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NOTE
TORINO 1862: LA SVOLTA POST-FRANSONIANA
NELLE ASPETTATIVE DI ALCUNI ECCLESIASTICI
IN PIEMONTE
Note in margine ad una recente edizione dell'epistolario fransoniano
Maria Franca Mellano
Torino nel 1862 era da poco la capitale del nuovo regno d'Italia, in attesa però di trasmet-
tere a Roma quel titolo con le relative incombenze; dunque una città sulla quale si addensava
una notevole valanga di problemi a vari livelli. In generale si potrebbe dire che essa era alla
ricerca di una nuova identità, tenuto conto che quella acquisita un anno prima era votata ad
annullarsi in tempi che si presumevano brevi, e quella originaria, di capitale dello Stato sa-
baudo, era irrimediabilmente caduta per la scelta risorgimentale che il Piemonte aveva fatto.
Si tratta - a pensarci bene - di un dramma profondo, destinato a scuoterla fin nei recessi più
nascosti.
La città si era imposta all'attenzione politica dei duchi di Savoia dal lontano '400, e ave-
va svolto un ruolo decoroso di primaria responsabilità soprattutto dai tempi di Emanuele
Filiberto, il quale si era guadagnato con la vittoria di s. Quintino il meritato diritto di rientrare
in possesso dei suoi domini occupati. Nel quadro della nuova situazione della penisola dopo
Cateau-Cambrésis, la cui fragilità era stata già denunciata sia da Machiavelli sia da Guicciar-
dini, la scelta «italiana» del duca si era imposta rigorosamente. La potenza della vicina mo-
narchia-stato di Francia non poteva che suggerire al principe di un dominio collocato di qua e
di là dai monti la direzione nettamente italiana della propria politica. In concomitanza con
quell'orientamento generale, il duca aveva espressamente voluto Torino come nuova capita-
le, conscio che «Chi è padrone di Torino, è padrone del Piemonte».1 Torino dunque aveva
sintetizzato emblematicamente l'italianità» della dinastia sabauda ben sottolineata - secondo
il Cognasso - dell'ambasciatore veneto nel 1561: «Molti grandi Stati vogliono che il duca
loro appartenga, ma egli non è che italiano ed appartiene all'Italia di ragione e di volontà».2
1 F. COGNASSO, Storia di Torino. Milano, A. Martello ed. [1959], p. 199.
2 Ib., p. 200.

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Dopo il 1861, paradossalmente, perdeva una posizione di spicco, collaudata
attraverso le vicende talora avventurose del suo illustre passato, ma ora definiti-
vamente superata dall'incalzare degli avvenimenti storici del Risorgimento. Era
un po' come se si spegnessero all'improvviso le luci, e perciò anche l'interesse
verso quello che era stato dal 1848 il centro prestigioso del movimento unitario
italiano. Per strana coincidenza questo accadeva pressappoco con la scomparsa di
Cavour, come a sanzionare che il corso degli eventi si incanalava ormai in una
fase del tutto diversa da quella che stava alle sue spalle.
Di questo diffuso stato d'animo si ebbe sentore evidente pochi anni più tardi,
al momento del trasporto della capitale d'Italia a Firenze, e via via negli anni suc-
cessivi, quando si profilò la strada faticosa dello sviluppo industriale. Questo
nuovo fenomeno si articola sul finire del secolo nella gamma complessa dei pro-
blemi, che investirono a macchia d'olio la società europea nei paesi che non ave-
vano ancora preso coscienza dell'ineludibile imporsi della rivoluzione industriale,
se si intendeva marciare al passo con la storia, sospingendoli verso un crocevia
obbligato per adeguarsi ai tempi nuovi.
