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RECENSIONI
Grazia LOPARCO, Le Figlie di Maria Ausiliatrice nella società italiana (1900-1922).
Percorsi e problemi di ricerca, «Il Prisma», n. 24. Roma, LAS 2002, 799 p.
È dimessa la nascita ufficiale dell’Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice con
le prime 15 vestizioni e le 11 professioni effettuate a Mornese (Alessandria) il 5
agosto 1872. La silenziosa gestazione aveva comportato, però, la presenza di più riso-
luti protagonisti, storicamente necessari per il verificarsi dell’evento: un gruppo di
giovani associate del paese, le Figlie dell’Immacolata, con a capo Maria Domenica
Mazzarello, il loro direttore spirituale don Domenico Pestarino, dal 1865 salesiano
“esterno” e in data imprecisata salesiano professo, e nel giusto momento don Bosco.
Il prete mornesino, però, amico e discepolo di Giuseppe Frassinetti (1804-1868), vi-
cino quanto a orientamenti morali e spirituali a don Bosco, può aver incontrato l’apo-
stolo della gioventù di Torino già nel 1862/63, rimanendo in seguito in costante con-
tatto con lui e partecipando dal 1865 ai periodici incontri torinesi dei direttori delle
opere salesiane. In essi e in colloqui privati con il fondatore dei salesiani egli faceva
man mano conoscere l’evolversi del gruppo delle Figlie dell’Immacolata, guidate con
popolana sapienza dalla giovane Mazzarello, che con il direttore spirituale le familia-
rizzava sempre più consapevolmente con un tipo di consacrazione a Dio e di aposto-
lato non dissimile in qualità da quello del futuro “fondatore”. Il 28 febbraio 1871 don
Pestarino scriveva al nipote sacerdote a Canelli: “Sono stato a Torino e si decise asso-
lutamente l’apertura del Collegio [l’edificio da lui costruito inizialmente per ragazzi]
in un senso grandissimo. D. Bosco ha pensieri molto larghi e bisognerà ancora fabbri-
care da quanto ho saputo”. Era destinato alle Figlie, dell’Immacolata e dell’Ausilia-
trice. Nell’estate del 1872, infatti, in quella sede aveva inizio il nuovo Istituto di con-
sacrate, grazie alla convergente operosità di giovani donne coraggiose, di un prete
“salesiano” con don Bosco e di un fondatore risoluto a dar loro forma “religiosa” e
corrispondenti strutture di governo e di vita, pur rimanendo fino al 1906 “aggregate
alla Società Salesiana”, com’era precisato nel titolo del testo delle Costituzioni a
stampa del 1978 e del 1885, non ancora di quello approvato dal vescovo di Acqui il
23 gennaio 1876.
Di questo Istituto, affatto autonomo dal 1906, dopo aver rievocato a brevi tratti
le vicende dal 1872 Grazia Loparco ripercorre la storia in Italia tra il 1900, l’anno
della Costituzione apostolica Conditae a Christo e un tempo di allentata tensione tra
la S. Sede e lo Stato italiano, e il 1922, 50° di fondazione e celebrazione dell’impor-
tante capitolo generale VIII. La compatta e articolata monografia, infatti, colloca or-
ganicamente la storia particolare dell’Istituto in un più vasto contesto: la società ita-
liana e la Chiesa e, al loro interno, la presenza e l’intraprendenza di “religiose” con-
frontate con processi di emancipazione della donna, fuori e dentro il mondo cattolico.
Naturalmente, come nella nascita anche negli sviluppi l’Istituto cresce e opera in col-
laborazione di più protagonisti, che prolungano le sinergie delle origini. Tra le princi-

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358 Recensioni
pali “dramatis personae” si trovano donne eminenti: la superiora generale madre Ca-
terina Daghero (1871-1924), suor Marina Coppa Consigliera generale (1905-1928),
suor Maddalena Caterina Morano Visitatrice-ispettrice in Sicilia (1886-1908) e altre
non meno valide, intraprendenti ispettrici, direttrici, educatrici; eminenti sacerdoti
quali don Michele Rua (1885/1888-1910) e don Paolo Albera (1910-1921), rettori
maggiori della Società salesiana, don Filippo Rinaldi, Prefetto generale (1901-1921),
eletto rettor maggiore il 24 aprile 1922; collaboratori in particolari intraprese don
Francesco Cerruti, Consigliere Scolastico generale della Società Salesiana (1885-
1917), don Giovanni Marenco Direttore generale dal 1891 al 1899 e Procuratore della
Società salesiana dal 1899 al 1909, e don Clemente Bretto dal 1899-1908 Direttore
generale dell’Istituto.
Per la realizzazione della costruzione progettata Grazia Loparco disponeva di
un cantiere piuttosto povero di materiali e di utensili. Inesistenti erano monografie
storiche specifiche. Già per l’identificazione delle fonti e della loro ubicazione do-
veva affidarsi in gran parte alla propria immaginazione. Altrettanto problematici si
presentavano il rinvenimento e la selezione dei materiali eventualmente esistenti nei
diversi archivi: ecclesiastici, dell’Istituto FMA, centrali ispettoriali locali, e civili.
Non meno impegnativi si rivelavano il reperimento e la consultazione della larga
messe di eterogenei documenti, editi e inediti, salesiani, ecclesiastici e altri, oltre il
controllo di periodici e quotidiani, a diffusione nazionale, regionale e locale. Nel
corso dell’arduo impianto l’A. poteva individuare i tre centri di irradiazione più signi-
ficativi delle FMA attorno a cui far confluire più produttivamente la sparsa documen-
tazione raggiunta: Nizza Monferrato e Torino, con la casa madre dell’Istituto e della
Società salesiana, Roma, capitale d’Italia e centro della Cattolicità, Catania, nel se-
condo territorio di maggior diffusione dopo il Piemonte. Per la contestualizzazione,
invece, ricca era la bibliografia utilizzabile ed effettivamente controllata: salesiana,
sulle donne, sulla scuola, sulla storia della Chiesa e d’Italia, generale. Lo spiccato
senso storico e la sagacia metodologica consentivano su queste basi di pervenire al-
l’elaborazione di un’esemplare monografia su ventitré anni di storia salesiana al fem-
minile organizzata intorno a due fondamentali nuclei: le persone che costituiscono
l’Istituto vivo e vitale e le opere nelle quali esse svolgono la loro missione apostolica,
ispirate al progetto preventivo praticato e proposto da don Bosco. Essi si materializ-
zano nelle due parti del volume: L’identità religiosa e operativa delle Figlie di Maria
Ausiliatrice e Educatrici ispirate al sistema educativo di don Bosco.
L’attenzione alle persone comporta, anzitutto, la documentazione mediante pre-
cise indicazioni statistiche sull’espansione dell’Istituto dal 1872 al 1922, sull’im-
pianto delle case nell’entità geografica italiana estremamente parcellizzata economi-
camente, socialmente, culturalmente, e in “ispettorie” o province religiose con con-
fini piuttosto mobili e, in esse, sulla distribuzione del personale, calcolato dal 1872 al
1921 sulle 3478 professe (in totale nell’Istituto 5265). “Di primo acchito – precisa
l’A. – si nota che la diffusione delle case FMA ha una certa corrispondenza con la
provenienza regionale delle reclute, tuttavia in vari casi le vocazioni hanno anticipato
l’insediamento. Fermo restando la netta prevalenza delle settentrionali, nei due pe-
riodi (1872-1899; 1900-1921) si constata una rilevante evoluzione” (p. 105). In con-
nessione con il tema dell’espansione dell’Istituto, ma anche con il suo peculiare rap-

