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RECENSIONI
P. BRAIDO, Prevenire. Non reprimere. Il sistema educativo di don Bosco. (= ISS,
Fonti, serie prima, 11). Roma, Las 1999, 439 p.
Non è certamente usuale che su RSS si presenti o si recensisca un’opera prodot-
ta “in casa”, vale a dire nell’ambito dell’Istituto Storico Salesiano, tanto più che, come
in questo caso, si tratta di una riedizione, si è di fronte ad un testo per la scuola e l’au-
tore è uno studioso ben noto nell’ambito della pedagogia salesiana (oltre che della fi-
losofia dell’educazione e della pedagogia). Ma ogni perplessità viene superata dal fat-
to che la componente storica nel volume è talmente dominante (e in parte innovativa)
al punto da costituirne la chiave di lettura fondamentale; come tale meritava una par-
ticolare attenzione e sottolineatura da parte di RSS a beneficio dei suoi lettori.
Quale dunque e come si giustifica questa prospettiva storica in un volume che
intende essere un’esposizione sistematica della prassi e della concezione educativa di
don Bosco (p. 10)?
La prospettiva storico-descrittiva
Anzitutto l’A. è ben cosciente che per comprendere bisogna contestualizzare.
Eccolo allora offrire al lettore tanto un ampio contesto socio-politico-ecclesiale-cultu-
rale-economico del tempo di don Bosco (cap. 1°), quanto una personale sintesi della
vita, della personalità, dello stile, delle “opere” dell’educatore, precisandone le fonti
per la ricostruzione del sistema educativo (cap. 6-8). Tale primo quadro si articola
lungo la sua formazione pedagogica, per così dire, dall’infanzia alle sue prime espe-
rienze educative a Valdocco. «Prima di essere precetto, teoriae in qualche modo
sistemala pedagogia di don Bosco è vita vissuta, esemplarità, trasparenza perso-
nale» (p. 185).
Ma un secondo quadro, altrettanto essenziale nella logica di cui diremo, è
quello dei capitoli dal 2° al 6°: in essi l’autore ripercorre il tema “Preventivo, Preven-
zione” lungo l’ottocento nella sua applicazione politica, sociale, educativa, religiosa
(cap. 2°), nella realtà educativa prima della formula, da Trento in poi… fino al sette-
cento (cap. 3°), nella realtà educativa accompagnata dalla formula “sistema preven-
tivo” in contrapposizione a “sistema repressivo”, soprattutto nell’ottocento francese:
Poullet, Dupanloup, Lacordaire, Monfat, Rollin, Fenelon, collegi vari (cap. 4°), nelle
esperienze di educatori e pedagogisti cattolici contemporanei: Cavanis, Pavoni,
Champagnat, Verzeri, Rosmini, Lassalliani, Barnabiti (cap. 5°), nei semplici contatti,
personali, di amicizia con la pedagogia scientifica, ufficiale e accademica: Aporti, Al-
lievo, Rayneri… (cap. 6°). Ne risulta decisamente comprovato che don Bosco non è
un isolato nella storia e tantomeno nell’800, al punto che le dieci paginette tanto sem-
plici quanto significative del Trattatello, in cui riversa taluni risultati della sua espe-
rienza, rispecchiano a loro volta motivi familiari alla tradizione pedagogica cattolica
e alla spiritualità cristiana. Andava ovviamente verificato in concreto quali fossero le

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406 Recensioni
conoscenze di don Bosco, le sue relazioni e dipendenze da movimenti educativi e pe-
dagogici, contemporanei o antichi, i quali con lui condividevano ansie per i giovani
nel loro tempo, hanno intrapreso tipi non dissimili di iniziative in loro favore, con
mentalità e “linguaggi” che rivelano forti convergenze verso uno stile educativo che
si può definire “preventivo”.
Un terzo quadro storico può essere considerato quello dei destinatari e della loro
tipologia (cap. 9 e 10): chi sono e di che cosa abbisognano i giovani “poveri e abban-
donati” di cui si interessò don Bosco (analisi sociologica), come sono questi giovani
(lettura psicologica e teologica), quale modalità di applicazione del sistema preventi-
vo ed eventuali “opere” per un settore giovanile particolare, come i corrigendi.
Un altro quadro, il quarto, di indole più teoretica ma comunque esplicitamente e
decisamente legato alla biografia e agli scritti di don Bosco, è quello che presenta da una
parte le finalità, i contenuti dell’educazione donboschiana (buon cristiano e onesto cit-
tadino secondo i bisogni del tempo: cap. 11) e dall’altra gli itinerari educativi da lui vis-
suti e applicati (pedagogia dei novissimi, del dovere, della vocazione, della castità; edu-
cazione religiosa, educazione alla speranza e alla gioia: cap. 12 e 13). Analogamente per
quanto concerne il versante metodologico delle tre colonne portanti del sistema, ragio-
ne, religione, amorevolezza (cap. 14), la famiglia educativa (cap. 15), la pedagogia del-
la gioia e della festa (cap. 16) e pure il cap. 17 sul tema dei castighi e dei premi.
Infine l’ultimo quadro, il sesto, è quello presentato nel cap. 18: vale a dire le
istituzioni educative di don Bosco e degli educatori in esso operanti. «La pedagogia
di don Bosco s’identifica con la sua azione e tutta l’azione con la sua personalità; e
tutto don Bosco è raccolto, in definitiva, nel suo cuore» (181).
Dunque si può già trarre una prima conclusione: secondo l’A. per comprendere
la pedagogia di don Bosco è giocoforza riferirsi al suo fondamento storico, inteso
come preciso riferimento ad un contesto di breve e lunga durata, a dati biografici di
don Bosco, a fonti scritte e talvolta orali, a raffronti testuali e documentali. E se al ri-
guardo molto è stato fatto, si può tuttavia ancora procedere nella stessa direzione. Si
pensi all’edizione critica ad es. dei regolamenti di Valdocco, di alcune prediche di
don Bosco, di scritti di altri salesiani formatisi direttamente alla sua scuola. Utili po-
trebbero tornare i profili di cristiani autentici disseminati da don Bosco nei suoi libri
di storia e di edificazione, come anche lo studio delle personalità dei suoi numerosis-
simi corrispondenti, laici ed ecclesiastici. Si aggiunga l’analisi dei modelli da lui ci-
tati nelle prediche, istruzioni, conferenze, buone notti, e soprattutto la storia ormai
centenaria dell’educazione salesiana, al maschile e al femminile, nei diversi contesti
mondiali: quali gli elementi essenziali comuni, quali le ispirazioni di base ovunque
presenti e come si siano coagulati di volta in volta in tratti ed accenti variamente di-
versificati? Ovviamente rimane sempre aperta la ricerca delle forme di prevenzione
nel passato sia in ambiti civili che religiosi.
Validità di una simile prospettiva
È lecito a questo punto chiedersi se sia corretto e soprattutto proficuo questo
modo di procedere dell’A. che mettendo l’accento sull’esperienza di don Bosco, sul
suo carattere contestuale e vitale, insomma sul dato storico, attenua deliberatamente

