Discorso RM-La scuola di fronte alle sfide attuali “Verso una scuola inculturata e creatrice di cultura”







Il dramma dell’umanità odierna è la frattura tra educazione e cultura, in generale, e fra scuola ed educazione in particolare. Ho voluto cominciare questo intervento parafrasando una celebre frase di Paolo VI (EN 20), perché mi permette di impostare adeguatamente il problema della scuola e la sua necessaria soluzione attraverso l’integrazione dell’educazione nella cultura – sia quella propria come quella universale – e della scuola nell’educazione. Solo così l’educazione sarà pienamente umanizzante – com’è la cultura – e solo così la scuola potrà convertirsi in promotrice e creatrice di cultura. E’ questo ciò che intendiamo per “inculturazione dell’educazione” o “verso una scuola inculturata”.


La pressante insistenza di Giovanni Paolo II° di non ridurre l’ Unione Europea a un grande mercato di beni, ma a uno scambio di beni culturali e spirituali, sembra echeggiare quello che giustamente riconosceva il Direttore dell’UNESCO inaugurando il “Decennio Mondiale dello Sviluppo Culturale”:


«Lungo i decenni scorsi ci siamo resi conto che, quando si presenta come obbiettivo una crescita economica in divorzio con l’ambiente culturale, si producono gravi squilibri tanto economici come culturali e si indebolisce notevolmente il potenziale creativo di un popolo. Se lo sviluppo tende all’essere di più e allo star meglio di ciascuno e di tutti, deve basarsi sullo sviluppo più intenso delle risorse sia umane come materiali di ogni comunità, attraverso la libera espressione dei talenti e degli interessi di tutti i suoi membri. Ciò significa che, in ultima analisi, devono ricercare le loro priorità, le loro motivazioni e le loro finalità nella cultura» (Parigi, 21 gennaio 1988).




  1. Il rapporto educazione-cultura


Intimamente vincolate al progresso umano, l’educazione e la cultura non si colgono se non nel loro vicendevole rapporto. Qui consideriamo l’educazione nel suo rapporto con la cultura, intesa nella sua duplice dimensione, individuale e sociale; si tratta cioè della crescita delle persone, così come del modo tipico di essere delle società umane.


Nessuna società può sussistere senza una forma, almeno rudimentale, di educazione, grazie alla quale si trasmettono alle giovani generazioni i valori, le conoscenze e la percezione di un destino comune. Un passo di uno dei grandi antropologi della cultura illustra questo plasticamente:


«Si prenda un uovo di formica di ciascun sesso: uova non covate, fresche. Si distruggano tutti gli altri individui e tutte le altre uova della specie. Si presti qualche cura a questo paio per quanto si riferisce al caldo, l’umidità, la protezione e l’alimento. Tutta la ‘società’ delle formiche, con tutte le sue abilità, poteri, realizzazioni e attività della specie, sarà riprodotta, e riprodotta senza diminuzione, in una generazione. Invece collocate su un’isola deserta o in un terreno recintato duecento bimbi nella migliore condizione fisica, della classe più alta e della nazione più civilizzata, date loro la necessaria incubazione e nutrizione; isolateli totalmente dalla loro specie e che cosa otterremo? La civiltà da cui furono strappati? Una decima parte della medesima? No! Nemmeno una frazione dei risultati ottenuti dalla più arretrata tribù selvaggia. Solo un paio o una legione di muti, senza arte né conoscenze, senza fuoco, senza ordine, senza religione. La civiltà rimarrebbe cancellata all’interno di quei confini; non disintegrata, e nemmeno ferita nel vivo, ma cancellata con un colpo di spugna. L’ereditarietà salva per la formica tutto ciò che essa possiede, di generazione in generazione. Ma l’ereditarietà non mantiene, e non ha mantenuto perché non può mantenerla, una sola particella della civiltà, che è l’unica cosa specificamente umana».1


L’educazione informale si imparte in primo luogo nella famiglia e poi nell’iniziazione progressiva alle attività comunitarie: rapporti di parentela e di vicinato, apprendistati diversi, partecipazione al lavoro, alle feste, alle celebrazioni, al culto religioso. Il bambino acquisisce qui la sua lingua e le sue conoscenze, gli usi, credenze, tradizioni, comportamenti e regole sociali indispensabili alla sua integrazione nel gruppo.


Col progresso delle società, l’educazione andò sviluppandosi come una funzione specifica, affidata a gruppi o istituzioni particolari: la scuola elementare, media e superiore, l’università, che avevano il compito di continuare questo processo di inculturazione o integrazione degli individui nella loro rispettiva società, nello stesso tempo in cui assimilavano il progresso dell’umanità. L’ educacionze formale, quella vincolata ai sistemi educativi delle diverse nazioni, ha infatti il compito di preservare il patrimonio prezioso del passato per rispondere alle sfie del presente e preparare il futuro.



    1. Cultura greco-latina ed educazione


Fondamentalmente il modello educativo delle società moderne ha le sue origini nella cultura greco-latina e giudeo-cristiana. Bene o male, questo modello scolastico ha contrassegnato l’Occidente, così come tutti i Paesi che hanno accolto la modernizzazione economica, politica, sociale ed educativa. Nel bene perché ha favorito l’unità della famiglia umana, nel male perché, sacrificando le culture proprie dei popoli, si è confusa l’unità con l’uniformità. In onore della ‘civilizzazione’ si sacrificò l’inculturazione e si impose la ‘transculturazione’ o trasferimento egemonico di una cultura ad un’altra! Quante fra le guerre, i conflitti e i disturbi politici in corso hanno il loro origine in questo tentativo di privare popoli e nazioni dalla loro identità culturale!!!


E’ vero che le tradizioni culturali della Cina, dell’India, dell’Egitto, hanno anche prodotto forme pedagogiche ammirevoli a cui può ancora ispirarsi il nostro mondo, ma i loro metodi educativi non hanno conosciuto né la sistematizzazione né l’irradiazione universale del modello greco-romano diffuso dall’Occidente.


L’ideale greco di educazione proponeva un umanesimo, vale a dire, una ragione di vivere degna dell’uomo. Questa pedagogia originale, chiamata ‘paideia’, aveva come anima la formazione dell’uomo integrale: corpo, anima, immaginazione, ragione, carattere, spirito. Il giovane si sviluppava mediante la ginnastica, la musica, la danza, le matematiche, la grammatica, la lettura, le lettere, le scienze, la retorica, l’arte, la filosofia. La familiarità coi grandi autori offriva modelli di coraggio, di nobiltà, e i giovani si iniziavano in questo modo all’imitazione degli eroi. Occorre notare soprattutto che il genio ellenistico creò tutte le discipline intellettuali, pratiche ed artistiche, di cui vivono tuttora i nostri sistemi educativi: grammatica, matematica, geometria, storia, teatro, scultura, musica, diritto, retorica, filosofia, scienze politiche, medicina, fisica.


