RM-Omelia per l’ eucaristia di chiusura del CG 21 FMA


Beati piuttosto quelli che ascoltano

la parola di Dio e la mettono in pratica

Sir 51, 18-24.27-30; Sal 18; Lc 11, 27-28

(Omelia per l’ eucaristia di chiusura del CG 21 FMA)


16 novembre 2002




Al termine di questo evento pentecostale che è stato per voi, care Sorelle, il Capitolo Generale 21, sgorga spontaneo dal cuore il più vivo ringraziamento a Dio, nostro Padre, per le grazie versate su di voi e su tutto l’Istituto. Come in vasi comunicanti, questa grazia si riversa anche su noi, Salesiani, e sull’intera Famiglia Salesiana.


Grazia sono stati, fin dall’inizio, gli esercizi spirituali a Mornese, dove siete andate ad attingere ispirazione, ripercorrendo la strada e le tracce di Maria Domenica Mazzarello; e grazie si sono effuse sulle varie tappe dell’impegno capitolare: anzitutto, l’analisi dello stato del vostro Istituto, ponendo in evidenza le risorse, le tendenze, le sfide; poi, lo svolgimento del tema Nella Rinnovata Alleanza l’impegno per una cittadinanza attiva; le elezioni della Madre e del suo Consiglio, che hanno il compito di guidare l’Istituto in questo momento della storia; l’udienza con il Santo Padre, come espressione dell’amore alla Chiesa nella figura del successore di Pietro, e il messaggio che vi ha rivolto; infine, l’approvazione del documento finale. Queste sono tutte ragioni che ci muovono a celebrare l’Eucaristia, affidando al Signore, attraverso Maria Ausiliatrice, l’assunzione e l’applicazione del CG21 da parte di tutto l’Istituto.


Potete essere sicure che da parte nostra il documento verrà accolto, per ricavarne il frutto prezioso che volete offrirci.


Avete scelto per questa Eucaristia la liturgia di Maria, discepola del Signore, perché trovate in essa un’icona molto significativa del discernimento (come atteggiamento e come processo) che avete operato in questo Capitolo. Si tratta di una vera strategia di cambiamento nella vita e quindi generatrice di scelte evangelicamente coraggiose.


I testi biblici (Sir 51, 18-24.27-30; Lc 11, 27-28) ci fanno vedere infatti che la sapienza, che è ricerca di Dio e della sua volontà nelle vicende della vita ordinaria, è frutto della preghiera – perché è un dono di Dio – e della conversione del cuore. La si coltiva alla scuola del Maestro, facendo proprio l’atteggiamento di Maria di Betania che, «seduta ai piedi del Signore stava ad ascoltare quel che diceva»; e diventa fedele nell’osservanza della Parola di Dio, organizzando la vita personale all’insegna dello Spirito.


Appunto perché è dono di Dio e non conseguenza di uno sforzo intellettuale, questo cammino di sapienza richiede una grande umiltà e spogliamento di sé stessi, per non sovvertire i ruoli e prendere noi il posto del Maestro, alla maniera di Marta, che si azzarda a dire a Gesù: «Signore, non vedi che mia sorella mi ha lasciata da sola a servire? Dille di aiutarmi!». Ecco Marta che vuol insegnare al Maestro e dirgli che cosa deve fare!


La sapienza è un dono di quelli/e che coltivano “la purezza di cuore”, che fa “vedere Dio”, che rivela i misteri del Regno ai piccoli e fa conoscere Cristo e la sua “logica della croce”.


Questa è stata appunto la grandezza di Maria, non tanto per la sua maternità fisica quanto per la sua maternità spirituale: l’essere vera figlia del Padre, tutta dedita a compiere la sua volontà; l’essere fedele sposa dello Spirito, docile alle sue ispirazioni e mozioni; l’essere attenta ascoltatrice del Verbo, sino ad accoglierlo e renderlo carne della sua carne. La grandezza di Maria, proclama Gesù, è stata il suo essere discepola, vale a dire, la sua capacità di permettere a Dio di essere Dio, di sapersi e volersi serva, di credere in Lui e affidarsi completamente a Lui, con l’apertura più illimitata, senza riserve, e quindi essere capace di cambiare il suo progetto di vita quando scopre quello di Dio, e di realizzarlo sino alla fine. «Beati piuttosto quelli che ascoltano la parola di Dio e la mettono in pratica». Ecco la beatitudine di Maria!


In questa scena evangelica Luca ci fa scoprire il segreto che Maria porta nel cuore come un tesoro: la Parola ricevuta nell’annunciazione, che Lei ha saputo accogliere ed incarnare. Con le parole di Sant’Agostino: “Maria credette a Dio con la sua mente, lo amò con il suo cuore e lo incarnò nel suo grembo”.