Questi pochi tratti dello scenario di fondo, che caratterizzano la città agli i-
nizi del 1862 e oltre, non entrano direttamente in gioco in queste pagine, anzi non
la toccano che in modo indiretto. L'obiettivo è qui puntato sopra un aspetto setto-
riale del mondo torinese nel 1862. Il 26 marzo era morto a Lione dopo dodici
anni di esilio l'arcivescovo di Torino, Luigi Fransoni, penoso oggetto del conten-
dere fra il Governo del regno e la S. Sede.3 In realtà nonostante la tensione acutis-
sima toccata nel 1850, questa notizia, giunta a Torino, risulta nel 1862 abbastanza
insignificante, nel senso che confermò senza volerlo che l'ampia polemica di-
vampata, specie tra il 1848 e il '50, sul personaggio era stata una comoda copertu-
ra di problemi di ben altra consistenza, che adesso premevano allo scoperto. L'o-
pinione pubblica, allora tanto scossa, appariva nei primi mesi del '62 mobilitata
da urgenze molto più inquietanti. Questo non impedì che la notizia, arrivata da
Lione, rimbalzasse, come naturale, sui giornali e che fosse comunque oggetto di
dibattito proiettato soprattutto verso il futuro. In sostanza si apriva il proble-
3 M. F. MELLANO, Il caso Fransoni e la politica ecclesiastica piemontese (1848-1850). Ro-
ma, Pontificia università Gregoriana 1964 (Misc. Historiae Pontificiae XXVI); ID., Ricerche sulle
leggi Siccardi. Rapporti tra la S. Sede, l'episcopato piemontese e il governo sardo. Torino, Dep.
sub. di storia patria 1973 (Bibl. di storia italiana recente, n. s. XVI). L'incaricato pontificio
aveva in precedenza dato notizie a Roma della salute ormai compromessa del Fransoni: cf
ARCHIVIO SEGRETO VATICANO (= ASV), SdS, anno 1862, rubr. 165, fase. 26, f. 38v-39 (l'incari-
cato pontificio al card. Antonelli, 6 marzo 1862, rapporto n. 326).

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ma della successione episcopale nella città-residenza del re e del Governo, il che
suscitava comprensibile interesse specialmente negli ambienti clericali ed in
generale fra i credenti.
Si propone qui la reazione di una fascia del mondo cattolico sulla base di
due rapporti informativi, partiti da Torino e diretti a Roma, il cui testo integrale
viene riprodotto. In altre parole si tratta dell'interpretazione che ci viene da una
voce proveniente da un'area nettamente conservatrice, l'incaricato pontificio a
Torino, tenuto a comunicare ufficialmente al segretario di Stato a Roma, card.
Antonelli, le informazioni attinte sul posto, nonché i commenti e le ipotesi che
aveva potuto rastrellare negli ambienti clericali e non della capitale. Gaetano
Tortone era in grado di disporre di una rete informativa sufficientemente allarga-
ta. In questo senso ci offre il vantaggio di cogliere la prima reazione a caldo di un
evento «auspicato» dai detrattori dell'arcivescovo, delusi dal costante rifiuto
sempre opposto dal Fransoni a rinunciare alla diocesi, e guardato con aspettative
di varia gradazione da parte dei cattolici, che si ripromettevano con la successio-
ne di comporre la crisi tra il civile e il religioso, che aveva pesato amaramente su
tutta la città.
È soprattutto interessante prendere in esame questo messaggio immediato,
che scaturisce dall'impatto dell'annuncio, anche perché vi affiora il nome di vari
personaggi, noti nel mondo ecclesiastico piemontese, che sono anche presenti
nelle lettere di Luigi Fransoni, scritte dall'esilio di Lione, e da poco pubblicate.4
Il «metro» dell'arcivescovo di Torino con il suo stile stringato e breve non
coincide logicamente con quello del diplomatico, che si pone da altra visuale,
anche se risulta concorde la loro visione pessimistica degli avvenimenti politici
dopo il '48. Il Tortone nel primo dei due rapporti imposta un'analisi pratica, for-
mulando congetture sull'immediato presente. Si apriva ora ufficialmente un de-
corso del tutto nuovo rispetto al passato. La parola o meglio l'iniziativa sarebbe
passata al Governo per la scelta di un sostituto temporaneo in attesa di concretiz-
zare a suo tempo una nomina definitiva, di cui l'arcidiocesi aveva estremo biso-
gno dopo un'emergenza così protratta nel tempo e sorretta in modo granitico da
due volontà contrapposte: quella del Governo di escludere per sempre da Torino
l'arcivescovo sgradito e quella dell'arcivescovo di non lasciare per nessuna ragio-
ne il timone del comando, sia pure accontentandosi di manovrarlo a distanza,
grazie ad un'equipe di collaboratori a Torino, votati a rendere possibile sul posto
un programma affidato in gran parte alle istruzioni postali diramate da
4 L. FRANSONI, Epistolario. Introduzione, testo critico e note, a cura di M. F. MELLANO.
Roma, Las 1994.

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Lione. Il Tortone si mostra dubbioso sul nome del presunto amministratore apo-
stolico, preoccupato soprattutto che andasse bene a Roma, oltre che in Piemonte.
