Intervista alla rivista Vita religiosa (01.01.'10)

ENTREVISTA PARA LA REVISTA “VIDA RELIGIOSA”



1. ¿Qué diagnóstico ofrece D. Pascual Chávez de la vida consagrada en este, recién estrenado, 2010?


Come aveva affermato Giovanni Paolo II, la vita consacrata non ha solo “una gloriosa storia da ricordare e da raccontare, ma anche una grande storia da costruire”.1 Perciò anche se consapevoli del disagio che essa sta attraversando soprattutto in Europa, dovuto all’invecchiamento inarrestabile del personale, allo scarso flusso vocazionale e al nuovo contesto sociale, culturale ed ecclesiale, credo di poter affermare che l’impegno di rinnovamento di Ordini, Congregazioni e Istituti a partire del Concilio Vaticano IIº non è stato inutile, anzi sta dando i suoi frutti.

E’ vero che la vita consacrata in Europa ha sofferto un indebolimento e si trova attualmente in difficoltà a rispondere ai bisogni e alle richieste della Chiesa. A suo tempo Paolo VI chiese l’aiuto per l’America Latina, specialmente dopo la Conferenza del CELAM a Medellin; in seguito Giovanni Paolo II chiese l’aiuto per Africa, Asia ed Est d’Europa. In entrambi i casi i nostri istituti religiosi risposero con generosità inviando missionari europei; oggi è pure da rilevare il grande apporto che i religiosi di America Latina, Asia ed Africa stanno offrendo alle Chiese di altre continenti.


A ciò si deve aggiungere il bisogno, che sentiamo in maniera viva, di accompagnare la nuova realtà della vita consacrata che sta sorgendo in Asia ed Africa e gli sforzi che Ordini, Congregazioni ed Istituti stanno facendo in questo senso. Certo, ci piacerebbe trovare una profonda e convinta comprensione della vita consacrata da parte dei Vescovi e il loro appoggio nell’offrire una solida formazione alle nuove generazioni a religiosi e religiose.


Più concretamente, a partire dal Congresso del 2004, noi vogliamo interpretare e vivere la nostra vita consacrata, vivendo una grande passione per Cristo e una grande passione per l’umanità. Perciò le nostre priorità sono:


  • la spiritualità: la Parola e l’Eucaristia deve diventare veramente il centro della vita della persona consacrata e della comunità religiosa, chiamate a essere segno e memoria vivente della dimensione trascendente che esiste nel cuore di ogni essere umano;

  • la comunità: siamo consapevoli che la testimonianza della comunione aperta a tutti, specialmente a coloro che sono in necessità e hanno bisogno, è fondamentale nella costruzione del nostro mondo;

  • la missione: la vita consacrata è chiamata ad andare sulle frontiere missionarie come l’esclusione, la povertà, la secolarizzazione, la cultura, la formazione e l’educazione a tutti i livelli; sono questi i “luoghi” dove essa deve essere presente per esprimere la dimensione missionaria della Chiesa; missione è però anche la “passione”, intesa come sofferenza o malattia, di tanti religiosi che pregano per la Chiesa e per le vocazioni, e la “passione”, intesa come martirio, di tanti religiosi incarcerati o trucidati a causa del Regno; essi sono la migliore espressione del Vangelo.



2. La revisión de posiciones o reestructuración de los institutos religiosos tiene que suponer, ante todo, un proceso espiritual, una lectura del momento presente como signo de los tiempos... ¿Estamos centrados en ese esfuerzo?


Eccome! La USG ha già dedicato una Assemblea semestrale nel novembre del 1998 a questa sfida con il tema «"Ridisegnare" le presenze e "ricollocare" i carismi». La “presenza” infatti manifesta immediatamente l’identità e la vitalità di un carisma o di una forma di vita consacrata; essa è la sua realizzazione visibile.


Alla “presenza” si riferiscono molti elementi di significatività; o meglio, essa è il punto di congiunzione di aspetti fondamentali della vita consacrata. Su di essa influiscono innanzitutto le persone singole, il tono della loro vita, quello in cui credono e per cui si giocano, le loro scelte di fronte alla cultura, ciò che si propongono di essere e che riescono a comunicare. I carismi nel loro apparire e nel loro affermarsi sono collegati a una esperienza “personale”. Similmente la “presenza” è strettamente collegata alla vita della comunità: il suo stile di rapporti, la sua capacità di accoglienza e partecipazione, il suo coinvolgimento nel contesto, la sua vicinanza alla gente, le manifestazioni della sua scelta di Dio. La comunità infatti si pone come segno della fraternità, della comunione ecclesiale, della presenza di Dio nella famiglia umana.