1.3 Page 3

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Recensioni 407
talune idealizzazioni delle edizioni precedenti. La risposta pare debba essere positiva
sulla base di quanto appena affermato e anche per altri motivi. Ci limitiamo a tre.
Anzitutto per il fatto che il cosiddetto “Sistema preventivo” in se stesso, vale a
dire nelle grandi linee, nei principi direttivi, teologici e filosofici, nei procedimenti
pedagogici da esso indicati non sono innovativi in don Bosco; anzi sono rintracciabili
sia in pedagogisti ed educatori precedenti o coevi sia nella tradizione e formazione
sacerdotale da lui ricevuta. Nuovo è invece il modo concreto, lo stile personale, pecu-
liare, inconfondibile con cui tali elementi e tali canoni, diffusi e comuni, sono vissuti
e realizzati in forme inedite e geniali dal suo spirito assimilatore, dalla sua mente “as-
sorbente”. Nuovi, rispetto alla tradizione, sono gli accenti, le vibrazioni personali con
cui è stato capace di far rivivere con inconfondibile stile proprio verità, idee e prin-
cipi nuovi e vecchi. Tutto invece di don Bosco sono il lessico e la redazione di testi –
anche quando si riesce a dimostrare la dipendenza letteraria – non fosse altro per il
fatto che in lui l’esperienza e la mentalità vengono prima dei regolamenti e delle ri-
flessioni scritte. Ora tutto ciò è evidentemente dimostrabile solo con prove fattuali,
con testimonianze, con fonti biografiche, in sintesi: con il ricorso alla storia.
In secondo luogo il sistema pedagogico di don Bosco, si sa, non è stato da lui
elaborato in termini teoretici, ma eminentemente pratici; “pedagogia concreta, speri-
mentale” – la definisce Braido – accompagnata da adozione riflessa di principi, me-
todi, mezzi e istituzioni che ha ottenuto ottimi risultati. La pedagogia di don Bosco è
“una esperienza pedagogica in divenire”, provocata dai fatti nella sua sensibilità
umana e sacerdotale: dalle prime esperienze interattive giovanili di casa Pinardi alla
complessa opera di Valdocco degli anni 60, e ancor più ’70 e ’80, accompagnata da
vari scritti assurti a significato di sistemazioni pedagogiche. Il sistema preventivo è
dunque in don Bosco un progetto cresciuto, dilatato, specificato, modificato nelle più
svariate istituzioni e opere realizzate da lui e dai suoi giovani collaboratori, come lui
emotivamente e operativamente partecipi. Dunque anche per questo motivo si giusti-
fica l’approccio cronologico-storico-biografico al sistema. Si tratta di verificare in
concreto tali sperimentazioni a Valdocco e altrove.
Infine don Bosco anche se per temperamento è alieno dalle speculazioni teore-
tiche di qualunque genere, tuttavia non è un semplice operatore pragmatico, non è ne-
mico della riflessione. Egli ha sognato una sistemazione almeno pratica, di indole
normativa e precettistica, sulla base, come s’è detto, della sua esperienza concreta e
delle sue conoscenze; con esse ha lasciato ai suoi eredi una proposta educativa orga-
nica e unitaria. Pertanto ciò che sembra debba prevalere è l’analisi storica di queste
conoscenze ed esperienze nella loro integralità e interezza (personale e sociale, tem-
porale ed eterno), anziché l’analisi esasperata dei suoi brevi testi teorici, non organici,
non sistematici, non divisibili in parti o in schemi rigidi.
Singolarità pedagogica di don Bosco
A questo punto sorge spontanea la domanda di quale sia la singolarità pedago-
gica di don Bosco. Fra i vari elementi sparsi lungo il volume – e non tanto nel cap. 6°
che pur ne porta il titolo – si possono enucleare i seguenti:
1. Il Sistema Preventivo praticato da don Bosco è un sistema complesso: non è

