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STUDI
LA MEDIAZIONE DI DON BOSCO FRA SANTA SEDE E GOVERNO PER LA
CONCESSIONE DEGLI EXEQUATUR AI VESCOVI D'ITALIA (1872-1874)
Francesco Motto
Il conte De Vecchi di Val Cismon, presentando una brevissima corrispondenza di Don
Bosco col Presidente del Consiglio Giovanni Lanza a proposito della questione delle cosiddette
« temporalità », così scriveva nel 1934: « Per completare questo carteggio molto materiale
documentario potrà essere trovato sia fra le carte del Santo, sia negli archivi vaticani, sia in
quelli dello Stato ».1
Pochi anni dopo, e precisamente nel 1939, Angelo Amadei dedicava all'intervento di Don
Bosco presso le autorità pontificie ed italiane oltre cento pagine delle Memorie Biografiche.2
Fonte principale del suo lavoro erano stati i volumi XII, XIII, XIV ed in parte XLII e XLIII dei
Documenti per scrivere la storia di D. Giovanni Bosco, dell'Oratorio di S. Francesco di Sales e
della Congregazione.3
Tali documenti, collezionati in bozze di stampa da Giovan Battista Lemoyne (morto nel
1916) si erano rivelati ricchi di testimonianze su molteplici aspetti della vita di Don Bosco,
anche se al fiuto euristico che aveva permesso di raccogliere un'enorme mole di materiale, non
sempre si era coniugato il setaccio di una rigorosa critica storica. Questa non era entrata negli
intendimenti del primo memorialista di Don Bosco e neppure dell'Amadei, che operando negli
euforici anni immediatamente successivi alla canonizzazione di Don Bosco, correva il facile
rischio che la sollecitudine per l'obiettività fosse talvolta assottigliata da preoccupazioni
apologetiche o agiografiche.
1 C.M. DE VECCHI DI VAL CISMON, Don Bosco e Giovanni Lanza. Nuovi documenti sulla
questione della temporalità dei vescovi dopo il 1870, in « Rassegna Storica del Risorgimento »,
1934, p. 211.
2 G.B. LEMOYNE-A. AMADEI, Memorie Biografiche di San Giovanni Bosco. Voi. X. [pro
manuscripto] Torino, SEI 1939, pp. 454-568. Citato: MB.
3 G.B. LEMOYNE, Documenti per scrivere la storia di D. Giovanni Bosco, dell'Oratorio
di S. Francesco di Sales e della Congregazione. 45 voll. numerati da I a XLV, custoditi in Archivio
Salesiano Centrale [=ASC] - Roma. Altre sigle archivistiche citate: Archivio Segreto Vaticano
[=ASV]; Archivio Centrale dello Stato [=ACS] - Roma.

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Francesco Motto
Comunque, se si esclude lo studio dell'Amadei, si potrebbe asserire che la possibilità
intravista dal De Vecchi di Val Cismon sia rimasta pressoché inesplorata. E ciò nonostante la
proliferazione della pubblicistica su Don Bosco nei cinquant'anni che seguirono la sua
elevazione agli altari. A tutt'oggi la conoscenza documentale della mediazione di Don Bosco
per la concessione delle temporalità ai Vescovi d'Italia nel triennio 1872-1874 non ha
progredito di molto rispetto a quanto già noto ai primi biografi del santo. Lo stesso Mario
Belardinelli che sul finire degli anni sessanta studiò a fondo l'intero problema degli exequatur,
non poté avere a disposizione, per quanto concerneva Don Bosco, che fonti edite già negli anni
trenta.4
Non c'è da meravigliarsene più di tanto: gli archivi in linea di principio sono aperti alla
consultazione degli studiosi; ma le vie di tali archivi raramente sono agevoli da percorrere, vuoi
per la non sempre completa inventariazione del materiale in essi custodito, vuoi per la nutrita
serie di carte da consultare, vuoi soprattutto per il rischio — molto concreto nel caso in
questione — di compiere un improbo e tedioso lavoro senza pervenire ad apprezzabili risultati.
Come è risaputo, la reiterata opera di mediazione svolta da Don Bosco fra Stato e Chiesa nei
drammatici anni del Risorgimento non rivestì mai carattere ufficiale, anzi venne condotta con
molta riservatezza, e quasi sempre a mezzo di privati colloqui. Il che evidentemente non ha
potuto produrre quella documentazione abbondante di cui sentono l'esigenza determinate
ricerche storiografiche.5
Il felice ritrovamento di numerosi inediti, sia di natura memorialistica che « diplomatica
», dei quali si aveva una qualche notizia, ma che sovente si sono ritenuti persi o quasi
impossibile da recuperare, è all'origine della presente « rivisitazione » dell'intera vicenda.6 Di
non modesto interesse pure il contributo dato alla ricerca dalla cronaca della stampa periodica,
recuperata nelle varie emeroteche di Roma, Firenze, Milano, Torino ed altre città d'Italia.
Ma più che il gusto della scoperta del documento « ghiotto » come s'usa
4 MARIO BELARDINELLI, Il conflitto per gli exequatur (1871-1878). Roma, Edizioni
dell'Ateneo 1971. L'autore utilizza il succitato volume delle MB. Per la vicenda degli
exequatur, in ciò che non riguarda direttamente Don Bosco, faremo sovente riferimento a
questo volumetto. Qualche passo in avanti comunque era stato fatto da tesi di laurea non
¡pubblicate. Così ad es. quella di P. MAINO, La provvista delle sedi vescovili vacanti e le
temporalità dei vescovi nell'azione di Don Bosco dal 1858 al 1874, presso la facoltà di scienze
politiche dell'Università degli studi di Padova; anno 1970-1971.
5 Nel corso della trattativa che verremo presentando avremo modo di scoprire con nostra
grande sorpresa come anche le poche carte relative alla pratica « ufficiosa » fra il Ministro
Lanza e Don Bosco erano scomparse dagli uffici ministeriali e che le ricerche ordinate dal
Guardasigilli Vigliani erano rimaste vane.
6 Con ciò non è a dire che appassionati investigatori di archivi debbano cessare dalle loro
imprese. Fondi documentaristici di ministeri e carte di uomini politici dell'ottocento attendono
non solo di essere esaminati, ma talvolta, ancor prima, di venire rintracciati là dove, per tanti
motivi, sono andati ad annidarsi.

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La mediazione di don Bosco per gli exequatur ai vescovi
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dire in gergo erudito, ciò che ha guidato le nostre personali esplorazioni in archivi e biblioteche
è stato l'intento di garantire e di completare quanto già noto, ma sulla cui adeguatezza ed
attendibilità autorevolissimi studiosi si erano mostrati titubanti7 e che, nelle forme in cui si
presentava, non sempre poteva resistere al piccone della critica più agguerrita. La completa
pubblicazione degli originali editi ed inediti — che presentiamo nella più assoluta fedeltà di
forma e di sostanza — permette a chiunque di rendersi conto dell'azione « politicodiplomatica
» di Don Bosco, della sua genuinità e fecondità.
Al vaglio di una costante e puntuale verifica critico-documentaria, i passi compiuti da
Don Bosco nella vertenza degli exequatur, senza subire sostanziali correzioni di fondo rispetto
alle posizioni già conosciute, si mettono a fuoco, si collegano meglio fra di loro, e soprattutto si
arricchiscono dei nuovi apporti che i manoscritti recentemente dissotterrati consentono.
Inoltre la minuta conoscenza di determinati accadimenti ed una maggior copia di dati
personali e privati, quali solitamente sono quelli epistolari, offrono un ulteriore contributo per
correggere le negligenze di una non ancor scomparsa apologetica risorgimentale, sia « laica »
che « clericale ». Si pensi, tanto per limitarci ad un esempio, alla « bella leggenda » di un
Risorgimento anticattolico, nato scomunicato, tutto anticlericale8 e nel medesimo tempo si
leggano le toccanti espressioni con cui uno dei « leaders » del Risorgimento Italiano, il
Ministro di Grazia e Giustizia, Paolo Onorato Vigliani, si rivolgeva a Don Bosco all'indomani
della breccia di Porta Pia: « Nessuno è animato da migliore volontà della mia e di quella del
Presidente del Consiglio per trovare un modo accettevole di far cessare od almeno attenuare le
cattive condizioni in cui versa l'Episcopato italiano [...]. A Lei, che è ottimo Sacerdote e buon
cittadino, mi sia permesso di rivolgere una calda preghiera, perché voglia adoperare i suoi più
efficaci offici a persuadere la Santa Sede [...]. Io non so davvero vedere in siffatta condotta
nulla, proprio nulla che offenda la santa nostra religione. A V.S. confido questi sentimenti e
confido nella sua alleanza per fare del bene».9 Ed ancora pochi mesi dopo: « se tutto il Clero
fosse animato dai prudenti e moderati di lei sentimenti, in tutto degni di un
7 « Ad un certo punto si ritenne che le trattative fossero .per entrare in un periodo di
realizzazione per avere la Santa Sede, come si affermava, affidato a Don Bosco un piano
sistematico di riforme. Non si è mai saputo se cotesto progetto davvero esistesse»: V. DEL
GIUDICE, La Questione Romana e i rapporti fra Stato e Chiesa fino alla Conciliazione. Roma,
Ediz. dell'Ateneo 1947, p. 129. Anche A.C. JEMOLO, Chiesa e Stato negli ultimi cento anni,
Torino, Einaudi, Edit. 1848, 19715), nel suo lungo capitolo sugli anni del dilaceramento non
rileva la specifica trattativa fra Governo Italiano e Santa Sede intessuta grazie alla mediazione
di Don Bosco.
8 Cf. F. FONZI, Chiesa e Stato in « Nuove Questioni del Risorgimento Italiano ». Milano,
Marzorati Editore 1961, pp. 325-326. Significativo in tal senso V.GORRESIO, Risorgimento
scomunicato. Firenze, Editore Parenti 19581; Milano, Valentino Bompiani (tascabile) 1977.
9 Lettera a Don Bosco del 15 ottobre 1874; cf. appendice documentaria n. 13.

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Francesco Motto
virtuoso Sacerdote e di un buon suddito, Ella ed io saremmo ben presto consolati
da buoni frutti di reciproca condiscendenza se non di vera conciliazione nelle cose
della Chiesa in relazione collo Stato. Faccia Ella adunque una savia propaganda e
operi quel miracolo che alcuni fin troppo diffidenti proclamano impossibile. Il
cielo continui a benedire e prosperare le molte di Lei opere di carità e La conservi
al bene della Chiesa ed anche dello Stato ».10
Difficile leggere queste parole come semplice tentativo di « captatio
benevolentiae ». Sono piuttosto sincere manifestazioni di tormento religioso, di «
caso di coscienza », di convincimento spirituale da parte di un esponente fra i più
ammirati del Risorgimento Italiano.
Da ormai trent'anni Don Bosco stava scrivendo capitoli di filantropia e di
fede fondando ospizi per orfani, creando oratori, istruendo giovani in mestieri
utili e dignitosi, aprendo laboratori e scuole per i figli del popolo, lenendo i loro
bisogni con l'assistenza e la carità. I vari Lanza, Minghetti, Vigliani non potevano
disconoscere l'impegno totale di Don Bosco nel sopperire colle sue iniziative
benefiche alle carenze di uno Stato in formazione ed alla indifferenza di una
società in forte evoluzione. Più volte, al tempo dei ministeri Cavour, Lamarmora,
Ricasoli, Don Bosco aveva dato prova di non trascurabili doti diplomatiche,
giocando fino in fondo il suo ruolo di mediatore privato, ben accetto sia presso il
Governo Italiano che presso la Santa Sede.11
Protagonista a suo modo, ma autoconfinatosi nell'ombra della gente comune,
era sempre nelle condizioni di conoscere le radici sotterranee della temperie
politica del dopo la « funesta breccia ». Poteva contribuire a sciogliere il nodo
gordiano delle contraddizioni insite nella legge delle « guarentigie ». Non si tirò
indietro. All'indomani della malattia che l'aveva portato sull'orlo della tomba,
riprese i contatti con le autorità vaticane ed italiane, onde superare l’« impasse »
cui erano giunte le trattative degli exequatur. L'amarezza della delusione ed il
tormento dei bisogni della Chiesa furono per lui un appello privilegiato. La
Chiesa, o, meglio, la salvezza delle anime resa possibile là dove la Chiesa è
ordinata anche nella sua struttura gerarchica, diventò mai come in quel momento
il suo codice d'onore.
E non erano sicuramente tempi facili e tranquilli per lui gli anni 18721874.
Alle ormai quotidiane preoccupazioni di far quadrare il bilancio della sua
multiforme attività costantemente in rosso, si aggiungevano le vicissitudini per
l'approvazione pontificia delle Costituzioni della Società salesiana, i passi da
compiere per la fondazione dell'Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice, le ansie
e le fatiche per la preparazione della sua prima spedizione di missionari
10 Lettera a Don Bosco del 9 settembre 1874; cf. appendice documentaria n. 27.
11 Sulla mediazione chiesta ed offerta da Don Bosco per le nomine vescovili qualche
pagina è già stata scritta (RSS anno V, n. 1 gennaio-giugno 1986, pp. 3-20); altre abbiamo in
animo di poter offrire quanto prima sulla base di notevole materiale archivistico recentemente
riportato alla luce.

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La mediazione di don Bosco per gli exequatur ai vescovi
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in America Latina, l'inizio di quella amarissima vertenza coll'Arcivescovo di Torino che per 10
anni lo avrebbe flagellato nello spirito e messo a dura prova nella virtù.
In mezzo a tutto ciò non esitò a prendere ripetutamente in mano la penna e ad interporre i
suoi buoni uffici presso le due parti in causa, pronto ad ogni istante a mettersi in viaggio alla
volta di Roma, pur di riuscire a pilotare un incontro di comune soddisfazione fra la Santa Sede
ed il Governo del Regno d'Italia sul problema di politica ecclesiastica che era all'ordine del
giorno. Nella realtà del tempo, inestricabilmente gremita di condizionamenti, aveva intravisto
qualche possibilità di successo qualora avesse recuperato le proprie posizioni di influenza ed
avesse operato ai massimi livelli diplomatici.
Senza che la Santa Sede ed il Governo Italiano dovessero abdicare al contenzioso più
ampio, Don Bosco riuscirà ad ottenere un « ralliement » della reciproca ostilità ed a far loro
accettare una bozza d'intesa circa la scottante questione degli exequatur. Non aveva però fatto i
conti con le falangi intransigenti cattoliche e con le ali più giacobine degli ambienti politici
italiani. Lo avrebbero sabotato, determinando un imprevisto voltafaccia dei due contendenti. Lo
« spirito del secolo », i nefasti influssi delle crisi pregresse avrebbero avuto la meglio sul suo
appassionato tentativo. Ciò non significa che una storiografia attenta non debba ad un certo
punto portare alla ribalta il nome di Don Bosco e la sua audace opera di mediazione.
Ma prima di addentrarci nei dettagli di essa, è conveniente presentare lo « status
quaestionis » al momento in cui Don Bosco credette bene di dar inizio alla sua missione «
perché il Tevere fosse meno largo ».
1. La legge delle « guarentigie » e la concessione dei primi due exequatur
Nel marzo 1861 il conte Camillo Benso di Cavour, all'epoca Presidente del Consiglio,
Ministro degli Affari Esteri e della Marina, aveva tracciato a grandi linee la politica
ecclesiastica che il partito moderato intendeva perseguire: l'eliminazione del potere temporale
del Papa con la conseguente proclamazione di Roma capitale d'Italia, il riconoscimento
dell'indipendenza spirituale del Pontefice e l'applicazione del principio della libertà della
Chiesa.
Allo scadere del decennio successivo gli obiettivi si potevano dire globalmente raggiunti.
Con l'entrata delle truppe italiane per Porta Pia il 20 settembre 1870 e coll'immediato plebiscito
che la seguì, lo Stato Pontificio era stato ridotto al solo territorio racchiuso entro le mura
leonine. Nel maggio 1871 la legge delle « Guarentigie » aveva assicurato — per lo meno a
giudizio del parlamento italiano — l'indipendenza spirituale del Papa, la sua inviolabilità
personale nonché il libero esercizio dell'autorità della Santa Sede. Il mese successivo la capitale
d'Italia era stata trasferita da Firenze a Roma.
Difficile è però sostenere che negli stessi anni la legislazione ecclesiastica

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Francesco Motto
del Regno d'Italia si sia ispirata decisamente al principio cavouriano di « libera Chiesa in libero
Stato ». Le leggi del 1866 e del 1867 avevano in realtà risposto più alle necessità dell'esausto
erario della « rivoluzione » in atto che non ad una coerente concezione di uno Stato « laico »
sicuro delle proprie funzioni in campo ecclesiastico.
Se errori, contraddizioni, manchevolezze erano state alla base della politica ecclesiastica
della Destra prima della conquista « manu militari » di Roma, anche la legge del 13 maggio
1871 riuscì imprecisa e confusa, soprattutto nel titolo IIo: «Relazioni dello Stato con la Chiesa».
Le promesse di libertà, mai realizzate negli anni precedenti, trovarono invero nella legge
delle guarentigie una precisa attuazione allorché si stabilì l'eliminazione di varie procedure
legate al giurisdizionalismo settecentesco ed ottocentesco.12 Ma rimasero in vigore due istituti
ispirati alla medesima concezione: il regio placet e V exequatur.13
All'exequatur governativo — come preciserà il Decreto del 25 giugno successivo —
erano soggetti tutti gli atti, emanati dalla Santa Sede, che riguardavano la destinazione dei beni
ecclesiastici, fra i quali in primo luogo la concessione ai nuovi Vescovi delle loro mense. Al
regio placet invece dovevano sottoporsi analoghe provvisioni degli Ordinari Diocesani, quali
ad es. la nomina dei parroci ed il loro godimento delle rendite parrocchiali. Il Regolamento
esecutivo poi stabiliva che coloro che intendevano usufruire della provvisione della Santa Sede
avrebbero dovuto compiere due indispensabili atti: presentare allo stesso Guardasigilli
l'originale della Bolla di nomina e chiedere espressa-
12 Ad es. il giuramento dei vescovi, .l'appello contro provvedimenti di autorità
ecclesiastiche in materia spirituale e disciplinare, l'assenso governativo per la pubblicazione ed
esecuzione di atti delle stesse autorità ecclesiastiche.
13 Così recitava l'art. 16 della legge: «Sono aboliti l'exequatur e placet regio ed ogni altra
forma di assenso governativo, per la pubblicazione e l'esecuzione degli atti delle Autorità
ecclesiastiche. Però, fino a quando non sia altrimenti provveduto nella legge speciale, di cui
all'art. 18, rimangono soggetti all'exequatur e placet regio gli atti di esse autorità, che riguardano
la destinazione dei beni ecclesiastici e la provvista dei benefizi maggiori e minori, eccetto quelli
della città di Roma e delle sedi suburbicarie... ». Ed il comma conclusivo dell'art, precedente era
così concepito: «Nella collazione dei benefizi di patronato regio nulla è innovato». La
discussione della legge, per l'evidente contrasto di tendenze politiche, religiose e giuridiche, fu
interminabile e vivacissima. Nonostante la dichiarata opposizione ai provvedimenti restrittivi
della libertà della Chiesa da parte di qualificatissimi esponenti politici (quali Lanza, Minghetti,
Vigliani, Peruzzi, Massari, Visconti Venosta, Reali) era prevalso il partito favorevole alla
approvazione della contradditoria legge. La promessa generica e pertanto tendenzialmente
sterile, di un'ulteriore legge in materia, aveva tranquillizzato la maggioranza, e favorito i
radicali, i giurisdizionalisti e l'opposizione in genere. Cf. M. BELARDINELLI, II conflitto..., pp.
18-22. La competenza dello Stato italiano sui beni immobili della mensa vescovile si fondava
sul fatto che l'intera sovranità degli ex stati italiani (annessi o conquistati) era « ipso iure »
confluita nelle mani del « nuovo » Stato.

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La mediazione di don Bosco per gli exequatur ai vescovi
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mente la concessione dell''exequatur.14
Non ci volle molto alle autorità vaticane per accorgersi che in tali richieste si nascondeva
una gravissima insidia: la domanda, da parte dei Vescovi, delle temporalità sarebbe stata « ipso
facto » un riconoscimento del regno d'Italia, un'accettazione, sia pure indiretta, della
«debellatio» dello Stato Pontificio.
Contro la legge, contro il Decreto ed il Regolamento esecutivo vibrate si levarono le
proteste de La Civiltà Cattolica;15 meno comprensibili furono quelle di altri organi di stampa,
anche liberali.16 Il Pontefice dal canto suo fin da maggio non aveva cessato di ribadire che
l'indipendenza per il libero governo della Chiesa e la dignità del Vicario di Cristo in terra non
potevano assicurarsi che con la garanzia della sovranità temporale.
Sul finire dell'anno un durissimo braccio di ferro si instaurò fra la S. Sede ed il Governo
Italiano. Pochi giorni dopo il concistoro del 27 ottobre 1871, una circolare della Segreteria di
Stato ai Vescovi neoeletti li invitava a non chiedere né direttamente né indirettamente il regio
exequatur, ma solo a prendere possesso al più presto della diocesi e ad esercitare qualche atto
di giurisdizione.17
Tosto alcuni di loro avanzarono al Card. Antonelli richieste di precisazioni; altre voci
asserirono che il Governo Italiano si sarebbe accontentato di vedere un transunto delle Bolle
Apostoliche senza che i Presuli dovessero formalmente chiedere l’exequatur. A tutto pose fine
il Ministro di Grazia e Giustizia De
14 La corte d'appello del luogo dove si godeva il beneficio aveva la facoltà di concedere il
placet tramite il Procuratore generale della stessa corte. Quanto invece alla concessione
dell’exequatur essa veniva data da un apposito decreto reale, emanato su proposta del
Guardasigilli, sentito il parere del Consiglio di Stato. Attualmente i fascicoli relativi alle nuove
nomine di Vescovi sono conservati in Archivio Centrale di Stato, Roma Ministero Interni,
Affari di culto, serie Vescovi. D'ora in poi lo citeremo: ACS M.I..., cui seguirà il numero della
busta e del fascicolo.
15 « La catene ond'era stretta la materia beneficiaria, non che siano allentate, sono fatte più
pesanti e strette»: La Civiltà Cattolica, anno 1871, serie VII, vol. III, pp. 368-369.
16 Ad es. in un fondo del 18 luglio l'autorevole foglio milanese La Perseveranza sosteneva
che, pur ammesso che il Governo era stato costretto con ripugnanza a rinunciare in parte al
dichiarato concetto di libertà ecclesiastica assoluta della legge del 13 maggio, per lo meno era
ragionevole aspettarsi la massima larghezza nelle disposizioni esecutive, cosa che invece non era
avvenuta, dato che l'esercizio del placet regio veniva dal decreto del 25 giugno fatto più rigido
ed esteso di quanto non lo prescrivesse la stessa legge.
17 La documentazione è reperibile in Archivio Segreto Vaticano, Segreteria di Stato (=
ASV SdS), 1872, r. 3, f. 1; copia in ASV SdS, 1877, r. 3 ed in Archivio Affari Ecclesiastici
Straordinari, Italia, 1871-1872, fasc. 32, pp. 55-56. Edita in parte in DE VECCHI DI VAL
CISMON, Le carte di Giovanni Lanza. Vol. VII (1871). Torino 1939, pp. 13-14. La circolare del
Card. Antonelli era stata redatta nel corso di una Congregazione di Cardinali che si era riunita il
30 ottobre e aveva ricevuto il consenso papale il giorno seguente. Quanto al Concistoro del 27
ottobre, basti qui ricordare che vennero preconizzati ben 41 Vescovi italiani, fra i quali una
decina traslati a sedi più importanti di quelle di cui già erano titolari. Varie nomine per l'ex
regno di Sardegna erano state proposte da Don Bosco nel corso dell'anno.

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Francesco Motto
Falco, chiedendo esplicitamente ai Vescovi di Siena e di Adriano di presentare la
« Bolla della loro investitura per ottenere il regio exequatur ».18
Di fronte al Governo Italiano che prendeva netta posizione a favore della
applicazione rigida della normativa in vigore, la Santa Sede, per nulla intimorita,
riconfermò a sua volta le istruzioni di fine ottobre e non si peritò di procedere, in
completa autonomia, ad un altro concistoro il 27 novembre.19
Circolarono allora altre voci che attestavano un ammorbidimento della
posizione governativa.20 Era una speranza più che un fatto: il Guardasigilli
precisava immediatamente all'Arcivescovo di Genova che non voleva « certificati
» bensì « il transunto o copia legale delle Bolle Apostoliche ».21 Nella nuova
formula non si diceva che i Vescovi dovevano presentate le Bolle ai fini di
apporvi l’exequatur. Ma la cosa era di per sé evidente, o, per lo meno, così la
intesero oltre il Tevere. Pertanto le divergenze rimanevano immutate.
Nella prima metà di dicembre erano ancora i Vescovi ad avanzare proposte
di una via d'uscita dall'impossibile situazione in cui li costringeva l'irriducibilità
vaticana,22 ma il Segretario di Stato, udita la speciale congregazione di Cardinali,
ribadì le precedenti disposizioni.
18 Archivio Affari Eccl. Straor., Italia, p. 55v.
19 In esso furono preconizzati altri 14 Vescovi, fra i quali mons. Emiliano Manacorda alla
sede di Fossano, per la cui nomina Don Bosco non aveva mancato di intervenire col credito
della sua autorevolezza.
20 Specialmente in seguito a lettere del Ministro a mons. Bindi, Vescovo di Siena e a
mons. Gastaldi, Arcivescovo di Torino. La lettera del De Falco a quest'ultimo è conservata in
ASC 123 Ministero Grazia e Giustizia. In quel fine novembre ci fu un intenso scambio di
dispacci fra Torino e Roma: mons. Gastaldi comunicò al Prefetto di Torino che il giorno 26
novembre avrebbe fatto il suo solenne ingresso nella sede arcivescovile; il Prefetto chiese allora
al Ministro dell'Interno se mons. Gastaldi avesse ricevuto l’exequatur; il Lanza avanzò la stessa
domanda al Guardasigilli, il quale rispose che fino allora non era stato concesso alcun
exequatur in quanto nessun Vescovo lo aveva chiesto a norma di legge. Il De Falco poi non
aveva alcuna obiezione al fatto che all'interno della cattedrale si facesse una funzione spirituale;
solo escludeva che si dovesse fare in città un ingresso solenne. Così difatti avvenne: alla sfilata
delle confraternite non prese parte il neoarcivescovo, che si recò separatamente, in carrozza, ad
attenderle in cattedrale. Si intrecciarono allora di nuovo i dispacci fra Prefetto, Procuratore
generale, Ministro dell'Interno, Ministro di Grazia e Giustizia, tutti soddisfatti perché « tutto
passò con perfetto ordine e tranquillità » (ACS M.I... b. 129 f. 318). L'Incaricato d'affari della S.
Sede a Torino, l'abate Tortone in un dispaccio all'Antonelli attribuirà la mancanza di un
ingresso processionale solenne del nuovo Arcivescovo al « freddo della stagione » ed al « tempo
piovviginoso ». Si meraviglierà anche che le autorità governative e municipali non siano
intervenute nonostante l'esplicito invito del vicario mons. Zappata (ASV Nunziatura di Torino,
131, minuta).
21 Archivio Affari Eccl. Straor. Italia..., p. 57-58.
22 II 29 novembre mons. Gastaldi aveva scritto al Card. Antonelli: « Pare perciò ai
Vescovi del Piemonte testé nominati, ed anche ad altri, che quando avessimo un attestato della
Congregazione Concistoriale, che noi siamo stati nominati dal S. Padre alle nostre sedi,
mostrando al ministro questo attestato non potranno ricusarci le nostre temporalità. Lo che
sarebbe certo un toglierci da un imbarazzo non piccolo, che però sopportiamo volentieri per la
S. Chiesa»: ASV SdS 1872 r. 3.

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La mediazione di don Bosco per gli exequatur ai vescovi
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Per la diplomazia pontificia tentare un accordo con lo Stato liberale dell'epoca, in vista di
concessioni e riconoscimenti, non era altro che una pericolosa tentazione, cui non bisognava
cedere, anche se i costi di questa resistenza ad oltranza potevano essere altissimi.
Costi non solo politico-diplomatici, ma anche economici veri e propri, tant'è che il Papa
dovette venire in aiuto dei Vescovi in gravi strettezze con somme tratte dall'Obolo di S. Pietro23
e con varie esenzioni da spese di bolle e di certificati.
Dei neoeletti nei tre Concistori di fine anno — il terzo si era tenuto il 22 dicembre ed
aveva portato alla nomina di altri 16 Vescovi — nessuno chiese l’exequatur.
Tendere al massimo la corda in attesa che, sotto la pressione dell'opinione pubblica, il
Governo Italiano cedesse, sembrò essere la politica perseguita dalla Santa Sede nell'autunno del
1871. Alla rigidità vaticana corrispose quella del ministero italiano che a sua volta, per ragioni
di prestigio all'interno e di sicurezza internazionale, aspettava che il fronte si spezzasse dalla
parte dei Vescovi. Anche il gesto di riavvicinamento del Ministro De Falco di far mettere in
ordine, dopo mesi ed anni di abbandono, gli episcopi, che temporaneamente affidò ai vicari
episcopali,24 non servì a sbloccare la situazione, stante
23 In via ordinaria la Prefettura dei Palazzi Apostolici inviava un sussidio di lire 500, pari
al minimo fissato per legge dello Stato Italiano nel 1867. Agli Arcivescovi invece, secondo II
Riposo Domenicale di Verona, (cf. La Buona Settimana, del 14 settembre 1872), p. 304), venivano
date dalle 760 alle 1.000 lire. In molti casi la rendita della mensa episcopale non superava di
molto l'assegno papale. Ci fu chi chiese di poter disporre di una parte di esso anche dopo la
consegna della mensa, in quanto insufficiente alle esigenze della sede vescovile (episcopio, vicario,
personale di servizio, seminario). Mons. Ballerini, già preconizzato Arcivescovo di Milano e poi
nominato Patriarca di Alessandria « in partibus infidelium », giunse al punto di preoccuparsi
delle voci di un suo trasferimento a Roma da Seregno (Milano) in quanto non era in grado
economicamente di affrontarne le spese: ASV SdS 1875 r. 293 f. 2. Per l'Obolo di S. Pietro
L'Unità Cattolica di Torino da sola riuscì nel 1873 a raccogliere 300 mila lire: cf. La Civiltà
Cattolica 1874, serie IX, voi. I, p. 99. In molte diocesi sorsero anche associazioni per l'Obolo al
Vescovo.
24 Non che tutto si svolse come forse era nelle intenzioni del Ministro. Si veda la
corrispondenza fra mons. Manacorda, Vescovo di Fossano ed il Lanza nel corso del 18721873:
DE VECCHI DI VAL CISMON, Le carte..., VIII, pp. 90-91; 251-252, 347-348, 373-374, 473-474.
Fra l'altro il Manacorda faceva presente al Lanza che l'episcopio di Fossano non faceva parte
della mensa episcopale, per la quale il Governo richiedeva l’exequatur e che, non potendo abitare
le tre camerette che gli erano state preparate « attesa la loro umidità... », era costretto a vivere
da seminarista. Furono molti i Vescovi neoeletti che dovettero risiedere in seminario e spesso
vivere dell'aiuto dei seminaristi. Non ultimo lo stesso mons. Gastaldi: ASV Epistulae Latinae,
Positiones et Minutae 80; ASV SdS 1872 r. 3 f. 2. E' forse qui ili caso di ricordare che per gli
enti ecclesiastici non soppressi dalle leggi « eversive » del 18661867, i loro beni immobili
furono gravati da forti tasse, quando non convertiti in rendita pubblica al 5%. Parte dei beni
delle sedi vescovili vacanti venne requisita e gli episcopi talora adibiti ad edifici pubblici.

