1992_VecchiJE_Pastorale_Giovanile_Una_sfida_per_la_comunita_ecclesiale


1992_VecchiJE_Pastorale_Giovanile_Una_sfida_per_la_comunita_ecclesiale

1 Pages 1-10

▲back to top

1.1 Page 1

▲back to top

1.2 Page 2

▲back to top
PASTORALE GIOVANILE
Una sfida per la comunità ecclesiale
La stagione dei progetti pastorali è incominciata alcun i anni fa . 11 campo
giovanile si dilatava e diventava complesso . Di conseguenza , l' azione della
comunità cristiana, concepita secondo i criteri precedenti , appariva frammen-
taria , poco finalizzata, insufficiente. Si sentì allora l' urgenza di capire più a
fondo la situazione dei giovani e preparare proposte mirate per sintonizzarsi
e dialogare con loro.
È una stagione non ancora finita . Anzi sta appena dando i suoi primi frutti
maturi. Sempre più spesso gli operatori pastorali elaborano assieme le loro
scelte secondo alcuni criteri condivisi, e maggiore è la convergenza dei di -
versi messaggi e interventi.
Le comunità ecclesiali si presentano dunque come soggetti più unitari del -
1' azione pastorale, pur arricchendosi di molteplici risorse e iniziative .
Questo volume raccoglie l'esperienza di un progetto concreto nei suoi due
aspetti fondamentali : la riflessione e la prassi.
Non è un « trattato teorico» né un « manuale pratico ». È invece il risultato
di uno sforzo per illuminare la portata di scelte educative pastorali, darsene
ragione ed esplicitarne i fondamenti.
I suoi capitoli riportano materiali diversi: alcuni sono conferenze tenute
a educatori o a operatori pastorali; altri rivisitano articoli già pubblicati su
riviste o volumi ; altri ancora sono parti di documenti per gruppi e comunità
che si riconoscono nel progetto.
Sono stati elaborati in un arco di tempo di dodici anni e per questo porta-
no il segno delle diverse fasi di un cammino di chiarimento : di qui le novità ,
gli sviluppi concentrici e anche i ritorni , le sovrapposizioni e anche alcune
ripetizioni .
Tutto però conserva un riferimento centrale evidente : il medesimo pro-
getto e una sua congrua impostazione educativa pastorale , per cui le diffe-
renze di tempo o di genere letterario non comportano discontinuità di pensiero .
L' autore è stato il responsabile generale per la pastorale giovanile della
Congregazione Salesiana per dodici anni, e ha avuto come compito specifi-
co quello di aiutare a form ulare , tradurre in prass i e valutare i progetti pasto-
rali, anche dal punto di vist a della fondatezza teologica e carismatica. La sta-
gione dei progetti è stata da lui vissuta quale protagonista competente e ap-
passionato .
ISBN 88-01-14827-5
L. 23.500
9 788801 148275

1.3 Page 3

▲back to top
JUAN E. VECCHI
PASTORALE
GIO\\ANILE
UNA SFIDA PER LA
COMUNITA ECCLESIALE
EDITRICE ELLE DI CI
10096 LEUMANN (TORTNO)

1.4 Page 4

▲back to top
SIGLE
Documenti del Concilio
DV
GS
LC
PO
Dei Verbum
Gaudium et Spes
Lumen Gentium
Presbiterorum Ordinis
Documenti pontiJici
ChL
Christifideles Laici
CT
Cathechesi Tradendae
EN
Evangelii Nuntiandi
RH
Redemptor Hominis
Documenti episcopali
CEI ConferenzaEpiscopaleltaliana
Puebla Conferenza Generale dell'Episcopato Latino Americano
A 1992 Editrice Elle Di Ci - 10096 Leumann (Torino)
ìsBN 88-01-14827-5

1.5 Page 5

▲back to top
Collana PROPOSTE DI PASTORALE GIOYANILE
Seconda serie
A cura del Centro Salesiano Pastorale Giovanile
via Marsala 42 - 00185 Roma
l. ... conversava con noi lungo il cammino...
Per educare i giovani alla fede
2. Giovani e Bibbia
3. Pastorale giovanile: una sfida per la comunità ecclesiale
4. Giovani e politica

1.6 Page 6

▲back to top

1.7 Page 7

▲back to top
Presentazione
La stagione dei progetti pastorali è incominciata alcuni anni fa.
ll campo giovanile si dilatava e diventava complesso. Di conse-
E:uenza,l'azione della comunità cristiana concepita secondo i cri-
teri precedenti appariva frammentaria, poco finalizzata, insuffi-
ciente. Si sentì allora l'urgenza di capire più a fondo la situazione
dei giovani e preparare proposte mirate per sintonizzarsi e dialo-
gare con loro.
È una stagione non ancora finita. Anzi sta appena dando i suoi
primi frutti maturi. Sempre più spesso gli operatori pastorali ela-
borano assieme le loro scelte secondo alcuni criteri condivisi, e mag-
giore è la convergenza dei diversi messaggi e interventi.
Le comunità ecclesiali si presentano dunque come soggetti piit
unitari dell'azione pastorale, pur arricchendosi di molteplici risorse
e iniziative.
Questo volume raccoglie l'esperienza di un progetto concreto
nei suoi due aspetti fondamentali: la riflessione e la prassi.
Non è un « trattato teorico >> un << manuale pratico ». È inve-
ce il risultato di uno sforzo per illuminare la portata di scelte edu-
cative pastorali, darsene ragione ed esplicitarne i fondamenti.
I suoi capitoli riportano materiali diversi: alcuni sono confe-
renze tenute a educatori o a operatori pastorali; altri rivisitano ar-
ticoli già pubblicati su riviste o volumi; altri ancora sono parti di
documenti per gruppi e comunità che si riconoscono nel progetto.
Sono stati elaborati in un arco di tempo di- dodici anni e per
questo portano i[ segno delle diverse fasi di un cammino di chiari-
mento: di qui le novità, gli sviluppi concentrici e anche i ritorni,
le sovrapposizioni e le ripetizioni.
Tutto però conserva un riferimento centrale evidente: il mede-
5

1.8 Page 8

▲back to top
simo progetto e una sua congrua impostazione educativa pastora-
Ie, per cui le differenze di tempo o di genere letterario non com-
portano discontinuità di pensiero.
L'autore è stato Consigliere Generale per la pastorale giovani-
le della Congregazione Salesiana per dodici anni, e ha avuto come
compito specifico quello di aiutare a formulare, tradurre in prassi
e valutare i progetti pastorali, anche dal punto di vista della fon-
datezza teologica e carismatica. La stagione dei progetti è stata da
lui vissuta quale protagonista competente e appassionato.
Il nostro Centro ha accompagnato con simpatia Io sviluppo edi-
toriale del volume: ora è lieto di offrire ai lettori questo pregevole
strumento di riflessione e formazione, nella convinzione di rende-
re una qualche utilità a chi cerca di orientarsi pastoralmente nel
variegato mondo giovanile.
Il Centro Salesiano Pastorale Giovanile
Roma, 24 ottobre l99l
6

1.9 Page 9

▲back to top
PARTE PRIMA
LA CHIESA DI FRONTE
ALLA QUESTIONE GIOYANILE:
QUATE PASTORALE

1.10 Page 10

▲back to top

2 Pages 11-20

▲back to top

2.1 Page 11

▲back to top
Premessa
Nella pastorale della Chiesa si è andata definendo un'area nuova
di azione con caratteristiche proprie, che sta acquistando un'im-
pottalza sempre maggiore: la pastorale della gioventù. Ad essa
ci si sente oggi particolarmente interessati in forza della novità.
Urge pertanto capire i fenomeni che le hanno dato origine e le esi-
Eenze che ne scaturiscono.
La pastorale della gioventù, o « giovanile )), non è la preceden-
te cura religiosa deiragazzi aggiornata ed estesa oggi a un'età su-
gpeetrtiiogreio. vNaonn.i.
è:.nemmeno
E invece la
la pastorale degli adulti adeguata a sog-
risposta della Chiesa a un fenomeno so-
ciale e culturale recente, per molti aspetti notevolmente fluido, che
va sotto il nome di «questione giovanile». La quale è provocata
da un insieme di fattori: I'allungamento del periodo di prepara-
zione alle responsabilità professionali e sociali, l'aumento nume-
rico della fascia giovanile adulta (17-27 anni), il parcheggio di questi
giovani alla soglia dell'impiego e della partecipazione sociale, il
disagio collettivo che ciò provoca in loro, le difficoltà delle istitu-
zioni di accompagnare questi giovani alla soluzione dei loro pro-
blemi e al completamento della loro educazione.
Tale questione giovanile si manifesta vistosamente nei diversi
atteggiamenti che i giovani assumono nei confronti della società:
dissociazion e, apatia, adeguamento passivo, contrapposizione, mar-
ginalità, diverse forme di anomia e disadattamento (devianza, de-
linquenza...).
Per la società è una << questione »>, fa « problema >>, perché si pre-
senta come una sfida: Che cosa intende trasmettere a queste gene-
razioni? E su quali strumenti conta per riuscirvi? Come pensa di
investire la vitalità di queste generazioni per inserirle nel proprio
progetto storico? E qual è questo progetto storico?
Il problema interessa necessariamente anche la Chiesa, preoc-
cupata, in forza della sua missione, dei processi di annuncio e co-
9

2.2 Page 12

▲back to top
municazione della fede e della formazione di comunità credenti,
realtà collegate all'esperienzaumana individuale e sociale. Dove
ancora non si awerte tale problematica,la Chiesa continua a svol-
gere una pastorale di <<iniziazione )) per i ragazzi e cerca di coin-
volgere cristianamente i giovani nella pastorale degli adulti.
Il fenomeno è recente. La questione giovanile, insieme alla que-
stione operaia che la precede e alla questione femminile che viene
dopo, segna la vita di tutte le società in questo secolo; ma viene
percepita con maggior forza e analizzata con migliori strumenti
nelle società avanzate. Lo studio della sua evoluzione è fatto at-
traverso un tipo di analisi socio-culturale che ha inizio nella deca-
de degli anni '50, ma la cui metodologia si è perfezionata negli ul-
timi anni. Questa analisi rappresenta un approcio nuovo e percio
una nuova comprensione della realtà giovanile, diversi dalla de-
scrizione del fenomeno evolutivo individuale a cui ci aveva abi-
tuati la pratica educativo-scolastica; diversi anche dall'enuncia zione
delle tendenze ideali della gioventù, quali l'autenticità, il deside-
rio di verità, la disponibilità al nuovo, l'energia di cambiamento...,
a cui si riferiscono sovente documenti ecclesiali.
Quest'analisi tenta piuttosto di rilevare come i giovani si collo-
cano nel sistema dei rapporti familiari, socio-culturali e politico-
economici. Esamina le possibilità di vita e le proposte di valori che
emergono dal contesto e le reazioni che provocano nel soggetto.
Rivolge l'attenzione anche ai sentimenti religiosi, all'atteggiamento
dei giovani nei confronti della pratica cristiana ereditata, alla vi-
sione che si sono fatti della Chiesa, alla maniera in cui elaborano
le proprie convinzioni etiche, all'influsso dell'elemento religioso
nella formazione dell'identità e nel sistema di significato.
re
Proprio
la fede e
dparol pcoornrferolnatocotnravelresifoinnael,itfàordmeallarepcaosmtouranleità-
suscita-
credenti,
lievitare
nasce la
il mondo
pastorale
cgoiol vVaannilgeecloom- eealraeasit«uoarzigioinnaeler»e>aledidreifilegsiosvioannei
che non può essere dedotta né dalla pastorale degli adulti né da
quella dei ragazzi.
Per approfondire questa prospettiva fondamentale ci interessa
percorrere le tappe attraverso cui si è configurata la questione gio-
vanile e considerare le corrispondenti risposte pastorali da parte
della Chiesa.
t0

2.3 Page 13

▲back to top
Capitolo primo
LA QUESTIONE GIOVANILE:
TAPPE DI UNA EVOLUZIONE
E SFIDE POSTE
ALL'AZIONE PASTORALE
1. PRIMA DELLA QUESTIONE GIOVANILE
Fattori di cambiamento sociale che modifichino anche la con-
dizione dei giovani non mancano mai nella storia, ma cominciano
ad addensarsi nella seconda metà del secolo scorso e all'inizio del
nostro. Basti pensare al progressivo evolversi della famiglia verso
la forma <<moderna»>, all'estensione della scuola destinata a di-
venire lo strumento principale di socializzazione, alla diffusione
della stampa come fatto sociale rivolto alla maggior parte della
gente e non soltanto a un gruppo ristretto di professionisti. Que-
sti fenomeni investono però soltanto alcuni settori della popola-
zione, mentre altri ne rimangono esclusi. Riferiti ai giovani, essi
non creano tuttavia una realtà sociale distinta per mentalità e aspi-
razioni.
Alla fine del secolo scorso e per tutto il primo quarto di questo
I'adolescenza èl'età dell'educazione in famiglia e per un buon nu-
mero di giovani nella scuola. Essa rappresenta la transizione ver-
so le responsabilità adulte realizzate nel lavoro, nel matrimonio
e nell'inserimento pieno nella vita sociale. L'idea di prolungare que-
sto periodo viene respinta, perché ciò esporrebbe i giovani all'in-
dolenza e alle deviazioni morali.
La gioventù non emerge come soggetto sociale. La sua durata
è breve. Sono pochi i giovani che prolungano la loro partecipazio-
ne alla vita oltre i sedici anni. La società, munita di solidi quadri
di riferimento etici e giuridici, esercita su di essi un controllo suf-
ficiente. I processi e le agenzie di socializzazione, cioè di inseri-
mento nella società attraverso l'apprendimento delle sue norme e
le relative giustificazioni, sono poche ma efficaci: la famiglia, la
l1

2.4 Page 14

▲back to top
scuola, I'ambiente sociale e, in quei paesi in cui la Chiesa ha rile-
vanza pubblica, la parrocchia.
Questo quadro non cambia nemmeno con I'ulteriore diffondersi
della scuola elementare e con I'allargamento dell'insegnamento me-
dio. Già alla fine dell'800, non bastando l'istituzione scolastica a
impegnare tutto il tempo degli adolescenti, sorgono Ie associazio-
ni educative. Si tratta sempre di associazioni fatte e guidate dagli
adulti per gli adolescenti: l'adulto viene sostituito con i giovani più
grandi nel tradizionale ruolo di guida. Così I'educatore si cala nei
divertimenti dei ragazzi per proporre quei valori che non è possi-
bile trasmettere dalla cattedra o dal pulpito. Il tempo libero e la
socializzazione fuori dalle istituzio n i tradizionali son o elementi che
avranno sviluppo solo in seguito.
Tra il 1920 e il 1940 non pochi giovani partecipano alle spinte
rivoluzionarie e alle agitazioni sociali. Vengono convocati dai re-
gimi e inquadrati in <<orgarizzazioni»», con finalità politiche e ideo-
logiche, mentre le scuole sottolineano con forza I'impegno patriot-
tico e morale. Il fenomeno di inquadramento con l'accentuazione
del ruolo degli adulti si verifica anche nelle organizzazioni giova-
nili dei paesi democratici, ma è soprattutto una realtà dei regimi
totalitari. Chiusi tra un tale associazionismo e una scuola rigoro-
sa, i giovani delle classi borghesi perdono la capacità di iniziativa
collettiva. Il sistema scolastico in effetti li organizzaper classi omo-
genee; rafforza così Ia solidarietà tra quelli della medesima età e
livello e rende difficile la comunicazione fra scuola secondaria e
università. D'altra parte i giovani delle classi borghesi perdono la
capacità di iniziativa collettiva, mentre i giovani esclusi dalla sco-
larizzazione o sono in attesa di occupazione o costituiscono una
forza lavoro sfruttata e mal pagata.
Gli anni '45-'60 sono in Europa occidentale, Stati Uniti e Giap-
pone, il tempo della ricostruzione, della industrializzazione, dei
« miracoli economici »>, della occupazione piena, dell'estensione del-
l'insegnamento medio-superiore, del mercato comune d'Europa,
della televisione, dei primi esperimenti spaziali, di un confronto
sociale serrato che porterà a una società più giusta.
Superata la fase piu acuta della guerra << fredda »», i tentativi di
nuovi inquadramenti dei giovani falliscono. Vi è una diffusa rea-
zione di stanchezza di fronte al manicheismo delle contrapposi-
t2

2.5 Page 15

▲back to top
zioni ideologiche. Nasce una generazione <<tranquilla», con ten-
denza a migliorare la propria vita privata, che coglie nel lavoro
più che il significato «etico e sociale»>, l'aspetto «positivista» di
strumento di benessere. Si assimilano rapidamente modelli di at-
teggiamenti adulti e si ripiega precocemente su valori di sicurezza
e di comfort. Un'immagine diffusa parlava dei giovani delle tre
M: matrimonio, mestiere, macchina.
Intanto il soggetto giovanile comincia a farsi sentire, anche per-
ché la presenza dei giovani nella società è in proporzione rilevante.
Nel['Europa Orientale si affermano i sistemi marxisti con for-
te controllo su tutti i processi di educazione, socializzazione e par-
tecipazione. Quali che siano le reazioni soggettive individuali o di
gruppi, questo controllo impedisce ogni evoluzione della situazio-
ne giovanile nel ventennio che invece nell'altra Europa è il più fe-
condo di novità.
Nei Paesi dell'emisfero Sud l'evoluzione non è uniforme. In ge-
nerale è segnata dal fenomeno della doppia velocità e dal divario
economico che da questo momento comincia ad aprirsi fino a di-
ventare la questione Nord-Sud. I movimenti di decolonizzazione
in alcuni paesi, la mancanza di opportune trasformazioni sociali
ed economiche in altri, l'alto indice di natalità, la dipendenza dai
centri mondiali politici ed economici danno origine a un doppio
fenomeno giovanile: una minoranza che ha accesso ai beni, alla
istruzione e qualificazione professionale superiore; una maggio-
ranza che non raggiunge la scolarità secondaria e che presenta un
basso rendimento e un grande indice di abbandono, già a livello
di istruzione primaria. La prima viene selezionata dal sistema sco-
lastico per i ruoli sociali ed economici; la seconda, perdendo pro-
gressivamente opportunità anche per il degrado economico gene-
rale, rimane fuori dai processi di socializzazione, costituendo così
con le loro famiglie la <<massa emarginata»>, la quale entra preco-
cemente nel mercato del lavoro con prestazioni di basso profilo
e con retribuzione da sfruttamento.
2. IL FENOMENO GIOVANILE DEGLI ANNI '60
Arriviamo così agli anni sessanta, decennio della contestazio-
ne, che ha il suo apice nei fatti del '68. Il fenomeno sorge prima
13

2.6 Page 16

▲back to top
nei paesi democratici occidentali, partendo da istituzioni formati-
ve prestigiose per dotazioni scientifiche e tradizioni diricerca. Ma
ha ripercussioni anche in altri paesi, compresi quelli del terzo mondo
e dell'Europa Orientale.
Esso incomincia nel '62 e, attraverso i movimenti del'64 e'67,
diventa piu generale nel'68. Si tratta dunque di un decennio e non
di un solo anno. Senza addentrarci nello sviluppo cronologico e
geografico, è interessante raccogliere i tratti con cui la questione
giovanile che ci preoccupa emerge da questo decennio.
Nel panorama mondiale cominciano a farsi sentire i grandi pro-
blemi comuni che servono da agglutinante: il sottosviluppo, la di-
pendenza del terzo mondo, l'oppressione dei poveri e il collega-
mento tra la povertà e l'eccesso di benessere, le guerre per il pre-
dominio mondiale (vedi Vietnam), la discriminazione razziale (vedi
Luther King), la subordinazione dei sistemi educativi e istituzioni
culturali ai poteri economici e militari.
È il momento dell'esaltazione dell'impegno politico, dell'azio-
ne collettiva, che nel continente Iatinoamericano trova il suo cor-
rispondente nel desiderio di fare del popolo il protagonista delle
trasformazioni sociali e nei movimenti di liberazione.
Il soggetto giovanile appare più solidale che mai. Sembra at-
traversato da certe sensibilità comuni. La comunicazione sociale
a scala mondiale porta il fermento ad aree lontane e culturalmen-
te diverse. Ma la teoria del contagio non è sufficiente per spiegare
la sintonia. La coscienza << mondiale » si fa sentire. È facile in que-
sta temperieipotizzare una classe giovanile rivoluzionaria e inno-
vatrice. C'è la tendenza a privilegiare nettamente l'aggregazione
e la solidarietà tra pari, con una certa chiusura al dialogo e al con-
fronto intergenerazionale. Viene negata la validità della stessa co-
municazione tra le generazioni: <<Non fidarti di nessuno che ab-
bia più di trent'anni», dice uno slogan.
È il ternpo della contestazione globale e dell'esaltazione del cam-
biamento rivoluzionario, carico di idealismo utopico, che sfocerà
anche nel terrorismo, nella contro-cultura, nel dissenso. Ma ap-
paiono soprattutto evidenti la difficoltà di tradurre le utopie in pro-
getti storici, così come la genericità delle prediche antiautoritarie.
All'interno del movimento emerge comunque fortemente, in-
t4

2.7 Page 17

▲back to top
sieme alla protesta contro le varie concretizzazioni dell'autoritari-
smo e della riproduzione dei sistemi dominanti, una forte doman-
da di partecipazione diretta al potere, di un progetto di società senza
repressioni e sfruttamento, di una diversa qualità di vita, di espres-
sione massima delle proprie potenzialità, del diritto all'innovazio-
ne e al cambiamento.
Tutto ciò mette in luce, fra ambiguità non trascurabili, una co-
scienza collettiva, la volontà di affrontare insieme i problemi e di
uscire insieme dalle difficoltà.
3.IL '11: NOVITÀ E CONTINUAZIONE
La seconda metà degli anni '70 rappresenta per alcuni il fune-
rale del'68. Per altri invece I'aggravarsi della crisi a livello econo-
mico, sociale, politico e culturale non offre ai giovani riferimenti
di valori e finisce per trasformare gli stessi modelli positivi nel lo-
ro contrario. Nell'ambito pubblico si diffonde il « perrnissivismo >>
che è la maschera-caricatura della libertà personale, il << narcisismo
come contraffazione della ricerca di soggettività; l'« indifferenti-
smo )) quale esito sbiadito della tolleranza; rl « pragmatismo >> che
è la degenerazione della esigenza di razionalità di fronte all'utopia.
Intanto si aggravano fino alla ingovernabilità i problemi delle
società nazionali e internazionali: la crisi energetica, la tensione
Est-Ovest, la corsa agli armamenti, i rapporti Nord-Sud, la que-
stione morale, la liberazione dei desideri.
11 mondo giovanile comincia a disgregarsi: si tende a privile-
giare la soggettività e il quotidiano piuttosto che i dati scientifici
e I'impegno storico. I giovani aderiscono con facilità alla cultura
radical-libertaria: << Vivere senza tempo e godere senza ostacolo >>.
Sono disposti a uscire dalle leggi del mercato per impegnarsi in
lavori precari, meglio capaci di esprimere l'esigenza di attività al-
ternative non alienanti. Sono disponibili a <<fare festa insieme»>,
piuttosto che intavolare dibattiti o compiere gesti politici. Sono
critici dei sindacati. « Riprendiamoci la vita»> è l'espressione di una
nuova cultura che si manifesta nel bisogno di un lavoro gratifi-
cante, di una casa, di una formazione adeguata, di un tempo libe-
15

2.8 Page 18

▲back to top
ro alternativo. Emergono di pitr le esigenze esistenziali che le ten-
sioni o rivendicazioni politiche, anche a causa della presenza forte
e consapevole della componente femminile, più numerosa e meno
subordinata che nel movimento degli anni '60.
Questa fase è decisamente meno propositiva e progettuale; è
anche più «provinciale>>, priva di clima internazionale. In essa si
privilegia I'autoespressione individuale e l'appartenenza di grup-
po. Molti dubitano che questi giovani vadano dietro a valori post-
materiali, e rilevano piuttosto un movimento regressivo verso gli
atteggiamenti possessivi: sicurezza fisica, benessere economico...
Tali valori dominanti dissuadono dalmitizzare Ia gioventù quasi
fosse spontanea espressione delle tendenze di innovazione e dei bi-
sogni più autentici.
Privato, riflusso, caduta della progettualità sono i termini che
indicano una tendenza generale con cui non si vuole tuttavia ca-
ratterizzare ogni singolo soggetto o gruppo.
4. YERSO GLI ANNI '90
Il resto è vicino a noi. La questione giovanile ha successivi svi-
luppi e mutamenti, e si diversifica secondo i contesti. In riferimento
all'educazione e alla pastorale si usano categorie interpretative, che
illustrano la novità della situazione.
4.1. Categorie interpretative e nuovi bisogni
In primo luogo si rileva lafrommentorietà. Svanisce l'idea di
una «condizione», di una «classe)), di un «soggetto sociale soli-
dale e unico)), portatore di istanze comuni, di una cultura o sub-
cultura giovanile. La massa giovanile appare divisa socialmente
e nella coscienza soggettiva. Ci sono molte frange o anche <<sac-
che» giovanili con disagi, aspirazioni, collocazioni e ideali diver-
si. Questo scoraggia ogni tentativo di dare un'interpretazione uni-
ca o di cercare un approccio globale. È venuta meno la coscienza
collettiva.
Si sottolinea poi la marginalità. Dal preteso protagonismo nel
t6

2.9 Page 19

▲back to top
determinare modalità culturali e socio-politiche, la gioventù è ve-
nuta a trovarsi come strato marginale, con meno possibilità e ca-
pacità partecipative a causa dell'entrata tardiva nel mondo del la-
voro e dell'allontanamento volontario dalla vita pubblica. I-a mar-
ginalità provoca innumerevoli conseguenze, non soltanto sulla co-
scienza soggettiva, ma anche in fenomeni sociali molto dibattuti.
La gioventù appare più come un riflesso delle crisi e dei disagi del-
la società globale che come una forza propulsiva di cambiamento
con stimoli propri.
Un'altra categoria cerca di spiegare l'insieme dei disagi e dei
comportamenti dei giovani: èla lotta per I'identità. Di fronte al
venir meno di una certa identità collettiva, i giovani cercano di con-
ferirsela in modo autonomo. Convivono pertanto in maniera non
conflittuale, ma nemmeno comunicativa con le istituzioni e, in ge-
nerale, con i detentori dell'autorità. Elaborano individualmente
un sistema di valori e in particolare il codice di comportamenti,
e assumono appartenenze parziali e molteplici. Si fa strada tra lo-
ro, senza eccessivi conflitti, larelativizzazione di ogni quadro dot-
trinale sicuro e il rifiuto di schemi interpretativi ideologici.
Si parla di eccedenza di opportunità, riferendosi alle esperien-
ze molteplici che i giovani possono avere, senza impegnarsi total-
mente in nessuna di esse. Ne deriva la caduta della progettualità
a lungo termine e la v alorizzazione dell' immediato, dell' effimero.
Cresce dunque la capacità di adattarsi alle varie situazioni e di con-
vivere con la precarietà.
Ma alla radice e a sintesi di tutte le precedenti interpretazioni
stala complessità, riflesso della nostra società e cultura. Ne sotto-
lineiamo alcuni elementi.
Nella società complessa non esiste « un centro )> che riesca a pro-
porre efficacemente punti di riferimento stabili, una filosofia di
vita unica o prevalente, un sistema di valori unitario. Non c'è un
potere capace di esercitare nei riguardi della struttura sociale una
forte attrazione e dare a tutto il sistema un'organizzazione unita-
ria. I «centri)) o non esistono o sono molti.
La nostra società manca di legittimazione, soffre l'assenza di
un fondamento: essa offre beni e stabilisce norme di convivenza,
ma non riesce a far accettare un sistema di valori condiviso da tut-
t7

2.10 Page 20

▲back to top
ti. Perdendo la sua carica simbolica provoca una rapida succes-
sione di egemonie provvisorie che sorgono e scompaiono rapida-
mente. Cio si verifica a livello etico, politico e culturale. Si assiste
dunque a un rimescolamento continuo di messaggi e di influssi tra
gruppi diversi.
Il risultato è una sostanziale « fragilità » dei processi di socia-
lizzazione, con il rischio di produrre una quantità notevole di sog-
getti dotati di.scarso adattamento, di scarso sentimento di appar-
tenenza e di integrazione. Gli educatori non hanno più una cul-
tura unitaria da proporre, ma semplicemente elementi isolati di
cultura, eterogenei e spesse volte alternativi o contraddittori tra
di loro.
Ci si trova di fronte a una società che forma persone che si adat-
teranno semplicemente con molto ((pragmatismo» e con una punta
di cinismo, tentando di sfruttare a proprio vantaggio le opportu-
nità che offre, senza però coinvolgersi a fondo nei suoi problemi.
Sono persone che non percepiscono la sua legittimità assoluta, per-
ché non è stata loro trasmessa.
In simile società complessa emergono allora nuovi bisogni, in
una direzione che la pastorale deve considerare come <<segni»>.
Risolti per la maggioranza (ma è proprio vero?) i problemi del
cibo, della casa, del lavoro, della sicurezza sociale, emerge I'esi-
Eerl.za di una migliore qualità di vita personale, di esperienze che
privilegiano le relazioni umane, i bisogni soggettivi, le attività li-
bere e gratuite. Si tratta di bisogni chiamati radicali o post-
materialisti.
Di fronte all'aumento del tempo libero si fa avanti l'ipotesi che
questo possa diventare sempre più il luogo nuovo dell'identità in-
dividuale e collettiva. Fino ad oggi era la professione o il lavoro
che determinava l'identità fondamentale di una persona. Qualcu-
no pensa ora che la situazione stia cambiando. Forse si va verso
una società in cui sarà il crescente tempo libero il luogo in cui le
persone potranno optare per tipi diversi di attività che soggettiva-
mente sembrano dare più occasioni di autorealizzazione, di dare
un senso alla vita. E questo naturalmente apre nuovi orizzonti edu-
cativi nelle società industrializzate.
l8

3 Pages 21-30

▲back to top

3.1 Page 21

▲back to top
4.2. America Latina
Per quanto riguarda l'America Latina, i documenti ecclesiali
parlano della gioventù come di un « nuovo corpo sociale » pri-
ma c'erano i giovani, oggi c'è la gioventù») e tentano di presen-
tarla come un gruppo di pressione sociale, sottolineando alcune
sue caratteristiche generali. E tuttavia non possono poi evitare di
differenziare in sei settori i giovani che nella realtà si trovano in
situazioni ben diverse, senza collegamenti tra di loro e, in genera-
le, senza coscienza collettiva all'interno dei medesimi settori: la gio-
ventù contadina, quella dell'ambiente urbano <<popolare», gli stu-
denti e universitari, i giovani lavoratori, la gioventù in situazioni
critiche diverse, la gioventù indigena.
Da ciò si può dedurre che alcune categorie interpretative, co-
me la frammentazione e la marginalità, si applicano anche nel con-
tinente latinoamericano. Da relativizzare invece è l'insorgere dei
<<nuovi bisogni». Essi sembrano caratterizzare una minoranza e
appaiono più indotti dai modelli delle società sviluppate, mentre
una grande maggioranza deve ancora accedere a quei beni che so-
no condizione necessaria per « essere uomini >>: sufficienza econo-
mica, cultura e istruzione di base, qualificazione professionale suf-
ficiente, retribuzione giusta del proprio lavoro, partecipazione at-
tiva nella società.
La povertà estrema, insieme alla consapevolezza che è provo-
cata, mantenuta e aggravata da fattori strutturali, a sfondo pre-
valentemente economico, gestiti dall'esterno con collaborazioni al-
l'interno, costituisce un elemento determinante della situazione e
della coscienza giovanile. Una presa di posizione nei suoi confronti
divide la società e addirittura la Chiesa. Con la caduta dei « siste-
mi ideologici » la gioventù è rimasta senza progetti e senza soste-
gno. E dopo le esperienze fugaci « dello sviluppo » (anni '60) e della
«liberazione» (anni '70), oggi sente più che mai di essere con tut-
ta Ia popolazione << alla periferia » del mondo che decide e sul qua-
le si decide.
Dal punto di vista religioso, Ia Chiesa conserva un forte peso
morale e, data la maggioranza cattolica della popolazione, susci-
ta ancora speranze anche se vaghe, mentre si va facendo strada
t9

3.2 Page 22

▲back to top
il secolarismo, e la religiosità popolare si frantuma nelle adesioni
alle sètte.
4.3. Africa
Quanto all'Africa, i dati disponibili mettono in evidenzalari-
levanza numerica dei giovani rispetto agli adulti e sottolineano i
fenomeni socioeconomici che determinano il destino di molti gio-
vani: l'esodo rurale el'wbarirzaÀone non gestita. Le diverse « fran-
ge » giovanili sono così descritte: coloro che arrivano dai villaggi
alle città in cerca di lavoro per sopravvivere, tra cui le sottofrange
dei lavoratori, dei vagabondi...; i giovani delle aree rurali in gene-
rale fortemente depresse; gli studenti, che si frammentano in sot-
togruppi.
I « fattori » poi che influiscono sulla condizione giovanile sono
i seguenti: il ruolo subalterno del soggetto giovane di fronte al mon-
do adulto; la rapida decolonizzazione e la conseguente difficoltà
di gestire ordinatamente la società con le relative gravi carenze in
campo educativo, culturale, assistenziale; lo scontro tra antiche
sensibilità tradizionali e l'impatto della civiltà moderna; il sistema
educativo che non è riuscito a darsi modelli adatti alla situazione
africana; la dipendenza economica e culturale, per cui alcuni inse-
guono i livelli di vita delle società avanzate e non si curano del «pro-
gresso di tutti».
Le aspirazioni dei giovani, pervenuti a un certo livello di con-
sapevolezza, si collocano tutte nella linea di avere una professione
e un impiego, di vivere in un contesto di maggior giustizia e liber-
tà, di godere dei beni delle civiltà piir avanzate, di ricuperare le
tradizioni e <<l'anima africana». Ma la maggioranza vive ancora
nella precarietà fondamentale di esistenza, educazione e lavoro.
4.4. Asia
Il panorama dell'Asia non è uniforme. Mentre qualche paese
riproduce i tratti delle società, avanzate, sebbene con caratteristi-
che proprie (Giappone), altri stanno entrando in un processo di
industrializzazione, di corsa al possesso e al benessere, di concor-
20

3.3 Page 23

▲back to top
renza per i posti di lavoro, di esigenze crescenti di educazione e
qualificazione (Corea, Thailandia).
In India i giovani tra i 15 ei24 anni sono 155 milioni e rappre-
sentano i|200/o della popolazione. Al di sotto dei 24 anni sono il
6090. Consistente appare la popolazione giovanile rurale (74ù/o),
mentre nelle aree urbane (26ù/o) si frammenta in studenti, lavora-
tori, giovani in cerca di impiego, girovaghi, devianti.
Come in altre zone geografiche, mancano una coscienza e punti
di riferimento collettivo. La gioventù non si esprime in scelte cul-
turali, educative o politiche, ma nelle «< mode »> o nelle forme di
espressione importate, mentre nell'ambito familiare e sociale del-
le aree rurali persistono ancora i costumi ereditati. Vige un'enor-
me distanza tra le opportunità di cui godono le classi più agiate
e quelle a cui ha accesso la maggior parte della popolazione. Il pro-
blema giovanile sembra essere quello dell'educazione e della pos-
sibilità di lavoro retribuito. È invece difficile parlare di questione
giovanile come rivendicazione collettiva di partecipazione o di ela-
borazione culturale.
Le Filippine, per la religiosità popolare cattolica diffusa, per
il sistema sociale e per le condizioni economiche, presentano con-
dizioni simili a quelle dell'America Latina.
5. SFIDE ATTUALI ALLA PASTORALE
In questa 5iluezione giovanile emergono alcuni elementi che toc-
cano profondamente l'agire educativo e pastorale.
L'allungomento dell'età giovanile ha posto al centro dell'atten-
zione della pastorale gli adolescenti e i giovani. Le fasi tradiziona-
li dell'iniziazione cristiana, considerate in altro tempo come i mo-
menti definitivi della comunicazione della fede, risultano insuffi-
cienti. Le situazioni che determinano l'orientamento nella vita (in-
gresso nel mondo del lavoro, università) hanno luogo dopo l'ado-
lescenza. La sintesi culturale, la maturazione del criterio etico sui
problemi più sentiti, certe scelte di esistenza awengono nell'età che
segue l'iniziazione. Il tempo, le esperienze, i contenuti dottrinali
dellainiziazione continuano a essere importanti; ma non ricopro-
2t

3.4 Page 24

▲back to top
no, nemmeno materialmente, l'età giovanile. Programmi sistematici
per la formazione cristiana dei giovani o non esistono o vengono
meno, proprio quando questi sono ancora in piena evoluzione.
La comunicozione della comunità ecclesiale con questa fascia
giovanile non è facile. Man mano che i soggetti si inoltrano nella
giovinezza, diminuiscono per loro le opportunità e i luoghi d'in-
contro, dialogo e socializzazione religiosa. Si deplora il fenomeno
dell'allontanamento dei giovani, a volte subito dopo la prima Eu-
caristia, e, in forma più generale, dopo la Confermazione.
La comunicazione è resa difficile anche dalla diffusa indiffe-
renza religiosa e dalla visione pragmatica della vita. Ciò determi-
na l'irrilevanza sociale del pensiero e della pratica religiosa, come
anche dell'istituzione che li propone e rappresenta con le sue ini-
ziative e ruoli. I giovani elaborano la dimensione religiosa ed etica
nel privato, con criteri personali, in forma frammentaria, in fun-
zione dei propri bisogni.
La comunicazione presenta anche altri problemi. Il linguaggio
verbale che pretende offrire contenuti ordinati e coerenti ha un po-
tere di convinzione molto ridotto e non provoca adesioni e scelte
vitali. Oggi parlano i gesti, le immagini, i testimoni, i simboli del-
lo status, la promessa di soddisfazione e felicità. Non si persuade
più con i «trattati>>: si accolgono invece messaggi in codici vitali
di cui bisogna possedere la chiave.
Gli spazi umani dove il messaggio religioso arriva a essere si-
gnificativo sembrano essere la soggettività e la solidarietà. La pri-
ma spinge alla ricerca del senso, a dare un punto di unità e consi-
stenza alla propria persona (identità), a cercare un ancoraggio eti-
co nella complessità della situazione attuale. Su questo molti aspet-
tano dalla Chiesa un orientamento, un segno, un'indicazione di
saggezza, una testimonianza. Ma ciascuno si prende la libertà di
accettare o meno quello che essa indica, secondo il proprio sentire
e le proprie esigenze. Si comporta come consumatore in una spe-
cie di supermarket culturale.
La solidarietà appare come l'energia con cui si possono affron-
tare insieme le grandi sfide alle quali ogni società e l'umanità tut-
ta tentano di rispondere: la povertà, l'emarginazione, la pace, la
giustizia, l'ambiente. La solidarietà influisce sulla coscienza dei gio-
22

3.5 Page 25

▲back to top
vani in due forme: quando sono raggiunti personalmente da essa
in situazioni difficili; e quando ne fanno esperienza attiva, consi-
derandola I'impegno più significativo della fede.
L'ampio campo giovanile si presenta all'azione pastorale con
alcune tendenze comuni, che sembrano dargli una certa unità. Ap-
pare invece molto diversificato in ciò che riguarda scelte di vita
e disponibilità verso la fede. Ci sono giovani impegnati, semplice-
mente praticanti, vicini, disponibili, lontani per diverse ragioni,
estranei al linguaggio e alla realtà ecclesiale.
Il cerchio più largo è quello dei «lontani». Sul fatto della sua
consistenza non ci sono dubbi. Appare evidente nei dati sulla fre-
quenza « domenicale »>, sulla catechesi e persino sul battesiri'ro e pri-
ma comunione. Il numero di giovani raggiunti dalle iniziative ec-
clesiali costituisce una percentuale minima sulla totalità.
Il fenomeno è stato oggetto di riflessioni approfondite e di ac-
curate distinzioni. Ci sono i <<lontani» dalle preoccupazioni eti-
che, che potrebbero costituire una base di dialogo; quelli che han-
no perso l'interesse per la dimensione religiosa; quelli per i quali
il messaggio cristiano rientra nel generico del pensiero religioso;
quelli che non si riconoscono affatto nella Chiesa; quelli che, pur
riconoscendosi in essa, non frequentano più. Non pochi di loro
non si sono allontanati: sono semplicemente nati in un << altro con-
tinente culturale»>, hanno imparato un <<altro linguaggio», sono
cresciuti « in altri ambienti ». Per loro la Chiesa e Gesù Cristo so-
no stati più notizie giornalistiche che vero annunzio. Hanno smesso
di essere per loro riferimenti « sostanziali ». Criteri, senso e appar-
tenenze vengono elaborati senza prendere in considerazione le istan-
ze religiose. È il fenomeno della «irrilevanza»» o <<insignificanza>>
soggettiva del religioso, qualunque sia il suo valore o la sua verità
oggettiva. La lontananzaavolte è causata da fattori non religiosi,
come l'emarginazione sociale e culturale, la precarietà,lamancanua
di condizioni fondamentali di esistenza.
C'è poi un secondo cerchio. I giovani di quella religiosità che
è stata chiamata «light», cioè «leggera». È una religiosità che non
si preoccupa della conoscenza orgarica del mistero cristiano della
pratica coerente e totale della vita cristiana. In essa può stare tut-
to. Per questo non sperimenta le crisi, gli entusiasmi o i problemi
23

3.6 Page 26

▲back to top
che tempo addietro erano tipici del periodo scolastico di socializ-
zazione religiosa. Questi giovani non sono contrari ai sentimenti
religiosi e nemmeno disinteressati ai messaggi, sono pero « fedeli
alla loro dichiarazione di indipendenza riguardo agli impegni isti-
tuzionali o etici>>. In essi si verificano momenti di <<emozione»>,
impatto e riflessione religiosa, come sprazzi fugaci. Sono provo-
cati da una persona (Madre Teresa, Roger Schutz, il Papa), da un
evento (incontro personale, raduno giovanile, situazioni di estre-
ma miseria, un fatto di vita, esperienza felice di dedizione...), da
un problema personale o del contesto (droga, abbandono di per-
sone indifese), dal ritorno a quanto si era imparato in una buona
iniziazione cristiana o da una prima riflessione matura sulla vita.
Si tratta di curiosità, di sentimento, di buona disposizione e persi-
no di un certo interesse intellettuale. Il problema qui sta nel come
accompagnare questi giovani verso I'adesione stabile a Cristo e la
scelta consapevole della fede.
Un terzo cerchio è quello dei «praticanti»>. Le loro caratteri-
stiche sono una certa regolarità nei gesti religiosi, il senso di ap-
partenenza sociale alla Chiesa come istituzione, un'accettazione
generale delle norme fondamentali di vita che la Chiesa propone
a nome di Cristo. Ma la fede non libera tutte le loro potenzialità,
la vita cristiana non viene colta nelle sue dimensioni profetiche di
evento originale, la condotta non si ispira allo spirito evangelico,
ma piuttosto ad alcune indicazioni di buon senso, la carità non
riesce a diventare donazione. Si tratta di una religiosità funziona-
le ai bisogni della persona, integrata senza conflitto nel costume
sociale, sovente lodata anche dalla stampa laica.
Finalmente ci sono i giovani « impegnati »> per i quali la fede
è una scoperta, la riflessione sul mistero cristiano è continua, lo
sforzo di coerenza diviene permanente, il coinvolgimento aposto-
lico sotto varie forme è visto come un obbligo e l'appartenenza
alla Chiesa è sentita e manifesta. Questi giovani si trovano nei mo-
vimenti ecclesiali, nelle parrocchie e nelle istituzioni educative co-
me animatori, nel volontariato. Il loro numero però non oltrepas-
sa il 690, pur essendo la loro presenza un segno di speranza.
Per ciascuno di questi cerchi si richiedono obiettivi e itinerari
propri di maturazione nella fede. Ma insieme ad un'azione rivolta
24

3.7 Page 27

▲back to top
alle singole persone e ai gruppi secondo la particolare situazione
umana e religiosa c'è un dialogo generazionale da ricostruire, una
proposta di fede da offrire, una sana speranza in un futuro possi-
bile da alimentare.
Ciò spinge la Chiesa a farsi presente nel continente giovanile,
nel contesto piu ampio della società, corresponsabilizzandosi nei
confronti delle nuove domande educative, affrontando insieme ad
altre forze le cause del disagio e del disadattamento, e annuncian-
do in forme nuove il Vangelo come salvezza pq i giovani.
25

3.8 Page 28

▲back to top
Capitolo secondo
LA CHIESA ASSUME
LA QUESTIONE GIOVANILE
La formazione umana e cristiana delle giovani generazioni è
stata sempre una preoccupazione centrale della Chiesa.
Prima dell'emergere della questione giovanile la sua pastorale
nei riguardi del soggetto giovane è eminentemente una pastorale
dei <<ragazzi». Segue fondamentalmente tre direzioni: l'istruzio-
ne catechistica e l'iniziazione cristiana nella comunità dei creden-
ti, con il sostegno dell'insegnamento religioso impartito nelle isti-
tuzioni scolastiche; il servizio dell'educazione cristiana attraverso
le scuole cattoliche rivolto a tutti, ma soprattutto agli strati più
umili; e infine I'assistenza sociale e religiosa a coloro che versano
in particolari rischi morali e umani.
Nell'attuazione dei due ultimi fronti si trovano impegnate in
particolare le congregazioni religiose.
In alcune regioni la Chiesa svolge un'azione educativa attra-
verso un'istituzione che risponde ai bisogni più svariati dei ragaz-
zi e organizza il loro tempo libero: l'oratorio festivo.
Anche l'associazionismo ha sue manifestazioni all'interno del-
le istituzioni educative e pastorali: è offerto come opportunità di
una migliore assimilazione della fede e della pratica cristiana. Par-
rocchie e congregazioni se ne servono abbondantemente per fini
formativi.
Nei primi cinquant'anni del secolo la Chiesa, oltre alle iniziati-
ve pastorali consuete, migliorate nel tempo, promuove una solida
or ganizzazione di associazioni (specialmente l' Azione Cattolica),
che prevedono vigorosi programmi di formazione personale e pre-
parazione spirituale e intellettuale per una (( presenza cristiana »
nella società.
Intanto l'azione educativo-culturale viene ulteriormente raffor-
26

3.9 Page 29

▲back to top
zata dall'allargamento e qualificazione degli istituti cattolici di li-
vello medio superiore e soprattutto dal sorgere e affermarsi delle
università cattoliche.
Da questi due luoghi di formazione cristiana (istituzioni edu-
cative e associazioni) la Chiesa lancia i giovani nella politica e nel
sociale.
Essa esprime anche la sua attenzione verso i giovani impegnan-
dosi in alcuni campi del bisogno giovanile (emigrazione, prepara-
zione professionale, lavoro), portati avanti per lo più da iniziative
individuali. Attorno alla parrocchia intanto nascono interessanti
movimenti con germi di rinnovamento: la parrocchia-comunità,
Ia parrocchia missionaria.
Il fenomeno degli anni '60, con il suo apice nel 1968, sorpren-
de del tutto la Chiesa: le sue strutture pastorali si trovano di fron-
te a una realtà emergente inattesa. Per cui la prima reazione è il
disorientamento. Lo si coglie negli interrogativi che vengono po-
sti nelle sedi più autorevoli. L'associazionismo tradizionale si dis-
solve per la mancanza di adeguamento alla nuova situazione pro-
vocata dai giovani. Le comunità ecclesiali non trovano forme so-
stitutive. L'emergere della fascia giovanile con il suo potenziale
contestativo coglie tutti di sorpresa, mentre la fascia inferiore del-
I'età evolutiva e le istituzioni educative, in cui sono impegnate gran
parte delle risorse ecclesiali, vengono relegate a ruolo subalterno,
e il loro influsso diminuisce inesorabilmente.
E ciò avviene in un momento in cui le intuizioni del Concilio
Vaticano II, che toccano trasversalmente la questione giovanile (là
dove si parla di cultura, di società, di questioni internazionali) non
sono ancora state diffuse e meno ancora tradotte in linee pastora-
li concrete.
È indicativo al riguardo il grave interrogativo che Paolo VI si
fa nel 1968: «E possibile I'incontro tra Chiesa e giovani?».
Le varie chiese si erano attrezzate pastoralmente per far fronte
all'età dell'adolescenza; invece trovavano una gioventù che inten-
deva confrontarsi, valutare e intervenire.
In questi momenti di smarrimento e quasi di dolorosa passio-
ne si inizia a prospettare la pastorale giovanile, che è venuta ma-
turando lentamente sino ad oggi.
27

3.10 Page 30

▲back to top
La possiamo leggere nella riflessione teologico-pastorale, nella
prassi concreta della Chiesa e, infine, nella progettazione pastora-
le organica.
1. LA RIFLESSIONE TBOLOGICO.PASTORALE
Sin dall'esplodere della questione giovanile si fa strada nella
Chiesa una riflessione che ne assume i dati socio-culturali e li inse-
risce in una lettura pastorale.
Il Concilio offre i primi elementi di questa lettura; ma soprat-
tutto esprime attenzione e volontà di incontro e dialogo. « La Chiesa
ama intensamente i giovani; sempre, ma specialmente in questo
tempo, si sente interpellata dal suo Signore a guardarli con spe-
ciale amore e speranza, considerando la loro educazione come una
delle sue principali responsabilità pastorali ».
Da ora in poi il tema giovani viene inserito nei documenti che
abbordano problemi generali della Chiesa ed è oggetto di inter-
venti specifici. Esempio convincente tra questi è la lettera di Gio-
vanni Paolo tI « Ai giovani e alle giovani del mondo >>, in occasio-
ne dell'anno internazionale della gioventù.
Le chiese particolari riecheggiano la riflessione e la arricchiscono
di concretezza.Il problema giovanile trova una sua collocazione
nel simposio dei vescovi europei nel 1975 su << Secolarizzazione ed
evangelizzazione in Europa»», mentre nel successivo del 1978 è il
punto focale del confronto.
L'America Latina offre tre documenti di molto interesse dot-
trinale e di progressiva applicazione pratica. Il documento quinto
di Medellfn (1968) rappresenta la prima dichiarazione organica della
Chiesa latinoamericana sulla gioventù, considerata come destina-
taria di attenzione pastorale specifica. Segue, dieci anni dopo, l'op-
zione per i giovani di Puebla. Di recente (1987) il documento « Pa-
storale giovanile: alla civiltà dell'amore>» riprende le riflessioni
dottrinali e le traduce in linee operative.
Numerose chiese diocesane e molte conferenze nazionali ela-
borano un quadro interpretativo autorevole sull'argomento, in let-
tere pastorali, in convegni ecclesiali, in orientamenti per i diversi
momenti della prassi pastorale.
28

4 Pages 31-40

▲back to top

4.1 Page 31

▲back to top
Di non minore incidenza è quanto viene prodotto dai centri di
riflessione, da gruppi di teologi e pastoralisti particolarmente in-
teressati al problema. Oggi si può dire che il tema abbia raggiunto
la comunità cristiana e che questa sia consapevole delle sue dimen-
sioni ed esigenze.
Ma quale visione scaturisce da questo cumulo di riflessioni?
Certo non si tratta di uno studio sistematico e completo, è piut-
tosto una lettura sapienziale di cui possiamo cogliere alcuni nuclei
principali.
Un primo nucleo sta nel valutare positivamente la « giovinez-
za>> nell'esistenza della persona, e la <<gioventù» nel dinamismo
della società e nel divenire dell'umanità. La giovinezzainfatti rap-
presenta la condizione spirituale e la disposizione psicologica em-
blematica di fronte alla vita, in quanto possiede la capacità di ral-
legrarsi per ciò che comincia, di darsi con generosità, di rinnovar-
si e di ripartire per nuove conquiste.
È il tempo di una particolare intensa scoperta dell'io umano
e delle proprietà e capacità ad esso unite nelle quali è come inscrit-
to l'intero progetto della vita futura (cf Giovanni Paolo II, «Ai
giovani e alle giovani del mondo », n. 3). La gioventù d'altro can-
to ripropone in forma nascente e intensa gli interrogativi e le aspi-
razioni dell'uomo. Per questa nuova creazione della coscienzaùma-
na che ha luogo in ogni vita che si apre, piir che per il succedersi
biologico delle generazioni, la gioventir risulta dinamizzatrice del-
la società e porta inedite possibilità al processo storico dell'umanità.
La Chiesa dunque vede in essa una « immagine di se stessa, gio-
vinezza del mondo » e la speranza per la società e per la Chiesa.
Questa riflessione viene modulata con innumerevoli espressio-
ni e approfondita da prospettive diverse, ma si tratta in fondo di
<< un'unica intuizione spirituale ».
In tale chiave infatti vengono letti i disagi e le aspirazioni della
gioventù. Essi manifestano la tensione che le persone singole e l'in-
tera umanità sperimentano nella ricerca del proprio compimento
definitivo. Sono come invocazioni di una presenza e riconoscimento
di un limite; diventano frustrazione quando, nel soddisfarli, il de-
stino e la dignità dell'uomo vengono ignorati dalle persone o dal-
l'organizzazione sociale. Il giovane ha però, dalla creazione e re-
29

4.2 Page 32

▲back to top
denzione, Ia possibilità di superare questi condizionamenti e di rea-
lizzare la sua vocazione umana in qualunque situazione.
La Chiesa sa di poter offrire al giovane una illuminazione per
interpretare il suo mistero, e un modello conforme al quale co-
struire l'esistenza: è Cristo, via, verità e vita. Gli propone anche
un ambito umano di ricerca sincera, di esperienza e condivisione
della verità: è la comunità dei credenti. Offre ancora un progetto
storico: il Regno che investe tutto il tempo presente, si realizza in
ogni momento, abbraccia tutta la storia.
Ma ciò si attua all'interno della esperienza del singolo e dell'u-
manità, sovente negativa, dominata da forze avverse.
La Chiesa ripensa allora il suo servizio alla crescita dei giova-
ni. Lo vede come una «proposta di valori>» tra cui primeggia la
fede, l'amore e la speranza che plasmano la persona dal di dentro
in ogni situazione; come un aiuto al discernimento delle esperien-
ze giovanili, di qualunque tipo esse siano, per scoprire il positivo
e denunciare quello che è negazione della vita; come compagnia
nell'apertura permanente all'azione di Dio e nello sforzo di supe-
ramento dei propri limiti. « Per questa strada, che non fallisce
delude, i giovani matureranno nel considerare che la vita è chia-
mata, è vocazione, e i divini progetti su di loro acquisteranno for-
za incisiva, divenendo fedeltà: non solo fedeltà consapevole di uo-
mini, ma fedeltà innamorata di credenti in Cristo e suoi veri di-
scepoli» (Ballestrero, <<Giovani verso Cristo», 1).
Per adempiere questo ministero essa interroga il suo Signore
sugli atteggiamenti e sullo stile che Ia possono rendere « educatri-
ce» della libertà dei giovani. Sa di dover convivere e solidarizzare
con la loro condizione, rendendosi garante delle loro aspirazioni
legittime e aiutando a smascherare alienazioni. Si propone di dia-
logare con i giovani, ascoltando le loro domande e offrendo la pro-
pria ricchezza; di rispettare il loro cammino, dando testimonian-
za della propria speranza.
Questi nuclei, ripresi nelle forme più varie, si esplicitano ulte-
riormente quando la riflessione diventa <<situata»> e particolare,
come capita nei documenti delle Conferenze episcopali e nelle let-
tere dei vescovi. I valori allora vengono nominati, i rischi e disagi
individuati, le mediazioni ulteriormente concretizzate.
30

4.3 Page 33

▲back to top
La riflessione teologico-pastorale si traduce così in strumenti
operativi. I catechismi per i giovani, elaborati in diverse aree cul-
turali, propongono una maturazjone umana alla luce di Cristo, nella
comunità, per il Regno. Altrettanto fanno gli itinerari di vita cri-
stiana preparati per i movimenti e i diversi documenti con cui si
è cercato di descrivere il compito educativo della Chiesa.
2. LA PRASSI DELLA CHIESA
NEI CONFRONTI DEI GIOVANI
Mentre si sviluppa la riflessione teologico-pastorale sul feno-
meno giovanile, le chiese si trovano impegnate nella prassi con-
creta a favore dei giovani: tentativi di contatto, iniziative promos-
se per il loro coinvolgimento e formazione, nuovi modi di presen-
za nel loro mondo.
Quello della prassi pastorale rappresenta un momento rilevan-
te di confronto e di discernimento tra domanda giovanile e pro-
posta ecclesiale, che meriterebbe un accurato approfondimento.
Ma poiché non è semplice operare una sua ricognizione, trattan-
dosi di vissuto spesso imponderabile, ci limitiamo ad accennare
ad alcune linee di azione portate avanti dalle comunità.
Un primo impegno delle comunità ecclesiali nei riguardi dei gio-
vani consiste nel loro coinvolgimento olla vita dello comunità. il
desiderio di partecipazione e la volontà di collaborazione da parte
dei giovani trovano risposta nelle chiese che utilizzano le vie più
diverse per renderli corresponsabili. Si tratta talvolta di tentativi
molto incerti, di strade nuove da esplorare; ma l'apertura di spazi
partecipativi è reale. Fioriscono infatti attorno alle parrocchie grup-
pi spontanei che si interessano di animare le liturgie, che si impe-
gnano nel sociale aprendosi alle varie esigenze del territorio, che
assumono iniziative a favore del terzo mondo e delle missioni « ad
gentes »>. Sono spesso giovani che nel loro entusiasmo si spendono
generosamente per far sì che le comunità si rinnovino alla luce delle
grandi intuizioni conciliari. L'informalità dei gruppi non toglie loro
la serietà dell'impegno, anche se non sono esenti da ambiguità.
Di fronte a tale disponibilità, numerose comunità si aprono alla
partecipazione e accolgono i gruppi come istanze di rinnovamento.
31

4.4 Page 34

▲back to top
Di certo preponderante nell'azione delle chiese è l'impegno co-
techistico e liturgico per la formazione dei giovani . Si organizza-
no per loro iniziative di approfondimento dottrinale sia occasio-
nali che continuative. L'insegnamento della religione, opportuna-
mente rinnovato, resta sempre, pur con difficoltà, uno dei canali
principali di contatto deigiovani con il discorso religioso. Così an-
che la scuola cattolica cerca di adeguare le sue proposte e i suoi
metodi per corrispondere alle attese giovanili. Rappresentano poi
un nuovo strumento formativo le scuole di teologia per laici, dove
i giovani sembrano essere i più presenti. Le chiese, insomma, cer-
cano di portare avanti diverse forme di evangelizzazione a secon-
da delle situazioni e degli interessi dei gruppi, sforzandosi di per-
correre vie inedite e usufruendo dell'esperienza accumulata nel
tempo.
Ma le chiese oggi trovano particolarmente efficace una moda-
lità non nuova, sebbene rinnovata nelle sue forme: sono i gruppi,
le associuzioni e i movimenti, a cui i giovani aderiscono in forza
delle loro esigenze di crescita e di condivisione.
Alcune proposte associative si ispirano a modelli consolidati nel
tempo: si pensi ai centri giovanili, alle forme aggregative come I'a-
zione cattolica, alle associazioni promosse da istituti religiosi, agli
scouts... Ma ci sono anche proposte in stile nuovo: sono i cosid-
detti «movimenti»», che rispondono a nuovi interessi ed esplora-
no percorsi inediti. Molti giovani se ne sentono attirati.
L'azione ecclesiale tra i giovani è segnata anche da un'altra no-
vità: sono i luoghi (o momenti) di aggreguzione che funzionano
da catalizzatori per il vasto universo giovanile. Taizé è uno di essi:
il fascino del luogo è indiscutibile e ancor più lo è la carica spiri-
tuale della testimonianza e della proposta. Anche i luoghi natali
di santi, quali ad esempio Francesco d'Assisi e Don Bosco, mae-
stri di spiritualità, diventano sempre più punti di incontro per nu-
merosi giovani e riferimento per la loro ricerca di fede. Di frequente
comunità religiose di stile nuovo o antico convocano, aggregano
e provocano. Così le scuole della Parola o di preghiera offrono
ai giovani delle diocesi un comune cammino di crescita nella fede
conforme alla loro sensibilità e al rinnovamento ecclesiale.
Infine non mancano iniziative a livello di Chiesa universale, in
32

4.5 Page 35

▲back to top
cui è rilevante la figura del Papa. Gli incontri annuali della gio-
ventù del mondo (Roma, Buenos Aires, Santiago), i frequenti col-
loqui giovanili nelle sue visite pastorali in tutti i continenti, il ri-
volgersi di frequente ai giovani nei suoi scritti e in particolari cir-
costanze, come l'anno santo dei giovani (1984), la celebrazione del-
I'anno internazionale della gioventù, sono momenti aggregativi at-
tesi che svolgono un'azione di richiamo e di proposta spirituale.
Un'ulteriore linea di iniziative pastorali coinvolge i giovani nel-
I'attenzione agli ultimi. Le forme sono molteplici: volontariato edu-
cativo e impegno per la pace, animazione culturale e cooperazio-
ne missionaria, promozione dell'ambiente e attività tra gli emar-
ginati. Si tratta di un servizio che esprime la diaconia della Chiesa
divenendo segno profetico e testimoniale della fede.
La scoperta che la proposta cristiana di impegno risponde alle
esigenze reali della gente, apre i gruppi alla complessa realtà del
territorio come ambiente umano in cui si condividono e si risolvo-
no assieme i problemi, si crea cultura e si sperimenta la solidarietà.
Non pochi giovani impegnati si cimentano allora nel sociale e
nel politico, rielaborano nella prassi il rapporto Chiesa-mondo,
ricomprendono il contributo dei cristiani alla vita pubblica, assu-
mono impegni politici nelle istituzioni, cercano di lievitare la soli-
darietà col Vangelo, collaborano da credenti nella difesa dei dirit-
ti umani e nelle iniziative verso settori sfavoriti.
Il rilancio del['interesse prepolitico e politico, accompagnato
da solida formazione culturale e cristiana, si presenta nelle chiese
più organizzate come motivo capace di aggregazione.
3. YBRSO UNA YISIONE ORGANICA
DELLA PASTORALE GIOVANILE: I PROGETTI
Dalla riflessione teologico-pastorale e dalla prassi necessaria-
mente frammentaria delle chiese nell'affrontare il complesso fe-
nomeno giovanile nasce l'esigenza di dare organicità agli interventi.
La prassi infatti rivela alcuni limiti: la polverizzaziote delle ini-
ziative e una certa loro divergenza riguardo a impostazioni con-
crete, la marrcarrza di mete chiare e di itinerari sperimentati, l'im-
33

4.6 Page 36

▲back to top
provvisazione e la conseguente discontinuità, la mancanza di so-
stegno e coinvolgimento della comunità e a volte addirittura dei
pastori. Appare quel fenomeno che è stato definito la <<pastorale
delle iniziative».
Si fa strada allora l'idea del progetto come strumento di un'a-
zione più completa, meglio definita, più collegata, più correspon-
sabile. Si tratta di raggiungere tutto il campo giovanile e non sol-
tanto alcune delle sue frange e manifestazioni: l'educazione, l'e-
ducazione alla fede, la cultura, l'esperienza sociale, l'impegno ec-
clesiale, l'emarginazione, I'adolescenza, la giovinezza, i lontani,
i praticanti. Si tratta anche di approfittare di tutte le energie di-
sponibili, considerate come doni dello Spirito; e allo stesso tempo
di raccordarle, gerarchizzando i loro interventi secondo i criteri
dell'urgenza e importanza, secondo una visione comunionale del-
la Chiesa e della pastorale. Si cerca allora di costruire convergen-
za su obiettivi che mirano alla formazione della persona e della
comunità e di fare in modo che tutti si sentano corresponsabili della
missione e dell'azione della comunità ecclesiale riguardo alla gio-
ventù.
Il criterio pastorale della progettazione più un criterio che
una tecnica o metodologia!) viene assunto nella maggioranza del-
le chiese. Ha il suo correlativo nella creazione degli organismi dio-
cesani e, in alcune parti, anche parrocchiali per l'animazione e il
coordinamento della pastorale giovanile.
Tali organismi hanno origini recenti, datano dagli ultimi anni
e il loro operare è ancora incerto. Ma il loro diffondersi e progres-
sivo affermarsi non conoscono sosta, sono ancora in atto, e fan-
no bene sperare.
Dai progetti emergono alcune tendenze caratteristiche della pa-
storale giovanile odierna.
E anzitutto una pastorale <<missionaria». Il continente giova-
nile appare poco o niente evangelizzato. Anche dove la Chiesa è
stabilita da secoli, convivono giovani cristiani con altri che hanno
abbandonato ogni riferimento a motivi e pratiche religiose; stan-
no assieme giovani socializzati con altri devianti, emarginati, pro-
fughi ed emigranti. Tutto questo è campo della pastorale: non sol-
tanto le istituzioni educative o religiose, ma il vasto << continente >>
giovanile verso cui bisogna indirizzarsi a volte con un'azione di
34

4.7 Page 37

▲back to top
ricupero, a volte con una provocazione, a volte con un invito al
dialogo, con un primo annuncio, con la catechesi sistematica, con
I'invito a un forte impegno umano e cristiano.
La « missionarietà » spiega la « svolta >> da un modello pastora-
le che si proponeva di educare ed evangelizzare specialmente e a
volte esclusivamente attraverso le « istituzioni od opere )), a un mo-
detlo « comunicativo »> che intende approfittare di tutti i canali e
le forme di presenza attraverso cui veicolare messaggi, di tutte le
<< esperienze giovanili » che sprigionano desiderio di ricerca, e di
tutti i luoghi dove i giovani esprimono la loro vita e il loro deside-
rio di rapporti e di senso.
Proprio questa missionarietà postula la ricerca di molteplici ap-
procci. La pastorale diviene allora una pastorale « di comunione >>,
più preoccupata di includere che di escludere servizi o carismi, più
tesa a unire e integrare che a separare e settorializzare. Viene su-
perata la concezione limitata che restringeva la pastorale alla cura
delle anime, al servizio religioso. In qualche parte infatti si è im-
piegato molto tempo per includere nella pastorale tutto il settore
educativo, all'interno del quale venivano considerati «pastorali»
soltanto gli interventi e i momenti esplicitamente religiosi. Ma ciò
comporta, anche se non sempre in modo consapevole' una manie-
ra di concepire il religioso come aggiunto all'umano, piuttosto che
come la sua dimensione più profonda.
Il Vaticano [I, chiamato Concilio << pastorale >) a causa della pro-
spettiva con cui sviluppa tutta la riflessione, produce un cambia-
mento nella concezione stessa di pastorale. La presenta come l'a-
zione multiforme della Chiesa guidata dai Pastori per suscitare la
fede, formare la comunità cristiana e trasformare la storia con lo
spirito del Vangelo. Piuttosto che un settore limitato di prestazio-
ni religiose, la pastorale indica il criterio, l'orientamento, la fina-
lizzazione che muove tutto l'operare della Chiesa tra gli uomini.
Il campo della pastorale non è allora la Chiesa, ma il mondo; la
sua preoccupazione non è la dimensione religiosa, ma tutto l'uo-
mo; la sua finalità ultima non è inserire in una istituzione religio-
sa, ma salvare la persona.
Tale considerazione porta a un'altra caratteristica della pasto-
rale giovanile. È una pastorale «educativa»>, <<situata», non ge-
35

4.8 Page 38

▲back to top
nerica. La Chiesa, concittadina dell'uomo, non soltanto prende
in considerazione, ma addirittura condivide le situazioni felici o
tragiche in cui questi costruisce la sua esistenza. Accoglie dunque
tutto quanto il giovane affronta nella costruzione della sua identi-
tà, nella scoperta della vita e nella partecipazione alla storia.
Il fondamentalismo religioso ritiene che il metodo pastorale ade-
guato consista nel mettere il giovane soltanto di fronte alla deci-
sione di accettare o meno la fede formulata, di appartenere o me-
no alla comunità credente. Il buon Pastore segue altre strade: in-
contra la gente nei crocevia della vita che spesso hanno poco a che
fare col religioso.
La situazione giovanile è complessa. Il voler semplificarla per
provocare un incontro immediato con la fede può ottenere dei ri-
sultati in alcuni casi, ma non risolve il problema dell'evangelizza-
zione del mondo giovanile. Soprattutto non riesce a fondere fede
ed esperienza umana, e Ia prima rimane giustapposta alla vita.
L'educazione, intesa come processo globale di crescita, è il luogo
e il tema umano in cui l'annuncio di Cristo può risultare significa-
tivo per il giovane. Non ci si riferisce qui alla « scolarità » soltan-
to, ma a tutto quello che abilita la persona a emergere con la sua
libertà dai condizionamenti che pretendono di dominarla e a svi-
luppare al massimo le sue potenzialità.
Il carattere educativo della pastorale solleva molti interrogati-
vi pratici e orienta verso determinate soluzioni. I percorsi di cre-
scita umana contengono già presupposti per la fede? Bisogna in-
tendere la catechesi principalmente come apprendimento dottri-
nale oppure come cammino personale di fede e di iniziazione alla
vita della comunità cristiana? L'appartenenza alla Chiesa va inte-
sa come regolarità nell'assistere ad atti religiosi o principalmente
come serietà di ricerca e confronto, di coinvolgimento nella causa
del Regno? I sacramenti sono adempimenti o energie per costrui-
re la personalità secondo la misura dell'uomo Cristo?
Non bisogna interpretare << l'educativo »> come uno sconto con-
cesso alla debolezza di alcuni, incapaci di assumere la fede di col-
po o come una semplice facilitazione metodologica. Va respinta
la concezione che l'educazione costituisce la metodologia della pro-
posta di fede. L'incarnazione di Cristo ci dice che la vita dell'uo-
36

4.9 Page 39

▲back to top
mo è la carne attraverso la quale la Parola di Dio si fa vicina e
comprensibile.
Perciò alle precedenti bisogna aggiungere un'ultima e più im-
portante caratteristica: è una pastorale « salvifica>>. Quello che co-
stituisce la sua forza originale è la verità sull'uomo, su Dio, su Cri-
sto. Essa la offre senza riduzionismi, sebbene progressivamente;
senza accomodamenti, ma col linguaggio delle beatitudini. Fa una
proposta alternativa che va oltre gli atteggiamenti e i beni più de-
siderati in questo mondo, e la fa come chi butta un seme, che por-
ta in l'energia per la propria crescita; ma del quale in un primo
momento si percepisce soltanto la morte mentre si attende nella
fede la sua germinazione nascosta. La proposta evangelica, per
quanto paradossale, non viene sminuita; il giovane invece viene
portato all'altezza della sua verità, delle sue gioie e delle sue esi-
getze.
- E tutto questo «missionarietà», <<crescita completa>>, <<sal-
- vezza>> si svolge in clima di libertà. La pastorale è dunque « dia-
logale». Accetta il valore e il limite delle istituzioni e afferma il
carattere principale della persona. Ritiene marginali e da superare
i processi di persuasione occulta, disocializzaztone collettiva; inutili
quelli di costrizione di qualunque tipo o di sottomissione in forza
di prestigi intellettuali o morali. È convinta che il giovane deve li-
berare quanto va sorgendo dalla esperienza, mettendolo a confronto
con la parola di Gesù, culmine della saggezza e della sapienza. Non
è soltanto una pastorale di ascolto e di risposta, ma anche di an-
nuncio e di proposta. Scommette su Cristo, sulla verità della sua
parola, sull'energia della sua risurrezione.
37

4.10 Page 40

▲back to top
Capitolo terzo
PASTORALE:
PUNTI FERMI E PROSPETTIVE
La pastorale consiste nell'azione della comunità ecclesiale per
attuare la salvezza, rivelatasi in Gesù Cristo, nelle situazioni con-
crete della vita degli uomini. E la pastorale giovanile è una tale
azione compiuta tra e con i giovani.
Per la sua << originalità » essa non si confonde con nessun altro
tipo di azione o attività. Da sola non risolve problemi di ambiti
umani quali la politica, l'economia, il lavoro, il tempo libero...,
e al contempo I'azione di promozione, liberazione, socializzazio-
ne o educazione, pur indispensabile e valida nella vita dell'uomo,
non è adeguata al raggiungimento di fini formalmente pastorali.
La pastorale conserva un suo ambito specifico di riflessione e di
ricerca. È sottoposta anch'essa al rischio e all'impegno storico del-
l'uomo; anche se è profondamente consapevole di dover ricono-
scere il primato dell'azione di Dio Salvatore. Come mediazione
umana non può prescindere da un'analisi approfondita della prassi
e da una ricerca puntuale di una sua progettazione. E come azio-
ne di salvezza si rifà costantemente alla peculiarità della salvezza
portata da Gesù.
1. RIFERIMENTI FONDAMENTALI
PER UNA IMPOSTAZIONE DELLA PASTORALE
Le parole chiavi per comprendere a fondo la realtà intrinseca
di quest'azione di Chiesa sono quattro: Gesù Cristo, Chiesa, Sal-
vezza, Uomo. Sono tutte insieme punti di riferimento essenziali.
Nessuna può essere isolata e tanto meno eliminatasenza che il pen-
siero e l'azione pastorali vengano sminuiti nella loro originalità sin-
38

5 Pages 41-50

▲back to top

5.1 Page 41

▲back to top
golare, siano confuse con altre azioni umane e pertanto svuotate
della loro specifica efficacia.
1.1. La prima parola chiave: Gesù Cristo
In Gesù Cristo si legge che cosa sia «pastorale». Egli assume
il titolo di Pastore, perché è consapevole che la sua missione e la
sua identità sono appunto queste.
<<Io sono il Buon Pastore»!
Non è semplicemente un'espressione puntuale, carica di signi-
ficato, bensi rappresenta un filone evangelico, sviluppato special-
mente da san Giovanni nel suo vangelo dei segni ecclesiali, e da
san Luca. Si allarga nelle parabole, nei discorsi didattici e soprat-
tutto ha riferimenti ai momenti e alle azioni di più chiaro signifi-
cato salvifico: la croce, il perdono, l'Eucaristia.
Il titolo, la figura e il contenuto di « Buon Pastore>> sono squi-
sitamente messianici. Il Signore è rappresentato come il Pastore
del suo popolo: lo guida nel deserto verso fonti e pascoli, simboli
del cammino attraverso la storia; lo illumina con la sua parola do-
nandogli il discernimento e la capacità di orientamento verso I'o-
rizzonte degno dell'uomo, lo governa direttamente e attraverso uo-
mini scelti che rimangono in comunicazione con Lui; lo fa cresce-
re come collettività e nei singoli individui verso la pienezza, atfia-
verso l'alleanza.
Gesù assume in maniera piena il mistero del Pastore come è
descritto nella Scrittura. Con Lui il popolo-simbolo diventa realtà
universale. In Lui l'umanità è chiamata a conoscere e vivere il rap-
porto di amore di Dio e con Dio e a interpretare la storia da que-
sta prospettiva.
Ma questa è un'impresa da compiere. Per questo ci vuole un'a-
zione storica. Gesù Cristo lainizia presentando il Regno di Dio
come realtà definitiva, illuminandone con la parola la natura e le
conseguenze: rivela il mistero del Regno.
Non solo lo rivela, ma lo costruisce con la sua vita. L'unione
nella sua persona della divinità con I'umanità santifica definitiva-
mente l'umanità e la fa stirpe regale, sacerdotale, popolo consa-
crato al Signore. Con la morte e la risurrezione trasforma la visio-
39

5.2 Page 42

▲back to top
ne del futuro dell'uomo: questi deve costruire il Regno di Dio me-
diante l'amore e trasfigurare il mondo. Egli è Maestro-Profeta,
Re-Servitore, Sacerdote-Mediatore.
II compito di Pastore svolto da Gesù Cristo non si ferma al pas-
sato, ma continua nel presente. Lui è ancora e sempre il Pastore.
« La Chiesa infatti è un ovile la cui porta unica e necessaria è Cri-
sto. È pure un gregge di cui Dio stesso ha preannunciato che sa-
rebbe il Pastore e le cui pecore, anche se governate da pastori umani,
sono però incessantemente condotte al pascolo e nutrite dallo stesso
Cristo, il Pastore buono e principe dei pastori (cf Gu lO,ll; t pt
5,4) il quale ha dato la sua vita per le pecore» (LG 6).
Ogni pensiero e ogni progetto pastorale hanno dunque una fon-
dazione cristologica. Non si possono concepire se non come par-
tecipazione al cuore e alla missione di Cristo inviato dal Padre.
Da ciò provengono criteri, modelli, metodi, contenuti, nonché una
spiritualità che mette al centro della propria personalità il Regno
di Dio e il suo farsi nella storia.
1.2. La seconda parola chiave: la Chiesa
Quando parliamo di pastorale ci riferiamo all'azione specifica
della Chiesa, così tipica che non può essere condivisa da nessu-
n'altra istituzione umana, almeno in termini uguali. L'educazio-
ne per esempio è una realtà che appartiene sia alla famiglia, cri-
stiana o no, che allo Stato e alla libera iruz;rativa, come alla Chiesa.
Quando parliamo di pastorale, invece, consideriamo l'agire della
Chiesa nella storia, secondo la sua missione originale.
« Pastorale >> viene definito il giudizio che spetta alla Chiesa pro-
ferire sui più diversi fenomeni secondo la propria specifica pro-
spettiva; pastorale viene chiamata l'organ izzazione ecclesiale pre-
disposta per ottenere le proprie finalità; pastorali sono infine le
molteplici attività con cui la Chiesa esprime la sua natura e inten-
zioni.
Questo secondo riferimento-chiave non è slegato dal precedente.
Difatti Ia missione di Gesù è passata alla Chiesa per sua volontà.
<< Come il Padre ha mandato me così io mando voi... Andate dun-
que e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del pa-
40

5.3 Page 43

▲back to top
dre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro ad osserva-
re tutto ciò che vi ho comandato » (Mt 28,79).
La Chiesa è dunque sacramento e strumento del Regno predi-
cato da Gesù, seme del mondo nuovo trasformato dalla risurre-
zione e luogo dell'alleanza con Dio che santifica l'uomo.
Pastorale richiama perciò alla comunione di pensiero, di fina-
lità e di affetto con la Chiesa, che vuol dire comunione di fede,
speranza e carità. Pastorale rimanda pure al coordinamento di tutta
l'azione da parte di chi ha ricevuto il compito particolare di regge-
re e orientare, cioè i pastori.
I due dinamismi mediante cui lo Spirito Santo sollecita all'azione
pastorale sono le funzioni e i carismi. La fonte più feconda di atti-
vità pastorale sono i carismi: doni personali dello Spirito Santo, non
interamente catalogabili, che rappresentano la sua perenne novità e
iniziativa. Senza di essi non sono immaginabili Chiesa pasto-
rale. Questa non va perciò concepita come pura organizzazione o
frutto di abilità e calcolo umano, ma come attenzione e docilità allo
Spirito Santo, anima della Chiesa e primo operatore di pastorale.
Una tale concezione allontana da un'idea di pastorale pensata
in termini gerarchici, ossia distribuzione verticistica di ambiti da
coprire o di bisogni da soddisfare. Ce la presenta invece come una
realtà di scambio e di comunione, nella quale l'iniziativa parte di
dove lo Spirito ispira, il discernimento e la convergenza sono
affidati a specifici ministeri per l'edificazione comune.
Chiesa è inoltre una parola chiave perché la pastorale non sol-
tanto scaturisce dalla Chiesa come comunità-mistero che incarna
oggi Gesù Cristo, ma ha come obiettivo anche la formazione e ma-
turazione della stessa comunità ecclesiale. La Chiesa perciò è sog-
getto ma pure oggetto della pastorale. Questa infatti può conce-
pirsi come l'edificazione della Chiesa incarnata nella storia e nella
vita degli uomini.
1.3. La terza parola chiave: salvezza
Ogni azione umana possiede una finalità, oltre a un proprio
oggetto. La finalità dell'azione pastorale, inaugurata da Cristo e
continuata dalla Chiesa, è la salvezza dell'uomo.
4l

5.4 Page 44

▲back to top
<<Salvezza» dice un'aspirazione comune a tutti gli uomini e ra-
dicata nella loro esistenza. Non tutti la concepiscono alla stessa
maniera, come non tutti la ricercano nella medesima direzione e
conmezzi uguali. Nella cultura contemporanea si parla di salvez-
za, intendendola di solito come « soprawivenza)) messa in perico-
lo da un certo tipo di guerra, di sviluppo incontrollato, di rappor-
ti che producono la morte in vasti settori dell'umanità. Ci sono
dunque progetti di salvezza che si sviluppano secondo una linea
politica o economica o culturale.
La pastorale ha origine da una propria concezione di salvezza,
cui è strettamente connesso un modo originale di considerarcmezzi
e itinerari, sviluppi e eventi salvifici. Èlasalvezza operata in Gesù
Cristo, per cui l'iniziativa appartiene a Dio; e il cammino dell'uo-
mo verso la salvezzainizia e avanza nella fede, speralza e carità.
Poiché ogni cosa dipende dalla conversione dell'uomo al suo
Signore e poiché il Signore ha un disegno di amore su tutto il crea-
to, la salvezza in Dio comprende in ogni salvezzaparziale e tem-
porale, pur non considerandole alla stessa stregua in vista della
realizzazione definitiva dell'uomo. Questi trova la salvezza anzi-
tutto e in modo senz'altro indispensabile, nell'incontro e nella ri-
sposta a Dio, manifestato in Gesù Cristo. Da ciò provengono una
luce e una forza trasformatrici per tutta la realtà umana, che sarà
a sua volta salvata da tutto quanto la può minacciare.
Occorre quindi superare una visione limitata o sminuita di sal-
vezza. Essa non si identifica semplicemente con la visione beatifi-
ca e l'amore vivificante. Lo stato definitivo è preparato e antici-
pato nella vita presente.
Gesù è salvatore perché conquista per noi la vita che dura per
sempre, liberandoci dal peccato e consentendoci di rispondere al-
l'amore di Dio.
In Lui però non si contrappongono cielo e terra, umanità e tra-
scendenza. Si fondono anzi, senza confondersi. Non ha senso eri-
gere una contrapposizione tra impegno religioso e impegno stori'
co, tra provvisorio e definitivo , tra salvezza e realizzazione dei va-
lori umani. La profonda connessione tra storia e salvezza fa supe-
rare l'individualismo che ha condizionato negli ultimi secoli tanta
cultura europea. Lasalvezzainveste l'umanità nel suo insieme, nel
42