Le voci circolanti che aveva raccolto, indicavano mons. Charvaz, arcivescovo di
Genova, ed eminente rappresentante dell'episcopato subalpino, utilizzato non
poche volte dalla segreteria di Stato vaticana, ma agli occhi dell'informatore non
del tutto esente da macchia, forse per i suoi rapporti di antica confidenza col re.
L'incaricato pontificio apre il suo rapporto con questa previsione, d'altronde già
affacciata - come dice - dal card. De Angelis, figura, questa, che compare anche
nelle ultime lettere dell'epistolario fransoniano,5 nominata sempre con accento
amico, probabilmente per l'analogia delle loro sorti di vescovi invisi al potere
civile.
L'ipotesi che la candidatura ad amministratore cadesse su Charvaz non an-
dava a genio al Tortone, perché vi ravvisa la «longa manus» di un ecclesiastico
torinese, fermamente avversato in molti ambienti ecclesiastici di Torino e di ri-
flesso a Roma. Anche Fransoni durante la sua direzione lionese della diocesi di
Torino non aveva mancato nelle sue lettere di lanciare costantemente strali nei
confronti del can. Vacchetta, visto come l'anima nera del Governo. L'«amicizia»
fra lui e l'arcivescovo di Genova prometteva secondo il Tortone - l'ingresso facili-
tato di ecclesiastici, diciamo così liberali, nelle file della nuova dirigenza ammi-
nistrativa della diocesi.
Una notizia di pieno gradimento chiudeva invece la lettera scritta all'Anto-
nelli: l'avvenuta nomina da parte del capitolo metropolitano di Giuseppe Zappata
a vicario capitolare, che gli era stata comunicata proprio sul punto di concludere
il suo rapporto informativo. A dire il vero, non si può dire che le qualità positive
del neo-eletto, sottolineate dal Tortone, fossero condivise in modo integrale dal-
l'arcivescovo appena scomparso,6 ma in sostanza confermano la fama generale di
questo ecclesiastico, scelto dal clero e preferito al collaboratore numero uno del
Fransoni, Celestino Fissore, a causa del carattere poco malleabile che gli veniva
attribuito. Il Fissore, che sarebbe divenuto più tardi titolare della chiesa di Ver-
celli, costituisce l'interlocutore principale a cui il vescovo in esilio si era diretto
da Lione per mettere a segno il governo pastorale nella sede torinese.7 Si deve
riconoscere che era stato ben poco invidiabile il suo ruolo, carico di responsabili-
tà e soprattutto compresso - come vicario generale di Torino - tra il dovere di
inter-
5 Vedi nota precedente. Non altrettanto risulta presente mons. Andrea Charvaz, la cui
mediazione politica, di concerto col Vaticano, risulta analizzata da P. PIRRI, Pio IX e Vittorio
Emanuele II. 3 voli, in 5 tomi, Roma 1944-1961.
6 L. FRANSONI, Epistolario..., p. 30. Significativo l'appello di «eterno secondo» usato da
G. Tuninetti (Ib.).
7 Ibidem.

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pretare la linea impartita del superiore posto fuori campo e la realtà imprevedibi-
le che lo aggrediva sul posto di lavoro. Questa tensione si era ripercossa sui rap-
porti col clero torinese, il che spiega la preferenza di quest'ultimo che aveva pre-
miato lo Zappata.
Il secondo rapporto, stilato a distanza di una settimana, dedica discreto spa-
zio alla nomina del nuovo vicario capitolare, su cui Tortone insiste con rinnovato
compiacimento, chiamando in causa persino Fransoni per suffragare i titoli di
benemerenza che, secondo lui, gli spettavano di diritto. La testimonianza, rispon-
dente nell'insieme al vero, non trova riscontro matematico, sulla base dell'episto-
lario lionese, con legami confidenziali di corrispondenza tra Fransoni e Zappata,
come invece accade per altri membri del capitolo torinese. In ogni caso non esi-
me dal sospetto che il giudizio pienamente favorevole dell'incaricato d'affari fos-
se anche influenzato dal confronto (o dallo scontro) con la ruvidezza del Fissore,
di cui forse aveva fatto qualche esperienza per motivi di ufficio oltre che per
sentito dire, salvo il riconoscimento della sua efficienza professionale, come vica-
rio generale del Fransoni. Un aspetto confortante, offerto dal nuovo vicario, è
indicato nell'assoluta «sottomissione» alla S. Sede, dichiarata a voce e per iscritto
dall'interessato, che in periodo di transizione costituiva certo una valida garanzia
di argine verso conflittualità latenti.