1.10 Page 10

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12
Francesco Motto
l'invio da parte dei Vescovi di una generica formula di partecipazione della elezione, anziché
dell'esigito originale della Bolla di nomina o almeno del transunto o copia legale delle Bolle
Apostoliche.
Lo stato di emergenza non era solo dato dalla suddetta privazione delle rendite e
dell'episcopio. Quanto prima si pose il grave problema della validità civile degli atti compiuti
dai Vescovi ai quali era stato negato qualsiasi riconoscimento. Spesso gli Ordinari erano
rappresentanti legali di enti diocesani; sovente da loro dipendeva l'esecuzione di lasciti
testamentari e l'amministrazione di Opere pie.25
Solo l'intervento di un monaco a Montecassino e del Capitolo della cattedrale di Saluzzo
fece sì che venissero concessi i primi due exequatur, rimasti per altro estranei alle pratiche i
due beneficiati. Ma mentre la Santa Sede accolse con disappunto simili procedure,26 il Governo
del Re intravide negli esempi di Montecassino e di Saluzzo una praticabile via d'uscita
dall'imbarazzo in cui era venuto a trovarsi, date anche le fortissime polemiche sui giornali nei
primi mesi del 1872.27
Così il 19 febbraio il Consiglio dei Ministri deliberò « d'interrogare il Consiglio di Stato a
sezioni riunite sull’exequatur da concedersi ai parrochi nominati dai Vescovi i quali non
l'hanno riportato dal Governo».28 Ne ottenne una risposta positiva pochi giorni dopo.29 Il 3
marzo poi il medesimo Consiglio dei
25 Atti della giurisdizione vescovile erano anche le nomine di parroci ed economi
spirituali. Così ad es. Mons. Bonomelli che sul finire di dicembre aveva nominato un economo
spirituale ad una parrocchia vacante, si vide non riconosciuta la sua azione da parte del sub
economo regio per ordine esplicito della Procura di Brescia. Da alcuni giorni infatti il Ministro
De Falco aveva sospeso di autorità la validità civile dei provvedimenti vescovili. Si chiesero
allora istruzioni alla Segreteria di Stato, la quale, udita la commissione cardinalizia
appositamente radunata l’11 gennaio, riaffermò il precedente non possumus: Archivio Affari
Eccl. Straord., Italia..., p. 58. Si veda pure M. BELARDINELLI, Il conflitto..., pp 30-43.
26 II card. Antonelli comunicava all'abate di Montecassino che il monaco responsabile era
stato sospeso « a divinis » fino a nuova disposizione (ASV SdS 1872 r. 3 f. 4: lettera del 20
gennaio). Quanto all'Ordinario di Saluzzo, una volta constatata la sua assoluta estraneità alla
vicenda, anzi la sua piena disponibilità ad accogliere le prescrizioni vaticane, venne invitato a
redarguire il Capitolo della cattedrale che aveva inviato il verbale della presa idi possesso da
parte del Vescovo della diocesi, verbale nel quale era trascritta la parte sostanziale della Bolla
di nomina del Prelato stesso ed al quale erano unite la Bolla originale ad Capitulum e ad
Clerum. Il Capitolo poi aveva formalmente chiesto che fossero consegnate al neoeletto le
temporalità della mensa. Il card. Antonelli volle altresì che si conservasse nell'archivio la sua
nota di biasimo. Tutta la documentazione è in ASV SdS 1872 r. 3 f. 3-4; ASV Nunziatura di
Torino 118.
27 Lo scontro più violento fu quello tra i quotidiani « ufficiosi » governativi o liberali
come L'Opinione e La Perseveranza e la stampa « filopapalina » quale La Voce della Verità e
La Civiltà Cattolica.
28 ACS Verbali del Consiglio dei Ministri, 1872, 19 febbraio: minuta; ed. in DE VECCHI
DI VAL CISMON, Le carte..., VIII, p. 665.
29 Si veda il riferimento in ASV Spoglio Antonelli b. 2.

2 Pages 11-20

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2.1 Page 11

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La mediazione di don Bosco per gli exequatur ai vescovi
13
Ministri portò a quattro le vie a cui avrebbe potuto ricorrere la Santa Sede per uscire dal vicolo
cieco in cui si era addentrata.30
Ma nessuna delle condizioni poste dal Gabinetto ministeriale parve accettabile alla
diplomazia vaticana. L'irriducibile ostilità politica ed ideologica della Santa Sede verso il
Governo « subalpino » e « usurpatore » e l'intenzione di evitare qualsiasi forma di
riconoscimento, anche indiretto, della legge delle guarentigie, ebbero la meglio. Il 9 marzo
1872 all'ordine del giorno di una nuova seduta della competente congregazione cardinalizia fu
posto il fatto « disgustoso », « inconsiderato » di Saluzzo e le eventuali sue conseguenze in
Italia. Ne sortì la circolare vaticana del 10 marzo, nella quale si diffidava chiunque avesse in
animo di ricorrere a vie di compromesso.31
2. I primi interventi di Don Bosco (febbraio-maggio 1872)
In quell'inverno 1871-1872 la vertenza degli exequatur si ripercosse penosamente nella
coscienza di quanti avevano a cuore le sorti religiose dell'Italia e costituì fonte di turbamento
della vita politica.
Mentre parlamentari, funzionari, sindaci, esperti di diritto, giornalisti, ecclesiastici
andavano a gara nel proporre ipotesi di soluzione, Don Bosco lottava fra la vita e la morte nella
casa salesiana di Varazze. Una gravissima malattia lo teneva inchiodato al letto. Da ogni parte
d'Italia, dove il nome di Don Bosco era conosciuto, centinaia e centinaia di persone, Vescovi,
Cardinali e Papa compresi, elevavano a Dio suppliche per la sua guarigione.32
30 Ecco il testo esatto delle 4 condizioni poste dal Consiglio dei Ministri: 1. la
comunicazione, invece dell'originale, di una copia della bolla od atto di nomina, rilasciata dal
cancelliere della Curia o da altra autorità riconosciuta; 2. la comunicazione di un sunto legale
rilasciato dal cancelliere della Curia o da altra autorità riconosciuta della Bolla di nomina, nel
quale sia descritta la parte dispositiva della stessa, che contenga la nomina del beneficiato e le
condizioni aggiunte se ve ne sieno; 3. il verbale del possesso spirituale dato dal capitolo al
nominato, nel quale sia trascritta la bolla di nomina o almeno la parte dispositiva della bolla,
che contiene la nomina del beneficiato e le condizioni annesse se ve ne sono; 4. un atto ufficiale
che partecipi la nomina fatta secondo il tenore di una bolla di cui si comunichi un esemplare e
quindi la partecipazione di questa nomina da parte dei singoli nominati: ACS Verbali del
Consiglio dei Ministri: 3 marzo 1872, minuta; ed. in DE VECCHI DI VAL CISMON, Le carte...,
VIII, p. 667.
31 ASV SdS 1872 r. 3 f. 4. Tutti i Vescovi si affretteranno poi a comunicare al Card.
Antonelli la loro sottomissione alla circolare del 10 marzo, tant'è che nel corso dell'intero 1872
solo mons. Dalena, Vescovo di Monopoli, otterrà l’exequatur governativo. Ma l'iniziativa vera
e propria era stata presa dal Governo, sia pure in risposta ad uno stratagemma del Vescovo: cf.
M. BELARDINELLI, Il conflitto..., p. 48.
32 A. AMADEI dedica un intero e lungo capitolo del volume X delle M.B. (cap. III, p. 226-
312) alla narrazione di tutti i particolari della malattia di Don Bosco e della sua risonanza
presso ogni ceto di persone.

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14
Francesco Motto
Soltanto ai primi di febbraio si ebbe la certezza che il peggio era passato e che si poteva
sperare in un costante miglioramento delle condizioni dell'infermo. La voce dello scampato
pericolo si sparse immediatamente ed alla Santa Sede non parve vero di poter mettersi in
contatto con lui. Intendeva conoscere con precisione quali erano state le intelligenze intercorse
col Presidente del Consiglio e Ministro dell'Interno nei colloqui di giugno e di settembre.33
Don Bosco, appena fu in grado di riprendere la penna in mano, si rivolse direttamente al
Lanza, chiedendo ragione dell'atteggiamento assunto dal Governo nella vicenda degli
exequatur e sottolineando la progressiva diminuzione dell'appoggio popolare alla politica
ecclesiastica del momento.
Scriveva Don Bosco nella sua missiva: « Pria d'ora avrei dovuto dare schiarimenti intorno
alla temporalità dei vescovi ultimamente preconizzati [...] Quando io aveva l'onore di parlare
alla E. V. il 9 passato settembre parmi che siavi stato pieno accordo che il Governo lasciava
libera scelta dei vescovi al Papa, né il Governo avrebbe opposto difficoltà pel conseguimento
della temporalità. Ciò comunicai al S. Padre, e quando da parte del medesimo due giorni dopo
esprimeva i ringraziamenti con altri pensieri della stessa S. S., la Eccellenza Vostra
compiacevasi di confermare le medesime cose. Ora mi si domanda ed io dovrei rispondere se le
cose furono veramente espresse in questo senso, e se qualche ragione abbia dato motivo di
modificazione. Se la E. V. nella sua nota bontà giudicasse farmi dire una parola da comunicare,
toglierebbe da me un grave imbarazzo, e le intenzioni del Governo sarebbero nel suo vero
senso conosciute ».34
Siamo di fronte ad un voltafaccia del Governo Italiano? Non sembra, tanto più che per
quanto riguarda la libertà del Papa nella scelta dei Vescovi il Governo Italiano l'aveva
formalmente rispettata. Più probabile invece che nei colloqui fra Don Bosco ed il Lanza non si
fosse precisato a quali condizioni il
33 In quale modo pervenne a Don Bosco una simile richiesta non sappiamo. Non è da
escludere che abbia fatto da tramite qualche Vescovo fra quelli che si mantennero in costante
contatto con lui durante la malattia. Nel corso dell'anno precedente, Don Bosco aveva avuto
vari abboccamenti col Lanza a proposito delle nomine dei Vescovi alle sedi vacanti d'Italia,
nomine che poi si erano effettuate nei tre concistori dell'ottobre, novembre e dicembre. Il
Presidente del Consiglio dovette con ogni probabilità chiedere a Don Bosco una sua mediazione
presso le autorità vaticane affinché non compromettessero con decisioni inopportune i risultati di
quella politica ministeriale che, a suo modo di vedere, mirava ad una conciliazione con la
Chiesa ed al ristabilimento della pace in Italia. Il Lanza avrà anche approfittato dell'occasione
per far presente alla Santa Sede come la legge delle Guarentigie avesse un carattere d'urgenza
politica, soprattutto per la seconda parte, dichiaratamente transitoria. Evidentemente Don Bosco
non si sarà presentato in Vaticano senza portare con sé, come contropartita da parte del
Governo Italiano, la promessa di non interferire nella scelta dei Presuli e di non ostacolare il
conseguimento delle temporalità.
34 Vedi l'intera lettera nell'appendice documentaria n. 1.

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La mediazione di don Bosco per gli exequatur ai vescovi
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Governo avrebbe concesso le temporalità ai neoeletti. Ancor più probabile è che il Presidente
del Consiglio ritenesse di poter personalmente trovare una soluzione del problema, rispettosa
ad un tempo della legge dello Stato e della libertà della Chiesa, per la quale libertà nel
dicembre 1870 e poi ancora nel marzo 1871 si era battuto in sede parlamentare.35
Allegato alla lettera personale, Don Bosco inviava al Lanza un lungo memoriale dal
significativo titolo: « Pensieri di un Sacerdote piemontese sulla quistione vigente fra il
ministero dei Culti ed i nuovi Vescovi eletti da Sua Beatitudine nel 1871 ». Il documento era
articolato in cinque punti. Nel primo di essi si rilevava come in conformità agli accordi presi
nel 1867, al tempo della missione Tonello, i Vescovi neoeletti non erano stati obbligati a
presentare le loro Bolle per avere l’exequatur governativo, e ciò quantunque all'epoca
sussistessero ancora i concordati che lo prevedevano. Negli altri quattro punti si presentavano
le contraddizioni insite nella prassi che il Governo Italiano intendeva seguire, come pure si
segnalavano l'inutilità ed il controsenso, a norma della stessa legge delle Guarentigie, della
richiesta di invio delle Bolle pontificie alle pubbliche autorità. Il « memorandum » si
concludeva con l'auspicio che gli episcopi venissero rimessi in ordine ed ammobiliati in modo
« decoroso e stabile ».36 Lo stile letterario, la rigorosa terminologia giuridica ed altri elementi
fanno escludere con una certa sicurezza che il documento sia opera dello stesso Don Bosco,
anche se dovette probabilmente collaborare nel redigerlo offrendo il contributo di chi aveva
vissuto in prima persona le trattative dei primi mesi del 1867.
A Don Bosco che si professava « sacerdote cattolico ed affezionato al Capo della
Cattolica Religione » ma anche « affezionatissimo al Governo, per i sudditi del quale ho
costantemente dedicato le deboli mie sostanze e le forze
35 II 9 dicembre 1870 presentando il progetto di legge alla Camera il Lanza aveva
sostenuto che « l'azione della Chiesa non debba difendere da quella dello Stato, che l'una e
l'altra società debba muoversi ed agire nella propria sfera di giurisdizione con eguale libertà e
alla sola condizione che le due azioni, trascendendo la propria orbita, non si impediscano e
turbino reciprocamente, nel conseguimento dei loro fini più naturali »: Atti Parlamentari
Camera - 9 dicembre 1870; vedi E. TAVALLINI, La vita e i tempi di Giovanni Lanza.
TorinoNapoli, L. Roux e C. [1887] voi. 2, pp. 61-62. Il 23 marzo al Senato aveva ribadito la
sua convinzione circa l'assoluta libertà ed indipendenza della Chiesa, anche se in pratica difese
la necessità di un controllo delle provviste beneficiarie per la salvaguardia dello Stato: Atti
Parlamentari - Senato - 23 marzo 1872.
36 Cf. appendice documentaria, n. 2 come pure MB X 456-457 e DE VECCHI DI VAL
CISMON, Le carte..., VIII, p. 39. Purtroppo non ci è stato possibile avere sott'occhio né la lettera
di Don Bosco né l'allegato essendo ancora in corso l'ordinamento dell'Archivio della
Deputazione Subalpina di Storia Patria di Tonno. Nella lettera personale di Don Bosco al Lanza
si accenna ad un loro colloquio che sarebbe avvenuto il 9 settembre 1871. La data è inesatta: il
colloquio avvenne di fatto, ma l’11 settembre, e cioè due giorni dopo l'invito del Ministro,
effettuato tramite telegramma del 9 settembre, al Prefetto di Torino.

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16
Francesco Motto
e la vita », il Lanza rispose di rimanere tranquillo perché si trattava di difficoltà passeggere e
momentanee ed il Governo non aveva assolutamente mutato le sue intenzioni di rimuovere
qualunque ostacolo potesse insorgere per la concessione delle temporalità.37
Ed il 3 marzo difatti, come già abbiamo accennato, il Consiglio dei Ministri parve
attenuare la rigidità delle formalità richieste: non si chiedeva più l'invio né di una vera e propria
domanda di exequatur da parte dei Vescovi né della Bolla originale di nomina.
Ricevuta la risposta, interlocutoria ma non priva di buon auspicio, da parte del Presidente
del Consiglio, Don Bosco rimase in trepida attesa dell'evoluzione positiva della vertenza. Ma
«osservando che le cose erano sempre nel medesimo stato», nel mese di marzo inoltrò, pare,
più di una comunicazione al Ministro. Nessuna risposta gli pervenne.
Don Bosco non aveva ricevuto incarichi ufficiali. Ne era consapevole; ciononostante
aveva confidato di poter superare i limiti « diplomatici » della sua azione operando in veste di
«amico».
Non gli restò che riferire al Papa l'infelice esito dei suoi appelli. Lo fece l'8 aprile
comunicando al Pontefice che nella sua missiva al Lanza non aveva esitato a rimproverargli la
formale mancanza di parola. E al medesimo biasimo aveva accomunato l'intero Governo e lo
stesso Re Vittorio Emanuele II.39
A Roma la lettera di Don Bosco non recò sorpresa. La via del compromesso era già fallita
da un mese e la circolare del 10 marzo ai Vescovi aveva sancito una rottura definitiva delle
trattative.
Il Ministero era in difficoltà: «So positivamente che il Governo desidera di
togliersi da questo imbarazzo, ma risponde che non sa cosa fare», aveva scritto Don
Bosco. Ma pure la Santa Sede navigava in cattive acque ritenendo una « fuga in avanti »
e quindi inaccettabile qualsiasi accordo alle condizioni poste dalle autorità italiane.
Prova ne è che il Pontefice, rispondendo il 1o maggio alla lettera di Don Bosco, lo
invitava a ricorrere alla preghiera più che alle vie
37 La lettera del Lanza a Don Bosco non è stata rintracciata, ma del contenuto della stessa
ne fa fede Don Bosco con la sua missiva al Papa dell'8 aprile 1872: ASV Epistulae Latinae,
Positiones et Minutae, 79, Inedita. Cf. appendice documentaria n. 3. In essa Don Bosco dava al
S. Padre buone notizie sia circa lo zelo dei Vescovi di recente nomina sia circa « i principi di
ordine e di religione » che avevano fatto uno straordinario progresso. Fra l'altro, essendo la
prima comunicazione dopo la malattia, dichiarava di attribuire la sua guarigione proprio alla
benedizione papale inviatagli i primi giorni di gennaio. Come per la maggior parte delle volte,
la lettera al Pontefice era stata inoltrata tramite amici che si recavano a Roma. In questa
occasione Don Bosco si servì di mons. Fissore, Arcivescovo di Vercelli, alla cui nomina Don
Bosco aveva dato il suo pieno appoggio.
38 Ib. Lo scritto di Don Bosco fu consegnato al Papa dal Cardinale delle « Lettere Latine»
il 24 aprile (ASV Epistulae Latinae, Positiones et Minutae, 120).
39 Ib.
40 Ib.
[Nel testo stampato manca numero nota 38 e 40]

2.5 Page 15

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La mediazione di don Bosco per gli exequatur ai vescovi
17
diplomatiche: « Quod porro scribis te sedulam navasse operam, ut bona
mensarum Episcopalium iis traderentur ad quos pertinent, zelum et sollicitudinem
tuam laudamus; veruni quo loco res sint vides; quare satius erit preces ad Deum
convertere qui nominimi corda movere potest et patrocinium perenne Ecclesiae
suae pollici tus fidem fallere nequit ».41
Difficoltà sorgevano per entrambi le parti a causa dello stesso
riconoscimento civile ottenuto dal Vescovo di Saluzzo. Mons. Buglione di
Monale, che pure aveva avuto dalla Santa Sede il permesso di ricevere
dall'economato le temporalità del vescovado di Saluzzo, non poteva
effettivamente ottenerle se non dalle mani di mons. Gastaldi, traslato a Torino.
Ma il Governo non poteva invitare quest'ultimo a compiere tale gesto, se non
riconoscendo nello stesso tempo il suo trasferimento nella nuova sede.42 Si
aggiunga l'incertezza che gravava sulla validità o meno degli atti a firma non solo
dei Vescovi neonominati, ma anche dei Vicari generali.43
In mezzo agli spiriti titubanti e smarriti delle due corti, Don Bosco con una
missiva al Lanza che reca la data del 21 maggio 1872 si fece carico di una nuova
proposta. A suo giudizio una soluzione che lasciava intatti quei principi che
entrambe le parti intendevano conservare, era la seguente: La Santa Sede avrebbe
inviato al Governo una nota autentica, nella quale dichiarava che con concistoro
tenuto il giorno X erano stati preconizzati per le sedi vacanti X i sacerdoti X.44
Evidentemente la sua proposta avrebbe dovuto essere sottoposta a dosaggi
estremamente delicati, così da poter sbocciare in contemperamenti accettabili
dalle autorità pontificie e da quelle italiane. Si offrì al Lanza come latore presso la
Santa Sede di eventuali controproposte governative, nel caso in cui lo si fosse
voluto inserire nell'operazione di raccordo fra le due parti, alle quali si riteneva «
fortunato di avere prestato qualche servizio [...] e portato qualche vantaggio ».
Non mancò di ricordare al Ministro che il suo compito sarebbe stato agevolato dal
fatto che la sua era una persona « ignota al mondo politico » e che pertanto
difficilmente avrebbe dato esca alle speculazioni della stampa, favorevole od
avversa che fosse.
41 ASC 126.2 Pio IX; ed. in MB X 570.
42 Lettera di mons. Gastaldi al Card. Antonella, 17 marzo 1871: ASV SdS 1872 r. 3 f. 5.
La risposta vaticana, del 10 aprile successivo, fu che mons. Buglione di Monale ricevesse
direttamente la mensa episcopale dalle mani di mons. Gastaldi, senza che questi dovesse prima
rimetterla all'economato regio.
43 ASV SdS r. 3 f. 3. La questione era stata sollevata da mons. Gastaldi ed aveva
provocato l'intervento sia delle autorità civili che ecclesiastiche. Il Procuratore di Torino aveva
concluso col riconoscimento della validità delle firme dei Vicari generali.
44 Nonostante attente ricerche nostre ed altrui l'originale della lettera non è stato ancora
reperito. In appendice documentaria, al n. 4, riproduciamo il testo a stampa di E. TAVALLINI,
La vita..., II, pp. 434-435. Ed. in DE VECCHI DI VAL CISMON, Le carte..., VIII, pp. 159-160;
MB X 457-458 ed Epistolario di S. Giovanni Bosco, a cura di E. Ceria (= E) 985.

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Francesco Motto
Non sappiamo se anche questa volta il Lanza abbia voluto ignorare la richiesta di Don
Bosco; quello che è certo è che meno di un mese dopo, ed esattamente il 16 giugno, dal
Pontefice stesso giunsero segnali tutt'altro che favorevoli ad un cambiamento di rotta.
In una lettera al Card. Antonelli, e per suo mezzo ai rappresentanti dei Governi accreditati
presso la Santa Sede, Pio IX, prendendo le mosse dall'intenzione del Gabinetto Lanza di
presentare alle camere un progetto di legge per la soppressione di Ordini religiosi, riconfermava
la sua categorica indisponibilità a trattare con un Governo, come quello del regno d'Italia, che
mentre proclamava la libertà della Chiesa e l'indipendenza del Pontefice, agiva in tutte le sedi
contro tale libertà, assumendo talora comportamenti ed atteggiamenti di indubbio gusto.
Scriveva Pio IX: « A nulla giova riconoscere l'autorità del supremo Gerarca, quando non si
riconosce l'effetto degli atti da lui emanati; quando gli stessi vescovi da lui eletti non sono
legalmente riconosciuti, e loro si proibisce, con ingiustizia senza pari, di usufruire del legittimo
patrimonio delle loro Chiese, e finanche di entrare nelle loro case episcopali ».45
Fu chiaro a tutti che la Santa Sede non intendeva mutare di una et la sua posizione di
aperto contrasto con la politica ecclesiastica del regno d'Italia. Don Bosco sicuramente
dispiaciuto per l'inutilità dei suoi sforzi e soprattutto per la mancata « normalizzazione » della
presenza vescovile nelle ex sedi vacanti, ne prese atto e, a quanto ci è dato di sapere, sospese il
suo diretto interessamento alla questione.
Per tutto il 1872 il dissidio per le temporalità si mantenne inalterato ed entrò a far parte di
quella complessa ed ampia problematica politica, sociale e culturale avente quale oggetto lo
sviluppo e l'assetto di una società come quella italiana dell'epoca, ricca di tensioni, squilibri e
contraddizioni.
Incurante dell'opposizione crescente in cerchie sempre più estese dell'opinione pubblica
di tendenza liberale, la Santa Sede procedette autonomamente alla nomina di nuovi Vescovi. E
come già aveva fatto il 23 febbraio ed il 6 maggio 1872 per complessive 31 sedi, così fece il 23
dicembre allor-
45 Pubblicata su L'Osservatore Romano, la lettera papale venne ripresa interamente da La
Civiltà Cattolica: 1872, serie VII, voi. VI, pp. 93-99. Un certo rancore del Papa contro lo stesso
Presidente del Consiglio è possibile coglierlo nell'espressa citazione del Lanza come fautore del
progetto di legge per la soppressione degli Ordini religiosi in Roma. Più moderata forse in
relazione al negoziato per le temporalità, ma non meno esplicita nella sua denuncia dell'intera
politica perseguita dal Governo Italiano fu invece la lettera papale inviata il 18 luglio a Vittorio
Emanuele II: «i vescovi sono di fatto riconosciuti, ma privi di abitazione e di sostentamento...
Parliamoci chiaro: si vuole o non si vuole l'esistenza del Pontificato Romano? Si vuole o non si
vuole più la Religione Cattolica? Se non si vuole, si dica chiaro, come quasi lo ha detto il
ministro Lanza»: ASV Archivio PIO IX Sardegna, I, n. 91. Copia ed. in P. PIRRI, Pio IX e
Vittorio Emanuele II dal loro carteggio privato. III La Questione Romana. Parte II (I
documenti), p. 323.

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La mediazione di don Bosco per gli exequatur ai vescovi
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ché preconizzò altri sette Vescovi Italiani, fra i quali, per la sede di Alessandria,
mons. Giovanni Salvay, proposto vari mesi prima dallo stesso Don Bosco.46
3. I colloqui romani del febbraio-marzo 1873
All'inizio del nuovo anno il panorama politico appariva quanto mai litigioso
e la situazione religiosa tutt'altro che rassicurante.
Il 18 gennaio la compagine governativa, sentito il Ministro competente ed
interpellato il Procuratore della corte d'Appello di Torino,47 respinse ancora una
volta la domanda di mons. Gastaldi di poter prendere possesso dell'episcopio e
della relativa mensa. Alle motivazioni addotte dall'Arcivescovo,48 il Lanza rispose
col richiamo all'obbligo, previsto dalla legge, di presentare le Bolle Pontificie e
coll'invito a conformarsi alle «diverse modalità» che il Governo aveva escogitato
già nel marzo 1872.49.
Intanto vari giornali continuavano nella loro campagna denigratoria della
posizione assunta dalla Santa Sede e s'affannavano a sostenere che i Vescovi
italiani erano ormai alla soglia della disperazione e della resistenza, per cui era
prossimo il momento in cui avrebbero chiesto l’exequatur a norma di legge.
In difesa dell'episcopato italiano scesero in campo sul finire di febbraio i
periodici dell'intransigentismo cattolico, L'Unità Cattolica di Torino e La Voce
della Verità di Roma. Assicuravano che degli ultimi Vescovi preconizzati solo
uno aveva ottenuto l’exequatur.50 Pochi giorni dopo vennero facilmente
46 Proposte di soluzione della vexata quaestio continuarono per tutto l'anno 1872. Spesso
si trattò non della questione di principio, ma di singoli casi particolari. Così ad esempio il
Vescovo di Vigevano assicurò che qualora avesse dato notizia al Re della sua elezione a quella
sede, non avrebbe avuto difficoltà a ricevere la mensa episcopale, in quanto su quel vescovado
esercitava il diritto di patronato la casa Savoia: Archivio Affari Eccl. Straord. Italia..., p. 60. Di
questa come di altre possibilità fatte balenare da singoli Vescovi non se ne fece nulla.
47 ACS, M.I..., b. 129 f. 318.
48 Lettera di mons. Gastaldi a Lanza del 17 dicembre 1872, ed. in DE VECCHI DI VAL
CISMON, Le carte... voi. VIII pp. 406-407. Il Gastaldi fondava la sua richiesta sul fatto che il
riconoscimento di mons. Buglione di Monale come Vescovo di Saluzzo implicava l'analogo
proprio riconoscimento nella sede di Torino. Dalla sua aveva il riconoscimento del Re, della
casa reale, del calendario di corte, dei ministero degli Esteri (a seguito di un dispaccio del 28
novembre 1871), del Prefetto di Torino che, a nome del Governo, lo aveva invitato nel luglio
1872 a presiedere ai funerali dell'ex Re Carlo Alberto.
49 Si tratta delle modalità di cui abbiamo offerto il testo integrale nella nota 30. La lettera
di risposta del Lanza a mons. Gastaldi è pubblicata in DE VECCHI DI VAL CISMON, Le carte...
VIII p. 439; copia ms. in ASC 123 Gastaldi.
50 I due giornali non ne rivelavano il nome, ma dall'indicazione che la concessione
dell’exequatur era stata possibile ottenerla grazie all'intervento di un parlamentare di quella
diocesi, è facile arguire che si riferivano a mons. Dalena, vescovo di Monopoli: vedi nota 31.

2.8 Page 18

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Francesco Motto
smentiti dal giornale « filogovernativo » La Nazione di Firenze che rivelò come
anche il Vescovo di Alessandria, mons. Salvay, avesse ricevuto il riconoscimento
civile della sua nomina.51
Verso la metà di febbraio Don Bosco decise di recarsi a Roma. Validi motivi
lo inducevano a sobbarcarsi al faticoso viaggio. Anzitutto le urgentissime
necessità economiche delle sue opere, per le quali avrebbe potuto provvedere
mediante lo smercio di cartelline di beneficienza presso l'ormai consistente
numero di benefattori, laici ed ecclesiastici, che contava in quella città.52 Poi
l'intenzione di avvicinare le autorità vaticane che avrebbero dovuto approvare le
costituzioni della società salesiana, alla redazione delle quali stava ponendo mano
da 15 anni. "Last but not least" il desiderio personale ed il richiamo altrui di
operare per il riavvicinamento fra chi stava relegato fra le pieghe del Vaticano e
chi si arroccava sulla sponda opposta del Tevere. Pur conscio dei ristretti limiti di
libertà che la situazione consentiva, gli sembrò che l'unica cosa da fare fosse
superare ogni tergiversazione di una politica del caso per caso e ricostruire invece
un clima di reciproca fiducia ai vertici, tale da allargare i margini di manovra e
superare la situazione di stallo in cui la questione degli exequatur si era ormai
venuta consolidando. E partì per Roma.
Preso congedo il 17 febbraio dall'Arcivescovo Gastaldi — cui non avrà
mancato di riferire gli scopi del suo viaggio, ed « in primis » quello di porsi a
servizio della causa delle temporalità vescovili, per la quale l'Arcivescovo di
Torino si era battuto fin dal giorno della sua nomina — all'alba del 18 febbraio in
compagnia del fedele segretario Don Gioachino Berto53 si avviò
51 Già il 6 febbraio l'abate Tortone di Torino aveva riferito a Roma che gli era giunta
assicurazione della firma da parte del Re dell’exequatur per mons. Salvay. La prassi seguita, al
dire di mons. Tortone, sarebbe stata analoga a quella già messa in atto l'anno precedente a
Saluzzo. La richiesta cioè sarebbe stata avanzata dal Capitolo della cattedrale, e non dal
Vescovo. Fra l'altro il Tortone confidava all'Antonelli la sua supposizione che Rattazzi non
fosse estraneo a tale episodio ASV SdS 1873 r. 257. Il responsabile dell'intera operazione in
realtà era stato il canonico Giuseppe Corno, il quale consegnato il transunto delle Bolle al
Prefetto di Alessandria, ne aveva chiesto l'appoggio presso lo stesso ministro Vigliani, zio del
Prefetto: ASV SdS 1873 r. 228 f. 1; r. 283. f. 1. Mons. Celestino Fissore, richiesto da Roma di
indagare su una eventuale responsabilità di mons. Salvay, lo aveva completamente scagionato:
ASV SdS 1873 r. 283 f. 1.
52 Una sola citazione circa le strettezze economiche di quegli anni, tratta da un autografo
inedito inviato a madre Maddalena Galeffi a Roma il 15 luglio 1872: «O Signora presidente
[delle Oblate di Tor de' Specchi] abbiamo una triste annata. Non solamente questo. L'anno
passato a questi giorni il grano pagavasi f. quattro l'emina; ora dobbiamo pagarlo otto e così
degli altri commestibili »: Archivio « Oblate di Tor De Specchi » - Roma.
53 Don Gioachino Berto (1847-1914) ancor chierico era stato scelto da Don Bosco come
suo segretario di fiducia. Infaticabile amanuense e primo archivista della congregazione
salesiana, accompagnò Don Bosco a Roma in vari viaggi, durante i quali gli fu di prezioso aiuto
nel disbrigo della corrispondenza e nella stesura in bella copia di importanti documenti. Di tali
viaggi ci ha lasciato numerosi quaderni di appunti.