5.5 Page 45

▲back to top
suo progredire e coscientizzarsi: non è solo rapporto fra l'infinito
e il singolo, pur nel rispetto dell'irripetibile individualità di ogni
persona.
La salv ezza insomma consiste radicalment e nella liberazione del
peccato e nella novità di esistenza che rende figli di Dio. La libe-
razione dal peccato, causa profonda di tutte le situazioni umane
di non salvezza, implica per la pastorale un'azione a diversi livel-
li. L'uomo che ha infranto il progetto di Dio e per questo soffre
una situazione di peccato (egoismi, ingiustizie, tensioni) deve ri-
prendere coscienza del suo rapporto con Dio e il prossimo, in mo-
do che possa diventare costruttore cosciente e responsabile del pro-
prio destino.
Di questa salvezzala pastorale si dichiara servitrice, mentre con-
fessa la sua incompetenza sugli aspetti tecnici di liberazioni par-
ziali o temporali. Su di essi esprime un giudizio circa la loro coe-
renza o compatibilità con la salvezza totale e definitiva, mentre
collabora con le altre forze storiche a cui appartengono le soluzio-
ni tecniche per progetti temporali.
1.4. La quarta parola chiave: I'uomo
Punto di riferimento indispensabile per capire la pastorale è l'uo-
mo, inteso come esistenza storica oggi e qui: quest'uomo in que-
sta zona geografica e in questa situazione; l'uomo come persona
singola e quale essere sociale, partecipe di una comunità.
La pastorale, non essendo solo « pensiero religioso », bensì azio-
ne salvifica, si rende possibile unicamente nella realtà presente. Cer-
tamente esiste tutta una dimensione storica per cui l'azione odier-
na è collegata con il cammino del popolo di Dio di ieri e di doma-
ni e tuttavia Ie nostre possibilità di agire si riducono all'oggi, al
presente.
D'altra parte Pastorale è annunciare la salvezza agli uomini di
oggi e sollecitarli a una risposta. E tale annuncio non sarebbe com-
prensibile se non si inserisse nella loro esperienza di vita. Di qui
l'indispensabilità che l' azione pastorale si rapporti costantemente
con il linguaggio, le abitudini di vita, le attese anche temporali,
i valori perseguiti in cui oggi ci sono « semi e germi >> di salvezza.
43

5.6 Page 46

▲back to top
Per il singolo uomo la salvezza che Dio offre è comprensibile
a partire dalla propria esperienza quotidiana. La Pastorale parte
di qui e, pur proiettando tutto verso una salvezza definitiva, non
può non adoperare come luogo e linguaggio quelli che per gli uo-
mini costituiscono le situazioni concrete di vita, da cui sorgono
domande di significato.
Il Pastore per eccellenza, Gesù Cristo, indica questa via nel mo-
mento in cui, non solo assume la natura dell'uomo, ma fa sua l'e-
sistenza concreta del popolo a cui annuncia la salvezza di Dio. Im-
mergendosi nelle tradizioni e nelle istituzioni, nella cultura e nelle
abitudini, nel pensiero religioso e sociale della sua gente, pur tra-
scendendoli, ha avuto la possibilità di farsi capire. II mistero del-
I'incarnazione configura e incide, dunque, nella definizione stessa
di pastorale.
2. CRITERI ISPIRATORI
DI PASTORALE GIOYANILB OGGI
2.1. L' incarnazione: modello dell'agire pastorale
Dio si è rivelato all'uomo in modo umano. Il suo ineffabile mi-
stero e la sua volontà salvifica sono diventati comprensibili e spe-
rimentabili, perché espressi in mediazioni umane. Ciò lungo tutta
la storia, ma in forma del tutto particolare nell'evento dell'Incar-
nazione. L'umanità di Gesù è ciò che Dio stesso ha voluto diven-
tare per incontrare e salvare l'uomo.
L'umanità è stata resa capace, nella creazione, di essere mani-
festazione di Dio in quanto sua <<immagine e somiglianza». Con
I'evento dell'Incarnazione l'umanità stessa è assunta nella vita di
Dio. L'uomo e l'umano diventano così il luogo dove si rivela e
si compie la salvezza. Gesù infatti ci ha insegnato col suo essere,
ancora prima che con le sue parole, che il luogo per la manifesta-
zione di Dio è cio che è umano, e che Dio Ia dimensione giusta
a ciò che merita il nome di <<umano>>.
Percio l'uomo è la via della Chiesa, l'unica possibile: «Non si
tratta dell'uomo astratto, ma reale, dell'uomo concreto, storico»>
44

5.7 Page 47

▲back to top
(RH l3); non considerato soltanto come <<recettore>> della Paro-
la, ma come soggetto coinvolto nello stesso atto della rivelazione;
l'uomo in situazione, << nella piena verità della sua esistenza, del
suo essere personale e insieme del suo essere comunitario e socia-
le. Egli è la prima e fondamentale via della Chiesa, via tracciata
da Cristo stesso...» (RH l4).
La storia di Gesù e l'esperienza della Chiesa attorizzano apar-
lare della capacità rivelatrice che ha il processo di incarnazione nella
storia e nella cultura. Essendo non legato «in modo esclusivo e
indissolubile con nessuna nazione o stirpe, con nessun particolare
modo di vivere, con nessuna consuetudine antica o recente» (GS
58), il messaggio cristiano ha la capacità di inserirsi e di diventare
la forma interiore di tutte quelle culture che a priori non lo esclu-
dono. E queste, fecondate dal Vangelo, sprigionano le ricchezze
del Vangelo medesimo in espressioni originali.
Nella realtà esistenziale si trova l'uomo totale e concreto, che
vive in un determinato spazio e tempo. Il servizio di salvezza a que-
st'uomo non è soltanto un aspetto, ma la vocazione stessa del cre-
dente. La separazione tra obiettivi religiosi e obiettivi umani, tra
il singolo e la struttura-ambiente è una distinzione che tradisce ra-
dicalmente I'esperienza cristiana e sembra relegare la creazione e
l'incarnazione a credenze, piuttosto che considerarle verità opera-
tive. <<Non è redento ciò che non è assunto>>!
Seguendo la logica dell'Incarnazione,la comunità cristiana si
fa carico dell'uomo, cerca di conoscere la situazione e di condivi-
derla, operando concretamente per la sua liberazione e piena rea-
lizzazione.
La comunità degli uomini, situata nella sua realtà territoriale,
diviene un <<luogo di salvezza»:
e
-
-
del
dove è presente e operante la potenza salvifica di Dio;
dove la fede è impegnata a discernere l'azione della grazia
peccato, a scoprire la presenza di Dio creatore che incessan-
temente redime in Cristo le sue creature dal peccato per farle rivi-
vere, creature nuove, nel suo Spirito;
- dove la carità trova il
La scelta di operare nella
luogo
realtà
reale di
concreta
impegno.
scaturisce
allora
dal-
l'esigenza di operare in unità e continuità col mistero dell'lncar-
45

5.8 Page 48

▲back to top
nazione. Cristo, presenza di salvezza e non di condanna per il mon-
do, è il modello per un'azione pastorale che annuncia la grande
novità del Vangelo nel cuore stesso delle situazioni e degli ambienti
umani.
2.2. La Chiesa: sacramento di salvezza
La Chiesa significa e continua il mistero dell'Incarnazione:
« Quella particolarissima storia di Dio con l'uomo e quella parti-
colarissima storia dell'uomo con Dio » (K. Barth) che si intreccia-
no per ogni persona e in ogni tempo fino all'instaurazione di ogni
cosa in Cristo.
Lungo i secoli tale rapporto uomo-Dio, mondo-Chiesa, profano-
sacro, terreno-celeste, fu vissuto in modi assai diversi, legati a cul-
ture, mentalità, situazioni, condizionamenti differenti.
A partire dal Vaticano II, la Chiesa scopre progressivamente
di essere un sacramento, un segno di salvezza posto nella storia
viva degli uomini, che <<cammina insieme con tutta l,umanità».
Sente dunque in modo nuovo il suo non essere estranea o giustap-
posta al mondo e alla storia degli uomini, ma interna ad esso e
alle comunità umane in cui vive in «compagnia».
La capacità e la necessità di camminare con la comunità degli
uomini, di farsi carico della loro vita, di condividere con essi il
pane quotidiano (compognio da <<cum-pdne>>), di essere presente
nelle tensioni, nei problemi, nelle speranze di ogni persona Ia ren-
dono più sollecita e amica della famiglia umana protesa a Cristo.
« La Chiesa, che è insieme società visibile e comunità spirituale,
cammina insieme con I'umanità tutta e sperimenta insieme al mon-
do la medesima sorte terrena ed è come il fermento e quasi l,ani-
ma della società umana destinata a rinnovarsi in Cristo e a tra-
sformarsi in famiglia di Dio» (GS 40).
Il Signore Gesù ha voluto la sua Chiesa universale, senza con-
fini frontiere. « Tuttavia questa Chiesa universale si incarna di
fatto nelle Chiese particolari, costituite a loro volta dall,una o dal-
l'altra concreta porzione di umanità, che parlano una data lingua,
che sono tributarie di un loro retaggio culturale, di un determina-
to sostrato umano» (EN 62).
46

5.9 Page 49

▲back to top
Senza mai dimenticarel'orizzonte della Chiesa universale, si deve
guardare alla chiesa particolare, inserita in un territorio, quella chie-
sa cioè che nelle sue articolazioni territoriali (diocesi, parrocchie)
e personali (comunità di base, gruppi) << quando getta le sue radici
nella varietà dei terreni culturali, sociali, umani, assume in ogni
parte del mondo fisionomie ed espressioni diverse» (fvl).
È proprio questa chiesa «territorialmente» connotata che de-
ve rapportarsi con visioni del mondo, principi etici e sistemi so-
ciopolitici differentissimi. E i rapporti tra la Chiesa e la comunità
umana saranno tanto più ricchi di potenzialità salvifica quanto più
esprimeranno atteggiameryti
esse-reddi evifcinenitdaenvoeliesnueociefsinsai risoenrizfaerli'maletrnat;o: nessuna delle due puo
sion-ardiai »se; revsizsaionsopnecèifficinoa:lilzazaCthaieasaserisstceospsrae:
la sua natura <<mis-
è per il servizio del-
I'uomo e del mondo; il suo fare comunione è in funzione della sua
missione, che consiste nell'annunciare, testimoniare e vivere il Van-
gelo;
- di
l'uomo
dialogo e partecipazione: la Chiesa
e con il mondo per essere una Chiesa
viene al dialogo con
storicamente più fe-
dele al Signore Gesù e più capace di farsi carico del Vangelo, su-
perando tentazioni di chiusura in se stegsa;
attu-aledipseirmdpiavetiantacroenplo
sforzo umano che sta facendo la società
umana, pur tra contraddizioni, ritardi e
contromarce: simpatia significa saper apprezzareil bene, chiun-
que lo faccia, secondo lo spirito del Vangelo; vuol dire riconosce-
re i << semi >> o parti di verità che apportano le diverse forze storiche;
- di
cristo è
ottimismo: quello cristiano
presente nella storia, anche
che parte dalla cettezza che
nella piccola storia del quar-
tiere, e in essa sta oPerando.
2.3. Cuttura: realtà da evangelizzare (EN 20)
Questa prospettiva, che sembra complessa e ampia da essere
affidata a pensatori, va tradotta in termini operativi nella realtà
sociale. Suggerisce che non è sufficiente una pastorale individua-
le, così come non è sufficiente una pastorale << di contenimento )).
47

5.10 Page 50

▲back to top
È invece indispensabile una pastorale che raggiunga Ia vita coilet-
tiva. Paolo VI la illumina con questi riferimenti: «Evangelizzare
è trasformare dal di dentro, rendere nuova l,umanità... converti-
re la coscienza personale e insieme collettiva degli uomini... Rag-
giungere e quasi sconvolgere, mediante la forza del Vangelo, i cri-
teri di giudizio, i valori determinanti, i punti di interesse, le linee
di pensiero, le forze ispiratrici e i modelli di vita dell,umanità, che
sono in contrasto con la parola di Dio e con il disegno di salvez-
za» (EN l8-19).
Non è possibile una vera evangelizzazione se non si prendono
in considerazione le forme di vita e di rapporto. In fondo quello
che viene messo a fuoco è il nodo dell'incontro e lo scontro tra
la parola evangelica e Ia cultura: se il Vangelo cioè pretende solo
dare spiegazioni sulle realtà invisibili <<che non sono di questo mon-
do >», o piuttosto, anche, come afferma il testo, vuole << sconvolge-
re i modelli di vita».
Si tratta in definitiva di creare una <<situazione salvifica» e di
farne prendere coscienza. L'opera di evangelizzazione poggia su
queste solide basi.
- Cristo è Ia ricchezza della comunità credente, il suo specifi-
co, la forza e chiave di ogni salvezza: con la bocca va confessato
che Gesu è il signore e col cuore va creduto che Dio l'ha risuscita-
to per la nostra salvezza (cf Rm 10,9).
- Essere salvi è lasciarsi penetrare dal Vangelo del Signore. Vi
può essere salvezza oggi solo se la << forma »> di Gesù di Nazaret
<<conforma» qui e ora un pezzo di storia, penetra e vivifica real-
mente una situazione storica.
- Di qui si approda a una conseguenza per l,evangelizzazio-
ne: bisogna riprendere la strada della relazione profonda con il mi-
stero di Cristo vivente nella Chiesa e insieme la strada dell,uomo
contemporaneo. (( I-e parole di Dio infatti, espresse con Iingue uma-
ne, si son fatte simili al parlare dell'uomo, come già il Verbo del-
l'Eterno Padre, avendo assunto le debolezze dell,umana natura,
si fece simile all'uomo»> (DV l3). È la realtà dell'accondiscenden-
za di Dio che diventa criterio pastorale.
- È fondamentale che la parola sia letta e interpretata insie-
me in comunità, sotto l'impulso dello Spirito e in situazione: cioè
48

6 Pages 51-60

▲back to top

6.1 Page 51

▲back to top
fuori dalle genericità e dalle astrattezze che la bloccano. La profe-
zia di ieri, semplicemente ripetuta oggi, resta solo memoria. Nello
specchio delle nostre situazioni essa si carica di valore profetico.
- La catechesi, d'altra parte, se vorrà parlare di Dio e di Cri-
sto, avrà bisogno di riferirsi ai problemi dell'uomo, rispondendo
alle sue istanze piu profonde e « specifiche>>. Dovrà quindi: aprire
a una visione del mondo, a una concezione dell'uomo, a un nuo-
vo tipo di rapporti; educare alla giusta valutazione, dal punto di
vista della salvezza, dei criteri socio-culturali della nostra società;
chiarire le relazioni che intercorrono tra l'azione temporale e I'a-
zione ecclesiale.
L'influsso dell'annuncio evangelico sulla cultura si comprende
alla luce di alcune constatazioni.
- La cultura ha un significato onnicomprensivo per l'esisten-
za umana; pertanto << la rottura tra Vangelo e cultura è senza dub-
bio il dramma della nostra epoca» (EN 20).
Ogni cultura ha un carattere organico e unitario: l'intima coe-
sione dei suoi elementi sortisce l'effetto di creare un universo co-
mune di valori e una singolare solidarietà tra coloro che li condi-
vidono. Per questo motivo è inevitabile che il messaggio universa-
le di salvezza, incontrandosi con una determinata cultura, entri << in
interazione vicendevole con tutti gli elementi politici, economici,
sociali, scientifici, che costituiscono il sistema globale di questa cul-
tura» (R. Sigmend, Evangelizzazione e ailturo, Roma 1975, p. l2).
- L'elemento cristiano ha un impatto sulla cultura nella mi-
sura in cui l'evangelizzazione avviene <<non in maniera decorati-
va, a somiglianzadi vernice superficiale, ma in modo vitale, in pro-
fondità e fino alle radici » (EN 20). Quando ciò non avviene, tale
elemento è soggetto al rischio di cadute, particolarmente di fronte
a nuove situazioni o nuovi stili di vita.
- La trasformazione della culturasirealizza attraverso la <<co-
municazione>» del Vangelo. È indispensabile dunque l'apprendi-
mento della lingua della cultura in cui si vive e cogliere la compre-
senza in essa dei linguaggi logico-razionale e simbolico-espressivo.
Il dialogo Vangelo-cultura oggi più che mai ci impegna <<nel cam-
po della comunicazione, della semantica e della scienza dei sim-
49

6.2 Page 52

▲back to top
boli» (CT 59). Un annuncio evangelico che non percepisce e non
usa « il linguaggio » proprio di una cultura è destinato a rimanervi
estraneo.
3. PROSPETTIVE PASTORALI CONSEGUENTI
Da una simile concezione di pastorale scaturiscono prospettive
concrete anche per la pastorale giovanile.
L'evangelizzazione e I'educazione, un binomio indissolubile, as-
sumono una configurazione specifica secondo l'ottica descritta. La
pastorale in definitiva traduce nella prassi la logica del mistero del-
l'Incarnazione, l'idea di una Chiesa che si rinnova nelle radici alla
luce dell'Evangelo. Di qui derivano orientamenti e impegni pasto-
rali.
3.1. Una presenza solidale e missionaria
Alla luce delle logiche accennate occorre pensare e realizzare
una pastorale all'interno della vita, delle domande e delle aspira-
zioni, delle preoccupazioni e delle innovazioni della comunità uma-
na; partecipare al dialogo con le molteplici agenzie superando la
tentazione di chiudersi in un ambito strettamente privato; promuo-
vere un'azione pastorale d'ambiente, in cui la qualità della vita,
i valori e gli ideali condivisi siano oggetto di annunzio evangelico
e di educazione della persona.
Per questo la prima condizione è <<esserci>>.
Una presenza attiva ed efficace nella comunità umana non è
allora una tattica pastorale da parte della comunità cristiana, ma
il compimento del disegno del Padre sull'umanità. La Chiesarea-
lizzain la comunione e la espande. La presenzaattiva e impe-
gnata dei cristiani là dove gli uomini vivono e lottano è sacramen-
to di comunione: rende significativa ed efficace la presenza di Ge-
risuscitato.
La presenza perciò non è un atto edificante da parte di alcuni;
è una scelta, che esprime una modalità pastorale. Significa volon-
50

6.3 Page 53

▲back to top
di partecipare alla vita e alle vicende degli uomini, uguaglianza
con gli altri, condivisione di un cammino, assunzione di un desti-
no comune.
La Chiesa non è un'istituzione che separa i suoi, portandoli nelle
proprie organizzazioni, strutture e attività; li invia invece con ten-
sione profetica tra gli uomini. I cristiani sanno che questa presen-
za deriva dalla propria vocazione e dal proprio impegno ministe-
riale. Alla comunità cristiana, caratterizzata da una scelta di valo-
ri e significati di vita, toccherà animare tutti i suoi membri, dando
linee di spiritualità adeguate, affinché la loro fede e la loro carità
crescano attraverso questa comunione con l'uomo. I giovani prin-
cipalmente vanno educati a sentire la realtà sociale, a considerarsi
cittadini a pieno titolo; a quella presenza culturale che comporta
rispetto delle opinioni altrui e coraggiosa affermazione delle proprie.
La presenza si carica di significoto salvifico nello solidarietà.
La solidarietà tra lasalvezza che viene da Dio e la storia del-
l'uomo è nell'essere, prima e più ancora che nei propositi degli uo-
mini.
Le stesse persone che vivono la storia del mondo, vivono inse-
parabilmente la storia della salvezza; le stesse che compongono la
comunità cristiana appartengono alla comunità civile e politica.
Non appartiene allo spirito del Vangelo la delegittimazione per-
manente di quanto l'uomo tenta nella ricerca razionale della sua
crescita, anche se alle volte questo sforzo presenta limiti, carenze
e persino errori. Anche se la storia dell'uomo non è mai stata pu-
ra in nessuno dei suoi aspetti, la Chiesa intende esserle solidale.
Oggi si richiede un rinnovato impegno educativo, perché la soli-
darietà diventi una forma di « costante mobilitazione dei fedeli »
(Paolo V[), che siano portatori di un messaggio che non si sovrap-
ponga alle soluzioni umane, ma si incarni in esse per illuminarle,
potenziarle e collaborare alla loro purificazione.
La comunità cristiana dunque intende partecipare non come in-
vitata o estranea, ma come in una causa propria, coinvolta in prima
persona in tutti ilegittimi sforzi degli uomini per la qualità della vita.
La presenza è veromente solidole quondo è missionaria, quan-
do i cristiani inseriscono nel vivo del processo storico il fermen-
5l

6.4 Page 54

▲back to top
to lievitante del Vangelo. Come conseguenza ogni separazioni-
smo tra Chiesa e mondo va rifiutato per evitare che succeda che
un mondo senza Dio sia la risultante dell'annunzio di un Dio sen-
za mondo.
Con i loro strumenti specifici le comunità si fanno liberatrici
di energie capaci di fermentare realtà spesso opache e refrattarie.
Traducono la fede in compagnia, la carità in riconciliazione e per-
dono, la speranza in cammino solidale verso il Regno. E di tutto
questo annunciano la forza e l'origine: Gesù Cristo e il suo miste-
ro di salvezza di tutto l'uomo.
La Chiesa esprime questa sua capacità missionaria:
- radunando i credenti affinché crescano insieme, siano pro-
tagonisti di comunione e non di fughe e lacerazioni: si tratta di
vivere il testamento di Gesù... « Come tu, Padre, sei in me... sia-
no anch'essi una cosa sola, perché il mondo creda che tu mi hai
mandato >> (Comunione);
- unificando attorno al primato dell'evangelizzazione la ric-
chezza e molteplicità dei carismi con cui lo Spirito l'arricchisce:
sacerdoti, religiosi, laici, associazioni... (Annuncio);
- favorendo la profondità della conoscenza del mistero cristia-
no e l'inserimento vitale di esso in coloro che ne hanno fatto la
loro scelta di vita (Cotechesi);
- facendo trasparire nelle celebrazioni la presenza operante
di Dio, la forza del sacrificio di Cristo e della nostra comunione
con Lui e riflettendo in esse Ia vita quotidiana della gente (Cele-
brazione);
- aiutando i fedeli a dare sempre più chiaramente il primato
alla vita nello spirito da cui dipende il resto: Ia fede, la speranza
e la carità sono lievito buono di cui il mondo ha bisogno (Testi-
monianza);
- esprimendo un dilatato servizio per rispondere alla socie-
civile che oggi chiede un supplemento di impegno per alcu-
ne carenze e piaghe che l'affliggono come i fenomeni di emar-
ginazione, sottosviluppo, degradazione, droga, violenza... (Ser-
vizio);
- diffondendo con «originalità evangelica», e quindi al di
di interessi e schieramenti politici e talvolta anche ecclesiali, i va-
52

6.5 Page 55

▲back to top
lori della vita, della dignità umana e del bene comune quali la tol-
leranza,la giustizia sociale, la solidarietà (Impegno);
- raccogliendo I'invocazione di un « senso ulteriore » per tutti
gli sforzi dell'uomo, come una richiesta che essa può interpretare
(Profezio).
Tutto ciò non è per pochi momenti facile. La comunità cri-
stiana non disarma però di fronte ai propri limiti e alla grandezza
dell'impresa; ripone la sua fiducia in Colui che ha vinto il male
nella sua forma piu radicale.
3.2. Approfondire i nodi dell'esperienza della fede
Nel mondo di oggi è sempre più difficile motivare e legittimare
la fede cristiana. Non pochi dei suoi contenuti, intesi non soltanto
come « dottrina>>, ma anche come atteggiamento pratico di fronte
alla vita, sollevano problemi.
La ricerca di qualità pastorale stimola a verificare il nostro modo
di «annunciare, proporre e insegnare>> la fede e le sue incidenze
nelle diverse aree dell'agire umano, personale, familiare, sociale.
In questi anni si è riflettuto e operato sul ruolo della comunità,
sugli ambiti di azione (educazione, comunicazione, pastorale), sulle
vie concrete e sulle metodologie. Si sono proposti a più riprese qua-
dri di riferimento e motivazioni teologiche, insieme a descrizioni
delle situazioni socioculturali. Si davano un poco per scontati i con-
tenuti fondamentali dell'esperienza cristiana, sempre più atipica
e differenziata.
Alla luce degli sviluppi socioculturali attuali e in seguito all'e-
vento del Concilio Vaticano II, la comprensione e l'attuazione della
scelta cristiana si presentano notevolmente rinnovate. Ne sono pro-
va i catechismi nazionali e per le diverse età. Ma ciò che suscita
problemi, non sono l'una o l'altra pratica religiosa, l'una o l'altra
<<verita>>, quanto piuttosto la stessa scelta di fede e il senso reli-
gioso dell'esistenza. Alcuni nuclei della dottrina tradizionale, an-
che senza essere negati, hanno cessato praticamente di essere cen-
trali. Altri sono ora costantemente riproposti, nello sforzo di col-
locarli nella novità di contesti, di linguaggio e di applicazioni con-
crete. Si fanno avanti tematiche umane, in cui la fede come scelta
53

6.6 Page 56

▲back to top
appare significativa non tanto per quello che dice su Dio, quanto
piuttosto per ciò che dice e fa nei riguardi dell'uomo e del suo de-
stino, illuminato dall'evento di Cristo.
In questione è appunto la saldatura tra la vita del soggetto, la
sua cultura e la proposta della fede.
Conviene allora rivisitare tutto alla luce della riflessione matu-
rata nella Chiesa (cf Dtrettorio Catechistico Generale, Evongelii
nuntiondi, Catechesi trodendae) per operare un confronto equili-
brato e formulare di conseguenza un « programma-itinerario » di
riferimento, senza per questo trascurare Ie accentuazioni tipiche
di ciascun contesto. Tale programma-itinerario deve essere cali-
brato non solo su chi è cresciuto già nella fede, ma anche e soprat-
tutto su coloro che sono considerati lontani o devono compiere
i primi passi.
Al riguardo, una prima attenzione richiesta si rivolge al sog-
getto che vive la fede e quindi al « tipo di uomo >> da far crescere
perché essa sia vera e completa. La tendenza odierna privilegia l'e-
laborazione <<soggettiva», individuale e trascura la mediazione co-
munitaria e il valore normativo del « depositum fidei ». Inoltre nella
stessa elaborazione soggettiva preferisce il momento « emozionale-
esistenziale)), o a volte l'aspetto operativo. Certamente va ricupe-
ratala risposta totale in cui il messaggio si rivolge all'intelligenza
come verità da conoscere e approfondire, alla volontà come bene
da accettare e amare, alla coscienza come scelta da fare, alle rela-
zioni interpersonali come mondo sociale da costruire.
Ma proprio per favorire la maturità e la completezza della fe-
de nel soggetto c'è bisogno di riorganizzarein forma comunicabi-
le al giovane cristiano di oggi una visione del mistero di Cristo,
alla cui luce egli capisca la propria condizione e assuma una prassi
coerente per la salvezza sua e dell'umanità. E ciò deve essere pro-
posto tenendo conto che siamo in un momento in cui si è restii
e diffidenti delle spiegazioni «totali>> e «<sicure>>.
In questo compito si individuano come aree da ripensare l'eti-
ca, la cultura, la spiritualità. La prima riguarda l'incontro tra la
coscienza della persona e le esigenze che scaturiscono dal suo de-
stino. L'educazione della coscienza consiste nella capacità di di-
scernimento di quanto è « retto >> perché awii la persona al suo com-
54

6.7 Page 57

▲back to top
pimento. Tale è il campo di molti conflitti attuali e perciò il punto
nodale di una vera educazione. È in base alla coscienza che si de-
finisce la responsabilità dell'uomo di fronte a se stesso e al futuro.
La cultura poi riguarda lo sforzo razionale di organizzare l'e-
sistenza in conformità ai presupposti della coscienza e nei più di-
versi aspetti della vita. È dunque il campo di prova della fede, del-
la speranza e della carità, e al contempo della loro efficacia nella
convivenza umana.
La spiritualità infine si riferisce alla percezione del mistero di
Dio e dell'uomo, della trascendenza e delle sue espressioni alla lu-
ce dell'evento di Gesù Cristo. È un impostare la propria vita ispi-
randosi a motivazioni e valori evangelici e operando scelte con-
crete di vita. Questi tre aspetti sono complementari e crescono in-
sieme.
Tale ripensamento dei contenuti deve avvenire in forma emi-
nentemente esistenziale, lontana dalle formulazioni scontate, tra-
dotta in termini catechistici e pastorali piuttosto che semplicemente
teologici, e facendo tesoro di quanto si è già sperimentato.
Richiede dunque in primo luogo l'identificazione di alcuni nu-
clei el'orgaruzzanone gerarchica di essi conforme al principio enun-
ciato dal Direttorio Catechistico Generale, al n. 43, « La gerarchia
delle verità da osservarsi nella catechesi »: il mistero di Dio, il mi-
stero del Cristo, il mistero dello Spirito Santo presente nella Chie-
sa, il mistero della Chiesa. Tale gerarchia va pensata come rispo-
sta all'ambiente secolarizzato e pluralista in cui i giovani vivono
oggi.
Ma oltre ai nuclei che ripropongono le verità che illuminano
la vita, occorre preoccuparsi del linguaggio adeguato, in modo che
l'annuncio sia una buona notizia, significativa per l'uomo di og-
gi, che tocca quei punti decisivi per la sua esistenza personale e
collettiva. Non si tratta primariamente di parole, bensì di riferi-
menti esistenziali conformi alla sensibilità antropologica odierna.
Ogni parola di annuncio riferisce un significato cristologico, pro-
pone cioè un annuncio su Cristo e su Dio; ma allo stesso tempo
coglie un elemento esistenziale, ossia dice qualche cosa di reale sulla
salvezza e felicità dell'uomo. Ha anche una indispensabile risonanza
storica senza la quale rimarrebbe ((astratto»: indica <<verso dove
55

6.8 Page 58

▲back to top
e come )) trasformare la storia umana. Essa contiene infine una di-
mensione escatologica: svela e propone il destino ultimo dell'uo-
mo e le condizioni del suo compimento. Se si tralascia uno qual-
siasi di questi significati o aspetti, la « parola »», l'annuncio, la ve-
rità rimangono parzialmente mute.
Alla determinazione di nuclei e significati va aggiunta l'accu-
tata attenzione all'apprendimento da parte dei giovani della pra-
tica « quotidiana » della fede: momenti di formazione a una men-
talità di fede, cammino di ascesi, incontro con il Signore nella pre-
ghiera e nei gesti sacramentali della Chiesa, servizio all'uomo. Non
si tratta evidentemente di rivolgere soltanto raccomandazioni. Van-
no individuati « esperienze » e « luoghi » dove I'educatore possa pro-
porre e seguire la crescita dei giovani: animazione, volontariato,
gruppo, direzione spirituale.
56

6.9 Page 59

▲back to top
PARTE SECONDA
UN'ESPERIENZA
ORIGINALE ED EMBLEMATICA
DI PASTORALE GIOVANILE
A SERYIZIO DELLA CHTESA

6.10 Page 60

▲back to top

7 Pages 61-70

▲back to top

7.1 Page 61

▲back to top
Capitolo primo
L'ESPERIENZA EDUCATIVA
PASTORALE
DEL SANTO DEI GIOVANI
- - La questione giovanile lo abbiamo già sottolineato insie-
me al movimento operaio e a quello della promozione della don-
na, contrassegna I'evoluzione di tutte le società in questo secolo.
È un problema sociale e non soltanto educativo. I fattori che la
provocano sono ormai noti e le situazioni che ne conseguono fan-
no parte dell'informazione e dell'esperienza quotidiana.
La preparazione dei giovani alle responsabilità professionali e
sociali si è allungata. Essi rimangono parcheggiati in attesa di la-
voro e di partecipazione. Le istituzioni a cui viene demandato il
compito educativo non riescono ad accompagnarli durante tutto
questo periodo nell'elaborazione di valori e convinzioni. La stes-
sa società pluralista e complessa induce frammentazione nella men-
talità e nella coscienza morale. Si percepisce un « disagio » dovuto
a un diffuso senso di insicurezza e di emarginazione. In molti è
passeggero, grazie al supporto familiare e al successivo inserimen-
to nel lavoro; in altri c'è il rischio della rinuncia a un progetto di
vita, dell'apatia o contrapposizione verso la società o della caduta
in diverse forme di devianza.
Un santo, il santo dei giovani, don Bosco, ha affrontato nella
sua vita svariati problemi che sono di oggi, quali l'educazione,la
cultura popolare, la comunicazione sociale. Ma nessuno richiama
tanto la sua memoria quanto la questione giovanile. I giovani, in-
fatti, costituiscono l'elemento indispensabile della sua immagine.
E anche se le biografie per gli addetti ai lavori lo presentano come
una personalità dai molteplici aspetti, la compagnia dei giovani
sarà da sola sufficiente a identificarlo, mentre tutti gli altri aspet-
ti, senza di questo, non lo rendono riconoscibile.
Verso i giovani lo portava la sua capacità naturale di sintoniz-
59

7.2 Page 62

▲back to top
zare con la vita. Si è detto che, così come alcuni nascono poeti,
don Bosco è nato educatore. La conoscenza profonda delle aspi-
razioni giovanili e dei loro disagi gli veniva da una lunga e felice
convivenza con giovani di ogni tipo e condizione, ma specialmen-
te con quelli più poveri e bisognosi. << Sono stato quarant'anni tra
i giovani
mi hanno
- dirà
negato
verso la fine
mai niente di
della vita - e posso dire che non
quanto io abbia chiesto da loro».
Il ministero gli diede I'esperienza dell'azione di Dio nel cuore dei
giovani e la fiducia nelle loro possibilità.
Un rapporto lungo quanto la vita, quello di don Bosco con i
giovani e dei giovani con don Bosco, che perdura ma non si ripe-
te, arricchito di sempre nuove manifestazioni. Non è quindi facile
descriverlo in poche battute. Alcune chiavi di lettura possono co-
munque darci un'idea della sua esperienza educativa e pastorale.
1. UNA VOCAZIONE
Nel recente film su don Bosco (1988) c'è una scena commovente
che riproduce un fatto della sua vita.
Una domenica torrida, dopo una massacrante giornata all'o-
ratorio, mentre torna alla sua stanza, don Bosco sviene. Tosse,
infiammazione violenta, perdite continue di sangue. Otto giorni
rimane tra la vita e la morte. In quelle sere arrivano gruppi di po-
veri ragazzi spauriti; piangono e pregano. Alcuni con generosità
incosciente fanno promesse difficili da mantenere, come digiuna-
re a pane e acqua per un anno, o recitare il rosario per tutta la
vita. La crisi perdura. Molti temono la fine. Ma non venne. Ven-
ne invece la ripresa, la <<grazia>>, strappata da quei ragazÀ che non
potevano rimanere senza padre.
Qualche tempo dopo, appoggiandosi al bastone, don Bosco si
incammina verso l'oratorio. I ragazzi gli volano incontro. I più
grandi lo costringono a sedersi sopra un seggiolone, lo alzano su[-
le loro spalle e lo portano in trionfo. Cantano e piangono. Entra-
no nella cappellina e ringraziano insieme il Signore. Don Bosco
riesce a dire poche parole: <<La mio vito la devo o voi. Ma stotene
certi: d'oro innonzi la spenderò tutta per voi»».
60

7.3 Page 63

▲back to top
Sono le parole più grandi che don Bosco abbia pronunciato nella
sua vita, come una specie di «voto solenne>>, simile a una profes-
sione religiosa, con cui si consacrò per sempre ai giovani. È il pro-
getto di vita sognato all'età di nove anni, a cui don Bosco rimarrà
caparbiamente ed eroicamente attaccato, senza ripensamenti e senza
rese. II continente giovanile sarà considerato da lui la terra della
sua missione: « Il Signore mi ha mandato ai giovani ed è necessa-
rio che io sacrifichi tutto il resto per donarmi a loro ». La sua vita
verrà riassunta in sintesi lineare: <<Non diede passo, non pronun-
ciò parola, non mise mano ad impresa alcuna che non avesse di
mira la gioventù>>.
Questa sua determinazione di dedicarsi alla gioventù fu a pro-
va di sofferenze, solitudine e sospetti. In un libro destinato ai suoi
figli, don Bosco medesimo racconta queste prove in un crescendo
emozionante. I primi che vogliono dissuaderlo sono i colleghi nel
sacerdozio. La ragione è la norma che regola l'attenzione spiri-
tuale dei fedeli: <<Don Bosco allontana i giovani dalle parrocchie...
cessi dunque di raccoglierli in altre località e li mandi alle loro chiese.
Così dicevano due rispettabili parroci che mi visitarono anche a
nome dei loro colleghi».
Vengono poi le apprensioni delle autorità cittadine, allarmate
dai commenti e lagnanze dei vicini. «Mio buon prete - gli avreb-
be detto Cavour, sindaco di Torino -, prendete il mio consiglio,
lasciate in libertà quei mascalzoni. [o vi assicuro che le adunanze
che voi fate sono pericolose e quindi non posso tollerarle».
Si fanno avanti poi gli amici preoccupati della salute di don Bo-
sco, che a loro giudizio andava deperendo come conseguenza del
molto lavoro e della fissazione. << Per non esporci a perdere il tut-
to -
cosa.
gli consigliava un
Lasciamo dunque
stuuottci ogllliaabtoturaatloi rgeio-vaènmi. eRgitleionsiaamlvoaresoqltuaanl--
to una ventina per il catechismo »>. Se l'avesse seguito, don Bosco
non sarebbe stato il padre di molti giovani, ma soltanto il buon
catechista di un gruppo.
Interviene poi la nobile Signora, ai cui istituti femminili don
Bosco serviva come cappellano, che lo pone di fronte a una dolo-
rosa alternativa: lasciare i giovani o lasciare i suoi istituti. La ri-
sposta di don Bosco non luogo a dubbi. Niente potrà allonta-
6l

7.4 Page 64

▲back to top
narlo dai giovani. Lareazione della Signora, la Marchesa di Ba-
rolo, è immediata: << Dunque, se preferisce i suoi vagabondi ai miei
istituti, resta congedato in questo momento. Oggi stesso provve-
derò chi la deve rimpiazzare>>.
E dopo tutto questo sforzo corale per dissuaderlo, viene un'al-
tra prova: il sospetto che patisse di fissazione anormale nei propri
progetti e di megalomania. « Intanto - ricorda egli nelle sue Me-
morie - prevaleva
zo. tr miei amici si
ognor la voce che don Bosco era divenuto paz-
mostravano dolenti; altri ridevano. Ma tutti si
tenevano lontani da me. L'Arcivescovo lasciava fare. In quell'oc-
casione alcune persone rispettabili vollero prendersi cura della mia
sanità. Don Bosco, dicevano, ha delle fissazioni che lo condurranno
inevitabilmente alla pazzia>>. Non era infatti comprensibile che per-
severasse nella sua determinazione contro il parere di persone di
buon senso, alcune delle quali svolgevano ruoli rispettabili.
Ma il punto più alto di questo calvario è la solitudine totale.
<< Mentre succedevansi le cose sopramentovate, era venuta l'ultima
domenica... I miei collaboratori mi lasciarono solo inmezzo a quat-
trocento ragazzi.In sulla sera di quel giorno rimirai la moltitudine
dei giovani che si trastullavano, e consideravo la copiosa messe che
si andava preparando; per cui solo di operai, sfinito di forze, di sa-
nità male andata, senza sapere dove avrei in avvenire potuto radu-
nare i mieiragazzi, mi sentii vivamente commosso. Ritiratomi per-
tanto in disparte, mi posi a passeggiare da solo e forse per la prima
volta mi sentii commosso fino alle lacrime». Fu la prova suprema,
ma non l'ultima. Da quel momento dirà ai giovani: << Io con voi mi
trovo bene... la mia vita è proprio stare con voi. Fate pure affida-
mento su di me». Come chi ha tagliato le corde che lo legavano ad
altri impegni, sente che ha preso possesso della terra promessa. La
sua sarà una storia di gesti indimenticabili di vicinanza e donazione,
corrisposti dai giovani con attaccamento affettuoso.
2. UN PROGETTO OPERATIVO
CON I GIOVANI AL CBNTRO
Don Bosco visse in un tempo di profonde trasformazioni. In
un periodo di cinquant'anni (1830-1880) il volto dell'Italia, del-
62

7.5 Page 65

▲back to top
l'Europa e, per molti versi, quello del mondo cambiò sostanzial-
mente. I processi di unificazione nazionale, la nuova espansione
coloniale, le guerre di indipendenza modificarono i confini tra gli
Stati. La vita pubblica venne organizzata secondo una nuova vi-
sione dello Stato e dei diritti dei cittadini. Ma la scossa più forte
si fece sentire nel sociale con l'inizio della rivoluzione industriale,
definita come la più drammatica e profonda dopo quella neoliti-
ca. L'emigrazione dalla campagna, la crescita disordinata delle città
industriali con il seguito di miseria, lo sfruttamento della mano
d'opera minorile, il costituirsi di un proletariato urbano in cui presto
sboccerà la coscienza della propria povertà e della propria forza,
l'esodo verso l'estero sono soltanto alcune delle conseguenze di que-
sto terremoto sociale.
Nella città di Torino, dove don Bosco diede inizio alla sua opera
di sacerdote educatore, queste trasformazioni ebbero un riflesso
osservabile a occhio nudo. La popolazione della città si raddop-
pia nel termine di un trentennio (1835-1865). Dalle campagne scen-
dono numerose famiglie e persone per inserirsi nel mercato del la-
voro cittadino.
La situazione colpisce tragicamente i ceti popolari, alla cui vita,
senso religioso e cultura, don Bosco fu particolarmente vicino e sen-
sibile. La condizione precaria delle famiglie si ripercuote sui giovani
in forma di inserimento precoce nel lavoro, abbandono del focolare,
perdita delle opportunità di educazione, rischio di delinquenza, so-
litudine e vagabondaggio. Il nesso tra i microfenomeni economico.
sociali e la miseria in cui venivano a trovarsi le persone era evidente,
anche se non esistevano ancora strumenti per un'accurata analisi
della realtà. Le manifestazioni della precarietà erano molteplici e si
espandevano come una metastasi, di fronte alla quale le forze di
contenimento e cura sembravano inconsistenti.
Il quadro di bisogni appariva ampio e non risparmiava gli adulti
i nuclei familiari. Dove applicare il rimedio? Don Bosco si orienta
decisamente verso la gioventu. La rende centro di interesse per un
progetto operativo che punta sul coinvolgimento libero di nume-
rose persone associate per il bene, l'intervento delle responsabilità
politiche, l'influsso sulla mentalità del popolo attraverso la diffu-
sione della cultura, la presenza all'interno dei movimenti più si-
63

7.6 Page 66

▲back to top
gnificativi della Chiesa e del popolo, quali le missioni, l'emigra-
zione, il formarsi di associazioni di cittadini.
Con la scelta della gioventù don Bosco si inserisce in una visio-
ne globale di trasformazione della società. Il periodo giovanile -
è il suo pensiero - è determinante per la persona perché in esso
si radicano atteggiamenti, convinzioni e abiti che consentiranno
di affrontare ogni rischio con dignità e garanzia di superamento.
Ma per la società, le nuove generazioni sono il fattore determi-
nante di cambiamento in meglio sotto molteplici aspetti: nella con-
vivenza pacifica, nel rispetto dell'ordine pubblico, nel lavoro re-
sponsabile e competente, nel senso morale e nella testimonianza
religiosa, nella solidarietà.
La gioventù diventa, dunque, il punto preferito dove orientare
gli sforzi e le risorse di fronte a fenomeni di miseria, delinquenza,
girovagare o semplicemente di trapasso sociale e culturale. In lui
tutto converge psicologicamente e operativamente sul punto foca-
le della gioventù.
La sua opera si svilupperà al ritmo della scoperta dei bisogni
giovanili. Dopo l'oratorio, a cui accorrevano «scalpellini, mura-
tori, stuccatori, selciatori, quadratori e altri che venivano da lon-
tani paesi», istituì una casa per offrire «alloggio, vitto e vestito
a quei giovani di città, o di paesi di provincia i quali sono talmen-
te poveri ed abbandonati, che non si potrebbero avviare ad un'ar-
te o mestiere»>. Poi vennero i laboratori e le scuole, l'attenzione
a coloro che volevano seguire la vocazione sacerdotale e non ne
trovavano i mezzi,la preoccupazione per coloro che versavano in
pericolo di perdere la fede e i valori ereditati. Così, ririranendo al
centro delle sue preoccupazioni i giovani <<poveri, abbandonati,
pericolanti», il campo giovanile si va allargando man mano che
si scoprono nuovi bisogni non sempre materiali, si diffonde l'in-
teresse per l'educazione popolare, cresce la domanda di compe-
tenza professionale, emerge l'incidenza della responsabilità del cit-
tadino nei processi sociali, è messa a prova la fede cristiana.
Il problema delle differenze sociali, secondo le quali stabilire
preferenze giovanili, si riduce. Prima della promozione culturale
e professionale sono urgenti per tutti la preservazione morale e la
fede religiosa, che per don Bosco sono le radici della vera civiltà,
64

7.7 Page 67

▲back to top
le basi sicure della convivenza sociale, e anche l'attrezzatura fon-
damentale per affrontare la vita.
Al momento del maggiore sviluppo,l'opera di don Bosco pren-
derà di mira un'ampia frangia di gioventù «comune>», di risorse
umane intatte, bisognosa piuttosto dal punto di vista economico,
per una sua ccinveniente promozione umana e cristiana, vedendo in
essa il futuro elemento di stabilità e digraduale trasformazione so-
ciale. Abbraccerà anche un numero minore di « discoli » o « devian-
ti» di diverse tipologie, per i quali si pensa sempre preferibile l'inter-
vento preventivo e l'inserimento nelle istituzioni preparate per i più,
piuttosto che la separazione in stabilimenti e programmi segreganti.
E ancora, una frangia di giovani «di particolare buona indole» e
con pietà che costituissero Ia base esemplare per i suoi ambienti o so-
no candidati alla carriera ecclesiastica. Il suo non è un progetto set-
toriale, ma un servizio a tutti i giovani e a ciascuno di essi.
Ma egli stesso, senza mettere sotto giudizio la struttura della
società, si accorgeva che quanto voleva portare avanti in favore
della gioventir richiedeva la collaborazione di forze molteplici di
ogni estrazione: credenti e non, purché sentissero il problema gio-
vanile e avessero rettitudine naturale e sensibilità sociale per voler
collaborare.
Così concepì un movimento di persone che in certi momenti
prende Ie dimensioni di un'utopia. Si proponeva infatti di coin-
volgere governi civili e enti ecclesiastici fino ai massimi livelli nel-
la soluzione di problemi dei giovani.
A parte questi momenti di sogno, c'è stato da parte sua un im-
pegno ininterrotto di aggregare attorno al problema giovanile: con-
gregazioni religiose, maschili e femminili, associazioni di laici (coo-
peratori e collaboratori), contatti, amicizia e interessamento di uo-
mini politici, emersione di consapevolezza nella gente.
Attorno alla stessa preoccupazione maturò un intervento mol-
teplice in campo editoriale per influire sui giovani e sulla mentali-
dei ceti modesti: testi scolastici adeguati, letture popolari, ca-
lendari, bollettino di collegamento, libri di preghiera, catechismi.
Sulla stessa linea concepì un progetto missionario in favore della
gioventù di altri continenti che erano privi della fede e, in non po-
chi casi, dei benefici della cultura e della civiltà.
65

7.8 Page 68

▲back to top
L'iconografia riproduce bene la sua vicenda quando lo rappre-
senta circondato di giovani e colloca attorno a questo motivo prin-
cipale altri accenni ai molteplici fronti apostolici in cui si impe-
gnò. Senza i giovani è irriconoscibile, con i soli giovani è incom-
pleto.
3. COMPRENSIONE PROFONDA DEL GIOVANE
Ma sotteso al progetto c'è una comprensione singolare della per-
sona del giovane che determina lo stile di rapporto che l'adulto
deve avere con lui, i messaggi da emettere per illuminarlo, l'am-
biente da creare.
Non è facile spiegare tutto ciò a parole. Don Bosco, a chi gli
chiedeva un chiarimento o piccolo manuale del suo sistema di trat-
tare i giovani, rispondeva con l'invito a venire da lui e condividere
l'esperienza. Molte cose infatti diventano comprensibili soltanto
attraverso il racconto di aneddoti e l'interpretazione di brevissimi
detti, carichi di storia quotidiana.
Uno di questi detti sintetizzain tre parole la visione che don
Bosco ha del giovane e le condizioni per una risposta educativa
valida: ragione, religione, amorevolezza. Ad esse si è riferito il Papa
nella sua lettera << Juvenum Patris ». Si possono declinare secondo
tutti gli elementi fondamentali di un programma educativo.
Ragione, religione, amorevolezza sono innanzitutto una defi-
nizione del giovane in quanto soggetto di crescita o di ricupero,
una lettura delle sue risorse interiori, delle fonti di energia di cui
dispone per costruirsi. Queste energie si trovano anche in coloro
che sembrano definitivamente contrassegnati da situazioni nega-
tive: « In ogni giovane -
disgraziato, c'è un punto
diceva don Bosco - anche in quello piu
che, opportunamente risvegliato dall'e-
ducatore, risponde ai richiami del bene>>.
Egli è capace di cogliere il diverso valore degli atti, delle cose,
delle persone. È attirato dalla bellezzadelle sue manifestazioni più
immediate e spontanee, dalla gioia, dalla voglia di essere e costruire
in compagnia, dagli orizzonti larghi, dal desiderio di scoperta. È
sensibile agli stimoli che lo portano verso una coscienza di e del
66

7.9 Page 69

▲back to top
mondo, percepisce gli interrogativi dell'esistenza e i problemi di
senso, anche se deve esplicitare la sua risposta.
È anche strutturalmente un ((essere mistico>>: vive sulla soglia
del mistero e percepisce in se stesso esperienze e risonanze religio-
se vissute qualche volta; i segni del mistero, I'intuizione dell'oltre,
la qualità delle persone legate alla sfera del religioso, le celebra-
zioni sacre aprono prospettive infinite, svegliano energie nascoste
e infondono gioia e serenità. E ciò perché egli è destinato obietti-
vamente all'incontro con Dio in questo mondo e per sempre. Per-
ciò attraverso la fede e Ie meditazioni religiose entra in un reale
contatto col più profondo di se stesso e con la grazia di Cristo Sal-
vatore. Ciò alimenta la speranza di ricupero e sostiene lo sforzo
di costruzione della persona. Don Bosco parlava della forza edu-
cativa dell'esperienza religiosa con le sue componenti di riflessio-
ne, preghiera e sacramenti, impegno nella vita.
Il giovane è pure sensibile ai gesti che gli danno consapevolez-
za della propria dignità. Da essi prende energia. L'amorevolezza
è una dimensione del soggetto prima ancora che una modalità del-
l'educatore. L'essere partner in un'amicizia, invitato a rispondere
liberamente quando qualcuno gli offre amore e fraternità, il sen-
tirsi destinatario di un rapporto umano nobile e disinteressato crea
in lui un'immagine positiva di e predispone a qualunque sforzo
per promuoversi.
Il trinomio indica anche come è costruita la personalità dell'e-
ducatore. Egli non è in primo luogo uno specialista del metodo
o dei contenuti. È una persona di accoglienza, incontro, compren-
sione e dialogo. Si ispira a una conoscenza paziente e attenta della
situazione personale e sociale di ogni giovane, valuta i condizio-
namenti e le risorse, stima ogni passo e sforzo. Egli crede nelle pos-
sibilità della persona creata da Dio e a cui il Signore offre conti-
nuamente nuove opportunità di salvezza, anche quando si trova
in situazioni che la mentalità corrente giudica irreversibili.
L'educatore è fondato sull'amore. Ciò vuol dire volontà di ser-
vizio al giovane e distacco da obiettivi personali di guadagno, partito
o proselitismo; è interessato invece al bene totale dei giovani. Ha
imparato a esprimere questo amore in maniera comprensibile sul-
la misura del giovane povero. Con questa ascesi e con questo eser-
67

7.10 Page 70

▲back to top
cizio ha modellato la sua struttura interiore. La sua amorevolezza
infatti non è formale; non si tratta di uno stile <<esterno>>, di un
sorriso, ma di un atteggiamento di infinita stima e rispetto di fronte
al mistero del giovane. Don Bosco dirà che il suo sistema si basa
sull'inno di san Paolo alla carità.
Il trinomio ragione-religione-amorevolezza ispira il program-
ma educativo. Fattori di sviluppo e crescita totale sono le attività
ricreative e culturali sane. Il lavoro è un mezzo per guadagnarsi
la vita, ma è anche condizione di salute psichica, esercizio di di-
gnità e contributo al benessere comune. L'apprendimento delle
scienze e delle arti, il giuoco, le passeggiate e la vita nella natura,
la disciplina con le sue risorse verso il bene, predispongono verso
ulteriori mete e prevengono devianze, perché fanno assaporare espe-
rienze vincenti.
È importante però che l'insieme venga illuminato e orientato
dalle finalità ultime dell'uomo. Altrimenti tutto diventa tratteni-
mento. Perciò si educa alla fede. Questa permea il programma.
Eppure non viene imposta, ma si offre la possibilità di farne l'e-
sperienza. Le verità che riguardano Dio e il nostro rapporto con
Lui vanno approfondite. Esse e la pratica religiosa rispondono ai
bisogni più profondi dell'uomo. Va anche valorizzato il loro influs-
so comunitario nell'ambiente. Esse infatti danno significato al tes-
suto di rapporti e tono di gioia e dignità alla convivenza. Così vita e
fede si fondano attraverso l'ambiente, la testimoniarzadegli educa-
tori e la qualità dei rapporti che favorisce la comunicazione.
lnfine il trinomio ispira la metodologia, sebbene in essa sia l'a-
morevolezza a dare il tono alla totalità. La ragionevolezza ordina
con misura le esigenze, predispone con discrezione i passi e le con-
dizioni favorevoli e tempera la necessaria fermezza. La stima in-
condizionata e il rapporto personale di amicizia facilitano il pas-
saggio di valori e convinzioni e il radicarsi degli atteggiamenti. La
fede offre stimoli di motivazioni e fiducia.
Campioni di questa fusione di elementi sono lo scorrere della
vita quotidiana, le feste periodiche in cui ciascuna dimensione ha
manifestazioni straordinarie, i momenti giornalieri in cui esse si
concentrano, come I'incontro personale al termine del giorno, che
nella tradizione venne chiamato «la buona notte».
68

8 Pages 71-80

▲back to top

8.1 Page 71

▲back to top
4. UN CRITERIO E UN PROGRAMMA:
AIUTARE AD AFFRONTARE LA VITA
La visione che don Bosco ha del giovane contiene un atto radi-
cale di fiducia: nell'amore di Dio che vuole e opera la salvezza di
ognuno, nell'energia trasformante della grazia, nelle risorse natu-
rali della persona segnata da una vocazione, nella forza liberante
dell'affetto.
Questa fiducia la mise a prova con i giovani già raggiunti dalle
piaghe sociali. Ma presto pervenne alla conclusione che la preven-
zione offriva delle possibilità migliori che iI ricupero. Risparmia-
va al giovane la vergogna, la sofferenza e lo sperpero di energie
che comportano la caduta nella devianza. Offrivaun punto di par-
tenza più favorevole all'educatore che poteva contare su risorse
ancora intatte.
Va detto che l'idea preventiva non è una sua scoperta. È co-
mune a non pochi dei suoi contemporanei che la applicano nel-
l'ambito educativo, sociale e politico. La vedono utile per argina-
re il male con misure di controllo e vigilanza prima che dilaghi,
e promuovere le persone che sono potenziali portatori di elementi
di destabilizzazione. Si tratta di precludere la strada alla crimina-
lità, alla delinquenza, alla mendicità, alla sovversione, anticipan-
dosi con la formazione della mente e della coscienza dei singoli.
Emerge dunque l'ambivalenza della prevenzione, che non è solo
del secolo scorso. Difatti la prima concezione della prevenzione
può, paradossalmente, essere considerata << repressiva>». Essa par-
te dalla difesa dei «buoni»>, dei «ragionevoli»», contro il pericolo
rappresentato dai «devianti»>, e in misura più ampia «dai diver-
si »> per origine, colore, lavoro, abitudini sociali. Questi possono
mettere in pericolo o in discussione, anche solo ipoteticamente, i
rapporti sociali esistenti.
Il motivo dominante degli interventi preventivi in questo caso
è la paura di tutto ciò che è o può diventare fattore di squilibrio,
incomodo o anche cambiamento non desiderato. Questo tipo di
prevenzione si presentava come controllo sociale sulle parti più fra-
gili e deboli del corpo sociale e sui portatori di elementi violenti
di cambio.
69

8.2 Page 72

▲back to top
C'è una seconda accentuazione nel concetto di prevenzione, che
è di tipo promozionale. Senza escludere la preoccupazione di « di-
fesa sociale», il motivo dominante degli interventi resta la promo-
zione degli svantaggiati, il loro ricupero, la loro reintegrazione.
È ifluminante cogliere la sensibilità di don Bosco in questo gio-
co legittimo di tensioni! Egli certamente fu sensibile alla funzione
della prevenzione in relazione ai disturbi sociali. Lavalerza socia-
le è sempre presente nel suo impegno. Alle volte le sue espressioni
sembrano vicine alla mentalità assistenziale nel motivare gli inter-
venti di «difesa sociale>> nel lavoro con i giovani delle classi me-
diobasse e popolari.
Ma ci sono due elementi che cambiano il tono del discorso. La
vibrazione più profonda della sua << anima » e lo scopo ultimo di
tutto il suo lavoro di prevenzione educativa, che è la salvezza del-
Ia persona, il compimento e la gioia delle finalità insite nella vita
umana: «Voglio che siate felici nel tempo e nell'eternità». Quan-
to all'intenzione sociale della prevenzione, essa non mira sempli-
cemente all'integrazione passiva dei giovani in una società senza
conflitto, ma nutre speranze che essi possano giocare un ruolo di
miglioramento quando non di trasformazione. È l'ideale del buon
cittadino!
Come prevenire efficacemente? L'educazione gli appare come
la forma più valida di prevenzione. Duplice è l'intenzione: antici-
parsi sulle varie forme di marginalità potenzialmente emergenti dalla
povertà materiale o morale (e con questo fare opera benemerita
nei riguardi della «sana società»); potenziare la capacità di dife-
sa, di autoliberazione, di consapevolezza, di riscatto di coloro che
nella vita partono svantaggiati.
In questo don Bosco partecipa della mentalità avanzata del suo
tempo. Costellazioni di educatori e apostoli hanno intuito e soste-
nuto la validità di questo tipo di intervento. Ma egli, inoltre, qua-
Iifica di <<preventivo» un tipo caratteristico di educazione. Essa
non riguarda più soltanto il momento dell'intervento educativo,
prima o dopo che il giovane si è addentrato nei sentieri della de-
vianza, ma mette a fuoco le finalità di una vera educazione e le
risorse che vanno risvegliate nel soggetto.
In tal senso la preventività riconosce i bisogni positivi del gio-
70

8.3 Page 73

▲back to top
vane e ne favorisce I'espressione. Si preoccupa però di attrezzarlo
solidamente per la vita. È una pedagogia di proposta e non solo
di soddisfazione. Punta sulla volontà, tende a creare abiti e ad ir-
robustire la persona e non soltanto a darle un bagaglio intellettuale.
Il riconoscimento dei sani bisogni del giovane si manifesta nel-
I'accoglienza piena di stima, nella convivialità e nella allegria. Don
Bosco riconosceva in essa una necessità vitale dell'animo giovani-
le, una condizione facilitante delle proposte educative più ardue
e una conseguenza delle scoperte della sua vita.
Ma insieme e mediante la valorizzazione positiva dei bisogni
profondi, il giovane va preparato per la vita come questa si pre-
senta nel contesto in cui viviamo e come la fede ce la fa vedere.
Così il lavoro (uno dei capisaldi della sua educazione) va impara-
to a regola e esercitato con coscien za. È mezzo per guadagnarsi
da vivere onestamente e anche risposta alla vocazione dell'uomo,
fonte di dignità e partecipazione alla vita sociale.
Nel suo primo oratorio istituì le scuole serali per insegnare a
leggere, scrivere e fare i conti. Più tardi nacquero le scuole più com-
plete e sistematiche, il sapere infatti è difesa in una società che sfrut-
ta, ma è anche sviluppo personale, fonte di gioia e di possibilità
di bene. Esige regolarità e dedizione, che vanno raccomandate ed
esigite.
Le convinzioni, atteggiamenti e abitudini virtuose (buona e-
ducazione, adempimento del proprio dovere, responsabilità, ri-
spetto alle leggi...) guadagnano la fiducia di tutti. Sono anche
nel piano di Dio e cammino per maturare come uomini e come
cristiani.
La fede e la pratica religiosa danno serenità e costanza in que-
sto mondo e soprattutto ci portano alla salvezza eterna. Sono ga-
ranzia anche dell'onestà sociale.
Le motivazioni e i contenuti si intrecciano sempre, fondendo
l'orizzonte dell'umano nelle sue migliori espressioni e la prospet-
: tiva del soprannaturale.
E questo il programma realistico su misura dei suoi ragazzi:
aiutarli a cogliere la ricchezza della vita e i suoi valori, attrezzarli
per vivere in questo mondo e renderli più consapevoli del loro de-
stino eterno.
7l

8.4 Page 74

▲back to top
5. UN «LUOGO» PER I GIOYANI
Vocazione, progetto, programma si concretizzano in un luogo
di incontro e iniziative giovanili: l'oratorio.
La parola e la realtà dell'oratorio attraversano la vita e gli scritti
di don Bosco. La sua prima iniziativa germinale, dopo successivi
miglioramenti, sfociò nell'oratorio di San Francesco di Sales, cul-
la e origine di tutte le opere che si rifanno a don Bosco. Perciò,
volendo narrare gli inizi del movimento salesiano, egli racconta
la storia dell'oratorio.
In realtà don Bosco assunse un'istituzione già esistente. Ma le
diede uno stile e una fisionomia originale, conforme ai bisogni dei
giovani e secondo il proprio genio.
Egli partiva da alcuni criteri. L'oratorio doveva essere aperto
al maggior numero possibile di ragazzi e non soltanto ai pochi in-
dirizzati al catechismo dalle loro famiglie. L'oratorio cominciava
nella strada con la ricerca di contatto con i giovani, si esprimeva
la domenica nella comunità giovanile e si continuava durante la
settimana nei luoghi di lavoro dei giovani, attraverso l'interessa-
mento e le visite.
L'oratorio doveva ammettere tutte le espressioni connaturali
alla vitalità giovanile: gioco, musica, teatro, istruzione, passeggiate,
apprendimento di arti e mestieri, confronti, gruppi. La fede dove-
va lievitare e aprire orizzonti a questa vitalità.
L'oratorio doveva essere orientato dalla presenza animante degli
adulti tra i giovani. Era importante che questi partecipassero alla
vita e alle iniziative dei giovani.
Il suo oratorio divenne allo stesso tempo casa, parrocchia, scuo-
la, cortile: accoglienza, proposta di fede, preparazione alla vita,
Iuogo di vivaci manifestazioni di gioia e creatività. È stato para-
gonato a un sistema di comunicazione completo ed efficace, per-
ché non trasmette messaggi isolati, ma propone uno stile di vita.
È pure aperto al quartiere: quasi un punto di coagulo e conver-
genza nel territorio. In esso trovano appoggio coloro che si inte-
ressano della promozione della comunità. Da esso partono inizia-
tive di animazione culturale ed educativa.
Nell'oratorio l'intenzione preventiva maturò al ritmo della vi-
72

8.5 Page 75

▲back to top
ta in metodo o sistema educativo. Tradusse in una prassi perma-
nente le intuizioni originali sul rapporto educativo, sull'ambiente,
sui contenuti della maturità umana e cristiana, sui mezzi per rag-
giungerla. E alla prassi aggiunse le intuizioni motivanti che si ri-
fanno simultaneamente alla ragione (buon senso più accurata at-
tenzione e studio) e alla fede.
Il termine <<oratoriano» non viene riferito più a un'istituzio-
ne, ma a un modello di ambiente giovanile. Esso, qualunque sia
la sua struttura e organizzazione e dovunque sia, ripropone alla
comunità umana ed ecclesiale la vocazione, il progetto, il program-
ma e la comprensione del giovane che furono tipici di don Bosco,
traducendoli in proposte adeguate alla cambiata condizione gio-
vanile.
La sua descrizione è paradigmatica. Essa non si ferma sulla strut-
tura, ma sulle finalità e sullo spirito, oggi diremmo sullo stile pa-
storale. « Lo scopo di quest'oratorio essendo di tener lontana la
gioventù dall'ozio e dalle cattive compagnie particolarmente nei
giorni festivi, tutti vi possono essere accolti senzaeccnztone di Cfado
o di condizione.
Quelli però che sono poveri, più abbandonati e più ignoranti
sono di preferenza accolti e coltivati perché hanno maggior biso-
gno di assistenza per tenersi nella via dell'eterna salute...
Entrando un giovane in quest'oratorio deve persuadersi che è
luogo di religione, in cui si desidera di fare buoni cristiani e onesti
cittadini... ».
Proprio sulla scia di questa impostazione si dice che l'oratorio
salesiano è una missione giovanile aperta in un quartiere o città,
con un ambiente di riferimento e irradiazioni verso cui si conver-
ge e dal quale si parte con iniziative, che si propone la <<salvezza
del giovane» (prevenzione, educazione), attraverso una risposta
alle sue domande legittime, l'evangelizzazione e I'animazione cul-
turale.
73

8.6 Page 76

▲back to top

8.7 Page 77

▲back to top
Capitolo secondo
UN SISTEMA EDUCATIVO
CHE SI FA ISPIRATORE
DI PROGETTO PASTORALE
Il movimento educativo e pastorale che si ricollega alla figura
di don Bosco si sente portatore di un insieme di ispirazioni peda-
gogiche ed erede di una prassi educativa che domina in forma ge-
nerale e sintetica: il Sistema Preventivo.
L'espressione non è per atta a dischiudere il contenuto e la
visione globale di questa pedagogia. Rimane comprensibile per gli
iniziati che conoscono il repertorio aneddotico e sono frequenta-
tori degli scritti del grande Educatore.
Gli scritti stessi, però, sono un'espressione limitata e parziale
di questa pedagogia. Non mancano certo di originalità. Ma non
bisogna cercare in essi la sistemazione ordinata delle idee,
la completezza organica del discorso. Sono narrativi, didattici, al-
le volte confidenziali e familiari. Hanno come finalità il comuni-
care un'esperienza certamente riflettuta e approfondita. La sinte-
si agognata e promessa sul Sistema Preventivo don Bosco non l'ha
mai stesa. Egli ci ha lasciato soltanto una specie di indice di essa,
in cui traspare un certo senso d'insoddisfazione per la mancanza
di espressività e trasparenza del testo.
Al di degli scritti, c'è la storia personale di don Bosco che
è la manifestazione più completa del suo sistema. Scritti pedago-
gici e vita vanno, avvicinati contemporaneamente, e allo stesso tem-
po va ricuperata tutta quella riflessione spicciola che tante volte
si concentra in brevissimi detti, lettere e consigli. Non si tratta
tanto di capire un sistema di idee, ma di entrare in contatto con
una vocazione pedagogica, con un'esperienzavitale e con una spi-
ritualità.
Inoltre va rilevato che non è possibile in don Bosco staccare
il Sistema Preventivo e la prospettiva educativa da altre preoccu-
75

8.8 Page 78

▲back to top
pazioni che li accompagnano e per qualche momento li superano,
sottraendogli anche molto tempo: la preoccupazione caritativa per
cui voleva liberare dalla povertà e dalla miseria i giovani, sotto-
mettendosi per loro al compito gravoso di elemosiniere, la tensio-
ne pastorale che lo portava a cercare la salvezza cristiana del po-
polo e a intervenire in altri campi dell'azione ecclesiale, come la
diffusione di libri, la costruzione di templi, le missioni. Già dun-
que l'avvicinamento alla fonte non consente semplificazioni, sche-
matizzazioni o enfatizzazioni di formule limitate.
Però il sistema non è rimasto completo alla morte di don Bo-
sco. Ereditato da un movimento di educatori, è stato applicato da
questi in una grande varietà di contesti culturali ed espresso in pro-
grammi educativi diversificati. Per una comprensione adeguata van-
no ricollegati, dunque, e confrontati la fonte (biografia, scritti di
don Bosco), la prassi susseguente, cioè la diffusione di questa ispi-
razione educativa in nuovi mondi e nuove iniziative, e la riflessio-
ne elaborata dai seguaci sulla propria prassi e nel confronto con
nuove correnti di pensiero.
Sarebbe sbagliato voler desumere la globalità del sistema sol-
tanto da don Bosco, ignorando cento anni di storia. Si tratta in-
fatti di una pedagogia aperta che assimila contenuti e metodolo-
gie attorno a un certo nucleo identificatore, che si arricchisce non
soltanto con nuovi approcci alle fonti, ma anche con nuove aper-
ture teoretiche e pratiche. In ciò continua la legge che ha regolato
il suo nascere e i suoi primi sviluppi.
Difatti nella prassi e nella riflessione di don Bosco si trovano
collegamenti con i fermenti pastorali ed educativi del suo tempo.
Il quadro dottrinale che lo guida recepisce le idee che proporzio-
navano Ia teologia e la formazione umanistica di allora. Si espri-
me e lavora con queste idee, facendo i ridimensionamenti pratici
che l'esperienza gh suggerisce. Nelle iniziative assume sovente i mo-
delli esistenti (oratorio, scuola, laboratori), sebbene immetta in essi
uno stile particolare. Quando ci mettiamo a delineare la sua origi-
nalità, appare con sufficiente chiarezza che ci troviamo davanti
a un assimilatore, a un sintetizzatore. Ci sono canali di alimenta-
zione che lo uniscono alle correnti, alla mentalità, ai problemi e
alle iniziative del suo tempo, sebbene egli non rifletta semplice-
76

8.9 Page 79

▲back to top
mente l'ambiente, ma seleziona, trasforma, sintetizza e a cia-
scun elemento un'intensità e una collocazione singolare.
La sintesi finale risulta originale soprattutto per gli atteggia-
menti pratici e per le soluzioni concrete. Il dialogo con le correnti
pedagogiche e pastorali contribuisce ad approfondire intuizioni che
hanno bisogno di esplicitazioni, e a incorporare nuovi stimoli.
Dal fin qui detto scaturisce un criterio per la comprensione e
l'aggiornamento del Sistema Preventivo e per una progettazione
educativa che voglia ispirarsi ad esso. Le formulazioni troppo sin-
tetiche e troppo accettate e ripetute rischiano di eclissare la ric-
chezza originale e gli interrogativi che più interessano la prassi at-
tuale, se non vengono decodificate. Più che norme o precisi obiet-
tivi pedagogici, sono ispirazioni o criteri di partenza che vanno ri-
visitati e ritradotti in itinerari e metodologie adeguate all'oggi.
È da prendersi come un'indicazione necessaria per un serio ap-
proccio al Sistema Preventivo, lontano dalla retorica e dalla de-
vozione, quanto asserisce don Pietro Braido: affermata l'idea che
don Bosco non ci ha lasciato soltanto un influsso indefinito di be-
ne, o un'ispirazione generica, è necessario dire una parola sulla
natura dinamica del sistema nel momento della creazione e oggi
in tempo di traduzione. Non potrebbe giustificarsi il riferimento
esclusivo a momenti o documenti particolari o ritenuti privilegiati
nella sua vita (cf Il progetto operativo di Don Bosco e I'utopia dello
società cristiona, LAS, Roma 1982, pag. 5).
Un sistema, dunque, che si sviluppa ancora, pur avendo una
direzione nel suo movimento, che è stato sempre lo stesso nella
sua identità e che può essere anche nuovo nelle sue manifestazioni
e nell'organizzazione concreta dei contenuti.
1. UN'ISPIRAZIONE UNITARIA
La prima attenzione che dobbiamo avere davanti agli occhi
quando ci prefiggiamo una traduzione attuale del patrimonio pe-
dagogico e pastorale di don Bosco è la portata reale della parola
<<sistema>». Si è discusso se don Bosco sia stato il creatore di un
sistema o soltanto di un metodo e di uno stile. Si è chiarito che
non si deve cercare in don Bosco un sistema pedagogico in senso
77

8.10 Page 80

▲back to top
tecnico, rigoroso, scientifico e formale sino a fare di lui un «pe-
dagogista» cioè un teorico della pedagogia o della pastorale.
Si sa che l'elaborazione dell'insieme di ispirazioni e iniziative non
ha seguito il cammino tipico delle sistemazioni intellettuali. È stato
notato anche che siamo davanti a un uomo non incline alle costru-
zioni concettuali: non era nel suo temperamento, non glielo permet-
tevano gli impegni assillanti, non formava parte dei suoi obiettivi.
Eppure sono da valutarsi per le conseguenze pratiche alcune
conclusioni a cui, dopo attento studio, giungono gli studiosi.
Pur non volendo «imprigionarsi» in un sistema rigido e ste-
reotipato che gli troncasse la libertà e la sveltezza di movimenti
di fronte a nuove iniziative o nuove esigenze, don Bosco era mol-
to cosciente degli obiettivi da raggiungere e delle strade da percor-
rere. Così come aveva una particolare visione dell'uomo, della so-
cietà e del mondo che serviva da supporto e quadro di riferimento
per le sue scelte educative.
Risulta chiaro dalla sua biografia che non « operò a caso in campo
educativo »>, ora adottando un metodo, ora un altro. In tutte le atti-
vità si rivelò non improwisatore, ma paziente << tessitore >>. II concetto
responsabile che ha della missione educativa e alcune sue raccoman-
dazioni, per esempio il quaderno delle esperienze, ce lo mostrano co-
me un uomo che assimila, cerca nella continuità e confronta.
Anche se noi conosciamo la sua esperienza attraverso aneddo-
ti, fatti, detti brevi e sintesi non esaustive, è possibile, <<osservan-
do la sua pratica e cogliendo le sue intuizioni, ricostruire una vi-
sione complessa e organica sia dei suoi principi teoretici ispirato-
ri, sia delle sue applicazioni metodologiche».
Bisogna distinguere, ai fini di una migliore comprensione, due
tempi nell'esperienza di don Bosco; due tempi che non si contrap-
pongono, né si negano; anzi si susseguono, come al momento del-
l'analisi segue il momento unificatore.
Il primo si colloca quando, Iavorando da solo, giovane sacer-
dote, guidato da intuizioni germinali e fondamentali, incomincio
i suoi incontri con iragazzi. È il tempo dell'oratorio ambulante,
ricco di creatività e modello dell'atteggiamento personale, della ca-
pacità d'incontro e di dialogo, il tempo della ricerca di soluzioni
per i problemi dei giovani.
78

9 Pages 81-90

▲back to top

9.1 Page 81

▲back to top
Nel secondo momento molte delle intuizioni iniziali, senza per-
dere nulla della loro freschezza e vitalità, si erano concretizzate
ormai in una comunità di educatori, con tratti spirituali caratteri-
stici e con una prassi definitiva, che applicava un metodo pedago-
gico con obiettivi chiari, con convergerrza di ruoli pensati in fun-
zione di un programma stabilito, capace di creare iniziative coe-
renti con gli obiettivi scelti.
È in questo momento di maturità storica che le esperienze di-
ventano sistema e don Bosco si propone di tramandarle nella for-
ma più organica possibile, esplicitando la concezione di fondo e
indicandone i capisaldi.
Ne sono prova tre documenti fondamentali, e cioè il « Il Siste-
ma Preventivo nella educazione della gioventir » (1877), i « Ricor-
di confidenziali ai Direttori» (1871 e 1886) e Ia lettera da Roma
(1884), considerata « il documento più limpido ed essenziale della
pedagogia di don Bosco»>.
Sistema, dunque, indica un insieme unitario e coerente di con-
tenuti da trasmettere, vitalmente connessi, e una serie di meto-
di o procedimenti per comunicarli. Indica anche un insieme di
processi di promozione umana, di annuncio evangelico e di ap-
profondimento della vita cristiana, fusi armonicamente in una
prassi.
La parola << sistema ci richiama a una sintesi di elementi di-
versi che si spiegano e si appoggiano vicendevolmente, a una con-
vergenza armonica di fattori che s'illuminano e s'influiscono, nes-
suno dei quali può essere eliminato senza che gli altri ne soffrano
e soprattutto senza che ne soffra l'insieme.
La sistematicità, intesa come armonia di elementi, si percepi-
sce negli obiettivi articolati che conformano una particolare im-
magine di uomo. È difficite pensare una formazione religiosa, co-
me il Sistema Preventivo la propone, senza tenere in conto quella
particolare maturazione umana che lo stesso sistema offre, e vice-
versa. Il sistema non permette di dimenticare o di porre fra paren-
tesi uno di questi aspetti senza che l'altro ne risenta.
La coerenza degli elementi si percepisce anche nell'unità degli
interventi, tutti ispirati all'amorevolezza, che conferisce al siste-
ma una solida unità metodologica.
79

9.2 Page 82

▲back to top
L'unità dell'insieme è stata scoperta con più chiarezza di ma-
no in mano che si è approfondita e rivissuta l'esperienza originale
e il suo successivo sviluppo. In un primo tempo il Sistema Preven-
tivo è apparso quasi esclusivamente nel suo aspetto di metodo pe-
dagogico- È stato poi esteso a tutte le attività degli operatori, espli-
citamente educative e no, come un particolare criterio pastorale.
Finalmente si è insistito che pedagogia e pastorale suppongono,
comportano e allo stesso tempo sviluppano una spiritualità. Si sono
ricollegati così tutti i punti di un circuito di istanze e ispirazioni che
vanno dalla coscienza e dalla vita degli educatori alle iniziative di la-
voro, mettendo sotto un'unica luce e ispirazione stile comunitario,
programmi di attività, obiettivi, contenuti e metodi pastorali.
Sono dunque, da confrontarsi, anche oggi, la concezione del-
I'uomo storico, gli obiettivi educativi, Ia figura dell'educatore, la
metodologia generale, gli interventi tipici e i contenuti delle diver-
se aree. Senza questa visione globale riesce difficile pensare a una
traduzione fedele e a un'applicazione odierna che superi l'esem-
plarismo morale. Non giova l'affermare isolatamente qualche ele-
mento singolo, collocandolo per tentazione enfatica come unico
ispiratore del sistema. Taluni hanno parlato della bontà, tralascian-
do il solido tessuto di contenuti e impegni. Altri hanno enfatizza-
to la creatività, senza badare allavalutazione delle istituzioni insi-
ta nel sistema. Non mancò chi isolasse la catechesi, non vedendo
che questa va inserita in un processo di crescita umana; o chi, in-
sistendo sull'aspetto educativo o promozionale, non si accorse che
si tratta di una promozione evangelica.
La sintesi, il carattere unitario, sebbene aperto e dinamico, la
coerenza di prospettive, I'ispirazione organica sono la prima con-
dizione per un'ulteriore analisi di elementi singoli. Questi non an-
dranno studiati nel loro significato formale e isolato, ma piutto-
sto attraverso una comparazione con gli altri punti del sistema.
2. IL CRITERIO PREYENTIVO
<< Due sono i sistemi in ogni tempo usati nell'educazione della
gioventù: preventivo e repressivo». E evidente che in parecchie af-
80

9.3 Page 83

▲back to top
fermazioni di don Bosco la preventività non è soltanto un elemen-
to particolare nel sistem a, ma una caratteristica globale, un punto
di coagulo, una prospettiva. È dunque indispensabile approfon-
dire il significato.
L'idea preventiva accompagna costantemente I'educazione cri-
stiana sin dalle prime manifestazioni, ed è legittimata da presup-
posti teologici, psicologici e pratici.
Nei primi decenni del XIX secolo si afferma anche nei settori
politico e sociale, sotto il duplice aspetto di arginare, prima che
dilaghi, il male che tende a crescere e diffondersi, con misure di
vigilanza e controllo; e in secondo luogo con il rimuovere le cause
radicali delle piaghe sociali attraverso la promozione delle perso-
ne. Si tratta di precludere la strada alla criminalità, alla delinquenza,
alla mendicità con la carità, l'assistenza all'infanzia, il soccorso
alla gioventù pericolante, con l'istruzione religiosa. « La catego-
ria del preventivo unifica l'intera gamma delle opere di beneficen-
za e cioè di assistenza e di educazione per i poveri» (P. Braido,
Esperienze di pedagogio cristiana nello storio, LAS, Roma 1981,
pae.274).
L'idea è particolarmente applicata all'educazione. Questa vie-
ne considerata come forma completa ed efficacissima di preven-
zione. Il discorso dell'educazione come prevenzione è anteriore a
quello della preventività nell'educazione. Nella stessa linea viene
considerata la religione che esercita « la più sublime e la più valida
influenza soprattutto nella sua espressione suprema che è il cri-
stianesimo » (ibidem 278).
Non sarebbe difficile raggranellare negli scritti e nei commenti
del tempo citazioni che facciano vedere l'estensione del concetto
di preventività, il suo significato articolato e la sua svariata appli-
cazione. Altrettanto facile sarebbe collegarle per far emergere il
punto di riferimento finale: la salvezza della persona e la preser-
vazione e lo sviluppo della società in una determinata linea.
Non sono mancate costellazioni di educatori, apostoli e benefat-
tori che hanno applicato il criterio preventivo, ne hanno difeso la va-
lidità, ne hanno spiegato il senso e hanno coniato persino espressioni
identiche a quelle che noi troviamo in don Bosco, tali come: sistema
preventivo, disciplina preventiva, metodo preventivo, ecc.
Don Bosco viene considerato un rappresentante emergente del
8l

