. L'autore ha
fatto anche il possibile per presentarli nella logica di altre persone che a quegli avveni-
menti presero parte attiva.
Sia consentito, però, qualche rilievo. La visita di don Albera meritava una trattazione
più approfondita. In essa infatti si pone la questione dell'identità dell'ispettoria colombia-
na, che sarà fondamentale in tutto il seguito degli avvenimenti.
La presenza e l'agire di Santinelli a Agua de Dios sono intravisti più nel contesto delle
lamentele avutesi contro di lui che in quello dei suoi propositi, della situa-

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150 Recensioni
zione obiettiva creatasi per Santinelli dalla sua condizione di malato, del contesto educativo di quei
tempi fuori di Agua de Dios (per esempio nel campo della coeducazione). Questi sono esempi di aspet-
ti che o ci sono solo in parte o mancano del tutto e che rendono difficile il capire gli avvenimenti.
L'Oratorio di Bavaria è trattato più in funzione degli aspetti negativi della personalità di Aime
che in funzione dell'oratorio stesso e del lavoro che Variara vi svolse.
Ci congratuliamo con Julio Olarte e con le Figlie dei Sacri Cuori di Gesù e Maria per questa pub-
blicazione, con la quale si dà un notevole contributo alla storia dell'azione della Famiglia salesiana nei
lazzaretti della Colombia e alla conoscenza della vita e della spiritualità del servo di Dio Luigi Variara.
A.S. FERREIRA
PIETRZYKOWSKi Jan, Obecność Salezjanów Inspektorii św. Stanisława Kostki na Ziemiach Odzy-
skanych w latach 1945-1952 (La presenza dei Salesiani dell'ispettoria dis. Stanislao Kostka negli
anni 1945-1952 nelle Terre Recuperate), Kutno 1991, 275 p.
Il libro rappresenta il primo lavoro del genere per quanto riguarda lo studio sull'attività dei sale-
siani dell'ispettoria di Varsavia negli anni 1945-1952. Perciò desta un maggiore interesse.
I salesiani delle due ispettorie polacche vissero dopo la seconda guerra mondiale uno sconvolgi-
mento straordinario come conseguenza degli effetti negativi della guerra e «dell'incorporazione» della
Polonia nel sistema comunista. In forza dei patti di Jalta e Potsdam la Polonia perdeva un vasto territo-
rio orientale, ma in compenso otteneva la Pomerania orientale, il resto della Slesia e la Varmia che
facevano parte del Terzo Reich Tedesco. Queste terre furono chiamate «recuperate» in quanto etnica-
mente polacche e storicamente, per periodi più o meno lunghi, appartenute «alla Polonia dei Piasti».
Da esse furono espulsi i tedeschi, potendovi restare in pratica solo coloro che si professavano polacchi.
Siccome questi non erano molti, vi affluirono a migliaia i polacchi espulsi dalla Polonia Orientale e
numerosi altri emigranti polacchi.
Un altro fatto molto doloroso di questa guerra, fu la irrecuperabile perdita di oltre 2.200 preti.
Così si ebbe che il capovolgimento del sistema politico, lo scambio dei territori e il calo enorme
del clero influirono fortemente sulla ripresa completa della vita pastorale in tutta la Polonia postbelli-
ca. Naturalmente ne risentì anche il lavoro salesiano.
L'autore nel suo lavoro — che consta di quattro capitoli e sette tabelle, le quali evidenziano alcu-
ni risultati dello studio — per ragioni strettamente metodologiche, si limita all'ispettoria di S. Stanislao
Kostka di Varsavia, la quale abbracciava il nord della Polonia, comprese la Pomerania e la Varmia.