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La mediazione di don Bosco per gli exequatur ai vescovi
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alla volta della città dei Cesari. Vi giunse il lunedì sera, 24 febbraio. Lungo il
viaggio si era fermato a Piacenza, Parma, Bologna e Firenze per « collocare »
centinaia di biglietti della lotteria e per aver scambi di vedute con le autorità
religiose del luogo. Col Card. Morichini di Bologna e coll'Arcivescovo Limberti
di Firenze54 da vari anni intratteneva cordialissimi rapporti.
La missione che si apprestava a compiere, la stessa in cui erano falliti
tentativi escogitati da chi aveva percorso un regolare « curriculum » diplomatico,
non si presentava facile. Don Bosco se ne era reso conto da tempo, per cui si era
messo in contatto con chi poteva illuminarlo. Difatti il 16 febbraio il professore
Sebastiano Sanguineti, gesuita,55 aveva redatto per lui un lungo memoriale sui
due scottanti problemi del momento: le elezioni politiche, cui i cattolici erano
stati invitati a non partecipare, e la concessione degli exequatur.
Non è qui il luogo di entrare nei dettagli della prima questione. Ci basti
ricordare come il Sanguineti difendesse, prescindendo dalla momentanea
proibizione, la liceità, anzi l'opportunità della partecipazione dei cattolici alle
elezioni politiche, in aperta polemica con quanti, con scritti di vario genere e con
articoli su giornali conservatori, a mo' di insulto definivano cattolici liberali i
difensori di tale opinione.
Ma pure riguardo alla vertenza degli exequatur l'illustre giurista apriva uno
spiraglio di speranza. La sua argomentazione richiamava anzitutto il principio
fondamentale cui non si poteva non attenersi: qualora il presentare le Bolle di
nomina, in qualunque modo venisse fatto, avesse come conseguenza un
riconoscimento qualsiasi, anche implicito, da parte della Santa Sede dell'ordine
politico del tempo e segnatamente della legge delle guarentigie, qualunque
tentativo di trovare una soluzione era da escludersi in partenza. Il Sanguineti
riconosceva come moralmente ingiusta e giuridicamente assurda, in regime di
libertà, la richiesta di exequatur; tuttavia a suo giudizio la pretesa del Governo
Italiano non era, sul piano morale, intrinsecamente cattiva. Pertanto non
sussisteva motivo per cui il Vescovo, come cittadino soggetto alle leggi dello
Stato in cui vive, non potesse subire una legge anche vessatoria ed ingiusta, ma
che non lo obbligava ad un atto intrinsecamente cattivo. In tale azione
individuale, concludeva il Sanguineti, il Vescovo non avrebbe in alcun modo
compromesso la Santa Sede, ed il Governo Italiano avrebbe dovuto
54 Si veda l'INDICE della MB alle rispettive voci Morichini e Limberti. Ancora
ultimamente sono state rintracciate delle corrispondenze inedite di Don Bosco coll'Arcivescovo
di Firenze.
55 Padre Sebastiano Sanguineti, nato a Genova nel 1829, già prefetto degli studi al
seminario americano a Roma, professore di storia ecclesiastica e di diritto canonico al collegio
romano ed all'università gregoriana, professore di teologia a Roehampton in Inghilterra, per
alcuni anni era rimasto nella provincia gesuitica piemontese. Consultore delle Congregazioni
del Concilio, degli Studi, degli Affari Ecclesiastici, del Santo Uffizio. Dal Papa Leone XIII si
vedrà commissionare gelosissimi affari. Morirà nel 1893: cf. C. SOMMERVOGEL, Bibliotèque de la
Compagnie de Jésus. Bruxelles-Paris. T. VII 1896.

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22
Francesco Motto
sentirsi obbligato, a norma di legge, a concedere le temporalità. Un suo rifiuto,
sebbene non impossibile data la tensione esistente, sarebbe stata comunque
un'aperta ingiustizia.56
Con il promemoria in borsa, Don Bosco diede inizio ai suoi colloqui romani.
Il 26 febbraio ebbe una prima udienza dal Card. Antonelli, col quale si vide pure
il 3 marzo successivo; il 27 febbraio fu ricevuto dal Pontefice. Lunghe
conversazioni, nelle quali al di là delle convenienze del caso e delle solite
richieste di titoli onorifici e favori spirituali per i maggiori benefattori delle sue
opere,57 Don Bosco dovette affrontare coi massimi interlocutori vaticani le
spinose questioni dei negoziati, diretti o indiretti, fra Stato e Chiesa. Come già
altre volte, gli venne affidato il compito di esplorare eventuali vie di
accomodamento, senza che in alcun modo dovesse comparire come interlocutrice
la Santa Sede.
E' da credere che non tutti gli ambienti vaticani abbiano visto di buon occhio
l'incarico « ufficioso » affidato a Don Bosco. Una cerchia di ecclesiastici,
illudendosi dell'imminente crollo del nuovo Stato Italiano mirava ad evitare
qualsiasi tipo di intesa.
Don Bosco accettò il mandato ed immediatamente si mise in contatto con le
autorità di Governo. Il 4 marzo fu ricevuto a palazzo Braschi dal Presidente del
Consiglio Lanza. Nel corso del colloquio vennero coinvolti il Ministro della
guerra, Cesare Ricotti Magnani, il Ministro di Grazia, Giustizia e Culto, Giovanni
De Falco e i rispettivi segretari.58
Inutile qui rammentare che di quanto avvenuto nel Gabinetto della
Presidenza del Consiglio (ed in quasi tutti gli altri abboccamenti ministeriali) sia
difficilissimo, per non dire impossibile, trovare conforto in inoppugnabili
documenti d'archivio. Tutto ciò che rimane sono le poche note che Don Berto ha
direttamente raccolto dalle labbra di Don Bosco, note di cui è fantasia voler
controllare la materiale attendibilità specialmente per quanto riguarda le parole —
e spesso le ustorie battute — con cui Don Bosco e le medesime autorità si
espressero. Innegabile comunque è che al centro dei colloqui vi fu la questione
delle temporalità.59 Don Bosco avrà esposto il punto di vista
56 L'intero documento del Sanguineti è pubblicato in MB X 469-475. L'originale è
conservato in ASC 123. Sanguineti; mc. [= microscheda] 725 E 9 — 726 A 11. L'ASC
conserva la minuta della seconda parte del documento di Sanguineti: mc. 726 A 7/8. Si veda
appendice documentaria n. 5.
57 Ad es. il titolo di monsignore per il segretario del Vescovo di Casale e per il teologo
Appendini; così vari cavalierati dell'Ordine di S. Silvestro e di S. Gregorio Magno. Nel corso
dell'udienza (cui in parte fu presente anche Don Berto che ne rimase estasiato) Don Bosco
consegnò al Papa 1.000 franchi a nome del marchese Fassati: cf. MB X 477. Utili al riguardo le
lettere di quei giorni, in parte pubblicate in E.
58 Cf. lettera di Don Bosco a Minghetti del 14 luglio 1873: appendice documentaria n. 7.
59 Quasi tutte le informazioni minute di questi colloqui di Roma con le autorità religiose e
civili della città ci sono fornite da Don Berto, alla cui cronaca ha attinto Don Lemoyne per i
suoi Documenti e Don Amadei per il volume X delle MB. Crediamo

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La mediazione di don Bosco per gli exequatur ai vescovi
23
dei diplomatici vaticani, con cui si era incontrato i giorni precedenti; avrà tentato
di rispondere alle obiezioni dei Ministri; avrà cercato di evidenziare le
contraddizioni implicite nel loro modo di operare e le nefaste conseguenze per
tutti di un'interpretazione eccessivamente rigorosa della legge delle Guarentigie.60
Il 6 marzo seguì un ulteriore incontro di Don Bosco col Segretario di Stato;
altre conversazioni ebbe col Lanza nei giorni seguenti. Lo afferma esplicitamente
Don Berto, pur senza poter precisarne il numero e la data.61 Il 12 marzo il
segretario di Don Bosco, scrivendo al direttore della casa salesiana di Lanzo, Don
Lemoyne, poté dargli l'assicurazione — sia pure mitigata da un « pare » — che il
Presidente del Consiglio era disposto a permettere sia la presa di possesso da
parte dei Vescovi degli episcopi, sia la sopravvivenza in Roma
però necessario avanzare alcune riserve, senza con ciò farne grave colpa al segretario di Don
Bosco che evidentemente, pur attendibile in linea di massima, può essere andato soggetto ad
errori. Non sempre per altro ha potuto scrivere in contemporaneità agli avvenimenti. Così le
MB (vol. X 477) affermano che l'appuntamento di Don Bosco col Lanza era fissato per le due
del pomeriggio del 4 marzo, ma che solo verso le 15 Don Bosco venne introdotto nello studio
del Ministro. Al colloquio di un'ora (e cioè fino alle 16) col Lanza ne seguì un secondo di due
ore con altri Ministri e segretari. Ora dagli Atti Parlamentari di quel 4 marzo risulta che
durante la seduta della Camera (apertasi alle 14,15 e conclusasi alle 18) il Lanza intervenne nella
discussione per rispondere ad interpellanze ed interrogazioni. Sulla base della lunghezza dei
discorsi che lo precedettero, il Lanza dovrebbe aver preso la parola verso le 14,45-15. Il che
legittimerebbe qualche dubbio circa l'esattezza dell'ora indicata dal Berto per il colloquio con
Don Bosco. Così pure negli Atti Parlamentari non è detto che il Lanza, dopo il suo intervento
in aula, se ne sia allontanato. Del resto la cronaca di Don Berto registra che la conferenza di
Don Bosco col Lanza ebbe luogo « a sera » e che era stato lo stesso Lanza a farlo chiamare. Il
verbale della seduta della Camera conferma l'assenza in aula del Ministro di Grazia e Giustizia.
60 Fra gli argomenti presi in considerazione da Don Bosco e dal Lanza ci furono anche le
espropriazioni delle case religiose in Roma. Ecco la testimonianza originaria di Don Berto: «
Lanza appena mi vide: Ebbene Don Bosco, quei tre monasteri che Ella mi raccomandò furono
salvi sì o no? L'ho servita bene? Dica che l'ho servita bene. Quelle tre case — dice Don Bosco
— io gliele avea raccomandate in modo particolare dicendogli: Guardi di salvarmi Tor de
Specchi — le monache della Bocca della verità e quelle della Trinità dei Monti. Veda,
soggiungeva Lanza, ho dovuto lottare non poco ma son salve. — Li avea tutti contro — Mi
diedero perfin del Gesuita. — Lanza, mi diceva pure Don Bosco, fa niente, mi ha stancato, ma
mi venne accompagnare fino alla porta — salutandomi cortesemente. Lo stesso Lanza disse
pure a Don Bosco: I cattolici credono che io sia anticattolico. Tutt'altro. Veda, se noi non
fossimo venuti a Roma la città andava tutta in fiamme. E Don Bosco: Veda, Sig.r Ministro, io
conosceva abbastanza bene lo stato di Roma, ma non eravi neppure un pericolo remoto. — E
poi, continuava Lanza, se non posso salvare le case generalizie io lascio il Ministero, dò le mie
dimissioni: ASC 110 Cronache Berto q. 11 p. 67; mc. 906 D 11.
61 Cf. MB X 478-479. Don Berto (e Don Amadei di conseguenza) accenna pure alla
cordialità con cui avvenivano tali colloqui. Don Bosco divenne familiare negli ambienti
ministeriali e da alcuni funzionari sarebbe addirittura venuta a lui la proposta di aprire una casa
a Roma, così da poter godere della protezione del Lanza in persona.

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Francesco Motto
delle case generalizie. Il tutto a costo di dover rassegnare le proprie dimissioni.62
Conferma incontrovertibile del punto a favore segnato da Don Bosco in
quell'occasione è data da un preziosissimo autografo conservato nell'Archivio
Centrale Salesiano, cui corrisponde la bella copia, eseguita da Don Berto, della
Segreteria di Stato.63
Ad un certo momento Don Bosco comunicò al Card. Antonelli che il
Consiglio di Stato aveva dato il suo assenso a quattro modus vivendi presentati
dal Consiglio dei Ministri, in parte difformi da quelli — già approvati dal
medesimo Gabinetto nel marzo precedente — che la Santa Sede non aveva
creduto di adottare.64
Eccoli nell'ordine: « Io I Vescovi diano commissione e presentino la Bolla di
loro preconizzazione. 2° Il Capitolo o la Curia od altre autorità competenti
presentino un sunto della Bolla dichiarando che nulla fu aggiunto alle formule
solite ad usarsi in tali scritti. 3° Si presenti una Bolla qualunque e si Sdichiari che
nella spedizione di quella spedita per N.N. nulla fu cangiato. 4° Una
dichiarazione del segretario del Concistoro che dichiari singillatim nome,
cognome, tempo, Diocesi, con dichiarazione che nulla fu modificato nella
spedizione della Bolla ».
Al porporato di Sonnino Don Bosco riferì pure che nel corso dei suoi
colloqui al Ministero s'era adoperato per esorcizzare i fantasmi, manifestatigli in
quella sede, che assieme alle Bolle non sarebbero stati spediti in allegato consigli
segreti. Non mancò di far presente che aveva già discusso di eventuali termini che
i Ministri sarebbero stati disposti a modificare nei suddetti modus vivendi qualora
la Santa Sede ne avesse avanzato richiesta. Soprattutto portò a conoscenza dei
massimi vertici vaticani quello che, secondo lui ed anche a giudizio del Consiglio
dei Ministri, sarebbe stato il modus vivendi più conforme ai principi della Santa
Sede. E cioè, fra quelli approvati dal Consiglio dei Ministri, il secondo,
modificato però nel seguente modo: « Il Capitolo, la Curia, od altra autorità
competente mandino dichiarazione al procuratore del re o ad altra autorità
governativa, che nel Concistoro tenuto il giorno... il sacerdote... fu preconizzato
Vescovo di... e ne fu spedita la Bolla colle forme solite, oppure semplicemente la
solita Bolla ».
Il Lanza accreditò la sua disponibilità a trattare facendosi personalmente
garante della non soppressione delle case generalizie di Roma e dell'indennizzo ai
Vescovi per la dilazione governativa nella consegna delle dovute temporalità. Né
era da sottovalutare la sua proposta che gli accordi eventualmente raggiunti si
dovessero mettere in esecuzione nel periodo delle ferie pasquali
62 MB X 478; vedi nota 60.
63 ASC 132 Promemoria 10; me. 789 C 8/10; ASV Spoglio Antonelli b. 4; vedi appendice
documentaria n. 6.
64 Vedi nota 30.

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La mediazione di don Bosco per gli exequatur ai vescovi
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o estive, così da evitare gli intralci di pericolose interpellanze parlamentari da
parte di estremisti di sinistra o di destra.
La Santa Sede, ricevuta la comunicazione di Don Bosco, delle quattro
alternative parve disponibile ad accogliere quella che già lo stesso educatore
piemontese ed il Ministro avevano avuto modo di ritenere come la più consona al
punto di vista vaticano.
Il nodo, che agli occhi dei più si riteneva insolubile, sembrò potersi, sia pure
lentamente, sciogliere. All'orizzonte si profilava una schiarita e Don Bosco
dovette giocare fino in fondo le carte in suo possesso perché la formula prescelta
facesse superare la pregiudiziale « ideologica » che aveva fatto abortire qualunque
tentativo precedente.
Don Berto è avaro di notizie sul proseguo dei colloqui; impegnato com'era a
trascrivere documenti e richieste varie alle congregazioni vaticane e a smerciare
cartelline di beneficienza, non poteva seguire i passi di Don Bosco. Ciò non toglie
che dalla sua cronaca di incontri, guarigioni, « profezie », abboccamenti con le
più diverse personalità religiose e laiche emergono tracce ed indizi di tentativi per
« forzare la mano » a chi si ostinava a non porgerla. Don Rua, che riceveva la
corrispondenza di Don Berto, ne faceva una sintesi e la inviava a modo di
circolare a tutte le case.65
La sera del 15 marzo Don Bosco aveva in programma un ultimo
abboccamento col presidente del Consiglio. Ne diede notizia nella mattinata al
Cardinal Antonelli, annunciandogli anche che sarebbe stato da lui il giorno
appresso per riferirgliene l'esito. In casa Colonna, dove era ospite, giacevano
ancora invendute molte cartelline di beneficienza. Approfittò del dispaccio da
inviare all'Antonelli per inserirne in busta cinquanta, col garbato invito a farsi
promotore del loro smercio: « Se Ella può affidarle a qualche pia persona o
ritenerle per se, è una risorsa per me, altrimenti domani a sera Ella mi può
ritornare quello che giudica opportuno ».66
Si incontrò col Lanza ed il giorno dopo coll'Antonelli. Da due colloqui uscì
con la convinzione che finalmente si era trovata una formula gradita ad entrambi
e che poteva ritornare con fiducia a Torino. Quanto ai biglietti della lotteria, non
abbiamo notizia. Ma è difficile immaginare il Cardinal Segretario di Stato
nell'atto di restituire invendute cartelline di beneficienza a Don Bosco, dopo la
parte che questi aveva avuto nella vertenza che proprio allora pareva avviarsi sui
binari della composizione.
La partenza da Roma era fissata in un primo tempo per il 17 marzo. Don
Bosco la posticipò di un giorno per potersi incontrare con mons. Tobia Kirby,
rettore del collegio irlandese in Roma. Gli arrideva infatti la speranza
65 Del mese di marzo se ne conservano due, una della prima ed una della terza settimana.
66 ASV SdS r. 220: lettera inedita del 15 marzo 1873.

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Francesco Motto
di poter colà procedere ad un ulteriore spaccio di biglietti della lotteria.67 Tn realtà
la partenza ebbe luogo il 22 marzo, dopo che il 18 era stato ricevuto in udienza di
congedo dal Santo Padre.68 A Torino rientrò il 30. Come nell'andata, si era
fermato alcuni giorni a Firenze, a Bologna ed anche a Modena.69
4. La ripresa dei contatti: giugno-ottobre 1873
C'erano molti motivi per cui si potesse ritenere quello di marzo un passo in
avanti. Un attimo di euforia era più che giustificato. Ma il « disgelo » era solo
apparente. Sotto la cenere il « mistero di iniquità » della politica dell'epoca non
era spento, anzi era sul punto di avere un’ulteriore impennata.
Nel mese di maggio le cose volsero rapidamente al peggio. Il Ministro Lanza
propose che a Roma si estendessero le leggi del 1866 e del 1867 sulla
soppressione delle corporazioni religiose, fatto salvo per le case-residenze dei
Generali. Fra la protesta collettiva di 82 Superiori Generali — presso il Re, i
presidenti delle Camere e del Consiglio, l'intero corpo diplomatico accreditato
presso la Santa Sede — e la violentissima opposizione parlamentare delle sinistre
circa l'eccezione proposta dallo schema ministeriale a favore delle case generalizie,
la legge venne approvata con la salvaguardia di tali case, ad eccezione di quella
dei Gesuiti. Le furiose manifestazioni di piazza al grido di « abbasso il chierico, il
prete Lanza, abbasso il Ministero, morte ai Gesuiti, morte ai preti », raggiunsero il
loro scopo, anche se ai Superiori e Procuratori generali degli Ordini religiosi
venne permesso di dimorare nel monastero da
67 Don Bosco il 12 marzo, mercoledì, aveva inviato delle cartelline di beneficienza a
mons. Kirby (lettera inedita, fotocopia in ASC 131.21). La risposta fu l'invito a recarsi un
giorno a pranzo presso il collegio irlandese. Così il 15 comunicava al Kirby che si sottometteva
alla « punizione » e che pertanto, rimandava di un giorno la partenza per poter assidersi il
lunedì 17 alla loro mensa con il suo segretario: «Chi sa che in quel giorno non trovisi qualche
caritatevole persona che .possa ritirare qualche cartellina? ». Di fronte all'eventualità di poter
raccogliere qualche soldo per le sue finanze sempre in passivo, Don Bosco non esitò a
modificare più volte i suoi programmi. Da Torino aveva ricevuto 1200 biglietti ed intendeva
distribuirli tutti prima del ritorno: « Ora li mando a destra e a sinistra, e spero di non portarne
più almeno a casa»: Lettera alla contessa Gabriella Corsi, priva di data: E 1049. Cf. E 1050,
1052, 1053. Anche una lettera dell'I 1 marzo ad una non meglio precisata contessa conferma la
sua prima decisione di partire il 17 marzo: Archivio Casa Generalizia «Suore di Maria SS.
Consolatrice» - Roma. (La lettera è priva dell'indicazione dell'anno).
68 E 1050.
69 Dal 23 al 26 a Firenze, ed il 27 a Bologna, dove avrà riferito alle autorità diocesane
l'esito della sua andata a Roma. Inutile sottolineare che approfittò delle soste per un ulteriore
smercio dei biglietti della lotteria. A Modena fu ospite della contessa Tarabini, che il 22 aprile
ringrazierà sia della somma offerta che della generosa ospitalità: lettera inedita, fotocopia in
ASC 131.21.

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La mediazione di don Bosco per gli exequatur ai vescovi
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loro occupato.70 Oltre 8.000 religiosi e religiose riunite in un totale di circa 500
case religiose ebbero segnata la loro sorte. Alzò la sua vibrata protesta il
Pontefice il 12 giugno,71 ma due settimane dopo la Gazzetta Ufficiale pubblicava
il provvedimento di soppressione.72
Don Bosco da Torino seguì con costante attenzione ed apprensione lo
svolgersi degli avvenimenti a Roma, pronto ad accorrervi in caso di bisogno. Si
avvicinavano le ferie estive della Camera e, secondo gli accordi, si sarebbe
dovuto sospendere il « black out » per procedere nell'affare delle temporalità.
Scriveva il 3 giugno alla contessa Tarabini che lo aveva ospitato nel suo viaggio
di ritorno da Roma: « Ho veramente delle cose in corso che da un momento
all'altro mi possono richiamare a Roma ed in tal caso non mancherò di approfittare
della sua casa di Modena ».73 Tre giorni dopo invitava il teologo Margotti,
battagliero direttore de L'Unità Cattolica, ad incontrarsi col card. Berardi, stretto
collaboratore dell'Antonelli, di passaggio a Torino: « Se può passare un momento
all'albergo d'Europa, avvi un alto personaggio che desidera vederla. Dimandi del
signorino Adriano Berardi con suo zio [...] ».74
Ma tutto fu inutile. Di lì a poco, e precisamente il 5 luglio, cadeva per
difficoltà politico-parlamentari interne ed estere il ministero Lanza, cui
subentrava il 10 luglio il ministero Minghetti. Guardasigilli della nuova compagine
ministeriale venne nominato Paolo Onorato Vigliani, mentre Marco Minghetti
assumeva pure il portafoglio delle Finanze. Entrambi nel corso della discussione
70 Una vivace narrazione degli avvenimenti di quei giorni è quella di P. VIGO, Storia
degli ultimi trent'anni del secolo XIX. vol. 1 Milano, Fratelli Treves Editore 1908, pp. 266-280.
I disordini in città sono documentati da tutti i giornali dell'epoca ed il 12 maggio a mons.
Tortone ne diede notizia dal Vaticano un amico in questi termini: « Se le conseguenze per tutti
non fossero terribili, vi sarebbe molto da ridere, ma sono conseguenti. Come si è fatta l'Italia
attuale, come si è venuti in Roma, la rivoluzione è logica. Quindi non so se una lunga
repressione potrà salvare la baracca»: ASV Nunziatura di Torino 175. La legge votata non
riconosceva comunque il diritto di esistenza delle case generalizie in Roma; solo se ne
permetteva la dimora ai Generali e ai Procuratori.
71 Nel mese di giugno la salute del papa era migliorata, dopo che il mese precedente
aveva destato forti preoccupazioni data anche l'avanzatissima età (82 anni). « Se i buoni sono
preoccupatissimi della preziosa salute del Papa, il Governo Italiano non solo non ride, ma è
agitatissimo, perché non sa cosa possa avvenire in caso di una siffatta sciagura in simili
momenti »: ASV Nunziatura di Torino, 175: lettera del 12 maggio.
72 Con immediatezza scattò la scomunica papale ed altrettanto immediatamente il
Consiglio dei Ministri deliberò il sequestro di tutti quei giornali che avevano o avrebbero
pubblicato la scomunica nominativa del Re d'Italia: ACS Verbale del Consiglio dei Ministri
(minuta) pubblicato in DE VECCHI DI VAL CISMON, Le carte... VIII p. 686.
73 Lettera inedita del 3 giugno 1873: fotocopia in ASC 131.21.
74 Lettera inedita del 6 giugno 1873: fotocopia in ASC 131.21. Il nome dell'« alto
personaggio » non è specificato, ma è forse lecito supporre che si trattasse proprio del Card.
Berardi. Le MB (vol. XI pp. 316-323) accennando alla prima visita del cardinal Berardi
all'Oratorio — avvenuta nel luglio del 1875 — osservano che prese alloggio all'« Hotel
d'Europe » e che si incontrò col teologo Margotti.

3.6 Page 26

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Francesco Motto
sulla legge delle Guarentigie si erano schierati a favore della più ampia libertà
della Chiesa e per la rinuncia a provvedimenti di carattere giurisdizionalistico.75
Invero il Minghetti, pur fautore di una politica conciliante verso la Chiesa, era
sceso in campo contro il progetto di legge del precedente Gabinetto che voleva
lasciar sussistere le case generalizie in Roma.
Non passò una settimana che furono riprese le trattative e questa volta
l'iniziativa partì dal Minghetti stesso che, tramite il Prefetto di Torino, fece
chiedere a Don Bosco se la Santa Sede confermava la sua disponibilità in merito
al modus vivendi precedentemente concordato col Lanza, la cui politica
ecclesiastica il nuovo Ministero intendeva continuare.76
Il 14 luglio Don Bosco rispondeva al Presidente del Consiglio che se il
modus vivendi cui voleva alludere il Ministero era quello approvato dal Consiglio
di Stato e modificato dal Consiglio dei Ministri nel marzo precedente, era sua
opinione che la Santa Sede non avesse mutato parere. Riferiva anche i particolari
delle trattative intercorse fra il Gabinetto Lanza e la Santa Sede, grazie al
mandato ufficioso che ne aveva ricevuto dalle autorità pontificie77 e riconfermava
la sua piena disponibilità ad operare nuovamente in tal senso, pur senza aver dalla
sua alcun mandato particolare: « Sebbene io sia affatto estraneo alle cose
politiche, tuttavia non mi sono mai rifiutato di prendere parte a quelle cose che in
qualche maniera possano tornare van-
75 Si vedano gli interventi del Vigliani al Senato il 22, 24 e 29 aprile 1871 in ATTI
PARLAMENTARI, Discussioni Senato, sessione 1870-1871 pp. 793-800; 900-915. Quanto al
Minghetti ed alla sua politica religiosa cf. G. CAPUTO, La libertà della Chiesa nel pensiero di
Marco Minghetti. Milano. Giuffrè Editore, 1965. Lo Jemolo così ha tratteggiato il profilo del
Minghetti: « sempre disposto a guardare in faccia alla verità anche se non gradevole, come
questa delle temporalità, alieno dai dogmatismi, memore che la politica non consente di
limitarsi ad una deduzione logica dai principi, chiudendo gli occhi alla realtà »: Chiesa e
Stato... ed. 1963 p. 206.
76 La richiesta era più che giustificata, dato il conflitto in atto fra Chiesa e Stato, conflitto
acuito ancor più dalla legge contro le corporazioni religiose e dalle vicende seguite alla morte
del Rattazzi, alla cui salma il Capitolo della cattedrale di Alessandria aveva tributato onoranze
religiose definite da Pio IX « funebri profanazioni »: ASV SdS 1873 r. 165 f. 2. Il giorno dopo
il decesso del Rattazzi a Frosinone, ossia il 6 giugno, a Mondovì moriva il Vescovo, mons.
Giovanni Ghilardi, grande amico di Don Bosco e apprezzatissimo negli ambienti conservatori
vaticani per la sua difesa ad oltranza di Pio IX e della Chiesa. Poche settimane prima aveva
inviato allo stesso Pontefice i 5 volumi in cui aveva raccolto i 35 opuscoli dati alle stampe
durante quegli anni. Significativo il titolo: « Pio IX giustificato ed i diritti di Santa Chiesa difesi
in faccia alla rivoluzione italiana »; ASV Epistulae ad Principes, 15. Nell'aprile dello stesso
anno era stato condannato ad 1 mese di carcere ed a 1.500 lire di multa per offesa alle leggi
dello Stato: aveva alzato la voce contro la legge del 31 dicembre 1870 che annetteva Roma al
Regno d'Italia: ASV Epistulae Latinae, Positiones et Minutae, 81. L'intervento del Prefetto di
Torino è comprovato dall'inedita lettera di Don Bosco al Card. Antonelli del 3 agosto 1873:
ASV SdS 1873 r. 165; vedi appendice documentaria n. 8.
77 Vedi appendice documentaria n. 7. La lettera sconosciuta alle MB ed all'E è invece
pubblicata in G. CAPUTO, La libertà della Chiesa... pp. 104-105.

3.7 Page 27

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La mediazione di don Bosco per gli exequatur ai vescovi
29
taggiose al mio Paese ». Alla lettera personale allegava il testo del 2° modus
vivendi approvato dal Consiglio di Stato e quello, simile, della formulazione
proposta dal Consiglio dei Ministri.78
In men che non si dica il Minghetti rispose di proprio pugno: « Ricevo la sua
[del] 14 [luglio] e mentre voglio di ciò assicurarla, fra alcuni giorni le risponderò
in proposito ».79
Era un laconico riscontro di ricevuta, ma lasciava presagire favorevoli
sviluppi. Solo che alla fine di luglio a Don Bosco non era ancora pervenuta la
annunciata comunicazione. Nel frattempo comunque non era rimasto inoperoso.
Dopo il primo contatto col Minghetti si era sentito in dovere di rivolgersi al
Cardinal Segretario di Stato per avere da lui « norma a seguire ». La lettera o non
giunse a destinazione o non venne colta nel suo significato.80 Per cui il 1o agosto
chiese l'intervento dell'abate Tortone: «Minghetti rinnova domanda se l'affare
delle temporalità si possa trattare sulle basi in cui furono lasciate nel passato
marzo. Si prega monsig. Tortone a dire se le cose sopra espresse si possano far
pervenire al card. Antonelli in forma di dispaccio in cifra ed averne la risposta».82
Avuta l'ambasciata di Don Bosco tramite un sacerdote dell'Oratorio di
Valdocco, mons. Tortone gli fece sapere immediatamente « che non era
ammissibile il dispaccio in cifra [. . .] che poteva Egli stesso narrare per iscritto
quanto era a sua cognizione circa l'oggetto a cui si riferisce il di lui citato biglietto
». Gli esternava però la sua disponibilità ad inoltrare a Roma « per via sicura » un
eventuale messaggio autografo.83
Optò Don Bosco per questa soluzione ed il 3 agosto da Mornese, dove si
trovava, faceva recapitare la lettera al Tortone. Questi, unitala al succitato
biglietto di Don Bosco e ad un sunto della propria risposta al medesimo, la inviò a
Roma senza prenderne visione. In caso contrario, non avrebbe certa-
78 Cf. nota 63. La lettera è autografa di Don Bosco; invece il foglio allegato coi due
modus vivendi è vergato dal segretario Don Berto.
79 ASC 126.2 Governo mc. 1444 D 11.
80 II CAPUTO, La libertà... pare suggerire che la chiosa manoscritta del Minghetti sullo
stesso foglio allegato da Don Bosco alla sua lettera: « Modificato ed approvato » [leggi:
adottato] indichi due operazioni compiute dal Consiglio dei Ministri in carica. A nostro
giudizio invece le due note autografe del Minghetti: « 1. Progetto 2. Modificato ed adottato »,
per il fatto che i numeri si riferiscono ai due soprastanti modus vivendi scritti da Don Berto,
sintetizzano l'atteggiamento assunto dal precedente Gabinetto Lanza, senza con ciò escludere
che identico possa essere stato quello del nuovo ministero Minghetti. La perplessità nasce dal
fatto che, ad onta del proposito, il Minghetti non si mise più in contatto con Don Bosco. Ai
primi di agosto questi attribuirà il ritardo della risposta all'assenza, per motivi di cure termali,
del Ministro di Grazia, Giustizia e Culto.
81 La lettera non è ancora stata rinvenuta, ma della sua esistenza se ne ha la prova in
quella del 3 agosto 1873: vedi appendice documentaria n. 8.
82 ASV SdS 1873 r. 165.
83 Ib.
[Nel testo manca nota numero 81]

3.8 Page 28

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30
Francesco Motto
mente scritto al Card. Antonelli che, appena Don Bosco fosse tornato a Torino, si
sarebbe premurato di avere con lui un abboccamento onde vedere se la cosa
meritasse « di essere presa sul serio e di essere portata a cognizione dell'E.mo
Superiore ».84
Le richieste che Don Bosco avanzava al cardinale non erano certamente
oziose: chiedeva se non ci fosse qualche altro intermediario fra Santa Sede e
Governo Italiano85 e se dovesse soprassedere oppure proseguire, nei suoi contatti
politico-diplomatici, sulle basi stabilite in passato.
A Don Bosco che si era dichiarato troppo contento se avesse potuto « portare
anche un solo atomo sulla bilancia di quell'accomodamento » che si rendeva ogni
giorno più urgente, il Card. Antonelli, per lo stesso tramite dell'Incaricato d'affari
a Torino,86 comunicò immediatamente che non si vedevano difficoltà a che le
trattative proseguissero nei termini fissati nel marzo precedente. Nella lettera
personale però aggiunse: « A scanso di qualsiasi possibile equivoco Le addito
esplicitamente i limiti di esse [trattative], oltre i quali non dovrà Ella ripromettere
cooperazione o acquiescenza per parte della S. Sede. Questi termini sono i
seguenti: Chiedendosi a Monsig. Segre-
84 Don Bosco si era recato a Mornese (Acqui) per assistere la comunità delle Figlie di
Maria Ausiliatrice che dal 29 luglio stavano attendendo agli esercizi spirituali in preparazione a
nuove vestizioni e professioni. Non potè presenziare, com'era sua intenzione, alla funzione del
5 agosto — primo anniversario delle prime vestizioni e professioni — perché chiamato
urgentemente a Torino. (Cronistoria Istituto Figlie di Maria Ausiliatrice, a cura di G. CAPETTI.
Vol. 2 p. 42; (MB X 622). Chiamato da mons. Tortone? Probabile. Per la lettera del 3 agosto,
vedi appendice documentaria n. 8.
85 E' evidente il motivo di non inferferire in eventuali trattative in corso tramite altri
emissari, dei quali Don Bosco non conosceva i nomi, ma di cui non poteva non supporre i
tentativi. Il suo stesso Arcivescovo di Torino sul finire di giugno aveva richiesto al Card.
Antonelli il permesso « di attaccare alle pareti della Sacrestia della cattedrale in un angolo
anche poco o nulla visibile, la Bolla ad populum o copia di essa ». A giudizio di mons. Gastaldi
ciò sarebbe bastato perché venisse l'ordine di consegnare le temporalità. La risposta del
Cardinale a tre giorni di distanza, pur non negativa in assoluto, era però stata interlocutoria: «
trattandosi di argomento delicato e d'involuta natura occorre di sottoporla, come si farà, ad
esame prima di decidere se possa essere accettata o debba essere respinta»: ASV SdS 1873 r.
283 f. 4.
86 Così recitava la missiva inviata a Tortone: « Mi è grado oggi poterle rispondere che
viene Ella autorizzata a dire alla Nota persona che non vi è alcuna difficoltà che per le
temporalità Egli continui a parlare nei termini dell'E.mo indicatigli in Roma. Di ciò Ella può
renderne certa la consaputa persona a nome dell'E.mo»: ASV Nunziatura di Forino, 118.
L'appunto del Card. Antonelli per il minutante era esattamente dello stesso tenore: « Si risponda
all'abate Tortone che dica non v'è alcuna difficoltà che per le temporalità continui a parlare nei
termini da me indicatigli in Roma»: ASV SdS 1873 r. 165. Per tranquillità del Tortone e
probabilmente per chiedergli di appoggiare lo sforzo di Don Bosco, il Card, aggiungeva: « Qui
unita trasmetto a V.S.I. la risposta alla lettera di Don Bosco che Ella mi acchiudeva nel suo
foglio del 3 corrente. La lascio a sigillo alzato, affinchè Ella ne possa prendere cognizione, e
chiusala quindi la consegni al suo destinatario»: ASV SdS 1873 r. 165.