Il Tortone non nasconde anzi la sorpresa per la generale convergenza di voti,
anche di segno fra loro diverso, sul soggetto: additava appunto l'inatteso favore
con cui lo aveva sostenuto il Vacchetta, che nella lettera precedente era stato
chiamato in causa non proprio con entusiasmo.8 La constatazione suscita il dub-
bio sulla pretesa malafede, attribuita precedentemente al Vacchetta: semplice
doppio gioco da parte sua o buona volontà di girare pagina ed avviare un risana-
mento del rapporto Stato-Chiesa, così lacerato?
L'ultima parte del rapporto è dedicata a descrivere l'incontro fra la delega-
zione del capitolo torinese e il re. I canonici erano andati dal sovrano a partecipa-
re in forma ufficiale la nomina dello Zappata in seguito alla morte dell'arcivesco-
vo, dunque a svolgere un compito che per ragioni evidenti non poteva prescinde-
re dall'affrontare il nome e la figura dell'ex esiliato. L'atteggiamento di Vittorio
Emanuele II è ineccepibilmente chiaro: non intende fare commenti di nessun
genere, mentre i suoi interlocutori dovevano essere animati da qualche intenzione
di entrare in argomento, data la circostanza
8 Sui rapporti del Vacchetta all'interno del clero torinese cf T. CHIUSO, La chiesa in Pie-
monte dal 1797 ai giorni nostri. 5 voli., Torino 1887-1904; e anche E. COLOMIATTI, Mons. Luigi
dei marchesi Fransoni, arcivescovo dì Torino, 1832-1862 e lo Stato Sardo nei rapporti colla Chie-
sa..., Torino, 1902.

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favorevole per farlo (chi è morto trova disponibilità all'indulgenza), e in vista
forse di una riconciliazione post mortem, che certamente avrebbe fornito occa-
sione pericolosa di forzature dal punto di vista politico sui giornali. Il re si mostra
parco di parole, evitando qualunque accenno (e tanto meno giudizi) sulla figura
dello scomparso e facendo piuttosto scivolare la conversazione sul dopo-Fransoni
e perciò sulle prospettive attorno al successore. Dichiara apertamente d'aver pen-
sato a mons. Charvaz, ma di aver poi abbandonato l'idea per timore di contrac-
colpi negativi sulla sede di Genova, guidata appunto dal pastore savoiardo. Pro-
nuncia il nome di un altro vescovo ben noto in Piemonte, Alessandro d'Angen-
nes, titolare di Vercelli, che godeva una fama di moderazione e apertura d'idee
dal lontano '48; fama però non condivisibile né presso ambienti integralisti roma-
ni, né in quelli piemontesi dello stesso colore.
Notiamo una singolare analogia: «santo uomo» è definito dal Tortone con
sottolineatura della parola, rinforzata da un «sic» significativo, subito di seguito;
e ancora «sant'uomo di Vercelli» è chiamato in una lettera, scritta da Fransoni in
esilio.9 Il senso della comune locuzione usata è ovvio. L'età permise all'arcive-
scovo vercellese di esimersi dall'accettare l'offerta. Il nome di un altro candidato
probabile ma non ufficialmente confermato sembrava al Tortone un'ipotesi da
non scartare: Luigi Nazari di Calabiana, allora vescovo di Casale e più tardi arci-
vescovo di Milano, altra figura molto amata in patria sia per le sue doti, sia le
idee politiche aperte.10
In sostanza il re lascia cadere un eloquente silenzio sulla persona dell'arcive-
scovo morto, raccomandando invece a più riprese ai canonici torinesi di pregare
per sé e per la propria famiglia; mentre intanto dal Governo era venuto il benesta-
re al trasporto della salma «a condizione - precisa l'incaricato - non abbia luogo
alcuna pubblica pompa funebre eccetto la Messa da Requiem nella Cattedrale».
Dunque un contegno freddo ma formalmente rispettoso, che non voleva lasciare
spiraglio interpretativo di comodo a chi ne fosse stato intenzionato.