Seguendo i greci, i romani si convertirono in propagatori di una pedagogia umanistica legata alla cultura classica: Cicerone traduceva ‘paideia’ con ‘humanitas’, il fatto di diventare pienamente uomo.



    1. La pedagogia cristiana delle origini


La diffusione del cristianesimo in tutto l’Impero romano provocò una nuova sintesi culturale, in cui i valori classici si integrarono e si arricchirono con una visione evangelica del mondo e del destino umano. Questi valori si incentrano su una certa filosofia della persona umana e del suo destino trascendente, su un ideale di famiglia e del bene comune, su una concezione del lavoro e del rapporto con la natura, su una visione dell’economia e della politica, su un’idea della propria nazione e dei suoi rapporti col resto del mondo. E’ in questo contesto che nacquero i diritti dell’uomo, la democrazia, la scienza moderna, lo Stato rappresentativo, l’esplorazione e lo sfruttamento della terra, il diritto universale.


Se volessimo descrivere brevemente i valori tipici apportati da questo modello di educazione alla cultura dell’uomo moderno, dovremmo riconoscere i seguenti elementi: la visione propria della felicità dell’uomo visto nell’economia divina, il rispetto per lo spirito e per la libertà, il gusto della creazione e del superamento, la razionalità di fronte ad un universo da conoscere e da sfruttare, il bisogno di intraprendere e di distinguersi, la ricerca dell’eccellere, il senso della competizione e dell’emulazione, la preoccupazione per la città e per i diritti umani, l’attitudine a servire il bene comune mediante un lavoro competente, una concezione della persona creata ad immagine di Dio e chiamata ad un destino eterno. L’educazione classica raggiungeva il suo obiettivo quando i giovani si convincevano, come dice Pascal, che “l’uomo supera infinitamente l’uomo”.



    1. Verso un nuovo modello culturale ed educativo


Per una specie di paradosso, è stato proprio il successo dell’educazione classica che ha portato al suo disorientamento, giacchè questa pedagogia favorì quel prodigioso sviluppo delle conoscenze che condusse alla rivoluzione tecnologica e alla nascita dello spirito moderno. Oggi all’educazione costa fatica definirsi, in una cultura contrassegnata, da allora, dal pluralismo delle convinzioni e dei comportamenti, dalla caducità e dalla sostituzione rapida delle conoscenze, dalla socializzazione dei beni culturali, dalla scolarizzazione generalizzata e dall’università di massa, dal ruolo dominante dei mezzi di comunicazione sociale nella cultura moderna, dallo sviluppo del settore quaternario che privilegia l’innovazione costante e la ricerca. Nulla di strano quindi che la scuola e l’università tradizionali siano realmente in crisi di fronte ad un mondo in cambio accelerato, che difficilmente accetta le élites e le gerarchie prestabilite, e dove esistono poderose correnti anti-intellettuali che attaccano i possessori del sapere, il cui potere, come si dice, condurrebbe sicuramente alla dominazione sociale, al militarismo e alla distruzione ecologica.


La sociologia dell’educazione si è dimostrata attenta a questi problemi per misurarne la gravità e la complessità. Ma da sola è incapace a dare loro soluzioni soddisfacenti. E allo stato attuale delle riflessioni pedagogiche e filosofiche vale la pena sottolineare alcuni orientamenti fondamentali:


  1. Oggi più che mai importa ridefinire gli obiettivi dell’educazione. La tradizione bimillenaria dell’educazione classica e cristiana offre una risposta sempre valida affermando che obiettivo dell’educazione è la formazione di uno spirito capace di giudicare con libertà. E’ una contraddizione pedagogica ridurre la scuola ad un semplice mezzo di riproduzione ideologica, a un indottrinamento politico, ad un addestramento di tipo militare, o semplicemente alla formazione tecnica richiesta dal sistema economico. Pur senza negare gli obiettivi pratici dell’educazione, la sua finalità più elevata, che è di ordine umanistico, cioè collaborare col giovane nella difficile arte di imparare ad essere persona, esige una ferma rivendicazione.


  1. Occorre perseguire un delicato equilibrio tra la formazione personale dello studente e la sua informazione enciclopedica. Il prodigioso sviluppo delle conoscenze in tutti i campi rende ora impossibile un’assimilazione sintetica di tutto il sapere. Nella cultura moderna d’ora in poi occorre imparare a vivere con un immenso margine di non-sapere: quei vasti settori delle scienze riservati agli esperti di discipline sempre più specializzate. Si impone, di conseguenza, uno sforzo comune affinché si percepisca e si affermi la finalità umanistica ed etica del sapere che si imparte. La scuola si sforzerà, da parte sua, di far comprendere che la conoscenza è ancora più importante del sapere, poiché è l’unica che porta alla responsabilità morale e alla sapienza.


  1. La famiglia, come primo ambiente educativo, e gli insegnanti di professione conservano tutto il loro posto nella società moderna. Col pretesto di una razionalizzazione politica, economica, non si può, senza cadere in contraddizione, mobilitare la scuola per farne uno strumento di potere, di manipolazione economica, di riproduzione sociale, ideologica. L’esperienza dimostra che nessun progetto educativo può ottenere successo senza la partecipazione delle famiglie, degli insegnanti competenti e delle forze vive di una cultura. In una nazione, la politica dell’educazione è chiamata anzitutto a favorire l’uguaglianza di opportunità nei riguardi dell’istruzione a tutti i livelli, mettendo le risorse dello Stato al servizio del sistema educativo. Il ruolo di stimolare, di animare e di coordinare i compiti educativi spetta allo Stato, ma la missione di educare e di istruire appartiene alla comunità umana, alle famiglie, alla scuola, alle università, a tutte le istituzioni culturali che formano l’ambiente educativo propriamente detto.


  1. Anche se occorre difendere la prospettiva umanistica dell’educazione, bisogna riconoscere che la scuola del passato ha potuto favorire, più o meno consapevolmente, un individualismo che poco si preoccupava delle responsabilità degli insegnanti e degli studenti di fronte al cambio sociale. Si impone una revisione nelle culture, che ora valorizzano – almeno nell’intenzione – la solidarietà e l’aspirazione di tutti allo sviluppo e alla giustizia. Se la formazione umanistica delle persone conserva tutta la sua validità, occorre pure accentuare, molto di più che nel passato, la funzione sociale dell’educazione. Le società tradizionali si rappresentavano il mondo come qualcosa di relativamente statico, in cui i rapporti tra le classi sociali e tra i popoli si coglievano come un dato praticamente immutabile. Uno dei cambi più profondi della nostra epoca è la convinzione crescente che le società si possono effettivamente cambiare mediante uno sforzo umano accomunato. E’ questo il senso dell’interdipendenza che oggi viviamo e che si traduce nell’attuale processo di globalizzazione. Ciò richiede un’educazione alla responsabilità sociale, in senso civico e politico, inteso nel senso più ampio della parola, di costruttori della città. Questo aspetto dell’educazione si carica di un’urgenza particolare in un mondo in cerca di giustizia e di partecipazione universale alla cultura. L’educazione, d’ora in avanti, si concepisce come un servizio all’individuo, certo; ma anche come un fattore di sviluppo e di promozione per l’insieme della società.