3.9 Page 29

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La mediazione di don Bosco per gli exequatur ai vescovi
31
tario della S.C. Concistoriale che si desidera conoscere l'epoca, i nomi dei
Vescovi, e le Diocesi loro affidate nei vari Concistori, non s'incontrerà difficoltà
di rispondere indicando i nomi, tempo, e Diocesi, cui ciascun Vescovo fu
destinato, e dichiarando che a ciascuno furono spedite le solite Bolle ».87
Non era una precisazione da poco, poiché il Cardinale con la conditio sine
qua non che poneva « a scanso di qualsiasi possibile equivoco », indicava un
diverso porsi della Santa Sede rispetto agli accordi di massima presi
anteriormente. Intendeva cioè che non solo la Santa Sede ed i Vescovi non
facessero il primo passo, ma neppure i Capitoli delle cattedrali e le curie
vescovili. In altre parole esigeva che l'iniziativa di « chiedere » fosse assunta dal
Governo Italiano.
Don Bosco, che col suo andirivieni fra le due sponde del Tevere nel
febbraio-marzo di quell'anno, era stato all'origine di un "protocollo d'intesa" fra i
due contendenti, si rese immediatamente conto che con la « nuova » proposta del
Cardinale si cambiavano le carte in tavola. Motivo per cui il 25 agosto,
approfittando dell'andata a Roma dell'economo di Valdocco, Don Antonio Sala,
chiese all'Antonelli se nei suoi contatti col Ministero dovesse attenersi al modus
vivendi concordato — il che a suo giudizio avrebbe consentito di evitare ogni
discussione in quanto già discusso e definitivamente approvato — oppure dovesse
presentare la « formula » acclusa nella lettera recentemente pervenutagli, che pure
— scriveva — sarebbe stata « più facilmente ricevuta ».88
La risposta gli pervenne dieci giorni dopo: « Devo significarLe che non
posso dipartirmi dalle istruzioni e dalla formula che le indicai nella mia lettera del
6 del mese stesso. A tali istruzioni adunque Ella si attenga strettamente, tanto più
che giusta il suo modo di vedere la formula già da me precisata sarebbe più
facilmente ricevuta ».89
Il riscontro da Roma non ammetteva repliche: a Don Bosco non restò che
eseguire gli ordini ricevuti.
Avrebbe dovuto rivolgersi al Presidente del Consiglio, Minghetti. Ma
essendo ancora in attesa della promessa risposta della metà di luglio, pensò bene
di contattare il Guardasigilli Vigliani. Lo fece per via epistolare. La lettera, non
ancora recuperata nell'originale inviato al Ministro, ci è però pervenuta nella
minuta e costituisce un'importantissima testimonianza della sensibilità politica (e
religiosa) di Don Bosco.
In essa Don Bosco ribadiva — qualora ce ne fosse stato bisogno — che il
motivo del suo intervento era « il bene della Religione ed anche dello Stato ».
Faceva un dettagliato resoconto dei risultati raggiunti nel marzo
87 Lettera del 6 agosto 1873: ASC 126.2 Antonelli; mc. 1442 A 2/3; vedi appendice
documentaria n. 9.
88 ASV SdS 1873 r. 165; inedita; vedi appendice documentaria n. 10.
89 ASC 126.2 Antonelli; mc 1442 A 4/5; vedi appendice documentaria n. 11.

3.10 Page 30

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32
Francesco Motto
col Ministro Lanza e del tentativo, iniziato in luglio ed ancora in corso, di
riprendere il dialogo col Minghetti.90 Dando poi per scontato che il modus vivendi
già concordato in passato non dovesse trovare opposizione nel nuovo Ministero,
passava a presentare la formula che gli era stata con fermezza riproposta dal Card.
Antonelli. La formula — spiegava Don Bosco al Vigliani — era più di ogni altra
consona al punto di vista governativo, perché con essa il Governo si sarebbe
messo in relazione direttamente colla Santa Sede e la Santa Sede avrebbe risposto
ufficialmente al Governo. Questi una volta ricevuto l'elenco dei Vescovi
preconizzati, avrebbe potuto in qualche caso fare delle eccezioni prima di
concedere l’exequatur. Neppure c'era da formalizzarsi sulla modalità (e sul
destinatario) della richiesta governativa: l'avrebbe potuto fare, anche verbalmente,
una persona incaricata e non necessariamente era da inoltrarsi al Segretario della
Sacra Congregazione Concistoriale. Sarebbe stato accolta anche se indirizzata
direttamente al Pontefice o al Segretario di Stato. Concludeva la sua lunga lettera
Don Bosco col riaffermare sia la propria disponibilità a collaborare, sia la
convenienza di tale collaborazione in quanto personaggio « affatto estraneo alla
politica ed alle cose pubbliche » e pertanto difficile preda di « pubblicità
inopportuna ».91
Alla delicata e confidenziale comunicazione di Don Bosco, il Vigliani
rispose tre giorni dopo con pari gentilezza. Gli dava atto della correttezza delle
informazioni inviategli, ma gli confidava che non era in grado di rispondere
adeguatamente alla sua proposta, in quanto, nonostante la ricerca ordinata presso
il ministero dell'Interno, non erano state trovate le carte dei precedenti intercorsi
col Lanza. Gli attestava comunque la migliore volontà sua e del Presidente del
Consiglio di esperire tutte le vie possibili per conciliare « l'osservanza della legge
superiore alla volontà di tutti i Ministri » con la necessità di « far cessare od
almeno attenuare le cattive condizioni » in cui versava praticamente quasi tutto
l'Episcopato italiano. A sua volta avanzava una proposta: « Ella saprà che ai
Vescovi di Alessandria, di Saluzzo e di Aosta è stato con molta indulgenza
concesso l’Exequatur; perché il loro buon esempio non sarà seguito dai loro
confratelli? Perché tutti i nuovi Vescovi non troveranno modo di far pervenire un
transunto almeno delle loro Bolle col mezze dei loro Capitoli, o dei sindaci locali,
o di altra persona di loro fiducia, senza
90 Don Bosco indica qui tre modus vivendi proposti dal Consiglio di Stato anziché quattro
come abbiamo sopra ¡più volte accennato. Evidentemente Don Bosco scrivendo al Vigliani
esclude il primo modus vivendi, vale a dire quello della presentazione della Bolla di
preconizzazione da parte dei Vescovi, che la Santa Sede mai avrebbe preso in considerazione.
91 Lettera del 12 ottobre 1873: ASC 131.01 Vigliani minuta; me. 28 C 1; cfr. appendice
documentaria n. 12. Nella lettera si accenna due volte ad un foglio a parte, contenente il modus
vivendi per i Vescovi nominandi e quello per i Vescovi nominati, rispettivamente indicati con la
lettera A e B. Questo almeno è quanto si può arguire dal contesto, dato che il suddetto foglio è
parte non è stato ancora rintracciato.

4 Pages 31-40

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La mediazione di don Bosco per gli exequatur ai vescovi
33
assumere la veste di postulanti? Io non so davvero vedere in siffatta condotta,
nulla, proprio nulla, che offenda la santa nostra Religione».92
Se la Santa Sede respingeva la proposta che fosse il clero ad assumere
l'iniziativa — pensava il Vigliani — rimaneva però aperta la via che il passo
venisse compiuto dai laici ed in tal modo la Santa Sede avrebbe mantenuto fede
ai suoi principi.
Non sfuggì alle autorità d'oltre Tevere la possibilità che si apriva davanti a
loro, anzi già da tempo andavano maturando una simile soluzione. Fin dal
settembre il Papa aveva personalmente autorizzato l'arcivescovo di Cagliari ad
esporre la Bolla ad populum ovvero il più intelligibile transunto di essa in un
luogo visibile della sacrestia della cattedrale. Mons. Balma avrebbe dovuto
permettere a chiunque, anche ad un pubblico notaio, di prenderne copia e di farne
quell'uso che ne credesse meglio.93
Si trattava di un semplice tentativo, di un « ripiego » come ebbe a scrivere
mons. Balma,94 e lo stesso Pontefice non intese impegnarsi che « vivae vocis
oráculo », attento come era ad evitare qualsiasi tipo di rapporti col Governo
Italiano che potesse indicare un qualche indebolimento ed uscita dalla « sdegnosa
prigionia » in cui si considerava recluso. Pure mons. Peirano, Prelato della S.
Penitenzieria, interpellato da mons. Sciandra, Vescovo di Acqui, se
corrispondesse a verità quanto gli aveva comunicato l'Arcivescovo di Cagliari, era
piuttosto guardingo: « La risposta è affermativa [. . .] A non fare però una cosa,
che si ritiene per inutile, conviene informarsi del risultato prodotto in Cagliari [. .
.] ».95
La novità non passò inosservata, tant'è che il 16 ottobre L'Unità Cattolica di
Torino in un lungo articolo dal titolo « L'appello al popolo e l’exequatur ai nuovi
vescovi» scrisse testualmente: «[...] se non andiamo errati, in alcune diocesi, il
transunto venne esposto nelle sacrestie come si fa per le pastorali vescovili.
Qualche sindaco ha trasmesso copia autentica di quel transunto al ministro di
grazia e giustizia, e questi non tardò a mandare l'Exequatur Tali sono le voci che
corrono, e noi finora non sappiamo nulla di positivo ».
92 ASC 126.2 Vigliani; mc. 28 C 1; cf. appendice documentaria n. 13. La lettera è
olografa. Per quanto concerne la procedura adottata per ottenere l’exequatur a mons. Salvay, si
veda la nota 51. Analogo fu il caso di mons. Giuseppe Augusto Due, Vescovo di Aosta. La
richiesta di riconoscimento era stata avanzata dal conte Ceresa di Bonvillaret, sindaco di Aosta
e delegato reale in quella città, il quale aveva trasmesso al Ministero copia della Bolla ad
Capitulum avuta tramite il segretario dello stesso Capitolo: ACS MI. b. 59 f. 99; inoltre ASV
SdS 1873 r. 283 r. 5: lettera del Card. Antonelli del 3 novembre 1873 al Vescovo di Susa.
93 Lettera di mons. Balma a mons. Sciandra, Vescovo d'Acqui, del 5 ottobre 1873; ed. in
MB X 493-494.
94 Ib. Sia la lettera precedente che quest'ultima vennero nelle mani di Don Bosco, che a
sua volta le inviò al Card. Antonelli.
95 Lettera del canonico Peirano da Roma: 18 ottobre 1873; ed. in MB X 494.

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34
Francesco Motto
In quegli stessi giorni il Ministro Vigliani si trovava a Torino e forse non fu solo un caso
che il succitato articolo gli dedicasse un largo elogio sia per l'atteggiamento assunto in sede
parlamentare nel dibattito sulla legge del’exequatur sia per il tentativo che stava mettendo in
atto di « conciliare la disposizione della legge coll'osservanza della giustizia ».
Ispirato o meno questo plauso de L'Unità Cattolica da Don Bosco stesso (vi si parla di
qualche amico a cui il Vigliani avrebbe confidato che sarebbe stato lietissimo di abrogare la
legge in questione), sta di fatto che Don Bosco non lasciò sfuggire l'occasione per avvicinare
personalmente il Ministro. Lasciò scritto: « Quel colloquio non cangiò per nulla le intelligenze
tenute, ma mi diede occasione di scrivere altra lettera, in cui sostituiva la base stabilita nella
lettera di V.E. [card. Antonelli] a quell'altro modo che fu ventilato nel passato inverno e di cui
aveva già spedito copia anteriormente allo stesso personaggio.96
Per inviare a Roma la comunicazione, cui allegare in copia la lettera del Ministro del 15
ottobre, non c'era via più sicura che quella diplomatica. Di essa Don Bosco si servì. Il 20
ottobre scriveva a mons. Tortone: « Le mando qui un piego con preghiera di farlo pervenire a
destinazione con quel mezzo che Ella sa. Si tratta dello stesso affare. Il sig. Vigliani ha scritto
in modo assai favorevole, mando la lettera al cardinale Antonelli, dopo farò quanto esso mi
vorrà indicare. Se le aggrada faccia pure lettura di ogni cosa ».97
Così il 21 ottobre alla volta della Segreteria di Stato partirono 4 lettere: quella di Don
Bosco, la copia di quella del Ministro Vigliani allo stesso Don Bosco, una del teologo Albert di
Lanzo ed un'altra, di accompagnamento, di mons. Tortone.98
S'attendeva Don Bosco un riscontro positivo da parte vaticana. Si era dichiarato pronto a
partire immediatamente per Roma pur di non lasciar cadere la carica positiva del disegno di cui
era portatore e mediatore. Ma al suo ottimismo corrispose il « pollice verso » del Card.
Antonelli: « Mi è d'uopo significarLe che per l'oggetto di cui trattasi l'unico modo da potersi
seguire è quello da me già indicatoLe. Del resto non saprei dirle se la sua venuta in
96 ASV SdS 1873 r. 165: lettera inedita del 20 ottobre 1873; cf. appendice documentaria
n. 14. Data l'impossibilità di rapporti diretti fra Santa Sede e Governo Italiano, Don Bosco non
solo si manteneva in relazione personale con entrambe le parti, ma inviava talora per
conoscenza al Card. Antonelli le stesse lettere che aveva ricevuto dalle autorità di Governo.
Provvidenziale quindi si rivelò in tali frangenti l'azione « cuscinetto » di Don Bosco.
97 ASV Nunziatura Torino, 118.
98 Minuta in ASV Nunziatura Torino, 131; originale in ASV SdS 1873 r. 283 f. 4. La
lettera del teologo Albert si riferiva alla sua designazione a Vescovo di Pinerolo. Fra l'altro sia
l'Albert che mons. Tortone accennano all'increscioso fatto di quei giorni, che cioè « da alcuni
monelli furono rotti i vetri e fatti degli sfregi al Collegio che là vi tiene l'egregio Don Bosco,
perché si è sparsa la voce che sia stato Don Bosco quegli che ha proposto a Sua Santità il teol.
Albert per Vescovo di Pinerolo ».

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La mediazione di don Bosco per gli exequatur ai vescovi
35
Roma potrebbe esser utile, non sembrandomi che il Governo sia disposto a far
nulla di bene ».99
Implacabile nella difesa ad oltranza della posizione, diffidente pure dello
sbocco positivo circa l'espediente suggerito a mons. Balma e ad altri — che
tollerava a condizione che il Vescovo ed il Capitolo della cattedrale ne
rimanessero completamente estranei 100 — Il Cardinale non se la sentì di bloccare i
negoziati intrapresi da Don Bosco: « Comunque si riguardi questa mia opinione,
Ella è nella piena libertà di appigliarsi a quel partito che stimerà più opportuno ».
La rete di rapporti intessuta da Don Bosco con i membri del Ministero e del
Parlamento poteva smussare le intransigenze e aprire spiragli nelle loro
convinzioni. Don Bosco aveva dato convincenti prove di sapersi destreggiare
bene fra gli scogli sempre emergenti della politica liberale dell'epoca, e mai
avrebbe compiuto un passo decisivo senza il pieno accordo con le autorità
vaticane.
5. In partenza di nuovo per Roma (dicembre 1873)
Il Card. Antonelli, da consumato politico qual era, tendeva a tenere il piede
in più staffe. Ma a Don Bosco bastò il « via libera » vaticano per riprendere la sua
funzione di tramite diretto e segreto fra i due protagonisti delle trattative. Si era
reso ormai conto che l'unica carta da giocare che gli rimaneva era quella di «
lavorare ai fianchi », personalmente, quell'arcipelago variegato dai contorni
indefiniti ed incerti che erano la diplomazia pontificia e la compagine governativa
italiana. Le divergenze fra le due parti erano troppo sottili, la « querelle » troppo
profonda per poter accarezzare l'idea di un negoziato a suon di lettere. Occorreva
spezzare la spirale della reciproca ostinazione, che aveva fatto insabbiare
qualsiasi tentativo di accordo, e nulla c'era di meglio a tal fine che sedersi allo
stesso tavolo del Card. Antonelli e del' Guardasigilli Vigliani. Il suo compito poi
sarebbe stato facilitato qualora avesse potuto abboccarsi coi Ministri durante la
chiusura delle Camere.101
99 Lettera del 1o novembre 1873: ASC 126.2 Antonelli; mc. 1442 A 5/6, cf. appendice
documentaria n. 15. La minuta del Cardinale, vergata sullo stesso foglio di lettera di Don
Bosco, corrisponde quasi alla lettera all'originale scritto dall'amanuense e firmato
dall'Antonelli.
100 In questo senso aveva risposto al Vescovo di Ariano e di Susa che sul finire di ottobre
gli avevano chiesto delucidazioni in merito: ASV SdS 1873 r. 283 f. 5.
101 La decisione di anticipare la partenza per Roma deve essere stata rapida: il 20
dicembre scriveva alla contessa Uguccioni: «Ho in animo di fare una gita a Roma nel prossimo
gennaio »; la vigilia di Natale alla contessa Callori comunicava che sarebbe partito il lunedì
successivo, vale a dire il 29 dicembre. E' quindi certo che Don Bosco nella lettera all'Antonelli
in occasione della novena del Natale non gli aveva preannunciato la sua imminente andata a
Roma. Ulteriore prova è che rispondendogli il Cardinale il 26 dicembre, non ne faceva alcun
cenno: La lettera del Segretario di Stato è pubblicata in MB X 1224.

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36
Francesco Motto
Fu così che anticipando i tempi e contrariamente al suggerimento del
Segretario di Stato, per la seconda volta in quell'anno intraprese « una gita » a
Roma, pochi giorni dopo che vi erano stati creati dodici nuovi Cardinali e vari
Vescovi ed all'indomani di un infuocato discorso papale contro quanti per
debolezza, malizia o interesse avevano piegato il ginocchio « innanzi all'idolo
della rivoluzione ».
Come nel febbraio precedente, Don Bosco aveva in animo non solo di
tentare di comporre la vertenza delle temporalità, ma anche di portare a termine
un'impresa che si presentava non meno difficile e laboriosa: quella di far
approvare dalla competente Congregazione e dal Pontefice le costituzioni della
Società di S. Francesco di Sales. E fra quanti sollevavano le più ampie riserve
presso i dicasteri romani circa tale approvazione c'era proprio l'Arcivescovo di
Torino,102 col quale Don Bosco dovette incontrarsi prima di partire.
Mons. Gastaldi, una volta caduto il Ministero Lanza, non aveva cessato di
far presente al nuovo Gabinetto il suo diritto a ricevere le temporalità in quanto —
scriveva — « che io sia l'Arcivescovo di Torino il Governo lo sa in modo sì certo,
che più d'una volta mi ha diretto delle lettere, riconoscendomi per tale ».103 Il 2
ottobre aveva rivendicato in via subordinata presso il titolare del portafoglio di
Grazia e Giustizia il suo diritto alla presidenza dell'Opera Pia Barolo, a norma del
testamento della benefattrice. Ma il Vigliani da Roma gli aveva risposto che la
ricognizione nell'ambito spirituale non implicava quella del diritto alle
temporalità (che era invece sottoposto alla formalità dell’Exequatur) e lo aveva
invitato a permettere al Capitolo della cattedrale di seguire l'esempio di quello di
Saluzzo.104
Non era ancora forse giunta nelle mani dell'Arcivescovo la lettera del
Guardasigilli, che questi già aveva ricevuto dal Procuratore di Torino, Eula, una
copia del transunto della Bolla apostolica ad populum relativa alla nomina del
Gastaldi.
Era successo che il 17 dicembre l'Arcivescovo aveva fatto esporre nella
sacrestia della cattedrale un transunto legale di quella Bolla ed il notaio Vaccarino
Pietro ne aveva tratto copia, inviandola al Maggiore Generale Alberto di
Robillant, che a sua volta l'aveva fatta pervenire al Procuratore della corte
d'appello, con preghiera di far proseguire la pratica. Il Procuratore, accertatosi che
mons. Gastaldi né aveva dato incarico e neppure aveva acconsentito
all'operazione, aveva espresso al Ministro la sua convinzione che a quelle condi-
102 Fin dal gennaio 1873 aveva inviato ai Vescovi del Piemonte ed in seguito a vari
Cardinali di Roma osservazioni piuttosto gravi circa le costituzioni che Don Bosco intendeva
far approvare.
103 Lettera di mons. Gastaldi al Ministro Vigliani, del 2 ottobre 1873: ACS M.I... b. 129 f.
318.
104 Ib.: minuta di lettera in data 10 ottobre 1873. Per la procedura adottata dal Capitolo
della cattedrale di Saluzzo, si vedano le note 26 e 48.

4.5 Page 35

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La mediazione di don Bosco per gli exequatur ai vescovi
37
zioni non si potesse promuovere il provvedimento e che forse era il caso di
interpellare l'Arcivescovo per verificarne le intenzioni.105 Lo stesso giorno in cui
Don Bosco partiva per Roma, il Guardasigilli non solo avrebbe confermato la
necessità di conoscere se l'istanza presentata corrispondesse alle intenzioni di
mons. Gastaldi, ma avrebbe ribadito che occorreva la presentazione della « copia
autentica della Bolla con la quale fu annunziato al Clero e al Capitolo di Torino
l'elezione dell'Arcivescovo ».106
A quanto risulta, mons. Gastaldi, al momento in cui si incontrò con Don
Bosco sul finire di dicembre, non era al corrente della pratica avviata dal
Generale di Robillant, e comunque, non essendogli ancora pervenuta la risposta
del Ministro, dovette discutere con Don Bosco la propria situazione. Quasi
certamente gli affidò messaggi per il Card. Antonelli. Non per nulla Don Bosco si
manterrà in costante relazione epistolare col proprio Arcivescovo.
Il 29 dicembre, accompagnato dal segretario, Don Bosco partiva per Roma,
dove giungeva il pomeriggio del 30, ospite per oltre tre mesi di casa Sigismondi,
in via Sistina, 104.107
6. Buone prospettive di successo: gennaio 1874
Non perse tempo. Dal Card. Antonelli aveva avuto una « delega in bianco »
e prontamente si gettò nella mischia, portatore, come era, di una « allure »
fondamentalmente conciliante. In poco più di 24 ore dal suo arrivo in città aveva
già avuto tre incontri al vertice: col Card. Berardi, col Card. Antonelli e col
Ministro Vigliani. Cosicché la sera stessa di capodanno a mons. Gastaldi in
trepida attesa a Torino poteva inviare la seguente comunicazione: « Oggi ho
parlato assai colla nota persona che manifesta molto buon volere. Portò il
discorso sopra la pratica da lei iniziata presso di lui. Disse: — Non voglio che
dimandi l’Exequatur, ma soltanto le temporalità. — Ma questa domanda non si
vuole ammettere da altro più autorevole personaggio. Temporeggi, e fra pochi
giorni le scriverò di nuovo. Avvi una massima generale, che forse sarà accettata
da ambe le parti. Se venissi a sapere che qualche persona di confidenza da Roma
si recasse a Torino, scriverò lettera apposita ».108
Non è difficile scorgere nell'« altro più autorevole personaggio » il Card.
Segretario di Stato, ancora una volta attestato sulla dura linea dell'intransigenza.
105 Ib.: minuta del 22 dicembre 1873.
106 Ib.: minuta del 29 dicembre 1873. Ai primi di gennaio al Ministro arrivava un'altra
copia del transunto, con la medesima autenticazione del notaio Pietro Vaccarino, senza
che si sapesse da chi fosse stata spedita: ib.: minuta del 5 gennaio 1874.
107 Anche per i minuti ragguagli di questo viaggio a Roma siamo debitori della Cronaca
curata da Don Berto. Si veda la nota 53.
108 ASC 131.01 Gastaldi; mc. 24 A 5; vedi appendice documentaria n. 16.

4.6 Page 36

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38
Francesco Motto
Il primo dell'anno Don Bosco fu di nuovo a colloquio con lui; il 2 dal Guardasigilli e così
più volte al giorno e per molti giorni. E' Don Berto che ci informa dei continui rendez-vous di
Don Bosco in quell'inizio d'anno romano: « I Ministri del Regno ormai lasciavano nelle sue
mani la soluzione di coteste intricate divergenze colla Chiesa e sembravano fidarsi pienamente
di lui. Il Papa e vari Cardinali per parte loro gli accordavano piena fiducia. Egli tutto il giorno
non faceva che correre su e giù dal Papa ai Ministri. Arrivava in Vaticano e nessuno gli
chiedeva se aveva il permesso o perché venisse, passava liberamente per tutte le sale, entrava
dal Papa, sbrigava e accomodava gli affari. Arrivavano Cardinali, prelati, altri dignitari e si
diceva loro: — Abbiano pazienza: aspettino; dal Papa v'è Don Bosco! — E si aspettava ».109
La cronaca di Don Berto, non priva di una certa qual retorica, nel suo insieme, pur non
assurgendo al livello di rigorosità storica, merita credito per più di un motivo. Molto sovente il
suo racconto è decisamente suffragato da varie altre testimonianze coeve o posteriori e
comunque indipendenti dalla sua narrazione. Anche la palese suggestione che Don Bosco
esercita su di lui gioca in favore della sua attendibilità. I mille dettagli o particolari dell'azione
di Don Bosco, dovuta alla tendenza del cronista ad esaltarne la figura, pur nella loro
inverificabilità offrono valida garanzia per legare il nome del santo torinese a questa complessa
e spesso arruffata pagina del Risorgimento. E se talvolta Don Berto nella semplicità ed
immediatezza dei suoi ragguagli non sembra prestare sufficiente attenzione critica, non si
dimentichi che maggiori perplessità sono sollevate dalla fonte stessa delle sue informazioni,
vale a dire da Don Bosco, per quel tanto di riservato e — è proprio il caso di dirlo — di
misterioso con cui in questa ed in altre occasioni circondò le sue benemerenze politiche ed
ecclesiali. Il pittoresco resoconto fatto da Don Bosco dei dialoghi intessuti nei Gabinetti
ministeriali reggono il confronto con gli altrettanto deliziosi rapporti di Don Berto su quanto
avveniva nelle anticamere degli stessi uffici. Ma al riguardo non possiamo che rimandare alle
Memorie Biografiche.
Dunque al centro dei colloqui di fine dicembre ed inizio gennaio era «la massima
generale che forse sarà accettata da ambe le parti», ossia il ben noto formulario o modus vivendi
in cui ci siamo più volte imbattuti. La sera del 2 gennaio Don Bosco fece presente al Card.
Antonelli che il Vigliani aveva modificato alcuni termini di esso e che, a parere del
Guardasigilli, non si sarebbero trovate opposizioni al progetto né da parte del Consiglio dei
Ministri né da parte del Consiglio di Stato, al quale sarebbe stato subito inviato,
109 MB X 497-498; il testo originario è in ASC 110 Cronaca Berto. 110 ASV Spoglio
Antonelli b. 6; lettera inedita del 2 gennaio 1873: vedi appendice documentaria n. 17.