Nel primo capitolo delinea la formazione tanto della nuova struttura politica

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Recensioni 151
quanto, più prolissamente, di quella ecclesiastica. A questo proposito ricorda che furono
formate nel nord della Polonia tre amministrazioni apostoliche — Gorzów, Gdansk e
Olsztyn — carenti, come si è detto, di clero e dove vennero a lavorare i salesiani
dell'ispettoria di Varsavia, i quali, nonostante rispecchiassero un po' la situazione generale
della Polonia postbellica (38 furono trucidati, 73 per cause differenti dispersi), cercarono
sin dall'inizio di riprendere la loro specifica attività. Ne furono incoraggiati anche dai
Superiori di Torino, tramite il catechista generale P. Tirone, che li visitò alla fine del
1945. Per ragioni nettamente ideologiche ciò risultò, nel corso degli anni, impossibile.
Nel secondo capitolo sono presentate le parrocchie, con breve cenno storico su
ciascuna di esse.
Nel terzo capitolo è descritto il processo d'entrata dei salesiani nelle «terre recuperate».
La voce decisiva per orientare i salesiani ad assumere parrocchie fu quella del Primate della
Polonia card. August Hlond. Essi acconsentirono nella speranza di poter sviluppare qualche
opera educativa. Del resto era la stessa situazione interna dell'ispettoria di Varsavia a
spingere verso tale passo. Vengono quindi presentati a grandi tratti i salesiani che
gettarono «le basi» di tale presenza.
L'ultimo capitolo si concentra sul lavoro parrocchiale svolto dai salesiani fra molte
difficoltà. Quasi tutte le chiese erano state danneggiate dagli eventi bellici o saccheggiate in
seguito e spogliate di tutto ciò che aveva valore. Si doveva in pratica cominciare quasi dal
niente.
Inoltre, e brevemente, lo studio di Pietrzykowski indica anche con chi avevano da fare
i salesiani: era gente che veniva da regioni diverse con tradizioni differenti, incompatibili
tra loro, disaffezionati dalle pratiche religiose. D'altronde i preti garantivano una stabilità
che fu di valore enorme in quei tempi, per rifondare una tradizione locale sulla base della
vita sacramentale. Quei «poveri» parroci dovevano fare un po' di tutto: parroci,
catechisti, costruttori, consiglieri ecc.
Questo studio, da una parte, mette a nudo, la scarsa preparazione dei salesiani al
lavoro pastorale; dall'altra rileva il sacrificio enorme dei salesiani, che si dedicarono a tale
lavoro.
Molto intelligentemente accenna, qua e là, alle difficoltà crescenti da parte del governo
comunista, il quale all'inizio ebbe bisogno immenso dei preti per facilitare il radicamento
della popolazione, ma nel corso degli anni ne ostacolò ogni attività, rendendola persino
turbolenta.
Su 31 presenze salesiane parrocchiali o semi-parrocchiali 2 sole erano quelle educative
nelle «terre ricuperate». Ciò fa capire il cambiamento quasi radicale delle finalità salesiane e
l'inaridimento dello spirito salesiano in assenza di vita comunitaria.
Leggendo lo studio di Pietrzykowski si avverte il bisogno di approfondire certi temi
appena sfiorati. Sembra che egli eviti un aspetto della questione molto delicato, cioè le
ripercussioni a livello ispettoriale dei cambiamenti avvenuti. Sarebbe interessante dedicare
qualche spazio alla dimensione spirituale della vita di quei salesiani. Ci pare che
l'inclinazione di non pochi salesiani alla vita parrocchiale non sia spiegabile solo come un
effetto dell'ultima guerra mondiale. Manca ancora qualche attenzione alle relazioni
reciproche tra il clero diocesano e i salesiani, a chi dei due in-

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Recensioni
fluenzava di più lo stile della convivenza, della collaborazione o lo scambio delle idee se ci fosse stato.