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Recensioni 359
porto di dipendenza dal “fondatore” e dai suoi successori in forza dell’“aggrega-
zione” alla Società salesiana, viene pure delineato l’itinerario verso l’autonomia giu-
ridica verificatosi tra il 1902 e il 1906 addirittura con un atipico rude intervento della
Congregazione del S. Uffizio. L’estensore e il firmatario del decreto della Congrega-
zione dei VV. e RR. del 3 settembre 1906 ignorarono perfino che don Bosco fosse il
fondatore dell’Istituto, disattenzione presto sanata. La saggezza dei responsabili dei
due grandi rami della Famiglia salesiana di don Bosco, ben presente nella mente e nel
cuore dei discepoli e delle discepole, consentiva un sicuro e rigoglioso proseguimento
degli uni e delle altre negli affini e concordi itinerari, in risposta a vocazioni ana-
loghe, memori del riferimento biblico caro al fondatore: Funiculus triplex difficile
rumpitur.
Del resto, oltre l’identica origine, sussistevano non deboli somiglianze tra i due
Istituti: l’estrazione sociale dei membri, il loro rapido accrescimento numerico, la dif-
fusione delle opere per l’attuazione dell’identica missione educativa, la mobilità del
personale nella penisola, come mette in evidenza per le Figlie di Maria Ausiliatrice
l’A. nel capitolo dedicato alle suore operanti da educatrici nella società italiana. A
questa incontestabile qualità educativa, già presente nella primitiva associazione mor-
nesina delle Figlie dell’Immacolata, inequivocabilmente confermata e rafforzata per
l’Istituto religioso sia da madre Mazzarello che da don Bosco, erano correlate le mi-
sure riguardanti l’ammissione e l’iniziazione delle postulanti e la formazione spiri-
tuale e culturale delle professe. Proficua fu per la preparazione professionale all’inse-
gnamento e all’educazione l’azione congiunta delle responsabili delle scuole, suor
Emilia Mosca e Marina Coppa e di don Francesco Cerruti, particolarmente visibile
nella qualificazione delle tre importanti scuole normali di Nizza Monferrato, Alì Ma-
rina e Vallecrosia, nel sostegno delle suore allieve del Magistero statale di Roma e di
quelle sollecitate al conseguimento di lauree e diplomi: un modello di esaltante colla-
borazione sotto il segno dell’uguaglianza e della reciprocità.
La seconda parte apre a una gamma di iniziative e di opere talmente assortita,
che non mancherà di stupire chi non è familiarizzato con l’Istituto e la sua storia. È
un marchio originario conferito dalla giovane fondatrice, semplice e ardimentosa,
certamente potenziato da un fondatore, che sicuramente non sprezzava le cosiddette
virtù “passive”, un ossimoro, ma non meno sapeva valorizzare e inoculare intrapren-
denza, ardimento, dinamismo, accompagnati da tempestività e aderenza alle richieste
dei luoghi e dei tempi: il motore del “prevenire” sociale ed educativo. Per organizzare
al meglio la molteplicità delle realizzazioni e l’enorme quantità di informazioni l’A.
si ispira a un documento anonimo del 1917 che distingueva quattro tipi di opere: di-
rette d’istruzione e d’educazione, di preservazione morale, di penetrazione, sorte
dalla guerra. Sarà proficuo a chi si accosta alla documentata e penetrante rievoca-
zione analitica seguirne le particolari vicende con i problemi di origine e di sviluppo
che ciascuna opera pone. Estremamente differenziati sono, infatti, le destinatarie e i
destinatari, la consistenza e l’irraggiamento, gli obiettivi immediati, le funzioni, le
motivazioni, i tempi e la durata, le persone e gli enti che vi sono coinvolti oltre le
suore, le opportunità e possibilità di raggiungimento degli obiettivi religiosi, morali e
sociali e le modalità di pratica del sistema assistenziale ed educativo della “preven-
zione”. Per una prima visione e valutazione sono certamente utili per ognuna le ta-

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360 Recensioni
belle relative alla loro presenza e distribuzione sul territorio italiano, generalmente
con notevoli intercambiabili differenze tra Nord, Centro e Sud. Speciale rilevanza
evidenziano alcune delle tante opere classificate nella prima serie: gli educandati, le
scuole private elementari e di perfezionamento, le scuole gratuite popolari parroc-
chiali, le scuole elementari comunali, gli asili o giardini d’infanzia, le scuole di la-
voro, professionali e di economia domestica, le scuole di religione. “Opere di preven-
zione morale” sono considerati gli oratori, i pensionati, i convitti per studenti, le case-
famiglia, i convitti per operaie, i doposcuola e le scuole serali, le colonie estive, l’as-
sistenza all’infanzia abbandonata e la “Protezione della giovane”. Primaria per le
FMA come per i salesiani sono indiscutibilmente gli oratori; ma esclusivamente è
l’impegno di esse negli asili infantili e nei convitti per operaie con una radicazione
del tutto originale nel tessuto sociale delle famiglie, del mondo del lavoro e dei suoi
problemi, particolarmente acuti in Italia nei decenni precedenti l’avvento del fa-
scismo. La serie delle opere di penetrazione è rappresentata da una densa costella-
zione di iniziative che assembla i catechismi parrocchiali, l’assistenza delle operaie
sul lavoro, l’associazione delle exallieve delle FMA, i corsi di esercizi spirituali, i
pensionati o case di ritiro per signore, gli ospedali e ricoveri per anziani, la case di
suore addette a collegi salesiani. Dalla guerra, infine, nascono impegni negli ospedali
militari e opere per i figli di richiamati e per gli orfani.
Al di là dei diversi problemi organizzativi, economici, legali posti dalle diffe-
renti opere, ritorna in tutte un tema che costituisce, forse, la principale idea guida del
lavoro, tematizzata nella seconda parte: l’adeguatezza o meno delle FMA nell’assimi-
lazione e nella pratica del “sistema preventivo” di don Bosco. Al lettore si presenta
una siffatta gamma di realizzazioni, comprovate da una frequenza tale di riconosci-
menti dai fronti più diversi, compresi quelli ideologicamente prevenuti, da ricavarne
un’impressione largamente positiva, naturalmente temperata dai limiti propri della
“provincia pedagogica”, che ignora la perfetta coincidenza di reale e ideale (quale?)
del regno di utopia. Per don Bosco, per i salesiani e per le Figlie di Maria Ausilia-
trice, il confronto con il tipico metodo o sistema educativo non ha né potrebbe avere
come riferimento soltanto i parziali “pensieri” (“alcuni”, dice don Bosco), “un cenno”
o l’indice di una possibile futura operetta” (non un “trattatello”), come premette l’Au-
tore delle pagine del 1877, tra l’altro evidentemente di indirizzo “collegiale”. Il “si-
stema” è una ricca esperienza nata e vissuta fin dagli anni ’40 e molti ne sono i docu-
menti: i cenni storici, i ricordi confidenziali, le memorie (tra cui salienti le Memorie
dell’Oratorio degli anni ‘70), le lettere individuali e circolari, le conferenze, le bio-
grafie giovanili… Dalla monografia della Loparco le Figlie di Maria Ausiliatrice in
Italia appaiono complessivamente, sia per “trasmissione viva dell’esperienza, per
contagio e tradizione” (p. 285) sia per serie e diligenti conoscenze, valide eredi e ot-
time continuatrici del messaggio pedagogico trasmesso dal fondatore e dalla fonda-
trice. Anzi, chiamate a operare in situazioni molto diverse e, talora, del tutto impre-
viste e ardite – per esempio, i convitti per operaie, il lavoro tra gli emigranti, gli ospe-
dali militari – seppero del “sistema” adottare le più consone versioni metodologiche,
seppure con l’inevitabile sbilanciata sottolineatura di un motivo o dell’altro: disci-
plina e amorevolezza, assistenza vigile e materna fiducia, rigida preservazione morale
e religiosa e libertà condizionata, serie esigenze di impegno (studio, lavoro, pratiche)