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La mediazione di don Bosco per gli exequatur ai vescovi
39
anche se la risposta non avrebbe potuto giungere che dopo la settimana di ferie
dello stesso. Don Bosco comunicò al Cardinale che il Ministro stava mettendo a
punto un altro formulario per le future elezioni, ma che erano rimasti d'accordo
che fosse conveniente affrontare una vertenza alla volta. Comunque non avrebbe
mancato di fargli pervenire uno scritto in merito e di discuterne con lui nel
colloquio successivo.110
Quanto prima gli trasmise la proposta ministeriale. Se ne conserva la minuta
di Don Bosco nell'Archivio Centrale Salesiano111 e la bella copia, trascritta da Don
Berto ed inoltrata al Cardinale, nell'Archivio Segreto Vaticano.112
La proposta del Governo era la seguente: allorché un Vescovo era stato
preconizzato, il Segretario della S. Congregazione Concistoriale avrebbe trasmesso
al Ministero in Roma una dichiarazione del tenore di quella in via di
approvazione da parte del Consiglio di Stato per i Vescovi già nominati. Qualora
non ci fossero stati ostacoli da parte del Ministero a concedere le temporalità della
mensa vescovile — nel quale caso il Ministero lo avrebbe dovuto notificare allo
stesso Segretario Generale della S. Congregazione — il Vescovo nominato
avrebbe dato partecipazione del suo ingresso in Diocesi allo stesso Ministero, il
quale a sua volta avrebbe disposto della concessione dell’exequatur e quindi delle
temporalità,113
Ma la posizione vaticana era diversa: « Il Capitolo o la curia od altra autorità
competente mandino dichiarazione al procuratore del re o ad altra autorità
Governativa che nel concistoro tenuto nel giorno... il Sacerdote... fu preconizzato
vescovo di... e ne fu spedita la solita Bolla colle forme solite: oppure
semplicemente, la solita Bolla ».114
Nei giorni seguenti Don Bosco si incontrò nuovamente col Card. Antonelli,
inviò un rapporto epistolare al Vigliani ed ebbe pure un'udienza papale,115 Cercò
di avvicinare le parti, rimuovendo gli allarmismi di entrambi i contendenti abituati
a reggere il gioco e suscettibili oltre ogni dire.
II punctum dolens continuava ad essere il fatto che la Santa Sede non
permetteva ai Vescovi di fare passi che potessero sembrare una richiesta o una
accettazione dell’exequatur governativo. Neppure acconsentiva che in sacrestia
della cattedrale si esponessero le Bolle ad Clerum e ad Capitulum. A sua volta il
Governo chiedeva che si esibissero tutte le Bolle o per lo meno quella ad
populum — con il preciso riferimento alla sostanza delle altre — e si indicasse
che ciò si faceva allo scopo di ottenere le temporalità.116
111 Ed. in MB X 499-500.
112 ASV Spoglio Antonelli, b. 6.
113 Ib.
114 Ib.
115 ASC 110 Cronaca Berto q. 13 p. 7; mc. 908 B 12.
116 La posizione del Governo ci è nota sia da documenti dell'ASV che dell'ACS e
dell'ASC. Negli stessi giorni degli avvenimenti che stiamo presentando, ed esattamente il 5
gennaio il Vescovo di Ampurias e Tempio scriveva al Card. Antonelli che aveva

4.8 Page 38

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40
Francesco Motto
C'era di che scoraggiarsi ed ammainare bandiera. Ma nella misura in cui Don
Bosco, avvicinando le due parti in causa si era convinto che esistevano margini
sufficienti di trattativa, ricorse ad un « escamotage » che avrebbe potuto salvare «
in extremis » la situazione. Non siamo in grado di affermare se la proposta, di cui
ci ha lasciato memoria scritta, sia stata messa a punto da lui solo ovvero in
collaborazione con altri. Sta di fatto che così vi si legge: « Senza ingerirsi
personalmente il Vescovo faccia esporre la Bolla ad Capitulum (ed anche quella
ad Episcopum) nella Sacrestia della sua Collegiata oppure altrove, e permetta, che
se ne faccia copia autentica da chi che sia, anche da un pubblico notaio. Quella
copia, per mezzo del Sindaco o del Prefetto o del Procuratore del Re, si mandi al
ministro di Grazia e Giustizia. Esso scriverà o farà scrivere al Vescovo se con
quell'atto esso, il Vescovo, intende chiedere la sua temporalità. Il Vescovo può
rispondere, che per allontanare gli ostacoli che si frappongono al libero esercizio
del suo pastorale Ministero, con quell'atto intende di chiedere la temporalità
spettante alla sua mensa e prega che siano rimossi gli ostacoli che possono
frapporsi al conseguimento della medesima. Dopo di che il Ministero tìi G. e G.
ha dato ed assicura di dare a ciascun, vescovo il libero possesso delle sue
temporalità e per conseguenza il riconoscimento legale del Vescovo e delle sue
firme ».117
Sul tavolo dei negoziati fra Don Bosco ed il Vigliani non c'erano solo le
questioni degli exequatur per i Vescovi. Per altre vertenze di carattere religioso,
quali ad esempio il riconoscimento civile di nomine di parroci,118 la salvaguardia
dalla espropriazione di case religiose,119 la composizione di diatribe fra Vescovi e
parroci con implicanze civili120 Don Bosco spezzò le varie lance in suo possesso,
riuscendo nell'intento.
permesso che alla porta della cattedrale si affiggesse la bolla ad populum e che i sindaci della
diocesi si erano rivolti al Ministro chiedendo l’exequatur. La risposta del Vigliani, ancora una
volta, era stata quella di poter vedere anche le bolle ad Clerum e ad Capitulum, di conoscere se
la petizione collettiva dei sindaci era stata fatta d'accordo col Vescovo e di verificare se questi
avrebbe accettato « qualora gli fosse stata accordata la grazia»: ASV Spoglio Antonelli b. 4.
117 MB X 500; ASC 112 Vescovi; me. 788 D 5; I buoni risultati della mediazione di Don
Bosco sono testimoniati pure dalla Cronaca di Berto: « ...uscendo dal Card. Antonelli andava
dicendomi: Vogliono discorrere con D. Bosco — domandano come se D. Bosco sapesse tutto
— presente, passato e futuro. Il Santo Padre riguardo al formulario delle temporalità disse ad
Antonelli: D. Bosco ha trattato così bene queste cose che nessuno dei nostri Cardinali avrebbe
potuto far meglio. Andò avanti fin dove ci poté andare e poi dopo si fermò; la fece proprio da
maestro: ASC 110 Cronaca Berto q. 13 p. 10; mc. 908 C 3.
118 Ad es. il parroco d'Incisa: ASC 110 Cronaca Berto q. 13 p. 12; mc. 908 C 10.
119 Così ad es. per le Oblate di Tor de' Specchi (ASC 110 Cronaca Berto q. 13 p. 8) e per
il monastero delle Sacramentate presso il Quirinale (ib 21).
120 Ad es., mons. De Gaudenzi gli aveva chiesto una mediazione presso il Vigliani a
proposito di una incresciosa vertenza col parroco di Zinasco, cui il Vescovo aveva dato
l'interdetto e che aveva visto il Ministro chiamato in causa dal Prefetto di Vigevano:

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La mediazione di don Bosco per gli exequatur ai vescovi
41
Come era da prevedere, non poté sfuggire alla stampa questo andirivieni di
Don Bosco negli ambienti vaticani e ministeriali. Così l'8 gennaio, mentre la
vertenza degli exequatur sembrava avviarsi a buon fine, la Gazzetta di Torino 121
portò alla ribalta dell'opinione pubblica il nome di Don Bosco ed il suo operato di
quei giorni: « Egli gode le grandi entrate in Vaticano [. . .]. Anche presso il
Governo egli ha larghezze d'entratura. Non so cosa faccia, ma certo si tratta di
cose gravi ». Fu il preludio di una campagna di stampa che si sarebbe presto
scatenata e che avrebbe assunti toni francamente oggi sconcertanti.
A dispetto della Gazzetta di Torino che definiva Don Bosco « un pochino in
decadenza » perché non suscitava più gli entusiasmi del primo viaggio, il
barometro delle trattative tendeva verso il sereno. Il 10 gennaio L'Unità Cattolica,
riprendendo un discorso iniziato il 16 ottobre, annunciò ai suoi lettori che, grazie
all'intervento dei sindaci, il Ministero avrebbe presto concesso alcuni exequatur. Il
giorno seguente Don Bosco invitò mons. Gastaldi a temporeggiare nelle sue
iniziative, poiché si era in attesa dell'approvazione da parte del Consiglio di Stato
del formulario adottato da ambo le parti. L'unica difficoltà che ancora rimaneva
— scriveva Don Bosco al suo Arcivescovo — era la resistenza vaticana a far
esporre in sacrestia le Bolle ad Clerum e ad Capitulum, in quanto sembrava un
atto vescovile di soggezione alle autorità del Regno.122
Non era ancora noto il verdetto del Consiglio di Stato, che la stampa ostile
ad ogni accordo scese in campo in ogni parte d'Italia. La domenica sera, 11
gennaio, il Fanfulla riferiva di voci circa trattative di conciliazione fra Chiesa e
Stato, che però non implicavano interventi « formali » della Santa Sede e del
Governo Italiano in quanto tali. L'indomani La Libertà escludeva il buon esito
delle trattative in corso, nonostante la mediazione di Don Bosco. Il 13 mentre la
Gazzetta Piemontese riprendeva le osservazioni del Fanfulla ed anche de La
Perseveranza del giorno avanti, la Gazzetta d'Italia attaccava la persona stessa di
Don Bosco beffeggiandolo col nomignolo di « prete eretico » a motivo di
supposti contrasti col Papa e con esponenti del S. Uffizio.123
cfr lettera di Don Bosco, inedita, del 6 gennaio 1873: fotocopia in ASC 131.21; ed. in
appendice documentaria n. 18. La questione si sarebbe 'poi trascinata per le lunghe con
l'intervento anche del Vescovo di Bobbio: ASV SdS 1874 r. 283 f. 1.
121 La Gazzetta di Torino menzionava il favore che Don Bosco godeva presso il Pontefice,
ma si premurava di sottolineare che in Roma non destava più l'entusiasmo della prima volta [?].
122 Lettera di Don Bosco a mons. Gastaldi dell'11 gennaio: ASC 131.01 Gastaldi; mc. 24
A 6/7; cf. appendice documentaria n. 19.
123 Occorre qui sottolineare che, sia pure con debite eccezioni, la persona di Don Bosco
sui giornali liberali ed anche della Sinistra era solitamente qualificata con titoli di tutto rispetto,
quali « pietoso e rispettabile prelato », « distinto prelato », « egregio sacerdote, uomo di molta
pietà e dottrina », « sacerdote conosciuto per ampiezza di dottrine, di costumi specchiatissimi, e
sommamente zelatore degli interessi chiesastici », ecc.

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42 Francesco Motto
Era una alluvione di sospetti, diffidenze e rancori che si abbatteva
sull'opinione pubblica. Così a metà gennaio non c'era giornale che non accennasse
al « fatto del giorno ». La Gazzetta d'Italia, e sulla sua scia la Gazzetta d'Emilia,
riprendevano presto l'argomento per ribadire che non era « possibile di vedere
spuntare nel campo clericale l'ulivo della pace »; La Gazzetta Piemontese ne
condivideva l'opinione; il Fanfulla presentava Don Bosco come ambasciatore
inviato a Roma da alcuni Vescovi del Piemonte; Il Secolo poi in una prima
corrispondenza da Roma dava sfogo ai più amari commenti circa quella che
definiva l'intenzione del clero torinese di escogitare una riconciliazione fra Papa
ed Italia; attaccava la stampa filogovernativa che minimizzava i tentativi in atto
fra le parti; ironizzava sulla presunta volontà di « alti papaveri » vaticani di
accettare l'assegno votato dal Parlamento Italiano; metteva in orgasmo i suoi
lettori dando per autentiche ed esatte le nuove disposizioni per l'elezione del
Pontefice in terra straniera apparse sull'organo di stampa tedesco Kölnische
Zeitung. Non soddisfatto di tale groviglio di falsità, mezze verità, pettegolezzi, in
una seconda nota da Roma, altrettanto falsamente moderata nei toni ma
luciferinamente denigratoria delle persone, continuava il suo attacco: «Al
Vaticano io credo che sarebbe accolto molto meglio un generale dell'usurpatore,
di quello che non si accogliesse qui il povero Don Bosco. Gli si disse che l'opera
sua era funesta ai veri interessi della Chiesa [. ..] ».
A calmare le acque ed a minimizzare gli avvenimenti in atto provvidero i
fogli ufficiosi governativi prima fra tutti La Nazione: « Se ne parla e quindi se ne
scrive, o piuttosto se ne scrive, e perciò se ne parla, e non è niente di male. Ma in
sostanza non vi è nulla, e nulla accenna ad esservi di nuovo nei rapporti fra le due
sovranità. Vi sarà oggi, come vi furono dal 1867 al 1870 e dal 1870 in poi
qualche spirito zelante degli interessi religiosi, cui dolga vedere lo Stato avverso
alla Chiesa, il che in fondo non mi pare essere un gran gusto per nissuno. Se
questo spinge qualche buon prete del Piemonte ad assumere una iniziativa che gli
sembra pietosa e civile, e si espone al rabbuffo del S. Padre, che possiamo fare
noi? Abbiamo modo di impedirlo? No davvero. Ma il Governo del re non ha più
bisogno di essere interpellato su questo argomento ».
Volutamente vaga la « velina » de La Nazione; volutamente esplicito nel suo
sostegno alla « Realpolitik » il commento de La Libertà che, fra l'altro, per prima
parlava di sistemi di espedienti e di compromessi « escogitati da Don Bosco,
accolti da Guardasigilli e presentati al Consiglio di Stato ».
A neutralizzare l'effetto di tanto increscioso « battage » pubblicitario
intervennero anche L'Italie e soprattutto L'Unità Cattolica. Quest'ultima, accusata
di mutismo da La Perseveranza, colse l'occasione per farsi beffe delle cronache e
dei commenti dei vari fogli nazionali e decisamente smentì che Don Bosco fosse
andato a Roma « per conciliare Pio IX col Regno d'Italia e viceversa ».
Bersaglio diretto o indiretto di simile campagna, Don Bosco manteneva

5 Pages 41-50

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5.1 Page 41

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La mediazione di don Bosco per gli exequatur ai vescovi
43
fede ai suoi programmi. Incontrò di volta in volta il Card. Monaco, il Card. Vicario Patrizi, il
Card. Berardi, mons. Limberti Arcivescovo di Firenze temporaneamente a Roma, mons.
Cecconi futuro successore del Limberti alla sede fiorentina, mons. Franchi appena eletto
Cardinale, il Card. Martinelli, il Card. Bizzarri, mons. Vitelleschi, mons. Gianelli di imminente
nomina cardinalizia, altri ecclesiastici, religiosi, membri del patriziato romano, umile gente del
popolo.124
Il 15 gennaio si intrattenne a lungo con Card. Antonelli e col Ministro Vigliani,125 dal
quale ebbe la notizia che il Consiglio di Stato aveva accolto il modus vivendi presentato. Ne
fece immediata parola all'Arcivescovo di Torino: « Il noto affare è ultimato. Un formulario è
accettato da ambe le parti. Lunedì sarà inviata a V.E. una copia autentica del medesimo col
modello di lettera, e con quello deve essere da ciascuno trasmesso al Ministro di Grazia e
Giustizia ».126
Come annunciato da Don Bosco, il 19 gennaio, da Roma venne spedita a mons. Gastaldi
la seguente dichiarazione del segretario della S. Congregazione: « A rimuovere gl'impedimenti,
che incontrano i Vescovi nell'esercizio del Sacro Pastorale loro ministero, e facilitare il
conseguimento delle temporalità appartenenti a ciascuna Mensa Vescovile, il sottoscritto
Segretario della Concistoriale dichiara che nel Concistoro tenuto il giorno [27 ottobre 1871] nel
Vaticano il S. Padre ha preconizzato arcivescovo di Torino mons. Lorenzo Gastaldi, che dalla
Dataria Apostolica gli furono spedite le solite Bolle ». Il documento era firmato da mons.
Antici. Ad esso il Card. Segretario di Stato aggiunse un suo scritto in cui dava all'Arcivescovo
di Torino un breve resoconto delle trattative intercorse a Roma e lo invitò ad inoltrare al
Ministro di Grazia e Giustizia la suddetta dichiarazione accompagnandola con una richiesta
personale, della quale indicava « presso a poco » i termini.127
Sia l'appunto del porporato che la minuta dell'estensore della lettera al Gastaldi128
indicano si il Guardasigilli come destinatario della dichiarazione vaticana e della missiva
personale dell'Arcivescovo, ma senza specificare se occorresse farlo direttamente o tramite
interposta persona. Ben diversa invece è la stessa nota, pubblicata nelle Memorie Biografiche: «
Non si è veduto nessun inconveniente a far rilasciare una simile dichiarazione al Ministro
Guardasigilli direttamente e non per terza persona, e ciò per compiere le pratiche senz'alcuna
pubblicità ».129
124 La più volte citata Cronaca di Berto è ricca di annotazioni al riguardo. Rimandiamo ad
essa oppure alle MB X cap. V passim.
125 ASC 110 Cronaca Berto, q. 13 p. 27-28; mc. 988 D 11/12.
126 ASC 131.01 Gastaldi; mc. 24 A 8; vedi appendice documentaria n. 20.
127 ASV SdS 1874 r. 165 f. 2 p. 20.
128 lb. pp. 17-19.
129 MB X 519. Anche la cronaca di Berto lascia nell'incertezza: « Questa mattina

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44
Francesco Motto
La precisazione non era priva di valore e se ne videro subito le conseguenze.
Mons. Gastaldi, incurante del duplice invito di Don Bosco a temporeggiare ed a
non fare passi senza prima accordarsi con Roma, ruppe ogni freno alla prudenza.
Diede immediata notizia al Procuratore di Torino che un accomodamento era stato
raggiunto ed il 22 gennaio, compilato il suo piccolo « dossier » così come
suggerito da Roma, si servì del medesimo Procuratore per inoltrarlo al Ministro
competente. Invero nella risposta al Card. Antonelli 130 l'Arcivescovo non specifica
la procedura seguita, ma ne siamo messi perfettamente al córente da una lettera
autografa del Procuratore,131 da una comunicazione del Gastaldi del 3 febbraio e
da un messaggio di Don Bosco allo stesso Arcivescovo, della cui domanda al
Procuratore (anziché direttamente al Guardasigilli) Don Bosco era venuto a
conoscenza dal Ministro in persona.
Per questo motivo si affrettò a scrivere a Torino di mantenere il più stretto
riservo sull'intera vicenda e di rivolgersi, in caso di bisogno, solo alla Segreteria
di Stato o al Vigliani. Sia pure con estremo garbo faceva rilevare al Gastaldi come
il suo comportamento in quel frangente aveva provocato le rimostranze del
Ministro e gettato sconcerto nel Consiglio di Stato e negli ambienti parlamentari,
dove la notizia era rimbalzata grazie ai giornali.133
Da una settimana i fogli di ogni tendenza erano a corto di novità sulle
trattative, se si eccettua la notizia data, poi smentita, indi riconfermata e da altri
ancora smentita, che Don Bosco fosse stato ammesso ad una seduta del Consiglio
di Stato.134 Così allorquando l'Opinione ben informata dell'accaduto di Torino, lo
comunicò ai suoi lettori, non parve vero ai « pourparlers » di potervi ricamare
sopra tutti i loro pettegolezzi.135
[26 gennaio] disse Don Bosco: — Il Card. Antonelli mi disse: « Io non so, bisogna che sia
matto quell'arcivescovo di Torino. Gli ho scritto che mandasse ogni cosa al Ministro di Grazia,
Giustizia e dei Culti ed egli lo mandò al Procuratore del Re»: ASC 110 Cronaca Berto, q. 13 p.
41; mc. 909 A 7.
130 ASV SdS 1874 r. 175 f. 2 pp. 21-22.
131 ACS M. I... b. 129 f. 318.
132 Cf. Cronaca di Berto ASC 110 q. 13 pp. 24-28, 30, 35.
133 Lettera del 24 gennaio 1874: ASC 131.01 Gastaldi; mc. 24 A 9/10; vedi appendice
documentaria n. 21.
134 II 17 gennaio La libertà e la Sentinella delle Alpi lo affermavano, salvo poi smentirlo
quest'ultima subito il giorno appresso, negando nel contempo l'esistenza di qualsiasi concerto
fra Don Bosco ed il Vigliani. Il 18 gennaio, La Capitale, polemico e battagliero organo di
stampa del radicalismo più estremo, confermava invece tutto quanto irridendo sulle proposte di
Don Bosco: « Ognuno s'immagini quanto debbano essere utili alla libertà e alla civiltà d'Italia le
proposte d'un prete Bosco, clericale famoso ». Il 19 La Gazzetta di Genova mentre dava
conferma dell'intervento di Don Bosco presso « parecchie autorevoli persone » a favore dei
Vescovi, sconfessava quanti invece avevano scritto della presenza di Don Bosco alla riunione
del Consiglio di Stato.
135 Così il Fischietto del 29 gennaio, L'Emporio di Torino del 30, il Fanfulla del 26 ecc.
Un lungo « reportage » venne dedicato alla questione dalla Sentinella delle Alpi del 28 gennaio.
Ne riportiamo i passi salienti: « I Vescovi di che cosa hanno da vivere? Ne conosco uno

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La mediazione di don Bosco per gli exequatur ai vescovi
45
Sul fronte moderato, per rendere meno grave l'inquietudine e gli umori della pubblica
opinione, con un servizio de La Nazione del 24 gennaio si tentò di gettare acqua sul fuoco delle
effervescenze giornalistiche e della piazza: « [...] ignoriamo se e quanto ci sia di vero in tale
affermazione [la riuscita della missione di Don Bosco], pare però che il temperamento sia stato
trovato. Esso consisterebbe nella presentazione di una breve dichiarazione della S. Congr. dei
Vescovi e Regolari la quale [...] attestasse la nomina di ogni singolo vescovo alla sua sede. Ieri
l'altro, 22, Gastaldi ha presentato [...]. Credesi che questo temperamento sia comune a tutte le
diocesi [...]. Una terza domanda è ora sottoposta al giudizio del Consiglio di Stato in quanto la
formula adoperata per Gastaldi non è stata emanata dalla Congregazione dei Vescovi ».
7. « La pratica non è rotta, ma è sospesa »: febbraio-marzo 1874
Che lo scotto da pagare per riuscire nel suo intento potesse essere la satira mordace dei
libelli dai nomi diabolici, l'insulto verbale dei giornaletti anticlericali ed anche le intemperanze
dei giornali moderati, Don Bosco ne era convinto ancor prima di gettarsi nell'impresa. Non lo
spaventava certo il rischiare di divenire il bersaglio di certe penne, visto che da decenni il
rispetto per la sua persona e per la sua attività su determinata carta stampata era scesa a certi
minimi difficilmente superabili, al limite della paranoia.136 Ma che alla vigilia del raccolto
autorevoli personaggi vaticani si sentissero spre-
ch'è mantenuto da un antico suo servitore diventato ricco. Questi vescovi, ridotti alla miseria, si
son rivolti a Don Bosco ch'è proprio l'uomo adatto ad una missione di talfatta. Don Bosco,
fondatore e capo d'istituti di beneficienza e di società cattoliche a Torino per alcuni è un santo,
per altri è un uomo che passa al lambicco della filantropia le più velenose dottrine clericali. Ma
tutti convengono nel riconoscerlo un prete pieno d'attività e che ha credito così presso i
Ministeri come in Vaticano. Don Bosco non ha mai voluto essere vescovo ma ha fatto
nominare parecchi vescovi ed è come si suol dire, una piccola potenza. Non è vero che sia stato
ammesso ad esporre le sue idee davanti al Consiglio di Stato riunito in seduta: però si è recato a
far visita separatamente a parecchi consiglieri di Stato affinché esaminassero le sue proposte. In
Vaticano da principio trovò le orecchie chiuse ad ogni progetto di componimento; ma don
Bosco adoperò un valido argomento, dicendo che i vescovi avrebbero rinunciato alla sede
vescovile se la S. Sede si ostinava a toglier loro i viveri. Insomma a forza di passi, di fervorini,
di trattative pare che Don Bosco abbia trovato il modo di salvar la capra e i cavoli. I titolari
delle sedi vescovili, invece di presentare al governo la Bolla, presenteranno una dichiarazione
della congregazione dei vescovi e il governo li riconoscerà. Così il papa non si compromette, il
governo riceve ad ogni modo un documento che può tener luogo della Bolla e i vescovi
finalmente escono dalle angustie. Soltanto un teologo come don Bosco può trovar simili
transazioni ». Fra un groviglio di elucubrazioni e di invenzioni, il servizio della Sentinella è
un'ulteriore prova dell'entratura di Don Bosco negli ambienti politici romani.
136 Un florilegio di tali giornali, facile da reperire, è pubblicato nei vari volumi delle MB.
Si veda L’INDICE alle voci « Giornali », « Libri », « Pubblicazioni ».

5.4 Page 44

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46
Francesco Motto
giudicatamente autorizzati a gettare zizzania per isterilire il terreno dove aveva sparso fatiche e
sudore, Don Bosco non l'aveva certamente messo nel conto.
Fatto si è che ad un certo punto delle trattative taluni ambienti reazionari ed ultramontani,
che accarezzavano la politica del « tanto peggio tanto meglio », sentirono la necessità di
accantonare ogni impazienza e cercarono di insabbiare quell'accomodamento che si profilava
all'orizzonte.
La Voce della Verità, il foglio cattolico di battaglia, retto da mons. Francesco Nardi, a soli
tre giorni di distanza dalla pubblicazione di una grande elogio della Storia d'Italia di Don
Bosco giunta alla 8a edizione (« un lavoro dei più sottili e dei più plausibili che si conoscono »)
prese violentemente posizione contro ogni tentativo di conciliazione e contro i « Conciliatori ».
Il nome di Don Bosco non era citato ma l'allusione a lui ed al suo operato era evidente: « Se
fosse vero quel che van dicendo certi fogli del Governo che persin alcun uomo di chiesa [...].
Noi non crediamo simili cose, perché troppo alta è la stima che abbiamo del nostro clero
italiano. Ammesso per assurdo che ci fosse, gli diremmo: amico, torna alla patria, qui perdi il
tuo tempo [...]. Tu hai capito, se poi non bastasse, guarda che parlerem più chiaro, ma non te lo
consigliamo ».137 Era una minaccia e presto l'avrebbero messa in atto, nonostante la decisa
replica i giorni seguenti da parte di vari giornali, che sia pure per finalità diverse, presero le
difese di Don Bosco.138
L'alzata di scudi de La Voce della Verità non fece indietreggiare Don Bosco, che
continuò nella sua spola fra i palazzi ministeriali e quelli vaticani. Il 2 febbraio fu ricevuto dal
Card. Antonelli. Uscì dal colloquio con la precisa indicazione che la vertenza delle temporalità
stava ormai per inserirsi in un gioco diplomatico internazionale. « Mentre discendevamo dalle
scale del Vaticano — è la cronaca di Don Berto che riferisce — Don Bosco mi disse: —
Adesso sai perché il nostro Governo non vuole accondiscendere nel dare l'Exequatur ai
Vescovi? Ecco, ricevette da Bismarck una nota, in cui si proibisce ogni aggiustamento ».139
137 Sorta nel 1871, La Voce della Verità era l'organo della « Società primaria romana per
gli interessi cattolici ». Animato da spirito di crociata, fu sempre fedele al programma iniziale:
propugnare i diritti sovrani della Chiesa e del Papa, illustrare le disposizioni papali, combattere
gli errori religiosi, morali, politici e sociali diffusi dalla stampa liberale. Ingaggiò furiose
polemiche con tutti i giornali, non esclusi quelli cattolici che non seguivano la stessa linea
politica. Difese ad oltranza il potere temporale, spesso con un linguaggio offensivo verso lo
Stato Italiano e i « buzzurri » o piemontesi assimilati a Goti e Vandali. Come tale non vide
evidentemente di buon occhio i tentativi « conciliatoristi » di Don Bosco in quei primi mesi del
1874.
138 L'Italie di Roma del 6 febbraio parlò di « véritable scandale »; La Gazzetta di Torino
dello stesso giorno scrisse di calunnia, virulenza di piazza, di preti che fra loro non si potevano
vedere ecc. Entrambi i giornali poi attribuivano l'impennata de La Voce della Verità ai Gesuiti.
139 ASC 110 Cronaca Berto q. 13 p. 45; mc. 909 A 12.

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La mediazione di don Bosco per gli exequatur ai vescovi
47
Dobbiamo prendere con il consueto pizzico di scetticismo la confidenza di
Don Bosco al suo segretario, confidenza ribadita da Don Bosco stesso, pochi
giorni dopo, a mons. Gastaldi: « fui chiamato in fretta [...] il fatto vero sta che il
giorno prima si era ricevuta una virolenta lettera di Bismarck protestando contro
ai Vescovi ». Nondimeno non si può assolutamente escludere che pressioni in tal
senso, sia pure con procedura ed in termini diversi da quelli trasmessi da Don
Bosco, fossero giunte in quei giorni al Ministero degli Esteri Italiani.
All'indomani della vittoria di Sedan, il Bismarck aveva impresso alla politica
religiosa dell'Impero tedesco la tendenza a regolare d'autorità ed unilateralmente
le questioni relative alla Chiesa Cattolica. Il Kulturkampf, iniziato dapprima sul
terreno scolastico, passò rapidamente su quello politico-parlamentare (con la lotta
al partito del « Centro » che rappresentava i Cattolici) per finire su quello
specificamente religioso. Rotte le relazioni diplomatiche col Vaticano a seguito
dell'allocuzione pontificia del 23 dicembre 1872 che deplorava vigorosamente la
politica ecclesiastica tedesca, pochi mesi dopo venivano approvate le cosiddette «
leggi di maggio » particolarmente ostili nei confronti della Chiesa Cattolica. Di
fronte al rifiuto dell'episcopato di sottoporre alle autorità civili le nomine
ecclesiastiche, il governo adottò misure repressive. Fra le vittime illustri mons.
Ledochowski, Arcivescovo di GnesenPosen incarcerato dal Governo il 3 febbraio
e creato Cardinale da Pio IX mentre ancora era in carcere. L'episcopato belga e
soprattutto quello francese avevano solidarizzato con quello tedesco al punto da
provocare veri e propri incidenti diplomatici, contribuendo così a spingere l'Italia
nelle braccia della Germania, nazioni unite già dal comune sentimento
anticlericale e dal timore che il Gabinetto conservatore, uscito dalle elezioni
francesi del maggio precedente, potesse compiere passi per la restituzione di
Roma al Papa.
Nel mese di gennaio l'irenico clima che regnava fra Germania ed Italia
soprattutto a seguito delle solennissime accoglienze tributate a Vittorio Emanuele
II in occasione della sua visita ufficiale a Berlino del settembre precedente, era
stato gravemente turbato dalle reazioni del Bismarck alla pubblicazione del
volume del generale Lamarmora « Un po' più di luce sugli eventi politici e
militari della guerra del 1866 ». Toccato sul vivo dalle « rivelazioni » del
Lamarmora, il Cancelliere aveva chiesto al Governo Italiano, prima in sede
'diplomatico-parlamentare e poi sui giornali governativi, una nota ufficiale di
biasimo per il generale. Non contento di essa, aveva fatto pressione perché una
legge appropriata venisse ad impedire in Italia pubblicazioni di documenti
ufficiali. Col congedo provvisorio del Lamarmora — congedo di due mesi
proposto e votato dal Parlamento in sostituzione dell'accettazione delle dimissioni
presentate dal generale — ed il progetto di un articolo da inserire nel codice
penale le autorità politiche italiane si erano inchinate al volere del « cancelliere di
ferro ».
Ma un altro incidente era venuto in quel mese di gennaio a far rincru-

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48
Francesco Motto
delire, anche se indirettamente, i rapporti fra Santa Sede ed il Governo Prussiano.
Sul finire del 1873 il Ministro degli Esteri Italiano, Visconti Venosta, con una
nota diplomatica a Londra, Parigi, Aia, Bruxelles, Berna, Monaco, Pietroburgo e
Lisbona aveva tranquillizzato i governi di colà a proposito della estrema libertà
che il Papa godeva in Roma nell'esercizio del suo ministero spirituale. In
riferimento alle voci che davano per certo o comunque prevedibile un influsso
esterno sul collegio cardinalizio in caso di conclave, aveva garantito l'ordine, la
tranquillità, l'assoluta astensione da ogni pressione sia dal basso che dall'alto.
L'orgasmo suscitato dalla circolare del Visconti Venosta, unito all'estrema
sensibilità della cancelleria tedesca all'attività diplomatica della Santa Sede,
giocarono un brutto scherzo alla già citata Gazzetta di Colonia, notoriamente
portavoce ufficioso del Governo di Berlino. Il 9 gennaio pubblicava quella che
chiamava la fedele versione del testo originale di una Bolla papale del 28 maggio
1873 relativa ad un futuro conclave e ad una nuova procedura nell'elezione del
Pontefice. Nonostante l'immediata smentita del giornale cattolico Germania e de
L'Osservatore Romano, la Gazzetta di Colonia ne diede successivamente anche il
testo latino e continuò in una difesa ad oltranza dell'autenticità della Bolla,
prescindendo orgogliosamente dalla nota ufficiale della Segreteria di Stato
vaticana che ne confermava invece il carattere apocrifico.140
C'erano dunque motivazioni serie, aggravate da una torbida atmosfera di
recriminazioni e reciproco sospetto, perché il Governo Imperiale operasse per
insabbiare la presunta conciliazione fra Stato e Chiesa in Italia di quel fine
gennaio 1874. Così come c'erano altrettanto comprensibili motivazioni per cui a
livello ufficiale il Gabinetto di Berlino smentisse qualsiasi ingerenza nelle
trattative italo-vaticane.141
140 L'allarmismo suscitato negli ambienti diplomatici da tutto ciò che si riferiva al
conclave, ritenuto ormai alle porte data l'età e l'incerta salute di Pio IX, è comprovato dai
dispacci delle varie nunziature vaticane. A Vienna, tanto per citare un caso, l'Imperatore
Francesco Giuseppe aveva voluto personalmente rendersi conto dell'esatto testo della nota del
Ministro Visconti Venosta circa la massima libertà che il Governo Italiano avrebbe concesso al
collegio cardinalizio riunito in conclave: ASV SdS 1874 r. 165 r. 3.
141 « Tanto meno si vorrebbe qui invocare i rigori del R. Governo contro i Vescovi
italiani. Il Governo Imperiale sa quale è la linea di condotta che il R. Governo ha creduto di
adottare, verso la Santa Sede e verso l'Episcopato, come la più acconcia alla posizione speciale
agl'interessi dell'Italia. Egli è lontanissimo dall'idea di voler esercitare in Italia la sua influenza
perché si modifichi una simile politica interna. E difatti, la supposizione che da Berlino fossero
ora partiti dei reclami all'E.V. non aveva ombra di fondamento ed era completamente falsa»: R.
MOSCATI, Le scritture del Ministero degli Affari Esteri del Regno d'Italia dal 1861 al 1887.
Roma, Tip. Riser. Min. Aff. Est. 1953, Reg. 1331: nota del 26 gennaio dell'Incaricato d'affari a
Berlino, Tosi. ed. in MINISTERO AFFARI ESTERI, I documenti diplomatici italiani. IIa serie
1870-1896, vol. V 1979, p. 255. Gli attacchi della stampa reazionaria ed ultramontana
sembrarono non arrendersi, anzi ebbero una recrudescenza, per cui anche la settimana successiva
il segretario di stato germanico « me réprtait en même temps de bien noter que on était loin de
vouloir s'immiscer dans les

