Omelia 18 dicembre 2009 Basilica MA

«Giuseppe fece come gli aveva ordinato l’angelo del Signore»

Omelia nel 150º anniversario della Fondazione della Congregazione

Ger 23, 5-8; Sal 71; Mt 1,18-24

Torino, 18.12.’09

Carissimi fratelli, sorelle, membri della Famiglia Salesiana, giovani,


Vorrei esprimere la mia gioia per la grazia di celebrare assieme a voi, qui a Valdocco, nella Basilica di Maria Ausiliatrice, questa eucaristia in cui esprimiamo la nostra lode e riconoscenza al Signore per il 150º anniversario della fondazione della nostra amata Congregazione, seme da cui è nata la Famiglia Salesiana. Con tutti i confratelli sparsi nel mondo, ma uniti spiritualmente oggi a noi nella Casa della Mamma, vogliamo ringraziare Dio nostro Padre e Don Bosco perché nella Congregazione abbiamo potuto realizzare la nostra esistenza in una forma piena, gioiosa, attraente, feconda e approfondire il nostro progetto di vita.


Abbiamo vissuto un autentico anno di grazia, un giubileo, in cui abbiamo voluto percorrere un cammino di rinnovamento spirituale attraverso la riscoperta del valore inestimabile della nostra consacrazione, convinti che la Congregazione avrà un futuro fecondo così come ha avuto un passato brillante, a condizione che ci siano giovani che continuino a consegnare completamente la loro vita a Dio perché sia Egli a disporre di essa e investirla nella salvezza dei giovani. Nel nostro percorso siamo stati richiamati a una più fedele osservanza delle Costituzioni, la Regola di Vita che raccoglie l’esperienza spirituale, apostolica e pedagogica del nostro Fondatore e Padre. Solo conoscendole, amandole, pregandole e mettendole in pratica potremo diventare Don Bosco un giorno dopo l’altro.


Abbiamo una meravigliosa storia di 150 anni da raccontare, ma anche una bella storia ancora da scrivere, e per farlo non c’è altra strada che partire dai giovani, credere alla loro capacità di scelte generose e coraggiose, diventare compagni di cammino ed insieme prendere in mano il “sogno del padre” per trasformarlo ogni giorno in realtà nelle più variegate situazioni e contesti in cui ci troviamo a vivere, da figli suoi, la vocazione, svolgendo la missione salesiana. I giovani continuano ad essere la parte più preziosa della nostra eredità.


Come i grandi santi fondatori, Don Bosco diede origine ad una famiglia spirituale apostolica, la Famiglia Salesiana, convinto che la salvezza dei giovani attraverso la promozione umana, l’educazione, l’evangelizzazione ha bisogno di un immenso movimento di persone che lavorino in rete, con comunione d’intenti e progetti condivisi. Nei prossimi 150 anni la storia salesiana dovrà vederci come una vera famiglia attorno a un padre comune, animati dal suo spirito, agendo sempre più chiaramente come movimento.


Oggi dunque siamo convenuti a Torino, più precisamente a Valdocco, presso la culla dove siamo nati, portando con noi tutti i confratelli, ben rappresentati dal Rettor Maggiore e dal Consiglio Generale, per celebrare con riconoscenza, gioia e responsabilità il gesto generoso, coraggioso e fecondo realizzato il 18 dicembre 1859 da quel gruppo di giovani dell’Oratorio di Valdocco che decisero di restare per sempre con Don Bosco, fare a metà in tutto, lavoro, gioie e sofferenze, assumere il suo progetto spirituale e apostolico, e impegnarsi a dare continuità e sviluppo alla missione salesiana.


Non c’è dubbio che essi hanno fatto stupendamente il loro mestiere di fondatori, come stanno a dimostrarlo la crescita della Congregazione, la fioritura della Famiglia Salesiana, l’estensione dell’opera in tutto il mondo, e la santità della nostra famiglia.


Noi accogliamo oggi questa preziosa eredità e, con il rinnovamento della professione, ci consegniamo ancora una volta pienamente al Signore e assumiamo la grazia e il compito di continuare a scrivere questa bella e significativa storia di salvezza per i giovani.


La stagione liturgica di Avvento in cui avviene questa celebrazione, e la Parola di Dio che è stata proclamata, ci offrono gli elementi di futuro. Da una parte, condividere compassionevolmente la drammatica situazione dell’umanità bisognosa di Luce, di Gioia, di Pace, di Vita, di Amore, di Dio. Dall’altra, accogliere Dio ogni giorno della nostra vita, plasmare la nostra condotta su quella del Cristo e del suo Vangelo, e prolungare nella nostra vita il suo sforzo per rendere presente il Regno di Dio.


La profezia di Geremia investe uno dei momenti più torbidi della storia d’Israele; tuttavia è un messaggio carico di speranza. Prima annuncia la venuta di un re saggio, che discende da Davide quale «germoglio giusto» per guidare i suoi da vero pa­store; poi, dichiara la fine dell'esilio, della dispersione e il ritorno d’Israele a «dimorare nella propria terra». Dio darà al suo popolo un messia, un salvatore, il cui nome sarà «Signore ­nostra‑giustizia»; la presenza del suo inviato farà più sopportabile a Israele l’attesa della salvezza di Dio.