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Recensioni 361
e liberazione della gioia nelle molteplici attività di tempo libero. Del resto, don Bosco
stesso, senza esplicitamente teorizzare, era stato maestro nel prefigurare differenziate
metodologie preventive sorte dall’unico ceppo del “sistema”, già evidenti nelle due
principali istituzioni degli inizi: l’oratorio, centro assistenziale e educativo “aperto”, e
collegio-convitto o addirittura piccolo seminario, istituto educativo “totale”. Ne
aveva dato esemplificazioni riflesse anche negli scritti. Per il primo il Cenno storico
dell’Oratorio di S. Francesco di Sales e i Cenni storici intorno all’Oratorio di S.
Francesco di Sales, le Memorie dell’Oratorio di S. Francesco di Sales. Nei Cenni si
delineava perfino un trattamento differenziato per ciascuna delle “tre classi di allievi:
discoli, dissipati, e buoni”. A istituzioni “totali” si riferivano prevalentemente le bio-
grafie di giovani edificanti quali Savio, Magone, Besucco, le pagine del 1877 sul si-
stema preventivo nella educazione della gioventù, il Regolamento per le case della
Società di S. Francesco di Sales.
Della flessibilità e versatilità delle Figlie di Maria Ausiliatrice sono inequivoca
testimonianza i ripetuti giudizi positivi di autorità ecclesiastiche e civili, di imprendi-
tori e di amministratori; e soprattutto le famiglie delle alunne e degli alunni e della
massa delle exallieve. Anche se la maggioranza, forse, non disponeva di conoscenze
pedagogiche specifiche, ne potevano ricavare dagli studi professionali le suore prove-
nienti dalle scuole normali, allieve del Magistero, laureate in università e istituti supe-
riori, le maestre abilitate a lavorare nelle scuole elementari e nei giardini d’infanzia,
quelle operanti nelle scuole di religione e in iniziative catechistiche qualificate. E non
è da dimenticare che non poche di esse diventavano direttrici e ispettrici. Per tutte poi
non mancavano forme di assimilazione di conoscenze e di esperienze sul sistema pre-
ventivo tramite più strumenti: le circolari dei rettori maggiori dei salesiani e della
Madre generale, il Manuale delle Figlie di Maria Ausiliatrice con i vari Regolamenti
inclusi insieme alle pagine del 1877, le conferenze e le istruzioni dei salesiani agli
Esercizi spirituali e simili.
Pur con insistenti interrogativi, che inducono alla riflessione e all’approfondi-
mento, il cospicuo lavoro di Grazia Loparco costituisce una policroma sorprendente
rassegna dei mille volti dell’azione delle Figlie di Maria Ausiliatrice in Italia, spec-
chio di una molteplicità differenziata di destinatari e di richieste. La sostanziale apoli-
ticità istituzionale dell’Istituto e lo stato di cittadine in possesso della pienezza dei di-
ritti “civili” delle suore, come volle don Bosco, consentirono un agevole inserimento
in una società italiana in piena evoluzione politica e sociale. Lo attuarono nel solco
della tradizione nella sostanza, ma con novità di stile nei modi: fermezza nel perse-
guimento dei fini umani e cristiani, apertura e creatività, tatto e garbo (“furberia”?),
disponibilità materna e fraterna (“sorellevole”!), immediatezza e autenticità di rela-
zioni, condivisione di vita giovanile in responsabilità e allegrezza. Tutto ciò e
molt’altro ancora dimostra a evidenza delle Figlie di Maria Ausiliatrice la straordi-
naria monografia di Grazia Loparco: né “monache”, né “claustrali” – confermavano
don Marenco e don Albera – ma “Figlie di Maria Ausiliatrice, fondate da don Bosco”
e da madre Mazzarello, “per la propria santificazione e l’educazione delle fanciulle”.
Pietro Braido

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362 Recensioni
Antonio MISCIO, La seconda Valdocco. I Salesiani di Don Bosco a Genova Sampier-
darena. Voll. 2. Torino, LDC 2002, 539 e 477 p.
La vita della casa salesiana di Genova-Sampierdarena dalla fondazione nel
1872 al 1962 è al centro di questa monumentale opera, che racconta cronologica-
mente la storia di una comunità che per 90 anni è vissuta a servizio di migliaia di gio-
vani nelle aule scolastiche, nei laboratori, nei cortili, nella camerate, nei refettori, nei
teatrini, svolgendo altresì notevole attività oratoriana, parrocchiale, tipografica e ope-
rando attivamente nelle emergenze nazionali ed internazionali. Nelle oltre 1000 pa-
gine si trova un’ampia panoramica di eventi locali, che però lasciano intravedere l’o-
pera della congregazione salesiana in quanto tale – meglio sarebbe dire della Fami-
glia Salesiana, comprese dunque anche le Figlie di Maria Ausiliatrice e i numerosis-
simi Cooperatori – non soltanto a Genova, ma anche a Torino, in Italia, in Europa, nel
mondo intero. Non per nulla l’autore intitola la casa l’opera di Sampiedarena la “se-
conda Valdocco”, vale a dire la culla, la matrice dell’opera di don Bosco sparsa nei
cinque continenti. Colà vissero ed operarono vari rettori maggiori; di là partirono per
le loro destinazioni di oltreoceano grandi e famosi missionari.
L’autore, dedicatosi alla storia salesiana nell’ultimo decennio, pure in questa ul-
tima opera non si allontana dal modello di ricerca già adottato in occasione della
storia di altre case salesiane della Liguria e della Toscana (Firenze, Pisa, Alassio, Li-
vorno, Lucca, Collesalvetti, Figline Valdarno), di cui RSS si è già occupato (RSS 20 -
1992 - pp. 146-148, 30 -1997 – pp. 214-218).
Una Storia un po’ “particolare” quella di Miscio, che è anche “Memoria”, tanta
è la simpatia che l’autore decisamente manifesta per la sua opera e per le decine e de-
cine di salesiani che presenta, non pochi dei quali anche conosciuti personalmente. La
sua narrazione è in qualche modo autobiografica: è un salesiano di una certa età che
parla di un’esperienza di vita che in qualche modo ha vissuto sulla propria pelle. Ed
allora le pagine si impregnano di commozione, di partecipazione emotiva, di condivi-
sione di gioie e dolori, e perché no?, anche rimpianti e sospiri. Pagine invero di ot-
tima letteratura, dove si direbbe che prosa e poesia gareggiano nell’offrirci squarci di
grande spessore, grazie ad una parola forbita, elegante, classica, mista ad un tempo a
quella più popolare, colloquiale, familiare. La lunga esperienza di docente di belle
lettere viene messa dall’autore a buon frutto nelle pittoresche descrizioni di paesaggi,
nell’essenziale presentazione di avvenimenti, nei rapidi, precisi e accattivanti profili
di personaggi.
Letteratura e storia dunque – l’autore non si offende se si dice che l’opera va
letta come si legge un romanzo, è scritto sul risvolto di copertina – ma entro certi li-
miti, in quanto a dominare non è tanto la pur felice ispirazione, l’ammirevole estro, lo
stile avvincente dello scritto, la formidabile capacità dell’autore di assemblare docu-
menti a sua disposizione, altrimenti inerti, ma il tempo che passa implacabilmente, la
cronaca degli anni scolastici in qualche modo tutti uguali, tutti scanditi dalle stesse
circostanze: arrivi e partenze, apertura e chiusura, esami, feste religiose, visite illustri,
gite, divertimenti, vacanze... e così via. Inesorabile il tempo scandisce le tappe della
vita della casa salesiana, come dei singoli confratelli. Ovviamente una microstoria in-
serita nel contesto politico e sociale, culturale e scolastico, edilizio e demografico di