La pericope evoca, senz’altro, le scene dell’annunciazione, della nascita e dell’infanzia di Gesù, proprio per il riferimento e l’elogio entusiasta che la donna della folla fa della sua maternità. Ebbene, Maria qui ci viene presentata:

  • Anzitutto, come una persona che ricerca la volontà di Dio nella sua vita. Questo è illustrato molto bene da alcune icone, che rappresentano l’annunciazione come l’apparizione dell’arcangelo Gabriele, mentre la vergine sta leggendo e meditando la Parola. Dio rivela la sua volontà a chi la cerca. È così che accadono anche le annunciazioni di Dio nella nostra vita: il Dio di Maria viene incontro a chi lo cerca. Con le parole del salmista diremmo: “Il tuo volto, Signore, io cerco”.

  • Poi, Maria ci è presentata come una persona che non esita a capire che le nostre risorse sono decisamente inferiori alle attese di Dio, e quindi che è la sua grazia sovrabbondante che viene a supplire le nostre umane limitazioni. «Non temere, lo Spirito Santo discenderà su di te».

  • Ed, ancora, come una persona che rinuncia ai propri progetti, per accettare il progetto di Dio e portarlo a compimento, anche se questo comporterà per Lei incomprensioni e sofferenze. «Ecco la serva del Signore, si compia in me la tua Parola».

  • Come una persona che, certo!, non capisce tutto. Anzi, forse non capisce nulla affatto, ma non per questo rifiuta la proposta di Dio, ma ne fa tesoro, la conserva nel cuore, con atteggiamento sapiente, aspettando il momento quando Dio le farà capire tutto, e intanto ubbidisce. “Maria custodiva gelosamente il ricordo di tutti questi fatti e li meditava dentro di sé

  • In definitiva, Maria è presentata come una genuina discepola, che sa che non basta audire, ma che è necessario ob-audire, cioè non è sufficiente ascoltare, sentire, ma si deve obbedire, con-sentire.

Fare del discernimento un atteggiamento di vita vuol dire essere ascoltatori attenti della Parola e lettori dei dinamismi della storia attraverso i quali Dio – in modo non sempre chiaro né convincente – continua a parlarci. In questa scelta, la lectio divina vi farà sempre più familiari con la Parola, con la sua “grammatica”. Il sensus Ecclesiae vi permetterà di essere in sintonia con la Chiesa, con i suoi grandi orientamenti, con il suo magistero e con il suo programma pastorale.


Mentre che voi eravate radunate in Capitolo, la storia – come è normale – ha continuato la sua marcia ed alcuni eventi sono accaduti in questi due mesi, come la discussione sul disarmo dell’Irak, il conflitto nella Terra Santa, i disastri naturali in parecchie parti del mondo (pensiamo alla tragedia causata dal terremoto a San Giuliano), il Social Forum di Firenze. Nella vita della Chiesa c’è stata la pubblicazione della Lettera Apostolica sul Santo Rosario, che è un invito a formare il cuore del discepolo attraverso la contemplazione del mistero di Cristo con lo sguardo e con il cuore di Maria, e la ricorrenza del 40º anniversario della apertura del Concilio Vaticano II (11.X.1962 – 11.X.2002), con la sua chiamata valida più che mai a “mettere a contatto con le energie vivificatrici e perenni del Vangelo il mondo moderno”, a “tornare a porre il Cristo sempre splendente al centro della storia e della vita”, come aveva detto Papa Giovanni XXIII nel discorso di indizione del Concilio (28.X.1958).


Proprio su questo evento vorrei suggerirvi una riflessione, cercando di vedere che cosa ci si aspetta da noi, tanto più che il Concilio Vaticano II è “una bussola che guiderà la Chiesa per il secolo XXI” – secondo le parole di Giovanni Paolo II –, anche se già altri problemi e altre sfide premono all’orizzonte ed hanno bisogno di nuove risposte.


Dobbiamo, in effetti, al Vaticano II i seguenti frutti:

  • una nuova comprensione della Chiesa e della sua missione nel mondo,

  • l’emergere del dialogo con il mondo e con le altre confessioni cristiane e le religioni non cristiane,

  • il riconoscimento della libertà religiosa,

  • l’impegno dei cristiani in politica in nome del Vangelo,

  • la chiamata alla responsabilità dei laici e in particolare delle donne,

  • il riconoscimento delle altre religioni come vie alla salvezza,

  • il fatto di aver riportato la Parola di Dio al centro e a fondamento non solo di tutta la riflessione teologica, ma anche della vita cristiana e della liturgia,

  • il rinnovamento – non ancora finito – della vita consacrata.


Certo, oggi nuove situazioni, nuovi problemi e nuove sfide sono apparsi all’orizzonte, come:

    • la drastica riduzione del clero e delle vocazioni,

    • l’invecchiamento e la diminuzione delle comunità religiose,

    • l’avanzata del secolarismo e di una cultura negatrice di Dio,

    • la sfida della modernità e della post-modernità,

    • i problemi della bioetica e della globalizzazione.