  1. La capacità di analisi sociale e culturale, quindi, è parte integrante di ogni formazione umana. Questo non significa che ciascuno degli studenti debba specializzarsi in sociologia, ma che tutti, in una cultura in cambio accelerato, hanno bisogno di discernere, in un contesto di valori pluralisti e di ideologie contradditorie. La formazione al discernimento culturale è una necessità, se si vuole evitare l’indeterminazione etica e la perdita di identità. Così si assicura, come contropartita del punto precedente, la crescente valorizzazione dell’identità culturale di ogni popolo. In altri tempi l’ambiente e le istituzioni stabili aiutavano gli individui a situarsi nel cuore di una cultura. Adesso la responsabilità è diventata in gran parte personale. L’educazione classica insegnava ad analizzare le grandi opere letterarie del passato; l’educazione moderna, senza trascurare questa attitudine, deve preparare gli studenti ad analizzare le culture vive, i loro valori dominanti, le loro evoluzioni, il loro impatto sulle mentalità e sui comportamenti. Oggi educare significa insegnare alla persona ad autoeducarsi senza sosta in un ambiente culturale fluido ed in costante evoluzione. Di qui la necessità dell’educazione permanente, che è diventata un’esigenza ineludibile per le culture in cambio.


  1. Nella società moderna il pluralismo culturale pone problemi nuovi e difficili ai responsabili dell’educazione. Una soluzione di falsa razionalità induce certi governi ad una politica educativa che semplicemente prescinde dalle convinzioni religiose e morali delle famiglie, relegando questi valori alla sfera del privato. Questo significa dimenticare il diritto primario che hanno le famiglie di trasmettere ai loro figli le proprie credenze ed eredità spirituali. In nome dello stesso pluralismo si rivendica attualmente un’altra soluzione: quella di diversificare i servizi offerti alla popolazione, tenendo conto delle convinzioni della famiglia e delle risorse disponibili da parte dello Stato. Giovanni Paolo II°, parlando ai membri del Consiglio Pontificio per la Cultura, diceva: “Sovente le concezioni dell’uomo presenti nella società moderna sono divenute sistemi di pensiero che tendono ad allontanarsi dalla verità e ad escludere Dio, pensando che così affermano il primato dell’uomo, a nome della sua supposta libertà e della sua piena e libera realizzazione. Operando in questo modo, queste ideologie privano l’uomo della sua dimensione costitutiva di persona creata a immagine e sommiglianza di Dio. Questa mutilazione profonda si trasforma oggi in una vera minaccia per l’uomo, perché porta a concepirlo senza nessun rapporto con la trascendenza”.2 Una politica educativa rispettosa del pluralismo culturale, pertanto, riserverà un luogo legittimo all’insegnamento religioso e alla formazione morale. E’ questa una delle concretizzazioni più perfette della ‘libertà di educazione’.


Come si vede, la gestione di un sistema educativo moderno pone alla società problemi amministrativi molto complessi; ma la sfida maggiore è quella di ordine culturale.



  1. Le nuove culture o lo spirito del nostro tempo



La nascita di ‘nuove culture’ è un fenomeno che si è venuto ripetendo lungo la storia, contrassegnando tutti i grandi cambiamenti storici. Ed è questo, evidentemente, che sta avvenendo davanti ai nostri occhi. Ma la consapevolezza sociale di queste transizioni culturali è stata molto varia nel passato. La nostra epoca, forse più di qualsiasi altra, ha tentato di comprendere gli stati d’animo che caratterizzano le generazioni che si vanno succedendo. L’espressione ‘nuove culture’ è stata coniata precisamente per cogliere i valori ed anche i controvalori che modellano lo spirito del nostro tempo.


La novità dell’espressione non indica di per sé la creazione di valori assolutamente originali, ma piuttosto la diversa accentuazione delle speranze, degli aneliti e delle angosce che distinguono la nostra società da quelle precedenti. Osserviamo anche che l’avvenimento di una nuova cultura va accompagnato molte volte dall’avanzamento di una controcultura, che giunge a mettere in crisi i valori e le istituzioni ricevute fino a quel momento in un gruppo.



    1. Tendenze tipiche


Una nuova cultura è come uno spirito in movimento, difficile da interpretare, poiché è una realtà ‘in fieri’, un fenomeno in corso. La complessità del problema, ciò nonostante, non deve scoraggiare i tentativi che si fanno per discernere i fatti, poiché è in gioco niente più e niente meno che l’avvenire da costruire. Se tentiamo di cogliere la mentalità e la sensibilità comune che sorgono ai nostri giorni, potremmo segnalare alcuni tratti psico-sociali. Una prima rapida osservazione globale ci rivela una curiosa configurazione di tendenze relativamente nuove e contrastanti, molte delle quali si presentano come movimenti di rivendicazione: ecologista, pacifista, femminista, importanza del Terzo Mondo, movimenti di liberazione, risveglio religioso. E di fronte a non pochi impegni generosi, si diffondono anche degli atteggiamenti preoccupanti: permissivismo morale, individualismo dominante, consumismo sfrenato, diffusione della droga, movimento ‘gay’, ecc. Gli analisti vacillano all’ora di indicare le tendenze di fondo e le loro interpretazioni varieranno a seconda del punto di vista di ciascuno di essi.






    1. Cinque tratti principali


Da parte nostra segnaliamo cinque tratti che ci paiono particolarmente adeguati a caratterizzare le nuove mentalità. Si tratta di altrettanti orientamenti che ci sembrano generalizzati, duraturi e che si ripromettono di modellare il nostro futuro. Sono i seguenti: una inquietudine generalizzata per il futuro, un bisogno universale di giustizia e di pace, una emergenza di nuovi valori, nuovo tipo di rapporti uomo-donna, un’aspirazione a costruire consapevolmente l’avvenire. Alcune brevi indicazioni ci permetteranno di precisare il nostro punto di vista.