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Recensioni 363
una città, in rapporto con la nobiltà cattolica o la borghesia illuminata, col mondo del
lavoro e del tempo libero, dell’associazionismo e dell’emigrazione, in tempi di guerra
e in tempi di pace.
Non mancano ampie digressioni sul metodo educativo di don Bosco, sugli ele-
menti fondamentali della spiritualità salesiana, sul ritmo massacrante della vita quoti-
diana degli educatori salesiani, sulla loro formazione culturale, sulle gioie e i dolori
di una comunità scolastica, parrocchiale e oratoriana come quella di Sampierdarena.
L’opera di Miscio, che agli storici di professione può sollevare più di una per-
plessità per l’atipicità dei criteri metodologici seguiti e per qualche disinvoltura di
troppo – come accettare una condanna senza appello come quella inflitta dall’autore a
mons. Gastaldi, tanto per limitarci ad un esempio? – potrà invece apparire godevolis-
sima al comune lettore, o, meglio ai confratelli e agli amici di don Bosco, che inten-
dano rivivere i fasti (e anche le sconfitte) del passato dei Salesiani di Sampierdarena,
il modo in cui hanno attuato in loco un progetto educativo sorto altrove, che se da un
lato ha subito condizionamenti non solo ambientali, dall’altro è stato fecondato dal-
l’attività creativa della comunità operante appunto in quella che all’epoca era l’e-
strema periferia di Genova. Custodire il patrimonio che ci viene dalle generazioni
passate è arricchire la propria umanità, chiarire l’identità personale e sintonizzarsi
con quelle istituzioni di cui ci si sente parte viva e attiva, mettere le premesse per cre-
scere in profondità e in prospettiva. L’autore ha il merito di aver dato al riguardo un
suo valido contributo.
Francesco Motto
F. MOTTO (a cura di), L’Opera salesiana dal 1880 al 1922. Significatività e portata
sociale, Atti del 3° Convegno Internazionale di Storia dell’Opera salesiana,
Roma, 31 ottobre-5 novembre 2000, 3 voll. Roma, LAS 2001, 469, 470, 557 p.
Promosso dall’Istituto Storico Salesiano in collaborazione con l’Associazione
Cultori Storia Salesiana è stato celebrato il 3° Convegno Internazionale di Storia del-
l’opera salesiana (Roma, 31 ottobre-5 novembre 2000) dal titolo: «Significatività e
portata sociale dell’Opera salesiana tra il 1880 e il 1922».
L’obiettivo del Convegno, seguendo l’Introduzione di Francesco Motto, può es-
sere sintetizzato come segue. Come molti fondatori e fondatrici dell’800, anche don
Bosco e madre Domenica Mazzarello hanno inteso operare nella società e a van-
taggio della società, operando con le loro istituzioni principalmente a favore dei “gio-
vani poveri e abbandonati” nel campo dell’educazione, della promozione, della
scuola, dell’assistenza. Ma se don Bosco e la Mazzarello vissuti in un quadro socio-
culturale ancora preindustriale, non si sono direttamente ed esplicitamente interrogati
sulla “questione sociale”, che invece acquisterà assoluta rilevanza negli ultimi de-
cenni del secolo XIX, con essa hanno dovuto misurarsi i loro primi successori. I Sale-
siani di Don Bosco (SDB) e le Figlie di Maria Ausiliatrice (FMA), per vie di fatto più
che per una consapevolezza sociale esplicita, in pratica per rispondere a un impera-
tivo evangelico, per riconquistare alla fede i giovani a rischio e masse di popolazioni,
per la redenzione morale e spirituale degli emigrati, per “la civilizzazione e la cristia-

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364 Recensioni
nizzazione” degli Indios dell’America, hanno realizzato una notevole serie di inizia-
tive sociali, hanno instaurato un serio dialogo con le istituzioni civili e politiche di
vari paesi dalla efficacissima ricaduta sul piano della costruzione della società civile.
L’esito positivo di tale impresa, in situazioni a volte di conflitto tra Stato e Chiesa, si
deve alla capacità di dare precise risposte a situazioni di disagio sociale, economico,
educativo, religioso, di sapersi adeguare a particolari richieste della comunità civile
di numerosissimi paesi europei ed extraeuropei.
I contributi, pubblicati nei tre volumi degli Atti, in vario modo intendono ri-
spondere ai due criteri fondamentali che sono stati oggetto del Convegno: l’impatto
sociale (di un’opera o di un gruppo di opere, di una scelta istituzionale…) e quello
cronologico: il quarantennio 1880-1922, che copre gli ultimi anni della vita di don
Bosco, il rettorato di don Michele Rua (1888-1910) e quello di don Paolo Albera
(1910-1921) per i Salesiani, mentre per le Figlie di Maria Ausiliatrice si deve fare ri-
ferimento unicamente a madre Caterina Daghero (1881-1924), succeduta a madre
Maria Domenica Mazzarello. I numerosi contributi presentati al Convegno (per l’e-
sattezza 55) sono stati organizzati in tre volumi, che corrispondono in linea generale a
vaste aree geografiche, per cui, rispettivamente, hanno i seguenti titoli: vol. I, Con-
testi, quadri generali, interpretazioni (469 p.); vol. II, Esperienze particolari in Eu-
ropa, Africa, Asia (470 p.); vol. III, Esperienze particolari in America Latina (557
p.). Ogni singolo volume è provvisto di Indici: delle persone, dei luoghi e generale. Il
primo volume contiene anche il sommario generale di tutta l’opera e le introduzioni
di rito al Convegno, mentre la conclusione dello stesso si trova nel terzo volume.
Tutto il materiale prodotto è il risultato di attente e ampie ricerche archivistiche e di
quattro seminari metodologici preparatori al Convegno, che si sono svolti in America
Latina (Ypacaray-Paraguay nel 1997; S. Paolo-Brasile nel 1999) e in Italia (Roma nel
1997; Como nel 1999).
Il primo volume, dopo le pagine dedicate all’apertura del Convegno, contiene
15 relazioni: due sul contesto storico-ecclesiale tra Otto e Novecento, quattro sul con-
testo storico-sociale delle congregazioni dei Salesiani e delle Figlie di Maria Ausilia-
trice (FMA), più una sul ruolo dei Cooperatori salesiani, quattro relazioni regionali in
ambito europeo e quattro nell’ambito dell’America Latina. Di questi contributi sotto-
lineiamo quelli inerenti il quadro generale: Mario BELARDINELLI, L’Europa tra Otto-
cento e Novecento; Alberto GUTIÉRREZ, Contexto historico de Latinoamerica (1880-
1922); quattro sul contesto storico-sociale delle congregazioni dei Salesiani e delle
Figlie di Maria Ausiliatrice: Morand WIRTH, Orientamenti e strategie di impegno so-
ciale dei Salesiani di don Bosco (1880-1922); Silvano SARTI, Evoluzione e tipologia
delle opere salesiane (1880-1922); Grazia LOPARCO, Orientamenti e strategie di im-
pegno sociale delle Figlie di Maria Ausiliatrice (1881-1922); Enrica ROSANNA,
Estensione e tipologia delle opere delle Figlie di Maria Ausiliatrice (1872-1922); e le
relazioni relative alla Patagonia: María Andrea NICOLETTI, La imagen del Indígena de
la Patagonia: aportes científicos y sociales de Don Bosco y los Salesianos (1880-
1920); Silvia Laura ZANINI, Patagonia: terreno para una istoria social de los Sale-
sianos. El choque cultural. Rileviamo, per questi contributi, che di contro alle ricor-
renti informazioni giornalistiche sulla Patagonia e sull’operato dei missionari, spesso
di parte e non chiaramente documentate, i saggi della Nicoletti e della Zanini, corre-