Se questa Parola è luce per la nostra vita e speranza per “i giovani poveri, abbandonati e pericolanti” anche oggi, nell’inviato da Dio annunciato da Geremia identifichiamo noi, salesiani, Don Bosco, questo luogotenente di Dio che ci ha guidato da vero pastore ed ha assicurato la prossimità di Dio a quanti hanno in lui un padre saggio e un ottimo maestro di vita. Chi sa accogliere l’inviato di Dio, può contare ormai sulla liberazione di Dio. A un popolo smarrito e disorientato, come lo sono i nostri giovani, a un mondo confuso e disperato, come lo è il pianeta giovani, Dio ha pensato di donare speranza e salvezza. Ha fatto germogliare Don Bosco, come prova del proprio impegno nei loro riguardi e come segno del suo amore per loro.


Il re annunziato dal profeta doveva nascere per opera dello Spirito. E noi salesiani siamo certi, e fieri, che è stato lo Spirito di Dio a suscitare Don Bosco (C. 1). È così che attua Dio: per salvare gli uomini ha bisogno di uomini. Mistero della sua bontà: solo Lui può salvare, ma salva soltanto con noi e per noi. Lo ha ricordato il vangelo: Dio si è servito di Giu­seppe, uomo semplice e di profonda fede, per portare a­vanti la sua storia di salvezza incentrata in Gesù. Giuseppe non ostacola il disegno di Dio, entra nel mi­stero anche senza comprenderlo fino in fondo, si fida del suo creatore e collabora con docilità e fiducia. Dio, per realizzare il proprio disegno, la sua volontà, si serve sempre degli uomini che la accolgono e la fanno, anche se spesso misteriosa e incomprensibile. Giuseppe fu uno di quelli che, con l’obbedienza della fede, visse la sua chiamata nella ricerca di Dio e del suo volere, e portò avanti con Dio il meraviglioso disegno di salvezza. Nel figlio, che non è stato suo né mai lo diventerà in realtà, perché non sarà genitore ma padre, Giuseppe offre qualcosa di sé, la rinuncia a un presente da lui gestito per permettere a Dio di gestire la sua vita e realizzare la sua storia di salvezza.


Giuseppe è giusto non per quello che fa, ma perché rinuncia a portare avanti il proprio progetto personale; non offre a Dio quello che ha, rifiuta di darsi quello che ha sognato, una famiglia propria, un proprio figlio. Fonda così la vita sulla parola di Dio, appena intravista in sogni; non si difende da essa né la interpreta accomodandola ai propri desideri; legge gli avvenimenti e li comprende nella misura in cui interiorizza, appropriandosene, la Parola e la vive nel proprio quotidiano. Fare la volontà di Dio non lo esilia dal mondo né lo rende indifferente di fronte ai bisogni altrui. Esiste, tuttavia, una condizione previa per arrivare all’obbedienza a Dio, ed è restare in dialogo con Lui. Per riuscire a sapere che cosa vuole Dio da lui, Giuseppe deve impegnarsi ad ascoltarlo: soltanto chi sa ascoltare riesce a sapere a che cosa obbe­dire; solo colui che si pone in religioso a­scolto è 'impiegato' dal Signore per i suoi piani a van­taggio degli uomini, come lo furono Maria e Giuseppe, e come lo furono Giovanni Bosco e i 17 giovani che con lui fondarono la Congregazione Salesiana.


Come Giuseppe, Don Bosco conobbe la volontà di Dio in un sogno. In esso conobbe a chi si doveva consacrare (i giovani a rischio), come fare della vita una missione (la presenza e l’amorevolezza) e su chi contare (Maria, la madre di Gesù). A tutti noi Dio ha voluto scoprire il suo sogno invitandoci a farlo nostro con la nostra obbedienza. Seguire il sogno farà sì che Dio faccia fiorire nel cuore dei nostri giovani il germoglio giusto, il suo regno di giustizia e di pace con la ricchezza dei suoi valori umani, che si espanda come luce su tutti i popoli. Dio non si farà ‘Dio-con-noi’ se noi non condividiamo il suo sogno di salvezza, collaborando alla sua opera.


Per avere salvezza, e averla in abbondanza, i nostri giovani hanno bisogno di Dio e di noi. Siamo stati chiamati per nome per stare con Lui ed essere inviati ai giovani ad essere per loro un segno dell’amore di Dio, del suo impegno per la loro felicità, per la loro riuscita in questa vita e la loro pienezza nell’eternità.


Oggi come 150 anni fa, per rendersi presente tra i giovani, specialmente i più diseredati ed emarginati, e per salvarli, Dio ha bisogno di noi, della nostra fede fatta di rinuncia ai nostri progetti, e di assunzione del suo, come Giuseppe che “fece come gli aveva ordinato il Signore”.


Con il rinnovo della professione vogliamo esprimere la nostra disponibilità incondizionata a Dio, perché trovi in noi – come ha trovato in Don Bosco – i collaboratori che sta cercando. Facciamo nostro il sogno di Don Bosco, che è il sogno di Dio. Facciamo nostro il gesto generoso e coraggioso di quel gruppo di giovani radunati attorno a Don Bosco una sera come questa, 150 anni fa, e Dio continuerà a scrivere la sua storia di salvezza. Maria ci sia sempre e ovunque Madre, maestra e guida. Amen.


Don Pascual Chávez V., SDB

Rettor Maggiore