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La mediazione di don Bosco per gli exequatur ai vescovi
49
Ma continuiamo nella circonstanziata cronaca dei movimenti di Don Bosco a Roma. La
domenica 8 febbraio accompagnato dal suo segretario e da una decina di persone, cui aveva
ottenuto speciale udienza papale, ebbe la possibilità di uno scambio di opinioni col Pontefice, il
quale colse l'occasione per ribadirgli la scarsa fiducia che nutriva nella sincerità del Governo
Italiano, visto che alle affermazioni di libertà della Chiesa seguivano ripetute e gravi offese
arrecate o permesse in città, non ultime l'abbattimento delle edicole della Via Crucis e della
grande croce del Colosseo nonché la carnascialesca gazzarra antipapale ed antireligiosa di quei
giorni.142
Fra coloro ai quali Don Bosco aveva ottenuto udienza papale c'era il cav. Carlo
Occelletti, suo grande amico e benefattore.143 Di lui in partenza per Torino si servì Don Bosco
per mettersi in contatto con mons. Gastaldi, onde evitare il rischio, non troppo remoto, che gli
venisse violato il segreto postale.
affaires intérieurs de l'Italie, de vouloir exiger que le G.I. vis-a-vis de l'Eglise changeait
l'attitude e les allures qui lui paraissaient les meilleures dans sa politique intérieure: R.
MOSCATI, Le scritture... Reg. 42: telegramma da Berlino dell'Incaricato d'affari, 1o febbraio
1874. Pure il presidente del Consiglio Minghetti dichiarerà alla Camera « ...nessuna nota è stata
mai fatta dalla Germania all'Italia: M. MINGHETTI, Discorsi Parlamentari, VI. Roma 1890, p.
562. E' forse qui il caso di ricordare che difficoltà per la nomina dei Vescovi
contemporaneamente sorgevano nella Spagna, dove alla preconizzazione papale di alcuni
titolari per sedi vacanti, il Governo di Castelar, avuto cognizione dei nominativi, aveva
anticipato dei propri «decreti di nomina» quasi a voler sottolineare un suo diritto di intervento
nella questione. Scontata la reazione vaticana al preteso diritto.
142 Sovente in Roma, soprattutto nel periodo carnevalesco, giornali, opuscoli, fotografie,
carri allegorici, rappresentazioni in teatri, scuole e piazze gettavano il ridicolo e l'oltraggio —
senza che le pubbliche autorità intervenissero adeguatamente per impedirlo — sul Papa, sul
clero e sulle stesse verità di fede. L'atterramento delle edicole della Via Crucis, del pulpito e
della croce venne deciso nel corso dei lavori di restauro e di restituzione del Colosseo allo stato
antico di monumento dell'età imperiale. Don Bosco, al dire del suo segretario, fece pressione
sul Vigliani perché si proibissero le rappresentazioni di stampo pagano al Colosseo progettate
dalla «Società di Pasquino»: ASC 110 Cronaca Berto q. 13 p. 37; mc. 909 A 2. Fra le persone
che Don Bosco accompagnò dal S. Padre l'8 aprile c'era pure la moglie del giudice Giacomo
Giuseppe Costa, segretario generale del Ministero di Grazia e Giustizia. La loro figlia, Ester
Costa, al Rettor Maggiore dei Salesiani Don Renato Ziggiotti il 14 aprile 1953 inviò questa
interessante testimonianza: «Nel lontano 1873-1876 nostro Padre [...] così scriveva ad una
vecchia cugina: — L'altro giorno venne a trovarci Don Bosco che mi fece molti complimenti e
mi disse che mi conosceva benissimo — e proseguiva: — io che faccio tante cose assassine
godo col Vigliani molta opinione in Vaticano e penso che se stessimo qui ancora un pezzo
finiremmo coll'andare a spasso a braccetto col card. Antonelli —. Pio IX non desiderava
incontrare membri del governo italiano; pure nostra Madre andò con tre zii e qualche
conoscente in udienza del Santo Padre. Direttore della comitiva era Don Bosco... »: ASC 031
Pio IX f. 3.
143 Nel marzo 1873 Don Bosco gli aveva ottenuto un cavalierato vaticano, avendolo
presentato come zelante promotore della società di S. Vincenzo de' Paoli a Torino, assistente
dei poveri della Parrocchia di S. Pietro e Paolo, fondatore e sostenitore di un oratorio festivo
per circa 700 fanciulli, insigne benefattore, con la sua famiglia, dell'Oratorio di S. Francesco di
Sales a Valdocco: ASV SdS 1873 r. 220 (inedito).

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50
Francesco Motto
L'Arcivescovo di Torino, rispondendo il 3 febbraio alla accorata sua lettera
del 24 gennaio, aveva cercato di giustificarsi della relativa pubblicità che aveva
dato alla propria domanda di exequatur, inoltrata al Procuratore anziché al
Ministro.144 Don Bosco lo tranquillizzò informandolo che se l'inopportuna
pubblicità data all'avvenimento, la minaccia di interpellanze parlamentari ed il
can can giornalistico avevano dato un duro colpo alle speranze di accordo, « tutto
ciò era un pallio per coprire la realtà », che invece era una « virolenta lettera » del
cancelliere tedesco « contro alle voci di conciliazione e specialmente contro ai
Vescovi ».145 « La pratica non è rotta — gli comunicò Don Bosco — ma è
sospesa. Prima che termini la settimana spero di poterle scrivere altro ».
Si poteva certo chiedere il silenzio più assoluto all'Arcivescovo di Torino,
invitandolo anche a « fare a pezzi » la lettera da Roma. Don Bosco, il Card.
Antonelli ed il Ministro Vigliani potevano imporsi lo stesso massimo riserbo, ma
non era possibile imbrigliare il chiasso della stampa nazionale ed internazionale.
Insensibile ai feroci attacchi che gli erano pervenuti da ogni parte, La Voce della
Verità, mentre continuava a propagandare le opere della tipografia di Valdocco
non trascurando di dare ai suoi lettori la notizia che Don Bosco era stato insignito
dell'onore di membro dell'Arcadia, ritornò alla carica attuando la preannunciata
minaccia: « Decisamente questa Conciliazione stava fitta nella mente e nei cuori
dei nostri padroni. Ecco la Gazzetta Universale sciorinarci un articolo che
comincia con Don Bosco chiamandolo l'Apostolo della Conciliazione (Apostel
der Versohnung) e finisce coll'assicurarci che purtroppo col S. Padre e col Card,
non c'è niente da sperare ». E apoditticamente concludeva: « i presenti capi della
Curia, né i futuri MAI IN NESSUN TEMPO, IN NESSUN MODO, A NESSUN PATTO
RINUNZIERANNO AL LORO DOVERE E AL LORO ONORE ». A La Voce della Verità fece eco
immediato con una corrispondenza da Roma del 10 febbraio L'Osservatore
Cattolico di Milano: « La Santa Sede non ha cambiato la sua linea di condotta, e
gli sforzi fatti dal governo per rimuoverla non approdarono a nulla. I Vescovi
Italiani sapranno rimanere fedeli al loro dovere; e se fosse altrimenti, ne
morremmo di dolore».
Si può immaginare il polverone suscitati da simili violenti offensive, sferrate
da chi, nella mente di Don Bosco, avrebbe invece dovuto appoggiare i suoi sforzi.
Lo abbiamo già sottolineato: si dovevano fare i conti con l'inattesa ed ostinata
resistenza di certi ambienti curiali, unicamente interessati ad un'opera di
destabilizzazione, ai quali qualsiasi tentativo di accordo anche parziale coi «
frammassoni » aveva tutto il sapore di cedimento. Anelevano ad una unica
conciliazione: quella di ritiro unilaterale dello Stato Italiano da Roma.
144 ASC 123 Gastaldi; mc. 652 C 3/4; ed. in parte in MB X 1203; cf. appendice
documentaria n. 22.
145 ASC 131.01 Gastaldi; mc. 24 A 11/12; lettera non datata, ma scritta verosimilmente i
primi giorni di febbraio; cf. appendice documentaria n. 23.

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La mediazione di don Bosco per gli exequatur ai vescovi
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All'aperta provocazione di mons. Nardi reagirono un po' tutti i giornali in
Italia ed all'estero, ciascuno cercando di ricostruire il ruolo di Don Bosco nella
vicenda, sulla base delle scarne indicazioni che filtravano dalle parti interessati.
Ricordiamo alcune delle molte testate che dedicarono spazio alla vicenda: il
Journal de Florence, l'Emporio Popolare, l’Augsburger Allgemeine Zeitung, il
Popolo Romano, La Gazzetta del Popolo, L'Unità Cattolica, Il Diritto, La
Riforma, ecc.146
Anche Don Bosco non seppe trattenersi dal dar libero sfogo ai suoi
sentimenti contro chi con un semplice tratto di penna gli aveva alienato un terreno
conteso palmo a palmo in una estenuante trattativa fra le parti. Ne parlò al suo
segretario, che inviava a mons. Nardi il seguente accorato messaggio: « Se V.S.
sapesse mai il male grande arrecato coll'articolo da Lei formulato nel giornale de
La Voce della Verità (1 Febbrajo 1874 N. 26) non l'avrebbe certamente scritto.
Quello che è fatto pazienza, vi ponga rimedio per quanto è ancora possibile; ma
per l'avvenire guardi di pensare e pesare meglio le parole e ciò che scrive ». —
Un amico associato al detto Giornale ».147 Poche parole, che non riescono però a
nascondere la fortissima eccitazione di cui era preda il cuore dello scrivente.
Ad aggiungere legna al fuoco delle polemiche La Nazione di Firenze l'8
gennaio aveva dato notizia che mons. Balma aveva ricevuto l’exequatur. La voce,
confermata dal Procuratore Bartoli, risuonò in Parlamento, dove il deputato
Miceli avanzò al riguardo un'interpellanza. Ne rimase stupito e disgustato il Card.
Antonelli. Mentre era stato ragguagliato nel dicembre 1873 della esposizione del
transumptum della Bolla ad populum nella sacrestia della cattedrale di Cagliari —
e dell'invio di una copia dello stesso al Governo da parte del sindaco, marchese
Roberti — l'Arcivescovo gli aveva taciuto della sorte delle altre due Bolle.148
In riva al Tevere Don Bosco non aveva di mira solo gli interessi della Chiesa
Italiana; si preoccupava anche della sua Società: contattava persone ed autorità
che avrebbero potuto aiutarlo nel farne approvare le Costituzioni; ricercava la
possibilità di aprire case a Roma o altrove;149 avvicinava esponenti della
146 Ci fu anche chi pensò bene di liquidare l'intera faccenda con un lapidario: «Di serio
veramente non c'è nulla». Così il Don Pirloncino, periodico umoristico, dal nome che è un
programma, solitamente disponibile alla facile satira del clero. Fra le lepidezze di quei giorni
eccone una riportata da II Popolo Romano del 10 febbraio: « Il S. Padre disse ridendo di Don
Bosco: «Ecco questa selva selvaggia ed aspra e forte. Da Dante in poi, come da Dante in su pei
tempi che il precederono tutti i boschi non hanno dato che fiere, ed andirivieni pericolosi ».
147 ASC 110 Cronaca Berto q. 13 p. 55 mc. 909 B 12.
148 ASV SdS 1874 r. 283 f. 1.
149 Frequenti i rapporti col personale della Congregazione di Propaganda Fide in vista
dell'apertura missionaria della Società salesiana, che avrebbe avuto luogo l'anno seguente con
la prima spedizione. Inutile sottolineare che anche l'approvazione delle Costi-

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Francesco Motto
gerarchia ecclesiastica e dell'aristocrazia romana. I suoi spostamenti erano seguiti, per cui
quando si allontanò da Roma per recarsi nella vicina Ceccano, non mancarono « reporters » che
lo dissero rientrato a Torino, ricamando mille congetture sulle motivazioni di tale partenza,
salvo poi smentire tutto il giorno appresso.150
L'11 febbraio era stato ricevuto dal Vigliani; il 1o marzo si vide col Card. Antonelli, il 3
marzo fu ancora dal Vigliani ed il 4 dal Papa. Oggetto delle conversazioni furono sempre le
trattative in corso, gli attacchi spesso micidiali della stampa ostile di sinistra o ultramontana, le
pessime notizie provenienti dalla guerra civile di Spagna, la vicenda della Chiesa del S. Sudario
in Roma,151 ecc.
Sul fronte delle trattative nel mese di marzo la situazione sembrava stazionaria, per non
dire immobile, date le titubanze delle parti in causa di fronte agli attacchi concentrici degli
oppositori, resi più baldanziosi dall'amplificazione della loro voce effettuata dagli organi di
stampa. In questa situazione di stallo mons. Fissore, Vescovo di Vercelli, interpellò Don Bosco
circa il modo di procedere. A lui ed allo stesso mons. Gastaldi, cui già aveva assicurato di
inviare una risposta, non poté che suggerire di seguire la procedura, già andata a buon fine, dei
Vescovi di Susa e di Aosta.152
tuzioni salesiane divenne oggetto di facili speculazioni politiche sui giornali di quei giorni. Così
ad esempio scriverà La Capitale nella rubrica «Recentissime» del 10 aprile: «Mentre il governo
italiano sopprime le corporazioni religiose, "in ombre" il papa ne crea di nuove. Don Bosco
fece la sua visita di congedo a Pio IX, ripartendo presto per Torino, con la soddisfazione di
vedersi approvato dalla Congregazione il nuovo ordine monastico ch'esso aveva proposto. Pio
IX si dichiarerà il fondatore, così il governo italiano si troverà lietissimo di veder rispettare le
sue leggi ». Non stupisca il livore antireligioso de La Capitale. L'anno precedente in risposta a
La Voce della Verità che aveva definito Garibaldi « povero maniaco » aveva colto l'occasione
per attribuire all'« eroe dei due mondi » il titolo di « Cristo dei nostri giorni » (La Capitale, 9
marzo 1873).
150 Così la Gazzetta del Popolo di' Firenze, la Gazzetta Piemontese, La Sentinella delle
Alpi di Cuneo.
151 Don Bosco, che nel 1869 aveva inutilmente avanzato al Ministro degli Esteri
Menabrea la richiesta di cooperare all'opera di restauro della chiesa del S. Sudario già affidata
alla legazione sarda residente in Roma, nel corso della sua permanenza a Roma nel 1874 aveva
compiuto ulteriori passi presso le autorità vaticane e quelle governative italiane per vedersi
affidata la gestione della Chiesa. Gli fece da tramite presso la casa reale, il comm. Giovanni
Visone, più volte citato dalla Cronaca di Berto: q. 13 pp. 22, 25, 31, 42, 44, 47, 51. Non se ne
fece nulla, nonostante l'accordo del Re e del Vigliani.
152 ASC 131.21 Fissore: fotocopia di lettera del 9 marzo. ASC 131.01 Gastaldi; mc. 24 B
1/2: lettera del 14 marzo 1874; si vedano in appendice documentaria nn. 24, 25. Il 3 febbraio
Gastaldi aveva scritto a Don Bosco che era ancora in attesa di risposta da parte del Ministero.
La risposta gli pervenne verso la metà mese tramite il nuovo Procuratore generale di Torino,
comm. Armissoglio. Gli si chiedevano due cose: anzitutto l'invio di copia autentica delle bolle
ad populum e ad Clerum; poi l'espressa manifestazione della sua volontà di essere riconosciuto
dal Governo. In evidente imbarazzo dopo quanto era successo in gennaio, dovette chiedere
consiglio a Roma, ed a Don Bosco in particolare.

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La mediazione di don Bosco per gli exequatur ai vescovi
53
« Un giorno Don Bosco — è Don Berto che scrive, e non poté venirne messo
al corrente che dal santo torinese — secondo il solito si reca dal Ministro, e lo
vede tutto sconcertato. — Vedete, egli dice a Don Bosco, navighiamo in brutte
acque. Voi avete insistito di concedere le temporalità all'Arcivescovo di Torino,
ed egli imprudentíssimo ne scrisse ad alcuni dignitari, la cosa si pubblicò
dappertutto, si sa l'accaduto anche fuori di Stato e Bismarck mi scrive che si
meraviglia, come colle iniziative così bene avviate seco lui per unire Italia e
Prussia in uno stesso interesse, ora si facciano tali concessioni. Io mi trovo nei
pasticci [...]. Finalmente parve si potesse venire ad una conclusione. Don Bosco si
trovava nelle sale attigue all'aula del parlamento aspettando l'ultima risposta del
Ministro Vigliani [...] ecco un usciere entrare e chiamare il Ministro. Era giunto il
segretario dell'Ambasciatore Prussiano con un lungo dispaccio urgentissimo. E il
ministro, poco dopo, diceva a Don Bosco e agli altri: « — Signori, le pratiche per
le temporalità sono a monte! Bismark ha telegrafato in proposito: ecco il
dispaccio: non si vuole nessuna tregua nella guerra al Papa. Nel telegramma
Bismarck maravigliavasi che il governo venisse a trattative con un prete, mentre
egli si sforzava di sostener vigorosamente l'Italia: diceva l'imperatore suo sovrano
essere altamente sdegnato; finiva con minacce, se si fossero proseguiti i tentativi
di conciliazione. — Cosa fare? concluse Vigliani: la Prussia ha nelle sue mani le
nostre sorti ».153
Come abbiamo sopra già riferito a proposito del dialogo avvenuto nella sede
della Segreteria di Stato fra Don Bosco ed il Card. Antonelli, anche per questo
resoconto che pare aver l'aria di essere esatto e fedele in ogni particolare, è
legittimo supporlo nutrito di una certa dose di approssimazione e di invenzione.
E' ammissibile in un Ministro del rango di un Vigliani, esperto nell'arte
diplomatica ed aduso ad inoltrarsi sicuro nei meandri della giurisprudenza, un
discorso spregiudicato e sconsiderato quale quello che Don Bosco gli attribuisce?
E' possibile che un politico consumato come il Bismarck inoltri dispacci ufficiali
sprezzanti e facinorosi come quello qui sintetizzato dal Vigliani? Ed ancora: se
fino allora dai vari partecipanti alle trattative si era concordata una linea di
condotta improntata al massimo riserbo, perché il Vigliani l'avrebbe rotta di
fronte a vari deputati, non esclusi alcuni dell'opposizione, come ebbe a dire Don
Bosco?
Simili ragioni di opportunità e di finezza diplomatica, mentre depongono a
sfavore dell'esattezza « sic et simpliciter » del vivace racconto di Don Bosco,
nulla tolgono alla verità sostanziale del fatto, vale a dire all'esistenza di pressioni
tedesche sul Governo Italiano. In quei momenti in Germania la lotta religiosa era
dominante su molti altri interessi ed era ritenuta la più urgente.154
153 MB X 548-550.
154 Ne danno notevoli testimonianze i dispacci dell'Incaricato d'affari a Berlino del 22
febbraio, 28 febbraio, 3 marzo, 2 aprile 1874: MINISTERO AFFARI ESTERI, I documenti
diplomatici... V passim. Così il 2 aprile: «Le but que se propose le Cabinet de Berlin,

6.2 Page 52

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54
Francesco Motto
A Roma il Papa, che il 1o marzo aveva già levato la sua voce contro la politica
anticattolica del « cancelliere di ferro » il 15 successivo ne aveva stigmatizzato la
sua esportazione all'estero: «Ora [...] non potete ignorare [...] la guerra che si fa
alla Chiesa Cattolica; e un gran personaggio protestante, che anela appunto alla
distruzione della Chiesa, lo ha dichiarato apertamente: e, non contento di
perseguitarla egli coi suoi satelliti, eccita dal di là delle Alpi quei governi che
sono cattolici, e che lo hanno preceduto nel vergognoso arringo della oppressione
religiosa, eccita dico a proseguire con più veemenza nella persecuzione; e questi
governi aderiscono ».155 Come altre volte, siamo pertanto qui indotti a credere che
Don Bosco, nel mettere a punto gli accadimenti succedutosi nei Gabinetti
ministeriali ed in altri uffici, sia ricorso all'espediente letterario della
drammatizzazione e della semplificazione. Il che non significa che siamo di fronte
ad una storia legata al carro della faziosità o della ideologizzazione. I « post
scenia » giocano tutti a suo favore.
Altrettanto non si può dire invece dei notiziari e resoconto giornalistici
provocati dalla ricostruzione che della missione di Don Bosco aveva fatto La
Nazione di Firenze del 9 aprile.156 Sembrò che il foglio fiorentino, considerato
portavoce ufficioso del Governo, fosse entrato in un campo minato. Ciascun
corrispondente da Roma si sentì autorizzato a dare la propria versione dei fatti,
aggredendo l'una e giustificando l'altra delle parti in causa a seconda del proprio
colore.157 Ci fu chi lo fece in punta di fioretto, chi con stilemi inquietanti, chi con
le caricature più irriguardose, chi con satira mordace al limite della spudoratezza.
A credere alle bizzarrie con cui ciascun foglio di stampa diede ai suoi lettori
notizia dei passi compiuti da Don Bosco fra il suo alloggio in via Sistina ed i
palazzi vaticani o ministeriali, affogheremmo in un « mare magnum » di falsità,
pseudo verità, congetture e accadimenti reali. Quel che è certo per tutti è che Don
Bosco, grazie ai suoi contatti costantemente mantenuti all'insegna della cordialità,
riuscì ad un certo punto a penetrare nelle rigide maglie del reciproco non
possumus vaticano e del Gabinetto Minghetti
est d'étendre à l'Eglise catholique l'action de l'administration, qui est in Russe la forme du
libéralisme. C'est la domination de l'un des Pouvoir sur son rival, par l'immixtion de l'autorité
civile dans l'organisation du clergé, dans l'enseignement des seminaires, dans l'investiture des
prêtres e des évêques ».
155 II discorso del Io marzo era rivolto a circa 400 donne del « Circolo del Sacro Cuore di
Maria» (Osservatore Romano dell'8 marzo 1874); invece quello del 15 marzo alle donne del «
Circolo S. Giulia » (Osservatore Romano del 19 marzo 1874).
156 Vedi appendice documentaria n. 26.
157 Rimandiamo all'ampia panoramica offerta al riguardo dalle MB X 551-564, ma
moltissimi altri organi di stampa trattarono della questione. Di particolare rilievo un
lunghissimo articolo de La Riforma, voce della Sinistra, e de L'Osservatore Romano.
Quest'ultimo ebbe il coraggio di smentire il 4 aprile qualsivoglia intento di conciliazione da
parte della S. Sede. Il che sembra un po' eccessivo, dopo quanto siamo venuti presentando in
queste pagine. A meno che un accordo sul problema degli exequatur non si ritenesse affatto da
parte vaticana un concreto passo verso la conciliazione.

6.3 Page 53

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La mediazione di don Bosco per gli exequatur ai vescovi
55
ed a far loro balenare un'accoglibile ipotesi di soluzione dell'annosa controversia.
8. Trattative fallite. Qualche altro intervento da Torino
Ma per troppo tempo si era seminato (e si continuava a seminare) vento: non si poté che
raccogliere tempesta. Nonostante qualche parziale successo, come una maggior liberalizzazione
nella concessione del placet governativo per le provvisioni minori, il bilancio di tre mesi di
colloqui fu sostanzialmente negativo.
Alla metà di aprile Don Bosco tornò a Torino. Portava con sé, raggiante, l'approvazione
definitiva delle Costituzioni della società salesiana, ma il cuore sanguinava per l'infelice esito
delle trattative degli exequatur. Fu udito esclamare: « Ho faticato e sofferto tanto che non mi
accingerò mai più a simili lavori! Mi ritirerò a lavorare per i miei giovani, e non penserò ad
altro ».158 Non sarebbe stato di parola.
A Torino non lo attendevano solo i collaboratori salesiani ed i suoi giovani: c'era pure
mons. Gastaldi. Da Roma il 13 aprile Don Bosco gli aveva comunicato che le Costituzioni
della Società di S. Francesco di Sales erano state definitivamente approvate e che pertanto
sperava di poter essere a Torino prima della fine della settimana. Aveva aggiunto: «spero di
[...] poterla ossequiare di persona e di parlarle d'altro ».159
Questo « altro », ovverossia la questione delle sue temporalità, era ciò che stava più a
cuore all'Arcivescovo, non certamente la notizia dell'approvazione definitiva delle regole
salesiane, sulle quali aveva avanzato richieste di sostanziali modifiche e che a lungo ritenne,
contro il dato di fatto, non definitive.160
Don Bosco fu da lui appena possibile: il 18 aprile, registra Don Berto, il quale aggiunge
che l'Arcivescovo « non entrò a parlare degli affari della Congregazione ».161 C'è da credergli:
il suo interesse verteva soprattutto sulle laboriosissime trattative romane che ad un certo punto
avevano assunto toni incandescenti anche per il suo improvvido comportamento.
Esito del colloquio fu che immediatamente mons. Gastaldi stilò la richiesta di
riconoscimento civile della sua nomina « in una forma chiara, esplicita e
158 MB X 551.
159 ASC 131.01 Gastaldi; mc. 24 B 1/2.
160 Cf. MB X 808. Mons. Gastaldi continuerà a lungo nell'osteggiare la congregazione
salesiana, soprattutto in ciò riguardava l'ammissione dei chierici agli ordini. Eppure Don Bosco
aveva ottenuto da Roma il rescritto che gli concedeva la facoltà di rilasciare le dimissorie per
un decennio.
161 ASC 110 Cronaca Berto q. 13 p. 111; mc. 910 B. 9.

6.4 Page 54

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56
Francesco Motto
rispettosa » e la inoltrò al Procuratore. Questi che nel frattempo aveva ricevuto
per mano del missionario apostolico Pietro Ponte copia autentica delle Bolle ad
Capitulum e ad Clerum, il 26 aprile spediva tutto l'incartamento al Vigliani. La
pratica aveva così tutti i requisiti ritenuti necessari dalla legislazione in vigore.
Dal Vigliani pervenne al Consiglio di Stato, indi alle mani di Re Vittorio
Emanuele II che il 15 maggio 1874 firmò il relativo decreto.162 Al Card. Antonelli
ne diede notizia lo stesso mons. Gastaldi, che approfittò dell'occasione per
esternargli il suo vivo dispiacere per essere stato, sia pure involontariamente,
causa di sofferenza per il Pontefice.163
Risaputasi la cosa, decine di Vescovi chiesero istruzioni sul da farsi alla
Segreteria di Stato. Ne sorti una circolare non datata. Vi si confermava che si
tollerava l'esposizione in sacrestia delle Bolle ad clerum e ad populum, che il
clero non avrebbe dovuto interferire nel trarne copia da inviare alle autorità civili
e che i singoli Vescovi dovevano utilizzare un particolare modulo di richiesta
dell'exequatur.164
Era indubbiamente un cedimento, sia pur parziale, della Santa Sede. Si
sarebbe dovuto attendere una pioggia di exequatur. Ed invece ragioni di
opportunità politica fecero sì che dal giugno il Governo fosse più rigido e
concedesse riconoscimenti di nomine pontificie in minor numero rispetto a quelli
concessi precedentemente.165 Ogni atteggiamento del Vescovo, ogni suo reale o
presunto intervento poco liberale, filotemporalis ta, venne ritenuto motivo
sufficiente per negargli le temporalità.
Ecco allora Don Bosco, interpellato da varie parti, cercare di porre
nuovamente la palese simpatia che godeva presso i politici del regno per far
librare le ragioni a favore della concessione degli exequatur. Così, ad esempio,
per il Vescovo di Parma, mons. Domenico Villa, per quello di Vigevano e per
altri, da lui conosciuti personalmente od anche da lui personalmente proposti per
le sedi vacanti.166
Il 20 dicembre 1874 mons. Tortone comunicò a Roma la lunga lista dei
Vescovi degli ex stati sardi che avevano ricevuto l’exequatur: mons. Gastaldi di
Torino, mons. Sciandra di Acqui, mons. Salvay di Alessandria, mons. Gajo di
Bobbio, mons. Magnasco di Genova, mons. Siboni di Albenga, mons. Due di
Aosta, mons. Manacorda di Fossano, mons. Vassarotti di Pinerolo, mons.
Buglione di Monale per Saluzzo, mons. Mascaretti di Susa, mons. Balma di Cagliari,
mons. Zunnui di Ales e Terralba, mons. Soggiu di Oristano, mons. Demartis
162 ASC M I... b. 129 f. 318. l63 ASV SdS 1874 r. 283 f. 4.
164 Ed. in M. BELARDINELLI, II conflitto... p. 114.
165 Lo affermò lo stesso presidente del Consiglio, Minghetti, in sede parlamentare nel
maggio 1875: M. MINGHETTI, Discorsi Parlamentari, VI. Roma, 1890.
166 ASC 126.2 Vigliani; mc. 1589 E 9; vedi appendice documentaria n. 27.

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La mediazione di don Bosco per gli exequatur ai vescovi
57
di Galtelli-Nuoro, mons. Corrias di Bisarcio.167
Ci sarà stato forse un trattamento di particolare benevolenza per le sedi del
Piemonte, della Liguria e della Sardegna: ma non è presunzione vedere talvolta
dietro le quinte di alcune di quelle pratiche il coraggio non meno che l'abilità di
Don Bosco. Sia chiaro: riscontri documentabili rimangono ancora sotto la polvere
di inesplorati archivi, ma già la succitata lettera autografa del Vigliani,168
splendida testimonianza della considerazione in cui Don Bosco era tenuto da uno
dei non secondari attori delle vicende unitarie italiane, basta per sintonizzarci su
tale lunghezza d'onda.
Conclusione
La pesante eredità che ciascuna delle due parti in causa non intendeva
scuotersi di dosso farà si che la battaglia per gli exequatur si trascinerà ancora a
lungo, fra oscillazioni, « ouvertures », nuove lacerazioni, resistenze, combinazioni
talvolta paradossali. Altri « summits », altri negoziati, altre piattaforme d'intesa
seguiranno nelle ore di maggiore effervescenza politico-religiosa, come quella
della salita al potere della Sinistra, della sostituzione del Vigliani col ben più
radicale Mancini, e del Card. Antonelli col più moderato Simeoni. Ad un'ulteriore
disponibilità della Santa Sede a tollerare che i Vescovi potessero presentare le
Bolle della loro nomina affinché fosse concesso il regio exequatur (novembre
1876) faranno riscontro vari anni dopo i progetti Crispi-Zanardelli sulla sua
revocabilità.169
Ma la ricostruzione storica della lunga stagione del conflitto, costellata di
tentativi per scioglierne l'intricatissimo nodo, non potrà passare sotto silenzio il
generoso sforzo di Don Bosco, che le presenti pagine hanno cercato di illustrare e
che i documenti che qui pubblichiamo fanno toccare con mano. Nonostante le
inevitabili carenze che tutt'ora segnano il « corpo a corpo » di Don Bosco con le
autorità vaticane e quelle italiane, i complessi elementi della sua mediazione sono
ormai acquisiti. Con la sua tenace azione per la concessione delle temporalità ai
Vescovi, Don Bosco si è profondamente innervato nella realtà della Chiesa e
dello Stato Italiano, anche se la machiavellica politica dell'epoca, le illecebre di
un passato mai obliterato, i clamori degli « ultras » di sinistra e di destra, non gli
permisero di portare a termine quella già avviata quadratura del cerchio che era
un'intesa, anche parziale, fra il traballante Stato Unitario Italiano e l'ormai priva di
potere contrattuale Santa Sede.
167 ASV SdS 1875 r. 257.
168 Cf. nota 166.
169 Si veda M. BELARDINELLI, Il conflitto... pp. 61-86.