1.9 Page 9

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Recensioni 365
dati da documentazione inedita ed edita e da una ricca bibliografia, sono da tenere
presenti per l’impegno proteso verso una equilibrata ricostruzione e comprensione
storica dei fatti.
Il secondo volume contiene 19 relazioni che fanno riferimento a significative
esperienze realizzate in Europa (Italia 7; Spagna 2; altri Paesi europei: Belgio 1,
Francia 1, Vienna 1, Svizzera 1, Galizia 1) in Africa (Mozambico, Sud Africa, Congo
Belga) ed in Asia (India, Macao). Nell’impossibilità di rendere conto della ricchezza
e della varietà di tutti i contributi, sottolineiamo soltanto quello relativo all’emigra-
zione degli italiani, che ci sembra particolarmente attuale, anche se oggi gli italiani si
trovano sul versante di chi accoglie: Luciano TRINCIA, L’Opera salesiana tra gli emi-
granti italiani a Zurigo: origini di una presenza. Il fenomeno emigratorio, dalle in-
credibili proporzioni, violentemente esploso tra fine Ottocento e inizio Novecento,
«ha presto costituito uno dei cardini della riflessione pastorale dei salesiani, sia nelle
sue direttrici transoceaniche, che in quelle continentali […] La ricerca avviata ha
quindi per oggetto le iniziative di tutele avviate in campo cattolico a favore dei lavo-
ratori italiani presenti a Zurigo e in tutta la Svizzera dalla Società di S. Francesco di
Sales, dal 1887 alla fine della prima guerra mondiale. Inseriti in un contesto sociale,
politico e religioso per molti versi ostile, gli immigrati italiani nei principali centri in-
dustriali dell’Europa centrale trovarono nell’attaccamento ai valori espressi dalle isti-
tuzioni religiose di confessione cattolica la capacità di resistere alle pressioni assimi-
latorie esercitate da organizzazioni di carattere politico e anche religioso della società
d’accoglienza, evitando così di adattarsi passivamente alla cultura locale e al sistema
industriale che aveva determinato il loro esodo» (pp. 286-287).
Il terzo volume contiene 21 relazioni che fanno riferimento ai Paesi dell’Ame-
rica Latina: 5 per l’Argentina, 7 per il Brasile, 2 per la Colombia, 2 per il Messico, 1
per il Salvador, il Costa Rica, il Perù e l’Uruguay, 1, infine, per un ex allievo sale-
siano del Colegio Pío di Villa Colón (Uruguay). Anche del ricco materiale che com-
pone questo volume sottolineiamo soltanto alcuni contributi, che presentano un parti-
colare interesse scientifico o danno testimonianza di significative ed “eroiche” realiz-
zazioni sociali.
María Elena GINÓBILI DE TUMMINELLO, Aportes científicos de los Salesianos en
la Pampa-Patagonia Argentina: Obra inédita del padre Lino D. Carbajal (1898-
1903). Observaciones etnográficas e históricas de sus viajes. Entrevista histórica
oral a una mujer cautivada por los indígenas, si propone due obiettivi: portare a co-
noscenza l’importante materiale scientifico etnografico del salesiano don Lino De-
valde Carbajal, accumulato durante i suoi viaggi, e nello stesso tempo, come è stata
comprovata, la scientificità di tale materiale. Un saggio tutto da leggere per il suo alto
valore culturale e da tenere presente insieme a quelli proposti nel primo volume sulla
Patagonia.
Marcos Gabriel VANZINI, Fundación de los Hospitales de Viedma y Rawson
(Patagonia Argentina) según las memorias del Padre Bernardo Vacchina (1887-
1917), descrive le motivazioni sociali che indussero il salesiano don Bernardo Vac-
china a fondare, nel corso dell’evangelizzazione, l’ospedale “San José” a Viedma e
l’ospedale “Buen Pastor” a Rawson, entrambi nel Vicariato Apostolico governato da
mons. Giovanni Cagliero. In realtà, la drammatica situazione sanitaria indusse i mis-

1.10 Page 10

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366 Recensioni
sionari salesiani a realizzare concretamente ciò che don Bosco aveva loro raccoman-
dato nel quinto ricordo: «Prendete cura speciale degli ammalati, dei fanciulli, dei
vecchi e dei poveri, e guadagnerete la benedizione di Dio e la benevolenza degli uo-
mini». Ricordiamo che proprio nell’ospedale di Viedma ha svolto la sua missione il
salesiano laico Artemide Zatti, giunto all’onore dell’altare.
Ana Luiza DE OLIVEIRA DIAS – Ivanette DUNCAN DE MIRANDA, «Escola Normal
Maria Auxiliadora»: património moral e intellectual de Minas Gerais na formação
da mulher. Ponte Nova, Minas Gerais – Brasil (1893-1922): la relazione, utilizzando
varie fonti archivistiche, dopo aver descritto il contesto politico, sociale ed ecclesiale
dello stato di Minas Gerais (Brasile) e della città di Ponte Nova, si sofferma sulla
fondazione della Scuola Normale delle FMA e sul suo progetto educativo, che ebbero
un notevole influsso sociale, soprattutto nella formazione della donna e nel migliora-
mento della condizione femminile. Maria Augusta DE CASTILHO, La primeira expe-
riência de educação indígena salesiana no Brasil: encontros e confrontos para a so-
brevivência dos Bororo na Região dos Tachos, delinea la prima esperienza educativa
salesiana nei confronti degli indigeni Bororo attraverso cinque densi paragrafi: don
Luigi Lasagna (poi vescovo) e la prima espansione missionaria salesiana in Brasile e
in particolare nel Mato Grosso; l’affidamento ai Salesiani della colonia Teresa Cri-
stina per evangelizzare gli indios; la Colonia “dos Tachos”: la prima missione per gli
indigeni Bororo fondata dai Salesiani e dalle FMA; la politica statale volta ad accul-
turare gli indigeni alla cultura dominante, quando non allo sterminio; l’incontro ed il
confronto culturale attuato dai missionari per la sopravvivenza dei Bororo. Frutto di
questo confronto sono le opere della lingua bororo e artefatti della loro civiltà che si
devono a don José Pessina ed a don Antonio Cobalchini, l’educazione dell’indio Mi-
guel Magone che fu anche in Europa e quella dell’indio Tiago Marques, che aiutò
moltissimo don Cesare Albisetti nell’elaborazione del dizionario bororo. Airone
CARVALHO - Maria Camilla DE PALMA, A multiplicidade funcional de uma Coleção
Museológica, delineano un’interessante relazione che rivela la molteplicità funzio-
nale della collezione museologica sui Bororo (dovuta a nuovi criteri di impostazione
per rendere “umano” il museo etnologico) del Colle don Bosco, che è impiegata a
livello didattico pedagogico nella scuola della Riserva Indigena di Mercuri, nella
prospettiva di un recupero dell’identità e dei valori culturali dei Bororo.
Vilma PARRA PÉREZ, Colombia: obra de las Hijas de María Auxiliadora en
Contratación. Su proyección social (1898-1930), delinea la fondazione e lo sviluppo
nel tempo della prima opera delle FMA in Colombia, che, rispondendo all’appello di
don Evasio Rabagliati, si dedicarono alla cura ed all’assistenza degli ammalati di
lebbra della città di Contratación, che all’epoca non godevano di alcuna assistenza
umanitaria. Le FMA, attraverso le visite domiciliari, l’oratorio festivo, gli ospedali
lazzaretto “Don Bosco” e “Madre Mazzarello”, l’asilo “María Auxiliadora” per le
bimbe inferme a Contratación e l’asilo per le bimbe sane a Guadalupe, l’ospedale
“Santa Caterina” per le ragazze sopra i 15 anni, la “Sala-cuna” per i bimbi nati sani,
l’asilo “San Bernardo” in Guacamayo affidato ai Salesiani e la scuola municipale, fe-
cero ciò che sembrava impossibile, scrivendo una pagina eroica umana e cristiana.
Ne sono una piccola testimonianza i medaglioni delle suore Teresa Rota, Domingo
Barbero, Modesto Ravasso.