9.4 Page 84

▲back to top
Sistema Prevcntivo nell'opera assistenziale e nell'educazione, par-
ticolarmente per ciò che si riferisce all'aspetto pratico-operativo
e alla sua diffusione.
Che abbia assunto la mentalità e l'idea preventiva sembra fuo-
ri dubbio. Lui stesso ci narra come gli balenò nella mente, mentre
visitava le carceri e rifletteva sulla sorte dei giovani carcerati. « Ve-
dere turbe di giovanetti sull'età dai dodici ai diciott,anni, tutti sa-
ni, robusti, d'ingegno svegliato, ma vederli là inoperosi, rosicchiati
dagli insetti, stentar di pane spirituale e temporale, fu cosa che mi
fece inorridire... Chi sa, dicevo tra me, se questi giovanetti aves-
sero fuori un amico, che si prendesse cura di loro, li assistesse e
li istruisse nella religione nei giorni festivi, chi sa che non possano
tenersi lontani dalla rovina o almeno diminuito il numero di colo-
ro che ritornano in carcere? »>.
Di essa sembra abbia fattala prima sintesi e contrapposizione
pubblica quando nell'aprile del 1854 spiegò all,incuriosito mini-
stro Rattazzi il suo sistema con queste parole: << Vostra Eccellenza
non ignora che vi sono due sistemi di educazione: uno è chiamato
sistema repressivo, l'altro è detto sistema preventivo. Il primo si
prefigge di educare l'uomo con la forza, col reprimerlo e punirlo
quando ha violato la legge, quando ha commesso un delitto; il se-
condo cerca di educare con la dolcezza, e perciò lo aiuta soave-
mente ad osservare la Iegge medesima... Anzitutto qui si procura
di infondere nei cuori dei giovanetti il santo timor di Dio,loro si
ispira amore alla virtù e orrore al vizio, con l'insegnamento del
catechismo e con appropriate istruzioni morali si indirizzano e si
sostengono nella via del bene con opportuni benevoli avvisi e spe-
cialmente con le pratiche di pietà e di religione. Oltre a cio si cir-
condano per quanto è possibile di un'amorevole assistenza in ri-
creazione, nella scuola, sul lavoro; si incoraggiano con parole di
benevolenza, e non appena mostrano di dimenticare il proprio do-
vere, loro si ricordano in bel modo e si richiamano a sani consigli.
In una parola si usano tutte le industrie, che suggerisce la curità
cristiuna, affinché facciano il bene e fuggano il male per principio
di una coscienzo illuminata e sorretta dalla religione».
Il significato formale del termine << preventivo » « non è piu at-
to a donarci da solo la chiave della pedagogia di don Bosco »>. Ma
82

9.5 Page 85

▲back to top
approfondimenti e sintesi successive hanno fatto emergere con chia-
rezzail suo senso fondamentale e le sue applicazioni pratiche. Pre-
ventivo significa:
in s-enasnotimcipataerreiasleuloprsepviarilteuraeled; insoitnu,adzuionnqi uoe,aubnitaudpiendi angeoggaitaiveo
un'azione sociale clinica di ricupero, ma iniziative e programmi
che dirigono le risorse della persona ancora sane verso una vita
onesta;
-
cità
sviluppare le forze interiori che daranno
autonoma di liberarsi «dalla rovina, dal
al ragazzo la
disonore»;
capa-
- creare una situazione generale positiva (famiglia, istruzione,
lavoro, amici...) che stimoli, sostenga, sviluppi la comprensione,
dia il gusto del bene: << far amare la virtu, mostrare labellezza del-
la religione»;
lo c-hevpigoitlraerbebee<a<vaesrseisrtiesroen»a: nezsesenreegparetisveendtiepfienriteivveit,aroecthuettopiùquimel--
mediatamente potrebbe guastare il rapporto educativo che serve
da mediazione per le proposte e i valori: è l'aspetto protettivo e
disciplinare delle preventività;
- liberare dalle occasioni che superano le forze normali dei ra-
gazzi, senza per questo rinchiuderli in un ambiente superprotetti-
vo; non mettere alla prova del male, ma impegnare le forze già
risvegliate in esperienze positive.
Il significato complesso e ricco della preventività che si estende
alle iniziative, al metodo educativo, allo stile disciplinare, si chia-
risce con questo vocabolario: anticipazione, sviluppo e costruzio-
ne della persona, condizionamento positivo, presenza stimolan-
te, misura nelle richieste e nelle esigenze, aiuto personale per su-
perare i momenti attuali positivamente, mentre ci si prepara per
il futuro.
3. OBIETTIYI E CONTENUTI: L'UOMO E IL CRISTIANO'
IL CITTADINO E IL CREDBNTE
Il programma educativo e pastorale è orientato da una conce-
zione dell'uomo inteso non soltanto come essenza, ma anche co-
me esistenza storica.
83

9.6 Page 86

▲back to top
Due grandi aspetti caratterizzano questa visione. Per farla di-
ventare programma anche per i giovani, don Bosco li esprimeva
in formule semplici ma chiare:
- buon cristiano e onesto cittadino;
- salute, sapienza, santità;
- evangeliz zazione e civilizzazione;
- studio e pietà;
- bene dell'umanità e della religione;
- awiare i giovani sul sentiero della virtù e renderli abili a gua-
dagnarsi onestamente il pane della vita;
- lavoro a pro delle anime e della civile società;
- diventare Ia consolazione dei parenti, I'onore della patria,
buoni cittadini in terra per essere poi un giorno fortunati abitatori
del cielo.
Ultimamente il significato di queste formule è stato ritradotto
in nuove espressioni: «promozione integrale cristiana>», <<educa-
zione liberatrice cristiana)), « evangelizzare educando ed educare
evangelizzando ».
In fondo comprende la ragione e la religione, I'uomo e il suo
incontro vitale con Dio, la dignità umana e la salvezza eterna, il
Vangelo e la storia, il mondo con la sua consistenza e l'appello
alla trascendenza. A ciascuno di questi due aspetti si riconosce un
proprio valore. Tutti e due confluiscono a formare l'uomo com-
pleto.
II sapere (lo studio), il dovere (responsabilità), la buona edu-
cazione (i rapporti), il lavoro (la professionalità), il rispetto del-
I'ordine pubblico (la socialità) conformano la dimensione cultu-
rale non come un compartimento stagno della fede e della religio-
ne, ma come espressioni concrete di queste. « Il nostro program-
ma sarà inalterabilmente questo; lasciateci la cura dei giovani e
noi faremo tutti i nostri sforzi per far loro il maggior bene che pos-
siamo, ché così crediamo di poter giovare al buon costume e alla
civiltà ».
La moralità, la coscienza,la fede, la conoscenza delle verità
del cristianesimo, la pratica religiosa, l'impegno nella comunità
ecclesiale conformano la dimensione religiosa, non staccata dalle
esperienze umane, ma dando a queste profondità e senso.
84

9.7 Page 87

▲back to top
I due aspetti non sono giustapposti, ma si permeano, si appog-
giano e si aiutano mutuamente. La ragione è piena di motivi che
provengono dalla fede, per cui il senso del dovere è religioso, la
socialità affonda le sue radici nel precetto e nell'esempio di carità
che ci viene da Dio; la moralità si basa su di un ordine naturale
che è manifestazione della legge divina e sui precetti rivelati. Vice-
versa la religione è ragionevole e richiede la comprensione delle
verità che ci si propongono, l'applicazione alla vita concreta per
umanizzarla, e spinge verso impegni storici valutabili.
Ma ancora non è detto tutto: tra i due grandi aspetti, culturale
e religioso, umanistico e trascendente, promozionale ed evange-
lizzatore, c'è una gerarchia. Tutti, credenti e no, hanno ricono-
sciuto che la sintesi pedagogica di don Bosco è caratterizzatadal-
I'anima religiosa, dalla centralità della fede. Nella integralità c'è,
dunque, un << primum in importanza: il cuore religioso della per-
sona.
L'uomo ben formato e maturo è quello che colloca al vertice
del sapere la conoscenza di Dio; al vertice del proprio progetto la
salvezza eterna; al centro della propria coscienza il rapporto con
Dio.
C'è ancora una particolarità da sottolineare: I'ideale integrale
di don Bosco è caratterizzato dalla moderazione, che rifugge sia
dal futurismo dell'uomo nuovo e inedito, sia dalla volontà di re-
staurazione che riproporrebbe il ritorno alle vecchie espressioni e
agli adeguamenti di condotte a forme retrive di vita individuale
e sociale. È un tentativo di sintesi tra l'essenziale e lo storico, tra
il tradizionale e l'innovativo. L'uomo che don Bosco ha davanti
è una sintesi di credente della tradizione e di cittadino dell'ordine
nuovo, di colui che è cosciente del suo orizzonte definitivo e vive
nella temporalità.
Il tutto è stato attuato, in un primo tempo, in un contesto par-
ticolare: quello cristiano e occidentale. Nel suo ambiente la Chie-
sa, per quanto travagliata da difficoltà a causa di alcuni fenomeni
in crescita, era sempre un fatto visibile e rilevante. I sacramenti,
la Madonna, il tempio erano riferimenti familiari ai ragazzi. La
società che don Bosco prospetta e di cui i suoi ragazzi sarebbero
i cittadini attivi, è un'ideale «societas christiana», costruita sui
85

9.8 Page 88

▲back to top
nuovi ideali dell'ug:uaglianza relativa, della pace e della giustizia,
assicurati dalla morale e dalla religione. Così come la persona do-
veva essere buon cristiano e onesto cittadino, la società costruita
dai suoi sforzi doveva divenire spazio di pace e di benessere, e con-
temporaneamente stimolo alla fede e alla salvezza.
È stato poi trasferito in ambienti dove I'atteggiamento religio-
so non ha le espressioni, i segni e i momenti cristiani. E affronta
oggi sia gli ambienti non cristiani, sia quelli in cui la religiosità po-
polare ha una sua vitalità, sia quelli dominati dalla mentalità se-
colaristica.
Applicato con duttilità, gradualità e sincero rispetto verso i valori
umani e religiosi presenti presso le culture e le religioni dei giova-
ni, esso produce frutti sul piano educativo, libera energie di bene,
e in non pochi casi pone le premesse di un libero cammino di con-
versione alla fede cristiana.
Pure con questa diversità secondo il livello dei giovani è vero
che tutto il progetto educativo trova la sua ispirazione e le sue mo-
tivazioni nel Vangelo.
È interessante avvicinare alcune interpretazioni più recenti del
binomio ragione-religione, come sintesi contenutistica e come
espressione di un obiettivo.
Il primum della religione comporta, secondo queste riformu-
lazioni, tre opzioni: la prima è che tutte le attività e proposte che
gli educatori offrono, qualunque sia la loro natura e il loro livel-
lo, hanno un'intenzione evangelizzatrice. Quando il Vangelo non
è ancora proposto esplicitamente, la vita e gli atteggiamenti degli
educatori lo manifestano e lo offrono in maniera desiderabile. La
chiarezza dell'obiettivo si accorda con la gradualità della strada,
I'unità dei criteri con la differenziazione della proposta Ià dove i
mezzi pedagogici della religione non sono proponibili.
In secondo luogo, il collegare profondamente il Vangelo con
la cultura e il progresso culturale al Vangelo. Si tratta di far vede-
re come le grandi aspirazioni individuali e sociali trovano in Cri-
sto e nella comunità che lo continua una risposta adeguata e una
proposta che rimanda ancora più in della richiesta.
L'itinerario può partire da interessi culturali. In questi bisogna
fare un'opera di liberazione, per superare istinti di possesso indi-
86

9.9 Page 89

▲back to top
viduale; bisogna stimolare a porsi le domande sul senso di questi
interessi e vaiori, spingendo la ricerca verso le spiegazioni ultime,
e aprire così, non appena si presenta l'opportunità, il discorso sulla
umanità di Cristo.
Infine l'incontro con Dio sarà lo scopo ultimo dell'educazio-
ne, sia che si possa proporre esplicitamente fin dall'inizio, sia che
si debba assumere una pedagogica gradualità, ritmata al passo della
libertà del giovane; sia che questo incontro awenga con la media-
zione esplicita e accettata di Cristo e della Chiesa, o rimanga sol-
tanto un'istanza della coscienza e come una manifestazione anco-
ra generica del senso religioso. Religione vorrà dire, dunque, for-
mazione spirituale, sviluppo del senso religioso, educazione della
religiosità, rilevanza alla problematica esistenziale, informazione
evangelica, conoscenza di Gesù Cristo secondo il livello dei giovani.
La ragione e l'istanza umanistica richiamano invece alla cono-
scenza profonda della condizione dei giovani, per scoprire quali
degli stimoli che respirano facilitano :unarealizzaÀone piena e quali
vi si oppongono.
Richiedono anche la sollecitudine per i valori che in una deter-
minata cultura esprimono I'ansia di completezzaumana e di pro-
gresso, secondo le condizioni e sfide a cui questa cultura è sotto-
posta.
Un quadro di valori e istanze attuali che traduce il richiamo
alla « ragione » come contenuto può essere quello formulato in un
momento di riflessione dagli educatori che si rifanno al Sistema
Freventivo: «Sul piano della crescita personale vogliamo aiutare
particolarmente il giovane a costruire un'umanità sana ed equili-
brata, favorendo e promuovendo:
- una graduale maturazione alla libertà, all'assunzione delle
proprie responsabilità personali e sociali, alla retta percezione dei
valori;
- un rapporto sereno e positivo con le persone e le cose che
nutra e stimoli Ia sua creatività, e riduca conflittualità e tensioni;
- la capacità di collocarsi in atteggiamento dinamico-critico di
fronte agli awenimenti, nella fedeltà ai valori della tradizione e
nell'apertura alle esigenze della storia, così da diventare capace di
prendere decisioni personali coerenti;
87

9.10 Page 90

▲back to top
- una sapiente educazione sessuale e all'amore che lo aiuti a
comprendere la dinamica di crescita, di donazione e di incontro,
all'interno di un progetto di vita;
- la ricerca e la progettaaone del proprio futuro per liberare
e convogliare verso una scelta vocazionale precisa l'immenso po-
tenziale che è nascosto nel destino di ogni giovane, anche nel me-
no umanamente dotato.
Sul piano della crescita sociole vogliamo aiutare i destinatari
ad avere un cuore e uno spirito aperti al mondo e agli appelli degli
altri. A questo fine educhiamo:
- alla disponibilità, alla solidarietà, al dialogo, alla partecipa-
zione, alla corresponsabilità ;
- all'inserimento nella comunità attraverso la vita e l'esperien-
za del gruppo;
- all'impegno per Ia giustizia e per la costruzione di una so-
cietà giusta e umana)).
L'istanza umanistica porta a valutare positivamente le istitu-
zioni educative e culturali, dove si è fatto lo sforzo di raccogliere
il meglio delle aspirazioni di una cultura e inserirsi attivamente nel
loro dinamismo.
4. IL PRINCIPIO DEL METODO: L'AMOREVOLEZZA
Il « sistema » contempla anche un insieme sufficientemente or-
ganico di interventi, di metodi e di mezzi con cui il ragazzo viene
interessato e stimolato all'autosviluppo. L'ispirazione del metodo
è coerente con l'obiettivo e con i contenuti. Inoltre ricollega in una
solida unità di indirizzo i diversi momenti educativi, i diversi iti-
nerari, le diverse proposte.
Il principio che ispira in forma unitaria la metodolo gia è l, a-
morevolezzo. Essa è una realtà complessa, sostanziata di atteggia-
menti, criteri, modalità e comportamenti. Il suo fondamento e la
sua sorgente vanno ricercati nella carità che ci è stata comunicata
da Dio e per cui l'educatore ama i giovani con lo stesso amore con
cui il Signore Ii ama, non solo per ciò che riguarda l'intensità, ma
anche per ciò che riguarda la modalità espressa nella umanità di
Cristo.
88

10 Pages 91-100

▲back to top

10.1 Page 91

▲back to top
Ma I'amorevolezza si caratterizzaperché la carità viene mani-
festata su misura del ragazzo, e del ragazzo più povero: è la vici-
nanza gradevole, l'affetto dimostrato sensibilmente attraverso gesti
comprensibili, che sciolgono la confidenza e creano il rapporto edu-
cativo. Questo infonde siourezza interiore, suggerisce ideali, so-
stiene lo sforzo di superamento e di liberazione. È una carità pe-
dagogica, che <<crea la persona» e che viene percepita dalragazzo
come un aiuto alla propria crescita.
Nell'amorevolezza si fonda la descrizione dei ruoli educativi ba-
silari: « il direttore e gli assistenti come podri amorosi parlino, ser-
vano di guida ad ogni evento, diano consigli ed amorevolmente
correggano >>. Da essa si aspettano effetti immediati e lontani: « ren-
de amico il ragazzo»>, <<rende awisato l'allievo in modo che l'e-
ducatore potrà tuttora parlare il linguaggio del cuore sia nel tem-
po dell'educazione sia dopo di essa>>; <<l'allievo sarà sempre pie-
no di rispetto verso l'educatore e ricorderà ognor con grande pia-
cere la direzione avuta, considerando tuttora quali padri e fratelli
i suoi maestri e gli altri superiori>».
L'amorevolezzaha manifestazioni tipiche, e forse su queste si de-
ve fare attenzione quando si prospetta una traduzione del Sistema
Preventivo in un particolare contesto. Sono l'amiciaae la paternità.
La prima ricorre spessissimo negli scritti che riguardano l'espe-
rienza personale e la prassi educativa di don Bosco. L'amicizia è
stata un tratto della sua giovinezza, dimostrazione della sua capa-
cità di dare e ricevere affetto gioiosamente e sempre in maniera
personale e profonda. Amicissimo del proprio fratello Giuseppe
con cui trascorse ore di confidenza e condivise infantili progetti
di divertimento; amico dei compagni di Chieri che aiutò nei loro
compiti e con i quali fondò la prima delle sue associazioni; amico
di Luigi Comollo, con il quale percorse una strada di fervore spi-
rituale. L'amicizia occupa un posto rilevante nelle sue riflessioni
pedagogiche. Nelle biografie di Domenico Savio, di Michele Ma-
gone e di Francesco Besucco l'amicizia fine, costruttiva, permea-
ta di razionalità e indirizzata verso il progresso morale e la santi-
tà, costituisce uno dei capitoli più delicati e più interessanti.
Tutto questo insieme fa vedere la concezione eminentemente
affettiva dell'educazione che è propria del Sistema Preventivo. Lo
89

10.2 Page 92

▲back to top
dirà esplicitamente in un'affermazione come questa: << L'educazione
è cosa del cuore, e tutto il lavoro parte di qui; e se il cuore non
c'è il lavoro è difficile e l'esito incerto>».
L'amicizia profonda nasce dai gesti e dalla volontà di familia-
rità, e di essa si nutre. A sua volta provoca confidenza; ela confi-
denza è tutto in educazione, perché soltanto nel momento in cui
il giovane ci affida i suoi segreti è possibile educare.
L'espressione concreta dell'amicizia è assistenza. Essa viene in-
tesa come un desiderio di stare con i ragazzi e condividere la loro
vita: «Qui con voi mi sento bene>». Non è dunque, un «obbligo
di stato», ma una certa passione per capire e aiutare a vivere le
esperienze giovanili.
È aflo stesso tempo presenza fisica dove i ragazzi si trovano,
interscambiano o progettano; è forza morale con capacità di ani-
mazione, stimolo e risveglio. Assume il doppio aspetto della pre-
ventività: proteggere da esperienze negative precoci e sviluppare
le potenzialità della persona attraverso proposte positive. Svilup-
pa motivazioni ispirate alla ragionevolezza (vita onesta, attraente
senso dell'esistenza) e alla fede, mentre rafforzanei ragazzila ca-
pacità di risposta autonoma al richiamo dei valori.
I più svariati gesti e iniziative possono rientrare nella concre-
tezza dell'assistenza, fondati tutti su un atteggiamento di fondo:
voler bene, essere presente, condividere orientando attraverso la
testimonianza, l' aitJto, la disponibilità.
L' amorevolezza ha un' altra manifestazione singolarissima : la
paternità. Essa è più che I'amicizia. È una responsabilità affettuosa
e autorevole che porge guida e insegnamento vitale ed esige discipli-
na e impegno. È amore e autorità. È il carattere che distingue il pri-
mo responsabile di un programma. Diffusa in tutta la giornata, si
concentra però in espressioni individuali e collettive, come la « pa-
rolina all'orecchio » e la « buona notte >>. Citiamo queste due espres-
sioni non tanto per la loro materialità, quanto perché rivelano il pro-
filo della paternità. Essa si estende al singolo e all'insieme, e in que-
sto insieme va protetta, difesa e sottolineata. Si manifesta soprattut-
to nel (( saper parlare al cuore»», in maniera personalizzata e perso-
nalizzante, perché si attingono le questioni che attualmente
occupano la vita e la mente dei ragazzi; saper parlare svelando la
90

10.3 Page 93

▲back to top
portata e il senso in modo tale da toccare la coscienza, la profon-
dità. La buona notte e la parolina sono due momenti carichi di
emotività, che riguardano sempre eventi concreti e immediati e che
riportano a una sapienza quotidiana con cui affrontarli: in una
parola insegnano l'arte di vivere.
Amicizia e paternità creano il climo di famiglia, dove i valori
diventano comprensibili e le esigenze accettabili. Così si tracciala
linea tra l'autoritarismo, che rischia di non influire, pur ottenen-
do risultati formali, e il permissivismo che non riesce a trasmette-
re valori e in cui l'amicizia risulta passatempo inconsistente che
non aiuta a crescere.
È stato pensato e soppesato il fatto che le manifestazioni della
paternità di don Bosco hanno avuto luogo in un contesto marcato
dal « familismo »>, cioè dal carattere modellico della società familio-
patriarcale, considerata « cellula e prototipo » di tutte le altre for-
me sociali. I suoi ruoli servivano come punto di riferimento per
tutti i ruoli di autorità (civili, imprenditoriali, educativi). Tutto al-
lora era «familiare»: l'educazione, l'impresa, l'economia.
Il principio che 1'educatore doveva assumere una (( fisionomia
paterna» era un assioma indiscusso. Il riferimento comporta va-
lori da tradurre e nuovi atteggiamenti da assumere. La famiglia
patriarcale e gerarchizzatadel secolo XIX accentuava più l'auto-
rità del padre che la corresponsabilità della madre e dei figli. Don
Bosco però non dimentica in questa famiglia l'importanza dell'i-
niziativa e della collaborazione: « Senza il vostro aiuto non posso
far nulla. Ho bisogno che ci mettiamo d'accordo e che fra me e
voi regni vera amicizia e confidenza>>.
La sorgente e lo stile sono invariabili: I'amore responsabile e
sensibile che apre alla vita. I canali e Ie espressioni in un contesto
particolare, con la sua peculiare immagine del padre e con la sua
peculiare esperienza di paternità sono da ricercarsi e da attualtzzarsi-
5. INTERVENTI COERBNTI E CONYERGENTI
L'amorevolezza sotto forma di attenzione e condivisione, di
amiciziaequilibrata, di prevenzione affettuosa e di paternità preoc-
9l

10.4 Page 94

▲back to top
cupata del futuro si concretizza in una serie sistematica di in-
terventi.
Il primo è la creazione di un ambiente educativo, ricco di uma-
nità, che è già espressione e veicolo di valori. L'esperienza della
forza dell'ambiente appartiene ai primi anni di apostolato di don
Bosco e diviene un'acquisizione definitiva per tutto il resto dei suoi
giorni.
Don Bosco sarà l'amico-educatore di molti ragazzi avvicinati
individualmente nei più disparati luoghi; ma sarà anche l'anima-
tore di una comunità di giovani, caratterizzata da alcuni tratti e
con un programma da sviluppare. Ragioni psicologiche, sociolo-
giche e di fede lo confermarono nella convinzione che c'era biso-
gno di un'ecologia educativa, dove la religione e l'impegno si re-
spirassero e dove la caritàt informasse i ruoli, i rapporti e l'atmo-
sfera.
Non soltanto, dunque, fa la scelta dell'ambiente, cercando sta-
bilità per il suo oratorio e redigendo un piccolo regolamento, ma
enuncia una teoria: << L'essere molti insieme serye molto a far questo
miele di allegrezza, pietà e studio. È questo il vantaggio che reca
a voi il trovuvi nell'oratorio. L'essere molti insieme accresce l'al-
legria delle vostre ricreazioni, toglie la malinconia quando questa
brutta maga volesse entrarvi nel cuore; l'essere molti serve d'inco-
raggiamento a sopportare le fatiche dello studio, serve di stimolo
nel vedere il profitto degli altri; uno comunica all'altro le proprie
cognizioni, le proprie idee e così uno impara dall'altro. L'essere
fra molti che fanno il bene ci anima senza awedercene».
L'ambiente non è generico. Ha invece tratti caratterizzanti. Non
è un luogo materiale, dove si va a intrattenersi individualmente,
ma una comunità, un programma, una tensione dove ci si inseri-
sce per maturare.
Il secondo intervento è il gruppo. Il grande ambiente, poiché
deve rispondere a interessi e bisogni diversi, si articola in unità mi-
nori, dove sono possibili la partecipazione, il riconoscimento del-
l'originalità della persona e la valorizzazione dei suoi contributi.
I gruppi datano dall'inizio dell'esperienza del Sistema Preven-
tivo. Appena stabilitosi a Valdocco, finita la fase dell'oratorio am-
bulante, don Bosco fonda la Compagnia di San Luigi, a cui se ne ag-
92

10.5 Page 95

▲back to top
giungono poi altre, ideate dagli stessi ragazzi o dai collaboratori.
Anche se la istituzionalizzazione posteriore delle iniziative sembra
aver relegato l'esperienza di gruppo a un posto secondario, è però
un fatto che, vivente don Bosco, costituì una delle proposte più
originali e più curiose.
È interessante ricordare e sottolineare le caratteristiche di que-
sti gruppi, perché partecipano dell'ispirazione educativa del sistema.
In primo luogo sono un'esperienza aperta al maggior numero
possibile di giovani. Non un solo gruppo per alcuni scelti, ma un'of-
ferta differenziata, alla portata di tutti. Pur con una matrice co-
mune, i gruppi sono molteplici e diversi, coordinati all'interno
dell'ambiente. C'è, dunque, una notevole diversità in ciò che
riguarda l'interesse centrale, il nome, il livello di esigenze. Ci so-
no gruppi religiosi, ma non mancano gruppi culturali, sociali, ri-
creativi.
In secondo luogo, una sottolineata finalità educativa. Tutti i
gruppi si propongono come opportunità di maturazione delle per-
sone e come servizio dell'ambiente. Iragazzi sono i protagonisti.
Come don Bosco scriverà ai direttori: << Le compagnie siano opera
dei ragazzi: tu sarai solo il promotore, non il direttore ». Il grup-
po serve non soltanto per personalizzare gl'interventi, ma anche
per far emergere il senso di responsabilità, per sviluppare amici-
zlie, per maturare specifiche attitudini. All'interno della formazione
cristiana permette un'esperienza più chiara di comunità, di apo-
stolato e di fede.
Finalmente l'amorevolezza arriva al singolo attraverso il rop-
porto personale, che permette di prendere visione e di illuminare
il presente, il passato e il futuro del singolo. È da ricordare l'im-
portanzache l'incontro, ad uno ad uno, a tu per tu con iragazzi,
ha nell'esperienza educativa e pastorale di don Bosco.
Alcuni di questi incontri sono passati alla storia come momen-
ti « fondanti >>. L'incontro con Bartolomeo Garelli nella sacrestia
della chiesa di San Francesco d'Assisi gettò le fondamenta dell'o-
ratorio. Nelle biografie dei giovanetti don Bosco rievoca con pia-
cere i suoi incontri con loro e si sofferma a ricostruire passo a pas-
so 1o scambio di battute. Nella biografia di Domenico Savio ri-
produce i dialoghi-incontri che ebbero luogo nella casa parrocchiale
93

10.6 Page 96

▲back to top
di Murialdo e nella direzione dell'Oratorio. Nella vita di Michele
Magone c'è addirittura un capitolo che porta come titolo « un cu-
rioso incontro »>.
Don Bosco non solo rivive questi incontri, ma li propone come
norma educativa. Si esibisce quasi nella sua arte di attingere la vi-
ta del ragazzo. L'incontro comincia sempre con un gesto di asso-
luta stima, di affetto, di sintonia. Don Bosco entra subito e con
semplicità nei punti importanti della vita del suo piccolo interlo-
cutore (santità, abbandono, vagabondaggio). Il dialogo, dunque,
è serio nei suoi contenuti, sebbene le singole espressioni siano ca-
riche di allegria e di buon umore. Perché affrontano punti caldi
di vita e li affrontano seriamente e con gioia, questi incontri si ca-
ratterizzano per I'intensità dei sentimenti. Michele Magone si com-
muove, Francesco Besucco piange di commozione, Domenico Sa-
vio << non sapeva come esprimere la sua gioia e gratitudine; mi prese
la mano, la strinse, la baciò più volte».
Se tale era il ricordo che avevano lasciato gli incontri nel suo ani-
mo, se tale è la rilevanza che egli dà ad essi nelle biografie, fino a
farne il perno della narrazione, è perché era convinto che la qualità
dell'educatore-pastore si mostra nell'incontro personale, e che que-
sto è il punto a cui tende l'ambiente e il programma.
Quando un cardinale a Roma lo sfidò sulla sua capacità edu-
cativa, don Bosco gli offrì lo spettacolo e la prova di un incontro
personale e un dialogo con i ragazziinPiazza del Popolo. Rileg-
gendo questo episodio si ritrova la struttura narrativa di tutti gli
altri «incontri>>: la prima mossa di amicizia, il momento di fuga
deiragqzzi, il superamento della timidezza, il dialogo serio-allegro,
['intensità emotiva della conclusione.
6. LE «OPERE» O I PROGRAMMI EDUCATIVI
ll temperamento concreto di don Bosco e il suo spirito realizza-
tore non potevano concepire che la carità, l'amorevolezzaelapeda-
gogia si esprimessero e si esaurissero soltanto nella relazione indivi-
duale gratificante. Falserebbe la storia chi volesse presentare don
Bosco come l'uomo << buono )), senza preoccupazione mentalità
94

10.7 Page 97

▲back to top
orgarizzativa, strutturante, o il suo Sistema Preventivo soltanto
come atteggiamento di benevolenza.
Prova di questa mentalità sono i numerosi regolamenti, statu-
ti, organizzazioni, istituzioni e le stesse Congregazioni fondate da
lui. Per questo, per i suoi ragazziprima affittò un prato e poi com-
però un terreno. Su questo terreno costruì un edificio che andò
crescendo con gli anni e in esso diede forma stabile alle sue propo-
ste educative, superando la provvisorietà geografica e di program-
ma. Fondò un oratorio, un pensionato, scuole, laboratori. Obiet-
tivi educativi, contenuti, stile, attuazioni particolareggiate hanno
la loro concretizzazione e materializzazione simultanea nell'ope-
ra. L'opera fa vedere il sistema completo e attuante. Opera di don
Bosco o opera salesiana è ancora oggi la parola che definisce dap-
pertutto le presenze più durature e complesse dove si cerca di ap-
plicare il Sistema Preventivo.
L'opera è edificio e programma, punto di riferimento cultura-
le e luogo di aggregazione sociale, dimora di una comunità reli-
giosa e centro di servizi aperti. È degli educatori, della comunità
educativa e del quartiere. È stabile e ben piantata con volontà di
attraversare il tempo e formare tradizioni significative; ma è dina-
mica per l'adeguamento delle iniziative. Valdocco è stato il primo
esempio. Nella sua evoluzione, vivente don Bosco, costituì il « mo-
dello» che si ripeté dovunque.
Le opere presentano queste caratteristiche: cercano di rispon-
dere alle necessità dei giovani con un programma concreto e po-
tenzialmente integrale: insegnamento, alloggio, educazione al la-
voro, tempo libero. Si collocano nell'area culturale-promozionale;
sono concepite come comunità di giovani e di educatori che pro-
cedono in corresponsabilità; aggregano anche gli adulti, special-
mente se appartengono ai settori popolari o sono interessati ad aiu-
tare i giovani, cioè sono « aperte )) e non esclusive. Sono situazioni
riconoscibili e, dunque, interpellabili nelle loro finalità; hanno
proiezione sociale più in là del recinto proprio, perché cercano il
rapporto con istituzioni, territorio, popolo e autorità.
La prima a sorgere fu l'oratorio, poi il pensionato, poi i labo-
ratori, poi le scuole.
Ciascuna di esse meriterebbe un esame per raccoglierne l'origi-
95

10.8 Page 98

▲back to top
nalità, la fusione di nuovo e di tradizionale, e l'applicazione par-
ticolare del Sistema Preventivo che rappresenta ieri e oggi.
Questo però esula dalla finalità di questo studio e dallo spazio
offerto. Basti sottolineare la conclusione: nel modello di educa-
zione proposto dal Sistema Preventivo e dal suo ideatore bisogna
dare il giusto peso alle istituzioni-iniziative-opere. Esse permetto-
no di sviluppare con continuità una proposta integrale. Nella sua
cornice definita e stabile è possibile creare un ambiente, far con-
vergere contributi diversi, dare spazio ed espressione a una comu-
nità e mantenere la vivacità di uno stile giovanile, familiare e im-
pegnato.
96

10.9 Page 99

▲back to top
Capitolo terzo
UN'ISTANZA DECISIVA:
LA SPIRITUALITA
DELLA CARITA EDUCATIVA
C'è oggi una ricerca e un parlare sul tema della spiritualità. Ma
quando si ragiona della spiritualità in genere, o di una spiritualità
particolare, se non si vuole equivocare, è necessario un chiarimento
iniziale: che cosa è « spirituale »> e che cosa dobbiamo intendere per
«spiritualità»? Non si tratta di una domanda filosofica. Non in-
tendiamo definire che cosa sia lo « spirito ». Si tratta invece di chia-
rirci il significato pratico che si deve conferire a << spirituale nella
nostra esistenza quotidiana. Il chiarimento ce lo offre san Paolo
(cf Rm 8,2-17; I Cor l,19-26;2,10-15).
Secondo questi testi, << spirituale » non è una qualità delle cose.
Una chiesa non è più spirituale di una casa di famiglia. Non è nem-
meno una qualità interna degli atti che l'uomo compie. Pregare
non è più spirituale che lavorare o mangiare. Per san Paolo <<spi-
rituale »> è un orientamento e una comprensione della persona che
entra in contatto con le cose e compie azioni, rendendoli entrambi
« spirituali ».
San Paolo vede gli uomini mossi da forze interne diverse, co-
me se vivessero la propria vita a differenti livelli. C,è un tipo di
uomo che è carnale. Egli coglie la realtà, usa cose e si rapporta
alle persone secondo le energie spontanee della natura, come sono
per esempio l'istinto di possedere, la tendenza al godimento. Car-
nale non vuol dire perverso o cattivo, ma alla mercé delle cose del
mondo che finirà. Vuol dire «transitorio»», perituro.
C'è un altro tipo di uomo che egli chiama <<animalis». La de-
nominazione non ha niente di peggiorativo. Si trattadell'uomo che
si lascia guidare dalle capacità umane di intelligenza e sensibilità;
che vive e affronta la realtà con normale ragionevolezza, secondo
la propria condizione umana (anima-vita).
97

10.10 Page 100

▲back to top
C'è ancora l'uomo «intellettuale, sapiente di questo mondo>>
(in greco: noetic6s). È quello che si lascia sfidare dagli interro-
gativi dell'esistenza e cerca il senso della vita con un vero sfor-
zo di ricerca, con tutte le forze della sua ragione, approfittan-
do anche della riflessione fatta da altri, la saggezza appunto di
questo mondo. Sembra che l'Apostolo abbia una certa simpa-
tia per questi intellettuali, ricercatori di senso e di ragioni per
vivere. E allo stesso tempo sperimenti un sentimento di condan-
na per la loro pretesa di voler chiarire il mistero della vita uma-
na, del suo destino e della sua salvezza, con le sole forze della ra-
gione.
Infine, come al vertice di questa scala, c'è l'uomo «spiritua-
le». È quello che possiede un «senso>> che lo aiuta a scoprire i si-
gnificati più profondi della vita, a rapportarsi alle persone attra-
verso I'amore, a percepire la presenza di Dio negli eventi. Ha rice-
vuto lo Spirito di Dio. Nel suo cuore e nella sua mente si è diffuso
un dono che è la carità. È una connaturalità di figlio riguardo a
Dio, che porta a scoprirlo e ad amarlo in se stesso e negli uomini:
chi ha lo Spirito è figlio di Dio!
Non sono gli oggetti, i segni, le azioni o le situazioni ad essere
spirituali. Ci sono cose che sembrano molto spirituali, e invece di-
ventano carnali per la persona che le assume con determinate di-
sposizioni. Così san Paolo fa vedere che prendere parte all'Euca-
ristia per occupare posti d'onore e mettersi in vista e disprezzando
gli altri è carnale. Lo stesso capita quando nell'Eucaristia avven-
gono divisioni tra coloro che mangiano molto e coloro che non
hanno niente. L'Eucaristia è una realtà santa; ma, in mano a un
determinato tipo di persone, può diventare <<carnale>>.
Lo stesso viene detto riguardo ai carismi. Sono cose buone. Ma
se vengono desiderati per propria soddisfazione, per mettersi in
evidenza nella comunità, per dividere piuttosto che per costruire,
diventano desideri carnali.
Al contrario, alcune altre realtà che a noi sembrano molto vi-
cine alla materia o alla vita naturale (per esempio il governo della
propria casa, il matrimonio, il mangiare) diventano «spirituali»>
per chi le vive nello «Spirito».
Spirituale non si oppone, dunque, a materiale, ma a carnale,
98

11 Pages 101-110

▲back to top

11.1 Page 101

▲back to top
naturale, chiuso nei ragionamenti terreni. Significa totalmente im-
pregnato e mosso dalla carità, da quell'amore che Dio ha diffuso
nei nostri cuori.
La spiritualità è allora una grazia, una proposta e un cammino
di vita in Dio, mediante la fede che lo scopre negli avvenimenti
e nelle persone: mediante la speranza che va seguendo i suoi passi
nella storia e attende l'incontro finale con lui; mediante la carità
che lo cerca e si unisce continuamente alla sua persona, alla sua
volontà, al suo progetto.
Ma come viene vissuto tutto questo nello stile di don Bosco?
1. L'ESPERIENZA FONDAMENTALE:
IL SISTEMA PREYENTIVO
<< Don Bosco visse nell'incontro con i giovani del primo orato-
rio un'esperienza spirituale ed educativa che chiamò "Sistema Pre-
ventivo". Era per lui un amore che si dona gratuitamente, attin-
gendo alla carità di Dio che previene ogni creatura con la sua Prov-
videnza, l'accompagna con la sua presenza e la salva donando la
vita. Don Bosco ce lo trasmise come modello di vivere e di lavora-
re per comunicare il Vangelo e salvare i giovani con loro epet mezzo
di loro».
Queste parole rivelano il luogo tipico e il momento fontale del-
la spiritualità di don Bosco. In esse si manifesta un insieme di ele-
menti che non bisogna lasciar sfuggire. Il sistema preventivo è chia-
mato « esperienza spirituale » e non solo pedagogia. « Si ispira al-
la carità di Dio »: non è dunque soltanto il risultato di una ricerca
educativa per ciò che riguarda i suoi fondamenti, per ciò che
riguarda la pratica.
L'esperienza nasce e si sviluppa << nell'incontro con i giovani »,
che costituisce l'humus, la terra dove si trovano le sostanze nu-
trienti per questa pianta. L'esperienza non nasce né si sviluppa nei
monasteri, nelle biblioteche, nella propria camera..., bensì nell'«in-
contro >», e nell'incontro educativo.
Per illustrare questa spiritualità commentiamo tre affermazio-
ni chiave.
99

11.2 Page 102

▲back to top
2. LA CARITÀ: CENTRO DELLA VITA SPIRITUALE
La prima affermazione consiste nel fatto che la caritàt è il cen-
tro e la fonte della vita spirituale. Cio è comune a tutti. La carità
è la forza e la manifestazione di tutti i tipi di santità che appaiono
nella Chiesa, dagli apostoli, attraverso gli anacoreti, fino ai santi
« attivi »> dell'epoca moderna. È il primo dei comandamenti. Non
la si raggiunge per uno sforzo di volontà. È una virtù infusa, una
grana, un dono di connaturalità che Dio infonde nelle persone af-
finché tendano verso di lui, si sentano interpellate dove appare un
segno della sua presenza. Chi non ce l'ha passa di fronte al divino
come uno sventato di fronte a un libro, a un ragionamento. Non
ha nemmeno l'attitudine fondamentale per recepirlo. Gli manca
il codice di lettura.
Questa grazia è alla radice di ogni processo spirituale e di ogni
santità (cf I Cor 13). La carità non è soltanto l'ornamento com-
plementare e marginale degli atti virtuosi, ne è la sostanza. Così
lo spiega san Paolo: <<Se parlassi tutte le lingue... se dessi tutte
le mie sostanze ai poveri... se avessi una fede capace di smuovere
le montagne... se tutto ciò non è mosso dal di dentro dall'amore,
non vale niente» (l Cor 13,2-3).
Perciò quello che rimane, non soltanto per la vita futura ma
anche nella storia dell'uomo, è quello che si costruisce nell'amo-
re. Nella storia si fanno molte cose. Alcune attraversano i tempi
e costruiscono la persona, la società. Altre cadono. Quello che ri-
mane e costruisce progressivamente il definitivo, in questa storia
transitoria degli uomini, è quello che si fonda sulla carità.
I Salesiani non direbbero una grande novità se dicessero che
il centro e la fonte della loro spiritualità è la carità. Infatti, la me-
desima affermazione si ritrova in tutte le forme di vita religiosa
e in tutti itrattati sulla santità, a partire da Gesù Cristo. I diversi
tipi di santità non sono stati che realizzavjsr;d diverse di questo dono
e comandamento dell'amore. È importante però ribadire che an-
che per i Salesiani è così. Ogni tanto, infatti, confratelli che sono
alla ricerca di esperienze spirituali scoprono improwisamente, dopo
aver vissuto anni nella vita salesiana, la centralità e l'importanza
dell'amore.
100

11.3 Page 103

▲back to top
3. LA CARITÀ PASTORALE
Ma nella scala delle progressioni c'è un secondo passo: il cen-
tro del nostro spirito è la coritù pastorale. Che cosa si intende con
questa aggiunta?
La carità spinge alcuni a ritirarsi nel deserto per contemplare
il mistero di Dio, dal quale sono stati come attirati nella quiete
e nella solitudine. C'è stato un santo che, mosso dalla carità, è sa-
lito su una colonna, dalla quale predicava e dava testimonianza
della relatività di tutte le cose che preoccupavano i suoi contem-
poranei. Altri sono spinti dalla carità verso lo studio o la contem-
plazione silenziosa e raccolta.
<< Pastorale » è una parola che segna una differenza specifica.
La carità <<pastorale>» è quella che si esprime inserendo il nostro
<<lavoro» umano nell'opera salvatrice di Dio. Si manifesta, dun-
que, spendendo tempo, energie, qualità e denaro per salvare tutti
gli uomini, ciascun uomo, tutto l'uomo... per salvarlo un «poco)),
se non si riesce a fare di più, aiutandolo a dare un passo verso la
sua immagine vera.
L'amore porta in questi casi ad accogliere Dio e unirsi a lui non
tanto principalmente attraverso la contemplazione intellettuale
(pensiero) o la preghiera affettuosa, quanto attraverso il darsi da
fare per creare situazioni di salvezza, convinti che Egli opera per
mezzo di noi.
Ogni spiritualità ha i suoi momenti di esaltazione e di gioia gra-
tificanti: pensate ai carismatici nella preghiera, al contemplativo
nella « visione >>. La carità pastorale sperimenta la sua gioia ed emo-
zione propria quando è consapevole di partecipare alla salvezza
insieme al Signore. È una gioia simile a quella che sperimenta chi
riesce a strappare alle acque uno che sta per affogare o a evitare
una morte o un incidente.
Cio ci qualifica nel contesto ecclesiale. Ci sono infatti alcuni
che affidano tutta la salvezza a Dio. Propongono la conversione,
la fede e l'esperienza religiosa in forma perentoria e definitiva. Co-
loro che accettano l'invito saranno da loro curati e accompagnati.
Gli altri rispondano essi stessi della propria vita.
l0l

11.4 Page 104

▲back to top
Altri invece sentono quell'amore pastorale che, come faceva Ge-
sù, va cercando, offrendo e motivando chi ha bisogno di accom-
pagnamento, sostegno e aiuto, anche se non è ancora entrato nel-
l'ovile. Chi è mosso dalla carità pastorale si all'azione in favo-
re degli altri per aprire loro il panorama dell'esistenza, per far lo-
ro scoprire il vero valore della propria vita.
Quando ottiene qualche risultato, anche piccolo, sperimenta la
gioia della sua partecipazione alla paternità e all'azione divina. È
quello che dice il Vangelo: « C'è più gioia nel cielo per un peccato-
re che si converte...>>.
A.LA CARITÀ PEDAGOGICA: UN AMORE CHE EDUCA
Ma la riflessione sul « luogo tipico » della spiritualità di don Bo-
sco ci porta ancora più avanti, verso un'ulteriore specificazione.
Infatti la carità pastorale non ne definisce totalmente lo specifico.
Il Concilio propone l'esercizio della carità pastorale anche ai ve-
scovi e ai sacerdoti quando afferma che « sviluppando ogni forma
di carità pastorale » (realizzazione di tutte le possibilità del mini-
stero sacerdotale...) essi si santificano (cf LG 41; PO 13).
La carità, nello stile di don Bosco ha un'altra qualificazione
più precisa che non la restringe, ma la definisce meglio: è una
carità pedagogica. È un amore che sa creare un rapporto edu-
cativo, che si esprime sulla misura dell'adolescente e dell'ado-
lescente povero che deve aiutare ad aprirsi, a scoprire la ricchez-
za della vita, a crescere. Per questo adolescente povero, a vol-
te scarso di parole e di pensiero, la carità deve diventare segno
leggibile dell'amore di Dio. È una carità che arriva agli ultimi, ai
più umili.
Una delle maggiori difficoltà che i ragazzi a rischio e a disagio
presentano all'inizio è appunto quella di non sapersi esprimere di
fronte a persone adulte estranee, di fronte alle istituzioni e a colo-
ro che le rappresentano, inclusa la Chiesa. Le istituzioni sono per
loro l'immagine di quel mondo organizzato dal quale si sentono
esclusi. L'amore educativo deve essere capace di gesti tali che aiu-
tino a prendere la propria vita con gioia e speranza, ad aprirsi
t02

11.5 Page 105

▲back to top
alla fiducia e al dialogo, anche nel contesto di una vita povera e
nei condizionamenti personali.
All'ardore spirituale di questa carità unisce, dunque, lasaggezza,
il tatto pedagogico e il senso pratico, l'ottimismo educativo e la
pazienzadi chi deve sostenere e coltivare i germi di vita. Tutto ciò
esprime quello che afferma lo studioso don Alberto Caviglia e ri-
prende Giovanni Paolo II nella <<Juvenum Patris»: La santità di
don Bosco si plasma come santità educativa (cf JP 5).
L'ardore profetico di taluni predicatori, che nelle piazze si fanno
interpreti del comando di Dio di convertirsi e annunciano la fine
dei tempi, non può essere negato: essi hanno zelo religioso. Ma
non si può affermare che questo sia lo << stile » della carità « peda-
gogica>> che ascolta, aiuta e accompagna le persone.
La carità pedagogica contiene ardore, ma anche tatto, buon sen-
so, misura e affetto. In una parola, saggezza paterna che insegna
ad affrontare la vita.
Ci sono due temi emergenti in don Bosco. Uno è quello della
saggezza. Appare nel primo sogno insieme all'immagine della
<<Maestra»> e si colloca nel trinomio che propone ai giovani. L'al-
tro tema rilevante è la paternità. Tutti e due, sag1ezza e paternità,
insieme danno l'immagine esatta dell'atteggiamento, della perso-
nalità e dei gesti di chi si apre alla vita in tutta la sua ricchezza.
5. GLI ATTEGGIAMENTI DELLA CARITÀ PEDAGOGICA
La carità pedagogica crea nella persona che si lascia guidare
da essa alcuni atteggiamenti specifici.
Il primo è la predilezione per i giovani. Tutti coloro nei quali
opera la carità possono ripetere con don Bosco: <<Tra voi mi tro-
vo bene. La mia vita è proprio stare tra voi >>. Non si sta tra i gio-
vani «per obbligo di orario)), «per mestiere»» o «per guadagno».
Non ci si consuma spiritualmente tra i giovani per poi caricarci
di energie spirituali in altri momenti; con loro ci si trova bene: è
il proprio momento spirituale!
Nella gioventù questo può essere un movimento spontaneo e
persino gratificante, soprattutto se si è capaci di sintonizzare e si
103

11.6 Page 106

▲back to top
è accolti con simpatia. I giovani esercitano una certa attrattiva per
la loro vivacità, la capacità creativa, la voglia di vivere e condivi-
dere. Ma quando si esaurisce il movimento spontaneo, la decisio-
ne di « stare con i giovani » impegna la vita e richiede sforzo asce-
tico. A un certo momento della vita costa stare tra i giovani, e più
ancora essere psicologicamente e culturalmente con loro, preferi-
re il loro mondo ad altri ambienti più cordiali e formali.
II luogo dove gli educatori si rinnovano, dove producono nuo-
ve espressioni spirituali e generano nuovi membri, ispirati dallo
Spirito, dove si rinnova I'entusiasmo e si esprime la creatività pa-
storale è Io spazio giovanile. [n esso ha avuto luogo la nostra cre-
scita umana e cristiana.
La predilezione per i giovani significa << esserci »», << collocarsi »»,
<<ritornare» al luogo tipico della nostra esperienza di Dio.
Ma c'è un secondo atteggiamento: è la fiducia nei giovani.
La carità di don Bosco intende incominciare non dai primi, ma
dagli ultimi; non dai più ricchi dal punto di vista economico o spi-
rituale, i quali hanno già attenzione e servizi, ma da coloro che
non sanno a quale parrocchia appartengono. In questi giovani si
deve suscitare una speranza e svegliare energie.
Don Bosco diceva: « In ogni giovane, anche il più disgraziato,
c'è un punto che, opportunamente scoperto e stimolato dall'edu-
catore, reagisce con generosità e suscita l'energia di cui il giovane
ha bisogno per trasformarsi>».
La fede in Dio Padre e l'evento di Cristo Salvatore ci dice che
nessuno è definitivamente perso. Ogni giovane porta nel suo in-
terno il segno del piano di salvezza, nel quale c'è una promessa
di vita piena e felice per ciascuno.
Le tre biografie esemplari che don Bosco scrisse fanno vedere
come sia possibile portare ad alto livello la vita cristiana di chi è
particolarmente dotato (Domenico Savio); di ricuperare chi ha un
passato meno favorevole (Michele Magone); di accompagnare fi-
no a uno sviluppo soddisfacente chi ha risorse normali (Francesco
Besucco).
La soddisfazione spirituale dell'educatore non sta soltanto nella
capacità di proporre una meta a chi è capace di volare alto, ma
di «salvare>>, prendere dal livello pitr basso ed elevare, aiutare a
104

11.7 Page 107

▲back to top
fare un passo in avanti. Questa è una partecipazione all'opera di
Dio, che richiede fede e speranza. L'esercizio costante delle virtù
teologali, dunque, costituisce I'ascetica dell'educatore: capacità di
seminare senza stancarsi e senza grettezza, di dare sempre una nuova
opportunità, anche quando sembra che i risultati non ci siano, di
vedere la vita in tutto il suo valore potenziale come mistero impre-
vedibile, sempre in attesa dell'azione della grazia.
Per questo le tre energie interiori - religione, ragione, amore
- che ogni ragazzo possiede sono anche i tre aspetti e le tre fonti
di crescita per l'educatore. Egli deve crescere continuamente nella
fede, riconoscendo la fecondità di Dio, seminato nella vita dei gio-
vani attraverso la parola e la presenza; deve alimentare il suo otti-
mismo, che è speranza e fiducia nel futuro del suo lavoro; deve
riconvertire il tutto in una carità che è prontezza e capacità di in-
tervento a favore dei giovani.
Insieme alla predilezione per i giovani e la fiducia nella grazia
di salvezza che opera in essi, c'è un terzo atteggiamento: è I'amo-
re <<manifestoto>>. L'amore vero si riferisce al bene assoluto del-
l'altro, che viene desiderato e cercato come proprio. Questa è l'e-
spressione fondamentale, non legata alla simpatia reciproca tra co-
loro che si amano. Ma l'amore secondo don Bosco è quello che
sa farsi amare perché ha intuito che in questa corrispondenza il
giovane cresce. Sentendosi stimato, impara a stimarsi, ad avere fi-
ducia e a donare anche Iui gratuitamente.
È il tema della lettera scritta da Roma nel 1884. È anche una
conclusione della sua esperienza educativa. Quando don Bosco era
seminarista, i Gesuiti, durante un'epidemia, gli offrirono di fare
l'assistente in un soggiorno che essi avevano nei pressi di Torino,
ove avevano inviato i loro giovani convittori. Don Bosco accettò
I'invito per occupare il tempo, guadagnarsi da vivere e soddisfare
la sua naturale inclinazione a stare con i giovani. Erano alunni di
scuola media, dunque di buona società.
Don Bosco non trovò difficoltà nel rapporto con loro. lmpar-
tiva loro ripetizioni di greco, assisteva nei dormitori e, stando alle
sue parole, ebbe in quei giovani eccellenti amici che gli volevano
bene e Io rispettavano. Ma si accorse di una cosa singolare: la dif-
ficoltà di influire profondamente quando il rapporto educativo è
105

11.8 Page 108

▲back to top
« finanziato ». Il giovane può sempre dire: « Tu fai bene il tuo me-
stiere e io lo riconosco. Ma io pago il servizio». Il suo rapporto
non era gratuito. Allora fece per una riflessione che il biografo
ci ha tramandato: percepì la difficoltà di ottenere su quei giovani
l'influsso pieno di cui si ha bisogno per far loro del bene e perciò
si persuase di non essere stato chiamato ad occuparsi di giovani
di famiglie agiate (cf MB I, 395).
Il suo modo di educare non funzionava bene con quei giovani.
C'era un buon rapporto. Ma si trattava di un rapporto piuttosto
di cose che di persone. Era un interscambio di denaro con servizi,
entrambi prestati con perfetta gentilezza e responsabilità. Ne sca-
turiva una relazione di rispetto e di amicizia, ma non di gratitudi-
ne. Invece il sistema che sperimentò dopo era basato sulla corri-
spondenza di affetto gratuitamente dato e gratuitamente corri-
sposto.
Saper destare la fiducia è un aspetto della carità educativa, per-
ché soltanto dove essa esiste è possibile il lavoro di educazione.
Questo, come dice don Bosco, «<è cosa di cuore>>.
6. DAGLI ATTEGGIAMENTI ALLA PRATICA DI YITA
Ci si può chiedere: come si manifesta la predilezione per i gio-
vani? La fiducia nelle loro risorse? La capacitàt di amarli al di so-
pra della simpatia spontanea o della loro corrispondenza imme-
diata? In altre parole, in quali espressioni si plasmano gli atteg-
giamenti della carità pastorale tipica di un educatore?
Espressione tipica della carità pastorale è anzitutto l'incontro:
il saper incontrare i giovani e incontrarsi con i ragazzi, facendo
il primo passo. Questo ha relazione con la spiritualità. La spiri-
tualità dell'educatore si constata nel <<moinento» educativo.
Lo afferma con forza un testo salesiano: «Educare i giovani
alla fede è, secondo don Bosco, "lavoro e preghiera"... Noi cre-
diamo che Dio ci sta attendendo nei giovani per offrirci la grazia
dell'incontro con Lui e per disporci a servirlo in loro riconoscen-
done la dignità e educandoli alla pienezza della vita. [l momento
educativo diviene così il luogo privilegiato del nostro incontro con
106

11.9 Page 109

▲back to top
Lui» ...conversovo con noi lungo il commino»»: per educare i
giovoni allo fede, LDC, Torino 1991, pag. 5l-52).
Si sa che don Bosco era maestro dell'incontro, del primo in-
contro e dei seguenti, e che non ha tralasciato di raccontarli nei
suoi scritti pedagogici. In essi elimina le barriere dellatimidezza,
della paura, dei pregiudizi; riusciva a suscitare la fiducia e a pro-
vocare la gioia.
Ma perché l'incontro educativo con il giovane è pratica della
carità e manifesta una spiritualità? Perché, internamente, ci porta
ad una vera contemplazione: della presenza di Dio nel giovane,
del suo piano salvifico, che è una manifestazione evidente nel fat-
to di essere stato chiamato alla vita, della forza salvatrice di Gesu.
Ma l'incontro richiede anche un'ascesi e un esercizio di diverse virtù.
Infatti non sono molti coloro che si sentono capaci di avvicinare
qualsiasi ragazzo. C'è da vincere la comodità di restare sulle pro-
prie, c'è da superare la diffidenza nella sua risposta, c'è il co-
raggio di mettere un velo sulle sue attuali abitudini, c'è da spe-
rare nelle sue risorse. Possiamo pensare a quelli che cercano un
contatto con i giovani delinquenti nelle grandi città o con i tossi-
codipendenti e a coloro che vanno ad incontrareiragazzi delle car-
ceri.
Ma poi l'incontro che ridona fiducia e gioia unisce all'opera
salvatrice di Gesù che tentò incontri insoliti, con la Samaritana,
conZaccheo, con l'adultera, con i peccatori. Non traccia Egli stesso
I'immagine del buon Pastore come colui che va alla ricerca, trova
e riporta la pecorella? L'incontro dell'educatore con il giovane è
sacramento di questa presenza di Cristo, appassionata dell'uomo.
Esige identificazione e unione con Lui.
Una seconda pratica della carità pastorale è l'accoglienza, giìt
inclusa nell'incontro, ma che può avere ulteriori. È accettare il gio-
vane con tutto quello che porta con di limiti e di bisogno e far-
sene carico. Aprirgli le porte della propria casa e introdurlo anche
nella propria vita e nella propria esperienza. Non riceverlo come
un cliente o come un visitatore con tutta la correttezza che si vuo-
le, ma per pochi minuti o nell'atrio del nostro essere. Ma dargli
spazio nella nostra comprensione, dedicargli il nostro tempo, le
nostre capacità.
107

11.10 Page 110

▲back to top
Accogliere vuol dire valorizzare il patrimonio che il giovane por-
ta, aprire spazio alla sua partecipazione.
« L'accoglienza tocca più profondamente, dice ancora un
testo salesiano, quando a coinvolgere un giovane non sarà solo
una persona, ma tutto l'ambiente carico di vita e di proposte»
(o.c., p. 53).
Infatti oggi si esige una sintesi maggiore tra l'aspetto comuni-
tario e quello personalizzato.
Forse tempo addietro l'accoglienza che si prestava al giovane
era soprattutto <<istituzionale»: egli si inseriva in un grande am-
biente scolastico o oratoriano e si <<sentiva»> accolto. I vantaggi
che in essi trovava, le nuove amicizie di compagni e adulti erano
una novità per lui, perché i luoghi disocializzazione erano scarsi.
Oggi l'entrata in un ambiente multitudinario ma anonimo, non dice
nulla al giovane. Ha valore invece l'accoglienza umana e persona-
le, espressa con gesti sensibili di accettazione.
Si può riproporre Ia domanda, formuiata prima, perché l'ac-
coglienza di un giovane è pratica concreta della carità pastorale
e quindi manifestazione non indifferente di una spiritualità edu-
cativa. I termini della risposta non sarebbero diversi dalla prece-
dente: «Chi accoglie uno di questi, accoglie me».
Ma, se come dice il testo citato, l'accoglienza si realizza non
solo da persona a persona, ma anche in un ambiente adeguato
(famiglia-comunità) allora la carità pastorale e l'amore educativo
porteranno a spendere intelligenza, tempo e salute per organizza-
re, mantenere e arricchire un ambiente capace di offrire ai giovani
un'esperienza positiva di convivenza, responsabilità, impegno e vita
di fede.
Cio puo richiedere prestazioni e momenti come preparare un
programma di contenuti educativi, predisporre celebrazioni o mo-
menti culturali in cui la preoccupazione «spirituale» appare evi-
dente; ma richiede anche attenzioni molto semplici e a volte << ma-
teriali >>. Un ambiente infatti è fatto di persone, clima di relazioni
ma anche di pareti, ornamentazione, stimoli. Implica pazienza e
amore come la cura di una casa e di una famiglia. Postula atten-
zione ai singoli, animazione di gruppi, composizione di conflitti,
riproposta di motivazioni, articolazioni di attività e responsabili-
108

12 Pages 111-120

▲back to top

12.1 Page 111

▲back to top
tà. E chi potrebbe negare che tutto questo oltre che una prova di
amore ai giovani è un esercizio di virtù?
La preoccupazione per predisporre un ambiente per i giovani
non è perdita di tempo e ha riferimento con la spiritualità. Non
sono spirituali o carnali le cose (San Paolo). È h persona che, mossa
dall'istinto, dall'egoismo o dalla carità, conferisce qualità all'a-
zione e orienta le cose verso lo spirituale o verso il carnale.
Insieme all' incontro personale, all' acco glie nza, all' animazione
educativa e religiosa di un ambiente, commentiamo un'ultima ma-
nifestazione della carità pastorale: il rapporto personale che oiuta
lo crescita.
L'accoglienza forse richiama soltanto il primo momento. L'e-
ducazione richiede poi un accompagnamento sereno ma prolun-
gato. La natura prowede a ciò nella relazione padre-figlio. In es-
sa la generazione biologica si continua con lainiziazione alla vita.
Paternità responsabile è quella che non si limita al primo mo-
mento della concezione, ma si prende cura della crescita umana
della persona. C'è anche una responsabilità educativa e pastorale.
Essa non può limitarsi al primo incontro di simpatia o a qualche
proposta occasionale. L'opera va portata a compimento. Ora se
l'incontro esige speranza e coraggio, se I'accoglienza richiede te-
terezzae arnpiezza di cuore, il rapporto educativo duraturo richiede
responsabilità paterna matura. È fatto allo stesso tempo di auto-
revolezza e rispetto, di energia e affetto, di guida e spazio di liber-
tà, di previdenza e fiducia. Prende il modello della «paternità di
Dio». Cerca di imitarla e farsene trasparenza per il giovane. Ci
serve anche per questo un testo che recita: il salesiano è consape-
vole che impegnandosi per lasalvezza della gioventù fa esperienza
della paternità di Dio <<che previene ogni creatura, l'accompagna
con la sua presenza e la salva donando la vita»> (Op. cit., pag. 51).
Che il rapporto educativo esiga generosità, purezza di inten-
zione e di cuore, distacco e comporti sofferenza non c'è chi non
lo veda. Basterebbe interrogare in merito educatori e genitori.
r09

12.2 Page 112

▲back to top
Capitolo quarto
UNA SCELTA DETERMINANTE:
LA GIOVENTU DELLA STRADA
E DELLE PIAZZE
DA APRIRE AL VANGELO
Pur potendosi collocare all'interno delle istituzioni a favore dei
giovani che si riconoscevano già nella comunità ecclesiale, don Bo-
sco scelse consapevolmente di « essere parroco dei giovani che non
sapevano a quale parrocchia appartenevano )). Si rivolse principal-
mente a loro, e adoperò come luoghi di incontro pastorale e di pri-
mo annuncio la strada ,le piazze, i posti di lavoro, il prato-cortile.
La scelta, lo stile e i risultati relativi provocarono dissensi e cri-
tiche: qualcuno l'avrebbe visto meglio nelle << funzioni normali » di
un prete secondo il modello corrente e qualcun altro giudicava l'e-
sito della sua azione inferiore alle attese di un'educazione cristiana.
Ma nei suoi incontri con i giovani del carcere, della strada, dei
cantieri, don Bosco maturò la propria prassi pastorale.
È vero, il problema dei giovani ai margini della Chiesa si poneva
allora in termini totalmente diversi da come si presenta oggi. Nel
contesto di religiosità sociale la questione dei giovani lontani era
congiunturale, e veniva attribuita alla mancanza delle cure consuete
a causa appunto dell'emigrazione, dell'abbandono pastorale, delle
condizioni di vita e di lavoro. I riferimenti religiosi vigevano comun-
que nella mentalità popolare. Un richiamo, un gesto, un luogo signi-
ficativo, una proposta li risvegliavano, ed erano sufficienti afar ri-
prendere un cammino diconsolidamento cristiano. Ma oggi?
1. I GIOVANI LONTANI OGGI
Sul fatto della consistenza numerica dei cosiddetti « giovani lon-
tani non ci sono dubbi. Appare evidente nei risultati di inchieste
sulla « assistenza>> domenicale, sulla catechesi e persino sul battesi-
110

12.3 Page 113

▲back to top
mo e prima comunione. Il numero di giovani raggiunti dalle inizia-
tive ecclesiali costituisce una percentuale insignificante sulla totalità.
Il fenomeno è stato oggetto di riflessioni approfondite e di ac-
curate distinzioni. Ci sono i «lontani» che non hanno preoccupa-
zioni etiche, che hanno perso interesse per la dimensione religio-
sa; quelli per cui il messaggio cristiano rientra in un generico pen-
siero religioso, che non si riconoscono affatto nella Chiesa o che,
pur riconoscendosi in essa, non frequentano piir. Non pochi di lo-
ro non si sono allontanati: sono semplicemente nati in un << altro
continente culturale >>, hanno assimilato un « altro linguaggio >>, so-
no cresciuti in « altri ambienti », hanno sviluppato << altre apparte-
nenze». Ma il fatto rimane nella sostanza.
Di fronte al fenomeno due sentimenti tipici percorrono gli am-
bienti ecclesiali: I'allarme e la rimozione.
ln un primo tempo venne accusato il colpo di sentirsi << mino-
ranza>>z nel mercato delle proposte di senso rivolte alla massa ci
si sente impari. Si punta allora sulla qualità, con la speranza che
la significatività di pochi provochi il ritorno dei più, o almeno pre-
valga nel confronto tra le diverse proposte.
Così oggi assistiamo a manifestazioni e fermenti che coinvol-
gono una minoranza (es. i movimenti ecclesiali) di fronte a una
grande massa che elabora i suoi criteri e le appartenenze sul di-
stacco pratico dalla proposta cristiana. È il fenomeno della <<irri-
lev anza>> o « insignifi canza>> ecclesiale.
A che cosa si deve attribuire questa situazione? È questione di mes-
saggro o di linguaggio? Di proposta forte o di solidarietà e vicinanza?
Di strategia o di gesti di profezia? È una situazione da chiarire.
Tra questi due opposti, la minoranza <<fedele» e Ia maggiotanza
<<lontana»», si collocano anche le manifestazioni di massa che sot-
tolineano la rilevanza sociale dei credenti. Esse coinvolgono chi
è a livelli diversi di assenso o appartenenza e diffondono comun-
que un messaggio di Vangelo. Ma tutto ciò non raggiunge piena-
mente lo scopo della Chiesa.
I giovani lontani si presentano così come sfida alla nostra manie-
ra di vivere e credere: se come novità sconvolgente o come pratica
« religiosa»; se come profezia, speranza e annuncio di vita o come
conservazione storica e sociale. Essi ci spingono a esplorare il miste-
lil

12.4 Page 114

▲back to top
ro dell'uomo e delle sue odierne « speranze e angosce )), che sono lo
spazio in cui Ia parola si è fatta carne e ancora oggi puo risuonare.
2. DALLA PARTE DEI «LONTANI»
Nei Vangeli appare evidente la sollecitudine per chi è «lonta-
no» perché è partito, si è perso o non è arrivato. Gesù afferma:
<«Non sono venuto per i giusti ma per i peccatori»>. Egli appare
incline a rivolgersi a quelli trascurati dalle preoccupazioni proseli-
tiste degli operatori religiosi o per la loro insignifrcanza (i poveri)
o per la loro origine (i pagani) o per il loro modo di vita (i pubbli-
cani) o per i loro antecedenti (l'adultera).
La preoccupazione sua non è quella di guadagnare uno in più
per il suo gruppo, cosa che rinfaccia espressamente ai professioni-
sti della religione, bensì di promuovere la felicità della persona.
Gesù infatti approfitta di quanto già opera nella persona come fer-
mento e lo valorizza: la curiosità di Zaccheo, l'interesse di Nico-
demo, l'angoscia dell'adultera, il desiderio di ritorno del figlio pro-
digo. Il suo messagggio di salvezzaviene fatto risuonare nella vita.
I risultati sono poco vistosi per i criteri del tempo. Ma in questi
eventi si manifesta lapotenzadi salvezza. Si dirama Ia notizia della
sua presenza attuale tra gli uomini, e coloro che ne sono coinvolti si
riempiono di gioia. Il pensiero della gioia corona la parabola del
buon pastore, della dracma ritrovata e del fÌglio prodigo. La Chiesa
è dunque chiamata a gioire per il ritorno di quell'uno che era privato
della felicità del Vangelo, più che dei novantanove al sicuro.
Don Bosco nella sua azione tra i giovani si ispira a queste pagi-
ne dell'Evangelo, si attiene all'atteggiamento di Gesù, il Buon pa-
store, che va in cerca delle sue pecorelle.
3. L'ATTBGGIAMENTO EVANGELICO:
ESSERE « COMPAGNIA »
Riguardo ai lontani Ie sensibilità divergono, sovente senza espli-
citarsi. Alcuni pensano che sia solo questione di «attirare» alla
tt2

12.5 Page 115

▲back to top
«verità)) dove noi siamo, che l'esperienza personale ha poco da
aggiungere alla proposta di « salvezza»>. Occorre soltanto diven-
tare disponibili, accogliere ed ((entrare». In tal caso l'attenzione
a quanto il soggetto, singolare o collettivo, si porta come <<vissu-
to» della sua vita è marginale: è utile per lui solo, non per la so-
stanza dell'annuncio.
Ma la realtà dell'incarnazione provoca tutto un movimento verso
I'uomo per annunciare la parola disalvezza, e Cristo lo esprime
nei suoi atteggiamenti verso chi non troverà sul terreno << religioso ».
3.1. Andare ((verso» i lontani
Il primo di questi gesti sta nel «vengo da te»», la parola rivolta
da Gesù aZaccheo, declinata poi nel Vangelo in molteplici modi.
A chi è già preparato, il Signore rivolge l'invito a unirsi ai suoi.
Chi è disponibile o percorre soltanto i primi passi, egli lo incontra
nel suo <<ambiente», più personale che «fisico»; è un collocarsi
spiritualmente sul terreno dell'altro.
<<Uscire>> è un altro verbo chiave del Vangelo. Viene applicato
al seminatore che getta il seme in diverse terre; al pastore che va
in cerca della pecora e al padrone che invita al lavoro.
«Uscire>> e <<venire>> comportano I'esigenza di staccarsi dalle
proprie posizioni per votarsi al dialogo e alla condivisione per una
ricerca comune. Esigono di andare piir in là della cerchia degli ap-
partenenti, per condividere con «gli altri» quello che essi hanno,
piuttosto che soltanto quello che noi portiamo. Vuol dire esplora-
re con serietà le questioni che preoccupano l'uomo, riformulare
il senso che ne emerge. Significa uscire dal linguaggio abituale per
provarne altri che esprimano con novità la ricerca del giovane e
raggiungano efficacemente la sua interiorità. Dice tentare di inol-
trarsi nei luoghi di incontro più vicini alla ricerca della persona,
non per tattica, ma perché vi si riconosce la presenza operante di
Dio.
È il senso <<missionario» della fede, ricondotto all'essenziale,
che non ci chiede sempre di trasferirci in terre lontane, ma spesso
di piantare la tenda nel continente giovanile, alla ricerca delle tracce
di Dio.
ll3

12.6 Page 116

▲back to top
3.2. Invitare e accogliere
Ma c'è un secondo gesto dello stesso atteggiamento: è l'invito
e I'accoglienza, senza preclusioni e pregiudizi.
Il Vangelo li sottolinea quando si riferisce ai lontani. Il padre
buono accoglie il figlio prodigo, che si era allontanato, in una ca-
sa che, secondo i criteri del fratello maggiore, sarebbe stata ben
poco famiglia.
La Chiesa prende il volto di chi la propone. Se si presenta co-
me vera « casa dell'uomo >>, dove chi è in ricerca può condividere
ed essere aiutato a camminare, diventa anche luogo significativo
dove << incontrarsi ».
L'invito di venire rivolto ai giovani contiene la promessa di ri-
conoscere evalor\\zzare quanto essi portano dentro come caratte-
ristica della loro epoca: non è onestà cercare la loro appartenenza
per i nostri fini, lo è se si opera per la loro vita.
L'accoglienza è quanto i giovani si attendono dalla Chiesa. Il
«vieni con noi>> comporta in prima istanza un'offerta di compa-
gnia, un aiuto nella ricerca, uno spazio di esperienza i cui esiti non
sono sempre prevedibili. Accogliere è dare speranza e aprire alla
crescita, alla vita.
3.3. Camminare insieme
C'è ancora un altro gesto indispensabile quando si pensa ai lon-
tani: <<camminare insieme». Proprio insieme: ossia, al ritmo di chi
deve ancora interrogarsi e interrogare la fede, percorrendo con lui
le tappe che gli si vanno scoprendo.
Oltremodo eloquente è l'immagine evangelica che rappresenta
il Signore che percorre la strada con i discepoli, mentre si snoda
un discorso qualunque. Luca la propone in maniera didattica nel-
l'episodio dei discepoli di Emmaus. Essi sono sul punto di « allon-
tanarsi per l'impatto con la delusione, ma il condividere la stra-
da interiore, di cui è segno il cammino fatto assieme, finisce nella
frazione del pane.
C'è chi esce per « conquistare »; chi accoglie con la segreta spe-
ranza di convincere. Ma per risolvere un problema di vita è im-
rt4

12.7 Page 117

▲back to top
produttivo strappare adesioni, se non sono sufficientemente ma-
turate.
Lo spirito di conquista risulta inefficace e l'adescamento per
« amicizia » inconsistente. Rimane l'essere solidali di fronte alle sfide
che la vita pone, offrendo la testimonianza di una esperienzaper'
sonale vissuta con sincerità e proposta con semplicità. Il messag-
gio allora non sarà tutto previamente elaborato, ma si andrà pla-
smando in un dialogo fecondo.
La frattura tra Vangelo e cultura evidenzia una delle manife-
stazioni piir vistose nell'odierno comportamento giovanile. A questa
età si elabora l'identità fondamentale, si crea un senso per la vita,
si stabilisce il codice personale, si progetta l'impiego delle proprie
energie. Gli stimoli e le proposte sono innumerevoli in questo cam-
po; il segno e il riferimento religioso rischiano di restare insignifi-
canti a causa del fuoco delle pulsioni, o per travisamento, se non
sono presentati e percepiti come uno spazio di liberazione e un'of-
ferta di vita.
Il camminare insieme, giovani e Vangelo, giovani e Chiesa, com-
porta riascoltarsi in permanenza e rispondersi, condividendo soli-
dalmente le vicende del cammino comune.
4. UN COMPITO: PORTATORI DI PIBNEZZA DMTA
La comunità ecclesiale manifesta volontà di compagnia, acco-
glienza e solidarietà perché si porta dentro un'esperienza: ha ac-
colto il dono della <<vita». Su di essa ha elaborato una sapienza:
la vita è il dono in cui Dio si fa presente, anche sotto apparenze
povere e meschine. L'evento di Cristo ne è la prova.
La comunità cristiana approda dunque a una scelta: stare dalla
parte della vita, della sua dignità, del suo senso, della sua pienezza.
4.1. Esperienza di fede ed esperienza giovanile
Questa è la notizia che spiega la realtà che non si vede: Cristo,
a cui i cristiani si affidano, manifetsa il suo potere sulle forze av-
verse alla vita con la sua esistenza, specie con la risurrezione.
115

12.8 Page 118

▲back to top
Non si tratta solo di un fatto accaduto in Lui, ma della sua perso-
na stessa: <<Io sono la risurrezione, la fonte della vita»>.
Il giovane rincorre Ia vita nelle sue più diverse esigenze: rico-
noscersi ed essere riconosciuto mediante la valorizzazione di ciò
che è oggi, e non di quello che << dev'essere o sarà » domani; assa-
porare l'esistenza esprimendo la propria libertà nella ricerca della
felicità, limitata ma possibile, sufficiente per costituire una ragio-
ne di esistere; formulare significati e progetti sempre più adeguati
alla realtà che gli si va spalancando davanti. Cio gli dà la consape-
volezza di essere nel mondo non «per caso» ma «per grazia>>, e
con una missione da compiere.
Certo, queste sono le espressioni più implicite e profonde del-
l'anelito giovanile verso la felicità: sono le meno banali e imme-
diate, nemmeno scevre da rischi, come l'ancorarsi all'effimero, il
rinunciare ad andare oltre, I'elaborare in solitudine. Ma è proprio
dentro il vissuto profondo del giovane che bisogna arrivare per far
emergere la vita.
Una esperienza, dunque, quella dei cristiani, e una ricerca, quella
dei giovani, che sono destinate a incontrarsi e a illuminarsi a vi-
cenda.
Ma con quale messaggio, con quale comunicazione, con quali
gesti? Un segno esiste, anteriore a ogni parola: sperimentare la sal-
vezza, ossia il passaggio da una situazione di morte a una vita. In
molti avvenimenti della Chiesa e del mondo si realizza questo pas-
saggio ed emergono mediatori di vita, segni di salvezza.
La comunità dei credenti è appunto chiamata a leggere il signi-
ficato totale e futuro di simili realizzazioni parziali, e consegnare
una chiave per impostare con senso l'esistenza,
4.2.11dono «dentro>» di noi
Il primo messaggio è senza dubbio I'invito a sperimentare la
vita nella profondità del mistero che portiamo in noi: è scoprire
che è un dono, non acquisito con meriti o sforzi personali, bensì
ricevuto.
Ma non basta accettare il dono. Ne può sempre seguire passi-
vità, disinteresse, acquiescenza. Occorre riconoscere consapevol-
il6

12.9 Page 119

▲back to top
mente il suo valore di realtà, piena di insospettate potenzialità, con
valenza di progetto aperto.
Motti elementi sollecitano oggi alla leggetezza, superficialità,
disimpegno. Si puo galleggiare nella vita in modo distratto o irri-
flesso, non lasciarsi interpellare dalle situazioni, dagli interrogati-
vi e nemmeno da orizzonti suggestivi. L'idealismo e la problema-
ticità sono visti con sospetto. E tuttavia finché non si formulano
le domande, non ci può essere neppure l'attesa di risposte.
Accogliere la vita come dono, scorgere e invocare una pre-
senza misteriosa, anche se ancora senza un nome, è spesso un
passaggio inevitabile: << Conoscendomi, ti conoscerò » (sant'Ago-
stino).
Sorregge in questa ricerca l'esperienza di altri che raccontano
la loro vicenda e comunicano le loro scoperte. L'incontro con la
comunità e la sua cultura acuisce la riflessione e comunicasaggez-
za, ne fa percepire il valore e il limite.
Ma la vita con le sue possibilità e le sue sfide interpella oltre
le realizzazioni e spiegazioni che gli uomini sono riusciti a balbet-
tare. Dal loro sforzo d'altra parte sono cresciuti, insieme a semi
di vita, anche frutti di morte: lo sfruttamento delle persone, lo
sguardo avido sulle cose, la perversione delle proprie facoltà.
4.3. L'incontro con Cristo
Cristo e il suo Vangelo si fanno allora incontro come invito a
superare la morte e a sperimentare la vita in pienezza: << Io sono
la vita>>.
Si incontra Cristo in maniera progressiva e con approcci diver-
si: il contatto con la comunità che crede in Lui, l'imbattersi in mo-
delli di esistenza cristiana, un primo ascolto cercato o casuale di
chi apre un nuovo orizzonte nella vita.
La crescita awiene senza dubbio quando si entra in sintonia
con Lui e ci si lascia prendere dal mistero della sua esistenza che
rivela il nostro.
In Lui I'umanità appare non soltanto come la sogna il giova-
ne, ma inabitata da Dio. Sotto la povertà umana c'è la potenza
di Dio, garante della vita dell'uomo.
tt7

12.10 Page 120

▲back to top
Cristo vive la vicenda di tutti, a livelli non comuni di libertà,
di consapevolezza, di amore, di servizio. La sua esistenza rivela
che la vita che palpita in noi è un'invocazione a Dio e una risposta
di Dio, meta ultima dell'uomo.
Per questo Egli è vita.
La presenza di Dio in noi non è pura interiorità o coscienza;
è amore appassionato e trasformante nella storia. Come in Cristo
Dio si è offerto per I'umanità, così attraverso noi si fa dono per
gli altri: dall'esperienza del gratuito in noi, all'esperienza del do-
no agli altri. È questa un'altra novità da scoprire
Vita e felicità non sono possesso di cose, ma capacità di ama-
re. È quanto esprime il Vangelo: « Chi vuol guadagnare la propria
vita, deve perderla>>, ossia mettersi a disposizione altrui.
- Solo nel perderla cioè nel liberarsi dal desiderio centrato su
- di e nel perderla per amore, si raggiunge il vertice del dono,
della stessa vita.
Possono così risuonare le beatitudini per il giovane d'oggi:
Beati i giovani che si lasciano prendere dal desiderio di vivere
in pienezza!
Beati coloro che raccolgono gli interrogativi e le sfide della vita!
Beati coloro che sono presenti agli appuntamenti della storia
in cui è in gioco la vita!
Beati coloro che riusciranno a vedere la Presenza che costitui-
sce la vita!
Beati coloro che riescono a leggere nel Figlio I'essere figli!
Beati i giovani che si aprono al servizio nel dono di sé, fino an-
che a perdere la propria vita!
Dentro a tali prospettive don Bosco ha progettato la sua mis-
sione: essere portatore dell'amore del Padre e promotore di vita
inpienezza (di santità) specie tra i giovani «poveri e pericolanti».
ll8