L’immagine che la “presenza” dà di se stessa dipende dal tipo di servizio che offre, dalla mentalità che veicola, dalla collocazione nel contesto culturale e sociale, dai mezzi che si utilizzano. Nel discernimento per ridisegnare le presenze si può privilegiare qualcuno di questi aspetti, in particolare quelli che risultano più rilevanti per il carisma, come ad esempio: la fraternità, la missione ..., o che si considerano “generatori” di nuovi atteggiamenti, rapporti e mentalità.


Le presenze locali, collegandosi tra di loro, offrono un’immagine particolare, diventano l'espressione di una forma di vita consacrata. Viviamo in ampi spazi intercomunicanti; immagini e messaggi si diffondono, si confrontano, si sommano; le iniziative si completano a vicenda e si integrano. Per incidere si consigliano le sinergie, il lavoro a "rete". Oggi è indispensabile considerare anche la presenza “a raggio ampio” di una provincia sul suo territorio, quella dell’Istituto medesimo e forse della vita consacrata presa nella sua totalità, almeno per quanto riguarda alcune prese di posizione. Ciò apre prospettive interessanti.


In questa nostra "ora", segnata dalla comunicazione sociale, è particolarmente necessario rendere “visibile” il carisma, trasmettere con immediatezza le ragioni della nostra speranza e il senso della nostra scelta.


Il processo di discernimento porta allora a scoprire e nominare gli elementi che creano una frattura tra ciò che la gente sente ed immagina circa le nostre parole e il nostro tipo di presenza, di vita, di lavoro. Bisogna infatti essere così vicino a loro in modo da farsi capire, senza però annacquare la "differenza" che caratterizza la vita consacrata. La vita consacrata deve non solo rispondere alle sfide; ma essa stessa lanciarne delle nuove alla visione "chiusa", al desiderio di possesso, alla ricerca del piacere immediato. E' interessante leggere i segni dei tempi, ma occorre scriverne dei nuovi. Si deve entrare in dialogo con la mentalità corrente, ma pure immettere in essa elementi che non stanno nella sua logica.


Ciò che deve guidare il processo non è solo un ridimensionamento per riorganizzare le forze diminuite, ma nuove modalità di presenza e di azione che rispondano a sensibilità ed urgenze attuali e siano, per il loro significato, anche capaci di rigenerare le risorse. Inoltre, anche se la scelta delle priorità va fatta sulla base del riferimento carismatico, occorre fare i conti anche con variabili di tipo organizzativo, quali il tempo, le disponibilità le persone, le risorse, ecc.


L'esperienza dei diversi Istituti mostra che sono possibili simultaneamente:

  • ristrutturazioni interne di presenze mediante il cambio di finalità, l'attenzione a nuovi destinatari, la proposta di nuovi servizi, la ridefinizione del ruolo dei religiosi in modo che siano “nucleo animatore” e la maggior responsabilità dei laici, i cambiamenti nella forma di gestione, i tagli di settori considerati meno fecondi;

  • la ridistribuzione delle forze tra le presenze esistenti conforme ad una valutazione della loro significatività, portando a rafforzarne alcune ed ad indebolirne altre;

  • l'apertura di nuove presenze negli ambiti giudicati più fecondi e secondo le condizioni più adeguate per la significatività;

  • la chiusura di quelle che per le finalità, le esigenze di personale o il peso di gestione non rispondono alle condizioni attuali della vita consacrata, del personale e delle domande.


Ridisegnare le presenze comporta un processo comunitario di corresponsabilità, un percorso specifico di discernimento e decisione, una preparazione delle persone per i nuovi ruoli, un itinerario di attuazione che è necessariamente graduale senza per questo essere lento.



3. Se habla mucho de vida consagrada envejecida, pero también hay jóvenes consagrados. ¿Cómo son?, ¿qué están ofreciendo de nuevo a la consagración?


Anche qui ci troviamo con un tema già affrontato dalla Unione dei Superiori Generali a ridosso del Congresso dei Giovani Religiosi. In effetti l’Assemblea di novembre del 1997, intitolataVerso l'avvenire con i giovani religiosi - Sfide, proposte e speranze”, ha tentato di conoscere meglio la realtà della nuova generazione di religiosi. A questo si aggiunge la riflessione fatta in seguito al Congresso Internazionale sulla VC organizzato dalle due Unioni USG e UISG nel novembre del 2004 con il tema “Passione per Cristo, passione per l’Umanità”.