Infine ci sia lecito indicare alcune inesattezze o dubbi. L'autore ci indica a pagina 47, nella nota
8, una pagina sbagliata della dissertazione di J. Krawiec cui fa riferimento; invece di pagina 1 si tratta
di pagina 304. Non è esatta la notizia a pagina 51, nella nota 21, la quale ci informa che don P. Tirone
fu per 14 anni ispettore polacco. Dopo la divisione dell'ispettoria austro-ungarica in due, polacca e
tedesco-ungarica, Tirone divenne ispettore di quella polacca per 6 anni. C'è divergenza tra i dati nella
nota 21 a pagina 111 e nella nota 24 a pagina 122 che concernono un medesimo argomento. L'autore
scrive a pagina 138 che i salesiani accettarono 30 presenze parrocchiali, ma a pagina 254 parla di 31
parrocchie. Come pure è sbagliata la data della nascita e della morte di Jan Domino (pagine 139-140);
invece che nel 1987 è nato nel 1897, e invece del 1973 è morto nel 1971; inoltre la pagina del libro
consultato non è 405 ma 403.
A pagina 148 scrive Folizzo invece di Foglizzo. Riferendo di ordinazioni sacerdotali dell'anno
1936, a pagina 147 le colloca al 26 giugno, a pagina 152 al 21 dello stesso mese; ci sembra una svista
dell'autore. A pagina 230, nella nota 234, Pietrzykowski ritiene che i salesiani polacchi solo dall'anno
1916 pubblicassero «Pokłosie Salezjańskie» (Bollettino Polacco che fu la continuazione di
«Wiadomości Salezjańskie») per i cooperatori salesiani. Di fatto già «Wiadomości Salezjańskie»
avevano proprio il medesimo fine, e furono iniziate nel 1897 a Torino.
Tali inesattezze o sbagli non diminuiscono per niente il valore dello studio di Pietrzykowski. È
uno studio condotto con tutta serietà, in base a ricerche di archivio molto ampie, ed arricchito pure di
letteratura scientifica recente. L'autore dimostra spirito critico sia di fronte alle fonti di archivio come
di fronte a questioni delicate. È rilevante il fatto che il suo studio traccia, sotto certi aspetti, la via per
altri studiosi ed apra finalmente una riflessione scientifica, di cui i membri di ogni istituzione religiosa
hanno bisogno per essere fedeli al carisma del Fondatore e guardare con coraggio al futuro.
Rimane indiscusso il contributo dei Salesiani al lavoro pastorale nelle «terre recuperate», di cui
l'opera di Pietrzykowski dà una prova riuscita.
Ci auguriamo insieme all'autore che questo suo studio sia uno stimolo per proseguire sulla strada
della riflessione scientifica.
STANISLAW ZIMNIAK
SCHOLZ Franz, Zwischen Staatsräson und Evangelium. Kardinal Hlond und die Tragödie der
ostdeutschen Diözesen. Tatsachen. Hintergründe. Anfragen, Verlag Josef Knecht - Frankfurt am
Main, 3., verbesserte und erweiterte Auflage 1989, 239 p.
Il titolo del libro di Scholz è molto attraente. Egli affronta e valuta l'atteggiamento della chiesa
cattolica in Polonia di fronte alla nuova situazione politica dopo il 1945 nei territori che furono
chiamati dai polacchi «terre recuperate». In modo

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Recensioni 153
particolare il suo interesse si concentra intorno alla persona del Primate della Polonia
card. August Hlond, al quale, col decreto dell'8 luglio 1945, furono concesse dalla S. Sede
speciali facoltà.
Egli parte dall'incondizionata resa dell'armata tedesca di fronte agli alleati e all'URSS;
analizza, brevemente, le conferenze di Teheran, Jalta e Potsdam, il cui risultato immediato fu
il nuovo assetto in Europa, da lui definito: «ein Kind des Rechtspositivismus, in dem politisches Han-
deln keiner höheren sittlich-rechtlichen Norm mehr unterstellt wird, in dem der Unterlegene völlig rechtlos
zum Objekt des Siegers werden kann» (p. 47).
Egli ritiene che le deliberazioni prese dai rappresentanti delle suddette conferenze non
siano state sufficienti per autorizzare le autorità ecclesiastiche, sia vaticane come polacche,
a dare corso ai cambiamenti all'interno delle circoscrizioni ecclesiastiche nelle terre passate
alla Polonia.