13 Pages 121-130

▲back to top

13.1 Page 121

▲back to top
PARTE TERZA
LA COMUNITA
EDUCATIVA PASTORALE
ANIMA E PROGETTA

13.2 Page 122

▲back to top
Capitolo primo
LA COMUNITA
EDUCATIVA PASTORALE
Nella complessa problematica della pastorale giovanile, ca-
rica di molteplici questioni e di prospettive differenti, sorge le-
gittimo un interrogativo: qual è in definitiva il nodo determi-
nante attorno a cui si gioca l'educazione e l'educazione alla fede
della gioventù?
La risposta non è evidentemente facile semplice. E tutta-
via occorre trovare il coraggio e la saggezza di scommettere in qual-
cosa.
La scelta cade se non <<sul>> nodo, certo su uno dei nodi de-
cisivi nella formazione dei giovani d'oggi: la comunità educati-
va. La formazione di vere comunità, basate sulla corresponsa-
bilità, è uno dei massimi intenti del rinnovamento pastorale, oggi
invocati.
L'Oratorio-Centro giovanile, per essere proposta efficace e
ambiente educativo per i giovani d'oggi, dovrà formare anzitut-
to la comunità con la partecipazione attiva e responsabile dei
giovani, degli educatori laici e dei genitori, dei collaboratori di-
sponibili nelle maniere più diverse. AIlo stesso modo ogni isti-
tuzione scolastica è chiamata con sempre maggiore ùrgerrza a
costruirsi nella condivisione attiva di responsabili e di insegnan-
ti di genitori e di allievi. Così se ci si riferisce alla vita pastora-
le di una parrocchia, che intenda rispondere alle attese della gente
e porsi nella prospettiva della nuova evangelizzazione e della testi-
monianza dei valori cristiani, non ci si può sottrarre dal costruirla
come comunità.
«Edificare la comunità» è oggi una istanza di fondo, anzi una
norma pastorale.
120

13.3 Page 123

▲back to top
1. LE MOTIVAZIONI CHE SOLLECITANO A TALE SCELTA
Ci sollecitano in questa direzione fatti sociologici, ecclesiali e
pedagogici. Col loro linguaggio indicano chiaramente che oggi non
è possibile educare, evangelizzare se non attraverso la comunità.
Un primo motivo della scelta va cercato nella Chiesa: nella sua
natura e nelle sue linee pastorali attuali. Essa si presenta ed è una
realtà di comunione che si sviluppa attraverso l'incontro delle per-
sone e porta avanti la sua missione mediante il contributo conver-
gente di vocazioni diverse.
È una comunione organica, cioè ha efficacia in quanto corpo-
comunità, unitario nelle finalità e diverso nella molteplicità deimi-
nisteri.
L'esperienza della comunità ecclesiale in questi anni di rinno-
vamento conciliare manifesta con chiarezza che essa deve svilup-
parsi in un contesto di responsabilità, e trova nella complementa-
rità delle diverse vocazioni la forma più valida di crescere nella
fedeltà a Dio e nel servizio agli uomini.
Le conseguenze pratiche di una tale visione della Chiesa arri-
vano alla vita quotidiana e, dunque, alla maniera di lavorare per
il Vangelo. Il soggetto di ogni presenza e attività pastorale è la co-
munità. I pastori sono visti come animatori di tutti i suoi membri
e dell'insieme, piuttosto che come responsabili esclusivi della mis-
sione della Chiesa.
Questa istanza comunitaria ha poi uno speciale rapporto con
la sfida dell'evangehzzazione nel mondo contemporaneo. ((La co-
munità vissuta nello spirito evangelico è di natura sua testimoruanza
che non solo edifica il Cristo nella comunità, ma lo irradia diven-
tando segno per tutti» (Sacra Congregazione per l'educazione cat-
tolica, La scuolo cottolico, Roma 1977, n. 6l).
Il fatto comunitario infatti è eloquente, parla prima ed è spes-
so più forte della parola. La « Evangelii nuntiandi » riprende il te-
ma con maggior forza, quando afferma: <<Ecco: un cristiano o un
gruppo di cristiani, in seno alla comunità di uomini nella quale
vivono, manifestano capacità di comprensione e di accoglimento,
comunione di vita e di destino con gli altri, solidarietà con lo sfor-
zo di tutti per tutto ciò che è nobile e buono. Essi irradiano, inol-
121

13.4 Page 124

▲back to top
tre, in maniera molto semplice e spontanea, la fede in alcuni valo-
ri che sono al di dei valori correnti, e la speranza in qualche
cosa che non si vede, che non si oserebbe immaginare. Allora con
tale testimorianza senza parole questi cristiani fanno salire nel cuore
di coloro che Ii vedono vivere domande irresistibili... Altre domande
sorgeranno, più profonde e più impegnative, provocate da questa
testimonianza che comporta presenza, partecipazione e solidarie-
tà, che è un elemento essenziale, generalmente il primo nella evan-
gelizzazione» (n. 2l).
In un mondo secolarizzato, in cui l'esperienza religiosa non è
più espressa dalle grandi istituzioni sociali, riprende particolare for-
za e significato quel gruppo di uomini nel quale è possibile risco-
prire la sintesi cristiana nella sua integrità.
Più specifico si rivela il motivo della scelta, se si entra nel cam-
po particolare dell'educazione. Seguendo la tendenza partecipati-
va della società, anche I'educazione sta passando dalla gestione in-
dividuale alla corresponsabilità comunitaria.
Le tre ragioni che sostenevano il diritto a una gestione « priva-
ta»» erano il possesso delle strutture, la specializzazione professio-
nale e l'offerta di un certo tipo di educazione.
Ma la crescita del senso sociale di questi anni stimola persone
e gruppi a divenire << animatori » di una realtà condivisa piuttosto
che imprenditori esclusivi.
L'educazione è così più un servizio sociale che un'impresa in-
dividuale. Il fenomeno va considerato non semplicemente politi-
co, ma specificamente educativo. Solo attraverso l'esercizio prati-
co di pluralismo e della partecipazione ilrag zzs si abilita alla con-
vivenza civile e al senso della sua dignità e responsabilità come per-
sona. Le istituzioni educative del resto non hanno per finalità sol-
tanto di trasmettere conoscenze, ma soprattutto di educare, ossia
di formare socialmente e culturalmente, e aiutare a crescere come
cittadini.
Infine, un motivo della scelta comunitaria si rifà a un grande
filone educativo, portato nella Chiesa e nella società da don Bo-
sco: il Sistema Preventivo.
Ci sono in esso elementi chiave che si attuano solo nella comu-
nità educativa: lo spirito di famiglia, l'ambiente educativo e il pro-
122

13.5 Page 125

▲back to top
tagonismo giovanile. Il primo suppone una trama di rapporti per-
sonali ispirati,a fiducia, familiarità e bontà. Suppone che l'educa-
zione sia opera di stima e di amore che si percepisce e si respira
come clima.
Il secondo richiede pluralità di attività e convergenza di molte-
plici fattori verso traguardi da perseguire.
Ilterzo esige il coinvolgimento interiore dei giovani, che fa af-
fiorare la spontaneità e si esprime nell'assimilazione vitale dei va-
lori e nella loro partecipazione attiva ai processi educativi.
Il Sistema di don Bosco, insomma, richiede un intenso e lumi-
noso ambiente di partecipazione, un modo comunitario di cresci-
ta umana e cristiana, vivificata dalla presen za amica e solidale di
educatori e giovani.
2. LE ESIGENZE ATTUALI
DI UNA COMUNITÀ TONUA.TIVA
Oggi poniamo alla base della comunità educativa le seguenti
esigenze: i rapporti umani, il senso di appartenenza, l'identità
educativo-pastorale.
La necessità di rapporti « nuovi » tra i componenti della comu-
nità educativa è avvertita con forza se si intendono raggiungere
livelli di collaborazione e vicendevole integrazione. Tale novità trova
concretezza in alcune espressioni pratiche.
Una prima è l'intensità: si tratta di passare da rapporti spesso
scarsi a rapporti più frequenti; dalla mancanza di comunicazione
personale, professionale e funzionale all'informazione sistematica.
La novità è attuata anche nell'estensione dei rapporti: si punta
infatti sul coinvolgimento di più gruppi e persone, anzi di tutti quan-
ti possono essere interessati, come le famiglie, le forze sociali, le
varie istituzioni educative.
La novità può essere percepita inoltre nella profondità del rap-
porto: ci si impegna non solo nella cordialità, ma in particolare
nella ricerca comune del senso e dello stile dei propri compiti edu-
cativi.
Sin qui sono note che costituiscono un buon rapporto umano.
t23

13.6 Page 126

▲back to top
Ma naturalmente si intende andare oltre e addentrarsi in un reale
rapporto educativo pastorale. Ci si riconosce e ci si accoglie allora
come educatori ed educatori alla fede, si ricerca insieme la pro-
pria crescita umana e cristiana, ci si pone in una prospettiva voca-
zionale di scelta di vita e di assunzione di una missione comune.
Certo tra «professione>> e <<vocazione>> si danno differenze.
Questa coinvolge il senso della vita, e la dedizione completa di
nella logica della gratuità: l'intenzione infatti di chi opera (( per
vocazione )) non si ferma alla retribuzione o alle prestazioni dovu-
te, bensì si rivolge tutta a rispondere a Dio, servendo i giovani con
slancio interiore.
Tali vincoli vocazionali, riconosciuti come elementi di un pro-
getto superiore, si rivelano la forza unitiva più forte per la costru-
zione della comunità: occorre scoprirli e coltivarli. Sono basati sulla
comune chiamata a lavorare per i giovani, a spendersi per loro co-
me educatori.
I rapporti nuovi dovrebbero creare un sentimento più forte di
appartenenza. L'insieme della realtà educativo-pastorale non è uni-
camente un'organizzazione di lavoro; la partecipazione non è un
fatto tecnico come se fosse sola sssielizzavsne di un servizio. Tende
invece a essere comunità nel senso più radicale, come un gruppo
fondato su interessi vitali, a cui si aderisce per scelta del cuore.
Se non si promuove anche questa dimensione difficilmente si rag-
giungono i traguardi che l'organizzazione si pone.
Ma quali sono gli elementi che rafforzano l'appartenenza e che
uniscono più fortemente la comunità nell'azione?
In primo luogo c'è la chiarezza della missione e delle finalità.
Se i fini non sono evidenti si compromette fin dall'inizio il cam-
mino della comunità e la sua direzione di marcia nella progetta-
zione. Su molti elementi si può ammettere pluralità di vedute, ma
non certo sulla ragion d'essere della comunità.
Differisce non poco I'insegnare dall'educare, l'educare sempli-
cemente dall'evangelizzare educando. Ognuna di queste scelte può
essere legittima per un cristiano; ma una comunità ha bisogno as-
soluto di definire su quale piano intende collocarsi.
Le comunità che si propongono come orizzonte ultimo di te-
stimoniare e annunciare il Vangelo non possono confondere il sem-
124

13.7 Page 127

▲back to top
plice insegnamento, la promozione umana e neppure l'educazio-
,. .on la sua meta finale: sarebbe un compromettere la comuni-
cazione sin dall'inizio.
Senza dubbio le finalità non risultano chiare immediatamente
e d,improvviso. È necessario ritornare ad esse per approfondire
il significato, le implicanze e le conseguenze nuove' per chiarirle
in analisi successive ed evidenziarle.
Richiamare le finalità e interrogarsi su di esse è riprendere con-
tatto come comunità educativa con la propria ragion d'essere. Que-
sto crea coscienza comune, che determina il senso di appartenen-
za a un unico progetto e a una unica comunità.
La comunità rafforza per di più iI suo senso di appartenenza
attraverso la condivisione dei valori non per enunciato, ma per vis-
suto. Gli educatori pertanto dovranno interrogarsi sui valori che
scelgono e come li esprimono, su come li approfondiscono e in
che modo li condividono.
Al riguardo si può cadere in difetto su due versanti: il gruppo
non ha scoperto e tantomeno coltiva valori capaci di unire perso-
ne adulte ed esercitare attrattiva sui giovani, oppure non è riusci-
to a trovare espressioni comunitarie adeguate ed efficaci.
Su questo si può descrivere una tipologia delle comunità edu-
cative.
Esistono comunità che in quanto gruppo non esprimono nes-
sun valore, benché certi pregi siano legati al nome dell'istituzione
o anche molti educatori ne siano singoli portatori: le scelte di va-
lori comuni però non emergono. L'azione educativa appare qui
divisa in funzioni e azioni che non comunicano tra loro se non in
forma di coesisten zapacifica. La comunione tra le persone è osta-
colata sotto il peso dei propri ruoli e competenze.
Ci sono comunità composte da singoli individui che sono << re-
ligiosi )), ma il gruppo come tale non si esprime religiosamente, il
fatto religioso risulta assente nella prospettiva comunitaria.
Esistono però anche comunità che, come gruppo' cercano di
dar voce nella prassi sia ai valori professionali che all'amore per
i giovani, e mostrano interesse a proporre ai giovani l'ideale cri-
stiano della vita, l'apertura al mistero di Dio, la mutua condivi-
sione e solidarietà. Questo rappresenta la direzione di marcia, guar-
125

13.8 Page 128

▲back to top
dando la quale si cammina verso la meta, anche se magari si fan-
no soltanto piccoli passi.
E infine, per dare consistenza alla comunità, emerge l,esigenza
di maturare la propria identità educativa e pastorale.
La comunità educativa si presenta come portatrice di una propo_
sta peculiare e di una propria maniera di offrirla. Ner pluralismo di
progetti educativi della nostra società, chi si dedica all'educazione si
qualifica non perché erige un'istituzione in più, bensì perché risolve
in maniera originale le domande educative dei giovani.
Non tutto in verità può essere definito, previsto sin dall'ini-
zio. Anche se talune intese di fondo sono indispensabili già in par-
tenza, non mancheranno lungo il cammino verso la costituzione
di un proprio patrimonio di idee ed esperienze, sfide alla capacità
educativa e opportunità di crescita.
L'affrontare questo compito non persegue solo la finalità di
risolvere i problemi con soddisfazione comune, ma di mantenere
salda e di far crescere Ia comunità, raccordandola ai bisogni che
man mano vanno sorgendo e alle risorse interiori con cui la prov-
videnza la va arricchendo.
In simile situazione si potranno più facilmente trovare i punti
di convergenza su una prassi educativa a cui insieme ci si ispira.
così la comunità non viene guidata da un rigido regoramento di
azione e nemmeno procede ricercando momentanee convergenze
senza direzione, poggiando sul gioco del consenso; ma su finalità
e criteri di base condivisi, affronta assieme programmazioni e re-
visioni, difficoltà e riprese, tempi di crescita e di ranentamenti: com-
pie insomma un cammino guardando alla meta.
3. ISTANZE CHE RENDONO DINAMICA LA COMUNITÀ
Come si muove e come cresce una comunità educativo-pasto-
rale? Le forze interne che le infondono energia per crescere e ca-
pacità di movimento sono Ia partecipazione, l,animazione, la for-
mazione permanente.
Pensare alla partecipazione come a una forza di costruzione in-
terna, e non subirla semplicemente come necessità, vuor dire abi-
126

13.9 Page 129

▲back to top
titarsi a operare con Ie sue potenzialità e anche i suoi rischi. Rima-
ne comunque un elemento dinamizzante, perché provoca e costringe
la comunità a un ben determinato tipo di rapporto tra le persone,
a un cammino di coinvolgimento verso la propria definizione edu-
cativa, che si diversifica assai dal modo in cui le questioni vengo-
no risolte e definite solo da poche persone.
Partecipazione significa dover affrontare la diversità delle per-
sone e le divergenze delle vedute, e ciò non consente di stabilire
punti obbliganti di partetza o di marcia predefinita. Questo ob-
bliga a concepire la comunità educativa non come una struttura
fissa, come un evento di confronto e di crescita.
Proprio per questa convinzione si accetta volentieri da una parte
la collaborazione piena fra chi condivide la medesima scelta cri-
stiana e le finalità pastorali, ma d'altra parte si ricerca pure una
conveniente integrazione di coloro che a queste istanze sono me-
no sensibili, nel rispetto da parte di tutti delle mete da perseguire.
La partecipaziorre e il coinvolgimento dei giovani presentano
maggiori difficoltà rispetto a quelle degli adulti: le diverse esigen-
ze dell'età, l'equilibrio richiesto di fronte a problemi spesso non
semplici, il rischio di escluderli surrettiziamente o di conquistarli
paternalisticamente sono reali problemi.
La demassificazione, per cui la comunità giovanile viene artico-
lata in sezioni o gruppi secondo l'età e lapreparazione può essere
una prima risposta, poiché ciò rende più facile conoscersi, aiutarsi
concretamente gli uni con gli altri, capire gli obiettivi immediati che
si propongono, scoprire e approfondire gli stili della loro esperienza.
Sono poi da cercare spazi in cui i giovani possano gestire loro
stessi attività sportive, culturali, sociali e religiose.
Ma la partecipazione come criterio educativo si fa strada spes-
so anche in strutture rappresentative, in cui si impara ad affronta-
re politicamente le questioni in vista del bene complessivo.
Il grado basilare della partecipazione è senz'altro l'informazione,
che deve circolare regolarmente all'interno della comunità educa-
tiva. Chi viene escluso dalla necessaria informazione viene per ciò
stesso escluso dalla partecipazione. Ma si deve andare più in là:
cimentarsi nello studio in comune delle situazioni, elaborare crite-
ri e piani per promuovere la vita della comunità.
127

13.10 Page 130

▲back to top
Con simili itinerari si mette in moto un processo che tende spon-
taneamente a creare una visione comune sia riguardo ai valori uma-
ni di base, quanto ai valori e ideali più esplicitamente religiosi.
Il grado massimo della partecipazione è la comunione di fede
e di esperienza cristiana: una funzione peculiare assumono dun-
que coloro che condividono a fondo i valori evangelici. Non è cer-
to un compito di onore, bensì un impegno di servizio.
Ma la mobilizzazione di tutte le componenti delle comunità in
un cammino di continuità richiede un altro elemento: Ia presenza
di un gruppo animatore. Non si tratta di un vertice di comando,
ma di un centro propulsore.
C'è una parola chiave molto usata in questi ultimi anni: ani-
mare, che non si deve ridurre all'organizzare o dirigere.
L'animazione nel suo significato originale fa pensare anzitutto
all'attività interiore dell'anima come energia di vita, di crescita ar-
monica, di coesione articolata delle parti: attività che dall'interno
fa crescere la partecipazione di tutti i membri della vita del corpo.
Lo sviluppo di questo tema ci porterebbe lontano; lo riman-
diamo più avanti, nelle prossime riflessioni. Ora ci basta asserire
che la vita di una comunità educativa, e la sua possibilità di cam-
minare, unita secondo un progetto condiviso, dipende in massima
parte dal fatto che un gruppo di responsabili si assumano il com-
pito di animare tutta la comunità nella linea del progetto comune.
E al contempo la forza del gruppo animatore scaturisce inesora-
bilmente dalla sua esperienza comunitaria.
Infine, laterzaistanza che rende dinamica la comunità consi-
ste nell'impegno dei suoi membri di formarsi permanentemente.
Un tale compito comprende simultaneamente sia l'aggiornamen-
to professionale che l'approfondimento cristiano.
Il primo interessa come educatori e pastori. Le conoscenze e
abilità pastorali o pedagogiche deperiscono, come possono esau-
rirsi le capacità manuali e tecniche. I criteri educativi e pastorali
e i sistemi pedagogici, come la gioventÌr tra cui ci troviamo, cam-
biano, evolvono e si trasformano. Chi non si sottopone oggi a trai-
ning periodici di coraggiosa revisione, di una nuova informazio-
ne, di rivisitazione e rinnovamento, diventa presto superato, e so-
prattutto impari alle sue responsabilità sia personali che comuni.
128

14 Pages 131-140

▲back to top

14.1 Page 131

▲back to top
4. LA coMUNITÀ noucarrvA sr srruA
NEL SUO CONTBSTO
Ciò che agisce all'interno della comunità educativa pastorale
non basta però per mantenerla attiva e in crescita. Bisogna aggiun-
gervi ciò che la inserisce e qualifica nel proprio contesto: i legami
da mantenere con le realtà sociali e pastorali del territorio.
Un primo importante legame riguarda la Chiesa locale. Oggi
più che mai è indispensabile collegarsi con la pastorale della Chie-
sa locale, assumendone con convinzione i criteri, partecipando agli
organismi che la animano, curando i legami con le varie realtà edu-
cative in essa presenti.
È impensabile del resto che oggi, con i cocenti problemi che
presentano la gioventù e l'educazione, non si attuino, a livello di
chiesa particolare, un dialogo e uno scambio frequenti ed esplici-
ti. È assai poco concepibile che a simili contatti non prenda parte
attiva, con proposte e piani, chi ha compiti educativi e vive a tem-
po pieno tra i giovani.
Soltanto così, alle dichiarazioni di principio sulla missione edu-
cativa della Chiesa «esperta in umanità»> faranno seguito propo-
ste concrete per la crescita delle persone, in un mondo in cui i pro-
getti educativi si differenziano quando non si contrappongono. Im-
pegnandosi nel realizzare tali proposte le comunità educative ap-
pariranno e saranno realmente espressioni autentiche delle poten-
zialitàr educative della Chiesa.
Accanto al dialogo e allo scambio a livello di Chiesa, si può
proporre un'altra apertura: partecipare attivamente al dialogo edu-
cativo in corso in ogni società e collaborare con tutti coloro che
si battono per garantire «uguali>» opportunità ai diversi progetti
educativi.
Nella cultura odierna non hanno molte possibilità coloro che
si mettono sulla difensiva chiudendosi a riccio. I gruppi isolati pos-
sono persino contare su un alto numero di membri, ma ben altra
cosa è avere rilevanza culturale.
Peraltro, educare è aprire alla cultura passata e presente, ma
ancor di più a quella che si sta elaborando per il domani.
La partecipazone al dibattito culturale ed educativo diviene oggi
r29

14.2 Page 132

▲back to top
assolutamente necessaria, se si intende veramente educare. La si
attua all'interno delle associazioni professionali e collegandosi con
le varie agenzie educative.
Un cenno merita qui il tema, che sarà sviluppato più avanti,
della comunità educativa pastorale nel territorio. È un tema car-
dine e nuovo se consideriamo che la comunità può diventare oggi
un reale agente di trasformazione dell'ambiente. L'apertura al quar-
tiere dice attenzione alla gente che sta attorno a noi, ed esprime
la convinzione che una comunità educativa è un fattore rilevante
per lo sviluppo di una zona.
Essere presenti nel territorio comporta seguire la situazione gio-
vanile locale, mostrare sensibilità alle problematiche comuni, espri-
mere solidarietà con le persone che sono nella necessità, sostenere
tradizioni significative per la gente. È insomma un incarnarsi nel-
la cultura del posto per ricevere stimoli e offrire contributi di cre-
scita e di informazione.
Tutto cio una maggiore possibilità di influire sulle politiche
che regolano I'educazione.
5. LA MISSIONE DELLA COMUNITÀ
EDUCATIVA PASTORALE
A una comunità educativa pastorale non si chiede di ripiegarsi
su di sé, bensì di lavorare per i giovani. Le sono perciò affidati
alcuni compiti fondamentali da realizzare insieme.
Il primo è conoscere a fondo e seguire la condizione giovanile.
Premessa di ogni programmazione educativa pastorale sono la
sensibilità e l'attenzione alla condizione giovanile, letta nelle sue
attese educative ed evangeliche mediante una analisi della situa-
zione e il contatto diretto con i giovani.
Si tratta in verità di un atteggiamento che non si concede altat-
ticismo per conquistare alle nostre convinzioni, bensì che cerca sin-
ceramente di entrare in sintonia col mondo giovanile allo scopo
di percepire attese e problemi, domande e richieste.
Lo scollamento tra Chiesa e giovani viene denunciato un po'
ovunque. Non si riesce a prendere contatto se non con una parte
130

14.3 Page 133

▲back to top
minima dei giovani battezzati. Si stenta ad agganciare il Vangelo
con la mentalità del mondo giovanile circa la morale, I'autono-
mia personale, il senso della vita.
Diviene così evidente che una comunità educativa dovrebbe
essere per la Chiesa una specie di osservatorio della situazione
giovanile, luogo di confronto in vista dell'evangelizzazione di
questo continente umano spesso sconosciuto. Si parla della con-
dizione giovanile e non del singolo giovane. La conoscenza del sin-
golo richiede e comporta comprensione del gruppo e dell'ambien-
te dove il singolo vive, e della struttura sociale in cui sta crescen-
do. Non si può conoscere l'individuo senza approfondirne il con-
testo.
Per questo la condizione giovanile è oggi tema di attento stu-
dio e di continuo confronto. Quanto i sociologi rilevano e quanto
noi raccogliamo nelle nostre sensibilità, deve essere oggetto di scru-
polosa riflessione.
Non è un compito del tutto facile leggere e interpretare dalla
prospettiva dell'educatore. E tuttavia cio si rende inevitabile, se
proposte e metodi debbono essere adeguati e coerenti.
Pertanto la comunità si a scoprire e valorizzare le attese dei
giovani per promuovere la loro maturazione umana e cristiana,
evitando il rischio del livellamento: tiene in conto le loro esigenze
specifiche e la loro appartenenza al mondo dello studio, della fab-
brica, dell'impiego, della famiglia.
C'è dunque un primo compito a cui rivolgere lo sguardo e su
cui fare domande quando si verifica lo stato della comunità edu-
cativa: quanto conosciamo i giovani e quanto siamo vicini al loro
mondo? Cosa si aspettano da noi? Come si riferiscono a quella
concezione di vita che denominiamo «umana)) e «cristiana»? In
che ambiente, in che società si trovano? In quali processi sociali
e culturali sono coinvolti o forse travolti?
Il secondo compito è approfondire insieme il proprio patrimo-
nio pedagogico pastorale: è la ricerca di identità.
La comunità si inserisce in una tradizione pedagogica la cui sor-
gente si rifà spesso a movimenti educativi o all'umanesimo cristiano
di grandi figure nella storia ecclesiale. Se si vuole chiarezza di iden-
tità, non si possono rinnegare le proprie radici, anzi bisogna rian-
131

14.4 Page 134

▲back to top
dare alle fonti e rivisitare l'esperienza e i cammini alla luce del ca-
risma ispiratore.
Una figura di educatore tra le più eminenti è don Bosco.
Rifarsi a lui significa riscoprire la freschezza della missione gio-
vanile e la responsabilità del compito educativo.
Ammiriamo infatti in lui la capacità naturale di sintonizzare
con i giovani e di renderli amici; la squisita spiritualità educativa
che scaturiva dalla sua vocazione e che gli rendeva visibile l'azio-
ne di Dio nel cuore del giovane; la sua lunga e felice convivenza
con i giovani di ogni tipo e condizione, che lo rendeva sapiente
e saggio nell'educarli e nel portarli al Signore Gesù.
La pedagogia di don Bosco prende inizio non da una teoria,
ma dalla sua storia di educatore. Lascia alla sua morte una sapienza
educativa pastorale e una prassi pedagogica a vantaggio della Chiesa
e della comunita umana.
La cultura, la scienza, la prassi sono processi cumulativi i cui
traguardi vengono consegnati ai posteri. Così è anche la pedago-
gia, che è l'arte dell'educazione, e la pastorale, che è la pedagogia
della Chiesa. Sarebbe insipienza non accogliere e godere di tali ere-
dità.
ll terzo compito della comunità che intendiamo prendere in con-
siderazione è l'elaborazione del progetto educativo-pastorale. A
chi segue la letteratura pedagogica pastorale di questi anni, non
sfuggirà l'insistenza sul « progetto >>. La si awerte nel richiamo co-
stante della parola, ma soprattutto nell'impegno a prospettare o
elaborare progetti che siano seriamente fondati e si traducano in
prassi di comunità.
Forse oggi il termine <<progetto >> può suonare come uno slogan,
se non addirittura una moda. Anzi, può apparire anche per taluni
già logoro e molesto, specie se non si è colto a fondo quanto esso ri-
chiede. E tuttavia l'irruzione di una parola nell'uso comune è indice
di un cambiamento nel costume e nei sistemi di vita e di azione.
Il termine « progetto » ha sollecitato mutamenti in questi anni,
e spinge ancora oggi a rivedere metodologie e contenuti educativi
e pastorali. Programmi, interventi, incontri sono ormai conside-
rati aspetti parziali e strumentali rispetto all'insieme dell'azione
educativa e pastorale.
132

14.5 Page 135

▲back to top
Nel passato si dava per scontato che tutto si integrasse in un
quadro di riferimento comune. Ogni iniziativa era indirizzataver-
so mete e finalità considerate chiare e univoche. Era abbastanza
condiviso che cosa voleva dire «onesto cittadino>» o <<buon cri-
stiano ».
Da qualche tempo si insiste sul fatto che ogni istituzione edu-
cativa o pastorale abbia un suo progetto: si passa così dalle pro-
grammazioni al progetto, che diviene espressione del cammino com-
plessivo di una comunità educativa pastorale, anzi il suo schema
di riferimento, il suo quadro di convincimenti e orientamenti.
Quanto si è venuto esponendo può sembrare troppo ideale o
per lo meno irraggiungibile. Ma gli ideali sono come stelle, non
servono per abitarci, bensì per indicare un cammino. Così una certa
presentazione della comunità educativa serve da bussola per il cam-
mino da compiere nella giusta direzione.
Rimane vero che una comunità è internamente viva, perché par-
tecipa, è animata e cresce spiritualmente. Per essere tale deve fon-
darsi e maturare nei rapporti personali, nel senso di appartenenza
e nell'identità; deve collegarsi alla Chiesa locale, all'ambiente e alla
cultura del posto; deve fare memoria del proprio patrimonio pe-
dagogico di cui è portatrice. Con tutto ciò crea un progetto origi-
nale in risposta alle esigenze odierne e in particolare si impegna
ad attuarlo nella prassi quotidiana a beneficio della gioventù.
133

14.6 Page 136

▲back to top
Capitolo secondo
LA COMUNITA
EDUCATIVA PASTORALE
VALORIZZA
IL TERRITORIO
E IN ESSO SI EA PROPOSTA
La comunità educativa pastorale è chiamata a offrire risposte
adeguate a situazioni concrete: i giovani e gli educatori sono quei
giovani e quegli educatori; le esigenze, problemi e risorse si confi-
gurano in modo ben determinato.
Si puo rispondere a domande precise con proposte generiche
o vaghi interventi. La comunità educativa pastorale dunque può
svolgere un'azione adeguata ed efficace solo quando si misura se-
riamente con il tessuto umano in cui è collocata, ossia il territorio.
1. IL TERRITORIO HA IJN RIFERIMENTO CENTRALE:
L'UOMO
Il termine « territorio )) assume qui il significato ampio e gene-
rale di comunità umana, che presenta una sua particolare struttu-
ra e organizzazione della vita e dei rapporti.
Diverse realtà configurano il territorio e mettono in rilievo le
sue varie dimensioni. Ciascuna ha una sua importanza dal punto
di vista operativo.
Il territorio è spazio fisico-geografico, ossia terra abitata da un
popolo o da una comunità e il rapporto che questi hanno con esso
di possesso, migrazione, passaggio.
Su questo spazio fisico si compiono azioni che influiscono sul-
la totalità della vita. La sua configurazione riflette la vita e incide
su di essa: aiuta a creare un rapporto degli uomini tra di loro e
con l'habitat.
Lo spazio geografico offre condizioni che fanno acquisire par-
ticolari caratteristiche all'esistenza, alla cultura, alle istituzioni.
134

14.7 Page 137

▲back to top
Il territorio comprende l'ambiente: l'insieme di condizioni in cui
cresce e si sviluppa la vita individuale, sociale, culturale. Presenta
un equilibrio che è allo stesso tempo stabile e dinamico; viene mo-
dificato infatti nel processo di scambio che si verifica sia in modo
cosciente che in forma inconscia. In esso ciascuno è chiamato a
offrire un proprio contributo di crescita mentre usufruisce dell'in-
sieme che
Storia,
risulta dagli apporti di tutti.
costumi, tradizioni, cultura, subculture
costituiscono
il
tessuto primario dell'ambiente, in cui ciascuno si trova inserito.
È inclusa pure nella realtà del territorio la comunità umana na-
turale, che nel processo di socializzazione caratteristico della no-
stra epoca manifesta due tendenze: partecipare alla vita dell'inte-
ra umanità, superando la chiusura dei gruppi; e riportare le deci-
sioni e le responsabilità per sviluppare e organizzare la vita dentro
rag-Sgiru.ipépuanmoecnotsi ì
umani più ridotti,
punti di riferimento
ben
per
definiti e
la crescita
concreti'
della comunità
umana: famiglia, gruppo, insediamento spontaneo, quartiere, città.
In essi agisce come collettività un certo numero di persone, man-
tenendo un riferimento alla comunità più ampia: città, nazione,
continente. c'è ancora il tessuto di rapporti umani. Nel territorio
è determinato in maniera del tutto caratteristica rispetto ad altri
luoghi di incontro, come la fabbrica, la scuola, I'ufficio'
il fondamento dei rapporti non è I'impresa o il lavoro, ma la
vicinanza. Sul territorio sono attigui non soltanto gli individui, ma
principalmente le famiglie. Nel quartiere si incontrano le persone
ma piir ancora i gruppi, in un interscambio che salda identità per-
sonale ed esigenze di socialità.
L,organiziazione sociale e politica aggiunge un tratto diversi-
ficato aiterritorio. E dunque territorio non soltanto lo spazio fisi-
co, ma soprattutto il contesto risultante dalle leggi che regolano
i rapporti sociali e la gestione del potere.
Dàl punto di vista sociale e politico sono in essa rilevanti:
- le famiglie che costituiscono I'ambito fondamentale di svi-
- lup- po delle persone;
i gruppi naturali
e
spontanei,
fattori
importanti
di
socializ-
zazioni, che offrono un'ampia area per la sperimentazione di rap-
porti e di ruoli;
135

14.8 Page 138

▲back to top
- le istituzioni con fini speciali che servono per l,incontro e la
distensione, per la salute e i problemi sociali, per Ia cura dell,ordi-
ne pubblico, per l'educazione: attorno ad esse si costruisce la fi-
ducia della comunità e si rafforzano i legami tra le persone;
- le strutture del quartiere che rappresentano il punto di equi-
librio tra personale e pubblico attraverso cui è possibile il coinvol-
gimento reale di tutti i cittadini nella gestione della cosa pubblica,
l'individuazione dei bisogni, Ia programmazione e la valutazione
delle risposte.
Nella comunità sociale ci sono anche le circoscrizioni interme-
die di collegamento tra le comunità piccole (quartieri) e la più va-
sta unità della città, che permettono di rendere convergenti i ser-
vizi specializzati, come distretti scolastici, unità sanitarie locali, ser-
vizi di prevenzione e di cura delle situazioni di emarginazione e
di devianza e consentono più facilmente un pronto intervento nei
confronti delle persone e famiglie in difficoltà.
Viene inclusa nel territorio anche la cultura popolare, che tro-
va in esso il suo ambito primo di incontro e di circolazione, di in-
tegrazione e di elaborazione.
Per <<cultura» intendiamo qui la configurazione che prende la vi-
ta e le corrispettive forme di coscienza caratteristiche di un gruppo
umano in un dato momento storico e in un dato ambiente. «Cultura
popolare» poi viene considerata quella che esprime il popolo nella
sua vita, al di e prima di ogni sistemazione e orgarizzazione scien-
tifica. Il singolo è coinvolto e awolto da questa mentalità comune.
Ambiente e cultura sono per la persona fonte di dignità e di
identità: il patrimonio culturale offre i valori di base e la chiave
di comprensione della propria realtà. L'identità personale si capi-
sce sempre dentro l'orizzonte più ampio di un'identità culturale
per cui le offerte ambientali diventano fattori insostituibili di svi-
luppo della persona.
Dalla configurazione e descrizione del territorio emerge con chia-
rezzaun riferimento che diviene centrale e decisivo: I,uomo. Ver-
so di lui, nella sua duplice manifestazione di persona e comunità,
confluiscono tutti gli elementi.
E per la rinnovata consapevolezza della centralità della perso-
na umana che I'accezione attuale del territorio non si limita alla
136

14.9 Page 139

▲back to top
concezione burocratico-amministrativa o a quella puramente geo-
grafica.
Il territorio viene visto assai più come luogo di convivenza e
di interessi comuni, caratterizzato dalla collettività che vi abita,
portatrice di bisogni e ricca di potenzialità: spazio di partecipa-
zione in cui si un contenuto di valori al fatto organizzativo.
Il territorio consente a ciascuno di diventare responsabile di
quanto accade attorno a lui e di dare così il contributo all'evolver-
si della storia umana.
L'uomo, dunque, oltre ad essere centro della struttura del ter-
ritorio, è anche la fonte da cui scaturiscono i dinamismi sociali
e culturali che danno a un territorio la sua particolare fisionomia.
2. I DINAMISMI
Il territorio da semplice spazio ambientale e culturale cresce co-
me luogo di partecipazione e di protagonismo nella misura in cui
i diversi elementi che costituiscono il tessuto sociale interagiscono
positivamente tra di loro.
Li esaminiamo e ne consideriamo I'interazione.
Un primo elemento dinamico è I'iniziativa delle persone.
Essa si trova alla base di tutti i processi. E il perno del conti-
nuo snodarsi e riannodarsi di rapporti, incontri, esperienze. In-
torno ad essa si costituiscono forme di integrazione che denomi-
niamo comunità. Queste modellano la storia personale e il modo
di essere non meno di quanto la persona influisca sulla loro forma
e sulla loro storia secolare.
Con la sua volontà e capacità di iniziativa, la persona è la cellula
prima da cui promana ogni impulso di vita e di comunicazione. Oggi
ogni ambiente e contesto di vita obbliga ciascuno a operare delle
scelte tra le varie alternative possibili: il territorio è lo spazio dove la
persona è chiamata ad assumersi le proprie responsabilità per dare
all'ambiente e alla comunità una fisionomia e un volto umano.
Una seconda fonte di dinamismo sta nella partecipazione.
Essa è misura della vitalità delle aggregazioni sociali. Non la
si intende come semplice « far parte della vita sociale)), ma come
137

14.10 Page 140

▲back to top
un certo tipo di presenza in base alla quale la persona riesce a es-
sere e operare quale « soggetto » corresponsabile e codeterminan-
te delle decisioni collettive, che sempre pitr direttamente la coin-
volgono.
Una vera partecipazione ha luogo quando la persona può:
- conoscere il proprio ambiente, le strutture da cui provengo-
no le decisioni che la riguardano e i dinamismi che creano le con-
dizioni di vita che le coinvolgono;
- sentire il territorio come ambiente favorevole alla sua piena
realizzazione umana;
- fruire in modo adeguato dei valori materiali e culturali del
territorio;
- contribuire e determinare i valori dell'ambiente per il bene
personale e collettivo.
Un altro elemento dinamico è l'aggregazione spontanea.
Le iniziative dei singoli confluiscono nelle aggregazioni prima-
rie della vita sociale: i gruppi, le associazioni, le comunità.
Tra queste aggregazioni assumono particolare rilevanza ai fini
del dinamismo territoriale quelle:
- che fanno maturare i rapporti umani;
- che permettono più evidentemente l'iniziativa libera della
persona nella sua ricerca di partecipazione;
- che sanno cogliere le domande e le urgenze della comunità piir
vasta in cui vivono e, come risposta, promuovono interessi comuni.
Un'ulteriore variabile che ha peso nel territorio sono le istitu-
zioni.
Esse sono un sistema organizzato di procedure e di ruoli sociali,
sviluppato intorno a un valore o a una serie di valori, e un insieme di
meccanismi messi in atto per mantenerli, regolarli e trasmetterli.
Possono essere raggruppate in alcune importanti categorie:
me
- le
che
istituzioni
segnano il
familiari: l'insieme di atteggiamenti, ruoli e
comportamento affettivo e sessuale della
nor-
cop-
pia, la trasmissione della vita e i rapporti educativi nella matura-
zione e crescita dei giovani;
- le istituzioni culturali: concernono l'elaborazione e la tra-
smissione del sapere e dei beni culturali; vi rientrano le organizza-
zioni scientifiche, artistiche, filosofiche, educative, ricreative;
r38

15 Pages 141-150

▲back to top

15.1 Page 141

▲back to top
- le istituzioni economiche: provvedono alla produzione e di-
stribuzione dei beni e dei servizi;
le istituzioni politiche: riguardano l'esercizio del potere e dei
- ra-pporti di una data società
le istituzioni religiose:
con altre;
si offrono
come
luogo
di
sostegno,
- dialogo e condivisione per tutto quello che riguarda la fede e le
sue espressioni.
Lelstituzioni esercitano una funzione di promozione o di resi-
stenza: interagiscono con persone e aggregazioni spontanee, sele-
zionando, incanalando e stimolando iniziative e richieste, ma alle
volte anche frenando, escludendo e discriminando'
Un'attenzione critica, umana, educativa e pastorale è indispen-
sabile, affinché divengano luogo di espressione della persona an-
ziché fonte di intralci e condizionamenti.
una istanza di particolare dinamismo spetta alla comunicazio-
ne sociale.
L'uomo di oggi non può ignorare ciò che avviene non solo in-
torno a lui, ma ovunque. Avvenimenti culturali e sportivi, grandi
catastrofi, conflitti sociali e guerre, personaggi del bene e del ma-
le entrano nella sua fantasia e in qualche modo lo coinvolgono.
Nel territorio inoltre si emettono e circolano messaggi attraverso
eventi, gesti e parole. In questo coinvolgimento di tutte le persone
e di tutta la realtà nel fatto comunicativo, si possono sottolineare
alcuni vantaggi e rischi compresenti'
La comunicazione permette l'informazione tempestiva della po-
polazione, che si apre ai problemi del territorio, della città, della
nazione e del mondo. Cio però comporta simultaneamente il ri-
schio di manipolazione ideologica da parte di chi gestisce le reti
dell'informazione.
I messaggi collettivi concorrono in forma determinante a pla-
smare valuiazioni, immagini, criteri largamente condivisi e fanno
crescere la partecipazione delle persone; ma talvolta possono por-
tare alla massificazione e al livellamento culturale'
I messaggi che dall'esterno entrano nella struttura unitaria delle
forme di vita di un territorio possono cambiare in meglio i modi
di pensare e di agire; ma possono anche alterare in maniera anor-
male e violenta le radici e la convivenza di un territorio'
139

15.2 Page 142

▲back to top
In questo quadro di potenzialità e pericoli, il territorio puo di-
venire lo spazio dove la massa dei messaggi è ricondotta alle reali
dimensioni e ai reali bisogni delle persone, tramite un servizio di
informazione che sia:
- critico, cioè favorisca il discernimento delle proposte che ser-
vono alla crescita dei singoli e delle comunità;
- operativo, ovvero impegni a collaborare perché il vero, il bel_
Io e il giusto, ovunque sia e da chiunque proposto, possa maturare.
L'ultimo elemento dinamico si riferisce alla trasmissione cul-
turale.
C'è un complesso di oggetti, costumi, usi popolari, feste, cele_
brazioni, idee, conoscenze, abitudini, valori e atteggiamenti che
ogni generazione di una società trasmette alla successiva. euesta
trasmissione, oltre a comportare un'immensa economia in quan-
to non c'è più bisogno di riscoprire quanto è stato acquisito dalle
generazioni precedenti, è anche sorgente ineliminabile di identità.
ci sono alcuni processi fondamentali di apprendimento di quan-
to forma il patrimonio del proprio gruppo: l'inculturazione, la so-
cializzazione e l'educazione.
L'inculturazione è il processo mediante cui si acquisisce e si in-
teriorizza il corredo culturale necessario al normale inserimento
nella società.
Lasocializzazione è il processo mediante cui le persone vengo-
no immesse in gruppi e rapporti sempre più vasti: famiglia, scuo-
la, associazioni, comunità cittadine e nazionali.
L'educazione è il processo mediante cui re persone cercano in
modo cosciente e con un progetto intenzionale di sviluppare tutte
le loro potenzialità e vengono sostenute neila realizzazione dile-
gittimi obiettivi personali e comunitari.
Questi tre processi, nel Ioro insieme, costituiscono la corrente
viva e dinamica attraverso cui viene consegnata e rielaborata la
tradizione. Nell'attuale riscoperta del territorio, essa giuoca un ruo-
lo di primo piano quale antidoto alla frantumazione culturale e
sociale, configurandosi come:
- uno spazio umano per vivere: il senso di apparten enza a una
famiglia e a un ambiente sociale conferisce alPesistenza un modo
140

15.3 Page 143

▲back to top
di pensare e di agire che è la sostanza della memoria collettiva pro-
pria del vivere sociale;
- un ancoraggio
pensare e attraverso
per l'identità: crea
un codice di valori,
continuità per il modo di
premunisce contro il caos
nei processi di cambiamento;
di
p-udneacsispoinotarievnetrasomeilnftuotuvreor:soil
legame con
l'avvenire.
le
radici
è
sorgente
3. VALORI EMERGENTI
DALL'ATTENZIONE AL TERRITORIO
Il pensare in termini di comunità-territorio modifica le prospet-
tive dell'agire umano, mettendo in risalto determinati valorie cer-
ti punti di riferimento.
Ne sottolineiamo alcuni.
L'affermazione della persona come fine delle strutture
Parlare di territorio come spazio dove la persona e chiamata
ad assumere le proprie responsabilità, significa impegnarsi perché
esistano nel concreto le condizioni oggettive per un'effettiva par-
tecipazione.
Cio richiede attenzione, coraggio, costanza di mettersi sem-
pre nell'ottica della persona; il che suppone una grande passio-
n. p.t l'uomo, una disponibilità continua alla modifica delle
strutture, qualora i bisogni delle persone siano mutati, una pos-
sibilità reale di scelta libera dei servizi sociali, sempre a <<misu-
ra dell'uomo>> che ha bisogno; e, infine, una costante attenzione
a come viene gestito il potere nel territorio, pronti a intervenire
ogni volta che i diritti delle persone e la loro dignità non siano ri-
spettati.
ll valore della conoscenza obiettiva della realtà
Il procedere soltanto in base a spinte soggettive di generosità,
senza raccogliere i dati della realtà che si vuole correggere e supe-
t4t

15.4 Page 144

▲back to top
rare, ha rivelato già nella prassi i suoi limiti: soddisfa la persona
che opera, ma non trasforma Ie situazioni.
L'attenzione alle persone richiede la conoscenza d,ei bisogni e
l'individuazione delle cause che vi stanno alla radice. Il territorio
denuncia la distorsione di quegli interventi che si fanno fuori o
al di sopra delle situazioni. In questo senso richiama costantemente
a guardare, capire e interpretare la realtà secondo i dati che essa
offre.
La conoscenza deve essere dunque oggettiva, perché gli inter-
venti si possano adeguare realmente alle persone in situazioni di
bisogno; deve essere anche dinamica, perché Ia vita cambia conti-
nuamente.
Per raggiungerla ci sono due vie complementari, l'esperienzia-
le e la sistematica.
La prima si sviluppa allargando maggiormente tra re persone
la coscienza dei diritti e aiutando a esprimere i bisogni; imparan-
do a convivere per sentirsi dentro i problemi; riflettendo suli,espe-
rienza perché essa non resti materiale muto e insignificante; e infi-
ne stabilendo il dialogo non soltanto con le singole persone, ma
con i gruppi e Ie categorie.
Mentre la seconda, la conoscenza scientifica sistematica, è og-
gi facilitata nel suo sviluppo dai sistemi di rilevamento e dalla co-
municazione tra le istituzioni: si puo usufruire delle banche-dati
elaborati in sedi civili, come anche giovarsi di semplici strumenti
propri.
La mentalità di promozione umana
L'istanza è applicabile sia nell,ambito umano che in quello spe_
cificamente religioso. L'attenzione al territorio s'inquadra in una
visione culturale che intende spostare gli interventi dai servizi ri-
paratori e di conservazione a quelli di promozione e preventivi,
dalla cura alla crescita.
L'intento di mobilitare forze più per lo sviluppo che per il con-
tenimento spinge a radunare Ia gente e a interpellarla; a reperire
e valorizzare le energie, le competenze, Ie disponibilità presenti nel
territorio; a raggiungere le mete possibili e in modo coinvolgente.
142

15.5 Page 145

▲back to top
Emerge così una richiesta di educazione di tutta la comunità
civile (genitori, adulti, giovani) che costituisce una reale sfida.
La sensibilità verso l'ambiente
Essa porta a valutare ogni elemento nell'insieme e i suoi effetti
sulte perione. In un,ottica di promozione e prevenzione acquista
valorè una serie di fattori che fanno parte essenziale dello svilup-
po umano: l'atmosfera non inquinata, gli spazi verdi, gli impianti
sportivi e di distensione per tutti.
oggi numerose forze sociali (i movimenti ecologici, di salva-
g.rurdiu dell'ambiente, per la pace, per la qualità della vita) pre-
itano molta attenzione all'habitat. E a ragione, perché questo mo-
della comportamenti, atteggiamenti e rapporti'
Altrettanta sollecitudine va spesa perché il giovane sia libero
da ogni forma di inquinamento morale, difeso da persuasori ma-
nifesti e occulti.
L'ambiente, che è un dono per tutti, diviene veramente umano
se ognuno può percepirlo come un fattore di crescita e non, come
emerge oggi, quale problema assillante.
esige un cambio di mentalità, una conversione di atteggia-
menti e di pratica di vita che portino tutti, ma particolarmente la
comunità cristiana, a sentire la risonanza collettiva di ogni elemento
e a condividere piùr largamente i beni ambientali di cui si dispone.
4. COME LA COMUNITÀ SI FA PROPOSTA
NEL TERRITORIO
sulla scorta delle precedenti considerazioni emergono indica-
zioni per l'intervento della comunità nel tessuto territoriale.
Una prima linea di marcia consiste nel fare della comunità edu-
cativa pastorale una presenza « significativa » nel quartiere.
Sotio questo profilo la comunità educativa pastorale può esse-
re anzitutto un ((punto di aggregazione»>.
La comunità coinvolge nel suo compito educativo-pastorale
le forze sociali esistenti sul territorio e nella chiesa locale, e ten-
t43

15.6 Page 146

▲back to top
de essa stessa a integrarsi nella reartà umana e cristiana in cui
vive.
Mantiene con queste forze un dialogo e un confronto arricchen-
te, partecipa alla form azione e promozione umana e cristiana dei
giovani, collaborando con gli organismi che ravorano per Ie stesse
finalità.
Perché questa capacità di coinvolgimento e collaborazione si
renda visibile, Ia comunità deve diventare sempre più un centro
di accoglienza e convocazionedel maggior numero possibile di per-
sone: di giovani attirati da una presenza e una proposta, di educa-
tori e collaboratori che si impegnino nell'azione educativa, di ge-
nitori in quanto primi e principali responsabili della crescita dei
giovani, di simpatizzanti che hanno fatto una scelta di ispirazione
cristiana; di persone interessate agli aspetti umani e religiosi del
territorio disposti a sostenere ogni opera di bene.
E necessario poi che si pensi e operi come centro di comunione
e partecipazione, per cui Ia comunità educativa si costruisce come
una spirale in cui il nucleo centrale allarga sensibilità e correspon-
sabilità verso Ia periferia.
concretamente questo comporta un coinvolgimento, a diversi
livelli e con compiti diversi, della comunità che anima dal punto
di vista evangelico e operativo; dei numerosi laici che potianno
essere corresponsabilizzati nella definizione del progetto, e nelle
attività; di coloro che aderiscono ai varori promozionali dell,uo-
mo e agli orientamenti educativi fondamentali del progetto; di chi
nel territorio è capace di sostenere un progetto con la ioro profes-
sionalità e simpatia.
La comunità educativa pastorale deve essere impostata poi co-
me un vero centro di irradiazione.
La comunità educativa non è circoscritta da mura, ma si di-
rama nel
traverso i
territorio. Le
suoi membri
diventerà connaturale essere presente at-
nei momenti consultivi, deliberanti, ese-
cutivi dell'organizzazione sociale. La sua competenza educati-
va e pastorale la sollecita a essere utile alla gioventù del terri-
torio.
Per questo è stimolata a organizzare alcune delle sue compo-
nenti per influire sul territorio, come l'associazione dei genitori o
144

15.7 Page 147

▲back to top
il movimento dei giovani, collegandoli ad altre realtà che perse-
guono i medesimi obiettivi.
Farà del territorio il campo di impegno dei gruppi giovanili.
Nel pluralismo di gruppi educativi ed ecclesiali, con accentuazioni
e finalità diverse, si propone con determinazione di:
- curare la dimensione ecclesiale: far sì che i gruppi si senta-
no gradualmente partecipi di una vasta comunità ecclesiale, indi-
viduando anche forme di partecipazione ai vari organismi eccle-
siali con specifico riferimento giovanile;
- maturare in ciascun gruppo una sensibilità di servizio, pro-
ponendo forme concrete di animazione dell'ambiente e di inter-
vento sociale;
- abilitare i gruppi a una capacità di analisi obiettiva e strut-
turale delle situazioni e a un arricchimento costante dei quadri di
riferimento perché siano in grado di interpretare con intelligenza
ed efficacia;
- favorire confronti su problemi e situazioni tra i gruppi ope-
ranti nello stesso ambiente.
La comunità cerca inoltre di aprire nuovi spazi alla collabora-
zione, che si presenta oggi con possibilità molteplici e si organizza
attorno a situazioni e valori inediti.
In particolare è sotto gli occhi di tutti una crescente sensibilità
sul tema del volontariato a livello di scelte singole e di gruppo. Es-
so esprime valori attuali, quali la solidarietà, la gratuità, lo spirito
di servizio, l'impegno di liberazione.
Nel territorio vengono offerti a tale proposito spazi opera-
tivi: sono le strutture pubbliche di servizio, nelle quali bisogna da-
re un proprio contributo di umanizzazi6lls, le strutture private << ec-
clesiali >> perché siano un annuncio del Vangelo nella testimonian-
za di vita, il servizio << in proprio »», anche come momenti « antici-
patori » di impegno nelle aree di povertà e di emarginazione tra-
scurate.
Infine la comunità educativa pastorale sorregge e incoraggia i
cristiani impegnati nel territorio.
Ci sono membri che rivestono responsabilità negli enti locali,
a livello politico, amministrativo, tecnico, dirigenziale: hanno bi-
sogno del sostegno della comunità.
t4s

15.8 Page 148

▲back to top
È chiara I'esigenza da parte loro di affrontare con competen-
za, solerzia e onestà le responsabilità, resistendo alle tentazioni di
servirsi delle nuove funzioni per costruire o rafforzare centri di po-
tere o interessi personali.
Ma la comunità deve sentire il dovere di incoraggiarli nella lo-
ro impresa perché conservino il senso dei problemi concreti delle
persone, portino nel cuore del civile la preferenza dei piir poveri
e sappiano tradurre in scelte politiche i valori in cui credono.
Una seconda direttiva di cammino sta nell'infondere un ampio
respiro culturale al progetto educativo pastorale.
L'educazione giovanile e popolare è un'area specifica del pro-
getto, ma anche una modalità che informa tutti gli aspetti, non
esclusa l'evangel\\zzaziong, che del progetto costituisce il cuore.
Come comunità educativa ci rivolgiamo ai giovani per renderli
idonei a occupare con dignità il loro posto nella società e nella Chie-
sa e a prendere coscienza del loro ruolo in vista della trasforma-
zione cristiana della vita sociale.
Da ciò conseguono tre indicazioni di rilievo.
4.1. Educazione «propositiva»
Territorio, attese giovanili e progetto richiedono una comuni-
in atteggiamento di vigilante valutazione, produzione e diffu-
sione di cultura entro i propri compiti e possibilità.
Questo comporta:
- sforzo creativo di programmazione e di proposta alla luce
della situazione del territorio;
- assunzione, come obiettivo del processo formativo dei gio-
vani, dell'elaborazione di una « visione cristiana » dei problemi del-
l'uomo;
- attenzione a stimolare e accompagnare nei giovani un pro-
cesso che abiliti avalutazioni critiche e a capacità di dialogo della
cultura corrente;
- formazione di giovani capaci di porsi di fronte a se stessi,
agli altri e alla società, muniti di patrimonio ideale (valori e signi-
ficati), di atteggiamento dinamico critico di fronte agli eventi, di
capacità di scelte motivate e di servizio;
146

15.9 Page 149

▲back to top
- impegno a far maturare coscienze personali che sappiano fa-
re « obiezioni di coscienza>> contro leggi e comportamenti ingiusti
o dannosi, come una espressione delle proprie convinzioni etico-
politiche e come servizio necessario al bene comune;
- sensibilità per motivare, creare e vivere una cultura di pace,
educando alla non violenza, elaborando una pedagogia della pa-
ce, mostrando che il << discorso della montagna » è capace di inci-
dere sulla realtà storica;
- presentazione di un tipo di cristianesimo aperto al ricono-
scimento dell'autonomia del profano, poco incline alle esperienze
religiose di estraniazione dalla storia;
- capacità di promuovere rapporti diretti con l'esperienza com-
plessiva della società civile, politica e religiosa, favorendo un'a-
nalisi vitale e arricchente dell'attualità;
- sforzo di sostenere la famiglia nel suo compito di mediazio-
ne culturale, di espandere la dimensione educativa nel quartiere
attraverso attività di coscientizzazione;
- condivisione di iniziative culturali e promozionali comuni,
e partecipazione nelle sedi che le diverse legislazioni rendono ac-
cessibili.
4.2. Ev angelizzazione « popolare »»
Il contributo principale di una presenza pastorale alla vita del
territorio consiste nell'offrire tempi, spazi e temi di interrogazio-
ne e di invocazione che rispondano alla domanda religiosa e ren-
dano plausibile una risposta di fede: costituirsi secondo la propria
natura in centro di riferimento per il dialogo religioso e partico-
larmente per l'annuncio del Vangelo.
Il riferimento al territorio porta a sottolineare alcune attenzioni.
Bisogna evangelizzare i « problemi dell'uomo )) attraverso la pa-
rola e l'intervento. La comunità educativa deve mettersi in sinto-
nia con il mondo in cui essa vive e cercare all'interno di questa
situazione il punto di inserzione e di incontro per annunciare la
parola di Dio.
Chi resta al di fuori dell'esistenza concreta dell'uomo non
puo evangelizzarlo; potrà, forse, farne un erudito delle verità
147

15.10 Page 150

▲back to top
rivelate, ma non riuscirà a fare la strada insieme con lui verso il
Signore.
C'è allora da individuare le aree o settori in cui si articola I'u-
niverso giovanile di un territorio e le carenze piir vistose che crea-
no maggiore emarginazione e frustazione; da esplicitare i proble-
mi che la crescita umana e della fede incontra nel contesto dell'in-
tera comunità; da ripensare e riesprimere il Vangelo affinché sia
per tutti un annuncio concreto di gioia, di speranza e di esistenza
nuova nelle situazioni in cui si vive.
Un'altra attenzione consiste nelvalorizzare, sostenere ed evan-
gelizzare la religiosità popolare.
Questa si presenta come fede e come tradizione del popolo. Alle
volte è percezione confusa dei grandi interrogativi dell'esistenza
e delle grandi speranze seminate da Dio nel cuore dell'umanità;
alle volte si tratta di pietà popolare con l'intuizione semplice del
mistero di Dio e della vita umana.
È sempre una realtà da evangelizzare e al contempo evangeliz-
zante per i suoi contenuti (cf Documenti di Puebla, nn. 450,454).
ln essa ci sono valori religiosi e culturali che costruiscono la co-
munità umana del territorio mediante convinzioni condivise e mo-
menti di intensa espressione.
Ne ricordiamo alcuni: Ia festa, espressione di una speranza e
di una presenza che avvolge la comunità; l'incontro, visto quale
superamento delle discriminazioni; la solidarietà spontanea nel do-
lore e nella gioia che fa superare I'individualismo; e infine le tra-
dizioni di gesti, parole, luoghi, convinzioni, che identificano con
un senso dell'esistenza radicato nella trascendenza.
La religiosità popolare però, particolarmente nei suoi livelli più
spontanei, ha bisogno di un'opera di educazione evangelica (EN
48; Puebla 456-457).
Le linee di questa educazione impegnano a far emergere le sue
dimensioni interiori e i suoi valori innegabili; a purificare da ele-
menti devianti, da deformazioni, da manifestazioni culturali vuo-
te di fede (cf EN 48); e a orientare verso maggiore profondità, po-
nendo Cristo e il suo mistero di redenzione e di mediazione al cen-
tro della vita e del culto (cf EN 27).
<<Ben orientata, questa religiosità popolare può essere sempre
148

16 Pages 151-160

▲back to top

16.1 Page 151

▲back to top
più, per le nostre masse popolari, un vero incontro con Dio in Ge-
Cristo» (EN 48).
4.3. Comunicazione << efficace»
Cultura ed evangelizzazione si fondono nella «comunicazione>>
che, con parole o senza di esse, informa l'ambiente.
Nel territorio lo stile di presenza e i fatti hanno una risonanza
collettiva. Sono importanti non solo i risultati materiali degli in-
terventi, ma la capacità di questi di diventare modelli di riferimento,
segni di determinati valori, messaggi che costruiscono opinione.
I fatti e il loro significato circolano e diventano comuni e condivi-
si attraverso la comunicazione sociale. Con essa si può mobilitare
un alto potenziale umano di influenza diffondendo idee, liberan-
do energie di bene, facendo convergere numerose forze a servizio
della civiltà dell'amore.
Non ci si riferisce qui in primo luogo all'uso dei grandi stru-
menti della comunicazione di massa, e nemmeno all'intervento dei
pochi addetti ai lavori, bensì alla capacità della comunità di co-
municare con l'ambiente attraverso una presenza che sprigioni mes-
saggi e un linguaggio che faccia presa sulla mentalità corrente del
territorio.
Le possibilità di una tale comunicazione sono legate a diversi
fattori. Anzitutto lo stile di vita della comunità educativa emette
<< messaggi » di vicinanza e solidarietà con il suo atteggiamento di
disponibilità, presenza e dialogo; oppure proietta un <<vangelo>»
disinteressato ai problemi dell'uomo con I'estraneità alla realtà ter-
ritoriale.
Poi l'immagine dell'istituzione educativo-pastorale può esau-
rire la sua vita e il suo interesse al suo interno, o dimostrare un
impegno di promozione umana a favore dei giovani e del popolo;
può rivolgere le sue preoccupazioni prevalenti all'organizzazione
o all'educazione per rispondere alle nuove sfide.
Inoltre la rete di rapporti emette segnali positivi o negativi a
seconda che pesino su di essi gli aspetti burocratici a scapito delle
relazioni interpersonali, che il centro di interesse si sposti dalla per-
sona e dalla comunità verso la struttura, che ci sia sufficiente inte-
149

16.2 Page 152

▲back to top
razione giovani-adulti e che entrambi vengano coinvolti o meno
nel fatto educativo.
Ci sono poi i messaggi da far sentire. Devono cercare, sceglie-
re accuratamente e formulare quello che « affina l'uomo ed espli-
cita le sue molteplici capacità di far uso dei beni, di far progetti,
di formare costumi, di praticare la religione, di esprimersi, di svi-
luppare scienze ed arti; in una parola di dare valore all'esistenza >>
(CEI, «La Chiesa italiana e le prospettive del paese»).
II linguaggio dei simboli, segni ed eventi deve essere immedia-
tamente espressivo e toccante; il linguaggio totale della comunica-
zione deve entrare nell'azione pastorale (incontri, dibattiti, rap-
presentazioni, musica, canto, festa).
Anche la capacità di confronto permette di saper valutare e sti-
molare a valutare i messaggi emessi da altre centrali, con volontà
di approfittarne o di collaborare al loro sviluppo. Per cui occorre
ricercare il miglior ttilizzo di strutture e di momenti di cui la co-
munità dispone per una diffusione dei propri messaggi educativi
e religiosi (sala di cultura, notiziari, adunanze, riviste). Del resto,
bisogna promuovere i collegamenti con tutte le agenae che si muo-
vono nello stesso impegno di educazione e promozione cristiana
della società: molti << messaggi » nel territorio sono collegati ad agen-
zie, giornali, settimanali, radio, TV, che operano a raggio ampio.
E infine non si deve sottovalutare l'appoggio da dare ai cristia-
ni o uomini di buona volontà che operano nella comunicazione
sociale nel sostegno al codice etico che regola la loro professione:
rispetto per la verità, attitudini di mediazione tra eventi e pubbli-
co, impegno educativo e culturale.
Le forme di comunicazione e di linguaggio esercitano un peso
decisivo nella vita sociale e nel costume. Non è un compito solo
di specialisti ma di tutta la comunità fare un progetto organico
di pastorale della cultura.
I due grandi aspetti dell'evangelizzazione e dell'educazione ri-
chiamano questo terzo, la comunicazione.
150

16.3 Page 153

▲back to top
Capitolo terzo
LA COMUNITA OPERA
SECONDO UN PROGETTO
EDUCATIVO PASTORALE
I termini progetto e progettazione non entrano nel linguaggio
pedagogico se non in tempi relativamente recenti, sebbene una certa
organizzazione degli obiettivi, metodi e contenuti, comunque chia-
mata, fosse sempre nelle prospettive di ogni educatore cosciente.
Ciò sembra dovuto, più che a ragioni particolari, a uno svilup-
po globale dell'educazione, in cui emerge con chiarezzal'esigenza
di un collegamento organico dei vari elementi nel complesso pro-
cesso di crescita della personalità.
Recente è anche il suo uso nella pastorale. L'inserimento tar-
divo è dovuto a una mentalità teologica che fatica a esprimere un
rapporto operativamente traducibile tra dono di Dio e intervento
dell'uomo.
Infatti una certa riflessione pastorale avversa l'organizzazione
di un intervento umano nel dominio della fede, perché questa sa-
rebbe puro dono non inquadrabile in categorie che esprimono pro-
gettualità umane. Per una diversa ragione, ma con la medesima
conclusione, un'altra tendenza della riflessione pastorale fa coin-
cidere la crescita della fede esattamente con l'azione educativa, va-
nificando così la singolarità e peculiarità di un progetto pastorale.
L'irruzione del criterio di progettazione sia nell'area pedago-
gica che pastorale è indice di cambiamenti strutturali e funzionali
nella loro concezione. È variato il rapporto di queste discipline tra
di loro e con la realtà cui si riferiscono: sono stati ridefiniti i fini
specifici e le relative vie per raggiungerli. Questo sviluppo della
scienza e tecnica ha dato origine alla progettazione.
Inoltre la spinta alla progettazione è connessa oggi con la glo-
balità dell'esistenzavmana. Non poche delle sue manifestazioni,
sia individuali che sociali, sono espresse in termini di progettuali-
t5l

16.4 Page 154

▲back to top
tà: si parla infatti di «progetto personale di vita»>, di «progetto
di società», di «progetto culturale».
La categoria della progettualità nasce da una nuova compren-
sione di che I'uomo ha raggiunto e da una sua maniera tipica
di affrontare Ia propria esistenza. Il senso e il fine dell'esistenza,
pur <<data» nella sua realtà radicale, sono costruiti attraverso un'or-
ganizzazione coscientemente frnalizzata di mete e itinerari.
Travisa il significato di progettazione chi la contrappone alle
spinte creative insite nelle categorie di <<grazia>>, <<vita>», «spiri-
to» o <<mistero», come se si trattasse di una pretesa meccanica
di rinchiuderle o dominarle.
La progettazione appare assai meglio come I'assunzione con-
sapevole e seria della propria libertà ed energia, orientate verso
orizzonti ispirati dalla vita e dalla grazia.
1. LA CONFIGURAZIONE DI UN PROGETTO
1.1. II significato di progetto
Giova paragonare il significato del progetto con quello di altre
voci usate nell'ambito educativo con intenzioni normative.
Nei confronti della << scienza pedagogica », il progetto presenta
soprattutto il riferimento a una situazione particolare di immedia-
tezza al concreto, di incontro libero col reale conosciuto.
Un progetto non è un trattato sull'educazione, uno studio sulla
gioventù e neppure un'esposizione sistematica sul ruolo dell'educa-
tore. È piuttosto una maniera singolare di combinare, in termini ope-
rativi rispondenti a una particolare situazione, elementi forniti dalle
scienze umane, con osservarioni e riflessioni personali. Tra il progetto
e i risultati della scienza pedagogica v'è la stessa differenza che passa
fra un trattato d'ingegneria e il disegno di un edificio, collocato su di
un terreno particolare e adeguato alle esigenze degli utenti.
Si tratta, dunque, di un'operazione sapienziale, pur debitamente
sorretta dalla scienza e dalla tecnica.
Il progetto comporta un'intenzione operativa: e in questo si dif-
ferenzia da uno studio. Chi lo elabora intende applicarlo, e perciò
152

16.5 Page 155

▲back to top
lo elabora in termini applicabili. Procede per obiettivi raggiungi-
bili e verificabili, e non solo per ideali o principi, sebbene questi
si pongano nel loro orizzonte. Non si ferma a una spiegazione della
realtà, ma esprime un proposito di intervento per modificarla. La
finalità è I'azione. Le idee con cui si sostanzia tendono a chiarire
le fasi di un'azione efficace verso il raggiungimento dei fini. Il ter-
reno per I'elaborazione del progetto, dunque, è la prassi.
La tendenza idealista che riduce a elementi secondari le espe-
rienze, gli itinerari e le forme di comunicazione, basandosi sul di-
scutibile presupposto che un valore spiegato ha in tutte le con-
dizioni per essere comunicato e realizzato, va assolutamente supe-
rata.
Un secondo confronto c'è da considerare. Nell'area educativo-
scolastica si è stati sovente sollecitati a fare e a rivedere program-
mi e programmazioni. Ciò valeva anche nell'ambito pastorale, spe-
cie nella catechesi. Si era preoccupati delle mete da raggiungere
nell'insegnamento e della relativa pianificazione di contenuti, te-
nendo conto dei corrispettivi metodi.
L'insistenza sui programmi dava per scontato un quadro di va-
lori e di fini così evidente che non aveva nemmeno bisogno di es-
sere enunciato. Era abbastanza condiviso che cosa volesse dire << un
uomo onesto)), «un buon cittadino>» e, per i credenti, <<un vero
cristiano ».
Gli obiettivi dell'educazione sembravano naturalmente e indis-
solubilmente connessi con gli obiettivi didattici..Non si sospettava
ancora che cultura, insegnamento e società potessero nascondere,
spesso inconsapevolmente, concezioni globali diverse dalle inten-
zioni dichiarate.
Da alcuni anni si insiste di passare dalle programmazioni ai pro-
getti. Le prime contengono indicazioni orgarizzative e strumenta-
li, e obiettivi settoriali. I secondi richiedono esplicitazioni dei fini
e della concezione globale. Si tratta di esplicitare la totalità di un'im-
magine dell'uomo e del suo destino, raccogliendo i frammenti in
una visione unitaria e organica.
In questo senso viene inteso il progetto sia nei documenti civili
che della Chiesa. I documenti ecclesiali asseriscono ripetutamen-
te, come nel caso del progetto educativo della scuola cattolica, che
153

16.6 Page 156

▲back to top
questo «rivela e promuove il senso nuovo dell'esistenza e la tra-
sforma abilitando l'uomo a... pensare, volere e agire secondo il
Vangelo>>, e che «è proprio nel riferimento esplicito e condiviso
da tutti i membri della comunità scolastica, sia pure in grado di-
verso, alla visione cristiana, che la scuola è "cattolica", poiché
i principi evangelici diventano in essa norme educative, motiva-
zioni interiori e insieme mete finali » (Sacra Congregazione per I'e-
ducazione cattolica, La scuolo cottolica, Roma 1977, n. 34).
Rispetto a normative o regolamenti che si stabiliscono nelle co-
munità educative, il progetto si presenta con la differenza del rife-
rimento a un risultato futuro, a una situazione verso cui si cam-
mina e da cui si giudica la validità degli interventi.
Un progetto non è una norma; non si legge e non si applica
come tale. È un movimento, che più che assicurare adempimenti
indica una direzione e un insieme di energie da mettere in gioco.
Non viene giudicato e giustificato dall'esattezza degli adempi-
menti, bensì dai risultati da raggiungere. Non si progetta con la
preoccupazione dell'esattezza ma piuttosto con l'arte dell'antici-
pazione.
Il progetto punta totalmente sullo sviluppo di atteggiamenti po-
sitivi, è propositivo piuttosto che protettivo. È quasi tutto rivolto
alla persona e al suo sviluppo. I regolamenti costituivano utili co-
dici di educazione quando valori obiettivi e modelli di comporta-
mento sociale erano considerati fissi e non esistevano limiti di tempo
alla validità delle norme. La progettazione riconosce invece il rit-
mo di mutamento e quindi il bisogno di periodica revisione di obiet-
tivi, metodi e itinerari.
C'è ancora il termine «modello»> che viene spesso adoperato
come riferimento orientativo di un intervento.
Il progetto si riferisce senza dubbio a modelli, come rappre-
sentazioni della realtà. Si rifà in particolare a << modelli ideali » che
servono da quadro di riferimento all'azione. Per esempio, in pa-
storale il modello di Chiesa <<comunione-servizio», in pedagogia
il modello «non-direttivo»>, rappresentano schemi interpretativi del
reale che spingono all'azione in determinate direzioni.
Il progetto parte da un modello globale e cammina verso di es-
so: come il percorso di una nave è orientato da una bussola. È l'a-
spetto utopico.
154

16.7 Page 157

▲back to top
ll progetto assume anche modelli di azione, di strutture e di per-
corso adeguati a operare in una situazione concreta.
Tali istanze della progettazione sono le stesse, sia che si appli-
chino all'educazione o alla pastorale: visione dei fini, intervento
organico sulla realtà in ordine alla sua trasformazione da una si-
tuazione attuale ad un'altra perseguita.
Però nel caso della progettazione pastorale il contenuto di queste
istanze è specifico e, quando lo si collega al termine educativo, in-
dica un particolare rapporto tra la crescita umana del soggetto e
la sua fede. Così l'obiettivo ultimo e quelli intermedi di un pro-
getto che è educativo e pastorale tendono a sviluppare nel giovane
la maturità cristiana, a consolidare di riflesso la comunità eccle-
siale e ad annunciare il Vangelo. Cio colloca i diversi contenuti
in un'interazione originale e stabilisce anche criteri di metodologia.
1.2. Le motivazioni di fondo per progettare oggi
Le insistenze attuali sul progetto educativo pastorale rispondono
principalmente a quattro esigenze: la coerenza interna della pro-
posta, la convergenza pratica degli interventi, l'adeguamento con-
tinuo della proposta alla condizione dei soggetti, l'identificazione
delle diverse offerte di educazione in un contesto caratteizzato dalla
pluralità di indirizzi e agenzie educative.
Il progetto educativo ha in primo luogo una funzione all'inter-
no della stessa proposta educativa. Questa può essere oggi in ba-
lia di un ecletticismo irriflesso, frutto di un ambiente segnato dal-
la frammentazione e percorso dalle più svariate correnti, con dif-
ficile riferimento a un quadro coerente di significati e di valori,
e priva dunque di un orientamento unitario interno.
L'educazione può diventare così un insieme di prestazioni pro-
fessionali con dispersione di indirizzi, se questi non vengono ri-
condotti a un quadro condiviso e formulato di intenzioni e di va-
lori. Allo stesso modo la pastorale può esprimersi in una serie di
interventi ispirati alle più disparate spinte (devozionistiche o seco-
larizzanti, misticheggianti o funzionalistiche, sacrali o socializ-
zanti...), in un difficile e mai chiarito rapporto con il processo e-
ducativo.
155

16.8 Page 158

▲back to top
L'urgenza appare più stressante quando si considera che l'as-
senza di un riferimento unitario sul senso dell'esistenza si estende
a tutta la società, e che l'istituzione educativa dovrebbe aiutare i
giovani a trovare criteri e punti di discernimento e unificazione per
le loro scelte.
Connesso con questo primo aspetto se ne avverte un secondo:
a una proposta organica e coerente deve corrispondere un insieme
d'interventi convergenti nelle finalità e nello stile. GIi interventi
educativi sono svariati già a partire dalla progettazione stessa, per-
ché regolati da diversi approcci alla realtà. Difatti, in educazione
come in pastorale si impone I'interdisciplinarità. La divisione si
moltiplica quando il lavoro viene suddiviso tra gli operatori, tra
ruoli e tempi, tra sedi e agenzie, differenti. In questa inevitabile
molteplicità ci vogliono strumenti di convergenza che assicurino
il collegamento concreto della totalità degli interventi verso l'o-
biettivo. Anche le istituzioni educative diventano « luoghi di lavo-
ro»>: si seguono dunque le norme di divisione dei compiti col ri-
schio reale che vengano svolti in modo tale da ignorarsi vicende-
volmente. La molteplicità degli interventi non coordinati rende dif-
ficile la siniesi. Il progetto appunto ha come funzione il far con-
vergere ruoli e prestazioni in modo che si eviti il settorialismo e
la giustapposizione.
Ma il progetto ha un'ulteriore funzione: quella di spingere l'a-
deguamento continuo delle proposte educative e delle modalità con
cui vengono offerte, alla situazione e alle domande dei soggetti.
I giovani accusano un ritmo accelerato di cambiamenti dovuti al-
la stessa cultura in cui sono immersi. La funzione educativa è an-
ch'essa evolutiva per il suo rapporto con le persone, con la cultu-
ra e con la società. Basta pensare agli ambienti, ai contenuti e ai
metodi educatvi dell'epoca precedente in cui non predominava
la mentalità partecipativa, la comunicazione attraverso il lin-
guaggio totale, il concetto di formazione continua, l'unifi-
cazione del mondo quale « villaggio globale )) con la ripercussione
degli eventi e I'assunzione di cause comuni (pace, solidarietà, svi-
luppo, diritti della persona).
L'adeguamento tocca non soltanto contenuti parziali o detta-
gli di metodo, ma richiede oggi riformulazione degli obiettivi ge-
156

16.9 Page 159

▲back to top
nerali e nuovo quadro di valori secondo le esigenze attuali.
Possiamo spingerci con l'immaginazione, poiché è già alle porte,
all'epoca dell'informatica e dei computers, che le nuove genera-
zioni vivono già come fenomeno educativo in rapporto a nuove
esigenze non solo di abilità operativa, ma pure di orizzonti men-
tali e di armonia di valori.
Finalmente, un ultimo motivo. La società attuale si presenta
pluralistica nelle istituzioni, nelle scelte esistenziali, nei comporta-
menti sociali. tl pluralismo non è soltanto un fatto tollerato, ma
un diritto insito nella profondità dell'attuale convivenza politica
e sociale, a tal punto che dove non viene riconosciuto, se ne de-
nuncia lamancanza come un attentato contro la persona. L'edu-
cazione e la pastorale riflettono questa situazione: vi sono istitu-
zioni educative internamente pluralistiche e anche pluralità di isti-
tuzioni educative.
Poiché è la persona a scegliere il suo orizzonte di senso, così
è anche la persona a selezionare ambienti, programmi e strumenti
che le vengono offerti dalle diverse agenzie. Per questo le istitu-
zioni devono identificarsi, e un progetto educativo distingue e qua-
lifica un gruppo di educatori in una società che riconosce spazio
a diverse visioni dell'uomo e della realtà.
1.3. Il progetto nei suoi contenuti
Un progetto educativo pastorale articola in momenti successi-
vi o simultanei diversi livelli di indicazioni e scelte, riguardanti im-
mediatamente il campo concreto.
ll primo livello è un insieme di orientamenti ideali sulla conce-
zione dell'uomo e in particolare sui fini dell'educazione e sull'in-
tervento educativo. È una specie di dichiarazione di principi o cri-
teri che definiscono una filosofia dell'educazione o, trattandosi di
pastorale, una scelta di prospettiva globale.
Si tratta di un elemento abbastanza stabile, con validità a lun-
go termine e applicabile anche a un contesto culturale vasto. Que-
sto elemento ha un grande valore perché fondante, e anche se an-
cora non contiene proposte di attuazione, esplicita però le scelte
che guidano gli interventi. Non ripete semplicemente asserti gene-
157

16.10 Page 160

▲back to top
rali dell'antropologia o delle scienze dell'educazione, ma elabora
scelte precise e operative. Basti pensare a come si potrebbe pre-
sentare questa parte del progetto in America Latina, in Africa o
in Europa per capire che i principi e le immagini ideali ammetto-
no differenziazioni provocate dalla realtà.
Il secondo momento è l'analisi della situazione su cui il proget-
to deve svilupparsi. Le analisi di situazione sono diverse secondo
le prospettive scelte. Nel caso nostro si tratta di un'analisi della
situazione educativo-pastorale, che non esclude riferimenti e rile-
vamenti di altro tipo, anzi li richiede, ma che tende nel suo insie-
me a chiarire gli obiettivi e gli itinerari che l'educazione e la pasto-
rale devono assumere.
Si tratta di un'analisi interpretativa e non soltanto di una de-
scrizione fenomenologica. Precomprensioni, parametri, griglie, pur
coi rischi di lettura selettiva e funzionale che possono presentare,
sono indispensabili.
Ma al momento interpretativo si aggiunge anche il momento
valutativo. Poiché il progetto prende il suo orientamento da un
orizzonte di valori, anche se intende confrontarsi con una situa-
zione data, non è possibile non pronunciare un giudizio di valore
sugli elementi che emergono nella lettura della situazione.
Dal confronto con un quadro di valori e una situazione scatu-
riscono le scelte operative: è il terzo momento. Tali scelte sono co-
stituite dagli obiettivi a differenti livelli, in cui si enuncia, in ter-
mini di atteggiamenti e di attitudini da acquisire, il punto di arri-
vo cui si tende.
Agli obiettivi si aggiungono i principi del metodo scelto, con
i criteri di particolare applicazione alla situazione. Si formulano
le esperienze educative da proporre con eventuali nuclei di conte-
nuti e I'insieme di interventi che consenta meglio il passaggio dal-
la situazione rilevata alla situazione desiderata. L'insieme di tali
scelte si propone di saldare le istanze che emergono dalle doman-
de con i valori di cui ci si sente portatori. Si possono aggiungere
ancora indicazioni strumentali che stabiliscono ruoli e responsa-
bilità, articolazioni di aree, previsione di eventuali ostacoli.
E infine il quarto momento sta nella verifica. Essa permetterà
di misurare obiettivamente la validità del progetto, il suo impatto
158