  1. In quasi tutte le società si è andato sviluppando progressivamente un sentimento di paura e di angoscia, generalizzandosi un timore sordo quanto alla distruzione della natura e dell’ambiente (si veda l’ultimo Summit delle Nazioni Unite, svoltosi a Johannesburg, Sudafrica, dal 26 agosto al 4 ottobre 2002). Tutti temono le conseguenze imprevedibili della sperimentazione biologica e si inquietano per il futuro della famiglia umana di fronte ai rischi insopportabili dell’apocalisse nucleare. Un senso di angoscia esistenziale provoca in tutti noi una reazione elementare, una ricerca radicale di sopravvivenza del genere umano. La cultura attuale rivela non solo una crisi dei costumi o la crisi dell’ateismo, ma è l’essere stesso dell’uomo che è in questione. La penuria religiosa, di cui parlava il giovane Marx, non è solo quella dei proletari. La penuria spirituale colpisce adesso tutte le classi che formano la società moderna. La grande tentazione dei nostri giorni è il fatalismo e il senso di impotenza di fronte ai problemi estremamente complessi che superano noi tutti. Nonostante ciò, i migliori spiriti respingono questa tentazione di abbandono codardo, questo determinismo tragico che paralizza troppi nostri contemporanei, chiudendo il loro orizzonte culturale.


  1. La ricerca universale della giustizia e della pace si esprime con rigore in questi ultimi tempi. Scoprendosi solidali tra di loro, i nostri contemporanei considerano sempre più intollerabile il fatto che la miseria coabiti con l’opulenza. Anche consapevoli della non ingenuità di alcuni movimenti, penso che il “Social forum” o gli “Antiglobal” si possano annoverare tra alcune di queste reazioni. Nel mondo si eleva un’aspirazione universale affinché finalmente si realizzi un principio di unità, di giustizia e di corresponsabilità nella libertà e nel rispetto di tutti gli uomini. E’ in gestazione una specie di universalismo culturale. Più che mai la difesa dei diritti umani appare come una esigenza e un segno di liberazione. Vi sono moltitudini che trovano insopportabile che il mondo moderno neghi loro la libertà fondamentale, il diritto allo sviluppo e soprattutto la loro piena libertà. Non stupisce quindi che lo stesso Papa parli del bisogno di globalizzare i diritti umani, la solidarietà, la pace.


  1. L’ascesa di nuovi valori propone pure una pista di riflessione che può essere molto chiarificatrice. Siamo sufficientemente attenti ai valori che vanno cercando molti nostri contemporanei, soprattutto nelle nuove generazioni e nelle nazioni giovani? Cerchiamo di capire le ansie che si esprimono attraverso dei valori che oggi si affermano con energia, come per esempio il rispetto delle identità, la qualità di vita, l’accesso all’educazione, alla cultura, alla comunicazione, il nuovo ruolo della donna, la stima del lavoro e del tempo libero, la ricerca di vita comunitaria, il nuovo interesse per il fatto religioso, la rivalutazione della tolleranza, del pluralismo, la riscoperta della famiglia, il dialogo tra le generazioni, l’attenzione agli handicappati e l’aspirazione universale alla pace e alla concordia. Occorre inoltre saper discernere quella curiosa ricerca di esperienze religiose che si manifesta come una nuova necessità negli ambienti più diversi, soprattutto tra i giovani. Tra i nuovi valori bisogna riservare un posto speciale alla presa di coscienza generalizzata che ogni persona gode di una propria dignità e di propri diritti, e che può legittimamente aspirare a una libera partecipazione nelle faccende comuni. Queste tendenze culturali non si presentano mai senza ambiguità ma sono certamente apportatrici di speranza. Questo nuovo peso della speranza è forse uno dei segni più chiari che caratterizzano le nuove culture. Gli educatori soprattutto hanno una propria responsabilità nella comprensione e nel discernimento di questi nuovi valori.


  1. I nuovi rapporti uomo-donna costituiscono anch’essi una svolta culturale di portata storica. Non si tratta di un semplice movimento di rivendicazione, che d’altra parte è stato riconosciuto da molti con troppo ritardo. Siamo davanti alla ricerca di una nuova condizione della donna nella società moderna, specialmente in quelle nazioni o culture che finora continuano a negarle ogni voce e tipo di protagonismo sociale. Si cerca un nuovo equilibrio del femminile a livello di tutta l’umanità. Questo fatto culturale ora si coglie meglio in tutta la sua complessità e nelle sue implicazioni. Se la donna acquista una libertà e una responsabilità uguali a quelle dell’uomo nella collettività, accede a maggiore umanità. E di ciò beneficerà tutto il genere umano, tanto nella propria femminilità come nella propria maschilità. In questa prospettiva si comprende che tanto l’uomo come la donna sono chiamati ad essere soggetto e agente del cambio dei ruoli femminili. In altre parole, è tanto l’uomo come la donna che sono chiamati a crescere insieme nella loro necessaria e irriducibile complementarità. Si tratta di una evoluzione che riguarderà tutta l’umanità come tale, e di uno dei cambiamenti più profondi che abbia conosciuto la cultura moderna. Siamo solo agli inizi di una evoluzione culturale che chiama tutti, uomini e donne, a rendere un servizio indispensabile all’essere umano come tale.


  1. Tutta la famiglia umana aspira a costruire consapevolmente l’avvenire. Mai come ora gli esseri umani hanno avuto una simile consapevolezza della propria unità ed interdipendenza. Per la prima volta nella storia, l’umanità nel suo insieme è chiamata a prendere in mano il proprio avvenire e a costruire consapevolmente un mondo nuovo, degno dell’uomo e di tutti gli uomini. Si dà qui una visione della cultura che va al di là di un semplice accomodamento ai valori dominanti di una società diretta soprattutto dall’economicismo. La cultura del futuro sarà quella per cui l’uomo costruirà se stesso a partire dalle proprie convinzioni e dalle proprie rappresentazioni più nobili. La cultura appare essenzialmente come creazione e libertà. E’ precisamente l’affermazione di questo ideale ciò che le giovani generazioni e le nuove nazioni si aspettano dai leader intellettuali, politici e spirituali.




  1. Il rapporto scuola-educazione



Nel corso della sua lunga storia, la scuola come istituzione rare volte ha dovuto vedersela con un insieme così impressionante di convulsioni politiche, sociali, scientifiche e culturali. Partiamo da ciò che è più vicino: i nuovi modi di produzione della cultura. Per secoli la scuola si è identificata con una certa idea della civilizzazione riconoscendo che svolgeva un ruolo civilizzatore proprio. Orbene, questo postulato pare esser crollato nell’attualità, giacché è una nuova cultura quella che ora si produce e si trasmette per mezzo di poderosi rivali extra-universitari che hanno invaso il campo dell’insegnamento, dell’investigazione, della documentazione e dell’informazione. Le scuole devono ancora scoprire come passare dalla competitività alla cooperazione con questi nuovi agenti di produzione culturale. Pensiamo, per esempio, ai mezzi di comunicazione sociale, alle industrie culturali, alle banche-dati, alle comunicazioni via satellite, agli insegnamenti e studi legati all’industria privata e allo Stato.