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408 Recensioni
solo sistema di educazione morale e religiosa. È un sistema benefico, assistenziale,
sociale; un sistema che abbisogna di molte forze convergenti e mobilitate attorno ad
uno stesso progetto, di ambienti adatti, di équipe educative…
2. Don Bosco, se è stato grande nelle ideazioni e nelle prospettive, lo è stato
anche nell’oscuro lavoro quotidiano di apprestamento dei mezzi e degli strumenti per
la realizzazione di tali ideali. Ciò che lo ha reso famoso è il Sistema Preventivo non
tanto nella sua teoria, quanto nelle sue molteplici realizzazioni. Il successo come fon-
datore di opere, come promotore di educatori e come “uomo di Dio”, ha contribuito a
diffondere l’immagine positiva del suo metodo.
3. Don Bosco operò come pochi altri per grandi masse di giovani; voleva ab-
bracciare il massimo dei soggetti (il mondo intero) e la totalità dei loro bisogni e delle
loro dimensioni, compresa quella religiosa.
4. Don Bosco è ligio alla tradizione, senza essere reazionario; è moderno senza
allinearsi con nessuna forma di liberalismo cattolico. La sicura dipendenza dall’am-
biente spirituale da cui proviene, talora fortemente conservatore, si concilia quasi
sempre con un realismo che lo fa aderire alle nuove situazioni e alle nuove esigenze
con moderato ardimento. Il giudizio sugli avvenimenti del suo tempo non è fonda-
mentalmente diverso da quello più largamente diffuso nel mondo cattolico; però ha
un modo realistico di subirlo, affrontarlo e rettificarlo, talvolta con un tatticismo
quasi spregiudicato, ma sempre sostanzialmente corretto.
5. L’umanesimo cristiano di don Bosco, tendenzialmente plenario, è inadegua-
tamente fondato ed elaborato a livello di teoria; eppure appare chiaramente visibile
sul piano della vita.
6. Per don Bosco l’intero educare può essere compreso e praticato come un
“prevenire”; un preventivo che dunque non è solo come condizione previa, così come
per altri autori.
7. Don Bosco applica una pedagogia situazionale e differenziale: una pedagogia
del possibile, differenziata negli obiettivi, nei ritmi, nei provvedimenti, negli stessi
esiti; dà così luogo ad una concreta “spiritualità giovanile” non rigida, schematica,
monocolore, monocorde, statica.
8. Se il Sistema Preventivo “è” l’educatore, se il Sistema Preventivo è nelle sue
mani, non esiste però solo l’educatore; esiste anche l’ambiente di vita dell’educando:
scuola, laboratorio, cortile, chiesa, camera, amicizie, strutture edilizie, orari, regola-
menti, comunità di vita con altri educatori, clima di impegno e di festa… Tutto deve
concorrere, tutto deve essere pensato in ordine all’educazione del giovane.
Affermazioni precise e coraggiose
In un’attenta lettura trasversale del volume si possono riscontrare affermazioni
e riflessioni già note agli studiosi più attenti e aggiornati, non certo al grande pub-
blico ma neppure sempre a divulgatori, predicatori, periodisti, redattori di riviste ecc.
Per loro conoscenza elenchiamo le principali di tali acquisizioni.
1. Don Bosco non è precursore di troppe cose: la quasi totalità delle sue opere e
delle sue idee è patrimonio costante della tradizione cattolica.
2. L’attenta analisi storico-critica fa scoprire che espressioni note – e commen-

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Recensioni 409
tatissime – di don Bosco, non sono proprie ed esclusive di don Bosco: ad. es. «fare
buoni cristiani e onesti cittadini», «illuminare le menti per riscaldare il cuore», «l’E-
ducazione è cosa di cuore», per continuare con il famoso “sai fischiare” del colloquio
con Bartolomeo Garelli, la altrettanto famosa lettera “da Roma” – che invero sono
due e che almeno letterariamente non sono di don Bosco – e la non meno citata «cir-
colare sui castighi» di cui quasi certamente don Bosco non ebbe mai conoscenza ecc.
Ciò per altro non significa negare un loro valore in quanto frutto dell’ambiente di
Valdocco o della riflessione di educatori cresciuti alla scuola di don Bosco.
3. In don Bosco il rapporto tra “temporale” e “trascendente”, pur non dicoto-
mico, rimane imperfetto, vista la subordinazione del polo temporale a quello trascen-
dente. Don Bosco non è pervenuto ad una compatta e organica visione teorica dell’e-
ducazione; nell’uso quotidiano i vari elementi che la compongono possono talora ri-
sultare sbilanciati in favore di uno o dell’altro valore: è privilegiato l’apprezzamento
di quelli religiosi, rispetto a quelli terreni, di quelli individuali rispetto a quelli sociali
e politici. In particolare è carente in don Bosco una sviluppata concezione dell’uomo
socialmente e politicamente impegnato, dato anche che questa si esplicita piuttosto
all’interno del fine morale e religioso; sono scarsissimi gli elementi per tracciare
quella che oggi chiamiamo “educazione sessuale”; sono altrettanto insufficienti le so-
luzioni persuasive per le “crisi adolescenziali” di fede, per dubbi, insofferenze, disaf-
fezioni. Don Bosco si limita a suggerire la fuga, cautela, sottomissione anziché dimo-
strare di capire, chiarire, costruire positivamente.
4. Il Sistema preventivo di don Bosco non esaurisce le possibili versioni del si-
stema preventivo stesso. Sono possibili altre versioni, tanto più oggi che il prevenire
ha assunto dimensioni incomparabili rispetto alle realizzazioni e formulazioni di don
Bosco. I limiti del Sistema Preventivo sono evidenti e non sono dunque oggi accetta-
bili esaltazioni unilaterali.
5. Il Sistema preventivo di don Bosco non solo è decisamente datato, ma porta a
conclusione lungo la storia dell’educazione lo stile preventivo se si considerano al-
cuni fatti, quali gli sconvolgimenti politici, culturali, ecclesiali, scientifici, filosofici
avvenuti, il cambiamento del pianeta giovani per età, numero, condizioni, contesto
culturale, spazi coinvolgenti gli operatori sociali adulti (scuola, tempo libero, mass
media…), le conclusioni cui arriva la “Educazione Nuova”, le Nuove Scuole, la ga-
lassia di posizioni e di figure presenti nelle scienze umane in genere e nella peda-
gogia istituzionale in specie (che riflette sulla dinamica di gruppo, la psicoterapia di
gruppo, il lavoro cooperativo ecc.) e infine la rivoluzione copernicana dell’educa-
zione odierna che mette al centro il fanciullo. Motivo per cui si deve riconsiderare
la funzione preventiva (nei suoi due versanti protettivo e promozione) degli adulti
e questo in spazi educativi e geografici sempre più ampi.
Tutto ciò rende difficile non solo la lettura del Sistema Preventivo nei termini
antichi, ma soprattutto la loro reinterpretazione. Ma non pare ci si debba perdere di
coraggio.
Proprio in funzione di un “Nuovo Sistema Preventivo”, l’A. nell’ultimo capi-
tolo “Verso il domani” presenta una lunga serie di condizioni storiche, scientifiche,
esperienziali. È un capitolo praticamente nuovissimo, che per così dire sostituisce