17 Pages 161-170

▲back to top

17.1 Page 161

▲back to top
sulla realtà e la sua attuabilità, e consentirà di conseguenza il ridi-
mensionamento e la riprogettazione.
La verifica costituisce I'ultimo momento di una fase di proget-
tazione e il primo della fase seguente. Il processo di progettazione
difatti va concepito in maniera continua e circolare. La verifica
rimanda a una nuova lettura della realtà, e questa rimette in stato
di formulazione anche il quadro di riferimento, ed esige di aggior-
nare le scelte progettuali. Si evita così d'imporre una lettura alla
luce di uno schema rigido, che la giudica senza lasciarsi valutare,
che non tiene conto delle nuove domande e rischia di modellare
le persone su una misura precostituita.
D'altra parte ci si sottrae anche al rischio opposto, rappresen-
tato dal concetto funzionale di educazione quale semplice soddi-
sfazione di domande.
La circolarità, dunque, mette nella condizione di liberare il pro-
getto da fissità ideologica e al contempo di sviluppare una peda-
gogia di valori e non solo di bisogni. Il quadro di riferimento non
può essere desunto dai soli bisogni, ma deve essere collegato a
un'antropologia, che a sua volta è però riformulabile di fronte a
nuove richieste inevase, per giungere a un quadro dinamico di va-
lori.
1.4. Dinamica di elaborazione di un progetto
Una delle domande che non di rado vengono a galla quando
si tratta di fare un progetto si riferisce al soggetto agente. Nelle
risposte pratiche che si danno è implicata già una concezione del-
l'azione pastorale o del processo educativo, come anche una valu-
tazione sui suoi singoli momenti ed elementi.
Qualcuno preferirebbe che il progetto venisse predisposto da
una o poche persone a cui si riconosce autorevolezzaper la carica
ricoperta o la competenza acquisita. Gli altri componenti della co-
munità avrebbero il ruolo di esecutori o anche di intelligenti e crea-
tivi incaricati di adattare il progetto alla situazione.
Si tratta di un modello «centralizzato», «dirigista» o «elita-
rio»», che considera molto la perfezione formale, la completezza
contenutistica e la rapidità di stesura, ma assai poco i processi di
159

17.2 Page 162

▲back to top
partecipazione, di assimilazione vitale e aderenza concreta al rea-
le. Il rischio della ristrettezza di prospettive non è nel caso pura
invenzione.
D'altra parte le esperienze di progettazione compiute all'inse-
gna della partecipazione totale secondo un itinerario democratico
o assembleare, o approdano alla delega ristretta o si arenano in
uno sforzo inutile di arrivare a conclusioni soddisfacenti.
Se però il progetto non viene considerato solo uno scritto, ma
un processo di chiarimento e di identificazione comunitaria, le tre
parole chiave devono essere: corresponsabilità, partecipazione, col-
laborazione.
In questa prospettiva I'iter più interessante sperimentato è
quello del coinvolgimento differenziato, che interessa tutti, ma af-
fida anche compiti, specie se difficili, ad alcuni. Le tappe di ela-
borazione e di riformulazione del progetto potrebbero essere le se-
guenti.
In primo luogo bisogna creare un gruppo animatore capace di
guidare il processo: si tratta di motivare le persone ad assumere
in totale corresponsabilità la stesura del progetto e selezionare sti-
moli per procedere secondo le diverse fasi: definizione del quadro
di riferimento, analisi delle domande e della situazione, formula-
zione di linee operative. Il gruppo prevede anche le modalità più
convenienti di circolazione degli elaborati.
Il secondo momento è di coinvolgimento e di partecipazione
comunitaria. In alcuni casi si offrono formulazioni già elaborate
da discutere, macinare o modificare da parte dei diversi gruppi che
partecipano al processo educativo.
In altri vengono presentati soltanto questioni o problemi a cui
la comunità risponde secondo Ia propria sensibilità.
Laterza tappa consiste nella raccolta di tutto il materiale, nel-
la condivisione attraverso I'informazione e nell'offerta di una sin-
tesi ordinata per un definitivo chiarimento. Si arriva così a una
formulazione completa condivisa.
Questo iter potrebbe sollevare obiezioni di lentezza eccessiva.
Ma va ricordato che la finalità di un progetto non è tanto di met-
tere in mano agli operatori una normativa d'azione, quanto piut-
tosto di aiutare i gruppi a operare con consapevolezza.
160

17.3 Page 163

▲back to top
È attraverso l'interscambio e la vicendevole illuminazione che
si arriva a formulazioni in cui i partecipanti si ritrovano: queste
rappresentano la loro piattaforma di idee e il loro grado di consa-
pevolezza.
Si tratta comunque di formulazioni provvisorie almeno in un
primo tempo, che saranno meglio organizzate e progressivamente
aggiornate man mano che nell'approfondimento della riflessione
nuovi e più ricchi aspetti vengono scoperti e valotizzati.
Il progetto infatti è sempre aperto a sviluppi e perfezionamen-
ti, sino ad arrivare a una matura esperienza.
2. LE SCELTB DI FONDO PER L'ELABORAZIONE
DI UN PROGETTO EDUCATIVO PASTORALE
Il progetto - lo richiamiamo in
I'educazione e nemmeno solo una
sintesi -
politica
non è una
educativa.
teoria
sul-
Queste due realtà stanno di certo alla base e ispirano un pro-
getto. Ma il progetto traduce in un contesto concreto le ispirazio-
ni o le esigenze che una teoria suggerisce. È una scelta d'indirizzo
ideale, ma allo stesso tempo un calcolo di condizioni, una combi-
nazione di possibilità reali, una ricerca di risultati previsti: insom-
ma, una combinazione di scelte e di valori, conoscenza scientifica
e fantasia creatrice. Il progetto si misura sempre col reale.
Le scelte fondamentali che danno senso e coetenza all'azione
educativa pastorale e che sono mediate in un progetto sono la « fi-
nalità» dello stesso progetto, cioè verso che punto ci si intende muo-
vere, la « modalità » generale degli interventi, le « aree »» umane in
cui si colloca, le caratteristiche di stile, le dimensioni o aspetti at-
torno a cui viene coagulata la completezza dell'azione.
2.1. La finalità : l' ev angelizzazione
La finalità del progetto educativo pastorale è l'evangelizzazio'
ne. Questo vuol dire concretamente che l'immagine di uomo che
ispira gli interventi è quella che risulta dalla rivelazione avvenuta
in Gesù Cristo: rivelazione di Dio e rivelazione della vera dimen-
sione dell'uomo e della sua vocazione.
161

17.4 Page 164

▲back to top
La finalità è nell'azione un principio di totalità e di gerarchia.
Indicando che la finalità è «pastorale»>, si dice che l'apertura al
trascendente, al religioso, anzi al cristiano, è la prospettiva ultima
di ogni intervento, anche se questo viene apprezzato nel valore e
significato proprio, e non strumentalizzato al religioso.
Si stabilisce pure un principio di gerarchia per gli interventi:
tra di essi vanno privilegiati quelli che appaiono piu adegu ati a far
crescere le persone «in Cristo e nella Chiesa».
La chiarezza con cui si esprime la finalità non fa perdere di vi-
sta né le diverse vie e modalità secondo cui si raggiunge questa fi-
nalità, una certa difficoltà di linguaggio per chi si propone d'in-
tervenire nella dinamica d'una società pluralistica e secolare.
Il termine « pastorale » peraltro non va confuso con << cle-
ricale»: l'evangelizzazione non si identifica con ((proselitismo»,
« strumentalizzazione>>. Esprime piuttosto la « scelta» di valori cri-
stiani.
La riflessione portata avanti nella Chiesa nell'ultimo tempo ha
chiarito che anche se ((evangelizzazione>> in senso stretto èl'azio-
ne specifica di annuncio di Cristo, il suo itinerario comprende pe-
anche tutti gli interventi che preparano e dispongono pedago-
gicamente gli uomini ad accoglierlo. << Nessuna definizione parziale
e frammentaria puo dare ragione della ricca, complessa e dinami-
ca realtà com'è quella dell'evangelizzazione senza impoverirla e
persino mutilarla» (EN l7). Non sarebbe di scarsa importanza ac-
costare l'ispirazione cristiana in cui si riconoscono molte iniziati-
ve dei credenti alla missione evangelizzatrice che caratterizza ogni
intervento della comunità cristiana.
E impensabile che nella dinamica della società si proceda oggi
senza opzioni di valori e concezioni di vita. Coloro che si presen-
tano come «neutrali>>, «equidistanti»», o di proposte puramente
«funzionali>», ignorano la natura dell'agire umano.
2.2. L' inctrnazione culturale
L'azione pastorale si caratterizza per un'incarnazione nel tes-
suto culturale: questa e una scelta qualificante e caratterizzante di
tutta la comunità cristiana.
162

17.5 Page 165

▲back to top
Collocarsi nel tessuto culturale vuol dire non soltanto guarda-
re con interesse i fatti, i fenomeni attraverso i quali si elabora la
cultura, ma agire al suo interno e lavorare con la dinamica che le
è propria. E non secondo considerazioni teoriche riguardo alla cul-
tura in se stessa, ma secondo la modalità concreta che una società
offre.
<< Con il termine "cultura" si vogliono indicare tutti quei mez-
zi con cui l'uomo affina ed esplica le molteplici sue doti di anima
e di corpo, cerca di ridurre in suo potere il cosmo stesso con la
conoscenza e il lavoro, rende più umana la vita sociale, sia nella
famiglia che in tutta la società civile, mediante il progresso del co-
stume e delle istituzioni» (GS 53).
Questo processo si presenta oggi come un fenomeno di « massa »
(cf GS 54), sebbene ci sia il problema del collegamento attivo tra
questa (( massa » e la sempre più profonda e complessa elaborazione
culturale dei « centri » di influsso e irradiazione (cf GS 56). Si presen-
ta come un fenomeno « pluralistico »>: non soltanto nel senso che ci
sono diverse culture nelle diverse aree geografiche (cf GS 53), ma an-
che nel senso che una cultura fa spazio a diverse scelte di valore e si
elabora dunque in un contesto di libero confronto (cf GS 56). È
inoltre informato dalla conoscenza scientifica (cf GS 54).
La prima caratteristica enunciata sopra suggerisce il raggio di
azione: la cultura è un bene per tutti, da tutti e di tutti; non è solo
per e di circoli ridotti.
La seconda caratteristica sottolinea che si elabora << in libertà »
(cf GS 59), poiché la << coscienza » non è la sua sovrastruttura, bensì
la sua radice. Laterza caratteristica chiarisce le condizioni e le mo-
dalità odierne di elaborazione della cultura.
Il progetto educativo pastorale, come non è solo catechesi, co-
non è soltanto cultura, e nemmeno le due realtà giustapposte,
ma una ricca sintesi di processi di promozione umana e di annun-
cio evangelico.
Incarnarsi non significa mettersi addosso un vestito, ma pren-
dere il corpo e l'anima, e cioè tutta Ia possibilità di azione, di ri-
flessione e di esistenza.
Nel progetto l'incarnazione culturale porta alurraattenzione co-
stante alla condizione dei giovani, perché l'evangelizzazione pas-
163

17.6 Page 166

▲back to top
sa anche e sempre più attraverso l'analisi delle situazioni di vita
che incidono sulla personalità giovanile. Porta anche a una valu-
tazione positiva e religiosa della competenza professionale, a una
stima per le istituzioni e attività culturali; spinge a un approccio
fiducioso alle conclusioni delle scienze dell'uomo, e soprattutto por-
ta a una scelta dei fenomeni della cultura come « luogo >>, << linguag-
gio » ed << esperienza umana » attraverso la quale la salvezza si fa
comprensibile. Il Vangelo viene proposto così in un modo stretta-
mente unito all'esistenza concreta e inserito armonicamente nei pro-
cessi di crescita della personalità e dell'umanizzazione. Non come
qualche cosa che genera obblighi od osservanze legali, ma come
un dono di energia che incorpora tutta l'esistenza e tutta la storia
del mistero di Cristo.
2.3. La scelta educativa
La cultura è una realtà complessa. Sono molti i « beni » che la
compongono. Sono molti i <<mezzi» attraverso cui la si può svi-
luppare. Sono dunque diverse e complesse le possibilità d'inter-
vento nel tessuto culturale.
II progetto attento alla persona e alla comunità si gioca sulla
scelta dell'educazione, e su di essa concentra sforzi. In positivo
questo significa che al centro del progetto sta la persona vista nel-
la totalità delle sue dimensioni e nell'unità del suo dinamismo esi-
stenziale.
Parlando di cultura, che non è una realtà soltanto << personale >>
ma anche sociologica ed etnologica, si è tentati di rifarsi con il pen-
siero a strutture sociali, a beni obiettivi, a processi di inserimento
nelle società o all'assimilazione di un « patrimonio ». La scelta edu-
cativa si riferisce invece direttamente alla crescita della persona in
quanto tale, mentre tutto l'altro viene considerato come <<mezzo»>.
Le diverse dimensioni della cultura, nell'attività formalmente
educativa, vengono rielaborate attraverso processi <<personali»»,
diventano «esperienze>>, in cui la persona cresce, si arricchisce, uni-
ficala sua sintesi attorno ai << centri di significato e di motivazioni.
La scelta educativa comporta perciò una particolare attenzio-
ne all'originalità della persona al di sopra di tutti gli altri elemen-
164

17.7 Page 167

▲back to top
ti, alla gradualità della proposta, all'adegtatezza tra interventi e
domande, ai processi di crescita dell'identità e dell'autonomia.
La scelta educativa assume interventi di altro tipo solo nella mi-
sura in cui incidono su questo aspetto preferenziale. Poiché la cul-
tura è una realtà dinamica, le sue diverse dimensioni si condizionano
e si modificano. La politica, I'economia, la comunicazione di massa
possono ostacolare e persino impedire la crescita dei valori nella per-
sona. La scelta educativa cerca di impregnare la realtà sociale delle
sue finalità; ma soprattutto fa crescere la persona dal di dentro af-
finché emerga con la sua libertà in tutti i condizionamenti.
Per cui di qualunque tipo siano le attività mediatrici nelle loro
più diverse espressioni, esse vengono orientate ad aiutare i giova-
ni a percepire i valori, a camminare verso un rapporto sereno e
positivo con le persone e le cose che riduca conflittualità e tensio-
ni, una maturazione affettivo-sessuale che renda capace di dona-
zione e di incontro, una graduale maturazione alla libertà, alla ca-
pacità di decisioni coerenti, all'assunzione di responsabilità e a una
progettazione del proprio futuro per liberare e convogliare il po-
tenziale di cui ogni giovane è portatore.
La persona presenta una intrinseca dimensione sociale. L'edu-
cazione non ha certo come finalità diretta la riforma della società:
mira però indispensabilmente alla formazione sociale della perso-
na, e così si propone di coltivare atteggiamenti di solidarietà e dia-
logo, di stimolare l'impegno per la giustizia, di abituare a operare
per una società a misura d'uomo.
2.4.ll campo di azione da privilegiare
Un altro elemento situa con precisione e definisce il progetto
educativo pastorale delle comunità cristiane: è il campo di lavoro.
Il progetto è pensato e verrà attuato tra i giovani incominciando
dagli ultimi.
La formula contiene indicazioni operative. In primo luogo sti-
mola a muoversi verso la massa e non semplicemente verso gruppi
particolarmente interessati o colti.
In secondo luogo, i giovani sono visti non come una <<classe»>
distaccata, ma come porzione di comunità che portano avanti la
165

17.8 Page 168

▲back to top
loro crescita in una interazione costante con gli adulti. In questa
scelta preferenziale una iniziativa « giovanile » non dice separazione
dei giovani, ma opportunità d'incontro e punto di convergenza di
svariate componenti della comunità attorno a un ideale valido che
viene affidato alla capacità creatrice dei giovani e all'esperienza
educativa degli adulti.
In terzo luogo, i giovani sono un punto privilegiato di osserva-
zione e di rivelamento della realtà. Collocarsi tra i giovani indica
una prospettiva: vuol dire guardare i fenomeni che sorgono dalle
nuove generazioni o che condizionano la loro vita; guardare con
i loro occhi tutte le novità socio-culturali per poter fare una stra-
da insieme con loro.
2.5. I criteri orientativi dell'azione
Il metodo con cui si portano avanti gli interventi è improntato al-
la preventività. Oggi si parla spesso e in tutti i campi dell'esigenza e
dell'urgenza di prevenire: la si ritiene una delle vie fondamentali per
rigenerare la società e per l'educazione delle nuove generazioni.
La preventività esprime oggi le istanze che seguono.
Anzitutto è necessario scegliere di far crescere le persone attra-
verso proposte che indirizzino tutte le loro potenzialità e risorse
a esperienze positive di bene, in modo da prevenire esperienze de-
formanti.
Inoltre occorre preparare i giovani per il loro futuro, antici-
pando i tempi in profondità, mediante lo sviluppo di quegli atteg-
giamenti che permetteranno loro di superare positivamente i rischi
e le difficoltà.
E infine preventività significa aiutare a cogliere il significato
della loro giovinezza e a viverne inpienezza le aspirazioni, i dina-
mismi e le spinte da protagonisti intelligenti.
Ci si appella e ci si rivolge dunque alle forze interiori più pro-
fonde che il giovane porta in sé: la ragione, I'affetto, il desiderio
dell'Assoluto. Si cerca di costruire la persona su queste risorse fon-
damentali piuttosto che su condizionamenti e costrizioni.
Per svegliare e sviluppare questo centro di vita personale, il pro-
getto educativo punta, sotto il profilo del metodo, su tre elementi.
166

17.9 Page 169

▲back to top
Il primo è l'ambiente educativo formato dallo spazio di creati-
vità, libertà e partecipazione cordiale, dal clima che emerge dai
rapporti interpersonali, dal tono d'impegno e da una convergenza
di attività e di proposte che rispondono agli svariati interessi e alla
domanda dei giovani.
ll secondo è il rapporto personale . L'azione educativa non si
basa su proposte collettive, ma riconosce il carattere <<peculiare»
e la storia « singolare » di ciascuno. La scelta educativa guarda al-
la persona più che alla promozione di una particolare attività. Non
è interessata tanto alla organizzazione o diffusione di iniziative so-
ciali o culturali (sport, teatro, turismo) quanto a far crescere le
persone attraverso di esse. Attorno agli interessi cresce l'«amici-
zia costruttiva»>, maturano gli impegni e si va plasmando l'identità.
E infine, il terzo elemento è la presenza animatrice degli adulti
tra i giovani. I tratti caratteristici dello stile di educazione incar-
nato si appoggiano sulla presenza-convivenza degli educatori tra
i giovani: partecipano alla vita dei giovani, animano le loro inizia-
tive, offrono elementi di maturazione e aprono costantemente a
una visione matura e integrata dell'esistenza.
167

17.10 Page 170

▲back to top
Capitolo quarto
L'ANIMAZIONE PASTORALE
DELLA COMUNITÀ
Prima di affrontare il tema su che cosa significhi animazione
e animazione pastorale, mi introduco chiarendo l'idea di processo.
Parliamo di processo quando una proposta educativa o un
progetto di trasformazione sociale vengono organizzati in fasi
progressive che portano i soggetti da una data situazione inizia-
le ad un'altra considerata di maggiore maturità, sviluppo o be_
nessere.
Il processo di socializzazione mira a inserire la persona nel tes-
suto dei rapporti sociali in modo non conflittuale e anche creati-
vo. Il processo di inculturazione tende a comunicare beni, valori
e significati che sono propri di una determinata comunità. Il pro-
cesso di educazione, che comprende in certo grado la socializza-
zione e l'inculturazione, mira a sviluppare in maniera armonica
e stabile I'essere della persona secondo le sue concrete risorse e op-
portunità nella libertà e responsabilità.
In un qualsiasi processo sono da considerare il soggetto, le me_
te, le mediazioni. Quando in un processo le mediazioni si colloca-
no soprattutto a servizio del conseguimento di mete stabilite da
agenti esterni alla persona e considerano come secondarie la par-
tecipazione, la creatività, l'autonomia del soggetto, la strada in_
trapresa segue una direzione contraria allanimazione. se invece
nei processi la mediazione si mette perlopiù accanto al soggetto
per stimolare la sua autonomia rafforzandone le motivazioni, ri-
svegliare la sua capacità critica e la corresponsabilità, richiederne
l'apporto attivo e coinvolgimento creativo nelle proposte, favo-
rirne la capacità di comunicare e inventare, alrora eisa produce
una crescita di coscienza e di libertà e matura la persona: questo
è animare.
r68

18 Pages 171-180

▲back to top

18.1 Page 171

▲back to top
L'animazione dunque non è propriamente un contenuto o un
processo particolare, diverso da quelli che abbiamo usati come
esempio. È piuttosto una qualità che compare in tutti i processi
liberanti o espansivi che riguardano la persona; è un modo origi-
nale di ordinare gli obiettivi e di pensare i fini e le mediazioni. Se
per esempio nell'insegnamento o nella catechesi si punta sulla ca-
pacità di ricerca e sul gusto della verità piuttosto che sulla quanti-
di dati da ritenere, si applicano i criteri dell'animazione.
Ne proviene allora che la cosa più importante non è il risultato
materiale, qualunque sia il livello di coinvolgimento del soggetto;
ma I'intensità di partecipazione e di elaborazione personale, le qua-
lità e gli atteggiamenti che si sviluppano in lui, e lo rendono re-
sponsabile e agente principale dei processi che lo riguardano.
L'animazione è dunque un metodo, non certamente slegato dagli
atteggiamenti interni di chi lo mette in pratica; un metodo che si
fonda su convinzioni e su scelte precise, che ritiene inadeguata al-
la costruzione della persona l'imposizione dall'esterno, anche quan-
do questa si esercita attraverso meccanismi di consenso di tipo af-
fettivo, economico, sociale o religioso, oppure pretende di basarsi
sullo stesso valore oggettivo di quanto si propone.
Nell'animazione il soggetto è al centro dei processi ed è lui che
viene favorito. Certo non da tutti e non in tutti i casi, ma partico-
larmente nel mondo degli adulti e nei rapporti pubblici si possono
sempre assumere le esigenze dell'animazione.
Si potrebbe obiettare che l'animazione lascia in balia della spon-
taneità o dell'estrosità degli individui le proposte obiettive di va-
lori e i comportamenti, che risultano così secondarie se non addi-
rittura inesistenti. Le proposte invece esistono; i valori sono addi-
rittura sperimentati, motivati, assunti, interiorizzati. Se così non
fosse, non svilupperebbero la persona e non la renderebbero ca-
pace disponibile a crearsi uno stile di vita nella responsabilità.
1. LA SCELTA DEL METODO DELL'ANIMAZIOI\\E
Per garantire tutto ciò l'animazione si fonda su scelte precise
e seleziona i suoi strumenti.
169

18.2 Page 172

▲back to top
La prima scelta è che la persona deve essere protagonista e com-
mittente principale di tutti i processi che la riguardano.
La seconda prescrive che la persona non venga considerata « a
fette>», ma come una «unità originale»: ossia, ogni aspetto di es-
sa viene interessato o sviluppato, influisce sul tutto, e influisce in
modo originale, poiché non determinato o prescritto secondo un
vieto determinismo.
La terza scelta afferma che la comunicazione è la via maestra
della conoscenza della realtà, e quindi anche della crescita della
coscienza e delle potenzialità della persona nell'imparare a inven-
tare linguaggi e significati, nello sviluppare e sintetizzare, nel ri-
comporre e verificare. Per questo il metodo dell'animazione assu-
me come strumenti propri il gruppo e la ricerca comune.
Essendo essenzialmente metodo e qualità, l'animazione è ap-
plicabile a diversi processi o aree di contenuti e valori. Si possono
pertanto mettere accanto aggettivi che la qualificano: animazione
sportiva, culturale, religiosa. Applicata alla pastorale, l'animarione
sviluppa i processi tipici di quest'area, assumendo la sua dinami-
ca tipica. Perciò l'animazione pastorale ha ragioni fondanti pro-
prie, che ne qualificano il metodo e lo stile.
Quanto ad esempio è stato detto sulla persona, non solo viene
confermato dalla teologia che guida I'agire pastorale, ma addirit-
tura condotto da questa a visioni più profonde.
La pastorale presenta tre tipi di processi fondamentali: il pri-
mo è l'educazione alla fede e della fede, che aiuta la persona a ri-
spondere alla chiamata di Dio a entrare in comunione con Lui;
il secondo riguarda la formazione nella storia e nel tempo della
comunità cristiana, costituita da coloro che accolgono la chiama-
ta del Signore a vivere in Cristo secondo il Vangelo; ilterzo si rife-
risce all'impegno da parte delle comunità cristiane di lievitare il
mondo nello spirito del Vangelo.
I tre processi, uno nella persona, uno nella comunità ecclesia-
le, uno nel mondo, sono intimamente collegati fra loro.
È neila natura di questi processi di non poter essere condotti
e maneggiati semplicemente all'esterno, bensì di essere connessi
all'accoglienza e alla risposta del cuore della persona.
Per la sua chiamata alla fede, che è dono e impegno, appello
170

18.3 Page 173

▲back to top
e risposta, l'esistenza umana acquista una forma originale: l'uo-
mo diventa interlocutore di Dio, ascoltatore della sua parola e chia-
mato a rispondergli. Un tale dialogo non può awenire che a livel-
lo profondo della coscienza personale.
Ma tutto ciò che all'esterno lo può rivelare o favorire serve nel-
l,ordine delle mediazioni; esso non va §ottovalutato, perché richiesto
dal nostro essere corporale che vive nel tempo. E tuttavia ogni sti-
molo esterno deve tendere come intenzione atoccare il nucleo più
profondo della persona, in modo che essa percepisca e accolga per-
sonalmente il dono che Dio le fa chiamandola all'esistenza e alla
fede. Il dialogo della fede non avrà luogo, se il soggetto non lo
prende su di nella vita, quali che siano le pratiche religiose cui
si è abituato.
AI processo dell'educazione alla fede segue il secondo proces-
so che riguarda la formazione della Chiesa, della comunità costi-
tuita da coloro che rispondono all'appello di Dio. Anche nella Chie-
sa l,organizzazioneesterna è una mediazione, mentre la realtà piÌr
profonda è il suo essere Corpo di Cristo che realizza in maniera
comunitaria la comunione con Dio e tra gli uomini.
Gli Atti presentano la Chiesa come la comunità di chi ha ri-
sposto alla chiamata di fede che Dio ci ha rivolto in Cristo. La
semplice aggregazione delle persone non farebbe crescere la chie-
sa se non crescesse nei suoi membri la consapevolezza e il coinvol-
gimento nel mistero di comunione con Dio. La Chiesa si costrui-
sce come comunione di persone che per decisione personale aderi-
scono a Cristo. L'appartenenza autentica non avviene per iscri-
zione né per presenza, ma per adesione interiore a Cristo.
Viene infine il terzo processo pastorale: la Chiesa, vivendo nel
mondo, partecipando alla sua storia, è il sacramento della sua realiz-
zazone.Infatti essa s'impegna ad attuare la comunione tragli uomini
mediante la carità, rivelando la chiamata alla vita divina propostaci
da Cristo e facendo prendere coscienza delle relative conseggenze sto-
riche. Animatore di questo cammino di crescita in eventi religiosi e
profani è lo Spirito di Dio. È un flrlone biblico che vale la pena di ac-
cennare: dall'atto creatore, passando per la vocazione dei patriarchi
e la formazione del popolo eletto, si arriva al culmine del «riempi-
mento >> di Spirito in Gesù e alla sua « diffusione >> nella Chiesa.
t7l

18.4 Page 174

▲back to top
Ora, lo Spirito che ha fatto e fa crescere l,unica storia dell,uo-
mo verso il suo compimento opera illuminando e muovendo, raf-
forzando e coinvolgendo chi percepisce i suoi «gemiti)) e scopre
i suoi « semi >». Seguendo queste indicazioni che vengono dalla pe-
dagogia di Dio, che parla della coscienza e che coinvolge respon-
sabilmente nella storia della salvezza, la pastorale può intrapren-
dere il cammino dell'animazione.
2. LE RAGIONI DBLL'ANIMAZIONE
NELLA PASTORALE GIOVANILE
L'animazione appare particolarmente congeniale alla pastora-
Ie giovanile per la scelta educativa che entrambe suppongono.
La scelta dell'educazione non è esterna o congiunturale alla pa-
storale giovanile, ma è qualificante e sostanziale. certo, non tutti
coloro che s'impegnano nella pastorale giovanile fanno formal-
mente professione di educatori. se ogni azione pastorale ha una
sua forte incidenza educativa perché sviluppa la totalità della per-
sona, tuttavia non sempre assume esplicitamente e direttamente
il compito educativo, vale a dire lo sviluppo integrale rerigioso e
culturale del giovane.
La meta del cammino educativo cristiano è per tutti la matura-
zione della fede, ma nel quadro dello sviluppo integrale delra per-
sona è intesa in modo originale e tipico. euesta situazione ci inte-
ressa perché evidenzia meglio l'incidenza dell,animazione.
Nella Chiesa c'è chi sceglie di dedicarsi ai giovani che hanno
già fatto fondamentalmente una scelta di fede, accompagnandoli
nella loro maturazione, ma affida gli aspetti della formazione uma-
na ad altre agenzie: fa con loro un cammino strettamente religio-
so. Ma c'è anche chi, per motivi di carità o per criterio pedagogi-
co, si propone di fare con i giovani un cammino che proietta la
fede su molteplici esperienze divita, che perlopiù consente di svol-
gere il discorso di crescita anche Ià dove la fede el,appartenenza
alla comunità cristiana non sono state raggiunte.
Tale scelta educativa determina perciò il campo pastorale. Non
ci si dedica solo a ragazzi e tagazze che vengono alla parrocchia>>,
172

18.5 Page 175

▲back to top
ma si tende ad accogliere la gioventù della << strada>> disposta a fa-
re un cammino o bisognosa comunque della <<carità» cristiana.
L'organizzazione di contenuti è allora particolare: non c'è so-
lo catechesi o scuola di religione, ma si assumono le tante espe-
rienze che predispongono alla scelta di fede. certamente la cate-
chesi rimane prioritaria e caratterizzalte, ma la proposta educati-
va assume e valorizzacome contenuti le esperienze giovanili quo-
tidiane, perché in esse si percepisce e si gioca il senso della vita
e si scopre anche il valore della fede. Di conseguenza si compie
con i giovani un certo cammino di maturazione culturale, si par-
tecipa alle loro esperienze sociali, si valutano positivamente le do-
mande ricreative. Chi non ha operato la scelta educativa prescin-
de da queste esperienze: mira a realizzare direttamente ciò che è
specifico della missione della Chiesa: ossia i sacramenti, la predi-
cazione, la partecipazione alla comunità cristiana.
La scelta educativa nella pastorale implica anche suggerimenti
di metodo. Il punto di partenza del cammino di fede è dove i
giovani si trovano. Si accetta che alcuni in difficoltà non arrivino
alle mete fissate per i più. Nel desiderio di aiutarli ad aprirsi al
Vangelo si cerca divalor\\zzare le loro esperienze più sentite e vissute.
L'animazione viene ulteriormente richiesta dal fatto che I'edu-
cazione deve far appello alle risorse profonde della persona, ossia
alla ragione come capacità di cogliere il valore e il senso delle co-
se; alla religione che è soprattutto interpellare e formare la coscienza
e aiutare la persona a mettersi in ascolto con Dio; e all'amore edu-
cativo quale capacità di rispondere al dono gratuito del rapporto
interpersonale.
In questo non vengono sottovalutati gli elementi di stimolo e
gli appoggi esterni: la persona infatti è da coinvolgere attivamente
in un ambiente propositivo e liberante, ricco di iniziative svariate.
Non si tratta però di un ambiente predisposto da altri, perché
il giovane lo rispetti e ne goda; anzi, questi è chiamato a costruir-
lo, partecipando alle varie attività e alla normativa di convivenza.
In esso si stabilisce un rapporto educativo che è molteplice, con
educatori e con amici, personale e di gruppo, di scambio amiche-
vole, maturo e maturante. È un rapporto basato più sull'amicizia
e sull,autorevolezza del testimone che su insegnamenti e regole.
173

18.6 Page 176

▲back to top
Oggi non appare praticabile un altro stile di educazione: esso però
non è legato alle circostanze odierne, è invece assai più un metodo
ispirato alla pedagogia di Dio con noi.
3. GLI AMBITI DBLL'ANIMAZIONB PASTORALE
Le istanze dell'animazione possono essere applicate soprattut-
to a tre ambiti: la presenza tra i giovani, il processo educativo, la
comunità educativa.
3.1. La presenza
La presenza fra i giovani dice essenzialmente « rapporto edu-
cativo »». Se non si riduce a un fatto occasionale, si deve esprimere
in una relazione globale e permanente, concepita come condivi-
sione di un'esperienza.
Sono mutati i criteri pedagogici, modificati i comportamenti
dei giovani, cambiato stile e clima d,ambiente, ma rimane stabile
l'importanza di questo elemento, anche se c,è qualche difficoltà
di traduzione concreta nella prassi.
Taluni educatori pensano di dover riprendere una forma più
direttiva, mentre altri vogliono allargare gli spazi di ribertà. E se
qualcuno si ripromette di fare un interessante cammino educativo
aprendo un certo spazio all'autodeterminazione e alla creatività,
qualche altro teme che ciò comprometta il raggiungimento delle
mete educative e la qualità dell'ambiente.
L'incertezza può provenire anche dalle nuove forme di educa-
zione. Senza sottovalutare l'incontro «programmato», oggi si van-
no moltiplicando Ie forme educative più spontanee, in cui c,è più
attenzione al gruppo che traccia il suo cammino e si i suoi ritmi
di crescita. In ogni modo rimane valido il senso fondamentale della
presenza adulta tra i giovani come condivisione di vita che aiuta
a maturare all'esistenza piena.
Non si può inoltre parlare di presenza tra i giovani in termini
di stare fisicamente insieme o come generica presenza di amicizia.
Rapporto educativo significa, assai più, dare ai giovani un valido
174

18.7 Page 177

▲back to top
aiuto per la loro crescita: sarà Ia cultura, sarà I'esperienza,la gui-
da spiiituale, la competenza pedagogica. L'intervento richiesto va
di certo oltre il semplice stare con loro per trasformarsi in stimolo
e guida delle attività in vista di una loro maturazione completa.
Il rapporto è allo stesso tempo propositivo e liberante; e ciò
significà .fr. na tutte le caratteristiche, gli atteggiamenti e le espe-
rienze proprie dell'animazione-
Perl'animatore il rapporto veramente maturante non è quello
che si stabilisce in forza di un ruolo istituzionale' ma quello che
si fonda sull'accettazione del giovane per averne guadagnato il cuo-
re, la fiducia, perché ha scoperto nell'educatore un valore, una ca-
pacità dialogante, una fonte di arricchimento. Influisce colui che
è stato riconosciuto come persona valida e disponibile'
L,aiuto di un animatore si esprime in definitiva come accoglienza
personale, volontà di incontro, valutazione positiva di aspirazioni
à gesti: è al servizio della persona più che delle norme, è farsi com-
pagni di viaggio verso la maturità.
3.2. Processo educativo
Il secondo ambito a cui applicare le istanze dell'animazione è
il processo educativo cristiano. Il che significa una certa organiz-
zazione pedagogica di contenuti e di esperienze per portare una
persona, attraverso fasi progressive, verso mete maturanti'
Il processo educativo cristiano accoglie i princìpi dell'anima-
zione quando assume come pastoralmente valido e indispensabile
sia Ie domande vitali dei giovani che le esperienze religiose che la
fede offre.
L'uomo vive e sente la fede non soltanto quando si inginoc-
chia in chiesa, ma nella famiglia, nel lavoro, nella politica. La fe-
de non è un aspetto dell'esistenza, ma la sua dimensione di pro-
fondità.
Se la fede fosse soltanto un settore particolare dell'esistenza,
se non riuscisse a esprimersi in concrete manifestazioni di vita, al-
lora non potrebbe essere nemmeno un elemento di trasformazio-
ne del mondo. La fede è luce, è seme, è lievito, è fermento'
Le esperienze tipiche dell'età giovanile non sono da considera-
175

18.8 Page 178

▲back to top
re come ((occasionali» e «passeggere», di «parcheggio»; non ci
si serve di esse come di strumenti » per altre finalità o come sem-
plici « attrattive >>, bensì costituiscono il tessuto fondamentale del-
la vita.
Sono due i modi principali secondo cui si puo guardare alle espe-
rienze e richieste giovanili: l'uno le considera mera «occasione»>
per perseguire determinate finalità. Sono semplicemente strumen-
tali: si offre il piacere (gioco) o l'utilità (scuola) per poi trattare
anche il tema religioso quale principale finalità.
L'altro modo invece approfondisce queste esperienze secondo
il valore educativo che esse portano, aprendole alle domande di
senso di vita, sino a giungere all'annuncio esplicito della novità
Ind'eiicsCaperdirsiuetponlz.icaQeudaeetlstetganiozmviaoonndeea, laiptlàomi nli'osatnnenrpourendvceeiodlle'udoetelmmVoapniegsaeullcocme-iss,steivbrieon-sdìpiurDnimi,oua.-
Lo spirito fa accogliere e comprendere la parola della sarvez za nel-
l'intimo della coscienza. È dunque possibile cogliere immediata-
mente il senso della proposta di fede che si riversa sulla vita, pro-
ducendo conversione. Ma è pure praticabile, particolarmente con
i giovani << poveri >», l'altro itinerario, in cui le briciole di verità che
operano nella loro vita vanno raccolte e valorizzate. In ambedue i
modi ècomunqueindispensabilelamediazionetra fedeed esistenza.
Il processo educativo cristiano pensato secondo le istanze del-
l'animazione pone più attenzione al passo del soggetto, allo svi-
luppo degli atteggiamenti personali come disposizioni, alla com-
prensione viva dei messaggi, anziché insistere su comportamenti
stabiliti, condotte dettate, verità memorizzate.
A spiegazione riportiamo quanto il documento sulla scuola cat-
tolica dice parlando dell'assimilazione della cultura: <<La scuola
deve stimolare all'esercizio dell'in telligenza, sollecitando il dina-
mismo della elucidazione e della scoperta intellettuare ed esprican-
do il senso delle esperier,ze e delle certezze vissute. una scuola che
non assolva questo compito e che al contrario offra delle elabora-
zioni prefabbricate, diventa perciò ostacolo allo sviluppo deila per-
sonalità degli alunni » (sacra congregazione per I'educazione cat-
tolica, La scuola cattolica, n. 27). Significa che il nodo della « for-
mazione>> sta nel rifare con il giovane il cammino della verità in mo-
t76

18.9 Page 179

▲back to top
do che egli sviluppi abiti e capacità di ricerca, onestà verso i dati
obiettivi e sensibilità per il senso più ricco che la realtà rivela.
E ciò vale per qualsiasi campo.
Infine il giovane va considerato come soggetto del processo edu-
cativo piuttosto che come oggetto di un'azione dell'educatore. A
lui deve essere progressivamente consegnata la responsabilità del-
le mete e del proprio cammino.
In un libro di don Milani si racconta che, dopo Ia visita di un
pedagogista alla scuola di Barbiana, uno dei ragazzi, colpito dal
fatto che lo specialista visitatore non aveva mai guardato iragazzi
durante la conversazione, fece questo commento: « Io so perché
quelli che hanno studiato pedagogia non guardanoiragazzi: è per-
ché li sanno a memoria>». Non è infrequente procedere per imma-
gini confuse riguardo alla responsabilità nel processo di crescita
dei giovani, dimenticando che la meta finale è I'autonomia.
3.3. Comunità educativa
Il terzo ambito chiamato in causa è la comunità educativa. Ed
è forse l'ambito in cui l'opera di animazione diventa più visibile.
Ci sono indicatori di ogni tipo che segnalano la comunità qua-
le unico possibile soggetto-oggetto dei processi educativi e l'am-
biente come indispensabile perché questi avvengano. L'educazio-
ne è diventata complessa. Gli stimoli, i rapporti, le conoscenze e
le proposte sono talmente molteplici che la loro sintesi e interpre-
tazione oltrepassano non soltanto l'azione di un singolo educato-
re, ma le stesse agenzie come la famiglia e la scuola. L'educazio-
ne, cristiana e no, esige un accordo collettivo di intenti, criteri e
interventi: o si lavora in maniera convergente o si favorisce disper-
sione diseducativa.
La comunità educativa è soggetto-oggetto di processi educati-
vi, perché se non è capace essa stessa di assumerli, non potrà nem-
meno proporli con efficacia. Se gli adulti della comunità non ela-
borano cultura ed evitano di affrontare le situazioni problemati-
che o conflittuali, non saranno in grado nemmeno di dare ai ra-
gazzi la capacità critica per interpretare i fenomeni del proprio am-
biente. Se nella comunità come insieme non hanno rilevanza le
r77

18.10 Page 180

▲back to top
domande religiose e non si è sensibili alla comunicazione della fe-
de, non sarà facile neppure suggerire uragazzi un cammino di fede.
Inoltre la comunità è passata in questi anni da lun'organizza-
zione verticale a una di tipo orizzontale; si è imposto il criterio par-
tecipativo e non solo: dal discorso partecipativo « familistico »», im-
preciso e generico, si è giunti a stabilire livelli di decisione e a con-
cordare strutture di corresponsabilità. Numerose istituzioni edu-
cative e sociali hanno assunto tale criterio arricchendo la loro espe-
rienza di nuove prospettive e possibilità.
C'è dunque un compito comunitario: la partecipazione di tutti
alla progettazione e realizzazione delle proposte educative, e l'in-
serimento della comunità in realtà più ampie, come la Chiesa lo-
cale e il territorio. E proprio questo si propone l'animazione: atti-
vare i processi di partecipazione per favorire la creatività e Ia cor-
responsabilità di tutti.
Ma a quali condizioni si riuscirà a svolgere con efficacia que-
sto compito? Accenniamo a due.
La prima sta nell'assumere comunitariamente la nuova situa-
zione e i nuovi modelli di lavoro. Si possono dare nelle comunità
differenze di valutazioni che possono incidere sulle linee pratiche.
Sono più che legittime, ma se queste differenze impediscono di as-
sumere la nuova situazione <<comunitariamente>>, l'animazione sarà
considerata non come un impegno ma come un hobby individuale.
Non tutti necessariamente devono fare la stessa cosa. E tutta-
via è indispensabile che alcune linee di azione vengano capite, ap-
prezzate, appoggiate e svolte comunitariamente, di modo che, pur
avendo compiti diversi, attraverso la collaborazione educativa, at-
traverso l'intervento degli organismi, si tenda tutti insieme alla pro-
mozione della comunità educativa e del suo cammino comune.
La seconda condizione è preparare un gruppo che svolga il com-
pito di animazione-moltiplicazione. Animare pastoralmente richiede
competenza ed esperienza acquisita, come ogni altro lavoro. Non
è frutto di solo entusiasmo o di semplice spontaneità. Cio non si-
gnifica allora che occorrano alti gradi di conoscenze accademiche.
Spesso basta un quadro teoretico abbastatza semplice sulla cui base
incominciare quanto è possibile, guidati dall'esperienza del senso
comune e dalla volontà di operare.
178

19 Pages 181-190

▲back to top

19.1 Page 181

▲back to top
4. L'ANIMAZIONE DELLA COMUNITÀ
PER LA PASTORALE
La nostra vita presenta aspetti diversi, ma inseparabili nell'e-
sperienza della persona, che non va mai considerata a comparti-
menti stagni.
Tali differenti aspetti si condizionano e si colorano vicendevol-
mente, e si realizzano assieme come se fossero l'uno contenuto nel-
l'altro. Ogni distinziorretra diloro è formale sebbene giustificata;
ma ogni separazione reale è fuorviante e mortale: è come una vi-
visezione.
Non è possibile infatti contrapporre l'impegno religioso all'im-
pegno apostolico. Sarebbe solo una reale forzatura della prassi.
Così è pure risibile opporre lo spirito apostolico alla serietà pro-
fessionale, come se fossero qualità inconciliabili e separate nell'in-
dividuo. È vero, possono essere separate nella realtà e venire vis-
sute in modo schizofrenico. Ma non è pensabile nell'unità della
persona discriminare la loro uguale importanza.
Nel caso ad esempio dei credenti, siano educatori o medici o
assistenti sociali o altro, I'aspetto professionale appartiene in tal
modo al carattere apostolico, che non può dirsi buon apostolo chi
non tende ad essere un buon professionista. Ciò significa che la
competenza educativa non è trascurabile o dispensabile quando
si parli dell'animazione pastorale.
Ma se è vero che questi aspetti si richiamano e finalmente devono
fondersi facendo la ricca unità dalla persona educatore-apostolo, è
altrettanto vero che l'uno non proviene e non è sostituibile dall'al-
tro, per cui ciascuno va esplicitamente curato, sebbene non in ma-
niera staccata. Da una buona condotta umana o da una profonda
fede infatti non proviene la capacità e tanto meno la competenza di
educare i giovani. L'animazione è una prassi orientata da princì-
pi, ma giudicata e corretta dagli effetti reali. Cio vuol dire che non
punta solo a insegnare le <<verità», ma persegue la trasformazio-
ne della realtà; che non è solo esortazione, ma azione che usa stru-
menti e procedimenti adeguati; che le metodologie di analisi e di
intervento non sono secondarie né trascurabili, ma coessenziali.
Nell'animazione pastorale di una comunità sono ulteriormen-
te rilevanti alcune considerazioni.
179

19.2 Page 182

▲back to top
Cominciamo dagli obiettivi dell'animazione. St che cosa si de-
ve puntare per animare una comunità? Poiché se gli obiettivi sono
troppo settoriali, non servono; se sono esterni alla persona e non
la toccano, gli effetti si esauriscono presto; se sono troppo teorici,
astratti o eccessivamente «ideali>>, si percepirà che gli stimoli so-
no Cilettevoli all'orecchio o anche al pensiero, ma non trovano ag-
gancio con la realtà, creando un certo scollamento tra l'enuncia-
zione del momento e la pratica nel quotidiano.
Ma allora in che cosa impegnare energia, tempo e sforzi di ani-
mazione nell'esplicitare gli obiettivi da raggiungere?
Si possono enucleare cinque gruppi di obiettivi, che vanno dal-
l'interiorità della persona al piano concreto di azione.
Il primo sta nell'aiutare le persone ad approfondire I'identità
vocazionale in tutti gli aspetti. Ciò corrisponde a quello che nello
sport viene detto «assicurare le condizioni generali dell'atleta».
Nelle ultime Olimpiadi c'è stato un contendente che deteneva un
record mondiale di velocità. Ma durante la corsa è crollato per pro-
blemi di respirazione. A niente è valso l'esercizio per aumentare
la velocità se mancava la capacità di respirare. È inutile indicare
iniziative o fronti elevati a persone di fragile struttura spirituale,
che non si sentono bene con la propria identità e vocazione. Biso-
gna svegliare e caricare I'energia interiore, non tanto i meccani-
smi esterni. L'organismo non è fatto a settori e la sua debolezza
si ripercuote in tutte le sue funzioni e movimenti. È vero che dove
non c'è mistica non serve nemmeno la tecnica.
Il secondo gruppo di obiettivi riguarda il montenere vivo la ca-
rità e il senso pastorale. Il senso pastorale ci fa scorgere e inter-
pretare le situazioni e gli eventi dal punto di vista della salvezza
dell'uomo, e ci aiuta a vedere l'azione salvifica di Dio nel mondo.
La carità pastorale è amore di Dio e dei fratelli che ci spinge a in-
tervenire come collaboratori nell'opera salvifica del Signore nella
storia.
Nel terzo gruppo si trovano gli obiettivi che sollecitano a moti-
vare e rivisitare scelte personoli tipiche: per esempio Ia scelta gio-
vanile, la scelta evangelizzatrice-educatrice, il valore di queste scelte
nel loro insieme e di ciascuna. Chi dimentica i motivi e la valenza
di tali scelte, chi non le vive nel loro significato spirituale e apo-
180

19.3 Page 183

▲back to top
stolico, a un certo momento non può che perdere quota e sentire
come peso quello che era stato previsto come sostegno.
Pir) concretamente, il quarto gruppo di obiettivi si riferisce al-
l'aspetto operotivo. Nell'animazione non si tratta solo di fornire
un bagaglio di idee, ma di inserire a poco a poco in una prassi,
che insegna a stabilire rapporti educativi, ad animare gruppi e or-
ganizzare ambienti, a partecipare e a essere protagonisti di inizia-
tive ricreative, culturali e religiose, a dare alle situazioni giovanili
risposte reali.
Questo criterio può assumere nel momento attuale connotati
differenti. Oggi è fondamentale riflettere sulla propria azione, im-
parare a sviluppare un quadro di riferimento anche teorico o co-
munque illuminante. Tuttavia il maggiore spazio dato alla rifles-
.:. sione deve essere un arricchimento e non una sostituzione dell'im-
pegno pratico. E indispensabile oggi sviluppare insieme alle idee
proposte le abilità operative corrispondenti.
Infine, il quinto gruppo di obiettivi coinvolge attivamente in
piani concreti di azione.
È importante immergersi in un ambiente dove le idee e le pro-
poste prendono corpo visibile, dove i ruoli e le qualifiche funzio-
nano; dove i discorsi pastorali e formativi vengono sottomessi al-
la prova.
Questi cinque gruppi di obiettivi partono dall'attenzione all'u-
nità della persona, passano attraverso la promozione e lo svilup-
po delle capacità operative, e giungono sino alla sua ubicazione
in un programma.
Gli obiettivi sono importanti: si esplicitano, perché segnano l'o-
rientamento nell'impiego delle forze. Se ci si fermasse a indicare
solo azioni da compiere o tecniche da usare, senza motivare in pro-
fondità, si produrrebbe soltanto una certa <<agitazione>», che so-
miglia all'agire pastorale come un frutto di cera somiglia a quello
naturale.
Se si enunciassero idee o provocassero entusiasmi senza preoc-
cuparsi di una loro traduzione operativa, si darebbe l'impressione
che operiamo a due livelli separati: quello delle idee che non ser-
vono per il quotidiano, e quello della realtà che non viene mai as-
sunta nelle direttive.
181

19.4 Page 184

▲back to top
Ma oltre agli obiettivi, nell'animazione di una comunità influi-
scono molto le decisioni autorevoli.
Quando si enuncia un'idea o si indica un,azione condivisa dal-
la comunità educativa, ma poi non seguono decisioni necessarie,
si corre il reale rischio della confusione e del disorientamento: cia-
scuno intraprende la sua strada senza preoccuparsi del cammino
da compiere insieme.
Se invece le persone interessate vengono fatte partecipi delle de-
cisioni attraverso la condivisione dei motivi, non solo si risolve una
questione pratica, ma cresce il coinvolgimento, l,appartenenza e
la partecipazione alla vita dell'insieme.
In questo la carta vincente è la comunicazione. poiché la pa-
storale è un'azione comunitaria con fini o interventi condivisi e
non soltanto la somma di azioni individuali, essa richiede un si-
stema di comunicazione. Quanto viene elaborato deve circorare tra
tutti coloro che sono interessati, arrivare all'attuazione pratica e
ritornare verificato al punto di partenza.
A volte ci sono magazzini di idee e di proposte; mancano però
la consegna o i canali di comunicazione: è problema di linguag-
gio, di riferimenti concreti, di chiarezza di funzioni.
5. GLI ANIMATORI PASTORALI
La r ealizzazione dell' animazione pastorale suppone l' esistenza
di animatori: una figura che non nasce spontaneamente dal grup-
po, e nella quale la preparazione professionale ha un suo peso par-
ticolare.
Una definizione assodata presenta I,animatore come un «tec-
nico militante». Dei due termini nessuno è superfluo. «Militan-
te» esprime che I'animatore è personalmente convinto dei varori
che propone e desideroso di diffonderli: non è dunque una perso-
na indifferente o distaccata dal senso e dalla quarità di vita verso
cui anima. « Tecnico >> aggiunge che è professionista: una persona
di una certa competenzaper la comunicazione, la formazione del-
Ia comunità, I'accompagnamento di persone, lo svolgimento di pia-
ni comuni.
182

19.5 Page 185

▲back to top
La definizione quadra anche in campo pastorale, perché i due
termini corrispondono nella sostanza e in analogia, anche se non
nelle sfumature" ad altre due assai familiari: l'apostolo e l'educa-
tore.
L'animatore è un apostolo che sente e vive profondamente quel-
lo che sta proponendo e che vuole comunicare; ma è un educatore
qualificato, che fa attenzione alla forma più propria ed efficace
di comunicare, di coinvolgere, di toccare i nuclei più profondi della
persona, di far partecipare.
Per quanti hanno il compito di animare la pastorale sono deci-
sivi alcuni atteggiamenti.
Anzitutto l'animatore pastorale abbia la coscienza di essere col-
laboratore in un'impresa che lo supera e il cui protagonista è il
Signore.
Non tutto in pastorale può essere suggerito o progettato' come
nemmeno c'è da pensare che quanto più si improvvisa tanto più
è presente lo Spirito. Bisogna essere preparati all'imprevedibile,
sapere che non tutto è calcolabile, che siamo strumenti e mediato-
ri, che chi opera la salvezza è il Signore. Questo mantiene viva Ia
speranza e ci la ragione del senso di inadeguatezza che accom-
pagna il nostro agire: lasalvezza è possibile solo al Signore. Nello
stesso tempo siamo mossi a metterci in comunicazione con le sue
intenzioni e i suoi piani, a « seguirlo »> secondo i segni che ci offre.
È indispensabile poi sviluppare la capacità di mediare attenta-
mente e con pazienza. L'animatore non è una persona chiamata
arealizzare piani propri, forse a lungo sognati; è chiamata a me-
diare tra diversi membri della comunità, tra i diversi progetti, tra
le istanze ideali e le situazioni concrete. Ciò vuol dire essere al ser-
vizio della comunità. E d'altra parte, se non ha nessuna proposta
da fare si favorisce la dispersione. Generalmente, in una comuni-
tà, da molte briciole di ispirazione dopo qualche tempo matura
un progetto comune. L'abilità del mediatore è di riuscire a racco-
gliere queste briciole di progettualità, di organizzarle, di svilup-
parle in modo che non si perda niente, si condivida quello che è
assodato, si spinga alla creatività di fronte alle nuove domande.
Collegato alla capacità di mediare è il senso del tempo dei pro-
cessi pastorali. Sovente i tempi di maturazione e di compimento
183

19.6 Page 186

▲back to top
non sono prevedibili. Bisogna calcolare che la sola diffusione di
un'idea, dal momento in cui viene concepita fino al momento in
cui diviene patrimonio comune di una comunità, esige «tempi lun-
ghi». Se poi si tratta di attuarla con risultati reali e visibili biso-
gna allungare ulteriormente i tempi. A tale proposito il modello
evangelico è quello del grano che viene seminato: il tempo di ger-
minazione non si può ridurre artificialmente.
In pastorale bisogna aver chiaro che di alcune realtà stiamo get-
tando semi i cui frutti non raccoglieremo, così come spesso si rac-
colgono i frutti della semina di chi ci ha preceduto.
Un'ulteriore sensibilità sta nella professionalità, cioè nell'ac-
curato svolgimento del proprio compito, non come fatto aggiun-
to, ma come atteggiamento profondo di servizio.
È l'uso della ragione come uno degli atteggiamenti fondamen-
tali, che dice valutazione calma delle possibilità, preparazione pun-
tuale delle proposte, studio delle situazioni, svolgimento accurato
del servizio.
E infine c'è l'ascesi della comunicazione personale. In pochi
casi è qualità naturale, nei più è invece atteggiamento coltivato.
Si tratta di ascesi perché richiede «l'esercizio»», e l'esercizio <<spi-
rituale»» in vista della perfezione della carità.
Infatti per comunicare è necessario lo sforzo di chiarimento,
di trasparenza, di saper andare verso gli altri con tutto quello che
si ha, senza nascondere ciò che è possibile condividere e senza ma-
scherare i propri vuoti. Non c'è da confondere la comunicazione
col molto parlare: potrebbe avvenire che, dopo aver parlato pa-
recchio, non si sia comunicato che assai poco. Non si è ascoltato
e non si è detto quello che conta o non si è parlato in modo da
predisporre l'interlocutore all'acco glienza, alla collaborazione cri-
tica, alla accettazione.
L'ascesi della comunicazione ci vuole soprattutto quando si co-
munica qualche realtà che ci supera, e sopraggiunge spesso il si-
lenzio, l'incapacità di esprimere e di arrivare all'altro: perché in
pastorale non si comunica qualche cosa, bensì comunichiamo
«Qualcuno» che sentiamo operare in noi e tra noi.
t84

19.7 Page 187

▲back to top
Capitolo quinto
IL LAICO NELLA COMUNITA
EDUCATIVA PASTORALE
La quantità di orientamenti prodotti negli ultimi anni per apri-
re ai laici uno spazio adeguato in tutti i campi dell'attività eccle-
siale non ha uguale in nessun periodo precedente.
Dei sedici documenti del Concilio Vaticano I[, soltanto due non
affrontano in qualche modo il tema. In tre di essi si trovano svi-
luppi sistematici che ancora oggi leggiamo con ammirazione, per
la novità delle prospettive e lachiarezzadell'impostazione: si trat-
ta delle due Costituzioni sulla Chiesa e del Decreto sull'Apostola-
to dei laici. Da allora la produzione di documenti e studi non è
cessata, fino a raggiungere il suo culmine nel Sinodo dei Vescovi
del 1987 e la conseguente esortazione «Christifideles Laici».
Chi legge in ordine cronologico tale documentazione ha l'im-
pressione di una ricorrente ripresa, arricchita, dei diversi conte-
nuti sino all'analisi di situazioni nuove che interpellano oggi con
forzala testimonianza e l'intervento dei laici cristiani: la novità pro-
vocante proviene dal mondo e il vigore della verità sta nella dottrina.
Ma il problema vero che si impone oggi sta nel creare una prassi
ecclesiale conforme alle dichiarazioni. Di questo si fa eco la stessa
esortazione « Christifideles Laici In »>: << realtà, la sfida che i Padri
sinodali hanno accolto è stata quella di individuare le strade con-
crete perché la splendida "teoria" sul laicato espressa dal Conci-
lio possa diventare un'autentica "prassi" ecclesiale» (ChL 2).
Non si può negare che in questo tempo è aumentata la coscien-
za della vocazione laicale e si sono decantate e diffuse molte con-
vinzioni, sebbene non sempre ugualmente fondate. A volte si è pro-
ceduto sotto la spinta dell'esigenza di reperire operatori, più che
guidati da mentalità ecclesiale attenta alla diversità e complemen-
tarità delle vocazioni.
185

19.8 Page 188

▲back to top
Oggi però i laici non sono più considerati oggetto di sola atten-
zione pastorale, ma soggetti attivi nella missione della Chiesa. Si
è consapevoli che essi non costituiscono le << forze ausiliarie », ma
che sono «Chiesa»> con Io stesso titolo e diritto dei sacerdoti e re-
ligiosi. Tentativi e anche esempi di partecipazione nell'animazio-
ne della comunità e nella missione della Chiesa sono presenti, in
diversa misura, qua e là.
Ma ci si domanda: tutto questo costituisce una « prassi »?
1. UNA PRASSI DAL VOLTO NUOVO PER IL LAICATO
La prassi comprende le relazioni all'interno della comunità, la
forma di governo, i modelli di presenza e azione cristiana nel mondo.
È proprio in questi tre campi che l'applicazione delle molte di-
chiarazioni appare frammentaria, discontinua e insufficiente, la-
sciata a iniziative individuali. Essa presenta le caratteristiche di una
sperimentazione con momenti di entusiasmo e speranza, ma an-
che di stanchezza e disinteresse per le repentine interruzioni o la
mancanza degli sviluppi sperati.
Il laico si sente a disagio in particolare di fronte a due fenomeni.
II primo è una specie di distanza anormale tra il suo sforzo di
essere cristiano e la vita della comunità cristiana, di dissociazione
tra la fede personale, che deve esprimersi nel mondo, e la rifles-
sione maturata a livello ecclesiale. La Chiesa viene accettata nella
sua realtà religiosa e sociale, e tuttavia l'appartenenza profonda
ad essa è spesso professata con riserva. Di consegtJenza, il cristia-
no elabora la sua fede prevalentemente in forma privata e indivi-
duale, senza poter dialogare nella Chiesa a proposito degli inter-
rogativi più seri che suscita il suo vivere nel mondo.
Il secondo fenomeno sta alla base ed è anche conseguenza del
precedente: si tratta del tipo di relazione, sempre corretta e cor-
diale, ma non complementare tra clero e laici. Non si parla evi-
dentemente di chi segue le proprie « pratiche cristiane>», o delle élites
che vivono a stretto contatto con le sedi ecclesiali, ma piuttosto
di quanti sono immersi nelle problematiche sociali, politiche e cul-
turali dei diversi campi dell'attività umana.
r86

19.9 Page 189

▲back to top
Si incontra una certa difficoltà a sintonizzare laici e clero per
quanto concerne l'analisi di situazioni umane, principi per solu-
zioni concrete: ognuno sembra trasmettere su frequenze e in lin-
gue differenti.
Per captare e comprendere questi due fenomeni non sono evi-
dentemente luoghi adatti o decisivi le « feste patronali »», i conve-
gni o le grandi manifestazioni religiose: è invece la predicazione
ordinaria che provoca una discussione silenziosa tra coscienza cre-
dente e dottrina autorevole proposta.
Alla coscienza credente, immersa in situazioni concrete, la pre-
dicazione appare sovente generica, precettiva, ripetitiva, preten-
ziosa in ciò che è dottrinale, con silenzi incomprensibili su quelle
che sono le difficoltà reali e le soluzioni possibili; sembra a una
distanza incolmabile dalla vita, non rispondendo a interrogativi
scottanti e non riuscendo a dare risposte praticabili. La rottura tra
fede e cultura si traduce in estraneità tra annuncio evangelico e
vita quotidiana.
La relazione tra clero e laicato non è per nulla situata a livello
ideale di comunicazione, in modo da contribuire sapientemente a
interpretare insieme la vita cristiana. Una parte dei sacerdoti si ras-
segna o si ritira di fronte ai problemi più gravi; i laici non vedono
con chiarezza il modo di elaborare nella società attuale una opzio-
ne cristiana: anche se ciò non diminuisce Ia collaborazione ami-
chevole e sincera.
Non si puo allora non essere d'accordo con l'affermazione di
una pratica dissonanza tra teoria e prassi riguardo alla presenza
attiva dei laici nella Chiesa (ChL 2).Di strada certo ne è stata fat-
ta; tuttavia c'è ancora da costruire una reale prassi ecclesiale.
Ma quali i criteri e le vie per raggiungerla?
2. L'IMPOSTAZIONE CORRBTTA DELLA QUESTIONE
Del << posto »> che spetta al laicato nella Chiesa si parla da alme-
no sessant'anni. L'ottica non è stata sempre la stessa, sebbene l'in-
tuizione fosse identica.
187

19.10 Page 190

▲back to top
2.1. Teologia del laicato
Negli anni Cinquanta l'asse della riflessione è «la teologia del
laicato». Si tratta del tentativo di scoprire e definire lo specifico
del laico, cio che costituisce la sua identità e pertanto la sua diver-
sità.
L'apporto, di cui ancora oggi si beneficia, sta nella presenta-
zione di tale identità in senso positivo e non con negazioni come
era awenuto in precedenza.Il laico smette di essere colui che « non
è» sacerdote o religioso: è finalmente colui che vive la sua voca-
zione cristiana nella condizione del mondo e della storia umana.
Questa impostazione tuttavia ha creato negli anni una certa po-
larità tra laicato e clero.
Partendo da una parte (teologia del laicato) più che dal tutto,
si definisce in forma isolata la laicità, attribuendole, spesso con
esclusività luoghi, temi, fenomeni storici. La prassi si orienta così
a determinare azioni, spazi, incarichi << riservati » e « dovuti » ai laici
dove la presenza dei sacerdoti sembra un'usurpazione.
La divisione profano-sacro, secolare-ecclesiale, laicale-mini-
steriale regna indisturbata.
2.2. I ministeri
ln un periodo successivo viene giocata la carta dei « ministeri »
ecclesiali. Si pensa che, incorporando sistematicamente i laici nel
servizio liturgico-catechistico, si possa generare una prassi adeguata.
In verità qualche espressione del Concilio, l'esperienza di talune
Chiese e soprattutto il documento «Ministeria quaedam» (1972)
potevano essere interpretate, e conseguentemente spingere, in si-
mile direzione. Anche questa esperienza lascia un segno positivo
nella ricerca, e non è difficile constatarlo oggi. Ma la sua onda
espansiva si sta ora attenuando, e in particolare non sembra abbia
dato origine alla prassi laicale desiderata. Punti dottrinali non erano
sufficientemente chiari e, soprattutto, la pratica ha mostrato al-
cuni limiti che la ChL mette in rilievo (cf 23'1.
Siccome la gran parte dei ministeri sono rivolti ai fedeli, la << pro-
mozione>> del laico è vista come limitata nell'ambito della comu-
188

20 Pages 191-200

▲back to top

20.1 Page 191

▲back to top
nità ecclesiale, con una certa clericalizzazione del suo servizio: cre-
scono i lettori, i ministri dell'Eucaristia, i catechisti. Proposte di
ministeri « secolari >>, al contrario, non prosperano molto. Questo
avveniva allorché si stavano verificando notevoli trasformazioni
nella società e nella cultura: così ha la meglio la «diaspora» dei
cristiani in entrambe, dove in precedenza esisteva una loro pre-
senza visibile e solidale.
2.3. Yita cristiana
Oggi ta riflessione va più in profondità. Si passa dall'esposi-
zione della dottrina alla considerazione della «vita cristiana»>, e
dalla vita cristiana nella Chiesa, luogo della sua nascita e del suo
nutrimento, alla vita cristiana nel mondo, spazio privilegiato in
cui si manifesta la sua peculiarità.
All'interno di tale impostazione di fondo viene messo in rilie-
vo, con maggiore chiarezza, chi è il laico e quale sia il suo apporto
alla storia umana e alla comunità ecclesiale.
La questione del laico si rivela dunque semplicemente quale que-
stione del cristiano. Rispondere alla domanda chi è e che cosa de-
ve fare un laico equivale a chiarire che cosa significa essere cristia-
no, non in generale o secondo la risposta scontata del catechismo,
bensì qui e ora in riferimento agli interrogativi che il mondo pone
alla coscienza cristiana: che cosa comporta essere << cristiano » nel
mondo attuale, quale visione della realtà lo ispira e quale ottica
originale assume di fronte ai problemi; come si configura la sua
vita oggi per essere segno nel pluralismo e nella libertà tipici della
modernità, e quale relazione intercorre tra chi accoglie la fede nelle
più diverse misure e la comunità-istituzione ecclesiale.
Tutto questo prima era dato per scontato. Sembrava superfluo
indugiare nel tentativo di determinarlo. Se ne conosceva la rispo-
sta per tradizione familiare, dal contesto sociale, dal catechismo
parrocchiale. Risultava perciò importante specificare che cosa po-
teva fare un laico all'interno dell'organizzazione ecclesiale e quale
funzione aveva questa nel mondo. Ci sono stati periodi in cui l'at-
tribuzione di spazi era minima, e altri invece in cui era piir genero-
sa. Ma il punto di partenza per la riflessione era sempre lo stesso:
189

20.2 Page 192

▲back to top
descrivere lo scenario intraecclesiale in cui aveva principalmente
Iuogo la pratica cristiana.
2.4. Sale e luce
Nella società odierna il definire il cristiano « sale della terra e
luce del mondo» diviene, al contrario, un'esigenza del contesto
e una necessità della coscienza credente, proponendo in tal modo
un diverso punto di partenza e di arrivo. Il laico cristiano infatti
non può essere definito per Ia sua relazione con il sacerdote o per
la sua differenza nell'istituzione ecclesiale: è la sua configurazio-
ne profonda con Cristo, il suo stile di vita nel mondo che gli con-
ferisce l'originalità peculiare. Questo costituisce la forza della sua
<<profezia», il principio della sua «regalità»>, l'esercizio del suo
<< sacerdozio >>.
All'<<essere cristiano nel mondo» si collega un altro elemento
che fonda una rinnovata impostazione della questione: la Chiesa
vista come mistero-comunione-missione, ripensata alla luce del-
I'evento di Cristo, Dio-Uomo e Uomo-Dio. Questo evento esem-
plare suggerisce una relazione unica tra la comunità cristiana e la
storia umana, tra il cristiano e il suo essere nel mondo. Sono due
realtà fuse e inseparabili, come lo sono l'umanità e la divinità in Cri-
sto, che soltanto lamente distingue per una migliore comprensione.
Si è cristiani assumendo quanto abbiamo di « mondano )) e se-
colare, a partire dal nostro corpo e intelligenza, dal nostro ambito
immediato e terreno. Il carattere storico, secolare, è una condi-
zione generale della Chiesa che vive e prospera nel mondo, quale
((segno e strumento>> di salvezza.
Si supera così la prospettiva ecclesiocentrica che porta a pen-
sare la definizione del laico a partire dalla sua diversa condizione
all'interno della Chiesa.
La questione si sposta su un altro versante di rilievo: la missio-
ne della Chiesa nel mondo e la corresponsabilità di ogni discepolo
di Cristo nella sua trasformazione.
Questo è propriamente ciò che è chiamatala rivoluzione co-
pernicana: il cambio di «fronte», il nuovo «allineamento>>, la fi-
ne della Chiesa « clericale ». Il problema fondamentale pratico del
190

20.3 Page 193

▲back to top
laico è anche il problema fondamentale del sacerdote e del religio-
so: come essere cristiano oggi. Perché questo non si definisce tan-
to per il ruolo che gli compete nell'istituzione o comunità, ma per
il suo significato salvifico nel mondo.
2.5. Nuovo riferimento
La rivoluzione copernicana non dice quindi una diversa dispo-
sizione delle persone per I'azione (in prima linea i laici e dietro il
clero), bensì un cambiare il punto di riferimento per tutto il siste-
ma ecclesiale: il mondo, la comunità degli uomini, cui è rivolto
l'annuncio di Cristo di cui la Chiesa è depositaria e testimone.
Quello di cui si avverte estremo bisogno è proprio una conce-
zione laicale della sequela di Cristo.
La spiritualità laica naviga ancora nel buio. I mondo si tra-
sforma sotto i suoi occhi. Lapredicazione non propone che criteri
generali. Il laico deve far fronte a situazioni e modelli di vita spes-
so lontani dai principi proclamati: basta pensare a quanto di nuo-
vo deve affrontare nella famiglia e nella coppia, nell'ambito eco-
nomico e nella società civile.
Del resto, questa è davvero la novità della ChL: il laico di fronte
alle grandi sfide che il mondo presenta al suo essere cristiano. Oggi
perciò I'elaborazione di una prassi deve imboccare la strada dell'at-
tenzione a quanto è originale dell'essere cristiano nel mondo: iden-
tità, stile, missione, posizione circa i grandi problemi, non dimenti-
cando quanto si è già maturato sul suo radicamento nella Chiesa.
E allora l'importante non è definire la « parte » che spetta al
laico o la differenza che lo limita, bensi l'interrogarsi in quali ter-
mini egli può dialogare con questo mondo, a quali condizioni di-
venta in esso fermento, qual è la luce che è chiamato a portare,
da che parte si pone di fronte ai grandi temi che toccano il destino
delle persone e dell'umanità.
Per la realizzazione di questo compito è certamente indispen-
sabile un ripensamento di relazioni dentro la Chiesa: il mutuo dia-
logo e l'interscambio dottrinale e spirituale divengono necessari;
la contrapposizione di ruoli o di spazi e le premature gerarchizza-
zioni di contributi sono inconcludenti.
Ma allora?
191

20.4 Page 194

▲back to top
3. UN BANCO DI PROVA: L'EDUCAZIONE
In termini generali l'educazione è il servizio incondizionato al-
la crescita della persona umana nella sua dimensione individuale
e sociale. Non è un <<recinto»> su cui Chiesa, società, Stato, fami-
glia, correnti culturali possano avanzare diritti principali o esclu-
sivi o lottizzabili, secondo il risultato di battaglie politiche.
L'educazione è terreno comune. Il diritto principale spetta alla
persona stessa: essa ha il diritto all'educazione e, a tempo oppor-
tuno, a scegliersi i contenuti emezzi per educarsi. Tutte le agenzie
educative sono chiamate a servirla nell'attenzione alla sua crescita
e non a disputarsela come cliente.
Si tratta infatti di educazione e non di proselitismo, di persua-
sione occulta, di condizionamento culturale, di socia\\zzaàone coer-
citiva o di semplice addestramento a un lavoro.
L'educazione suppone un dialogo tra le proposte che offrono
Ie diverse agenzie e persone portatrici di un'esperienza umana va-
lida e il soggetto che ascolta, sperimenta, discerne, interiorizza e
infine sceglie quanto gli è stato proposto, incorporandolo nella sua
esistenza personale.
Nel soggetto l'educazione è un processo complesso, accumula-
tivo e sintetico. Presenta diversi aspetti e riceve influenze da mol-
te fonti.
Nello sforzo di assumere la vita in tutta la sua ricchezza e po-
tenzialitàt,l'educazione non può evitare il problema dell'autoco-
scienza della persona, del senso della vita, della visione consape-
vole della realtà, dell'opzione per valori decisivi.
E questo è appunto l'ambito in cui si può e deve sviluppare il
dialogo tra la Chiesa e la comunità umana.
La Chiesa si sente portatrice di una grazia e di un'esperienza
che << salva >> la persona, non malgrado il suo essere terreno e uma-
no, ma proprio in tale condizione. Propone una dottrina non per
sottomettere, ma per illuminare il cammino. Rivolge Ia sua atten-
zione anche di critica profetica alle strutture politiche e alle cor-
renti culturali, ma Io fa sotto il profilo e in vista della dignità e
del destino dell'uomo che conosce a fondo in Cristo.
Oggetto immediato del dialogo sono i più svariati problemi o
192

20.5 Page 195

▲back to top
situazioni, ma il tema di fondo e il criterio di soluzione sta sempre
nella salvezza delle persone come tali.
Per questo la Chiesa, chiamata « educatrice dell'uomo >», riven-
dica con costarrza il suo diritto a educare, cioè a prestare alla per-
sona il servizio dell'illuminazione e della rivelazione.
Sarebbe tuttavia del tutto fuori posto pensare che la Chiesa da
sola o isolata riassuma tutto quanto l'umanità ha elaborato per
l'educazione. Attorno alla persona si impegnano molti di coloro
che pretendono o intendono di esserle di aiuto a orientarsi e svi-
lupparsi. E la persona risponde, a proprio bene o a proprio male,
seguendo o non seguendo quello che le è proposto. Ciascuno vuo-
le concorrere, ma la scelta in definitiva è della persona.
Oggi più che mai infatti conservare o abbandonare lo stile di
vita e la coscienza tipici del << cristianesimo » sono considerati « op-
zioni >> di fronte al quesito di come essere pienamente persona. Lo
si percepisce soprattutto nel campo dell'etica e della libertà politi-
ca e sociale. L'uomo e la sua piena maturazione sono temi centrali.
Non è difficile seguire questo filone in tutto il ministero di Gio-
vanni Paolo II. Lo si scopre in formulazioni esplicite e lapidarie:
l'uomo è il cammino concreto della Chiesa. Lo si ritrova in tutti
i discorsi, sia che si riferiscano alla salvezza <<eterna>>, sia che trat-
tino specificamente di un impegno temporale.
L'educazione è il terreno di incontro più significativo e più fe-
condo tra storia umana ed esperienzacristiana. dove possono ap-
parire con evidenza convergenze o contrapposizioni.
4. UN LABORATORIO PER LA PRASSI ECCLESIALE:
LA COMUNITÀ EDUCATIYA
Se l'educazione in generale è il terreno sperimentale del dialo-
go tra storia umana e coscienza cristiana, le comunità educative
rappresentano il laboratorio in cui si può creare e provare un mo-
dello di azione-riflessione per fare sintesi tra le due istanze.
In esse infatti la preoccupazione dominante non sta nel comu-
nicare la scienza o nel convertire a una «religione», neppure nel
caso che siano apertamente « confessionali ». L'attenzione va alla
193

20.6 Page 196

▲back to top
persona cui vengono offerte le prospettive religiose e il sapere scien-
tifico come risorse per la sua crescita integrale.
Cio significa che la comunità educativa deve assumere gli
interrogativi che Ia persona si pone, per cercare in collaborazione
risposte accettabili; in una parola, implica mettere in atto pro-
cessi di formazione che partono dalle sfide della vita, e parte-
cipare attivamente in un impegno di orientamento assunto co-
me missione.
Formazione e partecipazione sono i nodi più sottolineati nella
recente riflessione ecclesiale: sono quelli piu richiesti dai laici, di
maggiore impegno per i pastori, che più influiscono su tutti gli al-
tri aspetti.
In questo momento storico la formazione tende a monopoliz-
zare l'attenzione: I'insistenza su di essa oscura o pone su un se-
condo piano l'esigenza pure avvertita di partecipazione.
Corre pertanto il rischio di non essere libera da ambiguità
che si risolvono in forme di individualismo e separatezza dai con-
testi e dalle situazioni reali. La comunità educativa possiede I'in-
vidiabile opportunità di fondere le due istanze in un unico pro-
cesso.
Indicazioni di contenuti e motivi per Ia formazione del laico
non mancano, anzi abbondano. Mancano invece comunicazione
efficace, operatori disponibili, strutture adeguate. Ci sono tutti gli
elementi dottrinali; sono carenti gli elementi operativi.
Pensare alla formazione dei laici in termini operativi significa
identificare alcuni obiettivi, formulare criteri, creare condizioni per
assicurare un cammino di crescita; vuol dire selezionare alcuni con-
tenuti e prevedere tempi e strumenti di cui si puo disporre; signifi-
ca fare tutto ciò oggetto di una decisione politica, perché la for-
mazione venga vissuta, in modo generale, continuo e univoco, nei
diversi luoghi della pastorale.
La vita della comunità educativa dispone non solo di incontri
interessanti, ma anche di una rete di relazioni che facilitano la co-
municazione. Inoltre, Ia stessa attività educativa porta verso i te-
mi piu scottanti della fede. Conviene perciò studiare a fondo le
possibilità che offre.
194

20.7 Page 197

▲back to top
5. FOR§{AZIONE MEDIANTE CORRESPONSABILITÀ
Gli obiettivi che una o più comunità educative possono pro-
porsi nella formazione dei laici si pongono a due livelli.
Alcuni si riferiscono al gruppo dirigente o responsabile. In pri-
mo luogo bisogna riformulare i compiti e le funzioni rafforzando
quelli di animazione, orientamento e formazione. Questo mette
alla base della conduzione educativa la qualificazione continua degli
adulti, più che l'esecuzione abitudinaria di adempimenti.
La reimpostaziole dei compiti secondo nuove esigenze e pro-
spettive è un criterio comune oggi, nell'orgaruzzaaone dei vari cam-
pi d'azione. Ci sono ruoli che nascono e altri che si esauriscono;
settori che diminuiscono e altri che crescono. D'altra parte gli stessi
apostoli, gravati da impegni secondari, idearono, ispirati dallo Spi-
rito Santo, l'istituzione dei diaconi, riservando così il proprio tempo
per dedicarsi «alla preghiera e alla parola».
Riformulata la funzione di chi dirige, occorre elaborare una
prassi comunitaria di formazione delle persone: i diversi momenti
e le modalità vengono coordinati sino a costituire un << sistema »>
praticabile.
Nei documenti si pecca generalmente di massimalismo. Non è
un male presentare mete ambiziose, ma è necessario anche saper
indicare una strada percorribile e graduale. lnoltre la formazione
non si attua principalmente in « tempi speciali »; si fa formazione
in particolare nel lavoro ordinario, nella pratica della correspon-
sabilità. Il «sistema» formativo è costituito da una serie di mo-
menti ordinari di programmazione, discussione e valutazione, poi-
ché in essi si realizza la qualità delle relazioni personali e della strut-
tura educativa.
I criteri che si maturano assieme, le modalità di interscambio,
i contributi che si ascoltano e si offrono sono autentiche «lezio-
ni» formative per la comunità.
Ma oltre a questo che costituisce la base quotidiana del siste-
ma formativo, sono da proporre incontri periodici, quali momen-
ti di sintesi, di socializzazione, di interiorizzazione, che hanno va-
lore nella misura in cui la vita quotidiana della comunità educati-
va li fa desiderare e ne coltiva i risultati.
195

20.8 Page 198

▲back to top
Tale « sistema>> formativo non si inventa a priori, ma è da co-
struire come prassi condivisa.
La riformulazione dei compiti direttivi e l'abilitazione del gruppo
d'animazione permettono di raggiungere alcune mete con ciascun
membro della comunità educativa.
La prima sta nel far rivivere la vocazione di « educatori » e di
«educatori cristiani». I due termini vanno esplicitati in <<circola-
rità»>, non in opposizione o in contrasto. Un educatore cristiano
è un credente che testimonia ed evangelizza operando nel campo
della promozione della persona e dei gruppi sociali. Proprio que-
sto servizio alla persona è lo « spazio » in cui interagiscono e si pro-
vocano dialetticamente la cultura e la fede. [n un momento di de-
cadenza di tutte le concezioni rigide etotalizzanti, il confronto co-
stante si impone come criterio e metodo.
Una seconda meta consiste nel motivare e abituare a operare
comunitariamente, attraverso il coinvolgimento convinto in un co-
mune progetto. Tutti sono chiamati a formarsi insieme: non esi-
ste divisione di lavoro, come se qualcuno avesse il compito di for-
mare e altri di essere formati. Si tratta invece di uno scambio reci-
proco di sensibilità, intuizioni, testimonianze e contributi: si cre-
sce nel contatto e nel dialogo con gli altri per realizzare un proget-
to comune.
Laformazione si realizza così nella corresponsabilità: è questa
a suggerire nuove esigenze di identità e appartenenza.
Il quadro ideale che orienta la formazione in modo sistematico
e continuo è il progetto educativo pastorale: è la base di intesa,
il codice di collaborazione, il testo di approfondimento. E l'am-
biente in cui hanno luogo i processi di comunicazione è la comu-
nità educativa.
CONCLUSIONE
Che cosa può maturare il laico in un processo di comunicazio-
ne e partecipazione che si svolge dentro e non accanto alla attività
educativa e pastorale?
In primo luogo una riflessione coerente, di tipo educativo, os-
196