Le assemblee seguenti della USG misero a fuoco i seguenti temi: “Ciò che sta germogliando” (maggio 2005); “Fedeltà e abbandoni nella Vita Consacrata” (novembre 2005); “Per una Vita Consacrata fedele” (maggio 2006). Come si vede, c’è stato lo sforzo di capire ed accompagnare meglio la novità che la vita consacrata in genere sta vivendo, e quella in particolare rappresentata dai giovani consacrati.


Vorrei sintetizzare in tre tratti la novità dei giovani consacrati: la loro ricerca di una profonda esperienza di Dio, la loro voglia di comunione anche se non sempre accompagnata da desiderio di comunità, la loro dedizione alla causa dei più poveri ed emarginati. Queste caratteristiche sono sovente collegate a fragilità psicologica, inconsistenza vocazionale, marcato soggettivismo.


Questa triplice sfida può essere positivamente risolta con una formazione che faccia della storia di ogni persona l’orizzonte e il cammino di autentica realizzazione umana. La formazione deve inoltre comprendere ed accettare che la libertà è il valore supremo della realizzazione umana in quanto “terminus a quo”, come punto di partenza, ma non come “terminus ad quem”, perché alla fine l’unico valore assoluto, che è in grado di realizzare la meravigliosa opera della piena trasformazione umana, è l’amore. La formazione sappia poi demitizzare l’esperienza, questa parola magica ricorrente, perché ciò che conta non è il valore dell'esperienza, bensì l'esperienza del valore da interiorizzare ed assimilare.


Finalmente, bisogna parlare di una realtà che nel nostro tempo implica l’andare “contro corrente”: la formazione alla rinuncia. Detto paradossalmente, bisogna propiziare l'esperienza della rinuncia. Anzi, giocando con le parole, direi che non bisogna soltanto proporre l'esperienza della rinuncia, ma anche, in molte situazioni, è necessaria la rinuncia all'esperienza, una delle cose più difficili da capire e da accettare, oggi. Da qui il bisogno pressante di formare alla libertà interiore, che ti permette fare scelte coraggiose ed evangeliche e di ordinare la vita attorno ad esse.



4. La multiculturalidad es un hecho global. La vida consagrada es multicultural. Señale las aportaciones más significativas que recibimos de la vida consagrada en América, África, Asia, Oceanía y Europa.


Nell’assemblea semestrale della USG di maggio del 2009 abbiamo appunto voluto dedicare la nostra riflessione a questo argomento, con il tema: “Cambiamenti geografici e culturali negli Istituti di Vita Consacrata: sfide e prospettive”.


C’era una duplice giustificazione del tema, una per certi versi congiunturale e un’altra sostanziale. La motivazione congiunturale era determinata dalla ripresa dei Sinodi continentali, a cominciare da quello del Africa, che stanno per realizzarsi ancora una volta; con la nostra riflessione abbiamo espresso l’impegno a seguire da vicino il cammino attuale della Chiesa. La motivazione sostanziale è suggerita dal bisogno avvertito di riflettere su una nuova realtà, vale a dire, il decentramento della Chiesa e della Vita Consacrata verso la periferia.


Il tema è particolarmente interessante, perché non sempre risulta chiaro definire quali cambiamenti, spostamenti geografici ed equilibri culturali si stanno generando nella Vita Consacrata; si vede perciò più che mai necessario incominciare a descriverli ed a comprenderli. Si costata infatti che non sempre gli Istituti sono consapevoli dei cambiamenti che stanno avvenendo. Ci sono mutamenti demografici nei continenti che hanno delle conseguenze sulla crescita vocazionale; c’è poi la realtà dell’invecchiamento, cui si aggiunge lo scarso flusso vocazionale nei paesi tradizionalmente ricchi di vocazioni.


Non è facile neppure individuare le sfide che al riguardo interpellano la vita consacrata. Un esempio chiaro è rappresentato dal numero crescente di vocazioni tribali che arrivano alla vita consacrata. I candidati hanno un background familiare e culturale debole e possono talvolta trovarsi a dover lavorare in opere degli Istituti che si trovano nelle città, o comunque fuori dal loro contesto culturale, senza la dovuta preparazione o inculturazione.