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410 Recensioni
quelli dedicati nelle edizioni precedenti alla storia delle interpretazioni, alla discus-
sione su don Bosco pedagogista, artista dell’educazione, educatore, autore pedago-
gico ecc.
In sostanza Braido invita tutti, studiosi, pedagogisti, psicologi, magistrati, poli-
tici, operatori sociali, esperti delle scienze umane in genere a non ripetere formule
ormai consunte, ma a mettere in moto fantasia e creatività per raggiungere una serie
di obiettivi, fra i quali: rifondare il Sistema preventivo su solide basi antropologiche
e teologiche, rispetto a quelle fragili e di indole pratico-moralistica dell’800; utiliz-
zare le scienze umane per tracciare itinerari differenziati, qualificati e personalizzati e
diversificazioni qualitative dello stesso fine in base a distinte età, a pluralità di cul-
ture, a svariate condizioni di partenza e di crescita; procedere alla revisione della fi-
gura e dell’azione sia dell’educando (coniugazione del preventivo con forme di atti-
vismo, di autogoverno, di autogestione, di autonomia di gruppo, in relazione della
maturità raggiunta: più spazio alla ragione, meno spazio alla trasmissione di valori
per autorità, ripensamento e rifondazione del classico trinomio) sia dell’educatore
(che cessa di essere il possessore e l’interprete unico del metodo), che dell’ambiente
rispetto a quello del passato; riempire lacune, silenzi e arretratezze già citate, vale a
dire l’approfondimento teorico e pratico dei tre spazi capitali: quello socio-politico,
quello affettivo-sessuale e quello culturale, oltre al rilancio dell’ambiente familiare.
Tutto questo programma di azione potrà avere successo, a nostro giudizio, se ri-
marranno alcune costanti, quali una sincera volontà di educare, la convinzione dell’e-
ducabilità spirituale dei soggetti, la subordinazione del progresso personale e collet-
tivo al registro spirituale-evangelico (trasformazione dell’uomo, del cuore più che
delle strutture), il senso acuto dei ritardi in campo educativo (lunga durata), la priorità
al problema del senso, dei valori, delle ragioni di vita (rispetto ai mezzi per vivere), la
docibilità degli educatori e una cultura non solo funzionale alla professione.
Cambieranno invece necessariamente i destinatari effettivi dell’educazione
(“educazione permanente”), la tipologia delle istituzioni, la rappresentazione psicolo-
gica-antropologica-teologica degli educandi, i programmi concreti, il ruolo della
scuola e delle altre agenzie educative (tempo libero, mass media…), i rischi educativi
e le manifestazioni di devianza giovanile (delinquenza tossicomani, suicidio), l’ideale
spirituale del «buon cristiano» e dell’«onesto cittadino» che si vuole costruire.
Ma la conoscenza delle “radici” e delle “esperienze preventive” di don Bosco,
fermo restando sempre possibili approfondimenti e chiarificazioni – la storia non è
mai scritta una volta per sempre, la storia è sempre attuale – è dunque ormai suffi-
cientemente ampia. Mediante il contatto col passato ormai noto e ricco di «principi
che hanno virtualità illimitate», «suggestioni particolari gravide di sviluppi», di «ger-
mogli che attendono di sbocciare ed espandersi», mediante la presa in attenta consi-
derazione del presente (non facilmente conoscibile) e del futuro (molto difficilmente
prevedibile), ci si può avviare all’opera di “restaurazione, reinvenzione, ricostru-
zione” di un “Nuovo Sistema Preventivo”, dove l’aggettivo sta per “moderno”, “at-
tuale”, “inedito” e il sostantivo indica continuità col passato e permanenza di conte-
nuti e valori.
F. MOTTO