Il rapporto si chiude con l'annuncio di due lettere portate a mano dallo Zappata al
Tortone, rispettivamente da inoltrare a Pio IX e al segretario di Stato stesso.11
9 FRANSONI, Epistolario..., p. 136 (lettera n. 94, 28 agosto 1855).
10 Troviamo citato una sola volta il suo nome da Fransoni (lettera 210, in data 26 marzo
1859): Ib., p.261.
11 La lettera dello Zappata al card. Antonelli (2 apr. 1862), interamente autografa, è in
ASV SdS anno 1862, rubr. 257, f. 57-57v. In una minuta (Ib., f. 56, dispaccio n. 21916) dell'An-
tonelli a Tortone in data 15 aprile 1862, c'è il ringraziamento per le notizie contenute nei due
rapporti unitamente ad un plico con la risposta di Pio IX e sua propria alle lettere inviate a
Roma dal nuovo vicario capitolare.

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Come a suo tempo doverosamente precisato,12 l'epistolario fransoniano, an-
che se contiene un numero cospicuo di lettere, scritte soprattutto da Lione, non
esaurisce per intero la rete epistolare del presule. Questo va detto per chiarire che
se non si trovano in quella sede determinati corrispondenti, non si può dedurre
automaticamente la mancanza di relazioni sicure di reciproco contatto.
A questo proposito vale la pena segnalare un sondaggio che ho tentato nel-
l'Archivio Vaticano nell'arco di questo lasso di tempo, dal quale si può intuire
con sicurezza l'esistenza di carte non altrimenti documentate. La pista esplorativa
ce la fornisce il segretario dell'arcivescovo, il teologo Giuseppe Bruno,13 il quale
si portò personalmente a Roma a distanza di meno di un mese dalla morte del
superiore. La notizia è documentata dal consolato generale pontificio di Marsi-
glia, il cui rappresentante comunicava (10 aprile 1862) al card. Antonelli di aver
affidato al Bruno il suo scritto e dei plichi da inoltrare a Roma, approfittando del
viaggio di quest'ultimo.14 Sullo scopo preciso dell'operazione resta impossibile
dire di più. A distanza di oltre un mese dalla visita romana si può reperire un altro
aggancio sicuro attraverso i registri dei Protocolli dell'Archivio Vaticano, che
danno indicazione ufficiale dell'arrivo delle lettere pervenute a Roma. Grazie a
questo strumento apprendiamo che in data 22 maggio 1862 era giunto nella capi-
tale uno scritto di Giuseppe Bruno, protocollato col num. 22790 e recante questo
argomento: «Carte di Mons. Fransoni, Pratiche fatte presso mons. vescovo di
Mondo vi per avere (?) alcune carte appartenenti al defunto mons. Fransoni».15
Lo scritto era diretto al sostituto (mons. Berardi), ma sfortunatamente man-
ca, forse per una causa fortuita, il numero della rubrica, attraverso la quale si può
rintracciare il documento. Non stupisce che il vescovo di Mondovì Ghilardi po-
tesse aver trattenuto presso di sé carte non sue, perché era uomo spesso affaccen-
dato per la multiforme attività di predicazione o di pubblicazioni apologetiche a
cui si dava, oltre il normale lavoro della diocesi. Non risultano però, almeno nello
spazio dei tre mesi successivi, lettere del Ghilardi a Roma, che trattino in qualche
modo l'argomento e si colleghino perciò al caso avanzato dal Bruno.
12 FRANSONI, Epistolario..., p. 34.
13 Cf Epistolario.
14 ASV SdS anno 1862, rubr. 291, fase, unico, n. 22047, f. 84. Così scriveva il console:
«Profittando delle gentili esibizioni del R.do Sig. Canonico Bruno, già segretario del defunto
Mg.r Fransoni, ho il bene d'inviarle per di lui mezzo il presente foglio il quale accompagna un
plico del mio collega di Fiume e due altri di questo Consolato per gli Ecc.mi Ministeri delle
Finanze e delle Armi...».
15 ASV, SdS Codice Protocollo n. 264.

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La scomparsa dell'arcivescovo, oggetto a suo tempo di passioni diverse, fa-
ceva calare rapidamente il sipario sulla sua vicenda umana, che lo aveva visto al
centro dell'attenzione come attore, gradatamente risucchiato dai reali problemi
che campeggiavano ora all'orizzonte con i loro interrogativi incalzanti.
