Omelia: solennità di San Giovanni Battista

Il Rettor Maggiore

Omelia nella Solennità di San Giovanni Battista

Festa del Rettor Maggiore e Comunità RMG e Vaticano

Casa Generalizia, Roma

2014.06.24




Carissimi fratelli, prima di tutto grazie per la vostra vicinanza e per le tante dimostrazioni di affetto a me e a quello che rappresento da quando il Signore mi ha chiamato a questo servizio. Il vostro amore per Don Bosco è forte e ben radicato, grazie della vostra testimonianza che aiuta anche me a donarmi sempre di più a voi e alla Congregazione, e, insieme, ai giovani!

Grazie anche a quei confratelli che in questo anno celebrano i diversi giubilei, sia di professione religiosa come di ordinazione: don Maria Lawrence, don Pascual Chávez, don Francesco Motto, don Francesco Maraccani, don Marian Stempel e don José Pastor. La vostra testimonianza e fedeltà sono oggi motivo di festa per tutti noi perché la vostra gioia è anche nostra: siamo fratelli!

Dio ci ha regalato una meravigliosa e bellissima vocazione: “essere nella Chiesa segni e portatori dell'amore di Dio ai giovani, specialmente i più poveri” (C. 3) Ed è vivendo questa vocazione insieme che “troviamo la via della nostra santificazione”!

Quest'oggi, la Scrittura ci presenta il secondo canto del Servo del Signore per aiutarci ad avere una chiave di lettura sulla nascita, vocazione e missione di Giovanni, il precursore. Appropriamoci di queste parole dette oggi anche a noi.


«Il Signore dal seno materno mi ha chiamato, fino dal grembo di mia madre ha pronunciato il mio nome». Quanto bene ci fa saperci scelti dal Signore da sempre, dall'inizio della nostra vita, con tenerezza e costanza, con vicinanza e il dono di una famiglia che ci ha atteso e accolto con gioia. Una famiglia che dopo la chiamata del Signore a seguirlo più da vicino si è allargata immensamente nel tempo e nello spazio. Egli ci ha chiamato a vivere in comunità per amare, per essere amati, per vivere in tal modo la nostra familiarità di diventare ambiente di crescita e salvezza per tutti, soprattutto per quelli che hanno più mancanza di affetti, di qualcuno che si occupa di loro, che li protegge e si prende cura di loro. Siamo stati chiamati dal seno materno per essere annunciatori di fraternità e familiarità in un mondo tante volte senza tenerezza e indifferente... Noi siamo fratelli e famiglia, non soltanto per sentirci bene, ma per servire opportunamente i giovani! Loro hanno bisogno della nostra fratellanza e amicizia! E quanto ci fa bene e ci piace essere amici dei giovani per aiutarli a crescere nella vita quotidiana, per aiutarli a conoscere Gesù, il Signore della Vita!

Sicuramente queste motivazioni e sogni sono sorti nei nostri cuori all'inizio del nostro cammino vocazionale e in tanti momenti della nostra vita.


Ma anche è possibile che qualche volta abbiamo risposto come il profeta: «Invano ho faticato, per nulla e invano ho consumato le mie forze...» Mi sembra naturale e umano avere questi momenti... Mi domando se qualche volta anche alcuni qui a casa possano sentirsi così... Anche qui la nostra fratellanza e vicinanza sono come i bastoni che ci aiutano a fare un passo più sicuro, a sostenerci a vicenda per dire insieme: «Ma, certo, il mio diritto è presso il Signore, la mia ricompensa presso il mio Dio». Don Bosco ci ha insegnato a cercare Dio insieme. Insieme tra di noi e insieme ai giovani che sono la nostra strada più sicura per trovare Dio! Le nostre Costituzioni raccolgono questo desiderio del nostro Padre e Maestro: “Don Bosco voleva che nei suoi ambienti ciascuno si sentisse 'a casa sua'. La casa salesiana diventa una famiglia quando l'affetto è ricambiato e tutti [...] si sentono accolti e responsabili del bene comune, [quando] in clima di mutua confidenza e di quotidiano perdono si prova il bisogno e la gioia di condividere tutto e i rapporti vengono regolati non tanto dal ricorso alle leggi, quanto dal movimento del cuore e dalla fede”. (C. 16)

Affetto ricambiato”, “accoglienza”, “responsabilità del bene comune”... si tratta di una intercomunicazione intensa che diviene base e fondamenta di una vera casa salesiana dove si vive lo “spirito di famiglia”.