2 Pages 11-20

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2.1 Page 11

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Recensioni 367
Jorge ATARAMA RAMÍREZ, Aporte de los Salesianos a la educación técnica en
Arequipa (18891-1924), dopo aver accennato alla situazione politica ed economica di
Arequipa (Perù) tra Otto e Novecento ed al sistema educativo, in particolare all’istru-
zione tecnica, delinea l’importanza delle scuole tecniche salesiane, che contribuirono
notevolmente all’evoluzione del Paese in questo sistema educativo. Tra i contributi
concreti che i Salesiani apportarono (vedi pp. 454-455), sottolineiamo la realizza-
zione dell’Osservatorio meteorologico di Arequipa.
Francisco LEZAMA - Daniel STURLA, El Observatorio Meteorológico del Co-
legio Pío de Montevideo. Primizia científica de la Congregaciòn en America, deli-
neano la storia dell’impianto e dello sviluppo del primo Osservatorio meteorologico
dell’Uruguay, che fu installato nel Colegio Pío IX di Villa Colòn, vicino a Monte-
video, nonché il contributo che tale realizzazione apportò alla scienza meteorologica.
Pedro GAUDIANO, El exalumno salesiano uruguayo Dr. Luis Pedro Lenguas
(1862-1932), médico, político, periodista, promotor de obras sociales, con fama de
santidad, delinea la figura di questo exalunno salesiano della prima generazione del
Colegio Pío di Villa Colón, morto in concetto di santità, e l’influenza che ha eserci-
tato nella Chiesa e nella società uruguayana. Il dott. Pedro Lenguas è stato un medico
“apostolo”, un convinto assertore della libertà della Chiesa e dell’uguaglianza dei di-
ritti dei cattolici di fronte alla legge, fondatore del “Círculo Católicos de Obreros” di
Montevideo, fondatore del periodico “El Amigo del Obrero”. Il dott. Pedro Lenguas
può essere indicato come uno degli esiti migliori dell’educazione salesiana.
Le 55 relazioni, di vario spessore culturale, fondate comunque su ricerche ar-
chivistiche, offrono uno spaccato notevole dell’impianto del carisma salesiano (SDB
– FMA) nel contesto storico, sociale, economico, culturale, ecclesiale ed educativo
tra Otto e Novecento in diversi paesi del mondo. Le situazioni di sfida dei paesi del-
l’America Latina nel passaggio dal colonialismo all’indipendenza, l’anticlericalismo
della Francia, del Portogallo, la rivoluzione liberale dei paesi del Sud America, la
drammatica situazione degli indigeni della Patagonia, della Terra del Fuoco e degli
indi del Mato Grosso e dell’Ecuador, il razzismo e la povertà del Sud Africa, le tra-
sformazioni socio economiche di Macao, l’industrializzazione dell’Europa, le incom-
prensioni con le autorità ecclesiastiche, il mondo operaio e contadino, le situazioni di
povertà e di malattia (impressionante, ma nello stesso tempo eroica, l’esperienza
delle FMA con i malati di lebbra), l’emarginazione femminile e in genere le sfide
educative sono stati altrettanti appelli per un impegno concreto per i Salesiani e per le
Figlie di Maria Ausiliatrice. «Certo [scrive Francesco Motto, nella conclusione] non
furono tutti successi, anche se le opere qui selezionate si collocano, per ovvi motivi,
nella prospettiva della riuscita sociale e non del fallimento. Ma come tutte le realtà
umane, anche le realizzazioni dei salesiani e delle Figlie di Maria Ausiliatrice furono
ricche di luci e di ombre; al loro entusiasmo umano e spirituale non sempre corrispo-
sero quelle doti di intelligenza, apertura mentale, cultura, professionalità e profondità
spirituale che i tempi e i luoghi esigevano; idiosincrasie, tradizioni e contraddizioni,
abitudini personali e comunitarie, rallentarono o impedirono l’indispensabile ma
arduo processo di inculturazione» (vol. III, p. 520). In pratica, per la comprensione
della “storia salesiana”, situata a sua volta nell’ampia storia civile ed ecclesiale, sono
necessarie non solo altri tipi di ricerca con altri oggetti da investigare, ma anche, sulla

2.2 Page 12

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368 Recensioni
base di tante microstorie che speriamo continuino ad essere svolte, di studi storici in-
terpretativi di ampio respiro.
Francesco Casella
M. NARDELLO - G. ZACCHELLO, E. GHIOTTO – G. GRENDENE, “Cent’anni per Schio
(1901-2001) – L’opera educativa dell’Oratorio salesiano “S. Luigi” narrata
per immagini”. Schio 2001, 426 p.
Oblio, mancanza di memoria, assopimento e scomparsa degli affetti, dei senti-
menti, dei propositi e dei progetti più belli e gloriosi… tutto col tempo sbiadisce e
scompare. La foto sembra esser un atto di ribellione a tutto questo, un tentativo di im-
mortalare e far durare nel tempo almeno un pezzo di vita e di gloria o di dolore.
Siamo tutti convinti che ogni foto, quasi fosse un simulacro della realtà, sia un pezzo
di vita che in qualche modo non vuole essere distrutta e buttata via dalla dimenti-
canza e dalla non curanza che il tempo inesorabilmente sviluppa in ogni coscienza
umana. Per questo, a volte, invece di scrivere volumi di cronache e di documentatis-
sime storie, si sceglie la strada di pubblicare un libro di cronaca fotografica come
hanno scelto di fare i salesiani e gli amici di don Bosco della città di Schio con il vo-
lume qui in oggetto.
Ho “letto” il volume intero con il giusto tempo per osservare e contemplare
ogni foto. Ho anche “letto” ogni fotografia e con la simpatia e l’affetto dovuti a ri-
cordi di famiglia, nella coscienza che il volume che avevo tra le mani si rivelava
sempre più una autentica tessera centenaria del mosaico di don Bosco nel mondo e
nella storia. Sono stato così spinto a puntualizzare qualche indicazione che potrebbe
servire a capire e a valorizzare libri preziosi come il presente.
1. La fotografia può essere documentazione: a. “io c’ero” (la fotocronaca è pri-
mariamente fatta per coloro che erano presenti agli eventi, a differenza dello studio
storico che è fatto senza dubbio soprattutto per chi non avendo vissuto certi eventi
vuole conoscerli il meglio possibile, cioè con la massima garanzia di documentazione
obiettiva; b. “eravamo tanti o pochi”; c. “c’erano le tali e altre persone con i loro ruoli
e le loro caratteristiche…”. La fotografia può essere istantanea di vita: a. un’azione;
b. un momento celebrativo; c. persone in azione con i rispettivi sentimenti e reazioni.
La fotografia può essere “simbolo” di un sentimento, di un’idea, di un ideale, di una
concezione della vita e della realtà, dell’animo delle persone.
2. Per cronaca fotografica possiamo intendere la narrazione di un evento o di
un pezzo di vita personale o comunitaria attraverso un insieme di fotografie necessa-
riamente ordinate secondo temi narrativi che sintetizzano la vita e l’evento narrato.
Pertanto: Cronaca in quanto segue lo sviluppo temporale delle azioni e degli eventi
che costituiscono la vita di un ente o di una persona -; fotografica perché con le foto
si cerca di documentare le azioni, gli eventi e le persone.
Nella linea di queste riflessioni ecco alcune categorie che mi sembrano ade-
guate alla comprensione dei significati delle fotografie presenti nel volume. Si tratta
certamente di una scelta arbitraria, ma che si sforza di tenere presente la natura e le
caratteristiche espressive delle fotografie pubblicate nel volume.