Torino stava cambiando volto. Il passato era alle sue spalle con i segmenti
storici che l'aveva caratterizzato. L'avvenire la chiamava ad una svolta, che l'a-
vrebbe portata via via a trovare un'identità e quindi un ruolo del tutto diverso dai
secoli precedenti. La città sabauda, futura metropoli industriale italiana, era de-
stinata ad entrare in una dimensione che una decina d'anni prima, al sorgere della
crisi post-quarantottesca, sarebbe stato impossibile intravedere.
RAPPORTO I.
ASV SdS anno 1862, rubr. 257 fase, unico (rapporto n. 327, ff. 50-51)
Gaetano Tortone al segretario di Stato, Antonelli
(Torino 27 marzo 1862)
Un telegramma giunto stanotte da Lione ci portò l'infausta notizia che l'illustre
Monsignor. Fransoni nel giorno di ieri verso l'ora una pomeridiana spirava nella
pace del Signore.
Nel dare all'Eminenza Vostra Rev.ma una sì poco lieta partecipazione mi credo
in dovere di confermarle in pari tempo la notizia già a Lei comunicata dall'Em.0 Sig.r
Cardinale De Angelis intorno al progetto che avrebbe questo Governo di nominare
cioè Monsig/ Charvaz attuale Arcivescovo di Genova ad Amministratore di questa
Archidiocesi durante la vacanza della Sede. Sembra poi anche che lo stesso Mgr.
Charvaz, al quale si vuole che il clima di Genova riesca alquanto nocivo non sarebbe
gran fatto alieno dall'assumersi un tale incarico, anche in vista di avere così un moti-
vo di passare una buona parte dell'anno in Torino ove si (f. 50v) respira un'aria
più mite epperciò più confacente alla di lui salute, anzi si dice che il predetto Prelato
abbia già persino fatto conoscere a qualche suo confidente che in caso ciò si avve-
rasse avrebbe egli divisato di nominare non un solo, ma come si usa in Francia due o
tre Vicarii Generali assegnando a ciascuno delle speciali attribuzioni onde rendere in
tale guisa e più spedito, e più regolare il disbrigo degli affari della Diocesi.
Qui si tiene per cosa positiva che la scelta di Monsignore Charvaz ad Ammini-
stratore di questa Archidiocesi sia stata suggerita al Governo dal Sig.r Abate Vac-
chetta Economo Generale, il quale essendo legato in istrettissima amicizia coli'Arci-
vescovo di Genova otterrebbe, ove tale suo progetto si effettuasse un doppio scopo,
quello cioè di conseguire finalmente la Commendatizia per la Dignità di Arcidiacono
in questa Metropolitana per la quale Dignità fu dal Re qualche anno fa già racco-
mandato alla Santa Sede, Commendatizia che mai ha potuto ottenere da Monsignor

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Torino 1862: la svolta post-fransoniana 401
Fransoni di f. m.; e quello eziandio di avere pur egli una mano nell'amministra-
zione della Diocesi, e di poter circondare l'Arcivescovo Amministratore di
sacerdoti liberali, ligii al Governo, [f. 51]di far nominare i medesimi a qualche
impiego nella Curia Arcivescovile, e specialmente ai varii Canonicati che tro-
vansi ora vacanti in questa Metropolitana, per avere così dei colleghi dello
stesso suo colore e partito, non trovando egli infatti negli attuali membri del
Capitolo un solo Canonico dalla sua parte.
Da questo mio rispettoso rapporto che mi credo in dovere di sottomette-
re all'alta penetrazione dell'Eminenza Vostra R.ma Le sarà facile di arguire a
quale stato potreb[be] vedersi ridotta questa Diocesi per l'irreparabile recente
perdita testé fatta dell'esimio Monsignor Fransoni.
Oggi il Capitolo Metropolitano si radunerà per la nomina del Vicario Ca-
pitolare e sembra probabile che la scelta possa cadere sull'attuale Vicario Ge-
nerale il Canonico Fissore. Ieri si era sparsa la voce d'un prossimo rimpasto
Ministeriale. Stando alle dicerie sarebbero usciti dal Gabinetto il Ministro
dell'Istruzione pubblica, il Commendatore Mancini, e l'Avvocato Cordova
Ministro dei Culti, e vi sarebbe entrato il Generale La Marmora come Mini-
stro degli Affari Esteri ritenendo Rattazzi la Presidenza del Consiglio ed il
Portafoglio dell'Interno.
Da questa Curia Arcivescovile mi viene or ora partecipato che fu eletto
Vicario Capitolare l'Arciprete della Metropolitana il Sig.r Canonico Zappata
piissimo, dotto, ed esemplarissimo Ecclesiastico.