La principale sfida per la scuola sarà quella di definire il proprio ruolo nello sforzo di modernizzazione delle società. Come riconciliare la crescita economica col progresso in umanesimo? Bisogna essere consapevoli che il duro linguaggio della produttività moderna non si compagina facilmente col discorso umanista. Pensiamo a un teorico del neoliberalismo, come è Francis Fukujama e la sua tesi del fine della storia.3 Gli agenti economici sentono infatti una specie di pudore e di malessere quando sentono dissertare sui valori che reggono la cultura dello spirito. La fredda razionalità del pragmatismo, della redditività, della competitività, non si armonizzano facilmente con la logica del sapere e della ricerca. Come si vede, la questione di fondo è quella del ruolo culturale che corrisponde propriamente alla scuola.


Il discorso sulla cultura non è mai stato facile e rare volte è stato affrontato senza vacillamenti e senza riserve, poiché tocca il terreno dello spirito, dell’ideale, dei valori più alti che la scuola rappresenta. Gli avvenimenti stessi si incaricano di rivelare alle società e agli studenti che ciò che è maggiormente in gioco nell’avvenire è il problema della cultura. In effetti, le questioni più urgenti sono anzitutto di ordine etico e culturale, perché riguardano il senso della vita umana, i nuovi modi di procreare, la sperimentazione biologica. In questa situazione, avvertiamo appena che i nuovi ritrovati della scienza e della tecnologia non solo stanno cambiando l’interpretazione dell’uomo e della vita, ma che hanno raggiunto addiritura la capacità tecnologica di riprodurre la vita, come è stato dimostrato chiaramente dal successo ottenuto nella determinazione della mappa genetica e nella clonazione. A questi problemi aggiungiamo quelli che si riferiscono alla protezione dell’ambiente, alle nuove povertà, al giusto sviluppo di tutti i gruppi e di tutti i popoli, alla responsabilizzazione dei grandi settori culturali, come i mezzi di comunicazione sociale, e alle nuove sfide che suppongono le migrazioni interetniche in costante aumento. Qui in Italia non è l’eccezione, anzi!


In tale società, in cui entrano in crisi tutte le ideologie e in cui il pragmatismo puro rivela la sua drammatica insufficienza e i suoi effetti destabilizzatori, la scuola deve affermarsi come luogo generatore di cultura, dedita alla ricerca di senso, come centro di libera riflessione ed educazione, indispensabili per la salute culturale di una nazione.


La missione della scuola non è meno necessaria e urgente oggi di ieri. Al contrario! Le società libere non potrebbero sopravvivere e progredire per molto tempo senza la libera ricerca del sapere, senza la creatività che nasce dalla ricerca, senza un approfondimento – fatto da ogni generazione – dei valori permanenti del mondo civilizzato. Questi valori hanno il loro fondamento in una antropologia umanista e spirituale: si chiamano verità, giustizia, diritto, libertà, primato della persona e del suo destino spirituale, senso di solidarietà e del bene comune. Questi valori fondamentali delle società civilizzate non si acquisiscono una volta per tutte. E non possono svilupparsi se non mediante la riflessione, l’educazione e lo studio, che li fanno penetrare nelle coscienze e nelle istituzioni. E’ questa una delle funzioni più alte della scuola.


Di fronte a questo panorama di sfide è naturale, quindi, che la scuola, almeno in gran parte del mondo occidentale, si sforzi per adattare/accordare piani e programmi, come dimostra la riforma educativa che si è realizzata o si sta realizzando già da anni in molti Paesi. Il contributo di Hannah Arendt è stato proprio quello di far vedere che l’educazione si colloca “fra il passato e il futuro”, fra la stabilità e il cambio, fra la tradizione e l’innovazione.4 Nonostante ciò, mi pare che più importante di ciò è il cambio globale della scuola, determinato specialmente dalla modifica di due rapporti: il rapporto tra scuola ed educazione, e il rapporto tra scuola e società.




    1. Scuola ed Educazione


Negli anni passati, la famiglia e la scuola coprivano l’arco di tutta l’educazione di un giovane. Non vi era margine per altri influssi educativi o diseducativi. Oggi – come detto sopra – si possono contare altre agenzie educative, a volte con più peso che la stessa famiglia o la scuola.


  1. I mezzi di comunicazione sociale, che sono passati da catene di informazione a vere e proprie reti educative, creatrici di nuova cultura, con tutto ciò che questo implica: fucina di modelli, diffusione di valori, modo di organizzare la vita, di interpretare la realtà, ecc. Data la loro efficienza e continuità, anche se non si presentano con propositi formalmente educativi, hanno, su una personalità in formazione, una percentuale elevata di influenza.

  2. Gli ambienti del tempo libero e le attività di libera scelta, che si sono venuti moltiplicando, e che non sono determinati da un programma scolastico, ma che esercitano anche un influsso sulla costruzione della persona e contribuiscono a plasmarla .

  3. Gli ambienti di socializzazione propri della gioventù, in cui si discute e avviene l’incontro con gli adulti e i compagni, luoghi che si convertono in una specie di “università della vita”, in cui si va elaborando un modo di vedere l’esistenza e delle norme di comportamento.


E’ questo il primo cambiamento: la nuova distribuzione delle istanze educative. La scuola e la famiglia continuano a svolgere un ruolo importante, ma non sono più le uniche che intervengono nel processo educativo. Esse devono riconoscere che oggi viviamo in un clima di pluralismo di proposte e che, pertanto, devono assumere più di prima il compito di convertire in influssi convergenti proposte e stimoli magari paralleli o divergenti. Di qui la nuova necessità che sperimenta la scuola di non essere semplicemente supermercato dell’informazione, di trasmissione di dati, ma che deve dare forza alla testimonianza e all’elaborazione di quei valori che agglutinano o servono da filtro critico ai molteplici influssi che oggi assediano tutte le persone, specialmente i giovani.



    1. Scuola e Società


Il secondo cambiamento notevole si riferisce al rapporto tra la scuola e la comunità umana in cui essa opera. La scuola non è più proprietà di un gruppo di educatori – religiosi e Stato –, e le famiglie non sono semplici clienti di una impresa educativa a cui affidano i propri figli, esigendo un servizio specifico retribuito direttamente (scuola privata) o indirettamente (scuola statale).


Oggi la scuola si integra sempre più nella dinamica della comunità sociale, e questa partecipa – deve partecipare – con responsabilità alla programmazione e alla gestione. In alcuni posti si è arrivati alla gestione comunitaria della scuola sanzionata dalla legge. Il rapporto tra Scuola e Comunità oggi è marcato da una realtà chiamata partecipazione. Tanto la società come le famiglie non si collocano più fuori dalla scuola. Oggigiorno non si accontentano di provvedere allievi. Ora rivendicano il loro diritto a partecipare nell’elaborazione del progetto educativo e delle norme che servono da guida all’educazione.