Inoltre è ormai fuori dubbio che la comunità ha necessità di trovare nuovi modelli d’incarnazione; la vita consacrata presenta sempre più situazioni multiculturali al suo interno. Il governo degli Istituti è alla ricerca di nuove vie che favoriscano, insieme agli equilibri culturali, anche l’unità e la comunione. Anche a questo livello, si pongono nuovi problemi di inculturazione del carisma e della formazione.


C’è da dire, poi, che i cambiamenti provocano scelte non sempre riflesse. Per mantenere attività e opere o per sostenere i processi di evangelizzazione, per esempio, si prende la decisione di importare vocazioni da altri continenti verso l’Europa, ma poi ci si accorge che la soluzione risulta inadeguata. Le scelte di fronte ai cambiamenti hanno bisogno perciò di essere meglio illuminate.


La nostra riflessione ha voluto centrare l’attenzione su due realtà, con le quali si misura oggi la vita consacrata: lo spostamento dal centro alla periferia e l’interculturalità che caratterizza sempre più le comunità religiose. Se il primo fatto fa riferimento alla universalità della Chiesa e dunque della vita consacrata, chiamate ad inserirsi in tutte le culture, il secondo evidenzia un elemento non accidentale, dal momento che il modo stesso di essere della vita consacrata porta persone diverse a vivere insieme, uniti da un carisma come segno e testimonianza di comunione al servizio di una missione condivisa.


La fede nel Signore Gesù, che chiama a vivere il Vangelo nella specificità del carisma e missione degli Istituti, permette a persone così diverse, nei caratteri, nella formazione, nell’età, nelle aspettative e, non ultimo, nelle culture, di formare vere comunità di fratelli e sorelle uniti dall’Amore. La “verità del Vangelo” è dunque la chiave di interpretazione della vita consacrata nella diversità dei contesti e nella interculturalità delle comunità, il suo criterio di verifica, l’autentica Regola di vita.


Infatti, l’amore fraterno in comunità non è il risultato della simpatia reciproca, ma è frutto di un cammino di conversione in cui i religiosi e le religiose apprendono ad amare il Signore sopra ogni cosa attraverso i segni visibili della comunione fraterna. Per questo essi si impegnano a riconoscere il valore delle diversità che emergono nelle relazioni, coltivando insieme le qualità che aiutano a realizzare «una sintesi concreta di che cosa sia non solo una evangelizzazione della cultura ma anche un’inculturazione evangelizzatrice e una evangelizzazione inculturata» (VFC, n. 53).



5. La vida consagrada en la Iglesia está convencida de su servicio en pro de la comunión... ¿Dónde apoyar la comunión en medio de la diversidad? ¿Cómo superar la tentación de la uniformidad?


In vista di una maggiore significatività sociale, politica e culturale e fecondità spirituale, pastorale e vocazionale la comunione è dono da accogliere, ma anche una missione che viene affidata ai consacrati non solo attraverso la testimonianza silenziosa, ma attraverso un’azione mirata. Forti di una esperienza personale di fraternità che è dono di Dio, i consacrati, come singoli e comunità, sono chiamati a espandere, rafforzare o ricreare la comunione: diventano "esperti di comunione"2, lievito di unità, operatori di riconciliazione.


Sovente tendiamo a considerare, come scontato, il ruolo di comunione a cui i religiosi sono chiamati nella Chiesa universale e in quelle particolari. Questo ruolo può avere nuove espressioni in un inserimento più visibile in queste chiese mediante servizi specializzati e la testimonianza del senso di universalità che è congeniale agli istituti religiosi.


La missione di comunione riguarda anche i rapporti tra i consacrati. “Memori dell'amicizia spirituale che spesso ha legato sulla terra i diversi Fondatori e Fondatrici, essi, restando fedeli all'indole del proprio Istituto, sono chiamati ad esprimere una esemplare fraternità, che sia di stimolo alle altre componenti ecclesiali nel quotidiano impegno di testimonianza al Vangelo”3.


E, grazie a Dio, non mancano nuove insistenze pratiche in merito. Alla partecipazione attiva negli organismi di animazione, comunicazione e coordinamento, "per capire il disegno di Dio nell'attuale travaglio della storia e rispondervi con iniziative apostoliche adeguate"4, si aggiunge la possibilità di stabilire collaborazioni sistematiche e stabili tra diversi istituti per determinate iniziative che richiedono convergenza di competenze e risorse. Lo si è provato già con i centri di studio. La complessità del contesto attuale e le nuove esigenze dell'evangelizzazione portano non solo a concordare le impostazioni e linee, ma anche a pensare ad alcune iniziative in collaborazione.