Inchinato al bacio della Sacra Porpora coi sentimenti della più profonda
venerazione ho l'onore di protestarmi...
RAPPORTO II.
ASV SdS. anno 1862, rubr. 257, fase, unico
Gaetano Tortone al card, segretario di Stato,
Torino 3 apr. 1862 (rapporto n. 328, ff. 52-54v)
Facendo seguito al mio precedente Rapporto n. 327 ho l'onore di signifi-
care all'Eminenza Vostra Reverend.ma che la nomina del Canonico Zappata
a Vicario Capitolare di questa Archidiocesi fu qui accolta colla massima
soddisfazione sia dal Clero, sia dal ceto secolare godendo il medesimo di una
generale stima ed ammirazione non solo per il suo molto sapere e nella scien-
za teologica e nel Diritto Canonico, per la sua esemplare pietà e per i suoi
angelici costumi, ma eziandio per la semplicità e bontà del suo animo, per la
cortesia ed affabilità dei suoi modi, ed anche per la stessa veneranda sua età
la quale oltrepassa assai gli anni 60. Lo stesso Monsig.r Fransoni di f. m. ha
sempre fatto molto pregio del Canonico Zappata e lo dimostrò abbastanza
coll'affidargli spesso ben importanti e delicate incombenze, | e coll'averlo f 52v
scelto per Coadiutore nella Visita Pastorale della Diocesi.
Il prefato S.or Vicario Capitolare dal quale mi recai tosto a fargli visita
dopo avermi parlato della sua illimitata sottomissione alla Santa Sede, e della
sua profonda e sincera venerazione al Sommo Pontefice, mi ha assicurato che
egli si sottomise tremando al grave peso della provvisoria amministrazione di
questa Diocesi, che del resto egli riponeva tutta la sua fiducia nell'assistenza
del Cielo, e che per ora altro non bramava che di avere un po' di libertà dagli
urgenti affari da cui trovasi assedia-

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402 Maria Franca Mettano
to in questi primi giorni della sua amministrazione, per poter compiere un atto di
dovere coll'Eminenza Vostra Rev.ma notificandole per lettera la sua nomina a Vica-
rio Capitolare. Conoscendo io quanto il predetto Mg.r Vicario abbisogni nelle attua-
li circostanze di qualche conforto mi permetto di supplicare rispettosamente
l'Em.za V.ra R.ma a degnarsi di implorare pel medesimo da Sua Santità l'Ap.lica
Benedizione, la quale riuscirà certamente a lui di una indicibile consolazione e gli
infonderà quel coraggio e quella fermezza che in questi luttuosi tempi si richiede per
compiere fedelmente i doveri dall'apostolico ministero.
Se il Canonico Fissore, già Vicario Generale del mai abbastanza compianto
f 53 Mr. Fransoni alla pratica degli affari | ed alla fermezza d'animo, degna di tutta
lode dal medesimo dimostrata in certe ben difficili emergenze avesse saputo ac-
coppiare una certa cortesia di maniere col pubblico e specialmente col Clero forse
sarebbe stato egli eletto a Vicario Capitolare, ma essendo il suddetto, dotato di un
carattere piuttosto aspro e di modi alquanto assoluti si alienò da sé l'affetto e la
confidenza non solo del Clero ma eziandio di una gran parte degli stessi suoi colle-
ghi del Capitolo Metropolitano il quale elesse a maggioranza di voti il Canonico
Zappata; e benché un membro del Capitolo abbia fatto rilevare che forse tale nomi-
na poteva essere nulla perché l'eletto non era né Dottore Licenziato in legge a
norma di quanto prescrive il Concilio di Trento, tuttavia una tale obiezione non fu
tenuta per buona, e fu invitato l'opponente a riflettere che, secondo il Concilio di
Trento, «Vicarius Capitularis eligi debet qui saltern in jure canonico sit doctor, vel
licentiatus» vel alias idoneus che perciò trovandosi nel Can.co Zappata tutta quella
idoneità che per disposizione dello stesso Concilio supplisce alla mancanza del dot-
torato, per conseguenza adunque la nomina era canonica valida e legale.