2.3 Page 13

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Recensioni 369
SEZIONI
Ambienti Documenti Gruppi Gruppi
statue
disegni istituzionali informali
COPERTINA
E PRESENTAZIONE
3
I PRIMORDI
1
STRUTTURE EDILIZIE
24
3
4
4
ASSOCIAZIONI
8
13
51
17
SCUOLA PRESSO
L’ORATORIO SALESIANO
35
BANDA E
FILODRAMMATICA
8
25
4
SPORT
40
2
SOGGIORNI E GITE
1
2
21
21
GIOCO E FORMAZIONE
5
12
FAMIGLIA SALESIANA
3
25
8
LITURGIA E CATECHESI
1
5
6
RICONOSCENZA
3
37
34
213
71
Foto di
vita
17
41
2
11
9
13
51
25
33
4
206
TOTALE
3
1
52
130
37
48
51
58
68
61
45
7
561
Un rilievo statistico:
1. Documenti, disegni e manifesti fotografati… = 34 su 561 pari al 6.0 %;
2. Ambienti, architetture, statue…
= 37 su 561 pari al 6.5 %;
3. Gruppi informali: gruppi di persone presenti… = 71 su 561 pari al 12.6 %;
4. Foto di vita istantanee…
= 206 su 561 pari al 36.7 %;
5. Gruppi istituzionali: classi, gruppi organizzati… = 213 su 561 pari al 37.9 %.
I dati rilevati, credo, aiutino a comprendere i contenuti e le bellezze di questo
affresco che ci racconta cento anni di presenza dei salesiani a Schio. Le didascalie e i
testi di spiegazione e di documentazione che collegano i testi fotografici e le varie
parti del libro sono preziosissimi per ricostruire con completezza la struttura della
cronaca narrata.
Ciò detto, vorrei però indicare una prospettiva di futuro per quanti fossero inte-
ressati ad ampliare ed approfondire un simile interessante cammino di documenta-
zione. Di per sé, in qualche modo, lo dovrebbero essere tutti i cultori della storia sale-
siana. Se è ovvio che vada conservata una notevole presenza delle foto di documenta-
zione e di gruppi istituzionali, perché permettono ai diversi attori di riconoscersi e di
fare memoria degli anni eroici di un passato che è giusto e doveroso non dimenticare,
è però altrettanto importante immettere in queste narrazioni fotografiche una più de-
cisa e preponderante aliquota di foto “simboliche”, che sappiano significare non solo
gli eventi narrati cronachisticamente, ma anche lo stile la vita, gli ideali e le grandi
idee portanti che fanno parte di una storia di persone, di comunità e di iniziative che
esprimano il carisma di un santo come don Bosco e del vasto “movimento” interna-
zionale che da lui ha avuto origine.

2.4 Page 14

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370 Recensioni
Come semplice elenco esemplificativo, ma forse stimolante e nello stesso
tempo provocante, indico una serie di ideali, di idee, di sentimenti, di situazioni vitali,
di rapporti tra persone e di situazioni “classiche” della vita salesiana che, a mio pa-
rere, dovrebbero trovare adeguate immagini significative in ogni racconto per imma-
gini della vita salesiana: 1. L’assistenza salesiana: una vita vissuta in compagnia per
poter sentirsi davvero vicini e compagni di viaggio. 2 Le grandi figure scomparse ma
ancora presenti nel ricordo e nell’eredità lasciata. 3. La vita di famiglia vera con le
sue componenti: eventi e momenti gioiosi e dolorosi, momenti ed eventi di fatica e di
lotta, situazioni dure che hanno lasciato un segno: distruzioni, guerra e conseguenze,
disgrazie, momenti di intimità e di amicizia quotidiana, grandi feste ed avvenimenti.
4. Formare l’onesto cittadino e il buon cristiano: nella preghiera e vita spirituale,
nella carità e nell’impegno civile. 5 La collaborazione con le istituzioni cittadine ed
ecclesiali. 6 I cardini del sistema preventivo di don Bosco: ragione, religione, amore-
volezza, lavoro, gioia… E l’elenco non finisce qui…
Gigi Di Libero
Alessandro PORTELLI (ed.), Il Borgo e la borgata. I ragazzi di don Bosco e l’altra
Roma del dopoguerra. Roma, Donzelli Editore 2002, 142 p.
A Torino, sul finire degli anni quaranta dell’Ottocento, don Bosco ha osato
molto, lanciando una sfida; a Roma, esattamente cento anni dopo, i salesiani del
Borgo Don Bosco a loro volta hanno osato, raccogliendo un’inedita sfida: inedita,
perché poco o nulla aveva a che vedere con quelle raccolte nelle altre pur significa-
tive presenze educative in città. Come il loro «padre e maestro», hanno letto i segni
dei tempi, anzi ne hanno creati dei nuovi per quelli che li hanno saputi interpretare.
Fra loro ci sono i sessantenni e settantenni che qui prendono la parola ricordando la
loro storia non facilmente comprensibile per chi non l’ha vissuta, e gli ottantenni che
narrano loro stessi seminando memorie...
La storia si fa con i documenti, lo sappiamo; però sappiamo anche che essa non
si trova tutta negli archivi ufficiali, e che ci può essere dell’interesse a interrogare at-
tori e testimoni che vivono ancora, prima che certe tracce del passato spariscano defi-
nitivamente con loro. Dobbiamo essere grati a chi rilascia tali interviste e a chi, come
Alessandro Portelli e i suoi allievi, le raccoglie e le consegna alla storia.
I «ricordi» hanno dunque il merito di dare la parola a quegli uomini che non si
sarebbero mai sognati di lasciare le loro testimonianze e soprattutto le loro impres-
sioni. Ben inteso, esse ci mettono di fronte a una «ricostruzione autobiografica» alla
quale il futuro storico dovrà applicare le regole classiche del proprio metodo, così
come è scontato che non siamo di fronte a una ricostruzione operata attraverso una
complessiva analisi storico-critica di tutte le dimensioni di un’opera salesiana o attra-
verso un’indagine condotta su un’adeguata mappatura statistica dei protagonisti (edu-
candi ed educatori) e mediante strumenti di rilevamento classici.
Ma intanto questi frammenti rapidi, parziali, confidati solo perché provocati,
mettono in luce una particolare comunità salesiana in formazione e in azione, ci pon-
gono in contatto con un insieme di persone concrete, vive ed operanti all’interno di

2.5 Page 15

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Recensioni 371
un ambiente che ha una sua collocazione storica ben precisa e un suo contesto cultu-
rale. Veniamo così introdotti in un mondo dinamico, costituito da un numero indefi-
nito di relazioni che coinvolgono la vita di centinaia di minori, per i quali essa si pre-
sentò durissima fin dall’inizio, e le vicende di un pugno di adulti-giovani, che riversa-
rono le energie migliori a servizio di quei ragazzi, sostenuti da uno straordinario di-
rettore, don Cadmo Biavati, che coinvolgeva tutto se stesso nella medesima opera
educativa.
Una comunità di ragazzi in gravissimo disagio esistenziale ed estrema fragilità
psicologica, sia per motivi di età, sia perché privi di famiglia, sia perché provenienti
per lo più da ambienti di estrema povertà, degradazione ed emarginazione, sovente
con non invidiabili esperienze alle spalle. Per loro si cerca di adattare il classico mo-
dello educativo salesiano, riconoscibile nel termine di un sistema con precise finalità,
ben articolato e differenziato, attento alle esigenze della persona e del gruppo, situato
all’interno di un contesto più generale visto come pericoloso.
Il tentativo di rispondere, con l’aiuto di tutti (laici ed ecclesiastici, privati ed
istituzioni) ai bisogni primari del ragazzo (cibo, vestiti, salute, tetto, gioco, istru-
zione...): la costante e trasparente presenza dell’educatore che si autodona vigilando
per correggere e sostenere il «ragazzo in difficoltà» nella fatica di crescere sul piano
umano, professionale, cristiano; l’educazione a partire dai momenti concreti del suo
vivere quotidiano, mediante interventi educativi ispirati ai valori del sistema preven-
tivo di don Bosco, sembrano aver prodotto buoni risultati.
Per riuscire nel loro intento i salesiani in questione hanno dovuto compiere non
solo un esodo urbanistico, ma anche un esodo mentale, pedagogico, trattandosi di
educare ragazzi – sciuscià o meno che fossero – che rifuggivano fatalmente da qual-
siasi irrigimentazione e nei quali, se era norma la diffidenza verso le persone che li
avvicinavano e verso le istituzioni che sembravano interessarsi a loro, era anche
molto facile trovare l’espressione di tutte le variabili in termini di aggressività.
Troppe volte la maggior parte di loro era stata ingannata da adulti in famiglia, fuori
della famiglia, sulla strada, prima, durante e dopo la guerra. I parametri educativi di
tutti i livelli (dalla semplice vita fisica alla vita psichica-affettiva, dalla vita intellet-
tuale-professionale a quella socio-culturale o cristiana) dovettero interagire fra loro in
grado ed intensità diversi, a seconda della situazione dei singoli.
I risultati di questa esperienza emergono dalle testimonianze qui raccolte di chi
ha vissuto al Borgo Don Bosco nel quindicennio postbellico da interno o da esterno,
da studente o da oratoriano, ma sempre a contatto con educatori che, pur con tutti i li-
miti della loro natura e cultura, seppero guardare con entusiasmo in avanti nonostante
tutto, non uccisero nei loro educandi la speranza nella vita con pessimismi ossessivi,
«stettero con loro» psicologicamente, notte e giorno, con le armi dell’affetto, dell’al-
legria, del gioco, della musica, del canto, della preghiera, dello studio, del lavoro, del
cinema, del premio, delle vacanze estive al mare e ai monti.
Il segreto dell’educazione? «Che i giovani non solo siano amati, ma che essi
stessi conoscano di essere amati». Lo aveva scritto da Roma sessant’anni prima don
Bosco ai suoi educatori di Torino. L’esperienza del Borgo qui raccontata ne è la prova
lampante. Si potrebbe forse anche dire che essa costituì non solo l’archetipo d’ana-
logie esperienze salesiane in vane città d’Italia del dopoguerra, ma un modello signi-