Noi siamo qui membri di queste due case che dipendono direttamente dal Rettor Maggiore e sono chiamate a “...coadiuvare, con differenti forme di servizio, il Rettor Maggiore ed il suo Consiglio nella loro missione di unità e di animazione nella Congregazione e nella Famiglia Salesiana.”1

Carissimi, il nostro primo servizio è essere fedeli alla nostra vocazione e manifestare la pienezza della nostra vita consacrata e vissuta insieme, testimoniare la nostra fraternità e disposizione di servizio per tutti, di accoglienza, affetto reciproco e gioia.

E per essere fedeli a questo compito, non basta che i nostri rapporti siano corretti, cortesi, formali, talvolta burocratici, ma devono diventare “personali”. Le Costituzioni ci spingono a vivere rapporti di amicizia che investono la vita intera, come so che vi sottolineava qualche giorno fa Miguel Ángel nel ritiro trimestrale.

Anche i rapporti di autorità e obbedienza, nella nostra tradizione “...vengono esercitate in quello spirito di famiglia e di carità che ispira le relazioni a stima e fiducia reciproca” (C. 65) Non siamo qui soltanto per lavorare in questo o quello. È vero che dobbiamo lavorare e molto! Ma il Signore ci ha riunito qui a Roma o Vaticano per vivere la nostra vocazione salesiana, aldilà delle caratteristiche “speciali” di queste due opere. Anzi, direi che proprio qui dove siamo “differenti” dalle altre case salesiane.

Don Bosco ci ha insegnato a vivere lo spirito di famiglia ovunque perché così era il suo cuore e così è stata la sua vocazione: essere padre, maestro e amico! Come egli stesso racconta nella sua “Lettera da Roma”: “negli antichi tempi dell'Oratorio... l'affetto era quello che ci serviva di regola”.

Uno dei segni più sicuri dello spirito salesiano è quell'aria di disinvoltura, di libertà, di fantasia, di gioia, che circola in una casa salesiana. Nessuno si sente costretto, non si ha paura, si dice ciò che si pensa, si porta il proprio contributo personale, generoso e creativo, si inventa! Ognuno si sente utile e si trova disponibile per qualche piccolo o grande servizio fatto volentieri. Vivere e lavorare con questi atteggiamenti è vivere il Vangelo!2

Carissimi, noi in queste case della Pisana e del Vaticano siamo chiamati a vivere in questo modo. La nostra missione qui è ciò che ci dice oggi il profeta: «Io ti renderò luce delle nazioni, perché porti la mia salvezza fino all'estremità della terra». Le nostre comunità sono state chiamate a prestare un servizio a tutta la Congregazione e la Chiesa, alle società più diverse culturalmente senza che importi la distanza, la lingua, persino la religione, sempre che il nostro servizio caratteristico sia la educazione e l'evangelizzazione soprattutto in favore dei giovani più poveri. Anche qui, lontani fisicamente da un rapporto quotidiano con i giovani, deve splendere la forza e l'originalità del Sistema Preventivo di Don Bosco: ecco il nostro marchio e logo.

Tutto il mondo, prima o poi ci guarda, aspetta da noi la testimonianza di una vita salesiana piena anche se vissuta in un modo del tutto originale, in una casa che è più che un insieme di mattoncini rossi o un bel palazzo dentro le mura...


Se si tratta di vivere il Sistema Preventivo, anche tra di noi, e qualche volta non sappiamo come fare... non abbiamo paura, perché abbiamo la Maestra giusta! Maria, la Madre di Gesù, ha insegnato a Don Bosco e lo ha guidato ogni giorno della sua vita. Sono certo che anche a noi ci prende per mano, ci accarezza con tenerezza materna, ci incoraggia e ci spinge a fare della Pisana e della comunità del Vaticano una vera famiglia, aperta e accogliente, che prende cura dei suoi membri, che si fa luce delle nazioni e portatrice di salvezza fino all'estremità della terra.


Grazie, carissimo Padre don Bosco, per averci mostrato il cammino di grazia dello spirito di famiglia!


1Direttorio RMG, art. 1

2Cfr. Il progetto di vita dei salesiani di Don Bosco, pag. 186.

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