f 53v
A scanso poi di qualsiasi poco favorevole impressione non posso tacere all'E-
minenza Vostra Rev.ma che fra i Canonici Metropolitani uno dei più caldi | fautori
per l’elezione dell'attuale Vicario Capitolare fu il Sig. Abate Vacchetta, Economo
Generale, il che veramente ha recato non poca sorpresa a chi conosce quanto siano
diametralmente opposti i principii dell'uno e dell'altro. Si dice anzi che l'Abate
Vacchetta sia andato tant'oltre da spargere persino la voce fra i Canonici che cioè
se veniva eletto il Canonico Zappata si sarebbe esso impegnato ad ottenere presto
dal Governo la restituzione dei locali e dei redditi del Seminario. Cessa però la me-
raviglia per poco che si rifletta che l'Abate Vacchetta può essere stato spinto a di-
mostrare un tanto zelo dalla speranza di poter usufruttare a proprio vantaggio del-
la bontà d'animo nota a tutti del nuovo Vicario Capitolare, bontà però che an-
dando strettamente congiunta con una coscienza delicatissima v'ha motivo a spera-
re che mai non cederebbe qualora si trattasse di accordare la menoma cosa a cui la
coscienza vi ripugnasse o soltanto ne fosse dubbiosa o perplessa.
Mi reco poi a dovere di partecipare eziandio alla Lod.a Eminenza Vostra che
nella Domenica ultima scorsa una Deputazione di tre Canonici della Metropolita-
na fu ricevuta in udienza dal Re per dargli parte della nomina del Vicario Capitola-
re. Il Re si mostrò ben soddisfatto della scelta, e disse che questa Sede Arcivescovi-
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le non sarebbe rimasta lungo tempo vacante, che Egli aveva | in sulle prime divi-
sato di chiamarvi Mg.r Charvaz Arciv.0 di Genova, ma riflettendo poscia che quel-
la Sede era anch'essa assai importante e che non conveniva lasciarla scoperta, ave-
va invece divisato di nominare Arcivescovo di Torino quel Santo Uomo [sic] che è
Mg.r D'Angennes Arcivescovo di Vercelli.
In tutto il discorso tenuto dal Re ai Canonici non disse parola intorno a Monsi-

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Torino 1862: la svolta post-fransoniana 403
gnor Fransoni; però si raccomandò bensì per ben tre volte ai medesimi di pregare
per Lui e per la sua Reale famiglia.
L'idea esternata dal Re di chiamare a Torino Mg.r Charvaz collima affatto con
quanto aveva già io l'onore di significare all'Em.za V.ra col predetto mio Rapporto
n. 327. Soltanto non si conosce ancora se siasi rinunciato ad un tale progetto o per
determinazione del Re stesso, o per rifiuto dato e motivato dallo stesso Arcivesco-
vo di Genova al quale si vuole da certuni che il Re stesso abbia fatta l'offerta di
questa Sede; ed invece vi ha chi sostiene che il Re ne sia stato dissuaso apparente-
mente pel motivo di non lasciare, come disse il Re, Genova scoperta, ma in realtà
poi pel timore che si aveva dal noto partito che la presenza di Mg.r Charvaz in To-
rino potesse forse col tempo avere troppa influenza sull'animo del Re.
In quanto poi all'Arcivescovo di Vercelli l'offerta gli venne bensì fatta ma ri-
spose di non poterla accettare per cagione della sua età già troppo avanzata. In
seguito a questo rifiuto di Mg.r Arciv.0 di Vercelli vi ha chi | pretende che possa esse- f 53v
re proposto Mg.r Calabiana, Vescovo di Casale, che gode qui tutta la simpatia del
Clero e dei Cittadini; ed altri invece sostiene oggi che si sia di nuovo scritto in pro-
posito al più volte citato Arcivescovo di Genova.
Questo Governo ha accordato al Capitolo Metropolitano la facoltà di far tra-
sportare in Torino la salma di Mg.r Fransoni a condizione però non abbia luogo
alcuna pubblica pompa funebre eccetto la Messa da Requiem nella Cattedrale.
Stava per chiudere questo mio umil.mo Rapporto quando si recò da me il Vicario
Capitolare Mg.r Zappata per pregarmi di fare pervenire all'Em.za Vostra R.ma i due
fogli che ho l'onore di qui accluderLe aperti come mi furono consegnati, di cui uno
per la Lodata Eminenza Vostra, e l'altro per la Santità di Nostro Signore.
Nel reputarmi lieto di farle un tal invio mi inchino al bacio della Sacra Por-
pora e coi sentimenti del più profondo ossequio ho l'onore di protestarmi...