2.6 Page 16

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372 Recensioni
ficativo e in qualche modo ispiratore di numerosi interventi educativi in altre parti del
mondo nel cinquantennio successivo, compresi questi inizi del secolo XXI.
(dalla Presentazione)
Francesco Motto
ZURITA DANIEL, Mons. Guillermo Piani, Salesiano, Formador, Superior, Delegado
Apostólico. Con notas del P. Francisco Castellanos H. [México 2002] 320 pp.
Se trata de una obra que durmió en los archivos por casi 50 años y ahora ha sido
rescatada y puesta al día por medio de notas.
El P. Daniel Zurita nació en la ciudad de Puebla el 31 de enero de 1908; en su
ciudad natal conoció a los salesianos. Tenía 12 años cuando llegó a la ciudad de
México para ingresar al seminario salesiano de San Juanico; fue cuando conoció a
Mons. Piani. Profesa Daniel el 5 de febrero de 1925 y es ordenado sacerdote el 20 de
diciembre de 1933. Hombre brillante, dinámico, emprendedor, que sabía contagiar a
la gente y enrolarla en la causa de Don Bosco.
Cuando murió Mons. Guillermo Piani en Cuernavaca el 27 de septiembre de
1956, el P. Daniel Zurita recibió del P. Inspector (quizá el P. Antonio Ragazzini) el
encargo de escribir la biografía de este santo varón. El P. Daniel, hombre de polifacé-
ticas cualidades y que siempre salió airoso de los encargos que le encomendaron, se
puso de inmediato a la obra.
Vio la correspondencia de Monseñor, los periódicos del 28 de septiembre de
1956 y días siguientes, los telegramas que llegaron a la Delegación Apostólica con
motivo de la muerte de Monseñor. Escribió a muchos salesianos, exalumnos y obis-
pos, pidiendo testimonios sobre Monseñor Piani y obtuvo buena respuesta especial-
mente de Salesianos y exalumnos de México, Uruguay, Paraguay y Perú. También le
respondieron muchos obispos mexicanos y algunos de Filipinas. Los PP. Francisco
Mateos, Mario Aramendía y Fernando Oropeza, así como también algún otro sale-
siano y exalumno pusieron en manos del Padre numerosas cartas que habían recibido
de Mon. Piani a lo largo de muchos años, a partir del lejano 1922.
En 1964 el P. Zurita visitó Martinengo, en Italia, donde obtuvo valiosa docu-
mentación de libros y archivos y testimonios preciosos de personas del lugar. Des-
pués pasó por Turín donde visitó el Archivo Salesiano Central consiguiendo preciosa
información para su trabajo que ya llevaba bastante adelantado.
A su muerte, acaecida el 26 de febrero de 1967, el P. Daniel había terminado
prácticamente la obra, aunque le faltaba el trabajo de revisión y afinación. Resultó un
trabajo monumental: son 511 páginas escritas a máquina en papel tamaño carta. La
obra está dividida en 66 capítulos.
El P. Francisco Castellanos, teniendo en Roma fotocopia de este material que
está en el Archivo Salesiano Central, elaboró en 1989-1990 el librito Un gran co-
razón, Mons. Guillemo Piani editado en 1991. Son 112 páginas, elaboradas teniendo
en cuenta los primeros 24 capítulos de la obra del P. Zurita. En 1999, volviendo a
Roma se propuso rescatar todo este material para la historia y en dos años pudo con-
cluir el inmenso trabajo de transcribir la obra y enriquecerla con notas que le dieran
autenticidad histórica.

2.7 Page 17

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Recensioni 373
Para entender este trabajo hay que tener presente:
1° Al P. Zurita se le pidió esa obra para que sirviera como material para la po-
sible introducción de la causa de Beatificación y Canonización de Monseñor. Por eso,
mientras en la primera parte (24 capítulos) presenta la historia de Monseñor, si-
guiendo la cronología, en la segunda parte (del capítulo 26 al 66) presenta la figura de
Mons. Piani: virtudes teologales de la fe, esperanza, caridad; virtudes morales de la
prudencia, justicia, fortaleza, templanza; después presenta al salesiano perfecto con
sus respectivas virtudes y por último al representante del Santo Padre.
2° Cada uno de los capítulos del 26 al 66 trata de mostrar, a manera de tesis
que, por ejemplo Monseñor tuvo la virtud de la fe: comienza haciendo un tratado de
la fe y viendo como Jesús, Don Bosco y otros santos, tuvieron fe; finalmente con nu-
merosos testimonios va demostrando que Mons. Piani tuvo fe.
3° Los numerosos testimonios (son cientos entre los testimonios de los obispos
y salesianos) no tenían ningún valor probatorio porque el P. Zurita no citó las fuentes.
En estos dos años el P. Castellanos se tomó el trabajo de poner junto a cada uno de
estos testimonios, en una nota, su ficha biográfica, con lo que ya se les da valor histó-
rico.
4° El P. Zurita escribió esto mientras se realizaba el Concilio Vaticano II; pero
como su formación es preconciliar, también su teología, moral, etc., refleja este pen-
samiento; por eso, a veces en notas se trató de dar algún juicio que ayude a entender.
La obra completa del P. Daniel Zurita comprende 66 capítulos que tienen un
total de 511 páginas, que en formato de libro llegan a unas 800. Por ese motivo en
esta publicación se reduce a los primeros 24 capítulos y al último, que son los más in-
teresantes. Los otros se publicarán en forma privada y en pocos ejemplares, pues inte-
resarán más para la posible introducción de la causa de Beatificación y canonización,
si Dios quiere.
Esta publicación, pretende que se conozca más la figura de Monseñor Gui-
llermo Piani, hombre lleno de virtudes cristianas y salesianas, sacerdote y obispo a
carta cabal, hombre que muchos, mientras vivía y después de su muerte han conside-
rado como un santo. Pero también esta publicación quiere ser un homenaje al P. Zu-
rita que dedicó los últimos años de su vida a la realización de esta obra monumental.
Francisco Castellanos Hurtado