Le decisioni di Jalta e Potsdam causarono invero uno sconvolgimento inimmaginabile
tra i popoli di quei territori, con effetto distruttivo anche nell'ambito della chiesa cattolica.
Lo avvertì molto bene, essendo ancora a Roma, il card. A. Hlond, che si sentì in obbligo
di chiedere al papa, con cui parlò anche personalmente, speciali facoltà, fornito delle quali,
scritte o non, si adoperò ad ordinare la vita religiosa nei territori «recuperati».
È questo l'oggetto dell'analisi di Scholz, il quale si basa su un'interpretazione travisata
ed imputa a Hlond delle irregolarità in quanto avrebbe retto le cinque amministrazioni
apostoliche senza tener presente l'esistenza né degli ordinari né dei vicari capitolari, cioè
avrebbe interpretato, a scapito della chiesa cattolica in Germania, le facoltà ottenute, non
rispettando l'«audiatur et altera pars». A suo avviso, a proposito delle parole «in tutto il
territorio polacco» contenute nel decreto, il primate le avrebbe applicate nello spirito di
Potsdam, andando oltre le intenzioni della S. Sede, la quale avrebbe avuto in mente solo il
territorio polacco avanti la seconda guerra mondiale. Per altro, così Scholz, la S. Sede non
ha la consuetudine di cambiare le circoscrizioni ecclesiastiche prima che non siano regolati
gli affari politici per opera dei trattati di pace.
Egli guarda tutta l'azione di Hlond e della chiesa in Polonia come una «ripolonizzazio-
ne» dei territori ricevuti. Di più la vede al servizio della «Staatsràson» del governo imposto
da Mosca, come «messianismo polacco» e «strumentalizzazione» della religione cattolica
ai soli scopi nazionali.
Oltre a ciò molto sovente si trattiene sulla «ingiusta» calamità piombata sul popolo te-
desco dei territori passati alla Polonia e giunge persino ad attribuire a Hlond, come pure
agli altri vescovi o preti, la corresponsabilità della tragedia sofferta dai cattolici tedeschi di
quei territori.
Da quanto abbiamo riferito si avverte che i temi sono davvero seri, complessi e
senz’altro inabbordabili senza il pieno accesso agli archivi sia vaticani sia polacchi. Scholz
invece costruisce in pratica una tesi solamente sul decreto dell'8 luglio 1945, attingendo ad
una letteratura da lui selezionata ed omettendo autori come Buchala, Hoffmann, Peikert,
Sthele, Zaborowski.
Un errore più pesante è il fatto che muove dall'anno 1945, menzionando solo di

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Recensioni
passaggio tutto ciò che era accaduto prima, staccandosi così dallo sfondo su cui si
sarebbero dovuti trattare quegli eventi, senz'altro dolorosi, per non correre il rischio di
enfatizzarli.
Scholz dimentica troppo facilmente i veri responsabili del nuovo assetto europeo del
1945: la tragedia di quegli anni va addebitata prima di tutto agli «attori» degli anni
precedenti. Su questo punto nessuno dovrebbe avere dubbi.
Stalin, d'accordo con gli alleati, impose «una cortina di ferro», dove la religione —
sopra tutto cattolica — doveva scomparire quanto prima. Sotto questa ottica dobbiamo
valutare la lungimirante azione del card. Hlond come delegato del papa fornito di speciali
facoltà. Un segnale, a prova, fu la rottura dei rapporti diplomatici con la S. Sede del nuovo
governo comunista in Polonia già il 12 settembre 1945. Ma Scholz sembra non tenerlo
presente.