    1. Scuola ed Evangelizzazione


Altro elemento di cambiamento: il rapporto Scuola – Evangelizzazione (o programmazione scolastica – formazione cristiana). Il cambio punta soprattutto al tipo di presentazione della formazione cristiana: basata non tanto su di un’esigenza regolamentare – devono comportarsi così perché così esige il regolamento –, quanto su una proposta di vita fatta ai giovani, che devono assumerla in un’atmosfera di libertà e, quindi, di libera scelta, senza imposizioni esterne di nessun genere.


Passiamo in questo modo da una pastorale dell’obbligo a una ‘pastorale dell’offerta’. Si offrono all’alunno le possibilità di una formazione cristiana. Si deve pertanto contare sempre, nel senso buono, sulla spontaneità e sulla libera risposta del giovane. Il compito educativo cristiano deve essere impregnato di quel valore che si chiama Libertà.


Questo elemento va tanto più ribadito quanto più si è consapevoli dell’ambiente di pluralismo all’interno della stessa scuola: molti insegnanti, famiglie e allievi non sono credenti o appartengono ad altre religioni, anche in Europa. Vorrei dire che in sé stessa questa multiculturalità è un valore e che appunto l’educazione ha un compito particolare nella costruzione di un mondo più solidale e pacifico5. Evidentemente, in un tale contesto, la proposta appare come una fra altre. Dinanzi a questa realtà la Scuola Cattolica è sfidata a riscoprire la sua identità come ambiente di evangelizzazione e vedere come questo si realizza nel rispetto alla strada e alla ricerca religiosa dei membri della sua comunità educativa.


Alcune conseguenze di quanto detto anteriormente:

  • La scuola cattolica deve privilegiare la testimonianza della fede sulla semplice spiegazione teorica delle verità di fede. E questo non lo può fare se non a condizione che vi sia un’esperienza personale di Dio nei membri della Comunità Educativa.

  • Acquista vieppiù maggiore importanza la testimonianza di vita della Comunità Educativa, in quanto comunità. Non è più sufficiente la bontà di alcuni insegnanti in particolare, ma è necessario che vi sia un vissuto di comunità che renda visibile questo modo alternativo di affrontare la vita. E’ l’unico modo di evangelizzare la cultura.

  • Non basta però la testimonianza. È necessario sviluppare nella scuola cattolica una cultura veramente ispirata dalla fede ed impregnata dai valori evangelici, che si traduce in scelte, criteri, metodologia, organizzazione. Soltanto così potrà apparire la dimensione antropologica e umanizzatrice della fede e il suo contributo per la costruzione dell’umanità.

  • La sintesi tra cultura e vita che la scuola cattolica desidera realizzare esige un’altra sintesi: quella tra Fede e Vita, che deve essere rappresentata dagli educatori. Queste due sintesi devono condurre il giovane ad una unità vitale e dinamica, in cui si fondono la Fede, l’Esistenza e il Pensiero. “Nel progetto educativo della scuola cattolica non esiste, infatti, separazione fra momenti di apprendistato e momenti di educazione, tra momenti teorici o tecnici e momenti di sapienza. Ogni disciplina non presenta solo conoscenze da acquisire, ma anche valori da assumere e verità da scoprire.”6

  • Data la situazione attuale delle scuole cattoliche, con poco personale religioso e numerosi laici, si rende necessaria, oggi più che mai, la formazione di questi ultimi e il loro impegno nel processo educativo cui deve puntare oggi l’educazione cattolica.


E’ questo uno degli elementi che costituiscono la profezia e la significatività dell’educazione cattolica attualmente. Non si tratta, naturalmente, di un “fatto compiuto” o di un “male necessario”, bensì di prendere consapevolezza della vocazione e della missione del laico, la cui presenza nelle attività temporali, per animarle cristianamente e permearle di spirito cristiano, è tipica della sua condizione di battezzato. E l’educazione è uno di questi compiti. Per dirlo con altre parole, anche se ci fosse maggior numero di sacerdoti e religiosi, la presenza del laico oggi è indispensabile nella scuola cattolica, poiché è necessario approfittare delle diverse forme di esperienza cristiana e aprire spazi ai diversi contributi, per far sì che la scuola diventi una vera icona della chiesa.




  1. La proposta odierna della Scuola Salesiana



La trasformazione dello statuto delle scuole salesiane, dovuta alla necessità di maggior collaborazione da parte dei laici, è, quindi, un segno dei tempi che dobbiamo accettare come una sfida e come una nuova opportunità. Ma in questo processo di rinnovamento è indispensabile conservare l’identità della scuola salesiana, attingendo al genio pedagogico di Don Bosco. E così le nostre scuole hanno continuato ad essere salesiane, non solo perché sono proprietà della Congregazione Salesiana, ma perché in esse si respira quel che è tipico dell’ambiente e dello stile educativo che ha sempre caratterizzato le istituzioni di Don Bosco, affrontando però le sfide odierne della nostra società.




    1. Il progetto educativo salesiano


Come le persone, così anche le istituzioni hanno una fisionomia propria. Ogni gruppo di educatori porta avanti un progetto educativo. I progetti educativi, pur con identici piani di studio ed una medesima regolamentazione, sono diversi. Tale diversità proviene principalmente dal modo di concepire gli obiettivi educativi e dallo stile scelto per intervenire nello sviluppo dei giovani.


Don Bosco formulò gli obiettivi dell’educazione con una frase semplice e comprensibile: portare il giovane ad essere “un onesto cittadino perché buon cristiano”. Con questa frase voleva esprimere l’integrità del suo ideale: formare costruttori della città e uomini credenti. In esso tutte le dimensioni della personalità sono tenute in conto. Al centro di tutte, illuminandole e unificandole, si incontra la fede.



    1. L’ambiente educativo salesiano


La scuola salesiana presenta un secondo elemento distintivo: è il clima umano o ‘ambiente’, inteso come l’insieme di quegli elementi che, pur indefiniti, influiscono però su di ciascuno di noi persino quando pensiamo.


Sembra qualcosa che entra attraverso i pori, qualcosa che si respira. L’ambiente influisce su di noi ogni minuto che passa. E’ come la respirazione. Ci rendiamo conto della sua presenza solo quando ci fermiamo a pensarci su. Così può succedere che per il bambino o il giovane l’ambiente sia indefinibile quantunque entrambi lo percepiscano. E’ quel che noi siamo soliti denominare ‘lo spirito di famiglia’.


L’ambiente fu una delle preoccupazioni di Don Bosco. In una epoca di regolamenti, egli pose in rilievo la spontaneità e lo spazio che si doveva lasciarle. In una epoca di molti livelli di autorità, Don Bosco mise in evidenza la necessità della familiarità e del convivere con l’educando, proprio perché per lui l’educazione era “una questione del cuore”, una trasmissione vitale di valori, la creazione di un ecosistema dove si respirava ottimismo e bene, e dove circolava una serie di valori che andavano configurando la personalità del giovane. Il nostro impegno, egli diceva, è far sì che il ragazzo arrivi ad essere così amico nostro che ci apra il cuore, e che noi possiamo influire su di lui a partire dallo stesso centro della sua vita. In questo modo ci sarà possibile non solo offrirgli gli elementi di tipo strumentale per destreggiarsi nella realtà, ma, ancor di più, accompagnarlo nella elaborazione dei propri criteri e progetti di vita. Oggi questo aspetto diventa ancora più rilevante tenendo in conto la carenza, in molti casi, di una esperienza famigliare che sia veramente la prima scuola della vita.