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Recensioni 411
Ernesto SZANTO, Raíces y claves de la Patagonia. Archivo Histórico Salesiano de la
Patagonia Norte y del Instituto Superior “Juan XXIII” Bahia Blanca 1998, 202 p.
Muy original el título de la obra: “Raíces y claves de la Patagonia”. Según lo ex-
plica el mismo autor, “Raíces” sugiere la procedencia, diríamos el humus y la parte
oculta de tal procedencia. “Claves” alude a las ideas o noticias capaces de iluminar lo
oculto y resolver lo enigmático. Raíces y claves en lo referente a la Patagonia. Y Pata-
gonia se llama “a la extensa comarca de la América del Sur, entre los océanos Atlán-
tico y Pacífico y que al Este de la Cordillera de los Andes comprende a las provincias
argentinas de Río Negro, Neuquén, Chubut, Santa Cruz y Tierra del Fuego” (p. 13). El
P. Szanto, miembro de número de la Junta de Historia Eclesiástica Argentina y un his-
toriador calificado, sobre todo en temática patagónica, advierte que se trata de Raíces
y Claves “Históricas”, es decir, dignas de figurar en la historia y por ende ciertas, com-
probadas, contrariamente a lo que es o resulta fabuloso o imaginario (ib.).
Creo que una certera guía de lectura es la que ofrece en el Prólogo el P. Valentín
Rebok, otro historiador salesiano y colega del P. Szanto en la gestión del Archivo
Histórico Salesiano de la Patagonia Norte. A su entender, “la línea temática troncal de
la obra es la presentación de algunos rasgos históricos de la presencia y de la acti-
vidad de la Iglesia en la Patagonia” (p. 11), en el doble contexto de lo aborigen y de
la realidad socio-política más general. Parsimonioso, a la vez que agudo en sus apre-
ciaciones, el P. Rebok considera el trabajo del P. Szanto como “un bosquejo historio-
gráfico” del devenir patagónico a través del aporte de datos concretos. “Estos datos
– explicita el P. Rebok – corresponden a la evangelización patagónica (aconteci-
miemtos, agentes, destinatarios, modos y medios), a la educación, principalmente la
sistemática (protagonistas, instituciones, lugares), a manifestaciones culturales di-
versas (entre ellas las artísticas, las científicas, las de comunicación social, etc.), a re-
alizaciones de caridad y/o de bienestar social” (ib.).
Advierte el P. Rebok que los diversos capítulos del libro delatan “cierta frag-
mentariedad”, como si fueran taraceas de un mosaico, porque tienen como origen
sendos trabajos presentados por el autor en congresos o en otras reuniones científicas
de historia y que luego, por su afinidad temática, integró en la obra que estamos con-
siderando. Así y todo, “creemos – escribe el P. Rebok– que esta publicación es opor-
tuna y estimulante. Su valor principal está en la llamada que implícitamente hace a
aprovechar más el material que ya está a disposición de lectores ávidos de historio-
grafías sólidas y porque incentiva a los expertos a seguir en la investigación aún más
amplia y profunda que el acontecer patagónico está requiriendo” (p. 12). Para el P.
Rebok el libro no tiene “mayores pretensiones de originalidad científica”, pero cons-
tituye “un esfuerzo plausible de aproximación sistemática a concretas realidades his-
tóricas, con propuestas temáticas e interpretativas dignas de ser tomadas en cuenta
por cualquier verdadero estudioso o interesado en historia de la Patagonia y su con-
texto inmediato argentino o americano, especialmente si del devenir histórico de la
Iglesia se trata” (ib.).
Llama poderosamente la atención la objetividad, diría puntillosa, del autor, en
consonancia con su concepción de la historia. Escribe él, por ej., en la página 22: “La
tarea específica del historiador es ser testigo de los hechos relatando objetivamente lo

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412 Recensioni
sucedido. No le corresponde al historiador el papel de juez, ni de fiscal ni de de-
fensor. La historia no es precisamente un tribunal. Al historiador le corresponde por
oficio siempre ser testigo fiel e imparcial de los dichos y hechos que producen los
hombres en el bregar cotidiano”. Esto salta a la vista en la obra del P. Szanto. Así, de-
bajo el título “La evangelización y las armas”, que evoca la trillada figura de “la es-
pada y la cruz”, él comenta: “Los datos que tomamos de fuentes confiables nos facili-
tarán el trabajo de perfilar con la mayor objetividad posible las mutuas relaciones que
surgirán entre Indígenas, Iglesia y Estado en el área rioplatense y luego en el área pa-
tagónica, primero en la época colonial y después en la época independiente. Esto nos
ayudará a no parcializar o mutilar la visión de nuestra realidad histórica” (p. 36).
Como aval de la objetividad histórica, está la consulta o utilización constante de
las fuentes bibliográficas. Éstas, salvo error u omisión, suman 152, distribuidas en sie-
te listas. En cuatro de ellas, el título no es : “Fuentes bibliográficas”, sino: “Bibliogra-
fía consultada”. Pero en realidad se trata, no ya de bibliografía simplemente consulta-
da y tenida en cuenta, sino utilizada y debidamente citada. Las citas, desde luego, son
muchas más que la respectiva bibliografía. Aparecen en la mayoría de los párrafos.
Por la rigurosa fidelidad a las fuentes, uno se entera, a veces, de curiosidades,
como estas acerca de Roca cuando joven teniente: “Llama la atención por su contrac-
ción al estudio. El comisario pagador le llevaba su sueldo en libros. Y Roca en el
vivac... comentaba con otros las campañas de Alejandro, las de Epaminondas, las de
Antonio (supuestamente Marco Antonio), las de Julio César, las de Federico el
Grande, las de Napoleón” (p. 56).
Siendo objetivo, el P. Szanto no deja de lado juicios peyorativos ni acerca de los
indios ni acerca de los soldados o colonos blancos. Así, por ej., cita el siguiente testi-
monio del P. Alvarez, misionero franciscano: “Los indios mismos son un obstáculo
muy fuerte. Con los viejos no hay que contar, porque criados en un desenfreno abso-
luto, no se avienen a las severas leyes del catolicismo. Para ellos el divorcio, la poli-
gamia, la omnímoda potestad, o sea un bárbaro despotismo sobre la mujer son muy
bien recibidos: de cuyo código no quieren por nada despojarse. Cuando el Padre Pre-
fecto les hizo prohibir la poligamia y otros vicios, se resentían; y en medio de sus re-
sentimientos decían: '¿Qué tiene que mezclarse el Padre en nuestras cosas? Nosotros
somos indios e indios queremos morir'. A todo esto es preciso añadir las depravadas
costumbres de los soldados de línea, que hacen coro con los indios” (pp. 65–66).
Se habla a menudo del signo o conjunción de la espada y la cruz, como de un
elemento favorable a la civilización y evangelización. El P. Szanto sabe distinguir ne-
tamente entre la metodología de la espada y la de la cruz. En un trabajo sobre la per-
sonalidad del Gral. Roca, Félix Luna, su autor, refiriéndose a los misioneros sale-
sianos participantes de la conquista del desierto, le hace decir a Roca que los incor-
pora a la expedición “con la misión de bautizar indios aunque fuera a palo” (p. 109).
“Felizmente – anota el P. Szanto – la bibliografía de la Patagonia ha rescatado de los
Archivos algo más efectivo que una evangelización a palos” (ib.).
Es evangelización y al mismo tiempo promoción humana hechas conforme al
sistema preventico de Don Bosco, cuyos ejes son la religión, la razón y la amabilidad
(en el sentido de amor manifestado). En 1900 Mons. Cagliero, “Capataz, Civilizador