Si riconferma la validità del Concilio Vaticano II, che – con le parole del Card. Lehmann – è entrato nella quarta fase. Dopo quella dell’entusiasmo iniziale, alla quale seguì quella della delusione, e dopo quella della fine dei conflitti, è arrivato il tempo di ritrovare l’ispirazione e la spinta originale.

Non c’è dubbio che c’è bisogno di riflessione, ma soprattutto di santità di vita dei testimoni di Dio, cioè di identità cristiana, di genuino discepolato, sì da poter essere come il sale che ha la mirabile capacità di dissolversi completamente nell’acqua senza perdere il suo sapore e di ricuperare la sua forma originale. Non è forse questa la nostra missione, vale a dire, quella di inserirci profondamente, di inculturarci, di incarnarci per assumere e redimere la realtà, senza perdere identità e potendo dopo esprimerla con chiarezza, con purezza?


Il richiamo a questa genuina identità, a questa santità di vita è contenuto anche nella parole che il Papa vi ha rivolte durante l’udienza. Dopo avervi invitate – richiamandosi al tema del Capitolo – a «testimoniare la speranza sulle tante frontiere del mondo moderno, sapendo individuare, con audacia missionaria strade nuove di evangelizzazione e di promozione umana, specialmente al servizio delle giovani generazioni», e dopo avervi invitate a far propria l’esortazione evangelica: Duc in altum! (Lc 5,4), il Santo Padre precisava: «Fondamento di ogni impegno apostolico ed antidoto di ogni pericolosa frammentazione è la santità personale, in docile ascolto dello Spirito che libera e trasforma il cuore. La santità costituisce il vostro compito essenziale e prioritario, care Salesiane. Essa è il migliore apporto che possiate rendere alla nuova evangelizzazione, come pure la garanzia di un servizio autenticamente evangelico in favore dei più bisognosi» (OR, 9-11-2002, pag. 5).


Il futuro del cristianesimo e quindi della vita religiosa è affidato alla testimonianza di persone ricche di umanità, di libertà, di responsabilità, di simpatia, di relazioni vere. Voi avete appunto cercato di definire meglio la presenza delle FMA nell’odierno contesto sociale ed ecclesiale, per diventare sempre più significative. Tale è lo scopo della scelta per una cittadinanza evangelica, attiva, impegnata. Come voi, sono convinto che la nostra funzione non è quella di risolvere i problemi sociali e neppure quelli ecclesiali, ma semplicemente essere segni di Dio e del suo amore. Ebbene, il segno per essere evangelico deve essere “chiaro più che grande, decifrabile più che consistente, convincente più che imponente, attraente più che applaudito, replicabile più che enfatizzato per se stesso” (U. Sartorio, Dire Vita Consacrata oggi, p. 34).


Saremo significativi, se saremo capaci di nuove incarnazioni rispondenti alle nuove necessità degli uomini, ai loro problemi, alle loro ricerche. Presenze che sollevino interrogativi, che siano fermento nel contesto sociale, che stimolino scelte di vita, che coinvolgano persone in unità di intenti e di progetti. “Il segno deve essere iscritto nella vita delle persone e delle opere” (Rino Cozzia, csj, “Prendete il largo”, in Testimoni 18 [31 ottobre 2002], p. 11).


Mi auguro che le scelte fatte, perché ritenute primarie per l’Istituto oggi, diano i frutti che tutti si attendono:

  • il primato di Dio,

  • la domanda di comunione, all’interno e all’esterno delle comunità,

  • la preferenza per l’ educazione.


Di qui l’urgenza:

  • di vivere una vita interiore profonda;

  • di scoprire un nuovo stile di animazione, che permetta di ravvivare lo spirito di famiglia e del sistema preventivo, che attingendo alla ricchezza del carisma salesiano risponda ai nuovi bisogni delle persone, alle nuove condizioni delle comunità, alle nuove esigenze della missione;

  • di passare dalla carta e dalle parole alla concretezza della vita.


I frutti che tutti quanti aspettano mi azzarderei a sintetizzarli in questi tre principali:

  • tornare alla semplicità evangelica di Don Bosco,

  • tornare al realismo pieno di sapienza spirituale di Maria Domenica,

  • tornare alle ragazze povere, alle più bisognose, a quelle che sono la vostra corona.


Ecco la parola confortante del Signore che, alla fine del vostro Capitolo Generale, vi propone come modello la figura di Maria discepola del Signore, vi offre il metodo e il criterio di verifica nell’ascolto e messa in pratica della Parola di Dio, e vi promette la sua stessa beatitudine: essere madre di Dio!






Don Pascual Chávez V.




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