20.9 Page 199

▲back to top
sia che riguarda la crescita della persona, sui dati della cultura.
Dovendo essere trasmessa ai giovani una visione della realtà sotto
forma di conoscenza, di valori, di stile di vita, gli educatori che
progettano e operano comunitariamente imparano a discernere nella
praisi i fenomeni che influiscono sulla coscienza e sulla vita dei
giovani.
Insieme a questo, indispensabile per orientarsi nella comples-
sità attuale, il laico cristiano affina con gli altri la sua capacità pe-
dagogica. Un educatore credente è in particolare un « buon edu-
catore»: l,interesse per i giovani, il rapporto amichevole con essi,
lo sforzo per comunicare loro laricchezza della cultura, la discus-
sione dei problemi giovanili con i colleghi, producono una (( sa-
pienzapràtica» che rende capaci di orientare se stessi e gli altri.
Tuttavia l,originalità dei laici che operano nel campo educati-
vo sta nell'esperienza della fede, che testimoniano e comunicano
come la grande scoperta della loro vita. Tale testimonianza e co-
municazione trovano il loro senso pieno nella comunità, espres-
sione di Chiesa.
E infine, poiché tutto questo si realizza dentro un progetto e
una comunità che si aprono a realtà più vaste nella fede, essi sco-
prono di essere inseriti in correnti spirituali che vengono da lonta-
no, giungendo con ciò a vivere in intensità una autentica spiritualità.
r97

20.10 Page 200

▲back to top

21 Pages 201-210

▲back to top

21.1 Page 201

▲back to top
PARTE QUARTA
LE DIMENSIONI FONDAMENTALI
DEL PROGETTO EDUCATIYO

21.2 Page 202

▲back to top

21.3 Page 203

▲back to top
Capitolo Primo
EDUCARE OGGI:
MISSIONE IMPOSSIBILE?
Oggi conosciamo tutta una serie di verbi che si riferiscono al
migfiòiamento dell,essere umano: allevare, ammaestrare, assiste-
re, allenare, sviluppare, preparare. In una sequenza ancora piùr no-
bile usiamo: formare, socializzare, inculturare.
Nessuno di essi equivale esattamente a educare. Infatti, questo
li comprende tutti in misura relativa, e insieme li fonde in forma
peculiare poiché si colloca di fronte all'originalità della persona
e alle sue imprevedibili possibilità.
Educare non è il ripetersi in un altro essere, è piuttosto sogna-
re di trascendersi in esso. Per questo gli educatori leggono con in-
teresse, come se sentissero parlare di sé, racconti come la Storia
Infinita.
Soltanto I'uomo educa, come solo l'uomo crea e immagina'
Educare ed educarsi è la sola forma che fa crescere. Dio stesso,
proponendosi di salvare l'uomo e di elevarlo, sceglie la via dell'e-
àucazione: la sua proposta salvifica non raggiunge la persona, se
questa non la comprende e non vi risponde con libertà'
Educare è partecipare all'azione di Dio e collaborare con lui
allasalvezzadell'uomo. È una definizione reale che non viene smen-
tita nemmeno dal fatto che l'educazione sia stata talvolta strumen-
talizzataper fini meschini o ridotta a dimensione puramente oriz-
zontale.
1. DIO EDUCA L'UOMO
Chi legge anche rapidamente la Scrittura scopre che Dio non
chiede agli uomini soltanto o soprattutto atti religiosi, come la pre-
20t

21.4 Page 204

▲back to top
ghiera e il sacrificio. Li orienta invece assai più alla solidarietà so-
ciale, alla libertà politica, allo sviluppo dell'intelligenza, alla crea-
tività in tutte le sue forme.
Il suo modo di agire e i suoi interventi in favore del popolo so-
no descritti come una poideia: « Lo educò, si prese cura di lui, lo
creò, lo protesse come si fa con un bambino... gli insegnò a cam-
minare prendendolo per mano» (cf Os 1l).
L'azione educativa di Dio contempla la crescita progressiva e
l'apertura ragionevole, ma anche rotture improvvise con un pas-
sato esaurito, partetze repentine e utopiche verso nuove mete ap-
pena visibili. Dio non è un fanatico della ripetizione, preferisce
le awenture creative.
Sotto l'influsso di questa azione creativa di Dio la comunità
diventa educatrice. Un patrimonio di sapienza inizia ad accumu-
larsi nella memoria del popolo, nei suoi libri, nelle sue figure so-
ciali, nel culto, nelle abitudini familiari e nella vita politica.
Abbeverandosi a questa sorgente ispirata dall,alleanza con il
Signore e restando aperta al futuro, la persona si addentra nella
comprensione di se stessa e accetta con lucidità il suo destino. Viene
educata non primariamente osservando precetti cultuali, bensì ap-
prendendo la libertà e crescendo in umanità.
Nella pienezza dei tempi I'opera educatrice di Dio si manifesta
con maggiore chiarezza fino a rendersi massimamente visibile in
Gesù. Egli, immagine di Dio, si presenta come Maestro che con-
divide la vita dell'uomo. Oggetto principale del suo magistero è
il Regno che illumina con trasparenzalavocazione dell'uomo. per
una risposta libera, Gesù fa appello all'intelligenza e alla sensibi-
lità di quanti lo ascoltano. Per questo scava nel mistero della vita
umana e spiega il regno partendo dall'esperienza, le parabole.
La sua azione educativa diventa sistematica e quotidiana con
gli apostoli. Pian piano insegna loro a vedere con profondità i pro-
blemi fondamentali dell'uomo, facendo ricorso al senso critico di
fronte alle interpretazioni correnti sull'infermità, sui mali impre-
visti, sulla povertà. Li aiuta a essere comprensivi superando l,in-
tegrismo e Io zelo autoritario. Li fa passare da una mentalità ri-
stretta a una visione universale. Li rende pensosi sulla religione
vissuta come strumento di dominio.
202

21.5 Page 205

▲back to top
L'opera educatrice di Dio non finisce qui. San Paolo ne vede
la storia divisa in tre fasi che procedono dall'esterno all'interno.
Israele è anzitutto considerato come un bambino sotto il control-
lo di un pedagogo esterno: la legge. Questa gli mostra la via, ma
non gli iàrlu frrruper percorrerla, gli fornisce la configurazio-
ne dà conseguire. ia legge infatti non è la meta, la forma,
tantomeno lia vocazione dell'uomo. Il destino della persona inve-
ce sono l'amore e la libertà.
prevede poi una seconda fase. Nella pienezzadei tempi Dio man-
da suo Figlirc, in cui ci rivela la forma alla quale siamo destinati.
Tale forml è plasmata già dentro la nostra natura nell'evento di
Gesir e costituisce il nostro codice genetico per la grazia dell'ado-
zione. È dentro di noi e deve rivelarsi e svilupparsi'
Infine considera laterza fase: Gesù ci infonde lo spirito di fi-
gli. Lui, principio interiore ed energia di crescita, diventa nostro
ieaagogò
tn. ,pi"g.
e guida: è la legge interiore, dello Spirito e della libertà,
a modellarsi secondo la grandezza, la profondità e I'al-
tezza che appaiono evidenti in Cristo.
In questa prospettiva va letta la funzione educativa della Chie-
sa nel mondo. L'educazione dell'umanità non è una manifestazione
opzionale della carità, come può-essere dar da mangiare all'affa-
mato o dar ristoro al pellegrino. È it cuore stesso della sua missio-
ne. La Chiesa diviene la mediatrice dell'azione educativa di Dio,
la continuazione del magistero di Cristo, il segno della presenza
dello Spirito nell'uomo.
peréiO nella Chiesa tutto è educativo: e tende a dare all'uomo
coscienza del suo essere e del suo destino, a risvegliare energie di
costruzione, a scoprire quanto di buono, di nobile e di eterno ha
posto il Creatore in lui.
La Chiesa sosterrà sempre la continuità tra responsabilità ge-
nerativa, dovere di educare, apertura alla conoscenza di Dio, ini-
ziazione al mistero di cristo e vita secondo lo spirito, conforme
alla parola di san Paolo: <<Tutto quello che è vero, tutto quello
che è puro, tutto quello che è giusto, tutto quello che è santo, tut-
to quélo che è amabile, tutto quello che buona fama, tutto quel-
lo che è virtuoso o degno di lode, sia oggetto dei vostri pensieri»
(Fil 4,8).
203

21.6 Page 206

▲back to top
Numerosi saranno sempre nella Chiesa gli educatori del popo-
lo e non soltanto i ministri del culto o i predicatori di religione.
Tante persone si dedicheranno a fondare istituzioni educative per
tutte le classi sociali, e in ogni contesto culturale.
Molti religiosi si dedicheranno professionalmente afl'attività edu-
cativa, facendone l'espressione dell'opzione radicale per Dio: non
un aspetto giustapposto alla consacrazione religiosa, bensi un modo
singolare di esprimerla.
2. IL CENTRO DI ATTENZIONE
NEL COMPITO EDUCATIVO: LA PERSONA
Sono tre i riferimenti chiave nell,educazione: la persona, la cul-
tura, i valori. E difficile ipotizzare un progetto educativo senza
fare i conti con essi. Insieme costituiscono qualcosa di più unita-
rio di una semplice costellazione orientatrice. ognuno di questi ri-
ferimenti chiave suppone, implica, coinvolge gli altri e, a sua vol-
ta,ha un contenuto specifico. Perciò ciascuno è importante, ma
li si coglie singolarmente solo mettendoli in relazione vicendevole.
Il primo riferimento chiave è la persona. L,educazione non opera
come su una «cera molle» pronta a tutto. La persona porta den_
tro di sé, come codificata, la direzione verso il destino ultimo. Il
fallimento pedagogico di regimi politici che avevano collocato l'e-
ducazione dentro una camici a di forza, rivela che neanche tutta
lapotenza di uno stato poliziesco riesce a eliminare le esigenze iscrit-
te nella natura umana.
È importante, quindi, dirsi su quale visione d,uomo si basa lo
sforzo educativo. Grazie a questa prospettiva si eviterà innanzi-
tutto il rischio di pensare l'educazione in funzione di sistemi poli-
tici, di monopoli culturali o di necessità produttive; si impedirà
di adeguarla soltanto ai bisogni immediati degli individui e di chiu-
derla all'interno di angusti orizzonti.
La riflessione continua sulla realtà della persona umana aiute-
a superare una certa unilateralità che, in un modo o nell,altro,
caratterizza ancora oggi alcune tendenze educative. Talvolta, in
passato, si è insistito assai sull'assimilazione di « lezioni predispo-
204

21.7 Page 207

▲back to top
ste)), senza dare importanza al senso critico; oppure si è cercato
di modellare il comportamento dell'individuo mediante la ripeti-
zione di determinate azioni, trascurandone gli atteggiamenti.
Con i mutamenti in atto, oggi si coltivano le motivazioni, ma
talvolta si trascura l'acquisizione di un «abito>>; si sottolinea l'e-
sperienza di vita, ma si sottovaluta l'esigenza di una fondazione
ràzionale dei valori. L'insistenza sulla creatività rischia di elimi-
nare l,aspetto cognitivo organico; e la supervalorizzazione dell'a-
zione di distruggere la capacità di riflessione.
viviamo in tempi di flash, di impressioni forti e spesso unilate-
rali. A questo ci abituano imezzi di comunicazione e il ritmo del-
la nostra vita.
correnti economiche e culturali portano all'eccesso determinate
accentuazioni e mettono a dura prova la capacità professionale e
il buon senso dell'educatore, che deve imporsi una riflessione con-
tinua e rinnovata sulla persona: il suo essere e il suo contesto.
Ci sono varie forme di approccio alla persona quando si tratta
di precisare in cosa consiste il suo sviluppo integrale e armonico.
Alcuni ne enunciano le facoltà. Si parla dell'intelligenza che bi-
sogna formare con sufficienti conoscenze, con abitudini di ricerca
e riflessione, con attitudini di curiosità e interesse. Si allude alla
volontà che si sviluppa con la capacità decisionale, la costanza nei
propri impegni, la prontezza ad assumersi nuove responsabilità.
Ci si riferisce all'affettività che matura quando si stabiliscono rap-
porti sereni, personali, profondi, disponibiti con tutti. si pensa al-
i'operatività che si rafforza con la capacità di usare strumenti e
conoscenze per scopi precisi. Si include la corporeità, cioè l'atten-
zione del corpo a ciò che si riferisce alla salute, all'equilibrio fisi-
co, allo sviluppo delle capacità motrici, alla forza.
Altri preferiscono optare per il sistema delle relazioni in cui la
persona É necessariamente posta: con se stessa, con il mondo fisi-
co o natura, con gli altri, con il trascendente (Dio).
La relazione con si modella convenientemente quando si ha
coscienza del proprio essere, ci si accetta con serenità, si possiede
una giusta conoscenza di quanto accade nella propria persona, si
prospetta un progetto di vita e si ha fiducia nelle proprie capacità
per realizzarlo.
20s

21.8 Page 208

▲back to top
La giusta relazione con il mondo fisico si esprime nel rispetto
dell'ambiente e nella capacità di contemplazione, nella conoscen-
za e nell'uso corretto degli elementi naturali e nella volontà di tra-
sformarli.
La relazione con gli altri si presenta a diversi Iivelli: famiglia,
amici, comunità, società civile organizzata, storia umana. Richie-
de accettazione della dignità assoluta e defl'inviolabilità dell,altro,
autonomia, e capacità oblativa, inserimento sereno e positivo nel-
le realtà sociali, radicamento in una tradizione viva, valori zzazio-
ne del patrimonio culturale, senso di appartenenza.
Infine, la relazione con il trascendente comprende quello che
I'uomo avverte come mistero nella propria esistenza e nel mondo,
l'impulso a cercare un senso per il suo esistere, il porsi domande
fondamentali circa il proprio destino. chi riesce a dare un nome
a questo mistero parla di relazione con Dio.
Un altro modo di approccio alla persona è l,esame delle sue
domande o bisogni essenziali e circostanziali: di identità, di co-
munità, di gratificazione, di senso, di utopia, di esperien za, di
illuminazione o conoscenza. possono essere indicazioni per un
modello educativo, purché non ci si fermi aila mera soddisfa-
zione di bisogni immediati; devono invece essere interpretati co-
me segni per formulare proposte che superino la domanda spon_
tanea.
In questo tentativo di dire che cosa è la persona umana e come
si sviluppa, ci confrontiamo con la parora di Dio. Essa descrive
la persona come una creatura singolare ner complesso della crea-
zione, corpo e spirito, libera e responsabile, immagine e figlio di
Dio, in continua comunicazione con lui, in rapporto di solidarietà
e fraternità con gli uomini, signore del mondo fisico, destinato al-
Ia comunione con Dio. Sotto il profilo storico è abilitato a proget-
tare il suo destino umano ed elevato a nuova dignità per la Reden-
zione. Tuttavia porta i segni di una caduta che pesa sulla sua stra-
da: il peccato.
ognuno di questi approcci espricita qualcosa di particolare. L,e-
ducazione deve tenere in considerazione tutto questo e trasformarlo
in criteri pedagogici.
206

21.9 Page 209

▲back to top
3. LA CULTURA: ENERGIA, AMBIENTE'
MATERIA PRIMA DELL'EDUCAZIONE
La crescita della persona ha luogo nella cultura e da questa è
condizionata. un bambino europeo, che usa strumenti tecnici so-
fisticati, dispone di strutture educative, visita luoghi storici o arti-
stici e vive in un ambiente di benessere, cresce diversamente da un
suo coetaneo africano. Respirando un certo tipo di patrimonio cul-
turale, non soltanto si acquisiscono abilità, ma si forma anche una
visione del mondo e matura uno stile di essere persona'
L'educazione sistematica fa sì che la cultura non venga dimen-
ticatae non consista semplicemente in ripetizione, bensì sia un pro-
cesso accumulativo in cui quanto è acquisito viene trasmesso alle
nuove generazioni, preparando gli individui a valutare e ad aprire
vie ineiplorate. In tal modo la cultura non è soltanto ciò che cir-
conda persona. La penetra e si radica in essa come un dinami-
smo che ia spinge a evolvere verso il meglio servendosi della sua
intelligenza. In ial senso, oltre ad essere mezzo di educazione, è
anche risultato.
È fondamentale, quindi, chiarire quale cultura si offre, come
si aiuta ad assimilare il patrimonio culturale, come si insegna a
decodificarne e a rielaborarne i messaggi. A questo si giunge at-
traverso una maggiore consapev olezza dei condizionamenti che ci
sono nella trasmissione di modelli di vita e nei programmi e istitu-
zioni educative.
Per valutare la qualità della cultura ci si è riferiti a criteri di-
versi: l'essere e l'avere, la persona e le cose, l'etica e il potere, la
vita e la morte, la trascendenza e l'imm anerlza. Si potrebbe inven-
tarne altri, ma evidenzierebbero una medesima constatazione: la
cultura e i suoi singoli aspetti non sono neutri, sono orientati. Pe-
netrano silenziosamente nelle coscienze ed esaltano, e quasi con-
sacrano, valutazioni collettive circa i problemi fondamentali del-
l'uomo.
così le persone possono sentirsi come trascinate a mettere al
primo postò il possèsso dei beni materiali e a sottovalutare Ia di-
mensione più umana e spirituale dell'esistenza. La cultura dovrebbe
condurci ad amare la persona e ad usare le cose; ma può succede-
207

21.10 Page 210

▲back to top
re al contrario che quanto diciamo e viviamo ci porti ad amare
le cose e ad usare le persone, invertendo i termini.
Un'altra delle polarità enunciate evidenzia che la cultura odierna
è costantemente tentata di disporre il criterio etico al potere tecni-
co' economico o politico. I libri sono pieni di apologie del potere
delle armi, dei sistemi. Ci sono nella prassi modelli di educàrione
che si fondano sulla capacità di imporsi e prevalere.
Allo stesso modo, una sintesi culturale può portare alla cecità
o all'indifferenza di fronte al mistero, essere iireligiosa in senso
secolare, prima ancora che aconfessionale; mentre alire visioni cul-
turali alimentano la capacità di meravigliarsi, di porsi domande,
di sperare.
La cultura, quindi, non è esente da ambiguità: è un prodotto
umano. L'educazione ne discerne i contenuti e indaga la ielazione
da stabilire tra persona e cultura. Non la consegna in forma dog-
matica, bensì come un patrimonio di conoscenze e di esperienze
suscettibili di critiche, di trasformazioni, di nuovi contriùuti; co-
me una realtà che, rielaborata dal soggetto, lo aiuta a crescere co-
me persona. Questa diventa così non solo ricettore di cultura esi-
stente, ma anche giudice e soggetto attivo nefla sua evoluzione.
Ma perché ciò avvenga, occorre tenere in consider azione re ca-
ratteristiche attuali dell'elaborazione culturale. viviamo dentro una
cultura di massa- Mentre in altre epoche poche figure sociali (poe-
ti, sacerdoti, saggi, governanti) e istituzioni influivàno direttamente
sull'orientamento della cultura, oggi un gran numero di persone
partecipa e beneficia di tale produzione. Non per questo mancano
agenzie di particolare influsso e perfino centri di potere che ten-
dono al monopolio. E tuttavia sono sempre molti, rappresentano
diversi settori e interessi, e soprattutto sono esposti at giuaizio aet-
l'opinione generale.
Inoltre, si parla di una curtura dinamica, in continuo e rapido
cambiamento. Il concetto sacrale dei costuni
nito. I messaggi si propagano e trasformano
e delle norme è sva-
abitudini e criteri di
vita. Da una gener.Lzione all'altra cambiano sia le sensibilità quanto
gli strumenti tecnici.
Ne emerge una cultura pruraristica e compressa, che ammette
al suo interno differenti visioni parziari e concezioni globali. Non
208

22 Pages 211-220

▲back to top

22.1 Page 211

▲back to top
è unitaria: sono presenti molti sistemi simultanei collegati in un
fragile equilibrio. Si elabora, si progredisce e si migliora in forma
dialettica, mediante il confronto libero dei punti di vista. La cul-
tura odierna non è «custodita>> o <<definita» da un'autorità poli-
tica o religiosa. Nello stesso ambiente troviamo insieme le culture
della vita e della morte, quella agnostica e quella teistica, la etica
e la libertaria. Si parla percio di filoni culturali.
Ciò è determinante per l'azione educativa. Oltre a offrire con-
tenuti culturali, l'educazione è chiamata soprattutto ad abilitare
al discernimento e al senso critico. Più che abituare ad adattarsi,
deve insegnare a partecipare e a reagire. La persona si trova espo-
sta a tutti i messaggi, proposte e manipolazioni: la si può lasciare
indifesa o, al contraio, attrezzarla a reagire positivamente alle sfide,
equipaggiarla per il pluralismo e il confronto.
4. MLORI: SCOPERTA ED EDUCAZIONE
Simile al tema della persona e della cultura è quello dei valori.
Della loro natura si occupa la filosofia. Correnti pedagogiche li
considerano come l'asse del processo educativo.
ln verità i valori costituiscono un riferimento interessante e pres-
soché indispensabile per progettare la crescita del soggetto. Nel-
l'incontro con la cultura, nella mediazione educativa e nelle rifles-
sioni personali l'individuo matura punti di vista e convinzioni, at-
teggiamenti e relazioni su quanto infonde dienità e sostegno alla
propria esistenza: scopre i valori. Questi hanno una consistenza
oggettiva. Non sono soltanto valutazioni della coscienza individua-
le, o ideali prospettati sopra la realtà, bensì si rivelano come qua-
lità ed esigenze dell'essere. Percepire un valore è intuire la realtà
e porsi in comunione con essa. La persona con valori non sarà mai
uguale a chi non li possiede, qualunque ne sia la percezione. Per
questo si fa indispensabile un processo educativo al riguardo.
4.1. Enunciazione e gerarchia
La pedagogia dei valori comprende una loro enunciazione e ge-
rarchia.
209

22.2 Page 212

▲back to top
L'enunciazione non risulta uniforme: variano i termini, si mol-
tiplicano le parole, cambiano le costellazioni. In fondo c'è la ca-
pacità del soggetto di intuire e cogliere quanto ha valore in modo
completo o in frammento.
Così per configurarli se ne indicano gli estremi entro cui si for-
ma una certa scala di gradualità: vita-morte, amore-egoismo,
libertà-dipendenza... Oppure vengono usate espressioni che ne in-
dicano Ia continuità in una direzione ideale: libertà-responsabilità,
fede-amore, giustizia-solidarietà. O ancora possono essere raggrup-
pati in aree: personali, sociali, esistenziali, trascendenti.
La gerarchia dei valori è tuttora un interrogativo importante
nell'educazione. La vita ha bisogno di un ordine di fini in base
a cui operare opzioni assolute o preferenziali. La configurazione
di una personalità si rivela come un quadro di valori realizzati in
una determinata composizione e gerarchia. Così si parla di perso-
nalità religiosa o politica, quando il valore corrispondente è cen-
trale o privilegiato.
In una certa prospettiva a livello inferiore si collocano i valori
di tipo edonistico: piacevole o spiacevole; seguono poi quelli vita-
li: forte, sano, nobile; quindi vengono quelli spirituali: verità, bel-
lezza, giustizia; completano la scala i valori religiosi: quelli che si
relazionano con la sfera del «sacro)).
Il valore morale rimane fuori dalla classificazione: è da consi-
derare come la struttura di tutti. Poiché si trova dentro ogni aspi-
razione al valore, è nel cuore stesso della preoccupazione educati-
va, che cerca si lo sviluppo integrale, ma mette al primo posto la
capacità di discernere il bene e di aderirvi.
Educare ai valori diviene allora una meta privilegiata e un ca-
pitolo primario in pedagogia. Ci si chiede: come risvegliare la co-
scienza dei valori? Come mettere in sintonia con essi, come agire
in vista di un loro accoglimento? Come far che caratterizzino
le scelte di vita?
GIi educatori si rendono conto che non è sufficiente enunciar-
li, o tantomeno ripeterli, perché vengano assimilati. La sorpresa
più grande sta nello scoprire che, dopo aver proposto per anni certi
valori, ne vengono vissuti, specie nell'educazione dei giovani, al-
tri, diversi, impliciti o inediti.
210

22.3 Page 213

▲back to top
Pertanto la pedagogia si pone il problema relativo alla strada
da seguire per interiorizzare un valore. Scopre che questo coinvol-
ge tutta la persona: intelligenza, emotività, volontà.
ll percorso educativo può essere scandito in quattro tappe: la
percezione-esperienza, la comprensione-consapev olezza, l'eserci-
zio molteplice, la motivazione profonda.
4.2. Esperienza
Il primo passo consiste nell'esperienza del valore: l'avere re-
sponsabilità, l'ottenere risultati mediante I'impegno, il soccorrere
persone bisognose, il lavorare insieme, il chiarire un interrogativo
importante. Nell'esperienza si percepisce non soltanto la qualità
oggettiva del valore, ma anche l'effetto nobilitante sulla propria
persona, con il conseguente sentimento di soddisfazione. La gra-
tificazione sociale in un ambiente educativo può rafforzare tale espe-
rienza. Relativamente ad alcuni valori, si pone giustamente l'in-
terrogativo sul modo di farli percepire attraverso esperienze signi-
ficative. Le istituzioni educative che non raggiungono questo in-
tento sono tacciate come teoriche o al margine della vita.
4.3. Comprensione
Tuttavia I'esperienza ha un carattere limitato. Il valore possie-
de una sua validità universale. La responsabilità non vale solo nella
circostanza in cui viene percepita come (( piena di valore ». Il rap-
porto d'amicizia non è soltanto un modo di soddisfare una mo-
mentanea aspirazione personale. Subentra allora la presa di co-
scienza, una consapevolezza-convinzione che quanto è sperimen-
tato rimane indissolubilmente connesso col nostro esistere. In questo
esito partecipano attivamente l'intelligenza e la riflessione.
E tuttavia non sono sufficienti I'esperienza gratificante
la convinzione per << incorporare )) un valore alla propria esisten-
za. Spesso ci si ferma all'accettazione intellettuale o episodica. Il
valore risulta sradicato dalla vita quotidiana: lo si conosce, ma non
lo si sente e non lo si vive.
211

22.4 Page 214

▲back to top
4.4. Esercizio
Per questo un medesimo valore deve essere percepito e vissuto
in molteplici e diversificate circostanze.Il rispetto per la persona
è valore acquisito quando lo si vive nei confronti dei compagni,
nell'atteggiamento verso gli insegnanti, con le persone conosciute
o no, in situazioni difficli e di conflitto, nell'attenzione e cura de-
gli ambienti in cui viviamo. Finché non si riconosce che il valore
è sempre il medesimo in tutte le diverse circostanze, non si può
asserire che sia sentito veramente tale.
L'esercizio è indispensabile, e presenta due aspetti: I'interioriz-
zazione di quanto si è sperimentato e la creazione di espressioni
nuove. La responsabilità nella scuola, ad esempio, si esercita nel-
la disciplina, nello studio, nel rispetto dell'ambiente. Cio è nor-
male e prescritto. Le responsabilità più mature troveranno anche
altre espressioni: iniziative, nuove forme di collaborazione, solu-
zioni a problemi non risolti dell'organizzazione scolastica.
4.5. Motivazione
Nell'educazione ai valori però il punto decisivo è la motivazio-
ne personale, che dice convincimento così radicato e fondato che
la persona è disposta a scommettere sul valore anche contro van-
taggi temporanei. Intervengono sempre la memoria della gratifi-
cazione, gli elementi intellettuali di comprensione, le valutazioni
morali, le preferenze personali. Ma la persona non dipende dagli
stimoli e da appoggi esterni, bensì fa definitivamente e interior-
mente proprio quanto ha vissuto come valore duraturo.
La nostra azione educativa si orienta per questo verso un tipo
di uomo che si mette di fronte a se stesso, agli altri e alla realtà
con un patrimonio di significati, con capacità di discernimento,
con atteggiamenti personali stabili, che gli permettano di scegliere
con libertà e gioia quanto percepisce e vive come «valido».
212

22.5 Page 215

▲back to top
5. PROSPETTIVE ATTUALI DELL'EDUCAZIONE
Persona, cultura, valori: gli elementi fondamentali del quadro
sono chiari. Tuttavia il compito di un educatore oggi somiglia as-
sai poco a quello di un pittore o uno scultore che lavorano con
calma su di una materia statica, da cui « estraggono )) una forma
o immagine.
La crescita della coscienza umana e l'attuale sviluppo della cul-
tura immettono nel compito educativo delle « spinte » a velocità
insolita. Bisogna lavorare in movimento e in cambiamento.
Una spinta sta nella domanda giustificata, ma spesso eccessiva
e sempre crescente, di educazione. Si tratta di estensione dell'edu-
cazione: ciò che era patrimonio di alcuni popoli e di alcune classi
sociali è diventato un bisogno generale. Tutti intendono usufruire
di un'educazione sistematica, che diventa pure di ((massa».
Si tratta inoltre di un fenomeno di quantità di educazione per
ciascuno: l'allungamento del periodo scolare si è imposto ovun-
que. Un'alta percentuale di giovani in certi continenti accede al-
l'università. E anche dopo gli studi medi o universitari si continua
la propria formazione prima di poter entrare nel mondo del lavo-
ro o della professione.
E infine si tratta di una domanda di qualità educativa: molti
nella società attuale soffrono il complesso di incompetenza. Non
c'è modo di appropriarsi con calma di tutto quello di cui si ha bi-
sogno, non già per essere importanti, ma semplicemente per non
escludersi. L'ansietà sociale è un'epidemia: basti pensare alla quan-
tità di informazioni e alla varietà degli ambiti culturali che periodici,
televisione e vita pubblica ci riversano addosso quotidianamente.
Spesso, quando incalzano i problemi sociali, si incrimina l'e-
ducazione. Vecchie norme e valori subiscono cambiamenti. Na-
scono nuove esigenze, mai affrontate prima in modo sistematico.
Nelle trasformazioni si può perdere il passo e I'orientamento, e
ilprezzo lo pagano di solito i più deboli. Ma sembrano eccessive
le responsabilità che si riversano sull'educazione. Insegnanti ed edu-
catori percepiscono di dover qualificare al massimo la propria pro-
fessione, creando nuoye prospettive e metodologie.
Una seconda << spinta >> è messa in moto dall'esigenza di una for-
213

22.6 Page 216

▲back to top
mtvione continua, che duri tutta la vita. La vecchia visione di edu-
cazione non basta più, poiché la realtà corre sotto i nostri piedi
e davanti ai nostri occhi, e l'uomo non può smettere mai di educarsi.
La funzione dell'educazione iniziale è di creare dinamismi, da-
re strumenti, offrire ideali, iniziare un viaggio che durerà tutta la
vita; insomma insegnare ad apprendere non solo conoscenze, ma
anche atteggiamenti, abilità. Questo muta la concezione di educa-
zione della persona: non vale anzitutto per quello che ha già ela-
borato, bensì per quello che insegna a fare, per abilitare ad ap-
prendere.
Tali fenomeni causano una terza « spinta»: la molteplicità di
luoghi e di fattori educativi. Talvolta, in passato, veniva ricono-
sciuta l'autorità di istituzioni cui si delegava il compito di educa-
re: la famiglia, la scuola. Questo creava tranquillità, aspettativa
e una relazione tra gli educandi e le istituzioni. Queste fornivano
sintesi, motivazioni, modelli di vita e esperienze tipo e generava-
no un forte senso di appartenenza.
Oggi non è possibile <<delegare>>. Apprendiamo e ci formiamo
attraverso imezzi di comunicazione sociale, gli ambienti che sce-
gliamo personalmente, la rete delle amicizie, l'istituzione religio-
sa, le varie aggregazioni o organismi cui partecipiamo.
Non meno importanti sono poi la strada, la piazza e il merca-
to. La società trasparente in cui tutto si sa e si discute, dove si lot-
ta mediante lapartecipazione e la condivisione, risulta un rilevan-
te luogo di educazione o diseducazione. A ragione si parla di città
<«educativa»: dove sono alti i suoi interessi, tanto più degna e
rispettosa appare la convivenza; làt dove sono corretti i processi
sociali e politici, e l'ambiente è salutare, tanto più educa e forma.
Una simile visione delle cose porta a conseguenze sui program-
mi dell'educazione iniziale, che se isolati dal contesto valgono as-
sai poco. Scopriamo allora Ia stretta relazione esistente tra educa-
zione e politica. Non nel senso che la politica determini rigidamente
il tipo di educazione, oppure che lo Stato forniscamezzi di educa-
zione per tutti; bensì nel senso che la politica, concepita come pro-
motrice del bene comune e regolatrice della vita pubblica, dispone
di opportunità generali per promuovere l'educazione di ciascuno
e di tutti.
214

22.7 Page 217

▲back to top
I primi servizi di informazione, prevenzione e sviluppo posso-
no nascere soltanto in un sistema politico ben ispirato. L'azione
educativa della politica precede, accompagna e segue l'educazio-
ne sistematica e può anche giungere a neutralizzarla. Questo fa
che l'educazione non sia unicamente un servizio privato alle per-
sone, ma assuma al contrario il carattere di funzione sociale, os-
sia coscienza critica e propositiva perché la società crei condizioni
di crescita sempre più umana.
6. CONDIZIONI EDUCATIVE INDISPENSABILI
Educare è complesso. Il contesto nel quale si svolge il compito
educativo è saturo di stimoli vari. Per conseguire alcuni obiettivi
è necessario costruire una convergenza di condizioni favorevoli.
Tale conver genzanon isola dalla realtà differenziata e varia in cui
vive l'individuo, bensì tende a creare uno spazio psicologico, etal-
volta anche fisico, che sia intenzionalmente educativo.
Tra le condizioni educative, al primo posto si trova l'ambien-
te, che è atmosfera, clima, ecosistema. Se I'ambiente è sano e ric-
co, le persone respirano umanità, cultura, valori.
Tutto ha un influsso sull'ambiente: dall'aspetto delle pareti al
volto delle persone. L'ambiente è il risultato di tutti gli elementi
che circondano la persona. Esistono ambienti inoffensivi, indiffe-
renti, poco propositivi; se ne trovano altri con forti stimoli, inten-
samente coinvolgenti, capaci di orientare; altri ancora sono ano-
nimi, inespressivi, repressivi.
Un ambiente educativo non è uno spazio fisso chiuso e separa-
to, è piuttosto una rete di relazioni preferenziali e significative per
il soggetto. Attraverso il filtro di tale preferenza, questi analizza
le impressioni e le informazioni che gli giungono in maniera di-
sordinata da altre fonti e altri momenti. In tal modo l'ambiente,
da fattore esterno alla persona, si trasforma in criterio e misura
per i suoi giudizi di valore.
Nell'ambiente educativo emerge come fattore determinante il
gruppo degli educatori. L'educatore è una figura che presenta molte
sfaccettature ed è mutata nel tempo secondo varie scansioni: è au-
215

22.8 Page 218

▲back to top
torità istituzionale, maestro, professore; è orientatore, animato-
re, amico...
Non è facile tracciarne il profilo in modo completo. L'educa-
tore deve avere autorità su quanti intendono usare il suo servizio.
A modellarne l'immagine concorrono il prestigio che danno I'a-
more e la responsabilità, lapreparazione professionale, la sua de-
dizione al compito educativo.
Ambiente ed educatori emettono segnali che determinano il na-
scere e il crescere delle relazioni tra le persone. Da esse dipendono
l'esito e i risultati del processo educativo.
Oggi si concepiscono non soltanto in forma bipolare, ma multi-
direzionale: con gli educatori, i compagni, altre figure, con la comu-
nità e I'istituzione. L'educazione si colloca così in un contesto socia-
le. Cionondimeno l'atteggiamento degli educatori verso i giovani
condiziona tutto il sistema relazionale. L' accoglien za senza pregiu-
dizi, l'affetto adulto dimostrato, la comprensione e l'aiuto per supe-
rarsi, l'interesse per la crescita di ognuno, la capacità di collaborazio-
ne fungono da <<termometro >> che misura la situazione relazionale.
È impossibile esplicitare totalmente il tema delle relazioni edu-
cative. Sono un'area di creatività in cui emerge la genialità dell'e-
ducatore. Non si tratta soltanto di un comportamento corretto e
rispettoso, bensì di quell'amore che è capace di creare e ispirare
la persona.
Un ulteriore fattore educativo importante sono le attività. L'uo-
mo cresce e matura attraverso tutto quello che fa, ma ciò che è
intenzionalmente educativo sono le attività pensate con lo scopo
di sviluppare alcuni aspetti o tutta la persona secondo finalità pre-
viste. Tali attività servono per apprendere, addestrare, fortifica-
re, illuminare. A tale riguardo risultano decisivi il contenuto e Ia
qualità, lo stile e il metodo secondo cui vengono realizzate nel lo-
ro insieme. La scuola privilegia le attività didattiche, ma non do-
vrebbe trascurare le altre. Gli ambienti destinati al tempo libero
propongono attività artistiche, espressive, culturali, ludiche, so-
ciali, che non dovrebbero svolgersi come semplice passatempo, ben-
sì come cammino di crescita umana.
Ogni tipo di attività esige una relativa pedagogia, che valorizzi
lo specifico e non perda di vista la globalità. Le attività assumono
216

22.9 Page 219

▲back to top
poi maggiore efficacia educativa quando i giovani stessi, nel con-
testo di un progetto, sono capaci di pensarle e portarle a termine
con propria responsabilità.
Infine emerge una condizione che comprende tutti i fattori in-
dicati e in parte li condiziona: la struttura educativa, come l'insie-
me di norme e ruoli che regolano l'azione dei soggetti e lo svolger-
si delle attività in ordine ai fini. La struttura modella le stesse re-
lazioni: molte buone intenzioni si disperdono davanti a strutture
rigide o labili.
D'altra parte, la struttura è necessaria: è come la casa per la
famiglia. Una è fatta di mattoni, l'altra di relazioni. Tuttavia, senza
la casa, è difficile dar corpo a relazioni stabili.
La struttura va analizzata e commisurata in ogni sua parte: ruoli,
organismo, spazi di libertà e partecipazione, norme. Certe strut-
ture evidenzianolalibertà di azione, altre invece difendono la pro-
pria stabilità spesso formale. Per educare adeguatamente non è in-
differente l'uno o l'altro sistema.
A conclusione dell'insieme vi è l'inserimento sociale. Nessuna
struttura, nessun educatore o attività educativa consegue un risul-
tato accettabile se non entrano nella dinamica del contesto in cui
sono situati. Una volta le istituzioni educative tendevano a sepa-
rare i loro utenti: ambienti chiusi, orari pieni e ritmati, responsa-
bilità esclusiva degli educatori. Oggi si riconosce invece la ricchez-
za di uno scambio con l'ambiente circostante: in esso si apprende
la cultura della propria gente, si fanno propri i comuni problemi,
si mettono alla prova proposte ed esiti educativi.
La complessità del compito educativo e le nuove problemati-
che dell'educazione sollecitano a una presa di coscienza comples-
siva di chi si dedica a educare la gioventrì.
Motivazioni di basso profilo si rivelano sempre più insufficienti
nella prassi. Per essere all'altezzadelle richieste ed esigenze odier-
ne appare senza dubbio indispensabile una istanza di fondo che
denominiamo vocazione educativa.
Nell'azione tra i giovani si è frequentemente esposti a insuc-
cessi. Educare è entrare nel mistero dell'uomo, incontrare la sua
dignità e libertà. Ciò esige competenza e professionalità, ma an-
cor più passione educativa e cuore apostolico, che attingano ab-
bondantemente alla speranza dell'Evangelo.
217

22.10 Page 220

▲back to top
Capitolo secondo
EVANGELIZZARE:
COMPITO URGENTE
PER QUESTO TEMPO
Il nostro scopo è di parlare di educazione cristiana. Le espres-
sioni « educazione cristiana » o << scuola cristiana >> non hanno og-
gi Io stesso valore di quando si lavorava in un contesto confessio-
nalmente omogeneo, in cui il criterio cristiano veniva <<assunto»>
dalle famiglie e dalla società. Qui intendiamo approfondire in che
cosa consista tale differenza, non tanto sotto il profilo socio-
religioso, quanto nella risposta pastorale che la Chiesa cerca di pro-
porre.
1. TEMPO DI EVANGELIZZAZIONE
La Chiesa sta vivendo oggi un tempo di evangelizzazione.
La parola «tempo>» è usata nella conversazione abituale con
significati diversi. Secondo l'accezione più frequente, il tempo è
la durata che si misura con l'orologio: è il tempo cronologico. A
volte con la stessa parola ci si riferisce al clima: è tempo piovoso,
buono, freddo.
Tuttavia tempo indica anche l'insieme di opportunità, eventi,
scelte e sfide, che caratterizzano un segmento della storia umana:
diciamo che stiamo vivendo un tempo di trasformazioni, un tem-
po di violenze, o tempi difficili. Ci riferiamo al tempo di don Bo-
sco o di Paolo VI. I giorni e i mesi che si succedono vengono ca-
ratterizzati da un evento, una persona, una preoccupazione. Non
significa che non si verifichino altri accadimenti favorevoli o av-
versi, ma l'attenzione personale e comunitaria è sostanzialmente
218

23 Pages 221-230

▲back to top

23.1 Page 221

▲back to top
dominata da un fenomeno che si vive con particolare intensità, co-
me fonte di angosce o di gioie, il punto nel quale convergono sforzi
e domande. Tale fenomeno segna il passare dei giorni: è il tempo
storico.
In quest'ultimo senso la Chiesa sta vivendo un tempo di evan-
gelizzazione. L'annuncio del Vangelo è sempre stato un compito
così importante da venire identificato con la stessa missione della
Chiesa, secondo la visione della « Evangelii nuntiandi ». Tuttavia,
nella storia della Chiesa ci sono epoche in cui emergono altre preoc-
cupazioni come l'organizzazione, la disciplina interna, la difesa
della cristianità. Parliamo del tempo delle crociate, del tempo del-
le grandi cattedrali, del tempo della controriforma.
Si constatano invece epoche in cui tutte le energie sono dirette
a diffondere l'annuncio puro e semplice del Vangelo e a formare
comunità cristiane. Possiamo tornare con la memoria al tempo che
seguì al Concilio di Gerusalemme. Gli apostoli si dispersero per
portare al mondo di allora il nucleo del messaggio. Soprattutto,
cercarono di aiutare quanti si convertivano a costruire la vita con-
forme al Vangelo in un ambiente eterogeneo.
Il nostro è un tempo più simile a quello degli apostoli che a quel-
lo delle crociate o della controriforma. Inizia con il Concilio Vati-
cano II, in cui la Chiesa si pone di fronte alla modernità in forma
positiva, senza per questo cessare di essere sanamente critica. La
condizione di modernità viene considerata non contraria o nemi-
ca, bensì come la pasta in cui la Chiesa deve agire quale lievito.
Nello Spirito che la guida intuisce il suo insostituibile servizio da
offrire in questa temperie dell'umanità.
A dieci anni dal Concilio, un Sinodo e il papa Paolo VI trac-
ciano un documento pragmatico, giudicato il più lucido e deter-
minante di fine secolo, l'Esortazione Apostolica «Evangelii nun-
tiandi» (1975). A questa si collegano riunioni e documenti di li-
vello continentale, tra cui il documento dell'Episcopato latino-
americano << La evangelizaciin en el presente y en el futuro de la
América Latina» (1979).
Il movimento si consolida con la quarta assemblea del Sinodo,
che concentral'attenzione sull'evangehzzazione dei giovani, da cui
ha origine la Esortazione Apostolica sulla Catechesi (1979). Infi-
219

23.2 Page 222

▲back to top
ne, nella decade del '90 e alle soglie del terzo millennio, il Papa
lancia e rilancia la nuova evangelizzazione.
Se si volesse qualificare con una parola I'epoca attuale della
Chiesa, la sua principale preoccupazione e le sue sfide, la solleci-
tudine che manifesta con preponderanza,la direzione nella quale
si concentrano le risorse, il termine piùr appropriato sarebbe (( evan-
gelizzazione>>.
2. COSA COMPORTA UN TEMPO DI EYANGELIZZAZIONE
L'aver scelto questa prospettiva per guardare all'oggi della Chie-
sa implica due cose: una presa di coscienza della situazione e un
modo di concepire I'azione pastorale.
Nella coscienza della comunità ecclesiale, a partire dal Conci-
lio Vaticano II, si rilevano alcune constatazioni e crescono talune
convinzioni.
Tra le constatazioni, la prima è la novità del nostro mondo con-
temporaneo e del suo dinamismo culturale. Ne è prova indiscussa
l'analisi della «Gaudium et spes». Lo è anche il fatto che i docu-
menti posteriori si soffermano a interpretare la ricerca dell'uomo
e della società attuale lutilizzando alcune chiavi quali la secolariz-
zazione,la tecnologia, la comunicazione, il pluralismo, la libertà
personale.
Una seconda constatazione: la Chiesa non è soltanto contem-
poranea a questo mondo, bensì vive in esso, non si costituisce co-
me un corpo separato e impermeabile, e non solo per l'impratica-
bilità di simile proposito, ma per la sua stessa natura e missione.
Gesù Cristo non ha fatto della Chiesa un castello arroccato con-
tro il resto del mondo, ma piuttosto il lievito per l'umanità, me-
scolato in essa fino a incarnarsi, per cui unico è il destino della
Chiesa e dell'umanità, e uno è anche il cammino di entrambe. Per
questo la Chiesa non costituisce un altro genere umano, bensì è
segno e strumento per la salvezza dell'unica umanità.
Un'altra constatazione consiste nel fatto che questo mondo si
sta costruendo ai margini del Vangelo, anzi quasi al margine della
stessa prospettiva religiosa. Non contro, il che significherebbe già
220

23.3 Page 223

▲back to top
accettarne I'importanza, ma prescindendo da esso, in pacifica vi-
cinanzae assenza. Questo fenomeno si rileva all'interno di gruppi
sociali, operai, giovani, intellettuali, donne; si osserva in realtà cul-
turali quali l'arte, la letteratura, la tecnologia, l'economia, l'eti-
ca,la politica; si nota anche in istituzioni e iniziative che in altri
tempi nascevano all'ombra della Chiesa come la scuola, l'univer-
sità, i centri di esperienza religiosa. Una lettura globale di questo
fenomeno si trova in una felice espressione di Paolo VI: « Il dramma
della nostra epoca è la frattura tra vangelo e cultura>> @N 20). Non
si tratta di guerra o di opposizione, ma di abisso, di separazione.
Alla luce di simili constatazioni, emergono con evidenza alcu-
ne convinzioni. Le aspirazioni profonde e i vuoti interiori del mondo
attuale non sono che un'invocazione di Vangelo. << L'uomo è a se
stesso un enigma vagamente percepito...; in verità soltanto nel mi-
stero del Verbo incarnato questo enigma trova la sua luce» (GS).
La Chiesa è chiamata a dare al mondo un'unica cosa: la me-
moria, la parola e la presenza del Verbo incarnato. Tutto il resto
è un di più, complemento o conseguetza. Evangelizzare; di que-
sto si ha bisogno oggi. Perciò lo Spirito diffonde tra i fedeli, le
comunità particolari e la Chiesa universale, doni specifici per questo
compito. Crea dinamismi e suscita energie, capaci di annunciare
in modo rinnovato il Vangelo: ossia il gusto della Parola ascoltata
e meditata, la percezione dei valori evangelici nella loro semplici-
originale, il desiderio di confrontarsi con un messaggio genuino.
Tutto ciò costituisce la grande opportunità della Chiesa di questo
tempo. Non è indifferente per essa vivere in sintonia con lo Spiri-
to e accettare la sfida del mondo. È la sua missione e la legittima-
zione stessa della sua esistenza: « Se il sale perde sapore, non serve
a niente>>.
Connesso a questa coscienza della situazione, vi è un nuovo mo-
do di concepire la pastorale oggi. L'evangelizzazione è non sem-
plicemente il suo fine, ma anche la sua via e il mezzo privilegiato
di cui dispone. Non si tratta di sprecare tempo e denaro per fab-
bricare potenti mezzi di persuasione, come nemmeno di predisporre
complicate mediazioni. La Chiesa confida nella forza illuminante
e trasformatrice dell'annuncio e a questo dedica in modo imme-
diato tutte le sue forze, usando anche mezzi poveri.
22r

23.4 Page 224

▲back to top
Asserire che l'evangelizzazione non è solo meta, ma anche cam-
mino, che non è semplice fine, ma pure mezzo, significa afferma-
re che oggi le iniziative ecclesiali sono da valutare in base alla loro
capacità di testimoniare e annunciare l'Evangelo. Le associazioni
ecclesiali, quando esaminano la propria validità, si devono chie-
dere se aiutano i membri a vivere più profondamente il Vangelo
e se annunciano senza riduzioni o mascheramenti il messaggio di
Gesù, non dando per scontata la propria caratterizzazione religio-
sa o cristiana. I santuari, le strutture ecclesiali, le istituzioni edu-
cative, la vita religiosa, ecc., sono da riprogettare oggi assumendo
come criterio la qualità della loro evangelizzazione. segni religiosi
e gesti di culto servono a poco, se la gente non possiede la chiave
per interpretarli. Evangelizzare, quindi, non è un aspetto partico-
Iare della pastorale, ma il suo canale preferenziale in cui fluisce
tutto il resto.
3. QUAL È rr SrCNrFrcaTo Dr EVANGELTZZARE
L'evangelizzazione, come parola generatrice, apporta al cam-
po pastorale una serie di novità. La prima è la priorità dell,an-
nuncio e della corrispondente risposta di conversione rispetto alle
pratiche devozionali e all' appartenenza socio-religiosa. Un,altra
sta nella valorizzazione pastorale di tutto ciò che riguarda la pro-
mozione umana, l'educazione, I'azione sociale. Il processo di evan-
gehzzanone è unitario e va dall'incontro umano sino all,inserimento
e all'impegno nella Chiesa.
Più importante di tutto, però, è il significato totale e reale di
evangeluzaÀone: non intesa solo come un dire o predicare il Vange-
lo, ma come trasformazione delle persone e della società mediante
la conversione. Infatti, <<evangelizzare è portare la Buona Novella
in tutti gli strati dell'umanità e, col suo influsso, trasformare dal di
dentro... Lo scopo dell'evangelizzazioneè appunto questo cambia-
mento interiore e, se occorre tradurlo in una parola, più giusto sa-
rebbe dire che la chiesa evangelizzaallorquando, in virtù della sora
poterza divina del messaggio che essa proclama, cerca di convertire
la coscienza personale e insieme collettiva degli uomini... » (EN l8).
222

23.5 Page 225

▲back to top
Trasformare dal di dentro ha poco da vedere con la costrizio-
ne e con l'abitudine, con il pretendere di inculcare atti ripetitivi,
con l'educazione intesa come adattamento e accettazione, o con
la semplice socializzazione dei costumi. Si tratta invece di una ri-
sposta cosciente, che si fa sempre più libera e lucida, nella misura
in cui la persona progredisce nella vita. Pertanto, non si limita a
un tempo di iniziazione religiosa, ma dura tutta la vita. È necessa-
rio tornare sempre all'incontro con la parola e alla conversione
per trasformare e trasformarsi.
Finalità dell'evangelizzazione è la trasformazione interiore del-
l'umanità. Non è la predicazione di una nuova religione, anche
se si trattasse di quella vera. Neppure è l'offerta di un'esperienza
spirituale. Ciò risulta essere una parte. L'evangelizzazione è inve-
ce il racconto di un reale disegno di Dio sulla persona e sull'uma-
nità, manifestato e reso possibile in Cristo, e realizzato in germe
già in questo mondo. I segni si riconoscono nelle trasformazioni
personali e sociali.
Una vera evangelizzazione infatti può anche aver avuto inizio
quando la predicazione non era possibile, con gente che non chie-
deva il battesimo e non si integrava visibilmente nella Chiesa. La
presenza nella società di una comunità che vive secondo il Vange-
lo è già annuncio di Cristo, sebbene incompleto. Così la penetra-
zione della luce evangelica nella cultura, attraverso la condivisio-
ne e l'educazione, è già lenta trasformazione, evangelizzazione.
Sono due le vie maestre dell'evangelizzazione: la testimonian-
za e l'annuncio. Esse sono complementari, e devono procedere in-
sieme: la testimonianza manifesta la forza trasformatrice della pa-
rola, suscita domande e conferma quanto predicato; l'annuncio
dà ragione della speranza che anima la vita dei testimoni e la illu-
mina. Entrambi parlano di Gesù Cristo e lo propongono come sal-
vezza.
Tuttavia, se queste due vie dovessero restare disgiunte, la testi-
monianza riveste maggiore efficacia e provocazione.
L'<<Evangelii nuntiandi>> afferma che la buona novella è pro-
clamata <<prima di tutto>» mediante la testimonianza; <<Ecco: un
cristiano o un gruppo di cristiani, in seno alla comunità d'uomini
nella quale vivono, manifestano capacità di comprensione e di ac-
223

23.6 Page 226

▲back to top
coglimento, comunione di vita e di destino con gli altri, solidarie-
nello sforzo comune per tutto ciò che è nobile e buono. Ecco:
essi irradiano, inoltre, in maniera molto semplice e spontanea, la
fede in alcuni valori che sono al di dei valori correnti, e la spe-
ranza in qualche cosa che non si vede, e che non si oserebbe im-
maginare. Allora con tale testimonianza senza parole, questi cri-
stiani fanno salire nel cuore di coloro che li vedono vivere doman-
de irresistibili» (EN 2l).
Tutto questo è enormemente importante e più innovatore di
quanto sembri a prima vista. Siamo oltre il tempo del cristianesi-
mo sociologico: occorre convertire. E la conversione non è acce-
dere semplicemente alla pratica religiosa, bensì trasformare la vi-
ta personale e sociale conforme alla dignità che nasce dalla filia-
zione divina. Gesù è la chiave e l'energia per questa trasformazio-
ne. Egli si fa conoscere mediante la parola, ma opera, in specie,
attraverso la presenza dei credenti.
4. L'EYANGELIZZAZIONE È UNA STRADA PRIVILEGIATA
Quanto abbiamo detto rende chiara la natura, la sostanza, l'es-
senza dell'evangelizzazione: trasformare dal di dentro persone, so-
cietà e culture secondo il Vangelo e pet mezzo del Vangelo, pro-
posto dalla testimonianza del credente e dalla parola che lo an-
nuncia.
Questa trasformazione non ha luogo in un momento preciso,
né raggiunge in tutti la stessa profondità. Solo Dio conosce sino
in fondo il cuore dell'uomo: ce lo dice la storia di Gesù e della
Chiesa. Del resto l'evangelizzazione non è una legge da praticare,
ma piuttosto un dialogo con il Padre attraverso la nostra vita nel-
la quale il Verbo prolunga l'incarnazione. Si tratta di un autenti-
co cammino verso il Padre, di un itinerario di fede. Dio Padre at-
tira e il Vangelo conduce a Lui dalla nostra lontananza, per ma-
no. Non siamo di fronte a un itinerario didattico o scolastico, ma
a un autentico progredire della propria vita che scopre il suo sen-
so e ascende verso la comunione con Dio. E sempre attirata da
Dio e guidata dalla Parola.
224

23.7 Page 227

▲back to top
L'evangelizzazione
processo complesso e
- spiega
unitario.
la
La
«mEevtaanèguenliian; uilnctiaamndmino-,
è un
Pro-
gressivo. Le fasi e gli elementi sono vari: la testimonianza,l'an-
nuncio esplicito, l'adesione del cuore, l'ingresso nella comunità,
la vita sacramentale, l'impegno apostolico (cf EN l7).
Evangelizzazione e catechesi venivano una volta distinte come
se fossero due elementi successivi. L'evangelizzazione rispondeva
al primo annuncio, la catechesi all'iniziazione sistematica ed espe-
rienziale nella vita della comunità cristiana.
Oggi l'evangelizzazione comprende tutto il processo di matu-
razione cristiana, personale e sociale, per il quale il Vangelo di-
venta la forma interiore dell'individuo e della società. La cateche-
si è una fase particolare del processo di evangelizzazione, con fi-
nalità e metodi specifici, che percorrono coloro che hanno dato
una risposta affermativa alla chiamata della fede. Lo afferma l'E-
sortazione Apostolica Catechesi tradendae: « La catechesi è uno
dei momenti più importanti in tutto il processo di evangelizzazio-
ne» (n. l8).
In tale processo il punto di partenza è l'impatto della vita cri-
stiana, che provoca domande. Viene dalla presenza dei credenti,
i quali cercano di vivere la propria fede senza distanze o separa-
zioni dal loro stile di esistenza quotidiana nella comune società.
Questo pensiero lo esprime molto bene la lettera di Diogneto: «I
cristiani sono uomini come gli altri; non si distinguono per il
paese in cui abitano, per la lingua che parlano, per le abitu-
dini che assumono. Non si isolano nella città e non usano una lin-
gua propria... Abitano in città greche o barbare, ovunque gli ca-
piti di vivere e si adattano alletradizioni locali nel vestire, nel man-
giare, e negli usi quotidiani. Generano ammirazione per il loro mo-
do di sentirsi uniti che appare come qualcosa di straordinario... »>.
Vivono con una sola particolarità tra i loro concittadini: sono co-
me <<l'anima in ogni parte del corpo».
Valenza importante della testimonianza è l'impegno nel tem-
porale. Non segue il Vangelo chi si professa credente e poi resta
sempre estraneo o turista, semplice osservatore o avverso alle lot-
te dei poveri per una vita migliore.
Una tappa successiva sta nel primo annuncio che provoca a prese
225

23.8 Page 228

▲back to top
di posizione. <<La più bella testimonianza si rivelerà a lungo im-
potente,
"dare le
se non è
ragioni
illuminata, giustificata -
della propria speranza"
ciò che Pietro chiamava
-, esplicitata da un an-
nuncio chiaro e inequivocabile del Signore Gesù» (EN 22).
Tale annuncio viene proclamato in molti modi e per vie diver-
se: 1'amicizia e la conversazione personale, il contatto con i segni
cristiani, l'incontro con persone significative, i mezzi di comuni-
cazione sociale, la partecipanone per simpatia a manifestazioni re-
ligiose. Si tratta di accendere il desiderio della fede mostrando la
gioia evangelica e il senso che questa racchiude in sé, o di svilup-
pare un germe già esistente impedendo che muoia. La risposta at-
tesa si chiama adesione del cuore, desiderio di condividere l'espe-
rienza dei credenti.
Segue poi, come tappa ulteriore, il percorso catechistico o iti-
nerario catecumenale. Chi ha compiuto una prima opzione di fe-
de, deve essere introdotto organicamente nella conoscenza del mi-
stero di Cristo e nella pratica della vita cristiana. Si rende parte
integrante della comunità ecclesiale con la comunione fraterna, i
primi sacramenti...
La catechesi persegue il proposito di formare progressivamen-
te all'esistenza cristiana, sino a raggiungere la maturità in Cristo.
Tale impegno deve << trasformare la vita: la vita naturale alla qua-
le dà un senso nuovo... e la vita soprannaturale, che trova la sua
espressione vivente nei sette sacramenti e nella loro mirabile irra-
diazione di grazia e di santità» (EN 47). Esistono, pertanto, tra-
guardi successivi all'iniziazione, che sono la conformazione a Cri-
sto, la partecipazione assidua alla vita della Chiesa, l'elaborazio-
ne di una cultura cristiana organica, la maturazione di una coscienza
etica ispirata alla fede.
Circa la cultura cristiana si sottolineano due aspetti: conoscere
in modo adulto i contenuti della fede, e di quanto attiene all'argo-
mento, e approfondire sotto il profilo cristiano i temi secolari. Se
ciò non avviene, la fede non riesce a «permeare>> la mentalità e
la vita, rimane una religiosità che si esprime semplicemente attra-
verso atti devozionali.
E infine, come ultima tappa, impegnarsi a evangelizzare. « Chi
è stato evangelizzato, a sua volta evangelizza. Qui è la prova della
226

23.9 Page 229

▲back to top
verità, la pietra di paragone della evangelizzazione: è impensabile
che un uomo abbia accolto la Parola e si sia dato al Regno, senza
diventare uno che a sua volta testimonia e annuncia» (EN 24).Il
Vangelo non è un bene che si acquisisce per diletto o arricchimen-
to individuale. È salvezza per tutta l'umanità. La persona che lo
ha veramente accolto si assume responsabilità verso gli altri: co-
munica il dono ricevuto.
Evidentemente le fasi che abbiamo passato in rassegna non so-
no isolate o isolabili nella prassi, ma complementari, anzi, spesso
compresenti. La loro successione non è rigida, serve solo per trac-
ciare l'idea della crescita. Una fase non finisce quando inizia la
seguente; viene assunta invece dalla fase successiva e continua a
liberare le peculiari potenzialità. L'annuncio si prolunga nella ca-
techesi che risuona doverosamente come la buona novella di Cri-
sto e come invito alla conversione. La catechesi poi comprende l'e-
sistenza cristiana, che viene giocata interamente nell'impegno.
«Il merito del Sinodo - assicura la "Evangelii nuntiandi" -
sta nell'averci costantemente invitati a comporre questi elementi,
più che ad opporli tra di loro, al fine di avere la piena compren-
sione dell'attività evangelizzatrice della Chiesa» (EN 24).
5. EVANGE,LIZZATORI
Un tempo forte di evangehzzazione richiede evange\\zzatori. San
Paolo, parlando dei carismi nel capitolo quarto della lettera agli
Efesini, enumera i doni che edificano la comunità cristiana e la
dispongono alla missione: << Lo Spirito ha costituito alcuni apo-
stoli, altri profeti, altri evangelisti, altri pastori e dottori». Alla
luce della vita delle prime comunità cristiane, risulta evidente che
questi cinque carismi non coincidono l'uno con I'altro e non ne-
cessariamente sono separabili. Ma implicano servizi diversi e ri-
chiedono differenti capacità.
Negli evang elizzatori prevale l' iniziativa coraggi os a, I' impulso
ad affrontare situazioni nuove, l'andare verso un mondo che non
conosce Cristo per portare una speranza, l'interpretare le aspira-
zioni di chi appare lontano o disinteressato, il penetrare le aspet-
227

23.10 Page 230

▲back to top
tative di felicità, di verità e di giustizia, insite in ogni persona.
Evangelizzare è andare verso I'incontro, più che attendere qual-
cuno.
Negli Atti degli Apostoli viene presentata una tipica figura di
evangelizzatore, Filippo. Di lui si dice che << percorreva tutte le cit-
evangelizzando»>. Non è mandato a una comunità o in un luo-
go per rimanere. È uno specialista dell'incontro per annunciare e
diffondere la fede.
Al proposito è interessante il commento del cardinal Martini:
« La Chiesa vive se mantiene in questi due doni di evangelizzare
e di pascere in un equilibrio che, evidentemente, potrà variare a
seconda delle circostanze e delle situazioni. Quando l'equilibrio
si rompe e una chiesa, per esempio, diventa unicamente evange-
lizzatrice senza pensare di portare avanti e di sostenere le comuni-
tà, allora abbiamo quel tipo di chiese entusiaste, nelle quali domi-
nano unicamente le forze d'attacco, ma non si costruisce. Quan-
do invece tutto il peso si porta sull'azione pastorale, allora la Chiesa
pasce se stessa indefinitamente e perde quel punto di espansione
che la fa essere Chiesa. Ecco l'importanza di questi due carismi
congiunti, evangeltzzatori e pastori» (L'Evangehzzatore in San Lu-
ca, ed. Ancora, Milano 1986, pag. l8-19).
Studi e incontri di questi ultimi anni sull'evangelizzazione de-
dicano una speciale attenzione alla spiritualità e qualità degli evan-
gelizzatori. La <<Evangelii nuntiandi » raccomanda loro di opera-
re sotto il soffio dello Spirito, da testimoni autentici, come artefi-
ci di unità e servitori della verità, animati dall'amore, con il fer-
vore dei santi.
Ripercorrendo le considerazioni compiute, vengono evidenziate
qui alcune note tipiche, rivolte a chi è impegnato nell'evangelizza-
zione della gioventù.
La prima è il peso che ha nell'evangel\\zzazione l'esperienza per-
sonale, gioiosa, della scoperta di Gesù: la nostra scienza più emi-
nente è conoscere Gesu Cristo; e la nostra gioia più profonda è
rivelare le ricchezze insondabili del suo mistero (ct Ef 3). Evange-
lizzare non è dare lezioni sul testo evangelico, ma far trasparire
in esso luce e senso: è comunicare in modo vitale. Il dominio con-
cettuale del messaggio non è prioritario, lo è invece quella passio-
228

24 Pages 231-240

▲back to top

24.1 Page 231

▲back to top
ne per cui (( tutto viene giudicato una perdita di fronte alla subli-
mità della conoscenza di Cristo» (Fil 3,8).
San Giovanni, nella prima delle sue lettere, parla della forza
che possiede l'esperienza nell'annuncio: << Quello che abbiamo udi-
to, quello che abbiamo veduto coi nostri occhi, quello che abbia-
mo contemplato e che le nostre mani hanno toccato... quello che
noi abbiamo visto e udito, lo annunziamo anche a voi: Dio è luce,
e in lui non ci sono tenebre!» (1 Gv l,l-5).
E san Paolo paragona il nascere della fede all'atto generativo,
frutto di un impulso di amore e di entusiasmo: più che «dare le-
zioni »», si tratta di aprire verso nuove potenzialità di vita.
Alla totale fiducia in Cristo e nella sua Parola bisogna aggiun-
gere un secondo atteggiamento: operare con speranza nel tempo
in cui siamo chiamati a vivere. Questo è il tempo che Dio ci dona,
il tempo che la forza del Vangelo deve redimere e trasformare. È
inutile e nocivo pensare tempi migliori, passati o futuri che siano.
Vivere in disaccordo permanente o di cattivo umore verso la real-
e la cultura in cui siamo immersi, porta all'inquietudine, impe-
disce la realizzazione di un progetto personale e distrugge le radici
del nostro vivere quotidiano.
Da ultimo, consideriamo il senso della semina. La parabola del
seminatore è singolare in proposito, poiché descrive a meraviglia
il processo della parola all'interno della persona e della comunità,
come un seme che germoglia in forza di una propria vitalità inte-
riore. L'evangelizzatore deve seminare senza avarizia, preparan-
do il terreno, ma senza pretendere di raccoglierne i frutti. Il tempo
è una componente dell'azione umana, soprattutto quando tale azto-
ne mira al traguardo finale.
229

24.2 Page 232

▲back to top
Capitolo terzo
EVAN GELIZZARE EDUCANDO :
UNA SINTESI
La relazione tra educazione ed evangefizzazione è oggetto di mol-
te discussioni. Il modo pratico di intendere tale relazione porta tal-
volta a mettere in secondo piano l'evangehuanone, altre volte inve-
ce a strumentalizzare l'educazione o anche, assai più di frequente, a
giustapporre l'una all'altra. Al riguardo c'è pure chi addossa la re-
sponsabilità di una mancata sintesi alle istituzioni educative: o per-
ché lasciano scarsa libertà ai giovani di fronte all'opzione religiosa,
o perché spesso oggi i risultati in esse raggiunti sembrano ad alcuni
insufficienti, se non deludenti.
Comprendere il nesso tra evangelizzaztone ed educazione cristia-
na è certamente più facile se ci poniamo sul piano di un accompa-
gnamento di chi, in forza del battesimo, ha già coscienza della pro-
pria filiazione divina e manifesta l'esigenza di approfondire la fede.
Tuttavia rimane indispensabile un'impostazione corretta della
questione.
1. UN ASPETTO O UN PROGETTO GLOBALE?
La missione della Chiesa è evangelizzare, e questa resta anche
la finalità di tutta la sua azione educativa in qualsiasi modo venga
svolta. Fa parte della sua essenza. Ma la Chiesa evangelizza nel-
l'educazione e per mezzo di essa, senza che questa perda la sua
tipica peculiarità di servizio alla crescita della persona e della società.
Perciò l'evangelizzazione attraverso un progetto educativo ha
uno sviluppo diverso da quella che si fa nella famiglia, nella par-
rocchia e nei gruppi ecclesiali. Alcuni aspetti sono comuni mentre
altri sono specifici.
230

24.3 Page 233

▲back to top
L'educazione abbraccia uno spazio più ampio d'azione della
catechesi. Chi è aperto alla promozione umana e sociale, conside-
ra con attenzione il fatto educativo come tale, nei suoi aspetti an-
che più tipicamente laici. Si costituisce così una specie di fronte
missionario sul mondo dell'educazione in cui la Chiesa incontra
chi apprezza il suo servizio all'uomo e all'umanità intera.
Aspetto peculiare della catechesi è portar e a matrrazione l'op-
zione di fede e, da questa, promuovere la crescita di tutta la per-
sona. Tipico invece dell'educazione è tendere allo sviluppo totale
della persona nella sua umanità e, a partire da ciò, scoprire il va-
lore della fede e svilupparla.
Proprio per questo, quando si esamina la forza evangelizzatri-
ce di un progetto educativo, ci si deve interrogare sulla molteplici-
e complessità delle iniziative e degli interventi educativi, che van-
no dalla testimonianza cristiana della comunità e sull'ispirazione
evangelica delle relazioni educative e delle proposte culturali, sino
alla maniera di svolgere la celebrazione dei sacramenti e di vivere
la fede nell'impegno vocazionale.
In ogni caso e in tutti i modi l'evangelizzazione non è un pac-
chetto di conoscenze speciali: è piuttosto un modo di << assumere>>
la totalità della vita. Non è perciò un settore nell'impegno educa-
tivo, poiché ha una dimensione di profondità di tutto il progetto
che voglia dirsi cristiano.
2. UN OBIETTIVO CHIARO PER L'EVANGELIZZAZIONE
Nella prospettiva di un'educazione che evangehzza e di una evan-
gelizzazione che educa occorre soffermarsi a chiarire e approfon-
dire le mete che si intendono perseguire nella propria azione, spe-
cie tra i giovani.
L'obiettivo finale condiviso è, chiaramente, la maturità di fe-
de della persona. Non esistono dubbi. E tuttavia, proponendosi
l'educazione la crescita integrale, tale maturità comporta una sin-
golare sintesi della fede con la vita e la relativa cultura del soggetto.
Si tratta di una fede informata, che si confronta con una con-
creta visione del mondo e con i suoi dinamismi. E allo stesso tem-
231

24.4 Page 234

▲back to top
po una fede integrata e centrale, non marginale o insignificante,
nella personalità del soggetto e nel suo sistema di valori. Essa ri-
sulta motivata sia dal punto di vista intellettuale che esistenziale,
e perciò non condizionata dall'esterno, bensì radicata su motivi
o ragioni interiori.
Sarà allora anche una fede critica, ossia aperta al confronto
su nuove domande educative o sfide culturali, capace di distinguere
l'essenziale dal secondario, il permanente dal provvisorio. Ma, in
particolare, sarà una fede impegnata che richiede nell'impostazione
della propria esistenza la scelta di valori da tradurre nella prassi,
anche esponendosi al «rischio».
Qualche domanda è legittima al riguardo.
Quanti sono i giovani dei nostri ambienti ecclesiali che raggiun-
gono questa meta? E quanti la accettano sin dall'inizio? Puo la
meta finale esprimersi in obiettivi parziali? Sono giustificate le isti-
tuzioni educative che non riescono a convertire tutti i loro desti-
natari? Si può parlare in questo caso di evangelizzazione?
Non è già positivo l'aver << seminato » a piene mani e con serietà?
Questi interrogativi meritano tutta l'attenzione e soprattutto ri-
sposte plausibili e adeguate.
All' interno di un progetto educativ o l' ev arrgeliz zazione scagliona
pedagogicamente gli obiettivi, senza perdere mai di vista il traguardo
finale. Nella prassi si propone in primo luogo di evidenziare l'im-
portanza della dimensione religiosa nell'esistenza individuale e in
una cultura degna dell'uomo. Spesso, tale dimensione viene mor-
tificata, se non ignorata, specie in quegli ambienti in cui il vero
coincide con quanto è razionalmente dimostrato, l'esistente con
il controllabile, l'etico con ciò che è utile. In simili situazioni il pro-
blema del senso passa in secondo ordine di fronte all'efficienza
o alla funzionalità delle azioni e delle convinzioni.
A questo primo obiettivo se ne aggiunge un altro: suscitare il
desiderio della fede, sia in chi l'ha già per tradizione sia in chi non
ne gode. Cio si verifica quando essa viene presentata come ricca
di valori vitali e culturali. La dimensione religiosa, di per gene-
rica, si fa così concreta nella presentazione di Cristo, che rivela
all'uomo il suo vero essere e il suo destino- La comunità che vive
di lui ne offre una testimonianza illuminante.
232

24.5 Page 235

▲back to top
C'è poi un terzo obiettivo: aiutare a vivere una prima esperien-
za di fede. Può rappresentare anche solo un inizio, ma se lascia
un segno nella persona, diventa spesso punto di riferimento im-
portante per la vita. Succede pure che quella prima esperienza torni
alla mente e venga rivissuta in altre circostanze. Al contrario, i ge-
sti religiosi ripetuti per obbligo rischiano di venire abbandonati con
facilità e le conoscenze apprese per esigenze di programma si di-
menticano.
Di qui l'esigenza di perseguire un altro obiettivo: la conoscen-
zaorganicae fondata dei contenuti della fede, la pratica coerente
della vita cristiana, la formazione di una cultura cristiana, l'impe-
gno come esigenza vocazionale e missionaria.
Le considerazioni precedenti suppongono un tipo di annuncio
che sia veramente tale: una buona novella di salvezza, fedele alla
Verità e all'uomo, annunciata e vissuta, per il presente e per il fu-
turo. Un Evangelo che non suoni come una serie di obblighi, ben-
sì come una grande opportunità; che non sia solo una dottrina,
ma soprattutto un'offerta di incontro personale con Cristo; non
una ((spiegazione>» su Dio, ma un invito a entrare in comunione
di vita con Lui.
Oltre a questo, è necessario che I'annuncio abbia un alto valo-
re esistenziale, ossia che riveli qualcosa sulla vita dell'uomo, che
per lui diventi luce, verità e via. È indispensabile allora tenere in
considerazione le situazioni, le speranze e i problemi della crescita
del giovane, e in essi pronunciare l'Evangelo.
Inoltre, l'annuncio dovrà assumere anche una dimensione sto-
rica. Il messaggio non puo limitarsi all'individuo e alla sua inte-
riorità o al suo ambiente domestico; deve illuminare gli eventi del-
lavita sociale e collettiva e diventare « pratica politica» e « cultu-
ra>». La sensazione di inutilità storica della fede pone le sue radici
nella privatizzazione che ne fanno i cristiani; se non si «applica»
la fede ai grandi problemi degli uomini, la si riduce a realtà evane-
scente e insignificante per la società.
Infine, ogni annuncio contiene un significato trascendente, ca-
pace di rivelare all'uomo il suo destino ultimo e di sollecitarlo con-
tinuamente verso tale meta: ciò lo fa sentire « pellegrino»> nel mondo
e libero davanti agli uomini. Del resto nulla può essere considera-
to ultimativo in questo mondo se non I'incontro con Dio.
233

24.6 Page 236

▲back to top
3. UN CRITERIO: FARE ESPERIENZA DELLA FEDE
L'esperienza della fede non è solo uno degli obiettivi intermedi
nel processo di evangelizzazione; si trasforma pure in criterio me-
todologico.
Un tempo i programmi educativi privilegiavano I'informazio-
ne sulla fede, l'istruzione religiosa. La pratica si considerava già
sufficientemente assicurata dall'ambiente di vita.
ll problema stava nel dare organicità e razionalità a quanto si
era ricevuto e si viveva in famiglia e nella stessa società. L'opzio-
ne di fede era considerata plausibile, perché sperimentabile nella
vita quotidiana.
Nella fase successiva si constata invece che, di fatto, questo per-
corso usuale viene inceppato. I giovani manifestano grosse caren-
ze di conoscenze religiose e spesso tanta confusione circa la vita
cristiana.
GIi educatori allora awertono come prioritaria l'esperielzaper-
sonale della fede. La cosa più importante non è che i giovani im-
parino tutto o molto sulla religione: urge sgretolare pregiudizi, ri-
svegliare il bisogno di <<salvezza »>, dare dimensione reale alla fede
come ambito di libertà, di gioia, di valori. In questo si è potuto
trascurare la comprensione organica dei contenuti, con i conseguenti
rischi di soggettivismo e parzialità. Si torna allora a sollevare la
questione della conoscenza della fede e si rileva una nuova insi-
stente domanda di «catechismi» e programmi. In tutto questo
emergono giuste esigenze, ma anche non poche ambiguità che po-
trebbero far regredire non tanto alle forme desuete, quanto a mo-
delli inadeguati se non controproducenti.
Oggi sembra di essere nel momento di sintesi dei due aspetti,
esperienza e conoscenza. Peraltro essi non si oppongono, bensi si
richiamano a vicenda e si integrano, se l'espcrienza provoca, coin-
volge e conferma la conoscenza.
Ma cos'è esattamente un'esperienza educativa o di fede?
L'esperienza educativa è una situazione in cui il soggetto entra
in contatto diretto con beni, significati o valori che si riferiscono
alla sua crescita e lo toccano in profondità. Qualcosa di analogo
è l'esperienza della fede. In essa si entra in contatto con un segno,
234

24.7 Page 237

▲back to top
un fatto, una persona, che manifesta in forma abbastanza imme-
diata il vissuto della fede. La coniugazione valore e vita scatena
nel soggetto un dinamismo per cui si sente implicato nella situa-
zione in modo totale e attivo: con la ragione, l'affettività, la fisi-
cità, le relazioni. I risultati che conseguono sono sentimenti di gioia,
di conquista, di donazione, di gratificazione, di sorpresa, di illu-
minazione. Ciò favorisce l'incorporazione nell'esistenza del con-
tenuto dell'esperienza, che resta nella memoria come momento
esemplare e significativo.
Non si tratta qui di teatralità ricercata o di impatto emotivo cal-
colato, e neppure di strumentahzzezione dei sentimenti. Non siamo
di fronte a una propaganda o futile promessa di felicità suffragata da
luci e suoni. Peraltro si danno esperienze di silenzio, di riflessione, di
ascesi, di dolore. In tutte è possibile un elemento di disturbo. Ma l'e-
sperienza vissuta scatena dinamismi interiori e determina trasforma-
zioni nella persona, cui non ci si può umanamente sottrarre.
Proporre la fede all'interno di un'esperienza significa dare una
uguale rilevanza alla comunicazione di conoscenze e alla forma-
zione di convinzioni religiose (aspetto conoscitivo), alla matura-
zione di sentimenti favorevoli alla fede (aspetto affettivo), all'ini-
ziazione a diverse forme di vita e di azione tipiche dell'esistenza
cristiana (aspetto attivo).
Si tratta di collegare continuamente la riflessione sui problemi
umani, in cui si percepiscono limiti e aspirazioni, ricerca e rispo-
ste, all'annuncio di Cristo e all'insegnamento religioso (Parola),
scegliendo quei temi che sono determinanti per la fede o più signi-
ficativi per l'esperienza umana giovanile.
Con tutto ciò non abbiamo ancora superato le « spiegazioni ».
L'esperienza della fede comporta che attraverso tutto questo
la persona si apra a Dio con fiducia e gioia, e ne senta la presenza
nella vita.
Momento essenziale dell'esperienza di fede è la celebrazione di
essa. Non si tratta di semplice aggiunta; ma appartiene alla natu-
ra della fede.
Culmine e fonte della vita di fede sono Ie celebrazioni sacra-
mentali, che si manifestano nella loro carica simbolica (segno) ed
efficacia reale. Tuttavia negli ambienti educativi si danno diversi
235

24.8 Page 238

▲back to top
tipi di celebrazioni, che nei casi più riusciti giungono a essere tota-
li: sono le modalità diffuse di celebrazione della vita (es. la festa)
che diventano propedeutiche o espressive dei segni efficaci della
fede.
Sperimentata deve essere anche la dimensione sociale della fe-
de. A volte la comunità cristiana è conosciuta solo dal di fuori,
attraverso i mezzi di comunicazione o mediante i segni materiali
della sua presenza. Convivere in essa è ben altra cosa. La fede « si
sente)) nell'incontro diretto e personale con credenti impegnati,
nella partecipazione attiva ai momenti comunitari che sono signi-
ficativi, nel contatto con le iniziative che la esprimono con vivacità.
4. UNA TENSIONE FECONDA: LIBERTÀ E PROPOSTA
Da quanto si è detto finora si deduce che la fede ha bisogno
di un clima di libertà per nascere e maturare. E cio è vero sia per
gli adulti che per i giovani e i bambini. Essendo una risposta di
amore e di entusiasmo interiore, non può crescere in altro terreno
che in quello della libera scelta, del «volontariato».
Taluni faticano ad accettare questa verità e ne limitano il suo
conseguente significato. La fede, dicono, esige sforzi, decisioni,
ascesi, continuità. Se la si fa crescere nella «gioia» e nella libera
risposta, verrebbero meno tali esigenti istanze, sarebbero eser-
citate con regolarità e costanza. Di fronte alle prove, una simile
fede sarebbe destinata a crollare.
Come è intuibile, le due dimensioni sono parimenti necessarie:
la motivazione vitale e I'impegno costante. E tuttavia la prima muo-
ve la seconda. Come nello sport, nel lavoro o nell'arte, così anche
nella fede le persone demotivate o coartate sono quelle che non
sopportano la fatica, e tantomeno riescono a impegnarsi per un
tempo lungo. È la passione che muove la vita. Chi ama rischia con
gusto.
Oggi peraltro valori e senso della vita sono elaborati in ambienti
pieni di spontaneità. Una delle difficoltà delle istituzioni educati-
ve a proporre la fede sta nel fatto di apparire o essere troppo re-
golate e organizzate. I giovani awertono che i loro interrogativi
236