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Recensioni 413
y Apóstol de la Patagonia”, como fue apodado (p. 110), elevó al Ministro de Culto de
la Nación, Amancio Alcorta, un amplio informe sobre las Misiones Salesianas en los
territorios del Sur (Pampa Central, Neuquén, Río Negro, Chubut, Santa Cruz y Tierra
del Fuego). En ese informe anota, por ej., los datos siguientes: “En la Misión de la
Candelaria, en Tierra del Fuego, se asilan: 90 indios adultos, 48 niños, 56 niñas y 126
mujeres indígenas. Y en la isla Dawson se asilan de 350 a 400 indios. En Santa Cruz
los Padres misioneros atienden a las tribus tehuelches. En Junín de los Andes, dos co-
legios para niños indígenas. Y además se atiende en el pueblo de San Martín a las
tribus de Curruhinca, a la de Namuncurá en San Ignacio y a la de Yancuche en Co-
mallo. También se visita a 'Maquincheu' y demás tribus nómadas de las quebradas y
boquetes en las faldas andinas del Neuquén y del Chubut” (pp. 115–116).
El Dr. Gabriel Carrasco, Vocal del Consejo Nacional de Educación, comprobó
en 1902 que “cada Casa Salesiana constituye un doble templo. Aquel en el que se
adora a Dios Redentor de la humanidad y el otro, en que por amor a El se da al niño
la enseñanza que ha menester y al hombre la capacidad de trabajo que necesita para
ser útil a sí mismo, a la familia, a la sociedad... Cada misión constituye un centro al
cual, la paciencia, la laboriosidad y virtudes de sus fundadores hacen que converja la
población inculta, menesterosa y a veces salvaje” (p. 116).
Algo análogo ocurría con la rama femenina de la Familia Salesiana, las Hijas de
María Auxiliadora. En un documento que obra en el Archivo Central de las Hijas de
María Auxiliadora, en Roma, se lee: “La Casa de Viedma puede justamente llamarse
el pequeño Cottolengo americano. Hay allí alivio para cualquier miseria; se provee a
todas las necesidades; el pobre, la enferma, el viandante, y el infante recién nacido, el
viejo extenuado, encuentra allá a toda hora, pan y asilo. Y además hay locales para
escuela elemental que dieron siempre óptimos resultados. Estúdiase el italiano con
amor y fueron espléndidos los exámenes rendidos en esta materia el año 1905. Y tam-
bién se cultiva con entusiasmo la música” (p. 117). Ya en 1880 un diario de Buenos
Aires, titulado “América del Sur”, comentaba, a propósito de las cuatro Hermanas re-
cién llegadas a Patagones, que “sus dulces maneras y su caridad proverbial contribui-
rían sin duda muchísimo a la conversión de los indios a la religión” (p. 111).
Siendo conocido el éxito de las antiguas misiones de los jesuitas con residencias
y pueblos estables, cabe preguntar por qué los Salesianos no aplicaron el mismo sis-
tema en la Patagonia. En el libro del P. Szanto encontramos la respuesta. En notas
históricas por él redactadas, el P. Domingo Milanesio dice: “Ni el Presidente Roca ni
las Cámaras (Diputados y Senadores) jamás habrían consentido y menos aun favore-
cido el sistema de los Reverendos Padres Jesuítas del Paraguay, a manera de reduc-
ciones independientes y bajo completo gobierno de los misioneros” (p. 199). Luego,
como escribe dicho Padre, los misioneros tenían que limitarse a visitar a los indios en
sus chozas y grupos, multiplicando las “misiones volantes”, ampliando las a pobla-
ción, como masones y liberales, en alguna ciudad. Así, por ej., la Crónica de la Casa
de Patagones, el 14 de enero de 1900 alude a “unos folletos satánicos contra los Sale-
sianos” (p. 118). En sus Memorias el P. José María Brentana atestigua lo siguiente
respecto de Bahía Blanca durante la última década del siglo pasado: “Las autoridades
municipales eran los principales y más declarados opositores de la acción del clero...