Il clima, l’ambiente, risulta dalla convergenza di molti elementi. Ma il principale elemento del clima educativo è il tipo di rapporto che gli educatori mantengono coi loro allievi.


Vi può essere un rapporto di fredda e distante autorità; oppure un rapporto di educata formalità o invece un rapporto di simpatia, di intimità e di servizio costante; quest’ultimo si manifesta nella disponibilità a dialogare, a convivere, ad abbordare temi che interessano i giovani. Tale è il clima educativo di Don Bosco.



    1. Rapporto tra educatori


Infine, un terzo elemento della scuola salesiana è il rapporto tra gli educatori. L’impressione di un testimone dei primi tempi dell’Oratorio di Torino è che gli educatori si mescolavano tra i giovani ed offrivano la loro amicizia nella massima familiarità. Questo tratto è frutto di una spiritualità comune che proviene dallo stesso Don Bosco e le cui caratteristiche sono la modestia, la capacità di simpatia, la disposizione a servire, il rapporto mutuo di collaborazione e di appoggio.


I regolamenti salesiani raccomandano che si tenda a formare tra gli educatori una comunione di ideali e di interessi, impregnata dello spirito evangelico di libertà e di carità.


Gli educatori possono mantenere tre tipi di rapporti:


  1. Rapporto lavorativo: ridotto fondamentalmente al minimo: la prestazione di un servizio e la corrispettiva rimunerazione.

  2. Rapporto professionale: oltre alla prestazione di servizi e alla rimunerazione, esiste un rapporto di amicizia e di discussione dei temi che toccano la comune professione.

  3. Rapporto vocazionale: proprio degli educatori cristiani, simile a quello che unisce i religiosi in una unica comunità o i sacerdoti in un compito pastorale.


Il rapporto vocazionale è quello che unisce mediante idee di vita e valori identici che si vuole coltivare in comune. Questo tipo di rapporto è quello che meglio si addice a un gruppo di educatori che desiderano portare avanti un progetto educativo con coerenza e con approfondimenti progressivi. In definitiva, si basa sulla convinzione che esiste un insieme di valori che stiamo coltivando ed una missione che stiamo realizzando insieme.




  1. La Chiesa di fronte alla crisi attuale



Il pensiero della Chiesa in tutto questo cambio epocale non può essere apprezzato in tutta la sua estensione se non in una prospettiva nettamente culturale. E’ sempre l’orizzonte delle culture e delle civilizzazioni quello che si evoca nell’impresa dello sviluppo dei popoli e di tutti i gruppi umani.


L’espressione chiave di Paolo VI nell’enciclica “Populorum Progressio” è “lo sviluppo integrale dell’uomo e lo sviluppo solidale dell’umanità”. Questi due aspetti, individuale e collettivo, sono inseparabili. “lo sviluppo integrale dell’uomo non può avvenire senza lo sviluppo solidale dell’umanità”. Ne va dell’avvenire della civiltà : “In questo camminare siamo tutti solidali… E’ in gioco la sopravvivenza di tanti bimbi innocenti, l’accesso a una condizione umana di tante famiglie disagiate, la pace del mondo, l’avvenire della civiltà”. L’essenziale del messaggio si riassume in queste parole: “Lo sviluppo non si riduce a semplice crescita economica; per essere autentico dev’essere integrale, cioè promuovere tutti gli uomini e tutto l’uomo”.7


Bisogna arrivare allo stesso tempo alla cultura delle persone benestanti e a quella dei poveri, a quella dei donatori e quella dei beneficati, a quella delle nazioni opulente e a quella dei Paesi che aspirano ad uscire dalla miseria. Tale è il senso più profondo dell’insegnamento della Chiesa circa la giustizia e lo sviluppo; in definitiva, è un appello alla fraternità umana. Non si raggiungerà un vero sviluppo se non promuovendo il dinamismo spirituale tanto dei ricchi come dei poveri. Presso i popoli più ricchi occorre una profonda revisione culturale affinché sappiano criticare i valori della loro società di consumo e si mettano all’ascolto dei loro fratelli, le persone nel bisogno e nella miseria. Da parte dei Paesi economicamente poveri che vogliono accedere alla modernità, occorrono anche cambiamenti culturali, poiché dovranno accogliere i valori della società tecnica e industriale, ma senza sacrificare l’essenziale delle loro tradizioni ancestrali.


Sarebbe, quindi, falso opporre le esigenze della giustizia alle esigenze della cultura, giacché l’opera della giustizia è una delle realizzazioni più alte dell’umanesimo. Si tratta propriamente di un’opera di civilizzazione e di elevazione dell’uomo. Le necessità elementari dell’uomo non sono solamente di ordine fisico o materiale; sono anche di ordine spirituale e culturale. L’uomo ha certo un bisogno essenziale di alimentarsi, di godere buona salute, di trovare dove vivere con sicurezza, ma ha pure una necessità vitale di sapere, di comprendere il mondo in cambiamento, di essere rispettato nella sua propria identità, al fine di affermarsi e di crescere nella sua cultura. Di conseguenza, l’uomo aspira con tutte le sue forze a soddisfare insieme le proprie necessità essenziali di giustizia e di cultura.


La riflessione della Chiesa circa le esigenze della giustizia nel mondo insiste a buon diritto sulle interrelazioni concrete esistenti tra cultura, educazione, promozione dello sviluppo, lotta contro la fame, azione per la giustizia e la pace. Si tratta, diceva Giovanni Paolo II all’UNESCO nel 1980, “di un vasto sistema di vasi comunicanti”. Proprio in nome della giustizia, la Chiesa rifiuta tutti gli umanesimi chiusi in sé stessi che, alla fine, giungono a tradire l’essere umano.





    1. Radici culturali e morali del sottosviluppo


L’analisi molto realistica delle forme attuali di sottosviluppo porta a riconoscere che le povertà del nostro tempo hanno la loro radice in certi fattori politici e, in fondo, in un male morale dovuto alle mancanze e alle omissioni di molte persone. Pertanto sarà necessario agire a livello di peccato sociale o di strutture di peccato, intese come la somma o il risultato delle mancanze e delle omissioni di una moltitudine di individui. L’obiettivo positivo è quello di costruire un avvenire umano più dignitoso per tutti, per cui la sfida dello sviluppo si presenta come un appello urgente alla fraternità universale, una realtà dinamica capace di ridefinire il vero progresso a partire dall’autentico essere dell’uomo. Limitarsi unicamente agli obiettivi economici o all’accumulazione di beni materiali, a cui punta l’attuale globalizzazione – che ha urgente bisogno di essere umanizzata – significa tradire le vere finalità dello sviluppo. Si impone una profonda riforma morale e culturale, se il nostro mondo vuole continuare ad essere padrone del proprio destino comune.