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58
Francesco Motto
APPENDICE DOCUMENTARIA
N. 1 DON BOSCO AL MINISTRO LANZA: 11 febbraio 1872
Arch. Reg. Dep. Sub. St. Pat. Torino (ed. vedi nota 36)
Varazze, 11 febbraio 1872
Eccellenza
pria di ora avrei dovuto dare schiarimenti intorno alla temporalità dei vescovi ultimamente
preconizzati; ma una malattia me lo ha finora impedito. Ora la prego a volermi tollerare un
momento in questo scritto.
Quando io aveva l'onore di parlare alla E. V. il nove passato settembre, parmi che siavi
stato pieno accordo che il Governo lasciava libera scelta dei vescovi al Papa, né il Governo
avrebbe opposta difficoltà pel conseguimento della temporalità. Ciò comunicai al S. Padre e
quando da parte del medesimo due giorni dopo esprimeva i ringraziamenti con altri pensieri
della stessa S. S. la Eccellenza Vostra compi acevasi di confermare le medesime cose.
Ora mi si domanda ed io dovrei rispondere se le cose furono veramente espresse in questo
senso, e se qualche ragione abbia dato motivo a modificazione. Se la E. V. nella sua nota bontà
giudicasse farmi dire una parola da comunicare, toglierebbe da me un grave imbarazzo, e le
intenzioni del Governo sarebbero nel suo vero senso conosciute.
Credo bene qui di significarle come le nomine dei vescovi testé proclamate tornarono ai
buoni di gradimento universale, ed alle popolazioni di soddisfazione che andò all'entusiasmo.
Da tutte le parti si facevano al Governo encomi i più lusinghieri per la libertà lasciata al
Pontefice ed ai Vescovi nello esercizio del loro ministero. Ma quando si rividero i vescovi
obbligati ad andare gli uni nei seminari diocesani, gli altri a casa propria, o in pensione, o a
pigione, non è a dire quanto siasi cambiato il giudizio e l'opinione pubblica.
Io sono persuaso che le E. V. avesse occasione di ascoltare le cose dette che ogni giorno si
vanno vieppiù dicendo a questo riguardo, io sono persuaso che Ella prenderebbe misura
efficace, affinché ogni difficoltà venga appianata; e sembra potersi appianare senza scapito
delle parti interessate.
Io scrivo con confidenza, e l'assicuro che, mentre mi professo sacerdote cattolico ed
affezionato al capo della cattolica religione, mi sono pur sempre mostrato affezionatissimo al
Governo per i sudditi del quale ho costantemente dedicate le deboli mie sostanze e le forze e la
vita.
Se Ella crede che lo possa servire in qualche cosa vantaggiosa al Governo ed alla religione
non ha che accennarmene il modo. Conceda Iddio ogni bene all'E. V. e mi voglia colla più
profonda gratitudine
Della E. V.
Obbl.mo servitore
G. Bosco
P.S. - Dopo il giorno 13 del corrente sarò a Torino.

6.7 Page 57

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La mediazione di don Bosco per gli exequatur ai vescovi
59
N. 2 MEMORANDUM PER IL MINISTRO LANZA
Arch. Reg. Dep. St. Pat. - Torino (ed. vedi nota 36)
Pensieri di un Sacerdote piemontese sulla questione vigente fra il Ministero dei Culti ed
i nuovi Vescovi eletti da Sua Beatitudine nel 1871.
Potrebbesi osservare:
1. Che nel 1867 i nuovi Vescovi non furono obbligati a presentare le loro bolle al R.
Exequatur, sebbene in quel tempo vigesse la formalità del R. Exequatur in tutta la sua
estensione, anche giusta gli antichi Concordati colla Real Casa di Savoia, e con tutti i Governi
antichi d'Italia, essendosi contentato il R. Governo di conoscere prima le Persone che venivano
nominate ai Vescovati da Sua Santità. Né, giusta le leggi di quell'epoca, poteasi affacciare la
dispensa ragionata, dal lato dei convegni prima presi col signor commendatore Tonello,
deputato dal R. Governo alle trattative, giacché anche sotto il regime dei Governi precedenti e
dell'Augusto Re Carlo Alberto, quantunque presentati i Candidati ai Vescovati dal Re, e
confermati dal Papa, pure le Bolle Pontificie si presentavano al R. Exequatur, che concedevasi
con grande solennità dal Senato, e chiamavasi il Magnum Exequatur.
2. Che in oggi a seguito della Legge 13 maggio 1871 sulle Guarentigie Pontificali
essendo ristretto il R. Exequatur alla pura concessione delle temporalità, quando consti al R.
Governo di fatto che Tizio fu nominato Vescovo dal S. Padre, sembra inutile la presentazione
delle rispettive Bolle, giacché cessano gli antichi motivi per cui i Governi le volevano vedere,
come provvidenze, a detta dei loro canonisti, emanate da un principe estero. Ora tale non
dovrebbesi più considerare, né la Chiesa, né il suo Capo, la cui autorità è proclamata libera ed
indipendente nel Regno d'Italia nell'esercizio del suo Ministero secondo la legge 13 maggio p.
p.; anzi gli Atti concistoriali dovrebbonsi considerare come atti pubblici uffiziali, senza essere
sottoposti ad altra confermazione.
3. Ciononostante i Vescovi giusta le istruzioni Pontificie, avendo notificato la loro
nomina, e pacifico possesso preso nelle rispettive loro sedi dietro presentazione delle loro Bolle
ai Capitoli, sembra che ciò basterebbe per ottenere le temporalità senza obbligarli a presentare
altro titolo di nomina che non saprebbero rinvenire.
Inoltre la presentazione delle Bolle per le temporalità non cambia punto la giurisdizione
ottenuta in forza delle medesime, che liberamente può esercitarsi a termine degli articoli 15 e
16 della predetta legge, e frustranee sarebbero queste disposizioni se gl'investiti non avessero a
godere della Dote che forma i Benefizi vescovili, pel noto principio antichissimo in
giurisprudenza « Beneficium propter officium ».
4. Il voler la presentazione delle Bolle prima che un Vescovo possa conseguire la
temporalità renderebbe pressoché inutile la preconizzazione del medesimo; perciocché Esso
nella Società civile sarebbe nella condizione di vero mendicante. Gli stessi Cardinali, gli stessi
Pontefici, dopo la loro elezione non potrebbero prendere possesso, né del Vaticano, né di altro
edifizio che appartenesse alla mensa Pontificia o Cardinalizia, senza prima presentare i titoli
della loro proclamazione, che è quanto dire senza che la loro elezione venga prima confermata
dal Governo.

6.8 Page 58

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60
Francesco Motto
5. Sarebbe inoltre desiderabile, che il R. Governo provvedesse coi fondi dei R.
Economati che godettero le rendite delle diverse Mense Vescovili, a far mobiliare i rispettivi
Episcopii in modo decoroso e stabile, come già si pratica per gli appartamenti destinati ai
pubblici uffizii delle Prefetture e Sottoprefetture; imperciocché vedesi a malincuore dai popoli
la piena evacuazione della mobilia dei medesimi all'evenienza di vacanze di sedi.
Questa disposizione sarebbe anche conveniente al dì d'oggi, che, per effetto delle vigenti
leggi finanziarie, debbono i Beneficiati pagare in continuazione la tassa di manomorta, e quelle
del trapasso di successione, che in addietro non esistevano.
N. 3 DON BOSCO AL PAPA PIO IX: 8 aprile 1872
ASV Ep. Lai., Pos. et Min. 79
Oratorio di S. Francesco di Sales - Torino
8 aprile 1872
Beatissimo Padre
Per mano di Monsig. Fissore arcivescovo di Vercelli posso rimettere nelle mani di vostra
Santità uno scritto con sicurezza.
Con grande consolazione posso dirle, Beatissimo P., che i novelli vescovi furono accolti
col massimo trasporto di venerazione da ogni classe di cittadini; ma quello che torna certamente
di conforto a V.S. si è lo zelo grande che si palesa ne' pastori e l'ansietà e la sommessione che
loro è costantemente prestata. Calcolando la sola città di Torino possiamo dire che i principii di
ordine e di religione hanno fatto uno straordinario progresso.
L'affare della temporalità è quello che cagiona tuttora non leggero incaglio. Appena il
Governo oppose difficoltà, ho tosto scritto al ministro Lanza richiamando la formale promessa
fatta da Lui, dagli altri suoi colleghi e dallo stesso sovrano di non metter anzi di rimuovere
qualunque ostacolo potesse insorgere per la temporalità.
Richiamai come egli, Lanza, m'aveva ripetutamente detto di comunicare tutto al Santo
Padre; che perciò non si venisse ad una così formale mancanza di parola. Fu prontamente
risposto, che io stessi tranquillo, che erano difficoltà momentanee, ma che le intenzioni del
Governo erano per niente cangiate per tali affari.
Osservai poi che le cose erano sempre nel medesimo stato, scrissi altre lettere cui non si
fece più alcuna risposta. So positivamente che il governo desidera di togliersi da questo
imbarazzo, ma risponde sempre che non sa come fare.
Intanto, Beatissimo Padre, io le sono debitore della mia sanità. I medici non mi davano
più alcuna speranza di guarigione. Ricevuta la santa sua benedizione cominciai migliorare in
modo che pochi giorni dopo io era guarito e in grado di occuparmi delle ordinarie mie
faccende.
Monsig. Fissore le parlerà della nostra congregazione, che Dio benedice e prospera in
modo meraviglioso.
Coi miei preti, chierici, giovanetti, circa 6.000, ci prostriamo tutti ai piedi di Vostra
Santità e come figli genuflessi davanti al loro padre imploriamo la sua santa benedizione.
Per tutti noi sottoscrive
Obbl.mo attaccatissimo figliuolo
Sac. Gio. Bosco

6.9 Page 59

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La mediazione di don Bosco per gli exequatur ai vescovi
61
N. 4 DON BOSCO AL MINISTRO LANZA: 21 maggio 1872
(ed.: vedi nota 44)
21 maggio 1872
Eccellenza
L'affare della temporalità dei Vescovi ultimamente preconizzati deve in qualche modo
aggiustarsi. Troppe sono le dicerie che si vanno spargendo a sfavore della Chiesa, del Governo
e a vantaggio di nessuno.
Qualche tempo fa io scriveva all'È. V. come sembravami non tanto difficile di venire ad
un avvicinamento e lasciar intatti i principii che il Governo da una parte e la Santa Sede
dall'altra intendono di conservare.
Sebbene io sia estraneo affatto alla politica ed alle cose pubbliche, né abbia incarico di
sorta a questo scopo, tuttavia credo che il Governo possa essere soddisfatto con una nota
autentica della Santa Sede, con cui si dichiari allo stesso Governo che nel Concistoro tenuto in
data n. n. vennero preconizzati vescovi alle sedi vacanti...
Qualora poi l'È. V. scorgesse possibile questo progetto o qualche altro che a lei sembrasse
più facile, e volesse servirsi di me per comunicarlo a chi di ragione, io mi stimerei fortunato di
avere prestato qualche servizio al mio Governo e portato qualche vantaggio alla Chiesa. Quale
persona privata, ignota al mondo politico, non darei alcun motivo ai giornali di parlare né pro
né contro, siccome si potè osservare in casi somiglianti.
In ogni caso io la supplico a voler dare benigno compatimento alla rinnovazione di questo
disturbo e di volermi credere con profonda stima e con profonda gratitudine.
Dell'E. V.
Obbl.mo servitore
Sac. GIOVANNI BOSCO
N. 5 PROMEMORIA DI P. SEBASTIANO SANGUINETI: 16 febbraio 1873
ASC 123. Sanguineti
I. Elezioni politiche [...]
II Exequatur.
Intorno a questa controversia dell’Exequatur richiesto dal Governo Italiano a norma della
legge delle guarentigie dai Vescovi nominati liberamente dal Papa, mi pare possano stabilirsi le
cose seguenti:
E' prima d'ogni altra cosa, da aversi come principio fondamentale, che se il presentare le
Bolle di nomina al regio exequatur, in qualunque modo si faccia ha per sua conseguenza un
riconoscimento qualsiasi anche implicito dell'attuale ordine politico e segnatamente della
legge delle guarentigie, da parte della S. Sede, non può neppur muoversi la questione, se vi sia
un qualche modo di aggiustar questo affare. Ma non mi sembra che ciò sia vero. Ecco come io
ragiono.
Che la richiesta dell’exequatur sia fuori di ogni diritto della Civile Società, ingiusta

6.10 Page 60

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62
Francesco Motto
e tirannica soprattutto nel regime di libertà, è cosa tanto manifesta che non ha bisogno di prova.
Tuttavia non è cosa intrinsecamente cattiva, nel senso rigoroso di tal frase, e così potè la
S. Sede tollerarla in vari Concordati.
Parimente è indubitato che il Vescovo nominato dal Papa ha con ciò solo, in diritto, la
pienezza di tutti i poteri che spiritualmente e temporalmente eziandio gli competono e quindi è
ingiusto sottoporlo ad altre condizioni.
Senonchè essendo il Vescovo altresì cittadino, e come tale soggetto alle leggi dello Stato,
non si vede perchè non possa SUBIRE una legge anche vessatoria ed ingiusta, ma che non lo
obbliga ad un atto intrìnsecamente cattivo, adempiendo le prescrizioni di quella, nella stessa
guisa come si sottopone alle leggi, p. e. ipotecarie, di successione etc. Una tale soggezione è
atto àûY individuo nominato non della Sede Apostolica.
A togliere lo scandalo de' pusilli basterebbe che in qualunque modo (p. e. con una lettera
del S. Padre al Card. Segretario di Stato o altro qualsiasi più familiare, non convenendo
adoperare forme più solenni) basterebbe dico che si facesse ben rilevare questa relazione
individuale che come cittadino il Vescovo nominato ha verso lo Stato, e che quindi la
presentazione delle Bolle è atto non della S. Sede, né propriamente del Vescovo, ma del
cittadino il quale per le leggi vigenti deve sottoporsi a tal vessazione se vuol entrare in possesso
di tutti i suoi diritti.
Un tale atto non comprometterebbe dunque per nulla la S. Sede la quale dichiarerebbe
anzi apertamente, che come il Papa non nomina in forza della legge delle guarentigie, ma per il
potere ricevuto da Dio, così una volta fatta la nomina tutto è fatto per parte della S. Sede.
Da parte del vescovo nominato non vi è, se ben si riguarda, se non il riconoscimento di
fatto di un potere vessatorio ed ingiusto, al quale tuttavia non può sottrarsi se vuol entrare nel
pieno dominio de' suoi diritti.
Il subire questa vessazione è una dolorosa necessità, per la strana interpretazione (a dir
poco) data dal Ministero Italiano della parola " temporalità " in forza della quale i Vescovi che
non hanno l’Exequatur si trovano in gravissimi imbarazzi, non tanto pel loro sostentamento,
quanto per l'esercizio delle più gelose funzioni del loro apostolico ministero.
Che se ciò non fu fatto sino al presente a titolo di protesta, e per vedere se cessasse
l'ingiusta pretesa troppo ripugnante all'indole medesima della legge delle guarentigie, opera del
Governo Italiano, e che tutta lui solo riguarda, si può con eguale sapienza e prudenza, or che
quella protesta è a tutti palese, dichiarare, come dissi, che " i Vescovi possono come individui e
cittadini sottomettersi se il credono conveniente a quelle condizioni che secondo le leggi
vigenti son necessarie ", senza le quali non possono fruire del libero esercizio dei loro diritti.
Sarebbe poi un'aperta ingiustizia (sebbene non impossibile) se il Governo Italiano
rifiutasse l’Exequatur a qualcuno de' nominati, giacché allora sarebbe annullata la pretesa
guarentigia della libera nomina dei Vescovi.
Questo così di volo per un Promemoria; V. S. Ill.ma saprà dire più e meglio di me.
Preghi per me
SEB. SANGUINETI S. J.

7 Pages 61-70

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7.1 Page 61

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La mediazione di don Bosco per gli exequatur ai vescovi
63
N 6 PROMEMORIA DI DON BOSCO AL CARD. ANTONELLA marzo 1873
ASV Spoglio Antonelli, b. 4
TEMPORALITÀ DEI VESCOVI
I quattro modus vivendi, come dicono proposti dal Ministero e approvati dal Consiglio di
Stato erano:
1o I Vescovi diano comunicazione e presentino la Bolla di loro preconizzazione
secondo la legge.
2° Il Capitolo o la Curia od altre autorità competenti presentino un sunto della Bolla
dichiarando che nulla fu aggiunto alle formule solite ad usarsi in tali scritti.
3° Si presenti una Bolla qualunque e si dichiari che nella spedizione di quella spedita
per N. N. nulla fu cangiato.
4° Una dichiarazione del segretar[i]o del Concistoro che dichiari singillatim nome,
tempo, Diocesi con dichiarazione che nulla fu modificato nella spedizione della Bolla.
In generale sembra che si temano consigli segreti annessi o inseriti nelle Bolle da spedirsi.
Questo timore fu tolto e se ne mostrarono contenti.
Si trattò a lungo sopra ciascuna, intorno a cui il Ministero si mostrò propenso a modificare
quei vocaboli che potessero sembrare indecorosi alla Santa Sede.
II modus vivendi più conforme ai principii della S. Sede sarebbe l'articolo 2° modificato
come segue: Il Capitolo, la Curia od altra autorità competente mandino dichiarazione al
procuratore del Re o ad altra autorità governativa che nel Concistoro tenuto nel giorno N. il
sacerdote... fu preconizzato Vescovo di... e ne fu spedita la solita Bolla colle forme solite
oppure semplicemente la solita Bolla.
Questa formóla ultima sarebbe adottata, ma il ministero desidera di metterla in esecuzione
o nelle ferie Pasquali, se hanno luogo, o meglio in quelle di giugno, quando il ministero libero
dalle interpellanze potrà senza timore effettuare il suo desiderio. Lanza e De Falco assicurano
ambidue che se nella pratica di quanto sopra sarà necessaria qualche modificazione di parole si
troverà la massima condiscendenza. Lanza inoltre assicurò che proteggerà a tutta possa i
Generalati, che in caso contrario cesserà dal Ministero. Che studierà di ricompensare i Vescovi
della dilazione cagionata dalla necessità per mettere i Vescovi al possesso delle temporalità.
N. 7 DON BOSCO AL MINISTRO MINGHETTI: 14 luglio 1873
Archiginnasio di Bologna, fondo Minghetti Pres, del Cons., 1873-1876, cart. II b. «Vaticano »
Eccellenza
14 luglio 1873
Sebbene io sia affatto estraneo alle cose politiche, tuttavia non mi sono mai rifiutato di
prendere parte a quelle cose che in qualche maniera possano tornare vantaggiose al mio Paese.

7.2 Page 62

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64
Francesco Motto
Per questo motivo nello scorso marzo essendomi recato a Roma, mi feci premura di
presentarmi al Sig. Ministro Lanza per istudiare un modo possibile con cui mettere i vescovi
nel possesso delle loro temporalità.
Sua Eccellenza gradì l'idea e quando seppe che ne aveva officioso incarico dalla Santa
Sede si trattò in più conferenze un modus vivendi.
Mi fece allora vedere quattro proposte del Consiglio di Stato, di cui una, con qualche
piccola modificazione, sarebbe secondo che sta scritta nel foglio a parte. Datane comunicazione
al Cardinale Antonelli e allo stesso Santo Padre si era rimasti intesi col Presidente dei Ministri
che, terminata la discussione della legge sulle Corporazioni religiose, appena cominciate le
ferie della Camera dei Deputati, si sarebbe definitivamente concretato il citato progetto sulle
basi ivi stabilite.
Nella persuasione che il nuovo Ministero abbia la medesima buona volontà di sistemare
una vertenza, che cagiona malcontento a molti utilità a nessuno, io rinnovo la mia debole
servitù semmai in qualche maniera potessi essere utile al mio Governo ed alla Religione.
Al Ministero dell'Interno in un grosso portafogli si prese memoria di quanto erasi all'uopo
trattato.
L'avrei come un vero favore se mi facesse dire una sola parola che mi indicasse questo
foglio essere pervenuto nelle mani di V. E.
Con la più profonda stima ho l'onore di professarmi umile servitore di V. E.
Sac. Gio. Bosco
Allegato
TEMPORALITÀ DEI VESCOVI
(ms. di G. Berto)
Il modus vivendi più conforme ai principi della Santa Sede sarebbe l'articolo seguente con
le unite modificazioni:
1o) Il Capitolo o la Curia od altra autorità competente presentino un sunto della Bolla,
dichiarando che nulla fu aggiunto nelle formule solite ad usarsi in tali scritti.
2°) Il Capitolo, la Curia od altra autorità competente mandino dichiarazione al
Procuratore del Re od ad altra autorità governativa che nel Concistoro tenuto nel giorno... il
sacerdote... fu preconizzato Vescovo di... e ne fu spedita la solita bolla con le forme solite
oppure semplicemente la solita Bolla.
N. 8 DON BOSCO AL CARD. ANTONELLI: 3 agosto 1873
ASV SdS 1873 r. 165
Eminenza Reverend.ma
Sul principio del mese di luglio questo prefetto di Torino mi interpellava da parte del
Ministero se era a mia notizia che la S. Sede avesse tuttora la stessa volontà riguardo all'affare a
me noto. Io non potei rispondere a parole, ed invece scrissi una

7.3 Page 63

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La mediazione di don Bosco per gli exequatur ai vescovi
65
lettera a Minghetti in cui dicevo che se quell'affare riferivasi alla temporalità dei vescovi
bisognava mi dicesse a quale modus vivendi si voleva alludere. Se quello modificato questo
inverno col Ministro, e ne davo copia, credeva di sì; ma aggiugnevo che io non avevo su tale
fatto alcun incarico, ma che qualora si fosse trattato di condurre ad effetto quanto era stato
conchiuso officiosamente, mi ci sarei prestato volentieri e avrei parlato con chi di ragione.
Minghetti in data 16 luglio rispondeva coll'autografo: Ricevo la sua 14 e mentre voglio di
ciò assicurarla fra pochi giorni le risponderò in proposito etc.
Tosto allora scriveva a V. E. per avere norme a seguire. Forse la lettera non le pervenne o
non se ne è inteso il senso; voleva scrivere un dispaccio in cifre per mezzo di mons. Tortone
che mi disse non potersi più spedire tali dispacci. Esso giudicò di mandarle quello scrittarello
ed ora ho spiegato le cose più estesamente.
Ora la pregherei di farmi dire anche con parole vaghe: 1o Se quest'affare si tratti da
qualche altra persona. 2° Se debbo soprassedere o continuare sulle basi altra volta stabilite.
E' bene che le noti, siccome fu detto tra noi, che il Ministro di Grazia e Giustizia sia
andato ai bagni donde sarà di ritorno circa al 4 di questo mese, credo che questa sia la ragione
del ritardo di Minghetti a rispondere come aveva promesso.
Mi compatisca dei rinnovati disturbi, ma sarei troppo contento se potessi portare anche un
solo atomo sulla bilancia di quell'accomodamento, che si rende ogni giorno più spinoso ed
urgente.
Gradisca che le auguri dal Signore sanità stabile, mentre colla più profonda gratitudine ho
l'alto onore di potermi professare.
Della E. V. R. d. ma
Obbl.mo Servitore
Sac. Gio. Bosco
Torino 3 agosto 1873
N. 9 CARD. ANTONELLI A DON BOSCO: 6 agosto 1873
ASC 126.2 Antonelli
Ill.mo Signore
Monsig. Tortone cui V. S. Ill.ma aveva fatto conoscere che Minghetti rinnovava la
domanda se si possa trattare intorno all'affare delle temporalità sulle basi poste nel passato
marzo, Le avrà già partecipata la mia risposta, cioè che non vi è alcuna difficoltà a che Ella
continui a parlare nei termini che Le furono da me indicati qui in Roma.
Ora essendomi giunto il foglio da Lei direttomi sullo stesso argomento il 3 del corrente,
Le ripeto che non vedo alcun inconveniente nella prosecuzione di tali trattative. A scanso però
di qualsiasi possibile equivoco le addito esplicitamente i limiti di esse, oltre i quali non dovrà
Ella ripromettere cooperazione o acquiescenza per parte della S. Sede. Questi termini sono i
seguenti:
« Chiedendosi a Monsig. Segretario della S. C. Concistoriale che si desidera conoscere
l'epoca, i nomi dei Vescovi, e le Diocesi loro affidate nei vari Concistori, non s'incontrerà
difficoltà di rispondere indicando nomi, tempo, e Diocesi, cui ciascun Vescovo fu destinato, e
dichiarando che a ciascuno furono spedite le solite Bolle ».

7.4 Page 64

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66
Francesco Motto
Nutro fiducia ch'Ella attenendosi a tali istruzioni potrà giungere allo scopo desiderato, ed
intanto con sensi di stima mi ripeto Di V. S. Ill.ma
[Servitor] vero
G. Card . ANTONELLI
Roma 6 agosto 1873
N. 10 DON BOSCO AL CARD. ANTONELLI: 25 agosto 1873
ASV SdS 1873 r. 165
Eminenza Reverendissima
Ho ricevuto la veneratissima di V.E.R.d.ma che mi autorizza a trattare il noto affare delle
temporalità dei Vescovi sulle basi stabilite nell'ultimo scorso marzo. Le debbo notare che la
formóla acclusa nella sua lettera sarebbe più facilmente ricevuta, ma il modus vivendi come si
volle chiamare, discusso, definitivamente approvato sarebbe quello descritto nell'unito
foglietto. Se ella mi dice che mi tenga a questo non sarà più bisogno di discutere; se poi debbo
tenermi a quello descritto nella sempre venerata sua lettera allora diventerebbe una nuova
proposta.
Ad ogni modo finora il Ministro Minghetti mi ha soltanto fatto sapere e di poi scritto di
proprio pugno che mi risponderà in proposito quanto prima. Se per tale affare dovessi recarmi a
Roma farei modo di presentarmi prima della E. V. per avere quelle basi e norme che si
giudicassero vie più opportune.
Portatore di questo foglio è il sac. Sala Antonio economo di questa casa che le porterà gli
ossequi di tutta la Congregazione Salesiana e col medesimo Ella può rimettere qualunque
scritto.
Noi continuiamo a pregare per la conservazione della preziosa sanità di V. E. e speriamo
che Dio pietoso ascolterà le comuni e private nostre preghiere, mentre colla più profonda
gratitudine ho l'alto onore di potermi professare
Della E. V. R.d.ma
Obbl.mo Servitore
Sac. Gio. Bosco
Torino 25 agosto 1873
N. 11 CARD. ANTONELLI A DON BOSCO: 13 settembre 1873
ASC. 126.2 Antonelli
Ill.mo Signore
Ho portato la mia attenzione al contenuto del foglio direttomi da V. S. Ill.ma il 25 del p. p.
mese; ed avendo preso in considerazione ogni cosa, devo significarLe che non posso dipartirmi
dalle istruzioni e dalla formola che Le indicai nella mia lettera del 6 del mese stesso. A tali
istruzioni adunque Ella si attenga strettamente, tanto più che giusta il suo modo di vedere la
formola già da me precisata sarebbe più facilmente ricevuta.

7.5 Page 65

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La mediazione di don Bosco per gli exequatur ai vescovi
67
Attendo di conoscere la promessaLe risposta, e grato alle preghiere che costì si fanno per la
mia salute ho il piacere di confermarmi con distinta stima, Di V.S. Ill.ma,
Servitor vero
G. Card. ANTONELLI
Roma, 13 settembre 1873
N. 12 DON BOSCO AL MINISTRO VIGLIANI: 12 ottobre 1873
ASC 131.01 minuta
Eccellenza,
La fiducia grande che la E. V. gode pubblicamente è quella che mi muove a farle parola di
un affare riflettente il bene della Religione ed anche dello Stato. Espongo le cose brevemente.
Nel marzo di quest'anno io aveva l'onore di parlare col Ministro Lanza, e con incarico
ufficioso trattare intorno alla vertenza della temporalità dei Vescovi. Egli mi presentò tre modus
vivendi proposti dal Consiglio di Stato. Se ne scelse uno che sembrava avvicinarsi di più ai
limiti voluti da ambe le parti. Fatte alcune modificazioni piuttosto di forma che di sostanza,
sarebbesi ammesso quello indicato in foglio a parte alla lettera A.
Le discussioni, che in quel tempo dovevano avere luogo nella camera dei Deputati,
consigliavano di[f]ferire l'esecuzione di quella proposta sino al termine di quella sessione
parlamentare. Se non che il cangiamento di Ministro venne a cagionare gran incaglio.
Circa la metà di luglio, io faceva relazione di queste cose a S.E. Minghetti, che il 16 dello
stesso mese con bontà a[c]cusava ricevuta mia lettera, aggiungendo mi avrebbe quanto prima
fatto categorica risposta. La gravità e la moltitudine delle cose pubbliche, cui egli dovette
prendere parte, avranno fatto certamente forse ritardare o forse dimenticare l'oggetto in
discorso. Per questo motivo mi sono fatto ardito di rivolgermi all'E. V., che appunto tiene il
Ministero, cui tali affari si devono riferire.
In quell'occasione, però, s'è soltanto parlato del modus vivendi da applicarsi ai Vescovi
nominandi, ma per quelli nominati, se ne era proposto un altro segnato nel foglio colla lettera B.
Di esso allora non si ragionò, nè fecesi riflesso di sorta riservando ciò in epoca più opportuna.
Come prete io amo la religione, come cittadino desidero di fare quanto posso pel governo,
e prendendo qui le parti di questo, parmi che il modus vivendi B sia più d'ogni altro
consentaneo alle viste governative; perciocché con esso il Governo:
1o Si mette in relazione diretta colla Santa Sede.
2° La Santa Sede risponderebbe ufficialmente al Governo.
3° Il Governo poi, avuta comunicazione dei vescovi preconizzati, potrebbe liberamente,
ove ne fosse il caso, fare le sue eccezioni prima [di] concedere le temporalità.
4° Anzi ammettendo questo principio parmi che il Governo avrebbe un vero exequatur,
giacché potrebbe concedere o non concedere le temporalità, ed anche

7.6 Page 66

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68
Francesco Mot io
mettere condizioni, quando ciò ravvisasse opportuno.
Ho creduto bene manifestare questi riflessi pratici, perchè la cosa possa di leggieri
comprendersi nel suo vero aspetto.
Qualora poi nella pratica esecuzione di quanto sopra si dovesse modificare qualche
espressione, credo che la S. Sede sia per accondiscendere, p. e. dove dicesi Chiedendosi a
Monsignor ecc.; questa richiesta, se si volesse, potrebbesi fare anche verbalmente da una
persona incaricata: si potrebbe indirizzare egualmente al S. Padre, o al suo primo Segretar[i]o.
Siccome io sono affatto estraneo alla politica ed alle cose pubbliche, così se la E. V.
giudicasse di servirsi in qualche cosa della povera mia persona, non vi sarebbe alcun timore di
pubblicità inopportuna.
Esposte queste cose, debbo compiere un grave mio dovere, chiedendo benigno
compatimento per la confidenza forse eccessiva con cui ho scritto; e contento di poterle
augurare ogni celeste benedizione, colla massima stima, reputo ad alto onore di professarmi,
Dell'E. V.,
Sac. Gio. Bosco Torino
12 ottobre 1873
N. 13 IL MINISTRO VIGLIAMI A DON BOSCO: 15 ottobre 1873
ASC 126.2 Vigliani
Molto R. D. Bosco
Roma 15 ottobre 1873
La delicata comunicazione che S.V.M.to Rev .da si compiaceva di farmi colla riverita sua
del 12 corr. e circa la deplorabile condizione dei Vescovi non muniti del R.o Exequatur e dei
parroci da essi nominati, è del tutto conforme ad altra ch'ella indirizzò al Près .e del Cons.o dei
Ministri poco dopo la costituzione dell'attuale Ministero e che mi venne tosto partecipata.
Le fu allora risposto che si sarebbe fatta ricerca dei precedenti ai quali la sua lettera
accennava, e quindi si sarebbe maturato lo studio della pratica officiosa.
Sono state vane finora le fatte ricerche, non essendosi trovata presso il Ministro
dell'Interno alcuna carta relativa a tale affare. Mi rivolgerò all'ottimo mio amico il Comm.re
Lanza per avere da lui med.o precisa contezza di quanto si è passato sotto la sua
amministrazione.
Nessuno è animato da migliore volontà della mia e di quella del Près .e del Consiglio per
trovare un modo accettevole di far cessare od almeno attenuare le cattive condizioni in cui
versa l'Episcopato italiano. Conviene però che da una parte e dall'altra si faccia prova di buon
volere e di cristiana tolleranza per arrivare ad un accomodamento che salvi tutte le
convenienze.
A Lei, che è ottimo Sacerdote e buon cittadino, mi sia permesso di rivolgere una calda
preghiera, perché voglia adoperare i suoi più efficaci offici a persuadere la Santa Sede a fornire
al Governo i mezzi che sono indispensabili a conciliare l'osservanza della legge, superiore alla
volontà di tutti i Ministri, con tutte le agevolezze possibili per la concessione del R.o
Exequatur.