1.10 Page 10

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414 Recensioni
La guerra se nos hacía sobre todo desde la prensa, que todos los días salpicaba sus
hojas con artículos envenenados y con toda clase de denuestos, presentando la acción
sacerdotal en las formas más calumniosas para sembrar la antipatía y el desprecio
contra el sacerdote” (p. 129).
Al P. Miguel Borghino, por ej., que era el Director de la Comunidad Salesiana,
el diario “El Porteño”, a raíz de una homilía, lo tildó de “moderno Torquemada”, apo-
dándolo además “clericuervo tocino” (con manipulación caricaturesca del apellido
Borghino) (p. 131).
Otro rasgo que caracterizó a los misioneros salesianos, al igual que a los je-
suitas, franciscanos y capuchinos, y que el P. Szanto enfatiza, fue la preocupación por
el uso del idioma nativo en el área araucana. Entre los salesianos mención aparte me-
recen el P. Domingo Milanesio, el P. Zacarías Genghini y hoy el P. Oscar Barreto y el
P. Francisco Calendino. Conste que este último es incluso autor de un Diccionario
Mapuche Básico, cuya segunda edición es inminente, y de otro diccionario de más de
dos mil verbos mapuches. En Tierra del Fuego, el P. Juan Zenone se distinguió en el
conocimiento del idioma de los alakalufes; el P. Fortunato Griffa y la Hna. Rosa Gu-
tiérrez, en el conocimiento del idioma de los onas.
Se podrían señalar varios otros aspectos de la múltiple acción evangelizadora y
civilizadora de los Salesianos e Hijas de María Auxiliadora en la Patagonia, que están
nítidamente reflejados y detallados en el libro “Raíces y claves de la Patagonia” del
P. Szanto. Yo remito pues al libro.
J. J. DEL COL
Juan BOSCO, El arte de educar. Escritos y testimonios, a cura di Pietro Braido.
(= Fuentes y Documentos de Pedagogía, 1). Madrid, Editorial CCS 1994, 243 p.
Juan BOSCO, Cartas a jóvenes y educadores, a cura di Francesco Motto. (= Fuentes y
Documentos de Pedagogía, 2). Madrid, Editorial CCS 1994, 277 p.
Juan Bosco en la historia de la educación, a cura di Pietro Stella. (= Fuentes y Docu-
mentos de Pedagogía, 3). Madrid, Editorial CCS 1995, 284 p.
Educar con don Bosco. Ensayos de Pedagogía salesiana, a cura di José Manuel Prel-
lezo. (= Fuentes y Documentos de Pedagogía, 4). Madrid, Editorial CCS 1997,
337 p.
El sistema preventivo en la educación de la mujer. Experiencia pedagógica de las
Hijas de María Auxiliadora, a cura di Piera Cavaglià. (= Fuentes y Documentos
de Pedagogía, 5). Madrid, Editorial CCS 1999, 259 p.
I ritmi accelerati delle trasformazioni sociali, economiche, culturali e religiose,
la rapidità e la continuità delle informazioni che si danno in una società pluralistica,
rendono indispensabile il contatto costante con le radici sia per i membri della Fami-
glia Salesiana che intendono mantenersi fedeli al progetto universale di salvezza della
gioventù iniziato da don Bosco, sia per quanti in genere sono interessati alla cono-
scenza dell’educatore stesso e del movimento che da Torino-Valdocco ha avuto un ra-
pidissimo sviluppo in numerosissimi paesi, e oggi è presente in 123 nazioni.
Una simile diffusione pone evidentemente il serio problema dell’accessibilità

2 Pages 11-20

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2.1 Page 11

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Recensioni 415
delle fonti nella propria lingua, dal momento che quasi la totalità di esse sono in
lingua italiana. Non si può dunque che esprimere meritato plauso all’iniziativa dell’E-
ditrice salesiana spagnola Editorial CCS (Madrid), che con la nuova Collana “Fuentes
y Documentos de Pedagogía” viene a completare una lunga e prestigiosa storia nel-
l’ambito delle pubblicazioni su don Bosco e su temi salesiani.
La presente Collana, curata dal salesiano spagnolo José Manuel Prellezo, ordi-
nario di storia della Pedagogia e dell’educazione presso l’Università Pontificia Sale-
siana di Roma, si propone di mettere a disposizione dei lettori gli scritti pedagogici di
don Bosco e i più significativi documenti e testimonianze riguardanti il suo pensiero
pedagogico, la sua azione educativa, nonché la loro risonanza nella storia dell’educa-
zione e della scuola. Il raggiungimento di queste finalità comporta, come è ovvio,
pure la pubblicazione di un campione sufficientemente rappresentativo di scritti dei
primi collaboratori di don Bosco e di autori che, da prospettive e in contesti diversi, si
sono occupati del tema. Il termine fonti viene inteso qui volutamente in senso ampio.
I destinatari privilegiati della Collana sono i membri della Famiglia salesiana di
lingua spagnola. Ma nella preparazione dei diversi volumi si tiene inoltre presente una
cerchia più vasta: educatori, genitori, responsabili di centri pastorali, movimenti gio-
vanili e apostolici, istituti educativi. Il pensiero pedagogico di don Bosco – il suo “si-
stema preventivo” – offre ancora oggi elementi e proposte utili carichi di futuro. Anche
gli studenti e studiosi di pedagogia possono trovare in questa raccolta di documenti non
facilmente fruibili nella lingua originale dati e orientamenti tutt’altro che irrilevanti.
L’agile traduzione castigliana dei documenti è stata fatta a partire dalle edizioni cri-
tiche o da edizioni originali autorevoli. Le fonti e i documenti tradotti (dall’italiano, dal
francese, dal tedesco, dall’inglese), che occupano la parte più consistente di ciascun vo-
lume, sono preceduti da una ampia introduzione generale del curatore, in cui viene de-
lineato il quadro in cui si inseriscono i diversi scritti e i temi più rilevanti offerti dai me-
desimi. Una breve premessa bio-bibliografica sull’autore di ognuno degli scritti, sobrie
note storiche, indici generale e di nomi facilita la lettura e comprensione dei testi.
Fino a questo momento hanno visto la luce i cinque succitati titoli, tutti ad
opera di docenti e ricercatori in Roma presso l’Università Pontificia Salesiana, la
Pontificia Facoltà Auxilium e l’Istituto Storico Salesiano. Sono in preparazione vari
altri volumi che raccoglieranno fonti e testimonianze su argomenti di interesse per
documentare diversi contributi offerti dalla pedagogia e dall’educazione salesiana;
per esempio: scuole professionali, vita quotidiana a Torino-Valdocco nei diari e cro-
nache dei primi collaboratori di don Bosco, il sistema preventivo nel mondo culturale
spagnolo e latino-americano; gruppi e movimenti giovanili, i cooperatori.
All’alba del terzo millennio, con gli strumenti tecnologici a nostra disposizione,
è lecito sperare che anche i paesi di lingua non italiana né spagnola possano usufruire
in tempi brevi delle ricchezze pedagogico-spirituali di un patrimonio educativo sale-
siano scientificamente presentato? Un simile investimento culturale non dovrà essere
valutato in termini meramente economici; sono ben altri i criteri di valutazione, se è
vero che gli sviluppi pedagogici nel futuro – l’“aggiornamento del Sistema preventivo”
come si diceva anni fa o, come ora si preferisce dire, il “Nuovo Sistema Preventivo” –
saranno ricchi di promesse e di prospettive solo nella fedeltà ai principi e alla storia.
F. MOTTO