24.9 Page 239

▲back to top
vitali restano fuori dai programmi e pertanto cercano altrove le
soluzioni.
Per questo ultimamente si persegue il rinnovamento delle isti-
tuzioni con 1'animazione pastorale dei programmi educativi. Alla
normalità di momenti e pratiche si sostituisce un'offerta abbon-
dante e diversificata di proposte, tenendo conto che si verificano
diverse disposizioni verso la fede e differenti livelli di conoscenza.
Tuttavia il sistema della semplice offerta appare una soluzione
perdente, data la complessità del vivere sociale e la pressione di
agenzie interessate. E d'altro canto non è pensabile riesumare l'au-
torità istituzionale come istanza che fa accettare a tutti pratiche
e momenti religiosi. In effetti, la questione è assai più complessa
di quanto sembri, poiché entra in gioco, piir che un ruolo, la qua-
lità, Ia competenza e la passione evangelizzatrice delle persone che
formano la comunità educativa. Se questa marcia non ingrana, è
davvero vano pensare di riuscire a coniugare libertà personale e
proposta di fede.
In realtà, prendere l'iniziativa dell'annuncio significa in con-
creto preparare una serie di proposte, alcune dirette a tutti, altre
a gruppi specifici, altre ancora a ogni persona; alcune che partano
dall'interesse ricreativo e sociale, altre che sfruttino l'interesse cul-
turale ed educativo, altre che mirino direttamente all'esperienza
religiosa e all'impegno cristiano. In questa prospettiva hanno la
meglio proposte articolate, iniziative pensate, attività programmate,
in una parola «vita progettata>>, cui si attende come risposta inte-
resse, partecipazione e impegno.
Alla luce di tali considerazioni essere educatori alla fede e del-
la fede implica una serie di disposizioni, quaii andare incontro a
tutti i giovani, qualunque sia la loro posizione di fronte alla fede,
con una parola o un gesto-messagggio che li raggiunga personal-
mente; avere fiducia nell'azione dello Spirito Santo che muove dal
di dentro tutta la persona e fa emergere nella sua coscienza il sen-
so della presenza e della paternità di Dio; inserire la proposta del-
la fede in un clima di segni comprensibili, di relazioni personali
animatrici; favorire il formarsi di atteggiamenti, abitudini e gesti
di fede, semplici (preghiera, senso di Dio, amore per il prossimo),
ma ben radicati nella vita.
237

24.10 Page 240

▲back to top
5. CONCLUSIONE: COME IL TESORO NASCOSTO
L'esperienza cristiana è vissuta oggi come un tutto a disposi-
zione, in cui quanto c'è di coartante perde di valore. La fede è co-
me il tesoro che un uomo scopre in un campo. Per comprarlo, vende
con decisione e speranza tutto quello che possiede. Questo è il prez-
zo della fede. E questa è anche la carica di entusiasmo che serve
per decidere. L'educatore deve presentarla così ai giovani perché
la amino, la desiderino, la ricevano come un dono e impegno.
238

25 Pages 241-250

▲back to top

25.1 Page 241

▲back to top
Capitolo quarto
LA DIMENSIONE ASSOCIATIVA:
I GRUPPI GIOVANILI
PER AIUTARE A CRESCERE
L'attenzione a questa dimensione del progetto educativo ci sol-
lecita in primo luogo a dare uno sguardo alla situazione, per rac-
cogliere I'attuale domanda giovanile a riguardo dell'esigenza ag-
gregativa, e inoltre a considerare adeguatamente lo sviluppo del-
l'esperienza associativa in uno stile educativo singolare.
1. UNO SGUARDO ALLA SITUAZIONE
Si offre qui una lettura essenziale della domanda giovanile, del-
I'esperienza associativa ecclesiale e dell'associazionismo in stile edu-
cativo.
1.1. La domanda giovanile
I giovani si aggregano. È rilevante la presenza di un associa-
zionismo organizzato, oltre a quello che avviene in forma sponta-
nea o scarsamente strutturata.
Le analisi sociologiche rivelano l'importanza della variabile as-
sociazionistica per comprendere piir a fondo comportamenti e scelte
dei giovani; mettono in luce le motivazioni che spingono i giovani
ad aggregarsi; evidenziano i diversi modelli dell'associazionismo
e i rischi connessi alle varie formule; e infine aiutano a individua-
re, mediante il fenomeno associativo, le dinamiche e tendenze che
attraversano oggi la società.
L'importanza della variabile associativa per la vita del giovane
è ancor più sottolineata dalla situazione storico-sociale che stia-
mo vivendo: il giovane, infatti, ha bisogno di un momento prope-
239

25.2 Page 242

▲back to top
deutico all'ingresso pieno in una società che si rivela complessa
nei rapporti e nelle appartenenze, pluralista nelle concezioni e nel-
le scelte di vita, e frammentata nei messaggi e nelle proposte di
valori.
La complessità sociale da una parte rende conto di alcune ca-
ratteristiche che assume il fenomeno associativo, oggi, come ad
esempio, la molteplicità delle aggregazioni, il pluralismo anche con-
traddittorio di esse, l'esposizione ad una possibile e frequente di-
sgregazione e frammentazione. Dall'altra spinge ancora una volta
alla creazione di spazi vivibili dal giovane, quasi « mondi vitali »,
nei quali ricuperare il senso di una crescita e di una maturazione
di senza troppi traumi, il riconoscimento dei propri bisogni ra-
dicali.
Secondo la nostra prospettiva occorre leggere la realtà con preoc-
cupazione educativa: attenti cioè a rilevare e selezionare le domande
di espressione, di maturazione, di senso che emergono da questo
orientamento dei giovani.
I giovani cercano il gruppo per vari e diversificati motivi.
Il gruppo, mediante processi di identificazione e di autonomia,
porta a termine l'inserimento attivo nella società (socializzazione)
iniziato dalla famiglia, continuato dalla scuola e dall'incontro con
gli altri.
Il gruppo sviluppa e matura l'identità personale del giovane me-
diante l'accettazione di sé e il bisogno di riconoscimento da parte
dell'altro.
Il gruppo, con la progressiva assunzione dei ruo1i, orienta il gio-
vane a sperimentare le sue capacità, le sue responsabilità, la fidu-
cia nelle proprie forze e nella risposta all'altro.
Il gruppo, tramite I'accoglienza incondizionata, offre un am-
biente che è affettivamente caldo, coinvolgente, rassicurante, ric-
co di senso condiviso nelle relazioni interpersonali.
Il gruppo diventa dunque luogo dove possono essere sperimen-
tabili nuovi ruoli e nuova identità.
La forma organizzata del gruppo e dell'associazione probabil-
mente è quella che permette oggi al giovane di consolidare il senso
di appartenenza,lapossibilità di dialogo e di confronto, esperien-
ze vitali di corresponsabilità, la maturazione di un quadro di rife-
240

25.3 Page 243

▲back to top
rimento per la propria vita, e infine la partecipazione all'elabora-
zione ed esecuzione di proposte sociali, culturali, religiose.
1.2. L'associazionismo nella Chiesa
La Chiesa che sa di essere comunione, nella realtà storica di-
venta comunità.
La Chiesa universale si concretizza e si rende visibile nelle chiese
particolari e queste si fanno presenti nelle comunità cristiane a di-
mensione umana. Cosi la comunione di vita e di amore che sgorga
dal Cristo percorre un duplice movimento guidato dallo Spirito:
- dalla Chiesa universale alla chiesa particolare e da questa alle
sue comunità;
- dalle comunità cristiane alla chiesa locale e da questa alla
Chiesa universale.
Sin dagli inizi la Chiesa ha operato con tale dinamica, come
ci riferiscono gli Atti degli Apostoli. Ogni forma di incontro, di
associazione e di comunità ha avuto un appoggio non semplice-
mente per motivi di strategia, ma soprattutto come espressione del
mistero di Chiesa. Di fronte a eventuali difficoltà, che potevano
sorgere nella comunità sia riguardo all'ortodossia che alla prassi,
i pastori le aiutavano a maturare, in vista della comunione in Cri-
sto e nella Chiesa.
Anche oggi si rilevano dai documenti ecclesiali sollecitudini e
orientamenti simili.
I gruppi, i movimenti, le associazioni giovanili hanno sempre
avuto rilievo nella Chiesa, sia quanto a svariate forme per età ed
esperienza dei soggetti, sia quanto al numero globale degli appar-
tenenti. Un'attenta ricostrtrTione storica metterebbe in luce gli aspet-
ti più caratteristici e salienti, le diverse proposte offerte dall'alto
o sorte dal basso, specie a partire dal secolo scorso.
Oggi si nota un'evoluzione rilevante della realtà associativa in
varie direzioni.
Anzitutto l'esperienza associativa a carattere religioso, dopo un
notevole calo alla fine degli anni Sessanta e durante gli anni Set-
tanta, manifesta una singolare vitalità, sotto le piir diverse forme.
Accanto all'associazionismo organizzato si sviluppa una nume-
241

25.4 Page 244

▲back to top
rosa presenza di gruppi spontanei, che si presentano come luoghi
di maturazione umana e cristiana e non sono legati a movimenti
o associazioni. Al riguardo si parla di «associazionismo invisibi-
le >»: senza collegamenti particolari, circola tra loro una << cultura »>
legata ai valori della modernità e al modo di vivere il Vangelo pro-
posto dal Concilio.
Un ulteriore tratto evolutivo si può identificare nel passaggio
da un utilizzo funzionale delle forme associative allo scopo di una
migliore trasmissione dei contenuti della fede o di un impegno mis-
sionario nel mondo, al riconoscimento della validità dell'esperienza
associativa come tale per la maturazione e crescita dei giovani.
Così, dalla considerazione del gruppo ecclesiale quale momen-
to preparatorio all'inserimento nella comunità più ampia (parroc-
chiale, diocesana...) si passa al riconoscimento del gruppo come
luogo tipico di esperienza comunitaria e di vita ecclesiale, per cui,
fatti salvi certi criteri di ecclesialità, il gruppo è già Chiesa o parte
viva di essa.
In tale risveglio aggregativo di ispirazione religiosa, oltre al nu-
mero dei partecipanti e alla forte presenza in campo ecclesiale e
sociale, sono da considerare altri elementi qualificanti:
- la funzione dei gruppi religiosi nella crescita e maturazione
dell'individuo;
ten-utiladiritleipvoanpzearsnoenlalalevietaredlaelzigornuaplep;o delle tematiche e dei con-
do
-o
la vitalità dei gruppi che si collocano in situazione
più di comunione con la grande comunità della
di raccor-
Chiesa;
con-trolaacllaepaesciigendzieadgigrfeogrmazaioznioendeeei
movimenti che
di educazione
vengono in-
dei giovani;
- il ruolo significativo dei gruppi che si presentano con i ca-
ratteri di una definita e precisa identità: si offrono come punti di
sicuro riferimento, capaci di distinguersi; come luoghi che aiuta-
no a superare la disgregazione e la frammentazione, e a scoprire
il senso della vita quotidiana.
1.3. Gruppi e associazionismo in prospettiva formativa
Sono molti i progetti educativi che assumono la dimensione as-
sociativa con caratteristiche proprie.
242

25.5 Page 245

▲back to top
Don Bosco si rivolge alle masse giovanili del popolo: non è pen-
sabile ottenere un'efficace opera di prevenzione e di penetrazione
capillare, senza la partecipazione attiva e organizzata degli stessi
giovani.
Ne scaturisce una linea pastorale: cogliendo l'animo giovanile,
egli scopre nella prassi la indispensabilità di gruppi e associazioni
e li adatta alle esigenze molteplici dei ragazzi, creando per loro,
forme associative svariate, con una finalità comune.
ln tali associazioni educative si prende awio da interessi gio-
vanili, si risponde a situazioni di vita, si segue il graduale cammi-
no di maturazione dei giovani: esse sorgono in un ambiente am-
pio come forme di corresponsabilità e come fermento di crescita
e valorizzano il rapporto adulto-giovane, educatore-educando,
ambiente-persona.
L'esperienza aggregativasi configura quindi sotto il profilo edu-
cativo, poiché presuppone una chiara libertà di partecipazione, in-
tende essere autenticamente ((opera dei giovani>», ha un preciso
scopo pedagogico che mira ad aiutare i giovani nella loro crescita,
sottolinea la collaborazione all'ambiente educativo e il servizio ai
compagni.
Si qualifica anche nella prospettiva pastorale, perché i gruppi
sviluppano una catechesi che intende permeare di fede la vita quo-
tidiana del giovane, promuovono una partecipazione più attiva alla
vita ecclesiale, curano il discernimento e la maturazione vocazio-
nale nei partecipanti, incoraggiano alla testimonianza della vita cri-
stiana soprattutto nel proprio ambiente.
L'esperienza assume in particolare un cammino spirituale, dal
momento che sottolinea la riflessione di fede, cerca di far vivere
il mistero di Cristo amico dei giovani e si affida a Maria Immaco-
lata aiuto dei cristiani, propone la santità secondo un modello gio-
vanile, porta verso un'esperienza sacramentale più continua e pro-
fonda, propone il cammino ascetico dell'adempimento del dovere
con generosa creatività, allargala visuale verso future responsabi-
lità di Chiesa e di società.
E infine i gruppi si presentano con tipiche caratteristiche orga-
nizzative, perché puntano in particolare sul gruppo come luogo
educativo, esigono il riferimento di tutti i gruppi all'ambiente o
243

25.6 Page 246

▲back to top
comunità, adeguano i programmi alle caratteristiche dei giovani
e ai bisogni dell'ambiente, si danno una normativa che assicuri il
normale e continuo funzionamento, sono animate da educatori ispi-
rati a una comune visione pedagogica e spirituale.
2. IL GRUPPO COME ELEMENTO QUALIFICANTE
DELLA PROPOSTA ASSOCIATIVA
Nella prospettiva educativa il gruppo diventa una scelta quali-
ficante della proposta associativa.
Le ragioni sono molteplici. Esso costituisce anzitutto una me-
diazione importante tra il singolo (rischio della solitudine) e la gran-
de massa (rischio dell'anonimia), facendo maturare a poco a po-
co il «tu» in un <<noi»>.
Rappresenta per il giovane I'ambiente più efficace per Ia co-
struzione di sé: il luogo in cui può crescere sul piano personale,
affettivo e relazionale e scorgere soluzioni per i suoi problemi.
Diventa lo spazio più immediato per rispondere alla domanda
di senso e di ragioni di vita che nell'età giovanile costituisce la ri-
cerca più significativa. Il gruppo è uno spazio di creatività, in cui
è possibile l'apertura al mondo sociale e al territorio, l'iniziazione
a un impegno di servizio, di condivisione e partecipazione. Si pre-
senta fondamentalmente come il luogo privilegiato dove è possi-
bile offrire al giovane un'esperienza di Chiesa e di comunità, do-
ve si possono sperimentare i valori evangelici Vieni e vedrai... »).
Tutto ciò a una condizione: che venga convenientemente «< anima-
to » affinché obiettivi e processi corrispondano alle intenzioni edu-
cative.
2.1.ll gruppo: soggetto di formazione
Un gruppo giovanile è animato quando è consapevole della for-
mazione che gli viene proposta e partecipa creativamente alla for-
mulazione degli obiettivi educativi che lo riguardano e alle attività
per raggiungere questi obiettivi.
Ciò comporta alcune linee di sviluppo presenti, almeno come
244

25.7 Page 247

▲back to top
tendenza, fin dal primo momento della nascita del gruppo, e che
vengono assunte in maniera esplicita e consapevole lungo il cam-
mino educativo. Tentiamo ora di formularle.
si tratta di passare da un aggregato di persone, che si incontra-
no per vincere la solitudine o ricavare un profitto individuale, a
un soggetto reso unitario dai legami affettivi tra i membri'
A mano a mano che le interazioni si moltiplicano e si consoli-
dano, il gruppo comincia a sperimentarsi come un tutto, qualcosa
in più di una semplice somma di individui.
Le difficoltà per arrivare a questa unità sono:
- il culto eccessivo dell'autonomto, che impedisce ai singoli di
sentire come significativa l'appartenenza al gruppo;
- la dipendenzo totale dal gruppo, che espone i singoli alla ma-
nipolazione fino a far loro perdere la capacità di dare apporti e
assumere in proprio responsabilità nella vita comune.
Bisogna dunque aiutare a vivere il gruppo come un'esperienza
decisiva, anche se non l,unica, per la formazione di una mentalità
matura e coerente. È animato quel gruppo che, all'inizio magari
in modo implicito, si propone di qssimilore criticamente il patri-
monio culturale e religioso delle generazioni che l'hanno precedu-
to e di aiutare i suoi membri a dare una risposto personale al sen-
so della vita, reagendo alle sfide che, giorno per giorno, si fanno
loro incontro.
La consapevolezza di questo processo è graduale, ma è decisi-
vo che, come seme, sia presente fin dal primo momento dello sta-
re insieme. Lungo le fasi di sviluppo il gruppo maturerà un atteg-
giamento sempre più consapevole, critico e attivo:
- rispetto ai processi formotivt che si svolgono al suo interno
e nell'ambiente educativo;
- rispetto alle proposte globoli che si vivono nell'ambiente so-
ciale, culturale ed ecclesiale.
Consapevolezzo, portecipazione, controllo dei processi forma-
tivi: sono conquiste progressive a cui i giovani possono arrivare
con più facilità se vengono incoraggiati dall'ambiente educativo
e in particolare dall'animatore.
Occorre inoltre articolare la vita del gruppo fra capacità e gu-
sto dello stare assieme e capacità e gusto di «impegnarsi per>», sa-
245

25.8 Page 248

▲back to top
pendo che è attraverso queste due modalità che si attua la forma-
zione.
Non c'è animazione dove lo stare insieme, l'amicizia e la soli-
darietà reciproca prevalgono sull'impegno, cioè sul realizzare at-
tività in vista di un bene. Allo stesso modo non c'è animazione
dove ci si incontra soltanto per esprimere un interesse o per svol-
gere un servizio, senza dare sufficiente spazio alle relazioni inter-
personali e all'amicizia.
Al di del punto dipartenza, il gruppo sviluppa le sue dimen-
sioni, appropriandosi di una alla luce dell'altra, in una lenta e pro-
gressiva maturazione. Si cresce attraverso l'esperienza complessi-
va del fare gruppo.
2.2.11metodo formativo di gruppo
Il gruppo è animato quando persegue la formazione dei suoi
membri attraverso il metodo di gruppo.
Il metodo è il modo di organizzare le risorse e gli interventi per
raggiungere gli obiettivi educativi, una volta che il gruppo se ne
è reso consapevole e partecipe. Si tratta di un'organizzazione ra-
zionale, organica, coerente.
L'espressione metodo di gruppo può celare significati ambigui
che conviene chiarire. Non si adopera il metodo «di gruppo» quan-
do la formazione:
- awiene a fianco, in modo parallelo all'esperienza che il grup-
po sta vivendo;
- viene ridotta soltanto ad alcuni momenti o attività;
- viene svolta di prevalenzainrelazioni a <<tu per tu>» tral'a-
nimatore e il singolo membro del gruppo;
- viene attribuita soltanto a quei momenti in cui l'animatore
propone contenuti culturali o religiosi e si nega invece valore edu-
cativo alle iniziative che provengono dal basso, Iegate a interessi
personali.
Positivamente il metodo di gruppo si caratteizza.per alcuni tratti
che sottolineano ancora una volta che il gruppo è soggetto, e non
soltanto un mezzo, di educazione.
246

25.9 Page 249

▲back to top
L'energio educotiva del gruppo
Il primo tratto è certamente ttilizzare I'energia del gruppo in
forma educativa.
Le interazioni di gruppo scatenano energie che potenziano quelle
che di solito vengono impiegate dai singoli per costruire se stessi:
legami affettivi, contrapposizioni e confronto, mete comuni, sen-
timenti di appartenenza. Esse impegnano i singoli a cambiare se
stessi, gli altri, la società, la Chiesa.
È necessario allora creare un contesto relazionale in cui I'indi-
viduo si senta a tal punto accolto e confermato come persona, che
mette in discussione il proprio modo di pensare e di agire, ricono-
sce i propri pregi e limiti, accetta se stesso e gli altri, rispettandone
la diversità e I'autonomia.
Allo stesso tempo entra in contatto con Ie proposte culturali
e religiose dell'ambiente, apprende a ristrutturare la propria scala
di valori e a riprogettare la propria vita.
Si coglie l'originalità del metodo del gruppo se si guarda ad al-
tri modi di procedere dove I'attenzione è prevalentemente centra-
ta sul peso dei contenuti e sulla loro forza di convincimento, o sul
fascino carismatico di un leader, o sull'appello alla coerenza, e dove
si dà invece importanza secondaria ai confronti, alle condivisioni,
alle elaborazioni comuni dei valori.
Il gruppo: loboratorio di vita
Riconosciute come educotive le energie tipiche del gruppo, si
tratta di fare del gruppo un piccolo « laboratorio » della più vasta
vita sociale ed ecclesiale.
Il gruppo riproduce, in un ambiente più semplice come orga-
nizzazione e più facile da «controllare>», il vasto mondo sociale
ed ecclesiale dentro il quale i giovani rischiano di disperdersi e di
non inserirsi attivamente. Il gruppo vuol essere un piccolo labora-
torio in cui esercitarsi a vivere come uomini e cristiani, a stabilire
legami e svolgere attività nelle quali essere protagonisll delle pro-
poste e non semplici destinatari-acquirenti di prodotti culturali o
religiosi.
Il metodo del gruppo non isola dalla società e dalla Chiesa, ma
247

25.10 Page 250

▲back to top
mette insieme, anche se in piccolo, i processi che awengono in es-
se. In questo senso permette di fare esperienza di Chiesa e di società.
Della società e della Chiesa, il gruppo riproduce Ia pluralità delle
persone, la loro diversità, la ricerca di una convivenza che rispec-
chi l'autonomia dei singoli e la solidarietà fra tutti, non solo nella
linea dell'amicizia, ma anche dei valori comuni.
Della società e della Chiesa il gruppo riproduce la struttura << so-
ciale>>, facendo sperimentare che il rispetto delle regole e norme
-
è
e, dunque, anche l'accettazione
un arricchimento per tutti.
di
limiti
alla
propria
libertà
-
Della società e della Chiesa il gruppo riproduce anche il diffi-
cile ma essenziale rapporto dei singoli con l'autorità e con le sue
diverse personificazioni.
ll gruppo è il luogo di abilitazione a una obbedienzo critica e
costruttiva, fuori di ogni conformismo e dipendenza, dove la pro-
pria coscienza si lascia misurare dall'autorità e dalla <<istituzione»>
sociale ed ecclesiale che essa rappresenta.
Costituendosi comepl'ccolo laborotorio, il gruppo aiuta a ma-
turare un rapporto critico e positivo con la società, a dialogare e
a controllore i processi culturali. In molti casi finisce per essere
di giusto controppeso alle eccessive pressioni della società verso
i giovani. Filtra criticamente i messaggi, ma soprattutto rafforza
gli «anticorpi» per sottrarsi a ogni conformismo.
Apprendimento per esperienza
Ne consegue allora l'altro tratto del metodo di gruppo: appren-
dere per esperienza.
Con questa espressione intendiamo fare riferimento a tre ca-
ratteristiche:
- il procedere per esperienza di gruppo;
- l'apprendere dalla riflessione critica sulle esperienze;
- il valorizzarei <<contenuti>> culturali e religiosi insiti nell,e-
sperienza o che da essa si sprigionano.
Procedere per esperienze di gruppo significa non tanto svolge-
re attività interessanti, ma fare di queste una esperienza di colla-
borazione attiva e critica fra tutti, attraverso lavalorizzazione della
competenza di ognuno. Lavorare assieme permette di attingere la
248

26 Pages 251-260

▲back to top

26.1 Page 251

▲back to top
dimensione profonda del fare gruppo. È formativo non solo ciò
che si fa, ma come lo sifa.ll senso di gruppo che ne scaturisce
crea comunione di affetto e di valori, apre orizzonti di senso a cui
l'individuo da solo non potrebbe giungere.
Apprendere dollo riflessione critica sulle esperienze è cogliere,
discernere e decidersi di fronte ai messaggi che esse nascondono.
Cio richiede momenti di riflessione, in cui ciascuno esercita la sua
capacità intuitiva e intellettiva, affinché il messaggio dell'esperienza
entri a far parte in modo consapevole del patrimonio del gruppo
e dei singoli. In una società che offre molte possibilità, i giovani
sono in grado di permettersi diverse esperienze temporanee, incluse
quelle associative, religiose, di volontariato. Essi spesso consumano
esperienze. Gli animatori, a volte, rimangono colpiti dal fatto che
dopo un'attività formativa non si decantino convinzioni o ideali
proporzionati, anche se la memoria dell'esperienza è gratificante;
ma questa è una conseguenza logica del consumo acritico delle « no-
vità».
Volorizzare i contenuti culturali e religiosi proposti, per far giun-
gere i giovani a una sintesi personale, comporta il non lasciar pas-
sare né semplicemente consegnare loro quanto l'esperienza spri-
giona, ma aiutarli a elaborare e integrare nel proprio vissuto idee,
acquisizioni, modi di vivere.
L'animazione non offre contenuti a fianco dell'esperienza, ma
li offre incarnati in una esperienza: invita il gruppo, partendo dal-
le proprie attese e intuizioni, a scoprirne e ricercarne i valori na-
scosti.
I contenuti possono così essere appresi in concreto, sapendo
da una parte che I'esperienza veicola i valori come germi e li rende
affascinanti; dall'altra che c'è bisogno di momenti in cui riorga-
nizzarli in modo riflesso.
Apprendimento per ricerca
Proprio del metodo del gruppo è ancora opprendere per ricerca.
ll metodo di ricerca si oppone a una formazione come trasferimento
verbale di verità preconfezionate. Ma si oppone anche all'ipotesi
secondo cui, soprattutto per quanto riguarda le grandi verità e i
valori, l'individuo va Iasciato al suo libero e spontaneo movimento.
249

26.2 Page 252

▲back to top
La ricerca è una via articolata in cui possono essere rintraccia-
te diverse fasi. L'insieme di esse trova la giustificazione nel princi-
pio che i contenuti vanno proposti in modo significativo per il sog-
getto, in modo cioè capace di entrare in contatto con il cammino
umano e di fede che egli sta percorrendo.
Alcune toppe della ricerca possono essere esplicitate.
Suscitore le domande sottese al vissuto giovanile. Per questo
si richiede condivisione quotidiana con i giovani, valorizzazione
dei loro interessi, intuizione delle attese, distinguendo tra attese
superficiali e profonde e fra attese indotte dall'ambiente e attese
soggettive.
Questo comporta l'impegno dell'animatore per aiutarli a espri-
mere con parole proprie e a chiamare per nome i problemi, gli in-
terrogativi vaghi, i disagi...
Selezionare i contenuti culturali e religiosi. Fra i tanti messaggi
a disposizione, si tratta di individuare quelli maggiormente capaci
di parlare alla mente e al cuore dei giovani, in quanto risposta pro-
vocante alle loro attese e alle loro domande. Per questo è necessa-
rio preoccuparsi che quanto si propone sia illuminante e assimila-
bile. Si chiede quindi una profonda conoscenza dei nuclei nevral-
gici dove convergono e si ricollegano i messaggi.
Proporre i contenuti culturali e religiosi non come formule-
soluzioni da accettare o rifiutare, ma come piste di ricerca perso-
nale e di gruppo. Il cuore della ricerca è lo sforzo di individuare
la sintonia fra domande e contenuti. Il processo è di tipo circola-
re: dalle domande alla proposta e viceversa. Domande e proposte
si illuminano reciprocamente attraverso un lavoro paziente e critico.
Lavia della ricerca, in questa fase, implica il dialogo, l'eserci-
zio della criticità, la presenza del dubbio, il paziente confronto tra
attese e proposte.
Riformulore i contenuti in modo creotivo e, quindi, ridirli con
il linguaggio tipico del gruppo. Solo così possono entrare a far parte
di un proprio patrimonio culturale e religioso. È necessario inol-
tre individuare le possibili applicazioni dei nuovi contenuti alla vi-
ta personale e del gruppo, come a quella ecclesiale e sociale. Essi
diventano inizio di una nuova azione, di un nuovo modo di vive-
re, di nuovi impegni dentro e fuori del gruppo.
2s0

26.3 Page 253

▲back to top
Apprendimento di un metodo di azione
Infine appartiene al metodo di gruppo la sperimentazione e il
consolidamento di un particolare metodo di azione da applicare
sia nella vita sociale ed ecclesiale sia all'interno del gruppo mede-
simo. Per metodo di azione si intende un procedimento razionale,
sufficientemente provato, per intervenire in modo corretto in ogni
5i1ue zisne che richieda capacità di or ganizzarsi, soprattutto quando
l'obiettivo è produrre un cambiomento.
Questo procedimento prevede alcuni momenti che il gruppo ap-
prende ad applicare attraverso una pratica continua.
L'analisi e lo diagnosf. Di fronte 4 una 5ifuszione il gruppo cerca
di avere il massimo delle informazioni possibili, per capirla in for-
ma sufficiente e obiettiva. Dall'analisi si passa a un'interpretazio-
ne globale attraverso un lavoro comune, fino a cogliere i proble-
mi di fondo e le loro cause, le sfide a cui rispondere.
La valutozione dei doti risultanti dall'analisi e dalla diagnosi.
Valutare comporta far ricorso ai valori culturali e religiosi in cui
il gruppo si riconosce, per illuminare la situazione, darne un giu-
dizio e aprire nuove strade verso il futuro. I criteri di valutazione
diventano così anche i criteri per una nuova progettazione.
L'elaborozione di un progetto d'intervento organico e tazio-
nale. Il gruppo prevede gli obiettivi da raggiungere, le strategie o
modalità generali di azione da adoperare, le iniziative concrete,
l'organizzazione del gruppo e la distribuzione dei compiti durante
l'azione, le alternative in caso di imprevisti o insuccessi, gli indi-
catori per verificare se gli obiettivi sono stati raggiunti.
La verifica dell'ozione svolta che è anche momento di ripro-
gettazione. Il gruppo matura se sa essere obiettivo e critico sui ri-
sultati, sa trarre lezioni positive anche dagli errori e sconfitte, sa
riprendere con coraggio e fantasia il cammino in avanti, ltilizzan-
do l'esperienza fatta e tentando, piir che di ripetere il passato, di
far fronte alle nuove sfide con il metodo acquisito.
2.3. L'animatore, un adulto con funzione specifica
La funzione che occupa l'adulto nel metodo del gruppo, con-
siderato come soggetto di formazione, ha confini relativamente pre-
251

26.4 Page 254

▲back to top
cisi, ma anche un grande margine di libertà e creatività. Al grup-
po e ai singoli egli si presenta come una figura caratteristica.
Stabilisce con il gruppo una relazione connotata da alcune <<ten-
sioni di cui è cosciente e che coltiva come segreto delle sue possi-
bilità educative.
La tensione tra empotia e distanza. L'animatore dimostra fi-
ducia verso ciascuno nell'accoglienza, nella voglia di stare assie-
me anche nei momenti di svago; allo stesso tempo mantiene l,au-
tonomia rispetto alle amicizie dei singoli e dei sottogruppi. È ami-
co di ognuno, ma insieme di tutti. È amico dei giovani, ma non
come lo sono i giovani tra di loro. Conserva sempre quella neu-
tralità che gli consente di non essere di apparire uno che cattu-
ra le persone per la propria causa; inoltre si colloca sempre come
mediatore tra i giovani e i valori.
La tensione tra lo trosmtssione di quello che ha acquisito e Ia
ricerca comune. Lascia intravedere ai giovani i mondi loro preesi-
stenti e il bagaglio culturale e religioso che vuole condividere per
essere loro di aiuto. Manifesta contemporaneamente anche I'esi-
Eenza di ascoltarli con curiosità e attenzione, convinto che le loro
intuizioni sono arricchenti per tutti.
Lo tensione tro la propria autorevolezza e il senso dell'ugua-
glionzo. Propone i valori in cui crede e fa appello alla propria
credibilità personale per provocare a credere negli stessi valori,
fondandosi sull'esperienza di vita e sul servizio gratuito al grup-
po. Ma allo stesso tempo fa circolare le informazioni con ve-
racità e senza restrizioni, suscita il dialogo, rispetta l,originali-
tà di ognuno, lascia al gruppo decidere secondo le proprie di-
namiche.
La tensione tra esercizio del ruolo e I'espressione personale. Co-
me tecnico di gruppo, agisce secondo le regole e le norme previste
dal gruppo, che egli è chiamato a far rispettare; non instaura nel
gruppo forze improvvise di rapporti o decisioni, né usa un siste-
ma paternalistico: sarebbe diseducativo per i giovani.
Si lascia peraltro avvicinare come persona e sa manifestare la
propria espressività nel gioco, nella preghiera, nel dialogo, nei mo-
menti in cui si esprime il gusto dello stare insieme.
2s2

26.5 Page 255

▲back to top
Le modolità di aiuto
La competenza educativa dell'animatore accettato e riconosciuto
nel gruppo porta a svolgere il ruolo secondo alcune modalità tipiche.
Egli oiuto afor prendere coscienzo: il gruppo ha la propria realtà,
un contesto dove opera, qualche aspirazione che cerca di raggiun-
gere. Deve poter formulare le attese, cogliere obiettivamente Ia si-
tuazione in cui agisce , interiorizzare il progetto. Piuttosto che « da-
re>» soluzioni o <<risolvere>> problemi, l'animatore aiuta il gruppo
ad accorgersi, a rendersi conto, a essere consapevole, a scoprire
quello che succede dentro e fuori di esso.
Egli ollargo I'orizzonte del gruppo fornendo informaztoni: in
base alla sua esperienza personale e culturale, è in qualche modo
depositario, anche se non l'unico, di una tradizione culturale. Of-
fre alcune informazioni ed è in grado di indicare dove reperirne
altre. Le informazioni si riferiscono ai rapporti, alla struttura, al-
le utopie del gruppo, al contesto socio-culturale, ai processi per-
sonali. Hanno una doppia funzione: aiutano il gruppo ad appro-
fondire quello di cui è consapevole e spingono ad andare oltre nella
conoscenza della realtà.
Egli occompagna il gruppo nel prendere decisioni. Attento a
non sostituirsi al gruppo, lo aiuta però a pronunciarsi di fronte
ai fatti. Sa pure rimettere in discussione le cose, quando non sono
consone alla volontà intima del gruppo, quando le scelte sono sta-
te fatte in modo affrettato o risultano contraddittorie rispetto alle
attese e dichiarazioni, quando sono manovrate da pressioni o in-
dotte da condizionamenti interni ed esterni.
Egli sostiene il gruppo nellafatico di passore dalle parole aifatti,
dal dialogo all'azione. Facilita la divisione dei compiti, il coordi-
namento degli interventi, la verifica. Nell'esercitare questo com-
pito, I'animatore è insieme comprensivo ed esigente. Sollecita sem-
pre ad agire responsabilmente.
Ne possono nascere momenti di conflitto e sofferenza, ma sa
pazientare e, se necessario, riconoscere che le cose decise erano ir-
realizzabili.In questo caso aiuta il gruppo a maturare nuove deci-
sioni in base a informazioni più precise.
2s3

26.6 Page 256

▲back to top
Lo funzione globale e i comptti particolari dell'animotore
È impossibile ora specificare la funzione globale dell'animato-
re e, all'interno di essa, individuare alcuni compiti particolari.
Lafunzione generale consiste nel garantire con la sua presenza
e competenza I'unitò e la qualità dell'itinerario formativo del grup-
po. Un gruppo è convenientemente animato se riesce a percorrere
un cammino in cui il profilo del suo ciclo vitale come gruppo e
le fasi di una crescita umana e di fede si integrano a vicenda, fino
a costituire un unico itinerario.
A mano a mano che dalla prima incipiente aggregaztone il grup-
po passa alla maturità di rapporti, per finire poi nello scioglimen-
to, va anche approfondendo la maturità culturale e la riflessione
di fede: passa da un primo confronto sui temi della vita alla rifles-
sione sistematica della fede e all'apprendimento della vita cristia-
na, per sfociare nella scelta vocazionale.
3. I PASSI DI UN PROCESSO
La scelta educativa fa impostare l'associazionismo secondo pre-
cisi criteri pedagogici, che comprendono la centralità del giovane,
l'unità del soggetto che va considerata in ogni intervento, la con-
vergenza e la coerenza delle diverse proposte, la gradualità e la pro-
gressività del cammino formativo.
Ci suggerisce anche una metodologia con i diversi momenti. Il
primo è l'esperienza: dare la parola agli avvenimenti.
Esso comporta:
- Un punto di portenza: una proposta associativa che voglia
essere educativa parte dalle domande dei ragazzi, dalle loro esi-
genze e attese, che sono sempre in relazione alla fase evolutiva e
alla condizione socio-culturale in cui sono immersi. Non si può
dire il Vangelo dimenticando l'esistenza.
- Una dinamica nell'azione educativo-pastorale: perché il mes-
saggio di Cristo operi la trasformazione dei giovani, la realtà vis-
suta quotidianamente deve essere ripensata con sincerità nella sua
consistenza e confrontata con la parola di Dio che illumina ogni
254

26.7 Page 257

▲back to top
situazione, celebrata nella preghiera personale e comunitaria e ri-
consegnata per essere vissuta in modo diverso e nuovo.
- lJna fase p roposi t iv a: questa caratterizza I' accoglienza del-
la domanda giovanile e l' approfondimento dell' esperienza; v a r ea-
lizzatacon gradualità, facendo toccare con mano e dal vivo i mes-
saggi, anche quelli pitr grandi e affascinanti e portando verso i li-
miti le stesse domande.
Il secondo momento è la condivisione: dare la parola alla co-
munità. Condividere significa costruire comunione con le sfide che
la vita solleva.
L'associazionismo al di dentro del gruppo intende:
- favorire tra i membri i rapporti interpersonali, la circolazione
delle domande, attese e proposte dei singoli, che prendono un pri-
mo contatto coi problemi concreti, scoprendo in se stessi bisogni
e ricchezze;
- elaborare assieme un progetto di servizio con molteplici ma-
nifestazioni.
Nei confronti della realtà esterna il gruppo vuole:
- intessere un dialogo continuo con le altre esperienze presen-
ti nella vita del giovane: la famiglia, la scuola, gli ambienti educa-
tivi in cui il giovane è inserito;
- aprirsi al dialogo, al confronto, alla collaborazione, favo-
rendo l'incontro dei rogazzi e dei giovani, formati ogli stessi valo-
ri e capaci di usare lo stesso linguaggio, in modo tale che possano
sentire la gioia di essere in tanti nel proclamare che oggi e sempre
il Cristo è il Signore;
- arricchirsi dell'apporto originale di sltri gruppi che vivo-
no nell'ambiente: partendo da un interesse settoriale, da una di-
mensione privilegiata, ricuperare in modo adeguato in collabo-
razione con altri gruppi le altre dimensioni del progetto cristiano
salesiano;
favorire l'incontro a livello di chiesa locale;
- inserirsi nella comunità umana, nel territorio, nelle sue di-
- verse istituzioni. Evitando ogni strumentalizzaÀone il gruppo educa
i suoi membri a partecipare, e talvolta partecipa come gruppo, ai
problemi della gente con la quale vive e di cui condivide gioie e
dolori, delusioni e speranze; e pone un'attenzione particolare nel-
255

26.8 Page 258

▲back to top
la formazione al confronto con Ia cultura, soprattutto alla comu-
nicazione di essa attraverso imezzi di cui oggi la società dispone.
Ilterzo momento sta nel discernimento, inteso come processo
piuttosto che come metodo particolare: insegnare a praticare il «ve-
dere, giudicare e agire». Ciò si puo riferire in forma unitaria alla
persona, al gruppo, alla situazione in cui si è inseriti.
II gruppo educativamente valido abilita all'analisi, al giudizio
e all'intervento sulla realtà.
In concreto questo esige:
- aiutare a percepire obiettivamente una situazione: nei suoi
dati reali e nelle sue cause immediate e profonde, nelle sue distor-
sioni e nei motivi che pretendono giustificarla;
- aiutare ad assumere la responsabilità in prima persona. Il
gruppo non deve allontanare dalle situazioni in cui si richiede un
intervento trasformante;
- aiutare ad approfondire quadri di riferimenti attraverso cui
interpretare cristianamente situazioni personali, gruppali e sociali;
- aiutare a impostare gli obiettivi e la programmzLzione del
cammino e degli interventi nel gruppo, in consonanza con la si-
tuazione che vive e I'ambiente in cui è inserito.
Il quarto momento consiste nell'azione: un servizio per il su-
peramento di situazioni disumanizzanti. Bisogna rendere i giova-
ni capaci di farsi educatori dei compagni e di dare un contributo
alla costruzione della società e del Regno di Dio. Tale azione, mo-
mento di un processo in circolarità con altri, non parte solo dall,i-
spirazione del soggetto, ma è determinata dalla situazione.
Nella prassi dei nostri gruppi cogliamo queste forme di servi-
zio da parte dei giovani:
- collaborazione e disponibilità generosa all'interno dello stes-
so gruppo;
- impegno come «animatori» di gruppi dei piu giovani;
- responsabilità e partecipazione attiva in ambienti e program-
mi educativi;
- intervento nel quartiere, in situazioni di povertà e bisogni;
- servizio apostolico nella Chiesa;
- volontariato civile e missionario temporaneo.
256

26.9 Page 259

▲back to top
Capitolo quinto
LA CURA DELLE VOCAZIONI:
ESPRESSIONE DI UNA PASTORALE
GIOVANILE AUTENTICA
Da alcuni anni si viene ripetendo che tra pastorale giovanile e
pastorale vocazionale ci deve essere uno stretto collegamento. Gli
animatori vocazionali più attenti avvertono che le iniziative speci-
fiche di proposta e accompagnamento presuppongono punti fon-
damentali di formazione umana e cristiana e ad essi devono ritor-
nare continuamente come alla loro radice. A tal punto l'essere uomo
e cristiano è la prima e grande vocazione, cioè chiamata gratuita
e risposta libera a cui si ricollegano tutte le altre vocazioni parti-
colari.
Dall,altro versante gli operatori di pastorale giovanile si accor-
gono che il loro discorso sulla fede sfocia naturalmente in un pro-
getto totale di vita cristiana che coinvolge la coscienza, il tempo,
i rapporti e il lavoro della persona.
Uno sguardo al panorama ecclesiale rende ragione di questo
stretto collegamento e vicendevole inclusione. Molte, la maggior
parte delle vocazioni, vengono dalla cura pastorale dei giovani nelle
comunità cristiane e nei movimenti ecclesiali e non hanno richie-
sto particolari interventi di animatori vocazionali. Ci sono con-
gregazioni religiose che includono l'azione a favore delle vocazio-
ni nel settore di pastorale giovanile, senza differenziazione.
Quando si tratta di definire in che cosa debba consistere que-
sto collegamento e i suoi riflessi nella prassi, non sempre le opi-
nioni coincidono. Sorgono allora attese vicendevoli che a volte di-
ventano accuse. Da parte dei ricercatori di vocazioni si vorrebbe
che Ia pastorale giovanile producesse risultati più concreti in ter-
mini numerici riguardo alle vocazioni di particolare impegno e che
il discorso vocazionale fosse in essa più frequente ed esplicito. Da
parte degli operatori pastorali si chiede che la catechesi vocazio-
257

26.10 Page 260

▲back to top
nale venga inserita nel cammino di maturazione della fede e, dal
momento che viene rivolta a tutti i giovani, presenti le molteplici
possibilità di esprimere la vita cristiana.
Il documento del secondo Congresso internazionale per le vo-
cazioni chiarisce il collegamento tra pastorale giovanile e anima-
zione vocazionale in termini di unità e interna complementarità.
Si opera sullo stesso (( campo )). Si percorre lo stesso cammino. Me-
desimo è il soggetto. << Pastorale giovanile e pastorale vocazionale
sono complementari. La pastorale specifica delle vocazioni trova
nella pastorale giovanile il suo spazio vitale. La pastorale giovani-
le diventa completa ed efficace quando si apre alla dimensione vo-
cazionale>> (Sviluppi della cura pastorale delle vocazioni nelle chiese
particolari: esperienze del passato e programmi per l'avvenire. Ro-
gate, Roma 1982, n. 42). La pastorale vocazionale, dunque, si col-
loca all'interno, non accanto e meno ancora fuori, della pastorale
giovanile come un'attenzione concentrata su un aspetto qualifi-
cante. La pastorale giovanile include la proposta vocazionale tra
i suoi obiettivi e la considera il suo nucleo ispirante sin dai primi
passi del cammino di fede.
Si ribadisce allora che la pastorale vocazionale è «specifica»,
perché cura non solo <<la vocazione» ma le vocazioni; è <<univer-
sale)), perché intende seguire non soltanto alcune ma tutte Ie vo-
cazioni in forma differenziata; è «centrale»>, non marginale, per-
ché il suo punto di mira non sono alcune realtà ecclesiali ma la
Chiesa stessa.
Esplicitando ancora di più questo rapporto, il documento del-
la CEI « Vocazioni nella Chiesa italiana, piano pastorale per le vo-
cazioni» (1985), considera la preoccupazione vocazionale <<pro-
spettivo unificante di tutto Ia postorale». Tutta la comunità cri-
stiana è infatti chiamata ministeriale e chiamante. All'interno del-
la sua vita ciascuno scopre, sviluppa e valorizza il particolare do-
no e compito che ha ricevuto. «È urgente creare comunione e
contesti pastorali idonei specialmente nel settore giovanile. dove
la pastorale giovanile è ancora frammentaria è importante che la
proposta vocazionale crei con gradualità e pazienza l'esigenza di
un cammino che provvede contenuti articolati e continuativi. Giova
pertanto non rimanere nella logica di una pastorale frammentaria
2s8

27 Pages 261-270

▲back to top

27.1 Page 261

▲back to top
o delle iniziative. O la pastorale giovanile, crescendo, genera la pro-
posta vocazionale specifica o la pastorale vocazionale pone l'esi-
genza di una pastorale giovanile come cammino e come suo con-
testo idoneo» (n. 23).
Da tali considerazioni scaturiscono conseguenze pratiche.
La prima è una inscindibile unità operativa tra pastorale gio-
vanile e pastorale vocazionale, da ricercarsi ed esprimersi in di-
versi ambiti. È indispensabile un quadro comune di riferimento
con criteri condivisi. Sarebbe poco costruttivo che i due settori pro-
cedessero con visioni diverse riguardo al cammino di fede, alla Chie-
sa, ai ministeri, alla vocazione cristiana, al discernimento.
L'unità riguarda inoltre l'ozione. La comunità va considerata
come il soggetto della pastorale giovanile-vocazionale. È un'insi-
stenza ricorrente che non va considerata idealista né elusa come
troppo difficile da attuare. È l'unica strada per ricomporre tutti
gli elementi paraah che rendono possibile il sorgere delle vocazioni.
L'unità si riferisce infine alle strutture e orgoni di onimazione.
Il timore che la pastorale vocazionale diventi generica o lenta por-
ta a creare strutture autonome e staccate l'una dall'altra. Ma que-
sta soluzione non rende a lungo termine. Ciascuno dei due ver-
santi perde la forza che gli viene dall'altro. Unità e specificità ven-
gono assicurate quando funzioni, stimoli e piani si integrano ar-
monicamente. Allora la pastorale giovanile diventa tutta vocazio-
nale e questa prende in considerazione le fasi dello sviluppo della
persona e del cammino di fede.
I. UNA PASTORALB GIOVANILE
PER LA PROMOZIONE YOCAZIONALE
La pastorale giovanile non diventa vocazionale soltanto per ag-
giunta di temi mancanti o per aumento di insistenze, ma soprat-
tutto per una qualificazione generale che crea le condizioni per per-
cepire Ia chiamata di Dio e rispondere con generosità.
Su quali esperienze, su quali nuclei di significato, su quali ele-
menti dovrebbe allora portarsi per essere aperta alla dimensione
vocazionale, anzi diventare essa stessa pastorale vocazionale? E,
259

27.2 Page 262

▲back to top
conseguentemente, su quali Iinee dovrebbe spingerla la componente
vocazionale inserita al suo interno, affinché il proprio lavoro spe-
cifico possa essere (( un coronamento » di competenza e non un am-
bito diverso?
Per collocare bene la questione vanno richiamati, a rapide bat-
tute, alcuni punti nodali della pastorale giovanile.
1.1. Il campo
Il primo è il <<campo ». La pastorale giovanile ha come desti-
natari tutti i giovani di un contesto o ambiente. Non può limitarsi
ad alcuni, nemmeno col pretesto di formarli bene. Questi giovani
vivono una loro condizione particolare verso cui occorre essere at-
tenti.
Anche se la definizione tecnica di gioventù comprende tutti i
soggetti in fase evolutiva fino all'inserimento pieno nella società
attraverso il lavoro professionale (l l-25 anni), la pastorale dei gio-
vani oggi guarda con particolare attenzione ai cosiddetti adolescenti
adulti (16-24 anni).
Le fasi precedenti sono infatti già sufficientemente accudite dai
servizi ecclesiali tradizionali ancora solidamente organizzati: la pri-
ma catechesi per la prima Eucaristia, la preparazione alla Cresi-
ma e per un certo numero diragazzi/e la frequenza alla scuola cat-
tolica o agli oratori. Tali servizi raggiungono, se non tutti, alme-
no una parte notevole dei giovani che desiderano una formazione
cristiana e in forma abbastanza efficace.
Nella fase seguente (16-24) hanno luogo simultaneamente tre
fenomeni: finiscono i programmi sistematici da parte delle comu-
nità ecclesiali, si sviluppa nel giovane un processo di ripensamen-
to o rielaborazione personale di molti contenuti culturali etici e
religiosi ricevuti prima, entra in contatto in forma più aperta e ab-
bondante con fenomeni sociali, correnti di pensiero, messaggi in-
formali e frammentari e cerchi di impegno o militanza sociale o
politica.
È il momento in cui la fede può raggiungere livelli di maturità
o comincia a perdere rilevanza nella vita. Il supporto della comu-
nità cristiana risulta indispensabile.
260

27.3 Page 263

▲back to top
Si sente allora il problema della comunicazione. Non si tratta
soltanto di raggiungere fisicamente un numero più grande di gio-
vani. I segni, le istituzioni, le iniziative, i messaggi, le persone del-
la chiesa sono sempre alla loro portata. Si tratta invece di ripre-
sentare loro il Vangelo in modo che appaia « significativo » per la
loro esistenza che si affaccia all'età adulta.
vengono allora opportuni alcuni rilievi fatti altrove. Il linguag-
gio verbale, la presentazione concettuale, il trattato sistematico han-
,o unu forza relativa quando si tratta di scelte di senso e orienta-
mento. Non convince e se cOnvince non mu6ve. Non che se ne possa
prescindere. Ma non può essere l'unico al quale ci si affida. E pro-
ùabile che per molti giovani una spiegazione su Dio non valga piìr
di un,altra, se nessuna delle due riesce a trasformare la nostra esi-
stenza. oggi contano i segni, i fatti, le esperienze, le testimonian-
ze, le prove, le trasformazioni-
I missaggi risuonano, le testimonianze colpiscono, i fatti muo-
vono quando toccano alcune corde che per i giovani sono oggi di
primaria importanza: la qualità della propria esistenza e la trasfor-
mazione del mondo in senso più umano.
La prima riguarda il senso, i valori, le ragioni per vivere, l'im-
pegno nobile delle proprie risorse, le gratificazioni' E un'aspira-
iione che per sentieri segreti risale al nostro destino e alla nostra
vocazione umana. La fede e il Vangelo debbono apparire, come
in realtà sono, la luce e sale vita. A questo si collegano le esperien-
ze di preghiera, di riflessione, di convivialità.
Laseconda riguarda la forza storica dell'amore cristiano, ca-
pace, se non di trasformare totalmente questo mondo, almeno di
porre segni di salvezza. Richiama alla verità della fede che si ma-
nifesta nella carità. Se ciò non avviene il messaggio cristiano si ri-
duce a «spiegazioni religiose», <<teorie sulla divinità» gestite da
un gruppo. È la prova del Vangelo. Da qui l'accettazione che ot-
tiene il volontariato, i gruppi di servizio, gli impegni per l'uomo'
Secondo la ripercussione che il messaggio del vangelo riesce
ad avere su queste due corde di ciascun giovane, egli prende la sua
posizione di fronte alla fede. La assume con entusiasmo o rimane
i..-o nel sentimento religioso generico, la relega nella dimenti-
canza o anche la valuta inutile e pretestuosa.
26r

27.4 Page 264

▲back to top
Il campo giovanile appare diversificato, con esigenze proprie
per quanto riguarda il tipo di intervento e la comunicazione.
1.2. Le mete
Questo è il campo. Le mete rappresentano il secondo punto no-
dale.
La pastorale giovanile si propone quattro obiettivi scaglionati:
che il vangelo di cristo arrivi a tutti i giovani del proprio contesto
come « buona novella »; che chi si dimostra disponibile alla fede
venga progressivamente iniziato al mistero di cristo e alla vita ec-
clesiale, attraverso una conoscenza esperienziale e organica; che
quanti professano la fede si impegnino nella promozione della di-
gnità della persona, nella lievitazione evangelica dell,ambiente e
nella formazione della comunità umana; che la comunità cristia-
na arrivi a essere segno e strumento di salvezza per tutti, ma spe-
cialmente per i giovani.
Gli interrogativi sul come raggiungere questi obiettivi sono in-
numerevoli. come fare risuonare il vangelo come novità ai lonta-
ni? come dare rilevanza esisten2iale alla dimensione cristiana nei
giovani della religiosità « light »? Come impegnare i praticanti, non
in forma passeggera, ma in modo che il loro impegno diventi pas-
sione per l'uomo e per il Regno?
Rispondere a questi interrogativi va oltre quanto ci si propone
qui. Però devono essere richiamate alcune istanze di fondo che la
pastorale giovanile assume oggi, proprio per rispondere a questa
situazione.
Innanzitutt o i\\ p r i m a t o de I I' ev on ge lizza zi o ne. ciò significa, in
sintesi, che l'evento Gesù Cristo non viene trasmesso come dato
scontato, ma viene annunciato e riannunciato come originalità e
novità di vita e di orizzonti. Lungi dal considerare che, per il fatto
di aver compiuto i primi atti che lo inseriscono nella chiesa, il gio-
vane sia già cristiano, ci risulta con chiarezza che ogni nuovo fe-
nomeno dell'esistenza dev'essere illuminato dal messaggio evan_
gelico. Le iniziative e dimensioni della pastorale giovanile sono oggi
sotto il pressing e la luce dell'evangelizzazione.I richiami non man-
cano nemmeno nella pastorale vocazionale specifica. si parla di
ev angelizzare la vocazione.
262

27.5 Page 265

▲back to top
L,evangeliz zazione parte dalla testimonian za. La testimonian-
za è un faito profano, legato all'esistenza quotidiana, vissuta in
modo tale da sollevare domande di senso e provocare a forme nuove
di vita e di raPPorto.
«Ecco un cristiano o un gruppo di cristiani, in seno alla comuni-
di uomini nella quale vivono, manifestano capacità di compren-
sione e di accoglimènto, .ornrnione di vita e di destino con gli altri,
solidarietà negli sforzi di tutti per ciò che è buono e nobile... Allo-
ra con tale testimonianzasenza parole questi cristiani fanno salire
nel cuore di coloro che li vedono domande irresistibili» (EN 2l).
La parola offre la chiave della testimonianza. <<Anche la piùt
bella téstimonianza si rivelerà a lungo impotente se non è illumi-
nata egiustificata ciò che Pietro chiamava "dare ragione della
- proprià speranza,' esplicitamente da un annuncio chiaro e ine-
- quivocaUite del Signore Gesù. La buona novella proclamata dalla
tèstimonianzadivita, dovrà dunque essere presto o tardi annun-
ziata dalla Parola di vita» (EN 22).
Il primato dell'evangehzzazione significa che la vita cristiana
si propone non soltanto come dottrina, ma come esperienza origi-
nul. . diversa, possibile qui e ora, come un incontro impensato
e gratuito.
Chi tratta sovente con giovani, anche appartenenti a circoli ec-
clesiali si accorge quanto questa indicazione sia attuale e urgente.
Trattandosi di soggetti coinvolti in un'evoluzione completa di
personalità, niente si può fare seriamente e autenticamente riguardo
alla fede o alla vocazione senza chiamare in causa e a confronto
gli altri aspetti della persona.
L'annuncio di Gesù cristo e la risposta di fede si inseriscono
in un processo di crescita biologica, psichica, sociale e culturale.
Devono lievitare questo processo nella sua totalità. Se ciò non av-
venisse, la fede rimarrebbe piccola e insignificante, marginale nel-
l,esperienza del soggetto. La pastorale giovanile è dunque per sua
natura <<educotivo>>. È una pedagogia cristiana. ogni sua iniziati-
va deve corrispondere a questo criterio.
L,affermazione può sembrare soltanto teorica o bella. È inve-
ce piena di conseguenze per la pratica. Quando non la si prende
in éonsiderazione,la pastorale è dominata, quasi ossessionata, dal-
263

27.6 Page 266

▲back to top
l'oggetto della proposta. Perde di vista la condizione esistenziale
dei soggetti. Assomiglia al proselitismo religioso. chi assume l,i-
stanza educativa della pastorale è vicino e sensibile alla situazione
dei giovani, cerca i segni di Dio nella loro condizione. Gli obietti-
vi del proprio agire non sono in primo luogo la trasmissione in-
violata di formulazioni precise a cui si riconosce un,efficacia << ex
opere operato », ma quella esperienza dt grazia per cui la fede, quasi
come un seme, va riempiendo tutta la vita e la mentalità. come
awiene
no non
in educazione, il
è il maestro, né
punto di riferimento per questo
i contenuti, ma il soggetto.
cammi-
collegata alla natura educativa viene un'altra caratteristica, che
è ricchezza e rischio della pastorale giovanile: essa è molteplice e
orticolato e prevede interventi, operatori e agenzie diverse. L" su"
dimensioni non sono riducibili a una, nemmeno per puntare più
direttamente sul fondamentale. Non contano soltanto la cateche-
si, la liturgia, il gruppo di preghiera e riflessione di fede. Sono im-
portanti anche la presa di coscienza di sé, la crescita culturale, I,in-
serimento in una rete sempre più vasta di rapporti sociali, l,espli-
citazione del senso etico, la scoperta della vita spirituale.
. Epqure la molteplicità non è ra parora definitiva. La pastorare
giovanile è <<unitaria». Bisogna finire, dice il documento cEI, con
la « pastorale delle sole iniziative e arrivare a una pastorale di
convergenza. L'eccessiva divisione del lavoro si ispira alle abitu-
dini che regolano alcuni settori della nostra società, ma non trova
ragioni motivanti nella pastorale. In essa invece contano l,unità
interna della persona che bisogna favorire, I'indivisibilità dell,e-
sperienza della fede, i cui contenuti hanno la funzione di esplicita-
re in forma discorsiva l'evento unico e centrale. Il Direttoriro cate-
chistico generale lo ribadisce in forma molto decisa.
Nel tempo in cui l'ambiente offriva una sintesi già elaborata,
il soggetto poteva ricevere, unificandoli, stimori e contenuti slega-
ti, con sottolineature occasionali e sproporzionate. Al contrario,
in un tempo di frammentazionee pluralismo di messaggi, i pastori-
educatori stessi devono badare all'unità nella maniàra di offrire
contenuti e nel modo di ordinare i propri intervernti.
Inquadrata la questione in questo modo, non è difficile indivi-
duare alcuni «nodi che, risolti, faranno de[a pastorale giovani-
le un modo di proporre e accompagnare le vocazioni.
264

27.7 Page 267

▲back to top
2. UNA PASTORALE «DELLA COMUNITÀ»
Il primo punto da assicurare perché la pastorale giovanile di-
venti << vocazionale » è la creazione di ambiti comunitari accoglienti
e vivaci. Il riferimento alla comunità è sostanziale. Appartiene al-
la definizione stessa di vocazione.l-avocazione e le vocazioni cri-
stiane non possono essere spiegate né proposte senza richiamare
la comunità.
Lamediazione comunitaria, dunque, non può essere sostituita
da nessun'altra. È questo un asserto ribadito continuamente negli
studi pastorali e nei documenti ecclesiali. Ma soprattutto viene con-
fermato dalla prassi. Ogni vocazione nasce all'interno della comu-
nità ed è destinata ad essa. Comporta una esperienza diretta e non
solo una spiegazione «nozionistica» del suo essere, del suo valo-
re, delle sue domande e dei suoi bisogni.
Gli stimoli vocazionali che una comunità di fede offre, nelle
sue diverse espressioni prima ancora di esplicitare un invito, sono
innumerevoli e quotidiani.
Un testo della CEI, « Vocazioni nella Chiesa Italiana, piano pa-
storale per le vocazioni >», dice al riguardo: <<Lavocazione e la mis-
sione della chiesa particolare si esprimono soprattutto nella comu-
nità parrocchiale. Essa è luogo privilegiato di annuncio vocazio-
nale e comunità mediatrice di chiamate attraverso ciò che ha di
più originale e caratterizzante: la proclamazione della parola che
chiama, la celebrazione dei segni della salvezza che comunica la
vita, la testimonianza della carità e il servizio ministeriale. La di-
mensione vocazionale dunque non è un "qualcosa in più da fa-
re", ma l'anima stessa di tutto il servizio di evangelizzazione che
essa esprime» (n. 26).
ll compito specifico dell'animatore vocazionale viene molto age-
volato quando il tessuto della comunità crktiana - diocesana, cit-
tadina, parrocchiale - è consistente; quando la sua vita è percet-
tibile e intensa; quando la sua presenza nel territorio e nella cultu-
ra appare significativa. Non è difficile portare esempi e stabilire
paragoni, risultati concreti alla mano. Dove la comunità cristiana
dimostra particolare stima della Parola e stimola al suo ascolto
(pensate alle scuole e agli itinerari della Parola!), educa ad atteg-
265

27.8 Page 268

▲back to top
giamenti che predispongono a percepire in forma personale l'ap-
pello di Dio. Quando aiuta i fedeli a condividere fra di loro le
responsabilità e le gioie delle proprie scelte, diventa chiamata a
partecipare alla missione della comunità con i propri doni e ri-
sorse.
Una diocesi o parrocchia che esprimono un progetto di educa-
zione cristiana e si sforzano direalizzarlo attraverso ambienti edu-
cativi e famiglie; che diventano luogo di incontro e dialogo per
i giovani; che propongono loro un'esperienza di preghiera e si di-
mostrano sollecite nel coinvolgerli in servizi a favore della comu-
nità cristiana e del territorio, costituiscono già un invito.
Se poi accompagnano quei loro membri che hanno sentito la
chiamata a una vita di particolare consacrazione (sacerdoti, reli-
giosi, laici, matrimonio) e ne festeggiano gioiosamente le date si-
gnificative, rafforzano ancora il loro messaggio.
L'impegno nella e con la comunità cristiana non è, dunque, un
« perditempo » o un cammino vocazionale troppo lungo. La signi-
ficatività della Chiesa convoca di più del lavoro individuale e set-
toriale.
I giovani però si inseriscono quotidianamente in tn contesto
comunitario più ristretto e più immedioto: la scuola, l'oratorio,
il gruppo.
All'interno del programma di tali ambienti si possono propor-
re atteggiamenti e tematiche che favoriscono lo sviluppo vocazio-
nale e arrivare a una proposta esplicita.
Ma prima e al di sopra dei programmi particolari, l'invito vo-
cazionale è nella stessa comunità che diventa luogo di accoglien-
za, ambito di partecipazione, spazio di vita e segno della fede. Su
di essa si è parlato abbastanza e non è il caso di indugiare oltre.
Si tratta di quolificare umonqmente e crtstianomente I'ombiente
come grande contenitore di rapporti, attività, espressioni e progetti.
Le << comunità » sono dunque insostituibili in ogni progetto di
lavoro vocazionale più per quello che sono, che per quello che di-
cono. Allora è bene ricordare che è più importante muoversi in
comunità che isolatamente, anche se uno è molto capace. Quindi
è più importante collaborare che lavorare; è più importante la co-
munione che I'azione.
266

27.9 Page 269

▲back to top
3. UNA PASTORALE GIOYANILE
DI CAMMINO E ORIENTAMENTO
I termini << cammino »> e << orientamento >> fanno pensare ad aspet-
ti molteplici, all'unità tra di loro, a un centro che diffonde signifi-
cato e alla totalità la struttura e il dinamismo, a una crescita
che procede da un seme, a diversi punti di pattenza, a un'azione
guidata da un'intenzione, sebbene molto diversificata.
Lo sguardo va però sempre allo sviluppo cristiano msssimo della
persona. Essa è centrale in ogni senso: come interlocutore di Dio,
come protagonista delle proprie decisioni, come « sensore >> che co-
glie la realtà, come nodo di rapporti nella comunità. La persona
opera e decide con la totalità delle sue tensioni e risorse e non sol-
tanto con una facoltà.
Gli aspetti o dimensioni del cammino possono essere diversa-
mente tematizzati. Si può parlare di crescita umana, di educazio-
ne alla fede, di esperienza sociale, di impegno vocazionale; oppu-
re anche di apertura alla realtà e al contatto umano, di crescita
culturale o comprensione ragionata degli eventi, di formazione spi-
rituale. Questi sviluppi unificati da una prospettiva, l'orientamento,
tendono a portare a una scelta di vita e a un progetto di esistenza
cristiana.
3.1. Fasi o passaggi
Ma il cammino suppone fasi o passaggi. Forse I'accusa ricor-
rente alla pastorale giovanile è quella di non saper procedere oltre
con determinazione, specie con chi ha mostrato disponibilità, ger-
minali o avatzate di vocazione specifica.
Il cammino può seguire le fasi dell'età, ma all'interno di una
medesima fascia di età, particolarmente di quella adolescenziale
e giovanile, esistono diversi livelli di fede. Si rivela più che mai
opportuna allora la raccomandazione della Conferenza Episcopale
Italiana di abbandonare la pastorale «delle iniziative» per assu-
mere la pastorale dell'itinerario di crescita. Cio vuol dire fare più
attenzione al processo globale che agli aspetti particolari, al sog-
getto più che al programma; preferire il contatto individuale e di
267

27.10 Page 270

▲back to top
gruppo all'annuncio generale, selezionare e ordinare i messaggi piut-
tosto che seguire i manuali.
Questa pastorale comporta un'attenzione: saper passare al mo-
mento giusto dalle proposte essenziali a quelle più esigenti, ossia
dal desiderio e informazione sulla fede alla catechesi, aila forma-
zione cristiana fino a una spiritualità fondata e organica. Esige an-
che di <<personalizzare>> progressivamente, passando dal coinvol-
gimento in un ambiente alla partecipazione nei gruppi e alla re-
sponsabilità di anirnazione fino al dialogo personale sulla fede e
sulla vita nello Spirito.
Le direzioni che simile cammino segue sono quelle interne al-
l'esperienza cristiana del giovane: la costruzione della propria iden-
tità con la presa di coscienza delle sue aspirazioni e limiti, e il con-
fronto con il mondo, con la cultura-società-situazione, sulla base
di una razionalità in sviluppo.
I rapporti rappresentano un settore particolare di attenzione.
L'atteggiamento sociocentrico e la capacità di unirsi interiormen-
te agli altri stanno alla base di una scelta vocazionale matura. Si
tratta allora di immergere i giovani in un clima di relazioni inter-
personali, fatte di fiducia, di accettazione e di stima che li aiuti
ad essere se stessi e a chiarirsi le proprie motivazioni.
L'identità viene però configurata mediante l,incontro con Cri-
sto. Ed è qui che si giuoca tutta la forzavocazionale della pasto-
rale giovanile. La formazione cristiana costituisce la base dell'o-
rientamento globale di una persona nella vita. L,immagine di
che il giovane va completando negli anni deve essere improntata
a quella che si è rivelata in Cristo: figlio di Dio, membro del suo
popolo e operatore del Regno con uno specifico compito. Sotto
la f orza di questi tre fattori, l'identità personale, il confronto cul-
turale e l'incontro con Cristo, scatta la progettualità che spinge
oltre nell'impegno di vita.
3.2. Tre momenti
Al riguardo occorre insistere su tre momenti: mettere solide fon-
damenta, orientare fino a scelte concrete, avere il coraggio di pro-
porre la radicalità.
268

28 Pages 271-280

▲back to top

28.1 Page 271

▲back to top
Alcune decisioni maturano soltanto ad alte temperature di amore
o di passione. Le narrazioni bibliche parlano delle vocazioni co-
me di eventi che scuotono, di illuminazioni che folgorano, di rive-
lazioni che cambiano il corso della vita. E I'irruzione di Dio in un'e-
sistenza.
Le cose oggi non vanno diversamente. La vocazione nasce da
una << scelta di Dio » istantanea come un lampo, o calma e prolun-
gata come un cammino di riflessione. Si tratta comunque sempre
di un'esperienza di fede, che non è la soddisfazione momentanea
di chi cerca emozioni nel campo religioso, ma lo sforzo di illumi-
nare la vita con la parola di Dio e di aprirsi in ogni momento alla
comunicazione con Lui. E ciò comporta un cammino di conver-
sione e crescita spirituale.
Per reggere ci vuole chiaroveggenza e vigllanza dello spirito.
Ci sono primavere cariche di promesse a cui non segue la stagione
dei frutti, o partenze all'insegna dell'entusiasmo che si esaurisco-
no strada facendo. Il giusto calcolo delprezzo del Regno, direbbe
Gesù, è venuto meno; è mancata la previsione delle forze per ri-
schiare una battaglia.
La generosità spontanea,la voglia di spendersi per gli altri si
consumano presto se non vengono integrate in un cammino spiri-
tuale, che porti a collocare Dio al centro della propria vita.
Lavocazione infatti è ed è vissuta dal soggetto come un'inizia-
tiva del Signore. La scoperta, il chiarimento e l'accoghenza di questa
iniziativa di Dio si realizza attraverso un dialogo in cui la persona
deve ascoltare e rispondere. Il « è vero quando è stato pronun-
ciato tra questi interlocutori nel profondo della coscienza.
La vocazione inoltre, piuttosto che una voce sentita una volta,
è una scelta che perdura nella vita e si trascina dietro tutta la per-
sona: le sue preferenze ei suoi rapporti, i dinamismi e le energie.
Questa realtà in movimento libero deve essere organizzatzt e unifi-
cata nella fede. Scelta e cammino non dipendono soltanto dagli
interessi e attitudini naturali; intervengono piuttosto la coscienza
preparata ad accogliere la presenza di Dio e Ia libertà capace di
assumere l'invito della grazia.
Se è vero, dunque, che un itinerario di orientamento vocazio-
nale comprende aspetti vari dello sviluppo umano, tutti importanti
269

28.2 Page 272

▲back to top
per una risposta pienamente consapevole, è altrettanto chiaro che
il percorso in cui all'accompagnatore si chiede di essere specialista
è l'educazione alla fede e alla formazione spirituale. In questo non
bisogna assolutamente sbagliare i calcoli.
3.3. Obiettivi
II cammino suppone una direzione e degli sbocchi. L'influsso
dell'ambiente e I'azione degli educatori diventano << orientamen-
to »> per tutti i giovani, secondo la maturità umana, il livello di fe-
de e i propri doni. Ogni giovane, che in qualsiasi modo il Signore
mette sul nostro cammino, ha diritto al nostro aiuto per orientarsi
a costruire la propria personalità e la vita <<secondo il Vangelo».
A tutte le età deve essere aiutato a orientarsi nella scoperta e nello
sviluppo della vocazione : nella f ancilllezza, nella pread olescenza,
nell'adolescenza, nella giovinezza e oltre, poiché ognuna di que-
ste tre tappe della vita ha il suo compito di crescita e richiede deci-
sioni proporzionate.
C'è dunque una gradualità da assumere nell'esplicitazione del
tema vocazionale: la vita come vocazione, la fede e l'appartenen-
za alla Chiesa come dono e chiamata, I'invito a considerare i di-
versi carismi e ministeri, l'assistenza nei primi momenti di una scelta
concreta.
Il percorso tende a formare la persona a scelte consapevoli ma-
turate e fondate. Comporta che nel giovane si sviluppi l'interiori-
tà, la libertà dai condizionamenti e la responsabilità. I traguordi
e la conoscenza non valgono per la loro materialità e nemmeno
come segno della capacità di tenuta, ma come maturazione strut-
turale e dinamica della persona, che diventa capace di ascolto e
di risposta.
Da parte dell'educatore, l'orientamento comporta un,assistenza
per assicurare uno sviluppo armonico e senza arresti nella fede.
Chi accompagna ha un ruolo facilitante, che viene svolto attra-
verso momenti e forme molteplici, ma che ha obiettivi abbastanza
precisi. Si tratta di:
- proporre contenuti motivanti: alcuni aspetti della vita cristiana
sono come arcate principali di una personalità che cresce verso una
270

28.3 Page 273

▲back to top
scelta vocazionale; sul piano umano sono le componenti della li-
bertà e della maturità affettiva e relazionale, e sul piano spirituale
sono l,apertura a Dio, l'esperienza della chiesa, l'accoglienza della
vita come missione;
-lo
abilitare al discernimento: ciò
Spirito dentro la propria vita,
richiede capacità di
nei segni ecclesiali
ascolto del-
e dei tempi,
e risposta proporzionata nell'oggi mentre si pensa al futuro;
- illuminare i momenti
do si deve prendere una
di snodo del cammino vocazionale:
decisione fondamentale c'è bisogno
quan-
di un
aiuto, perché il giovane possa rendersi conto che la sua vita è già
a-dewvsoiedlrteiafriiconaeerlelmtpsieisgrtieeonrdozicadamidDieunionteelailavcpoaermortamspainidroiteudsasiloec;remsectitoad,icsuos, ccihtaendvaodail
oltre Ia frammentarietà degli entusiasmi occasionali;
-vocaabziliiotanraelea, lsl'uapuetorannodmo iala
nelle scelte
dipendenza
e particolarmente in
dagli stimoli esterni
quella
e dalla
stessa direzione sPirituale.
4. UNA PASTORALE
«DELL'ESPERIENZA DI FEDE»
secondo alcuni, il messaggio della fede è oggi sufficientemente
diffuso, ma scarsamente recepito. si ha l'impressione che neppu-
re arrivi al destinatario e che solo raramente incida in profondità.
Donde il fenomeno dell'allontanamento della massa giovanile. Non
è che non se ne senta parlare, ma non si è <<toccati»' «Gesù ha
cattiva fama a causa di quello che si dice dai pulpiti e di come lo
si dice» (Anthony de Mello).
I
Qualcosa di simile e più grave capita riguardo
giovani sanno che la chiesa cerca candidati per
alla vocazione.
il ministero sa-
..idotul" e per la vita religios a. Ragazzi e adulti cristiani ascolta-
no con una certa attenzione, ma non rimangono «colpiti»>, non
si sentono « chiamati>>.
sembra che il problema piìr rilevante non stia nei << contenu-
ti»>, ma nella comunicazione. Molti si domandano infatti perché
tanii giovani considerano con interesse notizie e spiegazioni sulla
271

28.4 Page 274

▲back to top
fede, arrivano alla soglia di una scelta vocazionare, ma non fanno
il passo decisivo. Dalla percezione di una comunicazione ineffica-
ce, si riversano dubbi sulla validità stessa dela proposta, causan-
do insicurezza e abbandono negli operatori.
La comunicazione odierna è disturbata non solo dai molti mes-
saggi che si incrociano, ma anche dal fatto che poche volte trova
la giusta lunghezza d'onda per entrare in sintonia con i giovani.
Il vocabolario costituisce un probrema minore. più grosso invece
è quello dei riferimenti vitali e dei simboli impliciti, a cui i giovani
Iegano la propria pienezzaumana. Non pensiamo che la paitorale
debba far uso di trabocchetti, tranelli o astuzie che la còmunica-
zione di massa adopera per catturare gli incauti; ma è certo che
anch'essa deve rivolgere un appello che tocchi in profondità la sen-
sibilità del giovane, che raggiunga il suo cuore. Il suo messaggio
deve arrivare a destinazione, recepibile e incidente, e dunque at-
traente.
4.1. Indicazioni generali
ci sono alcune indicazioni generali di stile per una buona co-
municazione: l'ascolto e la condivisione, il rifiuto degli intellettua-
lismi, il libero scambio, la significatività essenziare dei messaggi.
È importante raggiungere la «totalità» dell'interlocutore, at-
traverso un messaggio che tocchi cuore, mente e volontà.
spesso la nostra comunicazione non tiene conto di questa leg-
ge. Diffonde informazioni, offerte e «verità>>, ma non parla alla
persona, per cui cade nel vuoto. A volte privilegia I'aspetto senti-
mentale intimistico, riducendo Dio a una emozione e il progetto
di vita a una questione di attrazione spontanea. oppure si rivolge
in modo esclusivo alla volontà, chiedendo sforzi e ingenerando l,e-
quivoco che per credere basti comportarsi in forma moralmente
ineccepibile, e che per scegliere una vocazione sia sufficiente ave-
re determinate capacità o volerla semplicemente. Sovente prevale
il momento intellettuale, come se credere in Dio fosse pròblema
di sole conoscenze, risolto dai «dottori» o dai «pensatòri», con
spiegazioni giuste; come se Ia propria scelta di vita fosse frutto di
argomenti del tutto razionali che cancellano ogni dubbio.
272

28.5 Page 275

▲back to top
In tutti i tre casi c'è uno squilibrio comunicativo che pregiudi-
ca I'ascolto e non favorisce le scelte. Queste maturano solo dove
e quando le dimensioni emotiva, intellettuale e volitiva sono as-
sieme e simultaneamente provocate da un appello significativo. Se
manca una delle tre, la scelta sarà instabile, debole, scarsamente
motivata. Ognuno dei tre elementi è indispensabile, nessuno da solo
è sufficiente.
Il giovane deve poter riconoscere che nella proposta si nascon-
de il suo ideale. Questa scoperta o intuizione innesca il dinami-
smo dell'attrazione e provoca la decisione finale. La vocazione non
è un elemento che si aggiunge dall'esterno a una struttura perso-
nale già formata; è invece l'io della persona, quell'io che l'indivi-
duo è chiamato a essere, come progetto da sempre pensato dal Pa-
dre e che il Padre stesso vuole realizzare; sentirsene attratti è con-
segnarsi a questo progetto nella convinzione che non si potrà esse-
re felici se non realizzandolo.
4.2. Problemi concreti
A questo punto si sollevano problemi concreti: quali « esperien-
ze » assumere, quali « modelli » proporre, quali le « cause )) per cui
spendere la vita.
È vero, nulla si improvvisa nel cammino di fede e nella matu-
razionevocazionale: non bisogna scommettere su un colpo «emo-
tivo» affidarsi alla «pastorale-show». Ogni passo, anche pic-
colo, nel cammino della crescita umana e cristiana ha il suo peso.
Ci sono però esperienze che rivelano in forma più chiara e imme-
diata le caratteristiche di una esistenza donata a Dio e agli uomi-
ni, e ne fanno provare la gioia, che conducono più direttamente
alle motivazioni definitive. Da esse si dovrà procedere all'esperienza
«totale» di Cristo.
Una di queste è certamente la preghiera-meditazione. È un'e-
spressione spontanea della fede e della pietà. Fa passare dalla pe-
riferia della propria vita all'interno di essa, dove la persona in-
contra se stessa, scopre la sua individualità e I'appello personale
che Dio le rivolge.
Nel passato si sottolineava l'importanza delle pratiche comu-
273

28.6 Page 276

▲back to top
nitarie e si cercava che il giovane le vivesse con gioia e convinzio-
ne. Oggi invece si rendono necessari l'apprendistato e l'esperienza
vissuta in forma personale e molteplice fino a diventare atteggia-
mento. Perciò gli incontri di preghiera, le scuole della parola si
stanno moltiplicando: si tratta di tempi, di luoghi, di gruppi, in
cui ci si apre alla voce dello Spirito che prega in noi, si imparano
le diverse forme di preghiera, ci si avvicina alla parola di Dio. I
giovani li ricercano come momenti di unità interiore e di elabora-
zione del senso della vita alla luce di Dio.
Da queste esperienze viene un segnale positivo di fecondità vo-
cazionale. In qualche caso l'intenzione e il tema della convocazio-
ne periodica sono eplicitamente vocazionali. Dalla preghiera si passa
naturalmente al dialogo di discernimento e alla direzione spiritua-
le. Così i centri di preghiera sono diventati anche centri di orien-
tamento vocazionale che lavorano in sintonia con operatori e pro-
grammi di pastorale.
4.3. Esperienze privilegiate
Esperienze privilegiate sono inoltre il servizio e l'apostolato.
Quando superano il puro attivismo e vengono ricondotti a motivi
di fede e di carità, aprono i giovani ai grandi bisogni del mondo
e della Chiesa e fanno percepire la forza del messaggio evangelico.
L'animazione di ambienti e attività, I'impegno culturale e so-
ciale, il volontariato sul posto e all'estero, la collaborazione alle
missioni sono opportunità e stimoli per una riflessione sull'impie-
go della propria vita secondo i piani di Dio.
L'accompagnamento pedagogico e spirituale è indispensabile
se si vuole che I'attività diventi cammino di crescita in Cristo e non
si esaurisca in una esperienza da consumare.
Il gruppo o comunità ecclesiale è anche un'esperienza privile-
giata che assume le due precedenti e le colloca in un contesto co-
munitario di condivisione e corresponsabilità.
Le statistiche confermano quello che si osserva a << occhio nu-
do»> sull'incidenza dell'esperienza di gruppo riguardo al nascere
delle vocazioni. Non si tratta però di qualsiasi gruppo, ma di quelli
che hanno coscienza di appartenenza, senso ecclesiale, radicamento
274