I cristiani sono convinti che, di fronte alla crisi attuale, la luce del Vangelo arriverà alla fine a trasformare le culture dominanti che frenano così scandalosamente i tentativi di promozione generale e minacciano l’avvenire dell’essere umano nel mondo. Bisogna smetterla con la cultura della società di consumo, con le ideologie oppressive e con la semplice rassegnazione di fronte alla miseria delle masse. Siamo chiamati, al contrario, a stabilire una cultura della solidarietà e dell’impegno efficace a servire il bene di tutta la famiglia umana.



    1. Verso una nuova cultura della solidarietà


Dunque, si dirige un appello energico a tutti i popoli e a ciascuna persona per suscitare un movimento indispensabile di solidarietà umana, capace di affrontare efficacemente i doveri urgenti e gravi dello sviluppo. E’ questo l’unico mezzo morale capace di promuovere lo sviluppo integrale di tutti gli uomini e di tutte le donne del nostro tempo e di edificare una pace vera. L’enciclica ‘Sollicitudo Rei Socialis’ traduce questo obiettivo nell’espressione: ‘Opus solidaritatis pax’, la pace è opera della solidarietà. Si tratta di un principio riaffermato da Giovanni Paolo II nel suo intervento nel primo anniversario dei fatti dell’11 settembre 2001. «Il terrorismo è un flagello che bisogna combattere, ma lo è anche la povertà e l’ingiustizia che gli serve da humus. La sfida può sembrare umanamente sproporzionata, ma la Chiesa non dubita della forza dell’amore e della fraternità, ispirata nel Vangelo. Bisogna ritornare ad un amore da fratello a fratello nello spirito della “civiltà dell’amore”».


Occorre agire a livello di mentalità, di modi di pensare, di lavorare, di fare politica e di concepire la famiglia umana. Sono le culture stesse che devono cambiare perché la giustizia diventi operante, perché le ingiustizie siano combattute con efficacia. Questa concezione culturale dello sviluppo in fondo è l’unica realistica, poiché solo essa fa appello al dinamismo più profondo delle nostre società e alla psicologia dei nostri contemporanei.


«Oggi i nostri problemi non sono solo politici. Sono morali (e culturali) ed hanno a che vedere con il senso della vita. Abbiamo dato per scontato che mentre continuava la crescita economica potevamo relegare tutto il resto nella sfera del privato. Adesso che la crescita economica comincia ad interrompersi e che l’ecologia morale è priva di ordine, stiamo cominciando a comprendere che la nostra vita in comune richiede qualcosa di più che una preoccupazione esclusiva per l’accumulazione materiale»8


A proposito di questa interazione tra il campo tecno-economico, il campo politico e la cultura, afferma un autore:


«Cambiare i modelli sociali, politici ed economici senza cambiare il mondo simbolico e dei valori (la cultura), renderà impossibile qualsiasi riforma di fondo; e, al contrario, cambiare la cultura senza riferirsi al campo economico e politico, può risultare ugualmente ingannevole. Viviamo, effettivamente, in una interazione di funzioni»9.


Solo così si può realizzare la necessaria integrazione del principio dell’antropologia culturale “educare attraverso la cultura”, con quello di “creare cultura attraverso l’educazione”.




  1. Conclusione




Parlare, quindi, di ‘inculturazione dell’educazione’ non è parlare di un modo di dire antropologico, pedagogico o pastorale, ma di una qualificazione indispensabile dell’educazione e della scuola. L’educazione, in effetti, si realizza nel contesto di un popolo, al cui servizio si pone all’interno del processo di umanizzazione del medesimo. La scuola deve tener conto della realtà socio-culturale dei propri destinatari e dell’apertura all’umanità totale.


Lo scopo dell’inculturazione non è la salvaguardia di culture tradizionali né quello di ottenere un ‘apartheid ‘ culturale e nemmeno quello di assolutizzare in astratto una cultura ideale, ma anzi, tra la disunità che flagella i popoli e le distanze sempre crescenti tra le nazioni, è invece quello di fare della scuola uno strumento di unità nella pluralità e, mediante essa, rendere presente, in mezzo al processo galoppante in cui viviamo e che concerne tutte le culture, la luce e la vita del Vangelo, affinché ogni cultura possa arrivare ad essere un ‘habitat’ dignitoso per ogni uomo e affinché la luce che irradia aggiunga splendore al cosmo intero.



Don Pascual Chávez V., SDB

Alba (CN), 29 novembre 2002



1 A.L.KROEBER, 1917, 177-178 [sic!], citato da G.P.Murdoch, Cultura y Sociedad, México, 1987, 72.

2 Giovanni Paolo II, Discorso al Pontificio Consiglio per la Cultura, 19.novembre.1999


3 Cf. F. FUKUYAMA, “Occidente puede resquebrajarse”, articolo in cui, anche se pone la domanda “se «Occidente» è veramente un concetto coerente”, scrive: “Gli attacchi terroristici dell’ 11 Settembre hanno significato una svolta importante, ma alla fine, la modernizzazione e la globalizzazione continueranno ad essere i principi strutturanti fondamentali della politica mondiale” (El País, edición internet, 17/08/2002).

4 Cf. Pilar Del Castillo, “El futuro de la sociedad es el presente de la educación”, en EL PAIS – edizione internet – 16.IX.2002. La Ministro di Educazione, Cultura e Sport, di Spagna, spiegando l’urgenza della riforma educativa afferma con chiarezza che “i paesi devono adattare con periodicità i loro sistemi educativi”. Stando alle sue parole “l’educazione è, in qualche modo, il ‘luogo’ dove le società e le culture si giocano ciò che sono e ciò che vogliono diventare”.


5 Giovanni Paolo II, Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace, 8 dicembre 2000, n.20: “L’educazione puó contribuire al consolidamento dell’umanismo integrale, aperto alla dimensione etica e religiosa, che attribuisce la dovuta importanza alla conoscenza e stima delle culture e dei valori spirituali delle diverse civilizzazioni”.

6 La Scuola Cattolica nella soglia del terzo millennio. Congregazione per la Educazione Cattolica, 28 dicembre 1997.

7 PAOLO VI°, Populorum Progressio 5, 43, 80.

8 R.BELLAH (ed altri), Hábitos del corazón, Madrid, 1989, p.374.

9 C. DIAZ MARCOS, Evangelizar la cultura. L’inserimento del cristiano nella trasformazione sociale. Santander, 1995, 7.

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