Dentro ancora della comunione ecclesiale, ma anche oltre, i religiosi sono invitati a dare origine a vasti “movimenti”, “aggregazioni” o “famiglie” di e con i laici. Il fattore aggregante può essere il desiderio di partecipare nello spirito e missione dell’Istituto nel caso dei “vicini e associati”5, un interesse culturale o sociale comune (pace, ecologia, diritti umani, volontariato,...), un'iniziativa concreta. In tali aggregazioni, i religiosi prendono parte sinceramente nell'azione in favore di cause giuste e danno un contributo specifico di riflessione e di solidarietà.


Sempre più si auspica, inoltre, la costituzione di comunità internazionali ed interculturali che, facendone esperienza, diventino laboratori di accoglienza e valorizzazione delle diversità.


L'Esortazione apostolica “Vita Consacrata” ha visto poi la vita religiosa come spazio privilegiato per il dialogo tra le grandi religioni6, perché alla sua origine c’è una opzione che, in termini generali, è condivisa da tutte le persone profondamente religiose. Questa attenzione diventa dunque una mentalità da acquisire, una pratica da mettere in atto in tutte le presenze ed uno spazio dove collocare comunità con finalità specifiche.



6. Finalmente, de cara a la celebración del día de la vida consagrada, ¿Cuál es el mensaje del Presidente de la USG?


Nei suoi cinquantatre anni di vita7, l'USG ha dovuto affrontare i continui e rapidi cambiamenti della Chiesa, della vita consacrata e della società. Dopo il Sinodo del 1994 con la conseguente Esortazione apostolica post-sinodale “Vita Consecrata” (1996) e dopo la pubblicazione dell’Istruzione “Ripartire da Cristo. Un rinnovato impegno della Vita Consacrata nel Terzo Millennio” (2002), abbiamo nuovamente preso coscienza del significato dei nostri carismi, della missione che abbiamo nella Chiesa, degli impegni che derivano dalla fedeltà a Cristo, al Popolo di Dio, ai nostri Istituti e all'uomo e alla donna di oggi (cfr. VC 110).


La cultura odierna, in particolare il mondo della comunicazione sociale e la globalizzazione, aprono anche per noi nuove prospettive e presentano problemi inediti. Ciò esige dall’USG una rinnovata volontà di servire la vita consacrata. Abbiamo bisogno di rilanciare, con fedeltà creativa, il dinamismo e l’intraprendenza delle origini dell'Unione, affinché essa continui ad essere una presenza viva ed attiva nella Chiesa, al servizio di una spiritualità di comunione e di condivisione. Siamo chiamati a discernere nuove vie per un dialogo più efficace con la Sede Apostolica e con le Conferenze Episcopali, per una maggiore collaborazione tra i nostri Istituti, e con le Conferenze nazionali o continentali dei religiosi.


Ogni Istituto di Vita Consacrata è profondamente consapevole che i processi di rinnovamento richiedono risposte, che passano attraverso 1) un ritorno continuo alle sorgenti di ogni vita cristiana; 2) un ritorno continuo all’ispirazione originaria degli istituti; 3) un adattamento degli istituti alle mutevoli condizioni dei tempi. C’è però prima un criterio che diventa normativo, vale a dire, le tre richieste di questo rinnovamento vanno prese insieme: simul!. Non ci può essere nessun rinnovamento adeguato con una sola di tali prospettive. Inoltre con la crescita dei nostri Istituti in Asia ed Africa l’inculturazione e l’interculturalità diventano un’urgenza; analogamente sentiamo fortemente gli impegni per l’evangelizzazione in Europa. In queste prospettive la Vita Consacrata è interpellata a rinascere.



Grazie.

Roma, 1 de enero 2010




Don Pascual Chávez V, SDB

1 GIOVANNI PAOLO II, Vita consecrata, 110.

2 cf. VC. 46

3 VC. 52

4 VC. 53

5 VC 54-56

6 cf. VC 101-102

7 L’organizzazione fu riconosciuta ufficialmente dalla Congregazione dei Religiosi nel marzo 1955, con il titolo di Unione Romana dei Superiori Generali. Una dozzina di anni dopo, nel 1967, fu elliminato dal titolo il termine “Romana”.