Suscita alcune perplessità il modo con cui l'autore argomenta. A pagina 104 per
esempio, crede poter dimostrare che la S. Sede non aveva riconosciuto le nomine fatte da
Hlond in quanto l'Annuario Pontificio non le aveva notificate e non tiene conto che
Pietrzak (p. 241), da cui egli attinge molto, sovente osserva che l'Annuario Pontificio non
notificò neppure la nomina dell'amministratore apostolico concordata con la S. Sede nel
1942 per la diocesi di Chełmno in Polonia occupata dai tedeschi. Possiamo aggiungere
che l'Annuario Pontificio non notificò neppure i vicari capitolari tedeschi per Breslavia e
Warmia scelti dopo il 1945, le cui elezioni non suscitarono alcuna obiezione da parte del
diritto canonico. Scholz inoltre passa sopra il fatto che il 26 febbraio 1946 la S. Sede aveva
concesso al vicario capitolare della archidiocesi di Breslavia i diritti del vescovo ordinario
solamente per i territori che facevano parte della Germania. Su questi esempi avvertiamo
facilmente la selezione del materiale per costruire una propria tesi.
Ancora, per quanto concerne le amministrazioni apostoliche rette da Hlond, egli
spiega a pagina 126 a modo suo l'articolo sull'Osservatore Romano del 26 settembre 1945
in cui si conferma l'esistenza di esse. Altro documento importante è il memoriale segreto
«Le cinque Amministrazioni Apostoliche in Polonia nell'agosto 1945» del 24 ottobre 1946,
nel quale il card. Hlond ringrazia Pio XII per l'ottenuta sanazione delle nomine degli
amministratori apostolici. L'autore non lo menziona neppure una volta.
Non si capiscono, inoltre, i motivi della «dimenticanza» di alcuni dati storici. Quando,
p.e., parla della diocesi di Breslavia, passa sul fatto storico che solo colla bolla «De salute
animarum» del 16 luglio 1821 essa fu distaccata dalla metropoli di Gniezno; lo stesso
osserviamo per gli anni in cui la Slesia passò definitivamente al dominio prussiano e di tutto
strano, poi, ci pare il suo commento alla famosa battaglia di Tannenberg (Grunwald).
Scholz, quando parla dell'esagerato nazionalismo polacco, lo spiega col cosidetto
«messianismo», che di fatto ha poco in comune con quest'epoca; forse avrebbe fatto
meglio se l'avesse cercato nel periodo del «Drang nach Osten». Così pure, tatticamente,
sorvola sulle insurrezioni polacche contro i prussiani, come se quelle fossero state
unicamente contro i russi.
Per concludere, dobbiamo tenere conto del fatto che Scholz è professore di teo-

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Recensioni 155
logia morale, perciò esamina e giudica quei fatti storici, i quali di per sé non trovano nessuna
giustificazione agli occhi dei cattolici, da moralista. Ci chiediamo: quando un moralista
affronta una materia storica, può ignorare i criteri storici, senza con ciò attribuire ai fatti
storici una dimensione impropria? E questo, ci pare, sia il rischio che corre l'autore.
Ci sarebbero ancora non poche obiezioni, ma ciò che abbiamo annotato basta a
renderci conto della grande importanza dei problemi trattati da Scholz. E ci dispiace, a dir
la verità, di essere rimasti delusi non solo del metodo con cui temi così validi sono stati
studiati e considerati, ma anche delle molte conclusioni.
Rimane da augurarci che il suo libro sia uno stimolo per trattare quest'argomento in
base ad allargate ricerche archiviali, attingendo, però pienamente, agli studi già effettuati
per chiarire quanto resta ancora da chiarire.
STANISLAW ZIMNIAK
TAMBURRI Stanislao, I cento anni dell'Opera Salesiana di Macerata (1890-1990) con una
«memoria» di Dante Cecchi. Macerata 1990, 157 p.
Il volume «I cento anni dell'Opera Salesiana di Macerata», edito dalla tipografia
Sangiuseppe di Pollenza (Macerata) nell'ottobre 1990, «è nato da un suggerimento espresso
nel convegno annuale degli Ex allievi dell'aprile 1989 e [...] scritto proprio con lo spirito di
richiamare alla memoria degli Ex allievi personaggi, fatti, momenti particolarmente
significativi della loro adolescenza trascorsa a Macerata dai Salesiani» (p. 7).