7.7 Page 67

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La mediazione di don Bosco per gli exequatur ai vescovi
69
Ella saprà che ai Vescovi di Alessandria, di Saluzzo e di Aosta è stato con molta
indulgenza concesso l’Exequatur; e perché il loro buon esempio non sarà seguito dai loro
confratelli? Perché tutti i nuovi Vescovi non troveranno modo di far pervenire un transunto
almeno delle loro Bolle col mezzo dei loro Capitoli, o dei Sindaci locali, o di altra persona di
loro fiducia, senza assumere la veste di postulanti? Io non so davvero vedere in siffatta condotta
nulla, proprio nulla che offenda la santa nostra Religione.
A V. S. confido questi sentimenti, e confido nella sua alleanza per fare del bene.
Mi creda con vera stima,
il suo devotissimo
VIGLIANI
N. 14 DON BOSCO AL CARD. ANTONELLA 20 ottobre 1873
Eminenza Reverend .ma
ASV SdS 1873 r. 165
E' venuto un senatore del Regno a parlarmi dell'affare, di cui nella Unità Cattolica è
parola. Quel colloquio non cangiò per nulla le intelligenze tenute, ma mi diede occasione di
scrivere altra lettera, in cui sostituiva la base stabilita nella lettera di V. E. a quell'altro modo
che fu ventilato nel passato inverno e di cui aveva già spedito copia anteriormente allo stesso
personaggio.
Se mai dalla lettera del Sig. Vigliani Ella giudicasse conveniente una gita a Roma, non
avrebbe che farmene dire parola.
Le scrivo per tenerla a giorno della pratica, e per assicurarla che sarà sempre per me un
vero piacere quando posso prestare qualche anche piccolo servizio alla S. Sede ed all'E. V. di
cui ho l'alto onore di potermi professare con profonda gratitudine.
Umile Servitore Sac.
Gio. Bosco
N. 15 CARD. ANTONELLI A DON BOSCO: 1o novembre 1873
Ill.mo Signore
ASC 126.2 Antonelli
Ho ricevuto il foglio di V. S. Ili .ma del 20 p.p. mese col relativo inserto. Avendolo
percorso mi è d'uopo significarLe che per l'oggetto di cui trattasi l'unico modo da potersi
seguire è quello da me già indicatoLe.
Del resto non saprei dirLe se la sua venuta in Roma potrebbe essere utile, non
sembrandomi che il Governo sia disposto a far nulla di bene.
Comunque si guardi questa mia opinione, Ella è nella piena libertà di appigliarsi a quel
partito che stimerà più opportuno.
Con sensi di distinta stima mi confermo
Di V. S. Ill.ma
Roma 1o novembre 1873
Servitor vero
G. Card. ANTONELLI

7.8 Page 68

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70
Francesco Motto
N. 16 DON BOSCO A MONS. GASTALDI: 31 dicembre 1873
ASC 131.01 Gastaldi
Eccellenza R.d.ma
Oggi ho parlato assai colla nota persona che manifesta molto buon volere. Portò il
discorso sopra la pratica da Lei iniziata presso di lui. Disse: — Non voglio che domandi
l’Exequatur, ma soltanto le temporalità — Ma questa seconda domanda non si vuole ammettere
da altro più autorevole personaggio.
Temporeggi, e fra pochi giorni le scriverò di nuovo. Avvi una massima generale, che forse
sarà accettata da ambe le parti.
Se venissi a sapere che qualche persona di confidenza da Roma si recasse a Torino,
scriverò lettera apposita.
Si degni di credermi con profonda gratitudine.
Della E. V. Rev.ma
Obbl.mo Servitore
Sac. Gio. Bosco
Ultimo del 1873 Roma, Via Sistina, 104
N. 17 DON BOSCO AL CARD. ANTONELLI: 2 gennaio 1874
ASV Spoglio Antonelli b. 6
Eminenza reverend .ma
Questa sera ho potuto trattenermi col sig. Vigliani intorno al noto affare. Egli dimostrò
desiderio di variare alcune parole per antivenire a qualche difficoltà, diceva, che avrebbe potuto
incontrare nel Consiglio di Stato.
Ammise per intiero il formolario, si dimostrò contento e assicurò di presentarlo al
Consiglio dei Ministri con cui, dice, non incontrare opposizione, perché è già coi medesimi
inteso in questo senso. Lo stesso asserisce pel Consiglio di Stato.
Notò soltanto che i consiglieri di Stato essendo in ferie, e tenendo seduta una sola volta
per settimana, porterà la pratica ad una dodicina di giorni. Dopo mi darà regolare
comunicazione da riferire alla E. V. R.d.ma.
In questo tempo egli, Vigliani, vorrebbe stabilire un formolario per le future elezioni dei
Vescovi. Io mi sono limitato a dire, che non credeva esservi difficoltà dalla parte della S. Sede,
che la formola usata per gli eletti, togliendo ciò che riguarda al fatto attuale, si possa pure
applicare a vescovi futuri; ma tosto aggiunsi che era meglio compierne una prima di cominciare
l'altra.
Il medesimo Vigliani espresse alcune sue idee, che vedrò di mettere insieme e che
trasmetterò ad uno scopo di informarla di quanto si è fatto pel 2° progetto. I particolari poi
spero di poterli esporre di presenza.

7.9 Page 69

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La mediazione di don Bosco per gli exequatur ai vescovi
71
Dio le conceda sanità stabile con un anno felice, e mi permetta l'alto onore di potermi
professare della E. V. R.d.ma. Della E. V. R.d.ma.
Umile servitore
Sac. Gio. Bosco
Roma 2 [gennaio] 1874 Via Sistina, 104
N. 18 DON BOSCO A MONS. DE GAUDENZI: 1 gennaio 1874
Arch. Vescovile - Vigevano
Rev.mo e ca.mo Monsignore,
Ieri mi sono trovato presente quando il ministro di Grazia e Giustizia ricevette il dispaccio
dal prefetto di costà che gli comunicava l'affare di Zinasco e l'interdetto inflitto da V. S. R.ma.
Ebbi in quel momento occasione di parlare molto di Lei, della sua calma e prudenza, e che se
aveva presa quella grave deliberazione, vi erano certamente gravi ragioni.
Scrisse allora un dispaccio assai benevolo raccomandando al prefetto di usare soltanto
mezzi pacifici, e pregare il vescovo a voler prestar la mano.
Disse poi a me di scrivere sullo stesso argomento e di studiare modo di ritornare alla
calma quella popolazione. L'assicurai di ogni (ogni it) cosa anche senza scrivere a quel prelato,
tuttavia l'assicurai di fare quanto chiedeva. Non sapendo di qui le cose come siano avvenute,
non posso dire di più al Ministro, né dire a Lei, che sa quel che ha da fare, quale norma sia a
tenersi per trattare col nominato inviso alla popolazione di Zinasco.
Se occorre mi dica quanto qui dire ed io posso quando che sia parlarne direttamente a chi
di dovere. 11 Ministro palesò molta stima per Lei.
Le scriverò di altro quanto prima, mi benedica e mi creda in G. C.
Roma Via Sistina 104 1o [gennaio] del 1874
Umil.mo Servitore amico
Sac. G. Bosco
N. 19 DON BOSCO A MONS. GASTALDI: 11 gennaio 1874
ASC 131.01 Gastaldi
Eccellenza Reverend.ma
Mi affretto di comunicare alla E. V. che la pratica sul noto affare progredisce bene. Il
formulario adottato dalla S. Sede venne già approvato dal Vigliani, di poi dal Consiglio dei
Ministri. Nel corso della prossima settimana sarà pure presentato al Consiglio di Stato, che si
spera parimenti favorevole. Dopo, se il demonio non ci mette la coda, ci s i darà
immediatamente esecuzione.

7.10 Page 70

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72
Francesco Motto
Vigliani disse ripetutamente con me, che si contentava della Bolla al popolo purché Ella
indicasse, che ciò facevasi ad oggetto di ottenere le temporalità. Si trattò un caso identico per le
Bolle ad clerum, oppure ad Capitulum, ma il S. Padre non acconsentì.
Ella pertanto temporeggi la prossima settimana. Dopo le comunicherò le cose, e se il
progetto intanto non riuscisse, sentirei ciò che il Cardinale Antonelli sarà per dire sulla
pubblicazione in sacrestia della Bolla ad Clerum; ma finora non si volle permettere alcun passo
che per parte dei Vescovi sembrasse diretto a chiedere od accettare l’Exequatur.
Spero che la conservi in buona sanità mentre mi raccomando alla carità delle sue
preghiere e mi professo con massima stima
Della E. V. R.d.ma
Umile servitore
Sac. Gio. Bosco
Roma, 11 [gennaio] 1874 Via Sistina, 104.
N. 20 DON BOSCO A MONS. GASTALDI: 16 gennaio 1874
ASC 131.01 Gastaldi
Eccellenza Rev .ma
Con gran piacere le partecipo che il noto affare è ultimato. Un formulario è accettato da
ambe le parti. Lunedì sarà inviata a V. E. una copia autentica del medesimo con modello di
lettera, e con quello deve essere da ciascuno trasmesso al Ministro di Grazia e Giustizia.
Occorrendo dubbio, mi scriva tosto.
La prima di queste lettere sarà indirizzata all'Arcivescovo di Torino. Se posso avere
persona che di qui vada costà, scriverò altro.
Sono incaricato di pregare V. E. a voler innalzare preghiere a Dio e impegnare anche le
anime buone al medesimo scopo per ottenere da Dio che si tengano lontane le zampe di Satana
etc.
Mi benedica e mi creda
Di V. E. R.d.ma
Obbl.mo Servitore
Sac. Gio. BOSCO
Roma 16 [gennaio] 1874 Via Sistina 104.
N. 21 DON BOSCO A MONS. GASTALDI: 24 gennaio 1874
ASC 131.01 Gastaldi
Eccellenza Reverend.ma
Sembrava tutto conchiuso: oggi un incaglio. Il Ministro di Grazia e Giustizia cominciò ad
essere di cattivo umore quando l'avv. generale Eula scrisse che da E. V.

8 Pages 71-80

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8.1 Page 71

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La mediazione di don Bosco per gli exequatur ai vescovi
73
aveva appreso essere conchiuso un accomodamento sulla temporalità. Oggi poi, quasi
contemporaneamente alla sua, giunse pure altra lettera dello stesso avvocato che manifestava
avere ricevuto invito di far pervenire quella dichiarazione Concistoriale al Min. e che tutto era
terminato. Si domandavano spiegazioni. Si aggiunse che un giornale pubblicò letteralmente
ogni cosa. Oggi il Consiglio di Stato era sconcertato, e fece nuove proposte, che dimani
saranno riferite.
Ma tutti mi dissero di raccomandare caldamente a V. E. di tenere il più stretto segreto
sopra tutto questo affare, ed occorrendo scriva esclusivamente al Card. Antonelli oppure al
Comm. Vigliani.
Alcuni Deputati sono già venuti al Ministero per domandare schiarimenti su quanto alcuni
giornali hanno pubblicato.
Insomma il demonio ci ha messo la zampa. Appena vi sia qualche cosa di positivo, ma
conchiuso, lo saprà tosto o da me o dal Card. Antonelli.
Raccomandiamo, dice il S. Padre, ogni cosa al Signore, affinché si possa ottenere non
tanto la temporalità, ma siano allontanati gli impacci che si frappongono ai Vescovi
nell'esercizio del pastorale loro ministero.
Colla più profonda venerazione e con pienezza di stima ho l'onore di potermi professare
Della E. V. Rev.ma
Obbl.mo Servitore
Sac. Gio. Bosco
Roma 24 [gennaio] 1874
N. 22 MONS. GASTALDI A DON BOSCO: 3 febbraio 1874
ASC 123 Gastaldi
Torino addì 3 febbraio 1874
Molto rev.do Signore
Ieri mi si disse dall'Ingegnere Formento [...] Riguardo alle Temporalità, io non dissi mai
nulla con nessuno fino a che ricevetti una lettera dal Cardinale Antonelli accompagnata dalla
Dichiarazione del Patriarca Antici. Allora parvemi si potesse parlare alquanto: però ho
impedito che la cosa fosse pubblicata nell'Unità. Mandai immediatamente al Procuratore del Re
la Dichiarazione del Patriarca perché fosse presentata al Ministero, accompagnandola con una
lettera simile a quella già scritta al Ministero dopo la mia promozione a questo Arcivescovado.
Finora nessuna risposta.
Per me solo che la mia Amministrazione non avesse incagli nel fare il bene, me ne starei
volentieri dove sono.
Con la massima stima sono di V. S. molto rev.da
devot.mo obblig.mo servo
LORENZO Arcivescovo

8.2 Page 72

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74
Francesco Motto
N. 23 DON BOSCO A MONS. GASTALDI: febbraio 1874
ASC 131,01 Gastaldi
Eccellenza R.d.ma
Approfitto del sig. cav. Occelletti per darle qualche notizia che non si può affidare alla
carta.
Quando tutto era conchiuso, e che il Ministro di Grazia e Giustizia aveva di proprio pugno
scritto un formolario, che accettato dalla Santa Sede era stato inviato alla E. V. R.d.ma, non
erano più a temersi difficoltà. Cosi pareva. Ma invece fui chiamato in fretta e mi furono esposte
molte osservazioni proven [i] enti dall'Arcivescovo di Torino perché aveva dato pubblicità alle
cose, che i giornali se ne erano impossessati; deputati aver minacciato interpellanze, il
Consiglio di Stato di parere incerto etc. etc.
Ma tutto ciò era un pallio per cuoprire la realtà. Il fatto vero sta che il giorno prima si era
ricevuta una virolenta lettera di Bismarck protestando contro alle voci di conciliazione, e
specialmente contro ai Vescovi che etc. La pratica non è rotta, ma è sospesa. Prima che termini
la settimana spero di poterle scrivere altro.
Mi raccomando alla carità delle sue preghiere; faccia in pezzi questa lettera.
Di V. E. R.d.ma
Obbl.mo Servitore
Sac. Gio. Bosco
N. 24 DON BOSCO A MONS. FISSORE: 9 marzo 1874
fotocopia in ASC 131.21 Fissore
Eccellenza R.d.ma
Le mando qui un modulo che so essersi da qualche vescovo praticato e dietro cui fu
conceduta la temporalità, come mi si dice quello di Susa e quello di Aosta. La Santa Sede non
fa niuna opposizione nel senso indicato. Si era già permesso anche ciò per la Bolla ad
Capitulum, ma di poi fu rettificato e si estende soltanto alla Bolla ad populum.
Mentre sarò qui in Roma per alcuni miei affari della nostra Congr. e di una Missione che
si deve affidarci si è spesso ricordata la carità che la felice memoria di suo padre e tutta la
famiglia Fissore [...] Io sarò a Torino circa il 25 di questo mese [...]
9 marzo 1874

8.3 Page 73

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La mediazione di don Bosco per gli exequatur ai vescovi
75
N. 25 DON BOSCO A MONS. GASTALDI: 14 marzo 1874
ASC 131.01 Gastaldi
Eccellenza Reverend .ma
Credo che a quest'ora la E. V. sarà già annoiata delle molte cose che si dissero e si
proposero per appianare le difficoltà di cui è cenno nell'unito foglietto. La pratica ivi tracciata è
quella che si può usare. Dal Ministro di G. e G. fu altro tempo proposta; pare che quello di Susa
non abbia fatto di più. Ella faccia come suggerisce la sua prudenza. Spero fra breve poterle
esporre ogni cosa di presenza.
Mi voglia sempre credere in tutto quello che la posso servire.
Della E. V. R.d.ma
Umile servitore
Sac. Gio. Bosco
Roma 14 marzo 1874 P. S. Dimenticavo [...]
N. 26 "LA NAZIONE": 9 aprile 1874
ROMA, 7, (L.) — (Don Bosco, e la sua missione.) — Di questa questione si è scritto
spesso in varii giornali, ma sempre assai vagamente: Don Bosco era in Roma; si adoperava con
molta alacrità; aveva una missione, così almeno dicevasi; ma non si poteva sapere in che
veramente questa consistesse, né a quale scopo mirasse, né quali o quante avesse probabilità di
riuscita. Adesso l'assunto di Don Bosco è finito: egli è sulle mosse per tornare a Torino; egli ha
perduto tempo e fatica: quindi non si può essere tacciati d'indiscretezza rivelando i suoi
propositi ed i suoi atti intieramente falliti.
Comincio con stabilire chiaro che Don Bosco non ebbe nessuna missione. Egli è un prete
piemontese, avverso ai Gesuiti, onesto, credente; che godè sempre la particolare stima e
l'affetto specialissimo del Pontefice, e fu pure sempre apprezzato e ben visto presso noi nelle
sfere più alte del potere. Nel considerare e nel deplorare le presenti relazioni della Chiesa e
dello Stato in Italia, Don Bosco si mise in mente di assumere un'ardita iniziativa: venne a Roma
non per conciliare — cosa da lui stesso riconosciuta impossibile — il Vaticano col Quirinale:
bensì per stabilire fra le due sovranità un modus vivendi che permettesse loro di andar innanzi
nel medesimo ambiente, senza osteggiarsi, cessando anzi di minacciarsi e di nuocersi a vicenda.
Don Bosco sapeva di aver contro di sé due forti correnti: quella dei gesuiti e dei sanfedisti al
palazzo Apostolico; quella degl'intransigenti e dei pretofobi accampati in Roma. Ma si fece
animo ad affrontare entrambe queste correnti, e venne qui pieno di fiducia e di speranza.
Questi sentimenti si convalidavano nell'animo suo per alcuni fatti di cui egli era in grado
di conoscere tutto il valore. Don Bosco sapeva — fino da sei mesi fa — che la discordia era
penetrata nel campo dei cattolici; che un forte gruppo deplorava la cieca resistenza della Santa
Sede, e che credeva giunto il momento di variare attitudine, cedere e transigere; che un altro
gruppo intendeva per i prossimi comizii generali abbandonare il programma: nè elettori, nè
eletti. Prevalendosi di questa

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Francesco Motto
specie di contrasto allora dissimulato, e prima che scoppiasse in aperto conflitto, Don Bosco
sperava di aver tanto in mano da indurre il Santo Padre a piegare a consigli di prudenza e di
moderazione.
Inoltre, Don Bosco ha alte relazioni fra i membri del Sacro Collegio, nella sua frazione
liberale; questi porporati, i quali vivono sul terreno della lotta giornaliera, non potendo per la
loro posizione prendere una iniziativa dinanzi al Santo Padre, pare che confortassero il prete
piemontese all'arduo assunto, e con ogni argomento lo spingessero innanzi, osservandogli che
egli non avrebbe, nel peggior caso, compromesso nulla, né alcuno. Infine, ma questa è una
supposizione dei nemici di Antonelli, si aggiunge che anco il porporato di Sonnino, più o meno
segretamente, spingesse il reverendo alla difficile prova.
Per tutti questi fatti, ai quali, come vedete, il Governo del Re e il Papa rimasero
ugualmente estranei, Don Bosco venne in Roma, e si mise all'opera.
Nei primi passi sembrò la sorte gli arridesse benigna. Governandosi con una certa abilità
verso il Pontefice, ebbe con lui ripetuti colloqui. Pio IX, che nel giorno di Pasqua pronunziò
contro l'Italia acerbissime parole, rivedute e corrette nei fogli cattolici di ieri, si mostrò con
Bosco animato da sentimenti tutt'altro che ostili verso l'Italia e verso il Re. Chi conosce a fondo
Pio IX, di simile mutabilità non si sorprende affatto. Egli parlò ripetutamente all'umile prete,
come un Padre stanco di una vita intollerabile; si lagnò di non poter vedere la sua Roma;
deplorò gli abusi della rivoluzione che naturalmente costringevano la Santa Sede a reagirvi
contro in uguale misura; non nascose, che per sé non aveva più speranze, perchè i nuovi
padroni erano nemici del Cattolicismo e non avevano rispettato nessuna delle legittime esigenze
del Capo della Chiesa... e accennavano a volerle disprezzare anco più.
Dall'insieme dei discorsi di Sua Santità, parve a Don Bosco poter argomentar questo: che
Pio IX non desiderasse di meglio che trattare per un accomodamento. Ove altri indizi non vi
fossero stati, era degno di nota speciale il seguente: Pio IX metteva spesso innanzi il nome del
barone Ricasoli parlando di lui con gran deferenza, ma non mostrando uguale stima del
Tonello, né gran concetto sul modo con cui questi aveva adempiuto alla nota missione
affidatagli: inoltre discorrendo della legge sulle guarentigie, il Papa batteva sempre e soltanto
sulla parte di quella legge che fu respinta alla Camera: per lui la legge sulle guarentigie non
esisteva, se non per gli emendamenti Peruzzi….. rigettati.
Pieno di queste idee e di questi indizi, Don Bosco credè giunto il momento di rivolgersi al
Governo del Re, ed ebbe ripetute e lunghe conferenze con Minghetti, Vigliani e Visconti
Venosta. I Ministri italiani si tennero nel maggior riserbo, rifiutando perfino di dare ai proprii
discorsi valore o colore di trattativa. Dissero che erano dolentissimi del conflitto fra la Chiesa e
lo Stato; ma che lo Stato non aveva nulla a rimproverarsi contro la Chiesa; mentre la Santa
Sede non si rimaneva dell'osteggiare e dall'insidiare l'Italia all'interno ed all'estero. Il Governo
del Re insomma aveva tre punti fissi: il potere temporale irremissibilmente perduto; la capitale
del Regno immobile in Roma; tutte le libertà nazionali sacre ed inviolabili; se la Santa Sede
avesse trovato di potersi acconciare a questa triplice necessità, l'Italia non poteva aver nessuna
difficoltà a trattare per un modus vivendi quale Don Bosco andava vagheggiando e
raccomandando.
Don Bosco crede aver fatto molto cammino, e insistendo con tenacità piemontese, riuscì
ad avere dal Papa quattro domande formali. Io tengo conto di queste: alcune

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La mediazione di don Bosco per gli exequatur ai vescovi
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altre di ordine secondario, e non venute forse tutte nemmeno in discussione, tralascio
per non far troppo lunga la storia.
Pio IX chiedeva il pagamento della lista civile assegnatagli colla legge sulle
guarentigie, senza firmare la ricevuta non solo, ma senza che la presa di possesso della
somma costituisse un atto di diretto o indiretto riconoscimento del diritto dell'Italia su
Roma, o del fatto della compiuta annessione.
Domandava, in secondo luogo, che fosse riconosciuto alla Santa Sede il libero
diritto di nomina dei vescovi; si abolisse la formalità dell’exequatur; si togliesse ogni
restrizione; il vescovo entrasse in ufficio e venisse in possesso della sua Mensa per il
solo fatto della nomina pontificia.
La terza richiesta si riferiva alla libertà d'insegnamento. Il Papa reclamava per il
clero piena facoltà d'istruzione, secondo i principii della Chiesa, e senza sindacato
dell'autorità laica.
La quarta infine riguardava il matrimonio. Il Pontefice considerava un insulto alla
Chiesa, un attentato a tutti i suoi diritti, la nuova legge dell'on. Vigliani; domandava che
questo progetto venisse ritirato; ottenuto ciò, prometteva che per quanto stava in potere
dell'autorità ecclesiastica, l'altare avrebbe fuggito qualunque complicità nei dolorosi
abusi verificati e deplorati in Italia.
In compenso di questi favori, o privilegi, o vantaggi, la Santa Sede veramente non
prometteva nulla di determinato o di positivo; ma per Don Bosco ciò non poteva avere
che un'importanza assolutamente secondaria; il grande vantaggio per lui consisteva nel
far muovere al Papa un solo passo per un accomodamento coll'Italia, anco nel solo
esercizio della di lui sovranità spirituale.
E fu così che si iniziarono le trattative coi nostri Ministri.
Quando dico trattative, uso la parola più impropria; perchè, a rigore di termine, il
Governo del Re non ammise mai di negoziare una transazione. Infatti il Governo non
trovò né la dignità, né l'interesse proprio a domandare quali vantaggi la Santa Sede gli
avrebbe dati in compenso delle concessioni cui indirettamente faceva appello. No.
Questo preme mettere in sodo: pei nostri Ministri, il Papa per mezzo di Don Bosco,
chiedeva: il Gabinetto si sentiva in dovere di rispondere ciò che poteva o non poteva
accordare.
Il primo punto sul quale Don Bosco insisteva perché le spese del Vaticano,
malgrado le ingenti risorse straordinarie, sono ordinariamente enormi, non dava luogo a
serie contestazioni. Il Governo ha in pronto i milioni: essi sono a disposizione del Papa:
per pagarli occorre una ricevuta: fin qui si era detto bastare la firma di Antonelli; ora
Pio IX non voleva uscirne con questo mezzo: se ne poteva cercare un altro
soddisfacente ad ambe le parti. Quando da un lato si vogliono pagare cinque o sei
milioni, e dall'altro si vogliono incassare, v'è sempre un mezzo per tutelare le reciproche
convenienze, e stringere il negozio.
L'incaglio cominciava alla seconda questione: il Vigliani non nascondeva a Don
Bosco che la situazione attuale pei nuovi vescovi è dolorosa e precaria: ma disposto a
cedere nella forma finché lo consentisse la legge, rifiutava di passare oltre di una linea,
non ammettendo nemmeno la possibilità di presentare una legge nuova e diversa.
Don Bosco insistè vivamente su questo punto: e avendo avuto cattive carte da
Minghetti e da Vigliani, si provò con Visconti Venosta. Ma ebbe giuoco peggiore; e
sapete perchè? Perchè Visconti Venosta finì per persuadere Don Bosco che era assurdo
pensare oggi a modificare la legge sulle guarentigie. Il ragionamento del Mi-

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Francesco Motto
nistro degli esteri fu di una semplicità desolante: quella legge fu fatta per una situazione: questa
situazione è rimasta inalterata come causa: dunque chi può sul serio proporre di variarne
l'effetto? Le relazioni della Chiesa con lo Stato possono durare sempre così? No; lo stesso
presidente del Consiglio, come deputato, proclamò la necessità di una nuova legge per regolarle
diversamente: ma dia la Santa Sede il primo esempio di muoversi, e l'Italia non tarderà a
seguirlo. Don Bosco non ebbe che ripetere.
Non migliore accoglienza ebbe la domanda circa la libertà dell'insegnamento. Lo Stato ha
leggi che regolano l'istruzione; il Governo non può rinunziare alla sorveglianza delle scuole
ecclesiastiche solo perchè ecclesiastiche, e mentre disgraziatamente appunto come
ecclesiastiche mostrarono fin qui bisogno di un sindacato attivo ed efficace.
Infine, per la nuova legge sul matrimonio civile, il Guardasigilli si mostrava dolente di
essere stato costretto a presentarla: non diceva a Don Bosco su chi pesasse la responsabilità di
questo urgente bisogno: La Chiesa, che pur troppo aveva fomentato o tollerato l'abuso, doveva
mostrarsi d'iniziativa propria deliberata a reprimerlo ed a impedirne la rinnovazione: in questo
caso il Governo e il Parlamento avrebbero — tutto al più — potuto vedere, se convenisse dare
alla legge un valore transitorio, limitato ad un numero determinato di anni.
Questi furono i risultati delle pratiche lunghissime di Don Bosco coi nostri Ministri.
Il Papa non potè comprendere le ragioni dei loro rifiuti; e ciò per un motivo semplicissimo:
Pio IX dinanzi all'Italia non tiene conto che del Governo: non dà nessun peso al Parlamento. I
consiglieri della Corona conferendo con Don Bosco, ad ogni pie sospinto, mettevano innanzi
l'autorità delle assemblee legislative: il reverendo riconosceva quella autorità, ma fino ad un
certo punto. Sua Santità non solo non la riconosceva, ma non voleva nemmeno sentirne parlare.
Si riferiscono alcune interruzioni vivacissime fatte dal Papa a Don Bosco che gli accennava alla
possibile attitudine della Camera dei deputati; ma esse, se confermano nel Santo Padre lo
spirito arguto e sarcastico di cui tanto si piace, confermano pure che egli non ha idee nemmeno
lontanamente esatte delle necessità del regime costituzionale. Che ne è, all'ultimo, avvenuto? Il
Pontefice ha rigettata addosso al Minghetti e compagni tutta la responsabilità dei rifiuti
incontrati, e si è animato contro loro di più fiero sdegno chiamandoli Frammassoni e nemici del
Cattolicesimo, e congiurati all'estrema rovina della Chiesa.
E Don Bosco ha avuto l'altro giorno un'ultima conferenza con l'on. Vigliani, per costatare
l'insuccesso completo, e per annunziargli la propria partenza per Torino.
Del resto non potrà dire di aver intieramente per conto proprio perduto il tempo, perché
uno degli scopi apparenti della sua gita è stato conseguito.
Don Bosco voleva infatti stabilire due missioni straordinarie presso gl'infedeli, una, credo,
nell'Indo-China, e l'altra nel Giappone. Si è inteso perciò col cardinale Berardi ed ha ottenuto
varie concessioni. Si proponeva inoltre fondare in Roma un Istituto d'istruzione e di educazione
simile a quello che dirige a Torino, ma per quanti sforzi abbia fatti, non gli riuscì di trovare il
locale, né i mezzi indispensabili al primo impianto.

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La mediazione di don Bosco per gli exequatur ai vescovi
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N. 27 DON BOSCO AL MINISTRO VIGLI ANI: 9 settembre 1874
ASC 126.2 Vigliarli
Roma 9 settembre 1874
Rev.do e caro D. Bosco
In questi giorni è giunta al Ministero una domanda del Vescovo di Pavia per ottenere
l’Exequatur della sua nomina. Ho veduto con molto piacere questo primo atto di ossequio alla
legge da parte di uno dei nuovi Vescovi.
Ora perché non seguono questo esempio i Vescovi di Parma e di Vigevano che Ella mi
raccomanda? La legge civile e la legge eccl.a non è una per tutti? La coscienza del Vescovo di
Pavia è forse diversa da quella degli altri suoi confratelli in Cristo? Io non lo posso e non lo
debbo credere. Li esorti Ella dunque a seguire il lodevole esempio, e il Governo compirà il suo
dovere concedendo l’Exequatur a chiunque non ne risulti affatto immeritevole.
E in questa disgustosa condizione spiacemi doverle dire che si trova il Vescovo di
Mantova condannato testé per una delle molte sue improntitudini, per non dire peggio, alla
pena del carcere che dovrà presto scontare.
Per quanto mi affligga il triste spettacolo di un Vescovo chiuso nelle carceri come
delinquente sento tuttavia il dovere di mantenere rispetto e forza alle leggi ed alle istituzioni
dello Stato. Mons.re Rota sarà una calamità per la Diocesi di Mantova che alfine sarà costretto
di lasciare, se pure non muta il suo contegno ostile al Governo ed alle sue leggi.
Non è stato possibile di far grazia all'Avv. Bertinelli da Lei raccomandato. Troppo grave è
il suo delitto e troppo lieve è la pena che gli fu inflitta e che finora egli ha scansata colla
latitanza. Si sottometta alla condanna, vada docilmente in prigione e dopo che avrà scontata
una buona parte della pena si vedrà se non sia il caso di condonargliene l'altra parte. E' cosa
singolare che un ladro di grossa somma a danno di religiosi che avevano riposta in lui tutta la
loro fiducia, abbia trovato tanti intercessori fra i Prelati Romani e sia perfino riuscito a
scroccare i buoni offici dell'ottimo Don Bosco.
Ella ben conosce quanto sia il mio desiderio di migliorare le relazioni tra il Clero e lo
Stato e fin dove io fossi disposto a spingere le agevolazioni, entro i limiti della legge, pur
rispettando certi divieti e certi scrupoli che non poteva riconoscere ragionevoli né innanzi a
Dio, né innanzi agli uomini. Ma purtroppo sono stato assai male corrisposto, ed ora mi trovo
costretto dall'inesplicabile resistenza dell'Alto Clero a mettere da banda ogni indulgenza che
possa aver sembianza di debolezza o ancor peggio di timida soggezione.
Se tutto il Clero fosse animato dai prudenti e moderati di Lei sentimenti, in tutto degni di
un virtuoso Sacerdote e di un buon suddito, Ella ed io saremmo ben presto consolati da buoni
frutti di reciproca condiscendenza se non di vera conciliazione nelle cose della Chiesa in
relazione collo Stato.
Faccia Ella adunque una savia propaganda e operi quel miracolo che alcuni forse troppo
diffidenti proclamano impossibile.
Il cielo continui a benedire e prosperare le molte di Lei opere di carità e La conservi al
bene della Chiesa ed anche dello Stato.
Godo di dirmi con verace stima
Il suo devotissimo
VlGLIANI