2.2 Page 12

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416 Recensioni
Epistolario «guanelliano» di Aurelio Bacciarini. Volume primo (1906-1917), a cura
di Alejandro Dieguez. [= Fonti Guanelliane, 1]. Roma, Nuove Frontiere Editrice
1999, 245 p.
La pubblicazione dell’edizione critica dell’Epistolario di Aurelio Bacciarini (1873-
1935), sacerdote diocesano, primo successore di don Luigi Guanella alla guida della
congregazione dei Servi della Carità (1915), vescovo titolare di Daulia e amministra-
tore di Lugano (1917), è un’impresa che, per la necessità di recuperare gli originali
sparsi un po’ ovunque, non ci si può aspettare in tempi brevi.
In tale attesa ecco il Centro Studi Guanelliano procedere ad un’edizione divulga-
tiva di una parte dell’Epistolario, meglio, del carteggio di Bacciarini, vale a dire di 165
lettere, di cui 141 lettere dello stesso Bacciarini, 6 a lui indirizzate e 18 riguardanti la
sua persona. Il curatore, giovane d’età ma già aduso a simili ricerche archivistiche e re-
lative pubblicazioni, è di per se stesso garanzia di attendibilità di trascrizioni di testi e
di precisione circa il ricco apparato storico-illustrativo.
Non si tratta evidentemente di presentare qui i contenuti e il metodo adottato per
il nuovo volume, che inaugura la nuova collana “Fonti Guanelliane”; soltanto interes-
sa segnalare ai cultori di storia salesiana, come in esso e in quasi tutti i volumi della col-
lana “Saggi storici” – giunta ormai al numero di 15 – e nei 4 volumi di “Opere edite ed
inedite di Luigi Guanella”, tutti pubblicati dallo stesso Centro Studi Guanelliano di Ro-
ma, si trovano numerosi ed interessanti riferimenti a don Bosco (e ad altri salesiani).
Per limitarci ad un solo esempio si pensi al valore che può avere per conoscere la
mentalità di don Bosco la seguente affermazione di don Guanella, tratta dal “Regolamen-
to dei Servi della carità”: «Sono pure da notare due indirizzi, che sembrano opposti, ma che
sono ambedue eccellenti secondo le circostanze. Si danno delle guerre che si possono in-
gaggiare e combattere a preferenza con i corpi di un esercito compatto, e perfettamente di-
sciplinato, ma si danno anche delle circostanze per le quali conviene improvvisare soldati
per una battaglia campale e commettere tosto la battaglia, perché urge e non è tempo per
allevare una truppa disciplinata. Il venerabile don Bosco era di parere, contro il consiglio
dello stesso venerabile Cafasso, che la società attuale abbisogna di una falange di soldati
improvvisati (Scritti per la Congregazione…, pp. 1258-1259; ivi p. 184).
Dunque per la conoscenza di don Bosco e della società da lui fondata anche le fon-
ti non salesiane sono in continuo aumento, per cui si impone la necessaria attenzione, da
parte degli studiosi, a quanto viene immesso continuamente pubblicato da tanti altri, re-
ligiosi, religiose e laici, che con don Bosco e con i salesiani ebbero significativi contatti
Ci congratuliamo dunque col Centro Studi Guanelliano per la sua ricca produ-
zione, cui per altro non ha mancato di dare un suo valido apporto l’ISS con due suoi
membri (P. Braido, J. M. Prellezo), anche se non possiamo nascondere un certo disap-
punto per qualche recente volume, a nostro giudizio, non adeguatamente curato nella
sua rigorosità metodologico-scientifica, non sufficientemente calibrato nell’articola-
zione delle parti e soprattutto assolutamente inaccettabile per una serie di errori tipo-
grafici e disattenzioni linguistiche (e non solo) che un Centro Studi non può permet-
tersi, pena lo squalificare anche altri testi editorialmente molto più vigilati. Forse,
come si usa dire, la fretta è cattiva consigliera. Vale anche per chi si dedica alla storia.
F. MOTTO