Effettivamente, sulla base di poche fonti disponibili — la serie discontinua di Parva
Scintilla «voce e specchio della Scuola e dell'Oratorio» (p. 45), appunti e fogli sparsi, notizie
raccolte dalla viva voce di testimoni — l'exallievo prof. Stanislao Tamburri rievoca
efficacemente iniziative, episodi, persone che hanno contrappuntato il cammino centenario
dell'Opera salesiana in Macerata inaugurata, dopo anni di difficoltosa gestazione, il 4
novembre 1890.
L'autore, che è consapevole dell'impossibilità di dire «tutto e bene» (p. 7), ad una sua
precisazione e ad una premessa del direttore fa seguire 11 capitoli, nei quali ribadisce la
finalità dell'Opera «destinata a giovani bisognosi perché vi apprendessero arti e mestieri,
ognuno a seconda della propria inclinazione, e ricevessero dalla scuola serale una istruzione
elementare e professionale» (p. 13), rende omaggio ai primi grandi Benefattori, delinea
protagonisti ed avvenimenti in riferimento alla vita dell'Istituto nelle due branche
dell'Oratorio e della Scuola, con predilezione per i temi dello sport e del teatro, identificati
con la società sportiva Robur e con la filodrammatica don Bosco, evidenzia i rapporti
dell'Istituto con l'esterno, dedica un giusto rilievo agli exallievi.
Integrano il volume una «memoria» del prof, exallievo Dante Cecchi ed una
sessantina di fotografie purtroppo non tutte datate, non sempre collocate secondo lo
sviluppo cronologico, incomplete nella sequenza dei direttori (non mancano solo le due
giustificate - p. 89).

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156
Recensioni
«È uno scritto-memoria», precisa nella premessa il direttore, con nessuna pretesa di attribuirsi
«un esauriente taglio storico», puntualizza l'autore (p. 7).
Ma è pur sempre una “pubblicazione” di “memorie”. Per questo siano consentiti alcuni rilievi.
Il materiale, con cui il volume è stato costruito, non costituisce un amalgama unitario: diversi det-
tagli ricorrono più volte anche a poca distanza, o vengono ripresi per aggiungervi altri particolari prima
omessi; la successione dei 'ricordi' non poche volte disattende l'ordinata linearità cronologica. Il fatto,
inoltre, di imbattersi in dati discordanti, come diremo, lascia intendere che il lavoro non sia stato dili-
gentemente rifinito.
In particolare mi limito a quanto segue: la testimonianza attribuita a don Francesia (p. 15) non
trova riscontro nella fonte indicata; nessun volume degli Annali si suddivide in parti (p. 15); così come
è stata redatta, la informazione, che ha per oggetto la signorina Maria Picciola (p. 20), presenta un'as-
surdità cronologica; gli ascritti (p. 39) da sempre nella tradizione salesiana corrispondono pieno jure ai
novizi; all'atto della fondazione l'Opera salesiana di Macerata contava 4 confratelli (p. 39); la strenna
di don Ricaldone è citata con titolo inesatto (p. 48); il Nunzio Apostolico (p. 49) si chiamava, corret-
tamente, Borgongini Duca; a don Rubino viene assegnato prima il nome di Michele, poi quello di
Michelangelo (p. 31); analogamente De Megni è individuato sia come Giovanni che come Gino (p.
137); della Robur si dice aver festeggiato il 50° di fondazione nel 1955 a p. 73, nel 1956 a p. 146;
anche per l'onorificenza consegnata a don Luigi Baldi risultano in ballo due date (pp. 31, 77); la priori-
tà nell'ordinazione sacerdotale di salesiani a Macerata è contesa da don Liviabella (p. 35) e da don
Stefano Giua (p. 84); parimenti due sono gli oratori ufficiali nel 70° dell'Opera: l'On. Tozzi Condivi (p.
56) e l'On. Concetti (p. 131).
Con tutto ciò all'autore va il plauso per essersi sobbarcato alla paziente fatica di raccogliere e
scrivere queste pagine, tappa verso un'eventuale ed auspicabile ricerca storico-scientifica.
B. CASALI