28.7 Page 277

▲back to top
nella fede e passione apostolica. Nella vita di gruppo, infatti, con-
vergono diversi fattori di maturazione vocazionale.
Il vedere e il giudicare insieme sulla realtà e sulle idee creano
un'abitudine di vigilanza e di discernimento che abilita alla risposta.
L'azione apostolica allena alla donazione, mette a contatto con
i bisogni dei fratelli, specie dei pitt emarginati.
L'incontro personale con le diverse vocazioni (sacerdoti, laici,
religiosi, genitori, dirigenti giovanili) aiuta a capire le diverse for-
me di vivere la missione della Chiesa.
Si aggiungono inoltre il clima di riflessione sul proprio futuro,
la possibilità di contatto con gli educatori che, mentre scoprono
le disposizioni e inclinazioni, sollecitano a dare concretezza agli
ideali.
Ogni gruppo impegnato diventa così « vocazionale »> in senso
generale, perché coltiva I'appartenenza e la partecipazione attiva
alla vita della Chiesa, ma anche in senso specifico, perché offre
itinerari di chiarimento e di crescita per vocazioni di speciale con-
sacrazione.
5. UNA PASTORALE «UMILE E PROPOSITIVA»
Parliamo di pastorale umile non soltanto in senso spirituale,
ma proprio in senso operativo. La fede rivela oggi piit che mai il
suo carattere di atto supremo di libertà. Per lo sbocco vocaziona-
le non c'è altro cammino da percorrere. Le tentazioni di ritornare
all'adescamento o alla retata non sono nemmeno possibili. È me-
glio essere consapevoli che si partecipa a un evento di grazia in
cui noi non siamo « lo sposo né la sposa », ma soltanto invitati.
In questo invito c'è il dono che Dio fa a noi. La convinzione dei
nostri limiti obiettivi e il protagonismo dei due partner della festa
deve riempirci di discrezione, di fiducia, di attesa, di gioia.
Nella situazione odierna si constata un dato rilevante: non ci
sono stati mai come oggi tanti studi, riflessioni, incontri e struttu-
re di animazione, convegni, riviste, informazioni statistiche, studi
teologici, sociologici e pedagogici, giornate mondiali sulla pasto-
rale vocazionale. Ci sono il Centro Nazionale Vocazioni, i Centri
275

28.8 Page 278

▲back to top
Regionali, i Centri Diocesani; la Congregazione dell'Educazione
Cattolica spinge tutte le diocesi a preparare il « piano » di azione
vocazionale.
Si rivisitano quadri di riferimento, metodologie, iniziative. Però
la fecondità, stando alla parola di Dio, è in mano al Signore che
la elargisce come un dono e una benedizione, ma anche secondo
una provvidenza.
Ci sono periodi di apparente sterilità che sono provvidenziali
nella storia della salvezza. Sono periodi di gestazione spirituale in
cui il Signore fa crescere la fede nel suo intervento reale e trasfor-
matore. Da una sofferta situazione di sterilità <<naturale>> ebbero
origine il popolo eletto, molti fenomeni di crescita spirituale di Israe-
le, la nascita del Battista. Quella che sopraggiunge è una nuova
epoca. Esaurite certe possibilità storiche, la fede e la speranza si
concentrano in un piccolo resto, tanto più efficace come fermen-
to e come germe di futura crescita, quanto più chiara e libera di
appoggi umani è la sua fede nel Signore.
Tutto questo, che può essere letto con relativa facilità nella storia
del popolo di Israele, è anche la chiave per interpretare alcuni fe-
nomeni della Chiesa. Anche in essa la diminuzione e l'aumento
dell'insieme come dei gruppi particolari sono fenomeni alternati
che avvengono secondo la logica della storia: cioè secondo la ca-
pacità di esprimere in forma comprensibile e nitida ciò che costi-
tuisce la loro ragione di essere.
Il movimento di crescita parte sempre da una << concentrazio-
ne» della fede o di un carisma ecclesiale, che si manifestano con
speciale e rinnovata luminosità sino a costituire un segno di con-
vocazione e di provocazione.
E questa è forse l'indicazione che sta alla base di tutto il di-
scorso: rivivere in forma intensa ed espressiva quella scelta di Dio
e quell'amore ai fratelli che sono capaci di suscitare la fede e di
essere appelli ad una vita nuova.
276

28.9 Page 279

▲back to top
. Capitolo sesto
PASTORALE VOCAZIONALE:
UN ITINERAÈIO EDUCATIVO
Pastorale vocazionale e pastorale giovanile - è stato scritto in
precedenza - sono collegate intimamente a livello di contenuto
e di esperienza. Infatti ogni proposta di fede contiene una spinta
vocazionale e ogni passo verso un traguardo vocazionale compor-
ta una corrispondente maturazione della fede. La pastorale voca-
zionale, dunque, è uno speciale aiuto dato a ogni giovane, per en-
trare con tutto il suo essere nel piano di Dio.
In tal senso la scoperta della chiamata di Dio, l'opzione libera
e riflessa per un progetto di vita costituisce la meta e il corona-
mento di ogni processo di maturazione cristiana. In questa pro-
spettiva richiamiamo qui in sintesi tre istanze di fondo della pa-
storale giovanile che vanno prese in considerazione nel lavoro vo-
cazionale.
I. VOCAZIONE E PROGETTO DI VITA
La vocazione di ciascun uomo è una iniziativa di Dio, libera,
gratuita, inserita in un piano di provvidenza che tocca il singolo
non isolatamente, bensì nel contesto di una comunità e di una storia.
Questa realtà misteriosa, divina nella sua origine, è profonda-
mente radicata nella persona, nelle istanze inconsce e nelle sue li-
bere scelte quotidiane, nei dinamismi di crescita e nelle sue resi-
stenze. La scoperta, il chiarimento e l'accoglienza dell'iniziativa
di Dio nella propria vita si realizza in un dialogo, in cui ciascuna
persona deve ascoltare e rispondere creativamente, costruendo un
progetto di vita. Il dialogo è I'esistenza quotidiana, non le parole.
Vocazione e progetto di vita sono due aspetti di una stessa realtà:
277

28.10 Page 280

▲back to top
la chiamata da parte di Dio e ia risposta dell'uomo. Sono una pro-
spettiva di futuro suggerita da Dio attraverso segni che è possibile
Ieggere soltanto alla luce della fede, e allo'stesso tempo una scelta
intuita, scoperta, assunta ed elaborata dall'uomo.
Ci sono, dunque, « leggi » e « fattori »> che stanno alla base del-
Ia vicenda vocazionale.
I segni della chiamata di Dio si leggono nella struttura della per-
sonalità e nelle sue tendenze di fondo. In termini dinamici sono
la prima attrazione spontanea e «di grazia» verso un'area di va-
lori, l'ingresso volontario in un cerchio di rapporti e di esperien-
ze,l'attenzione a un modello significativo, la costruzione di un pia-
no di vita che non misconosce la ricca realtà umana, ma la orga-
nizza tutta attorno a un valore o preferenza d'inizio.
Questo coinvolge le motivazioni, la loro validità e autenticità,
la consistenza per sostenere la scelta non soltanto in risposta al
primo stimolo, ma anche nel processo del suo concretizzarsi. Com-
prende il sistema di senso, cioè la scala di preferenze valoriali. Qua-
lunque sia il significato soggettivo che assume il seguire la propria
vocazione, la risposta può fiorire solo sulla maturità psicologica
di chi si sente interpellato, proporzionata alla portata del passo
concreto che compie.
La pastorale vocazionale non consiste nell'insistenza su un te-
ma e non è un'impresa di propiziazione. È da concepire come un
processo educativo di crescita della persona che si rende capace
di rispondere e di scegliere. Gradualità e razionalità nei motivi e
negli stimoli conducono a una vera capacità di ascolto e di rispo-
sta a Dio. Se funziona altrimenti, produce stallo e puo costituire
l'antecedente di future regressioni e pentimenti.
La pastorale vocazionale consiste allora nel mettere in gioco
« mediazioni » opportune e autentiche al momento giusto: sono me-
diazioni comunitarie e personali, entrambe necessarie e comple-
mentari. Se si punta sulla <<ricerca» di vocazioni senza curare la
vita e la testimonianza delle comunità, si rischia la crisi di credibi-
lità: le promesse a parole sono facili, ma l'impatto con la realtà
può frustrare.
E viceversa, se si elimina l'intervento personalizzato, aspettan-
do che tutto abbia origine dall'ambiente o dalla interiorità, è una
278

29 Pages 281-290

▲back to top

29.1 Page 281

▲back to top
forma di rinuncia ingenua e ignara della logica dell'incarnazione.
Cristo ci insegna a mediare: al fascino della sua persona e della
sua parola aggiungeva l'appello indirizzato in modo particolare
a ogni singolo, che coinvolgeva in un contesto reale di rapporti
e di azione. Il sorgere e maturare delle vocazioni appaiono condi-
zionati alle mediazioni capaci d'introdurre in esperienze umane ed
ecclesiali valide per i giovani, perché portatrici di qualità di vita
e di segni provvidenziali che rivelano il piano di Dio. Ma persino
i gesti più forti che riescono a strappare facile approvazione e ad
accendere entusiasmo, non provocano seguito se non suscitano con-
dizioni di disponibilità anche a lungo termine.
La mediazione pedagogica ha, dunque, un punto di partenza:
sviluppare personalità con capacità oblativa, in grado di corrispon-
dere alle mozioni della grazia. Il punto di arrivo invece è pronun-
ciare l'appello di Dio per chiamare coloro che presentano disposi-
zioni e attitudini.
Il compito primario in tale processo sta nell'orientamento, che
è criterio e metodo di aiuto al sorgere e svilupparsi della chiamata.
Da parte del giovane l'orientamento consiste in quel processo
interiore attraverso cui si va autodefinendo progressivamente. In-
teriorità, libertà e responsabilità della persona ne sono gli aspetti
fondamentati. Ogni sforzo di sostituzione del soggetto nel suo ruolo
di fronte alla propria vita, anche se a ragione dell'età o dell'ine-
sperienza, è inutile e irrispettoso.
Da parte dell'educatore l'orientamento è l'accompagnamento-
guida offerto alla persona in via di autodefinizione. Così da un
concetto teologico di vocazione come dialogo con Dio nel corso
della vita, si passa all'istanza pedagogica di seguire lo sviluppo uni-
tario e armonico della personalità nella fede, sollecitando il pro-
tagonismo del giovane che si confronta con i segni di Dio.
L'orientamento aiuta il giovane a definire il progetto di vita at-
traverso un'adeguata e realistica conoscenza di se stesso, un sere-
no rapporto con gli altri e con la realtà, un intenso riferimento
a Dio.
In questo il promotore vocazionale ha un ruolo facilitante che
sviluppa attraverso la testimonianza,l'incontro personale e il dia-
logo formativo.
279

29.2 Page 282

▲back to top
2. GIOVANI E DOMANDA VOCAZIONALE
Ogni tanto si ha l'impressione che un certo numero di operato-
ri, guidati peraltro da ottime intenzioni, vogliano celebrare le nozze
senza uno degli sposi. Calcolano tutto, tranne chi siano i giovani
con cui il Signore cerca di stabilire un dialogo.
I giovani non costituiscono oggi un oggetto unico identificabi-
le, portatore collettivamente di particolari istanze o valori nel cor-
po sociale. I loro atteggiamenti e le loro valutazioni riproducono
il mondo adulto. La gioventù inoltre è frammentata in frange cul-
turali e religiose.
La realtà della condizione giovanile è così complessa che è illu-
sorio generalizzare il discorso a tutta la massa, mentre è più reali-
stico accettare un discorso articolato.
Con questa valutazione, si può considerare il mondo giovanile
in tre aree: la gioventù cristiana in « generale » che ha qualche rap-
porto con la Chiesa e vede in essa un riferimento importante; la
gioventù <<aggregata»>, cioè quella che porta avanti un'esperienza
di crescita umana e cristiana in gruppi e movimenti di Chiesa; le
<< storie personali, cioè quel numero statisticamente irrilevante che
dimostra propensione ad assumere una vita totalmente dedicata
al Vangelo.
I giovani della prima area esprimono oggi un'insistente domanda
di significato, come esito delle tappe precedenti di contestazione
e delusione. Tale domanda di significato ha una forte connotazio-
ne personale ed è collegata ai bisogni individuali e di gruppo. Ap-
pare deideolo gizzata, sganciata d a particolari concezi oni dottrinali
totalizzanti.
In tal modo, la mentalità giovanile risulta frammentaria, sia
quanto alle appartenenze sia riguardo al sistema di significato, cioè
all'insieme di bisogni maggiormente avvertiti, di valori e obiettivi
ritenuti indispensabili per la vita, di modelli, progetti e ideali fatti
propri dai giovani.
La disorganicità è legata all'emergere imperioso della soggetti-
vità. I sistemi di significato, che si presentano con pretese totaliz-
zanti, vengono filtrati secondo uno schema interpretativo indivi-
280

29.3 Page 283

▲back to top
duale, che seleziona le loro istanze, da accettare poi o respingere
secondo l'opportunità.
L' elab or azione selettiva, soggettiv a e fram me ntaria dell' eti ca,
che qualcuno ha definito come una «morale senza virtù>>, e della
politica, è comune. E lo stesso quadro religioso non sfugge a que-
sta condizione: la fede dei giovani degli anni Ottanta appare, al-
meno a prima vista, distante dalla fede «cristiana» sia sul piano
della informazione corretta sia sul piano della incidenza vitale.
Accanto alla forte accentuazione del soggettivo si avverte una
caduta nella quotazione dei progetti collettivi a lungo termine: man-
cano le grandi idealità, perde di rilevanza la dimensione storico-
politica, si preferisce il pre-politico, aumenta la richiesta dell'espe-
rienza gruppale e la domanda di piccolo cabotaggio.
Al posto dell'utopia lontana, si afferma il quotidiano, anche
se non necessariamente come resistenza a ogni schema di grande
cambiamento e di grande prospettiva ideologica, ma certo come
v alorizzazsone dell' immediato, come possibilità di espressione della
persona, come difesa dalla complessità e governabilità delle esi-
genze.
Un'area numericamente più ristretta è costituita dai «giovani
aggregati>>. L'aggregazione è un elemento diversificatore fonda-
mentale: l'associazionismo ecclesiale si dimostra capace di rispon-
dere a quel primato del personale che rappresenta una delle ten-
denze più significative della condizione giovanile contemporanea.
Gli aderenti presentano una mentalità meno frammentaria, più uni-
tario è il sistema di significato; si assiste a un maggior legame con
la Chiesa; è più consistente il vissuto religioso, si constata un gra-
do piir alto di progettualità: e ciò sembra dovuto proprio al fatto-
re aggregazione.
All'interno delle aggregazioni cattoliche che vanno dai gruppi
sportivi, educativi e culturali a quelli con interessi religiosi, l'asse
di attenzione si sposta dall'area dell'azione politica e sociale a quella
«formativa)), per il bisogno di ridefinire l'identità personale esposta
a rischi di dissociazione.
Si riscopre esplicitamente il riferimento (( religioso » quale fat-
tore formativo principale.
Un'ultima area riguarda le storie personali. Questa attenzione
281

29.4 Page 284

▲back to top
riscatta l'ineffabilità della persona. Del resto nella Scrittura la vo-
cazione si presenta come caso << unico >> di popolo chiamato tra tutti
i popoli, caso unico (Abramo) di fede tra tutti i pagani, caso << uni-
co » di responsabilità religiosa (Samuele) nella decadenza generale.
Nelle storie personali si può leggere con sufficiente chiarezza
il quadro di motivazioni soggettive, capaci di produrre oggi un ap-
pello e spingere verso una verifica: lo choc interiore del Vangelo
come messaggio di vita, la scoperta dei bisogni del mondo e della
Chiesa, la ricerca di una qualità di vita che riproduca l'esistenza
del Signore. Da esse emergono anche i passi di un itinerario voca-
zionale, i luoghi e le esperienze di maturazione: sono il coinvolgi-
mento attivo; la forza dell'interazione tra persona, gruppo e co-
munità; il valore di un certo tipo di testimonianza personalizzata
al di Ià della funzione.
In generale, comunque, si può accettare che la sfilata di figure
sportive, politiche, religiose, scientifiche, il ritmo vertiginoso con
cui gli stessi eventi si succedono, la molteplicità di campi su cui
I'attenzione dei giovani è attirata,la libertà con cui ci si colloca
davanti a tutte le interpellanze, impediscono che << modelli o « lea-
ders »> siano determinanti nel trascinare, in modo numericamente
consistente, alla propria scelta di vita o al proprio quadro totale
di riferimento ideale.
Si rileva però il fenomeno della presenza ispirante, del gesto
o della parola illuminante che tocca il singolo in forma profonda.
E forse è proprio alle storie personali che dobbiamo soprattutto
rivolgere lo sguardo e su di esse posare le speranze. Essere total-
mente cristiano, infatti, può considerarsi un fenomeno singolare
nella società, e concentrare la vocazione cristiana in una vita si-
gnificativa è una scelta oggi «atipica».
3. IL PROFILO DELLE NUOVE INIZIATIVE
Sulla scorta delle considerazioni precedenti, che uniscono in un
collegamento motivato e allo stesso tempo realistico soggetto, con-
tenuto, obiettivi e metodo, si possono cogliere le istanze delle at-
tuali iniziative e tentare di enunciare linee di azione. Tali istanze
282

29.5 Page 285

▲back to top
prendono in considerazione il problema della quantità delle voca-
zioni, ma soprattutto quello della qualità dello sviluppo vocazio-
nale nel giovane e della mediazione educativa degli educatori.
3.1. Annunciare
Bisogna <<annunciare»> la vocazione a tutti i giovani.
Chi non evangelizza dal di dentro dei problemi di crescita gio-
vanile, sovrappone e accosta. E la semplice aggiunta non produce
qualcosa di vitale. Si tratta invece di annunciare la buona notizia
all'interno del progetto di futuro che ogni giovane si porta con sé:
il Signore lo salva dall'incertezza e dal non senso.
Annunciare la chiamata del Signore vuol dire partire dal pun-
to in cui il cammino è possibile, e non limitarsi alla raccolta dei
frutti. Ogni giovane va aiutato, proporzionalmente all'eta, a for-
mulare un progetto di vita radicato sulla fede. La parola poi è pro-
nunciata di nuovo, in maniera inedita, conforme alle nuove tap-
pe in cui si addentra il giovane. Per questo la pastorale vocazio-
nale, pur essendo generale, poiché non trascura la massa, non è
pero generica. Colloca sempre Gesù Cristo al centro conne futuro
e come senso dell'esistenza e rilevanza assoluta alla motivazio-
ne religiosa nel progetto di vita. Ma si basa su iniziative diversi-
ficate.
Nella prassi è determinante considerare il discorso vocazionale
fondamentale, non come perdita di tempo o una rinuncia alle vo-
cazioni di particolare consacrazione; ma al contrario, come l'uni-
ca forma per allargare la base di scelta e per raccogliere le reazioni
spontanee agli stimoli più generali.
In una Chiesa di comunione che rafforza il senso della voca-
zione, cresce la comprensione di tutte le vocazioni, e dove è ap-
prezzata una vocazione come tale, ricevono aiuto e senso preciso
le altre. In un mondo come il nostro, in cui il soggetto è esposto
alla frammentazione e le motivazioni durano poco, non è possibi-
le pensare a interventi settoriali e qualificati se non vi è una pode-
rosa sensibilizzazione sulle prospettive di fondo della vita cristia-
na. Non risulta infatti comprensibile il valore di un messaggio in-
tenso, se non si ha esperienza del fenomeno nel suo insieme.
283

29.6 Page 286

▲back to top
3.2. Esperienze valide
In secondo luogo urgono esperienze convincenti. II concetto di
esperienza va liberato da connotazioni di fruizione intesa a livello
di sentimento capace di produrre una momentanea esaltazione.
Vanno ricuperate invece le valenze dell'esperienza educativa: con-
tatto con un bene obiettivo, con totale partecipazione del sogget-
to a livello di attività, emotività e riflessione razionale. Vale il rea-
lismo contro il diaframma verbale, il contatto diretto e il coinvol-
gimento personale contro intermediari che offrono immagini e idea-
li, l'analisi e l'approfondimento di qualità contro gli stimoli facili.
In un'esperienza hanno peso la qualità del rapporto e la since-
rità nell'accettare i limiti della realtà. Il giovane rimane indeciso
e disorientato dalla scissione che c'è tra I'immagine teologica e il
ruolo sociale della vocazione proposta. Il sacerdote è quello che
definiamo teologicamente, ma il suo ministero e la sua presenza,
al di là della testimonianza soggettiva, non lo esprimono in forma
immediata e percettibile.
La via sta allora nel mettere in contatto, far provare, invitare
a cimentarsi in aspetti particolari (comunità, apostolato, preghie-
ra): è uno dei modi che sembra oggi abbattere un certo muro di
indifferenza in un'epoca in cui i giovani sanno che bisogna immu-
nizzar si contro I' eloquenza.
3.3. Sviluppo completo
Come terzaistanza aggiungiamo che lo sguardo va rivolto allo
sviluppo completo della persona. II giovane è centrale in ogni sen-
so, cioè come interlocutore di Dio, come protagonista delle deci-
sioni, corne essere in sviluppo verso una coscienza piena della realtà.
Bisogna aiutarlo a decidere fornendogli tutti gli elementi necessari.
Forse alcuni giovani hanno conosciuto iniziative vocazionali non
autentiche, che in realtà erano forme imprudenti e improvvisate
di reclutamento. Di conseguenza essi dimostrano diffidenza verso
altre proposte vocazionali, anche se compiute in forma seria e re-
sponsabile.
Le iniziative anche specifiche devono curare perciò itinerari com-
284

29.7 Page 287

▲back to top
plementari per assicurare la pienezza vocazionale, dandole respi-
ro storico, concretezza attuale e significato specifico. Questi itine-
rari sono tre: la crescita culturale, lamatttrazione dei rapporti uma-
ni, la formazione spirituale.
Il primo dà una visuale sintetica del mondo e dei problemi che
lo assillano. Sviluppa la capacità di cogliere i significati dei diversi
fenomeni umani, fa diventare sensibili all'appello dei valori, radi-
ca abitudini di obiettività, concretezza e metodicità nell'affronta-
re i problemi della vita. Non mancano in essi tocchi espliciti di te-
matiche vocazionali: percepire il posto centrale dell'uomo in ogni
attività, problema o crisi del mondo; abilitare alla capacità critica
sia sui propri pensieri, sentimenti e comportamenti, quanto su ciò
che I'ambiente offre come valore; aiutare a liberarsi dai condizio-
n amenti, r elativ izzando l' immediato (benessere, consumismo) ; av-
viare alla responsabilità personale e all'autonomia nelle decisioni;
insegnare a raccogliere e ad approfondire le domande di senso.
Sull'informazione spontanea dei giovani si innesta un'azione
educativa, che allarga i confini, qualifica i dati e ne approfondi-
sce il senso; ma soprattutto che aiuta a farne una valutazione e
una sintesi cristiana. Un'apertura voluta e programmataporta a
prendere contatto con realtà umane che stimolano richiami voca-
zionali: sono situazioni di bisogno materiale e spirituale, realizza-
zioni esemplari, persone e ambienti significativi.
Accanto alla maturazione culturale i rapporti umani rappresen-
tano un settore privilegiato dell'esperienza della realtà. L'atteg'
giamento di apertura sociale e altruistica, alla base di una scelta
vocazionale matura, non si può ottenere con raccomandazioni ver-
bali. L'unica strada efficace è quella di immergere i giovani in un
clima di relazioni interpersonali, fatte di fiducia, di accettazione
e di stima che li aiuti a essere se stessi e a chiarirsi le proprie moti-
vazioni.
Il terzo itinerario, vertice e centro, è la formazione spirituale.
E l'aspetto che costituisce la base dell'orientamento globale di una
persona nella vita. L'immagine di sé, che il giovane va completan-
do negli anni, deve essere improntata all'identità cristiana.
L'ideale di dovrà essere costruito sulle mete del Regno di Dio
e sugli atteggiamenti di Cristo. Il progetto di vita dovrà superare,
285

29.8 Page 288

▲back to top
pur supponendola, la relazione umana altruista per divenire slan-
cio di carità evangelica.
3.4. Obiettivi particolari
Obiettivi vocazionali particolari della formazione spirituale so-
no: aiutare il giovane a impostare la vita come dialogo con Dio
e risposta a Lui; stimolarlo a prendere una posizione di ricerca at-
tiva della volontà di Dio; sviluppare in lui il senso di appartenen-
za alla Chiesa e di partecipazione alla sua missione nel mondo;
motivarlo ad assumere lo sforzo ascetico che richiedono l'incon-
tro col Signore e gli impegni di vita.
L'accentua zione sull'orientamento-discernimento è un'ulteriore
istanza. Questo non è una funzione separata e ridotta a momenti
particolari, ma una costante di tutti gli interventi e di tutte le ini-
ziative pastorali. Va però sottolineato come elemento di partico-
lare importanzal'incontro individuale, sia come colloquio educa-
tivo, sia come direzione spirituale.
L'incontro educativo ha lo scopo di creare una situazione in-
terpersonale, attraverso la quale il ragazzo può diventare più libe-
ro e capace di percepire se stesso, Ia realtà e i segni di Dio. Offre
al giovane elementi per una visione limpida e illuminata della pro-
pria interiorità e delle motivazioni del comportamento. Dispone
a capire le mozioni dello Spirito e aiuta a dare unità alle diverse
esperienze, orientandole verso un progetto di vita in Dio. Accom-
pagna e sostiene I'azione della grazia, Ia verifica insieme al giova-
ne per sviluppare una sicura spiritualità cristiana, mentre armo-
nizza sviluppi difformi dalla crescita cristiana (scrupoli, difetto di
giudizio etico, devozionismo, intimismo...).
Il valore del gruppo e dell'ambiente è un altro punto fermo.
Si tratta di creare più spazio di scambio e di risonanza del solo
rapporto individuale. L'ambiente non è segnato da chiusure ma-
teriali o di visuale, ma determinato dalla scelta di rapporti prefe-
renziali. In tal senso l'ambiente è il gruppo, è I'opera giovanile,
è la comunità di riferimento vocazionale.
In un contesto incrociato da stimoli e messaggi molteplici, un
gruppo o ambiente ridotto aiuta a sintetizzare i messaggi e a sele-
286

29.9 Page 289

▲back to top
zionare gli stimoli, non sotto la legge dell'anomia o della fuga, ma
in base a un giudizio critico evangelico.
A questa istanza si ricollegano domande pratiche, come l'im-
portanza che si annette ai gruppi giovanili, alle comunità di ap-
poggio e la formazione di animatori per entrambi.
3.5. Proposta esplicita
Da ultimo c'è da sottolineare il valore della proposta reale ed
esplicita, che supera l'esperienza. È un orizzonte di senso, colto
chiaramente anche se non realizzato al completo. È un progetto
di esistenza aperto alla novità di Dio: non è possibile sperimentar-
lo totalmente; è una « promessa » che si compirà nel futuro. Alcu-
ne dimensioni sono reali, storiche e conoscibili, ma soltanto a modo
di segni e manifestazioni.
Ciò spinge a vagliare l'immagine di sacerdote o di religioso che
i nostri discorsi prospettano e che possono suggerire soltanto ruo-
li istituzionali, inquadramenti in strutture, continuazione materiale
di compiti, insieme di osservanze formali; o, al contrario, esisten-
ze che ricercano una particolare qualità di vita, dove alla carità
è dato di esprimersi e alla libertà che va crescendo in Dio è possi-
bile spaziare con piena sincerità umana nella ricerca dell'Assoluto.
Forse è il caso di indicare, a mo' di stimolo, alcuni punti di ri-
ferimento nella proposta di vita religiosa, che già si stanno dimo-
strando se non vincenti, almeno ascoltati.
E utile narrare storicamente la vicenda dei fondatori, come uo-
mini inseriti tra le sfide umane ed ecclesiali del proprio tempo, im-
pegnati in un'avventura mossa da un amore profondo per gli uo-
mini e da un'alleanza con Dio, dalla quale proviene la loro parti-
colare sagEezza nell'interpretarela vita; uomini e donne che rav-
vivarono la comunità cristiana in momenti difficili; presentarli quali
iniziatori di progetti di vita che sono offerti ancora oggi come ri-
cerca di Dio e luogo di impegno storico particolare. Il genere (( nar-
rativo>>, più concreto, si sta rivelando di impatto maggiore di quello
argomentativo.
Oggi impressiona la forzaprofetica, contestatrice della banali-
dei grandi idoli; impressiona la lievitazione evangelica della storia,
287

29.10 Page 290

▲back to top
portata avanti con svariati contributi e con l'attualizzazione della
preferenza di Cristo per i più poveri in un mondo che ha consa-
crato la disuguaglianza e legifera per i piu forti. Cosi come attira
il motivo della sequela del Signore nella forma della sua esistenza
storica, quando si presenta come un'esperienza di vita in Dio piut-
tosto che soltanto come un'aggregazione istituzionale rappresen-
tativa.
La dimensione profetica, di segno, di radicalità non va dun-
que sminuita, ma messa in evidenza.
Da tutto questo si comprende come la promozione vocaziona-
le è un lavoro di « qualità )), per cui non bastano interventi appros-
simativi, anzi, paiono deleteri. L'entusiasmo e la fede devono tra-
dursi in linee di intervento, maturate nella riflessione e sostenute
nel tempo, perché il germe vocazionale posto da Dio nei giovani
possa crescere e giungere a maturità.
288

30 Pages 291-300

▲back to top

30.1 Page 291

▲back to top
Capitolo settimo
L'ANIMAZIONE MISSIONARIA
IN UN PROGETTO
DI PASTORALE GIOVANILE
L'educazione e la pastorale giovanile si presentano oggi sotto
il segno della complessità. Sono molti i temi e gli aspetti ai quali
bisogna prestare attenzione per aiutare la gioventù a crescere in
modo integro e armonico.
Lamattrazione dell'uomo esige che si accompagnino i giovani
nella loro crescita personale e nell'esperienza familiare, nell'aper-
tura culturale e nell'orientamento professionale, nel loro inseri-
mento nella società e nell'uso della comunicazione sociale, nella
risposta agli stimoli dell'ambiente e nella formazione della coscienza
morale, per citare solo gli aspetti più importanti.
L'educazione della fede poi richiede ulteriori specifiche at-
tenzioni, quali: la conoscenza della verità cristiana, I'iniziazione
al mondo dei segni e celebrazioni, la partecipazione alla vita e
alla storia della comunità ecclesiale, l'implicazione nell'impegno
cristiano, l'orientamento vocazionale e la formazione di una cul-
tura cristiana in grado di giudicare criticamente eventi e progetti
storici.
C'è chi si scandalizzadei <<vuoti»», dottrinali o pratici, che ri-
scontrano nella formazione cristiana dei giovani. Quanti lavora-
no in campo educativo non si sentono adeguati a tale compito.
La materia è molta, il tempo disponibile poco. Le proposte che
pesano sono tante e diverse; i messaggi e le impressioni, veloci.
Per questo la pastorale giovanile sta usando, in modo più o meno
cosciente, due strumenti per trattare pedagogicamente i contenuti
e le esperienze: il progetto educativo e il cammino di fede. Sono
come intelaiature, o meglio canahztaÀoni in cui si ordina e si orienta
un materiale importante che arriva frammentario, complesso e di-
sperso. A tale scopo urgono scelte puntuali e decisive.
289

30.2 Page 292

▲back to top
1. CONVERGERE SUL PROGETTO
Il progetto richiama un obiettivo conosciuto, formulato e per-
seguito, verso cui si fanno convergere messaggi, proposte, attivi-
tà. L'obiettivo, così come il fine, è il primo nell'intenzione di chi
si dispone a intraprendere un compito. Tuttavia un obiettivo edu-
cativo risulta anche il primo nella realizzazione, poiché enuncia
una qualità fondamentale per [a persona in crescita. È già presen-
te, come un piccolo seme, nel primo contatto o intervento educa-
tivo, sebbene necessiti di essere progressivamente arricchito lungo
tutto il processo educativo.
Tale scelta di operare su di un nucleo che senso alla totalità
e ad ogni aspetto del lavoro pastorale, corrisponde a una tradizio-
ne che viene da lontano. L'annuncio degli Aspostoli era contenu-
to in una frase incisiva e sintetica che poteva venire sviluppata in
un discorso, esplicitato in un testo, come lo sono i Vangeli.
ll nucleo era sempre il medesimo: da questo si partiva, ad esso
si ritornava, era sempre messo in rilievo come fonte di ogni altra
espressione o esigenza; non lo si dava mai per scontato o assimila-
to completamente.
Ora, l'obiettivo del progetto è suscitare e portare a maturazio-
ne la fede in Cristo, come elemento che significato all'esistenza
e unità alla persona. Alla luce di tale punto centrale si dovranno
giustificare i contenuti che si considerano e le metodologie che si
adottano.
Di conseguenzall progetto mira a collocare in modo opportu-
no, coerente e proporzionato, ogni aspetto particolare, affinché
it suo significato nell'orizzonte della fede sia facilmente percepito
e assimilato dai destinatari. Si supera così la frammentazione del-
le diverse proposte e attività procedendo verso un sistema, un pro-
gramma.
Senza la collocazione organica in un sistema, i gesti, i fatti o
le insistenze particolari possono avere un impatto, ma passegge-
ro; non formano una mentalità stabile nei destinatari, già troppo
sottoposti a ogni tipo di messaggio e perciò tentati di renderli co-
munque relativi.
A una prassi pastorale che moltiplica le iniziative settoriali in
290

30.3 Page 293

▲back to top
diversi campi (gruppi, vocazioni, missioni, insegnamento, catechesi)
senza preoccuparsi della connessione vicendevole, ne succede un'al-
tra per cui piir importante non è la qualità, ma la sintesi, l'unità.
Tale evoluzione presenta i suoi buoni motivi.
Quando I'universo della fede è chiaro e socialmente condiviso,
si può interpretare facilmente il significato di ognuno degli elementi
o gesti particolari che ad essa si riferiscono. È come comprendere
una frase quando se ne conosce la lingua, come interpretare un
segnale se si possiede la chiave di lettura.
Se la lingua o la chiave sono sconosciute, può succedere che
un messaggio sia chiaro solo nella mente di chi lo propone, ma
venga diversamente interpretato da quanti lo recepiscono. Un viag-
gio del Papa, giornali alla mano, può assumere sensi diversi in un
dibattito. L'evento è uno; i quadri interpretativi in cui viene rece-
pito sono molti, esclusa qualsiasi cattiva volontà.
Questo fermento capita oggi in tutti i campi. Le aree di cono-
scenza e gli strumenti di linguaggio si sono estesi: difficilmente l'e-
sperienza dell'uomo arriva a dominarli tutti. In un'indagine si ri-
ferisce che un bambino, vissuto in un ambiente urbano, alla vista
di un ruscello domanda dove si è rotta la tubatura; un altro rifiuta
con disgusto la frutta colta dall'albero, mentre mangia tranquilla-
mente quella comprata al supermercato; per un altro ancora le ra-
ne sono opera della fantasia, come i personaggi delle fiabe. Si parla
di conseguenza di un « analfabetismo ambientale ». In assenza del
contatto vivo con questo universo, che si chiama <<natura»», in cui
gli esseri trovano una loro dimensione e un preciso significato, l'in-
terpretazione della realtà risulta sfocata, difficoltosa o impedita.
Qualcosa di simile può certamente accadere anche nell'universo
della fede e dell'esperienza cristiana.
2. PROSPETTARE II, CAMMINO DI FBDB
Strettamente connesso con il progetto è il cammino di fede.
Se il progetto è l'organiuaztone dei mezzi educativi, il cammino
di fede considera soprattutto i dinamismi dei processi umani: è un
percorso educativo caratterizzato dalla gradualità e dal progresso.
291

30.4 Page 294

▲back to top
Esso si propone di aiutare la persona a costruire intorno alla
fede tutto ciò che si riferisce al suo mondo vitale e quanto va sco-
prendo nella ricerca di significati. Così la stessa fede acquisisce di-
mensioni più ricche e << impregna »> la mentattà, lo stile di vita quo-
tidiano, la presenza e l'impegno nella comunità.
Nel cammino di fede sono importanti non solo le verità o espe-
rienze che si offrono, ma più ancora i processi di interiorizzazione
e integrazione che la persona attrta,le energie che si risvegliano
dentro di essa, il fatto di progredire per scelte personali e autenti-
che verso una identità cristiana. Non sempre alla decisione con cui
viene portata avanti una proposta corrisponde una giusta pedago-
gia di interiorizzazione. In tal caso la fede, la religiosità, la mora-
le rimangono come elementi validi ma esterni, staccati dal conte-
sto in cui si decidono i momenti importanti della vita.
Ciò spiega l'inconsistenza della fede che si rivela quando le im-
pressioni svaniscono ed emergono le convinzioni e gli atteggiamenti
profondi. Il messaggio e la proposta si devono adeguare sempre
alla situazione reale della persona in vista di una loro interiorizza-
zione, più che concedersi al desiderio di promuovere un certo set-
tore di attività.
3. PUNTARE SULLA CRESCITA INTERIORE
Animazione è una parola assai conosciuta. Con questo termi-
ne molti intendono l'azione di stimolo di un educatore o operato-
re pastorale verso persone o gruppi, perché prendano in conside-
razione un tema o un aspetto, se ne lascino coinvolgere e vi si im-
pegnino. [n simile concezione, per valutare i risultati si enumera-
no le azioni intraprese, i destinatari raggiunti, i motivi proposti,
come anche la risposta dei soggetti coinvolti. Di certo si tratta di
un'interpretaztone accettabile di animazione, ma parnale ed ester-
na, in cui il protagonista è l'«animatore»> che agisce: una sorta
di propagandista-promotore di un'idea o impresa.
L'animazione però rivela tutte le sue potenzialità educative se
viene intesa in modo più pieno, ossia come un dare forza dal di
dentro alla persona ponendo in relazione arricchente i diversi aspetti
292

30.5 Page 295

▲back to top
del progetto educativo e del cammino di fede. Un intervento (l'o-
rientamento vocazionale, la dimensione missionaria, l'aspetto cul-
turale) <<anima»> il progetto globale di educazione alla fede quan-
do sollecita l'interno della persona, in modo che provochi la fede
e la porti a maggiore approfondimento, chiarificazione, autenti-
cità, fondazione.
Una qualsiasi proposta anima veramente nella misura in cui of-
fre il combustibite per il cammino, crea un desiderio e un dinami-
smo di ricerca nella persona, provoca un processo di assimilazio-
ne e di adesione. Per esempio, animare religiosamente la cultura
significa lanciarla, a partire dalla sfida della fede, alla ricerca di
ulteriori significati, e animare culturalmente la fede vuol dire in-
vestire su di essa le sfide che l'esistenza umana pone, in modo da
liberare tutta la sua profondità umana e razionale.
Non si tratta allora semplicemente di offrire più materiale su
un determinato aspetto (vocazioni, missioni, liturgia...). Il punto
nodale sta nel fatto che tale stimolo risvegli e ponga sotto una nuova
luce quanto è già acquisito dalla persona, che susciti desideri di
crescita rinnovati, così da essere percepito come importante per
la vita e la fede.
L'animazione si propone in verità non tanto di promuovere un
settore (in tal caso è meglio usare la parola <<promozione>>), quanto
piuttosto di rendere la persona protagonista dei suoi processi di
crescita e integrazione.
4. L'ANIMAZIONE MISSIONARIA
Tutta la Chiesa è missionaria, sempre e in ogni luogo. Ogni co-
munità cristiana è in missione, senza distinzione di collocazione
geografica, situazione religiosa o contesto culturale. Ogni cristia-
no, dovunque sia o lavori, è mandato nel mondo, tra quelli che
lo circondano, per annunciare il Vangelo. I tre aspetti costitutivi
dell'identità della Chiesa, fonte di tutta la sua attività sono: mini-
stero, comunione, missione.
Le «missioni>» sono presenti in tutto il mondo. Ci sono paesi
di missione anche in Europa, e lo sono quasi tutti, secondo i vari
293

30.6 Page 296

▲back to top
episcopati. Missioni, vere missioni, sono realizzate, in città e pae-
si, da predicatori che si propongono di tornare ad annunciare il
Vangelo, dimenticato o poco conosciuto.
Segno concreto di questa dimensione della Chiesa sono la vo-
cazione e il servizio di quanti lasciano la propria terra per dedicar-
si ad annunciare Gesù Cristo ai popoli che ancora non lo cono-
scono, o laddove la comunità cristiana ha bisogno di essere soste-
nuta.
La Chiesa valorizza la vocazione di queste persone e le << man-
da»» con un gesto pubblico come missionari, considerati dal po-
polo cristiano espressione insigne di fede e di carità, ricevuti e ascol-
tati sempre con ammirazione, accompagnati con la preghiera e la
collaborazione.
Le missioni non si presentano come un fatto isolato e insolito,
ma in continuità con I'identità di ogni cristiano e di ogni comunità,
come loro naturale « fioritura»>, come espressione radicale e chiara
capace di smuovere le comunità verso una autentica missionarietà.
Tratto comune e impegno specifico sono i versanti da mettere
in risalto perché le missioni « animino »> la fede, e questa a sua vol-
ta conduca all'azione missionaria in ogni parte del mondo verso
i più bisognosi del Vangelo.
Per questo, più che pensare il tema delle missioni a sé e in mo-
do separato, come un capitolo speciale del progetto, occorre inte-
grarlo quale elemento fecondante di diversi aspetti: dalla crescita
umana della persona alla sua maturazione nella fede, al processo
di decisione vocazionale.
La prassi mette in risalto due modi per conseguire questa inte-
grazione: partire dagli interessi educativi di base e risvegliare la
coscienza missionaria per ottenere nuovi livelli di fede e di impegno.
Il primo percorso è seguito da istituzioni o gruppi che si inte-
ressano di educazione o catechesi fondamentale: mentre fanno ma-
turare la vocazione cristiana, sollecitano a conoscere e a parteci-
pare all'attività missionaria della Chiesa.
Il secondo percorso è tipico dei gruppi e movimenti che hanno
un interesse specifico per le missioni, lo sviluppo dei popoli, la col-
laborazione internazionale: l'esperienza missionaria si trasforma
allora in itinerario di crescita umana e di maturazione nella fede.
294

30.7 Page 297

▲back to top
Al['interno di una comunità educativa questi due percorsi pos-
sono coesistere e interagire, essendo l'uno stimolo per l'altro. E
in effetti è così che succede: la fede muove l'interesse missionario,
e le missioni danno impulso ai processi di fede e alla crescita della
comunità.
Sotto il profilo pedagogico si può operare in quattro maniere
per l'animazione missionaria: con l'informazione, la riflessione,
la testimonianza e l'impegno personale.
L'informazione
Le missioni sono un « fatto » che talvolta suscita anche curiosi-
e interesse: come tale è oggetto di informazislls, come lo è un
volo spaziale, un campionato, una missione diplomatica o un viag-
gio del Papa. Di tanto in tanto qualche giornalista ce lo ricorda
presentando un'intervista a un missionario o accompagnandoci con
Ia telecamera in un luogo di missione. È il primo dato da valoriz-
zare: l'esisterrza e l'originalità di questo fenomeno.
L'informazione porta con un'enormità di elementi di matu-
razione culturale e produce molte conoscenze geografiche ed etni-
che, non neutre come in una lista asettica, bensì in connessione
con i problemi umani.
Le riviste missionarie riportano notizie di paesi di tutti i conti-
nenti: riguardano le differenze culturali, le situazioni di povertà,
Ia discriminazione razziale,la dipendenza economica, le forme di
or ganizzazione sociale, lo stile di educazione, l' urbani zzazione, l' e-
migrazione, l'esodo rurale, la situazione femminile, l'influenza dei
poteri esterni.
Di sicuro l'informazione missionaria porta a una maggiore co-
noscenza del fenomeno religioso, della sua diffusione universale,
delle relative differenti manifestazioni, delle relazioni tra le diver-
se religioni. È difficite parlare di missioni e non far riferimento
alle differenti credenze e consuetudini religiose.
L'influsso educativo che tale informazione può avere dipende
spesso dal modo in cui viene presentata. Non tutti giungono a va-
lutare il fenomeno con uguale maturità: talora se ne parla come
di un racconto che non coinvolge, talaltra con superficialità o toni
295

30.8 Page 298

▲back to top
polemici. Cionondimeno si <<fa lezione» di cultura religiosa con
il materiale offerto.
La riflessione sul senso
L'informazione missionaria apre a un panorama di popoli, di
fatti, problemi e culture. Presenta I'esperienza religiosa come una
ricerca universale dell'assoluto; fa sentire l'interdipendenza delle
diverse aree del mondo, aiutando a percepire in concreto gli effet-
ti favorevoli o negativi di determinati progetti storici.
Anche se presentate solo sotto l'aspetto dell'interesse o della
curiosità, il discorso <<missioni»> forma ugualmente all'apertura al
mondo, stimola all'universalità. Si rileva un esito educativo nei ra-
gazzi in contatto con questo tipo di realtà.
I «fatti»> contengono «significati»», I'informazione trasmette
messaggi: alla narrazione segue la riflessione che apre al discorso
di fede.
Le missioni rendono evidente che I'esperienza religiosa, in par-
ticolare quella cristiana, per qualcuno è tanto attraente e impor-
tante da trascurare tutto il resto per concentrarsi su di essa. Ro-
manzieri e sociologi, anche non cristiani, si sforzano di compren-
dere Ie motivazioni e gli atteggiamenti che spingono le persone a
diventare missionari e missionarie. Dalle imprese missionarie di-
viene evidente che quanto è « religioso risulta profondamente le-
gato al problema dell'uomo e della sua dignità. La missione com-
pare più come servizio all'uomo, specialmente nella scoperta del-
la sua vocazione, che come proselitismo religioso.
Lo spessore missionario si esplicita in contenuti catechistici, quali
la chiamata universale di tutti gli uomini a formare una famiglia
in Cristo, la missione della Chiesa di essere « segno e strumento
di tale vocazione, la continuità sacramentale tra Cristo e la Chie-
sa, la comprensione maggiore della presenzadellaChiesa nel mon-
do, I'unione spirituale esistente tra i cristiani.
Secondo i momenti e i destinatari, l'informazione si risolve in
una catechesi sistematica o occasionale. Non è necessario, tal-
volta conveniente, cambiare lo stile della narrazione con quello della
<«lezione>»: ci sono di esempio gli Atti degli Apostoli, che narrano
con fede e a partire dalla fede.
296

30.9 Page 299

▲back to top
La testimonianza e I'impegno
Fatti e significati sono incarnati in testimoni vivi. Questi rac-
contano la storia della loro decisione, comunicano la gioia della
loro donazione, trasmettono la sete di verità e di salvezza che tro-
vano sul posto di lavoro, documentano la forza trasformatrice del
Vangelo; raccontano, insomma, il fervore della nascita e la cresci-
ta di una comunità cristiana. Questo è un momento fecondo per
le vocazioni, sebbene non completo: la missione risulta una com-
ponente determinante nella loro nascita.
Testimoni eloquenti sono anche i missionari di ieri, in primo
luogo quelli che portarono Cristo alla propria gente.
La storia della propria comunità cristiana e di coloro che si so-
no distinti nel farla nascere e crescere va dunque congiunta col fatto
missionario permanente e attuale.
Tutto ciò tende a produrre un'implicazione personale, anche
se di differenti livelli: l'interesse, il sostegno esterno, la collabora-
zione a distanza, la partecipazione diretta all'azione missionaria.
Le missioni divengono così luogo di esperienze intense e di iti-
nerari. Si partecipa allora a un progetto missionario nel quale si
percorre un cammino di fede, che non è di per materialmente
legato alla partecipazione all'attività missionaria. Ci possono es-
sere persone che partecipano a missioni per curiosità, generosità
naturale o desiderio di esperienza, senzapercorrere il relativo cam-
mino di fede. Per questo I'esperienza missionaria richiede una pe-
dagogia di preparazione, di attuazione e di accompagnamento.
5. VALUTAZIONE DELL'ANIMAZIONE MISSIONARIA
Il fatto missionario può attivare energie educative. Per raggiun-
gere tuttavia determinati obiettivi di formazione umana e cristia-
na è necessario trattarlo pedagogicamente.
Gli indicatori positivi per valutare se l'animazione missionaria
si traduce in processi educativi possono essere di tre livelli.
Il primo è la comunità educativa pastorale in se stessa: è la de-
stinataria dei messaggi, il terreno su cui arrivano le proposte di
297

30.10 Page 300

▲back to top
collaborazione. In essa si può verificare se l'animazione si riduce
a momenti occasionali di sensibilizzazione o matura in attività e
in criteri duraturi.
C'è un indicatore positivo quando all'interno della comunità
cadono i pregiudizi e cresce la capacità di comprensione e acco-
glienza a persone di diversa provenienza, di razza differente, di
vario livello economico e fede religiosa. Oggi si vive a gomito a
gomito con gente di diversa cultura e razza, ma nonostante que-
sto, paure e difese si celano assai più spesso di quanto si possa im-
maginare e con i pretesti più diversi. Si puo fare l'elemosina agli
abitanti dell'Africa e discriminare gli africani che vivono tra noi,
come i balli esclusivi e la beneficenza in favore dei poveri.
Un altro indicatore positivo consiste nella preoccupazione rea-
le, da parte della comunità educativa, di aprire i giovani ai grandi
problemi dell'umanità, presentandoli con realismo, aiutando a ve-
derne le conseguenze sull'ambiente (ricchezza e povertà, vita ed
etica), promuovendo la convinzione che è possibile superarli e mo-
strando il gioco di responsabilità che grava su di essi.
Sulla stessa Iinea si può collocare, come indicatore positivo, I'im-
portanza della dimensione religiosa nella vita della comunità e nei
contenuti educativi, così come larilevanzadell'educazione dei gio-
vani alla generosità e al servizio più che alla conquista del succes-
so personale.
Il secondo livello valutativo sta nella relazione della comunità
con il territorio. Che senso avrebbe infatti parlare di missioni lon-
tane e non essere missionari nel proprio ambiente? Sul posto esi-
ste la possibilità quotidiana di testimoniare e annunciare il Vange-
lo: c'è gente che non ha mai sentito parlare veramente di Cristo,
sebbene sia in contatto con cristiani. Il rapporto con l'ambiente
circostante spinge a impegnarsi pacificamente in favore della per-
sona, proprio come raccontano i missionari. Non possono <<edu-
care » quanti parlano di impatto del Vangelo in terre sconosciute,
ma non lo vivono nel loro contesto, poiché si disinteressano dei
problemi della propria gente. Un risultato educativo viene ottenu-
to solo quando nella persona matura un atteggiamento o si radica
un criterio; la risposta generosa a uno stimolo occasionale è uni-
camente un inizio.
298

31 Pages 301-310

▲back to top

31.1 Page 301

▲back to top
Il terzo livello di valutazione della qualità dell'animazione mis-
sionaria è l'apertura delle persone e della comunità all'umanità e
alla Chiesa universale.
Tale apertura significa coglierne l'interdipendenza: ossia sape-
re che un problema lontano è anche un problema nostro, che la
solidarietà non ha confini, così come la responsabilità. Lo espri-
me bene questo passo di Helder Càmara: « Qualunque sia la tua
condizione di vita, pensa a te stesso e ai tuoi cari, ma non ti la-
sciar chiudere nel cerchio stretto della tua piccola famiglia. Una
volta per tutte adotta la famiglia umana. Cerca di non sentirti estra-
neo in nessuna parte del mondo. Sii uomo in mezzo agli altri. Nes-
sun problema di qualsiasi popolo ti sia indifferente. Risuona delle
gioie e delle speranze di tutto il genere umano. Fa' tue le sofferen-
ze, le umiliazioni dei tuoi fratelli; vivi su scala mondiale o, meglio
ancora, universale. Cancella dal tuo vocabolario le parole: nemi-
co, odio, risentimento, rancore. Nei tuoi pensieri, nei tuoi deside-
ri, nelle tue azioni, sforzati di essere veramente costruttore della
pace».
299

31.2 Page 302

▲back to top
Conclusione
UNA PASTORALE
APERTA AL FUTURO
Si parla molto oggi di terzo millennio. Ad alcuni suona un,esperien-
zabanale o retorica per sedurre gli ingenui. Altri, invece, considerano
I'attesa della fine del secolo come una metafora del futuro: quello spa-
zio dell'immaginazione in cui trovano posto speranze e illusioni, fanta-
smi e paure. Questa posizione ci è cara, perché feconda di sviluppi co-
struttivi.
1. UTOPTA E ANTI.UTOPIA
II futuro spinge la fantasia in due direzioni. Una è l'utopia: I'imma-
gine che proietta l'ottimo come realizzabile a favore dell'uomo, il sogno
di un mondo a misura d'uomo nella qualità della vita.
Le descrizioni utopiche del futuro abbondano. E non sono infonda-
te, perché si basano su germi già esistenti, che hanno in possibilità di
sviluppo. Oggi l'utopia è << alimentata » dalla telematica e dall,intelligen-
za artificiale, dal dominio dello spazio e dalla biogenetica, dall'uso paci-
fico delle conoscenze nucleari e dal nuovo stile delle relazioni tra i gran-
di del mondo.
Tuttavia il futuro ha ispirato anche un altro tipo di previsione, l,al-
tro lato della medaglia: l'anti-utopia, predizione di una catastrofe co-
smica, quale totalità degli elementi contro l'uomo. Gli esempi piir noti
sono il film The day after e il romanzo 1984 di G. Orwell.
Le anti-utopie si ispirano agli arsenali nucleari o chimici, alla conta-
minazione dell'ambiente, alle mutazioni degenerative dell'atmosfera, alla
manipolazione della vita, alle intenzioni perverse di chi detiene il potere,
alla diffusione di qualche peste moderna, alla dissoluzione etica. Anche
I'anti-utopia si fonda su elementi reali in germe che possono impazzire
e sfuggire a ogni controllo.
Entrambe le prospettive sono possibili. Tra I'una e l'altra sta l,ele-
300

31.3 Page 303

▲back to top
mento imponderabile: la libertà dell'uomo, la sua capacità di cogliere
il bene e di decidersi per esso, oppure di concedersi al male e alle sue
distruzioni. Al riguardo esistono persone che coltivano utopie in forza
della fiducia nell'uomo e della vittoria del bene sul male. Pensano che
l'istinto di vita sia più forte della tentazione di autodistruggersi.
Altre invece sono per il disastro finale, poiché credono che l'uomo
non sia in grado di arrestare le ripercussioni a catena della scienza e della
tecnica, quali la tentazione del potere, lo sfruttamento inconsulto. Così
l'uomo finirà con I'esser vittima delle sue stesse invenzioni.
Utopia e anti-utopia sembrano riferirsi a realtà lontane. La previsio-
ne del futuro vicino prende invece la forma del calcolo e della progetta-
zione. Arriva fin dove giunge lo sguardo: si tratta di scoprire tendenze
o megatendenze attuali, secondo cui prendere decisioni opportune.
Ma oggi, con I'accelerazione dei tempi, il futuro prossimo e lontano
ci appare quasi unito: gia domani potrebbe verificarsi il cambiamento
decisivo.
Anche nell'ambito religioso esistono utopie e anti-utopie, congetture
e letture di tendenze. I profeti videro il futuro popolo di Dio rallegrato
da una presenza portatrice di giustizia e pace universale. Isaia creò im-
magini insuperabili per descrivere quei tempi. Così in tempi recenti Teil-
hard de Chardin vedeva la materia elevarsi come per fasi successive fino
al punto Omega.
D'altro canto, si predicava anche e in forme diverse un castigo uni-
versale, I'abbandono di Dio da parte dell'uomo, la dissoluzione dell'u-
manità per corruzione morale.
Riguardo al futuro immediato, una previsione e un fiorire straordi-
nario della religiosità. Taluni vedono emergere con forza il desiderio di
dare un senso alla vita, poiché la semplice razionalità si rivela insuffi-
ciente a risolvere gli interrogativi dell'uomo. I tanti esperimenti compiu-
ti per risolvere i grandi problemi dell'umanità stanno portando alla con-
vinzione che ci vuole un salto di qualità della coscienza umana. Come
conseguenza, I'uomo va alla ricerca di salvezza nell'Assoluto, e, secon-
do l'espressione biblica, si ricorda di Dio.
Una diversa valutazione sta nel denunciare I'eclissi della religiosità
in atto, o per lo meno la scomparsa delle istituzioi religiose. In effetti,
mai come oggi l'esperienza religiosa sta subendo un processo accelerato
di privatizzazione e frammentazione. Appare talora come un mercato
in cui, per soddisfare Ia domanda, si offrono e si consumano le forme
tradizionali, le religioni orientali, il fondamentalismo, Ie emozioni mi-
steriche, i riti di gruppo, Ie nuove sètte: tutto secondo il gusto e Ie richie-
ste del cliente. I giovani seguirebbero questa tendenza, trascinati dalla
301

31.4 Page 304

▲back to top
cultura secolarizzaLa, dall'individualismo e dalla scarsa capacità degli
: adulti di trasmettere un'esperienza credibile.
E vero, in molti casi i fatti hanno smentito le previsioni. Non è stato
comunque inutile lasciar Iibera l'immaginazione per prevedere e ipotiz-
zare. La pastorale in generale, e la giovanile in particolare, si svolge nel
tempo. Perciò avvicina Ia persona in situazione, la cultura in elaborazio-
ne, la società in movimento. Si presta dunque all'uso dell'immaginazio-
ne: non deve solo amministrare il presente, ma immaginare il « poi »> e
sognare il futuro.
Nell'utopia pastorale, tuttavia, interviene un elemento decisivo: Ia fede
nella volontà salvifica di Dio, la missione di Gesù, Ia speranza nella for-
za della sua risurrezione e l'energia della carità che anima e trasforma
l'umanità.
Parlare dunque del futuro della pastorale significa immaginare come
si realizzerà nel tempo il sogno di Dio sull'uomo e sull'umanità, fare af-
fidamento sulla sua presenza nella storia, seguire le manifestazioni del-
I'attrazione che I'uomo sperimenta verso di lui. E, al tempo stesso, ela-
borare le mediazioni che fanno percepire il sogno di Dio e spingono a
rispondervi con responsabilità. Ci sono note la meta e la direzione della
nostra storia, ma non ne conosciamo le svolte Iungo la strada. Per que-
sto è richiesto il nostro impegno.
2. IL SIGNORE DELLA VITA
RESTA LA CHIAVE INTERPRETATIVA DETERMINANTE
Nuova ev angelizzazione. . . civiltà dell' amore !
Si ha I'impressione che la storia umana debba ricominciare con un
qualcosa di nuovo e di fondamentale. Sembra quasi che una prova sia
terminata e se ne debba tentare un'altra.
Si sono esaurite le ideologie, la contrapposizione di blocchi, la deter-
renza nucleare, la speranza assoluta e indiscutibile nella scienza, il be-
nessere ad ogni costo di nazioni o gruppi.
E al contempo si apre l'orizzonte, anche se faticosamente, di una nuo-
va convivenza e collaborazione tra i popoli. Cadono muri e cedono fron-
tiere. Si prospetta una specie di nuova era, in cui risolvere qualche anti-
co problema dell'umanità che remore precedenti non consentivano nep-
pure di affrontare.
Persona, umanità e civiltà si trovano a un incrocio, alla ricerca di
una << uscita ». Non sono, come un tempo, le catastrofi naturali a preoc-
302

31.5 Page 305

▲back to top
cupare, ma qualcosa che urge da dentro: è la coscienza delle attuali op-
portunità e il rischio di usarle male.
Le opportunità della scienza e della tecnica e le potenzialità della co-
municazione e della produzione di beni sono enormi: mettono a disposi-
zione mezzi impensati e spesso toccano realtà fino ad oggi considerate
inviolabili, quali Ia vita, la coscienza, il destino di intere nazioni.
Interrogativi e problemi ora argomenti di studio saranno domani que-
stioni comuni e temi di educazione, da affrontare come lo sono stati I'ab-
becedario o le tavole pitagoriche.
La questione è comunque assai seria e complessa.
Esiste uno scompenso tra potere ed etica. Non si riesce a orientare
al bene dell'uomo quanto viene conquistato con la scienza e con la tecni-
ca. E la coscienza a esserne sfidata e tutto l'uomo ne è coinvolto.
C'è uno scompenso tra progresso e senso. Si conosce assai piir di quan-
to si è in grado di interpretare alla luce del nostro destino. I dati sono
molti, la luce della verità però è tenue. L'informazione non rawisa limi-
ti, mentre il senso della totalità del reale deve essere ancora esplorato.
È la mente umana che viene provocata e si invoca il senso delle cose e
degli eventi.
Si rileva uno scompenso tra qualità della vita e beni materiali. Nel
nostro mondo abbiamo di più di quanto riusciamo autilizzate per la no-
strarealizzazione. L'uso che si fa di molti beni è immediato: consumare.
È la tibertà e I'amore che vengono interpellati nel loro significato pro-
fondo.
Nell'occhio del ciclone di simile squilibrio si trovano i giovani, sen-
sori che awertono ciò che si avvicina. Per questo il futuro della pastora-
le giovanile si annuncia drammatico, anche se non tragico. Si tratta di
interrogarsi seriamente sul proprio impegno in un compito entusiasman-
te, di proporzioni e conseguenze enormi.
La pastorale, pertanto, si chiederà come formare il credente perché
la sua coscienza,la sua intelligenza e la sua libertà rispondano alle sfide
storiche. Cercherà di dar risposta all'interrogativo sull'incidenza della
fede nell'esistenza dell'uomo. Rifletterà in profondità sulla Chiesa, se-
gno e strumento di comunione tra gli uomini e con Dio.
L'annuncio del Vangelo è sempre e per tutti Buona Novella, rivela-
zione della vita nelle sue dimensioni più profonde e definitive. Tuttavia,
i cristiani di ogni epoca devono scoprire e rivelare in modo penetrante
e rinnovato come Gesù è la luce della coscienza, la via verso il senso,
la pienezza della vita. La rivelazione di GesÌr Cristo come destino e pro-
getto per l'uomo in una nuova fase storica configurerà il futuro della
pastorale. E difficile tentare di descriverlo, poiché la fede è un seme di
303

31.6 Page 306

▲back to top
potenzialità sconosciute. Lo Spirito suscita sempre novità impreviste e
ogni generazione porta con un proprio carico di creatività.
Si puo tuttavia, senza troppe pretese, segnalare alcune tendenze at-
tuali che stanno già segnando la direzione di marcia.
3. IL MONDO: NUOVO SCENARIO
DELLA PASTORALE GIOVANILE
Negli ultimi anni si sono fatte strada alcune espressioni: società mul-
tietnica, interrazzialq multireligiosa, pluriculturale; transnazionalità e in-
terdipendenza, comunità di popoli e cooperazione mondiale, cultura
universale e caduta dei sistemi chiusi; casa comune europea e mondo
come villaggio. Sotto il profilo più specifico si parla di teologia planeta-
ria, di ecumenismo, di educazione alla mondialità, di cultura della soli-
darietà.
Insieme al linguaggio concorrono i fatti. Ad Assisi si riuniscono i ca-
pi di tutte le religioni per una causa transnazionale: la pace, dicendo ba-
sta alla corsa agli armamenti. Il campionato mondiale incolla al televi-
sore, contemporaneamente, più della metà degli abitanti del mondo. Le
convocazioni giovanili del Papa (a Buenos Aires, a Santiago de Compo-
stela, a Czestochova) radunano gruppi provenienti da ogni latitudine.
Dal cielo un occhio spaziale riduce il mondo a un minuscolo oggetto.
Il satellite della comunicazione crea contemporaneità di informazione ren-
dendoci ovunque testimoni degli eventi. Il mondo si trasforma in una
piazza: luogo di incontro e <<meeting point»» dell,uomo dell,universo. E
in tutto questo non si tratta solo di nuovi orizzonti geografici per chi de-
sidera I'awentura, di semplici nuove informazioni su regioni lonta-
ne. Ci troviamo invece di fronte a uno scenario in cui eventi e personag-
gi acquistano nuove configurazioni, a un criterio diverso per giudicare
iniziative e progetti, etica e religione, politica ed economia.
Attualmente viviamo Ia mondialità all'interno degli eventi stessi: le
cose d'oggi accadono nel mondo, così come una volta succedevano nel
paese, nella città, nella nazione. Tutti le seguiamo, tutti Ie sentiamo.
Persone e nazioni, individui e collettività sono spontaneamente con-
siderati come parte di una grande unità, più interdipendenti che isolati.
II mondo appare come una sola comunità di nazioni o di popoli, il
cui nemico comune si chiama miseria, contaminazione, traffici mortali,
moderne epidemie, piir che frontiera o confini.
Nella coscienza lumana si avverte un cambiamento: dall,appartenen-
za esclusiva a un gruppo o nazione si passa alla convinzione di essere
304

31.7 Page 307

▲back to top
cittadino del mondo; dalla solidarietà con la comunità immediata si ar-
riva a sentirsi coinvolti nei problemi dell'intero pianeta.
Ciò origine a un nuovo criterio etico per giudicare iniziative e av-
venimenti: l'incidenza delle loro conseguenze positive o negative su un
piano più vasto, se non proprio universale.
Per questo yengono relativizzate le sicurezze e i piani nazionali. Si
condanna eticamente il profitto di un popolo, quando viene attuato sfrut-
tando altri o deteriorando beni comuni.
All'interno delle nazioni medesime nascono movimenti di opinione
il cui obiettivo è porre un freno agli interessi immediati dei propri con-
cittadini e richiamare l'attenzione sul destino dell'umanità.
Si torna a dar valore alle culture, comprese quelle primitive, come
poftatrici di valori. Si aprono spazi più ampi per l'incontro e la solida-
rietà. il trasferirsi da un estremo all'altro della terra diventa un fatto con-
sueto. Partono e tornano non solo lavoratori, tecnici e turisti, ma anche
volontari, predicatori, collaboratori a progetti di sanità e sviluppo.
La dimensione << mondo »> non è più, come lo era un tempo, al di fuo-
ri di noi. Ce la portiamo dentro, nella mente, nella coscienza, nella sen-
sibilità, e come impegno nelle relazioni, nella comprensione, nella colla-
borazione, nella solidarietà.
L'educazione e la pastorale del futuro dovranno formare il «buon
cittadino del mondo»>, il «fratello nella famiglia umana>».
II Vangelo proclama annuncio di cattolicità e convivenza universale,
ma le conseguenze non sono ancora state espresse totalmente. La Chiesa
è una comunione universale oltre lo spazio e il tempo, ma i suoi frutti
storici non sono ancora maturati.
La mondialità che ora viene spesso percepita in modo sentimentale,
passeggero o semplicista, diventerà contenuto reale della fede come oggi
lo è la famiglia; capace di penetrare la coscienza; avra h forza di model-
lare atteggiamenti e originare comportamenti, dai vertici dell'autorità fino
ai gruppi volontari.
Conchiarezza sarà decodificata la discriminazione che soggiace a un
certo linguaggio: bianco-nero, uomo-donna, cristiano-non cristiano, Est-
Ovest, Nord-Sud, sviluppati-sottosviluppati, nativo-emigrante. Alcune
parole diventeranno retaggi del passato: nazione, conquista, confini, di-
fesa, guerra giusta, onore nazionale, forze armate, aiuto internazionale,
decorazione militare.
Si abbandonerà I'abitudine di distinguere per privilegiare, il complesso
di superiorità corporativa, I'orgoglio di quanto si è conquistato, per ar-
rivare, nella mente e nella vita, a un rapporto di uguaglianza e condivi-
305

31.8 Page 308

▲back to top
sione, di famiglia umana. Se il mondo non diventa Ia nostra casa, Ia cat-
tolicità non avrà nessun significato.
Una tale trasformazione culturale è considerata un passaggio dall'u-
manesimo dell'io (egocentrico) all'umanesimo dell'altro (allocentrico):
un progetto educativo a partire dal prossimo, che comporta nuovi mo-
delli. Sono necessari linguaggi alternativi, anche non verbali: saper stare
insieme, condividere esperienze, aprirsi all'incontro e all'accoglienza, pen-
sare in orizzonti preferenzialmente globali (dal mondo al mio gruppo).
È sostanzialmente il contrario di quanto si fa ora.
Il prossimo sarà soggetto di sollecitudine non per la vicinanza fisica
o l'affinità nazionale, bensì per le sue urgenze. I più bisognosi, quelli
che si trovano in condizioni peggiori, saranno i primi destinatari delle
nostre attenzioni. Urge perciò abbattere Ie barriere psicologiche e culturali.
4. L'ELEMENTO CHIAVE SARA LA COMUNICAZIONE
La società in cui viviamo è definita, non a torto, una società della
comunicazione.
Oggi si moltiplicano i telefoni amici: il telefono bianco, verde o ros-
so, o il (< soccorso immediato >», il « chiama quando vuoi >», il telefono « uti-
le>». Le radio, in particolare private, stabiliscono quotidianamente un dia-
Iogo personale con e tra gli ascoltatori, su questioni di vita privata, se
non quasi di coscienza.
Dalla propria abitazione, usando il computer, si compra, si vende,
si deposita denaro, si consulta, e si pianifica. Ci sono imprese che riuni-
scono i propri consiglieri tecnici solo una volta tanto: li consultano per
modem.
È ormai comune la concentrazione delle informazioni, le reti, il «nar-
rowcasting», la possibilita da parte di persone o gruppi di comunicare
attraverso ilmezzo radiofonico o televisivo. Un pericoloso strumento di
dominio sulla persona si sta rivelando nella sua migliore potenzialità di
comunicatore. Una mini-stazione può mettere in relazione persone di una
stessa città o zona.
I telefax sono ormai milioni. Possono ricevere e trasmettere giorno
e notte. Si costruiscono edifici intelligenti, dotati di tutti i mezzi per rice-
vere messaggi e dare risposte, se già esistono, senza Ia presenza continua
di persone: è nato il paese elettronico, che vive e comunica piÌr nello « spa-
zio aereo della comunicazione che nel luogo fisico di incontro. Qualcu-
no ipotizza e progetta già la pastorale giovanile del 2005, immaginando
il futuro di allora nel seguente modo.
306

31.9 Page 309

▲back to top
I giovani che vogliono fare un cammino umano e di fede hanno a
loro disposizione un luogo d'incontro che equivale a un centro ope-
rativo, a una stazione trasmittente, a un nodo di comunicazioni e di ser-
vizi: il centro di un vasto sistema di interrelazioni e di circolazione di mes-
saggi.
In esso funzionano alcuni telefoni, il maggior numero possibile, che
ricevono chiamate urgenti, domande di aiuto, richieste di consigli da parte
di giovani che si trovano in situazioni diverse: emigranti, in cerca di la-
voro, sulla via della droga, desiderosi di dialogare su questioni religiose,
con problemi scolastici o di rapporti familiari, assetati di spiritualità, con
la voglia di impegnarsi nel proprio ambiente o in qualche altra parte del
mondo.
Ai telefoni lavorano giovani e adulti impegnati nella soluzione dei pro-
blemi: formano équipes di dialogo a distanza, preparano incontri e atti-
vità per chi Ii richiede.
Una memoria organizza i dati relativi alle disponibilità e i punti di
appoggio per i diversi servizi ufficiali o privati, professionali o familiari;
raccoglie nomi, risultati parziali o totali di ognuna delle soluzioni tenta-
te, nuove vie da percorrere, persone che possono essere coinvolte in ognu-
na delle varie fasi e operazioni, nuovi fronti o gruppi da contattare.
ll centro dispone di una videoteca ben fornita di temi umani e reli-
giosi. Gruppi di giovani la usano per «educare ed evangelizzare»», nelle
sedi più diverse, secondo possibilità e domande: scuole, famiglie, sedi
di quartieri, gruppi giovanili. Serve anche per preparare I'Eucaristia e
talvolta per introdurre un'omelia. Il televisore, su grapde schermo, en-
tra in Chiesa, così come la luce elettrica, il riscaldamento o gli impianti
per il suono.
Un altro gruppo di giovani si dedica allo spettacolo: porta in ambienti
giovanili e popolari rappresentazioni che intrattengono, divertono e fanno
riflettere. Si diffondono sempre più le arti espressive per comunicare' av-
verandosi quanto nel 1988 si era previsto: in un certo momento del pros-
simo decennio l'arte sostituirà lo sport come attività dominante nei mo-
menti di riposo della società. Passeremo dal calcio al balletto. Ci sarà
una lotta feroce fiaarte e sport per l'occupazione del tempo libero (cf
J. Naisbitt - P. Aburdene, Megatrends 2000, Rizzoli 1990' pag. 86).
Si sa ormai anche che quadri, esposizioni di oggetti i più diversi, col-
lezioni, musei, pinacoteche non solo producono già ora un giro di milio-
ni, ma comunicano anche messaggi, attraggono moltitudini, compresi
i giovani; non appartenendo più alla sfera aristocratica, sono aperti al
consumo delle masse. Il nuovo centro giovanile esporrà in modo ordina-
rio e straordinario: serie visive sull'AIDS, le missioni, la povertà, latra-
307

31.10 Page 310

▲back to top
duzione religiosa, sui documenti di vita cristiana e la storia di Gesù. Ogni
messaggio avrà una traduzione visuale.
Il Centro Giovanile funziona così come una emittente, pur continuan-
do a essere un luogo in cui cresce una comunità e si accolgono i giovani,
anzi, proprio per [a sua nuoya impostazione costruisce dialogo e comu-
nione sul posto.
Nell'epoca del villaggio globale la comunicazione equivale a ciò che
in passato era la predica, il pulpito, il sermone domenicale. Ma la parola
si è arricchita dell'immagine e dello spettacolo che fanno passare con-
vinzioni e criteri attraverso gli occhi e la sensibilità.
La comunicazione nella pastorale deve fare ancora molta strada. Oggi
viene considerata ancora come un'aggiunta alle forme tradizionali, ma
quando Ia realtà locale diventerà sostegno di un vasto sistema di comu-
nicazione, allora un altro modello di pastorale vedrà Ia vita: il modello
del XXI secolo.
5. LO STILE SI RIFÀ
AL MODELLO DI «SOCIETÀ TRASPARENTE»
In un gruppo di studenti si commentavano i film di <<clamore>> che
ciascuno aveva visto nell'ultimo tempo. Ce n'era per tutti i gusti e senza
un benché minimo ritegno. Sulla base di quanto si era visto, i ragazzi
discutevano di sesso, erotismo e omosessualità; di aborto e divorzio, di
servizi segreti e società clandestine; di cattolicesimo, di religiosità esoti-
ca e di riti satanici; della comunità europea e del mondo arabo; di Bush,
Gorbachov e Giovanni Paolo II; di Gesù Cristo, di Budda e di Maomet-
to. Non ci fu personaggio di cui non si parlasse categoria sociale che
non fosse criticata, difesa o legittimata, opinione o dogma che non
venisse passato in esame. Non era pensabile rifarsi in quel momento a
motivi riservati, a segreti di Stato, e tantomeno all'adesione dovuta a un
sistema di pensiero. E il tutto avveniva senza acrimonia, come chi eserci-
ta un diritto riconosciuto.
La comunicazione sociale ha messo in crisi l'interpretazione unica della
realtà, aprendo Ia porta a un moltiplicarsi di punti di vista e di opinioni.
Per questo hanno parola e si esprimono in pubblico minoranze di ogni
genere e «atipici» prima non autorizzati a mostrarsi: eterodossi, omo-
sessuali, subculture, dialetti. E con la parola ottengono di fatto la pro-
pria legittimità sociale.
Un filosofo sostiene che perderà valore il principio della realtà obiet-
tiva e farà strada un altro, quello della razionalità soggettiva multipla.
308

32 Pages 311-320

▲back to top

32.1 Page 311

▲back to top
Si puo domandare, opinare e formarsi una propria convinzione su tutto,
non essendoci una istanza capace di imporre una visione obbligatoria.
Quasi nulla si può nascondere, anche se si trattasse di segreti di Sta-
to. È di solito considerato infantile appellarsi a motivi di cui non si può
parlare, a ragioni private o a segreti che solo ad alcuni è dato conoscere.
All'angolo vi sono certamente i rischi: la manipolazione in ordine al con-
senso, il disorientamento esistenziale, le ambiguità intenzionali. Ma ciò
non sconfessa la tendenza e ancor pitr la sensibilità odierna.
Questo fatto che (( tutto » venga alla luce per volontà o per forza, che
di tutto si possa parlare, che tutto sia sottoposto al vaglio del giudizio
di ciascuno e si ascoltino motivi e interpretazioni di tutti, questo porterà
con alcune conseguenze nella pastorale.
La prima è certamente la necessità di trasparenza e di autenticità del-
le istituzioni, personalità e comunità ecclesiali. Il vero annuncio sarà la
loro testimonianza. I fatti diventeranno i veri messaggi. Più che la pro-
posta di una concezione <( vera» del mondo di fronte ad altre considera-
te false, influiranno le idee e Ie azioni capaci di operare trasformazioni
per accrescere la dignità della persona umana.
La Chiesa sarà posta tra I'incudine e il martello per quanto si riferise
alla testimoniarza, non solo dello spirito religioso, ma soprattutto della
sua chiara posizione in favore dell'uomo. La politica, intesa come trat-
tati segreti, accordi di convenienza, allineamenti per calcolo o per moti-
vi d'opportunità, non solo è moralmente screditata, ma possiede pure
minori probabilità di successo: la glasnost è diventata una metodologia
con cui fare seriamente i conti.
La seconda conseguenza sta nel dialogo integrale comemezzo di ma-
turazione. Nel tentativo di formarsi una visione del mondo, i giovani
ascoltano, reagiscono, provano, interiorizzano, sperimentano. È scom-
parsa in loro I'idea stessa di una visione, o codice obbligatorio a priori.
Si sentono come in un supermercato, dove possono informarsi e prende-
re quello che gli conviene o che vale.
L'intuizione o parola che sia capace di far Iuce o di generare speran-
za sarà ascoltata. Il tempo delle verità apparenti o preconfezionate è su-
perato.
Il pastore del futuro sarà colui che saprà guidare, tra la molteplicità
dei messaggi e delle realtà, verso la scelta di determinati valori fonda-
mentali, come criteri-guida per la propria esistenza.
Sul « mercato » delle proposte la fede dovrà vincere per la sua carica
di senso, per la sua capacità di promuovere la dignità della persona e
le relazioni tra i popoli, per Ie sue innumerevoli potenzialità di « salvez-
za>>.N4a, è ormai ovvio, essa si dovrà affermare attraverso le prove del-
309

32.2 Page 312

▲back to top
la prassi, del vissuto, poiché non si potrà basare più sull'autorità o su
rivelazioni, e tantomeno su minacce di catastrofi collettive o personali.
La razionalità si impone. È una razionalità nuova, diversa da quella
dell'Illuminismo, una razionalità in cui ha legittimità l'esperienza reli-
giosa, che intravede il mistero dell'esistenza ed è capace di comunicarne
il senso e la speranza. Gli occhi si volgeranno a Gesù Cristo come alla
sapienza in grado di aprire i sigilli della nostra storia personale e colletti-
va, per riempirla di significato e di vita.
6. L'ARCHETIPO DELLA CULTURA: UOMO E DONNA
La Chiesa ha sempre contato più donne che uomini nelle sue fila e
associazioni. Non sarebbe perciò una novità seleragazze fossero in nu-
mero maggrore o si dimostrassero più attive nella pastorale giovanile. Tut-
tavia, fino a oggi il pensiero e Ie strutture, secolari ed ecclesiali, hanno
una presenza e incidenza dell'archetipo maschile incomparabilmente mag-
giore.
La relazione uomo-donna è oggi più complessa e profonda che nel
passato. Non si riferisce alla compresenza, alla divisione dei compiti, al-
l'equiparazione di onori e oneri. Si collega invece con il movimento di
valoizzazione della donna, venuto alla luce in questo secolo, i cui ri-
sultati devono ancora maturare ed essere assunti dalla cultura e dall'e-
ducazione. In verità le manifestazioni del movimento appaiono settoria-
li, nella realtà però fanno appello a una nuova fase complessiva da svi-
luppare.
Superate, almeno in teoria, la discriminazione e separazione nel €mpo
dell'istruzione e in altri settori, bisogna realizzare una reciprocità «ar-
ricchente» che possa dar luogo a una cultura di tipo nuovo, se si vuol
credere a Berdiaev che << l'eterno femminino avrà un gran ruolo nella storia
futura»>.
La rilevanza del fenomeno è awertita dai sociologi. «Nei primi de-
cenni del prossimo secolo, noi e i nostri figli ci guarderemo indietro, a
quest'ultima parte del XX secolo, e ci sembrerà strano il tempo in cui
Ie donne erano escluse dai gradi piÌr alti delle imprese e dalla Ieadership
politica, così come ci sembrano oggi stranissimi i tempi in cui alle donne
non era permesso votare» (J. Naisbitt - P. Aburdene, Megatrends 2000,
Rizzoli 1990, pag. 261).
La realtà non lascia spazio a dubbi. Nella parte più sviluppata del
mondo, dal 1972 a oggi la percentuale di donne-medico si è duplicata,
quella delle donne-awocato e architetto si è quintuplicata.
310

32.3 Page 313

▲back to top
Ma a volte quello che più impressiona è I'ingresso della donna, fino
quasi a equilibrare il numero di uomini, nelle industrie di avanguardia,
soprattutto nel mondo dell'informazione, non solo come lavoratrici di-
pendenti, ma anche come imprenditori, dirigenti e tecnici. « Ovunque è
giunta la rivoluzione informatica le donne si sono precipitate ai posti di
lavoro e di responsabilità» (ib., pae.260).
La Chiesa non è stata da meno. Giovanni XXIII vide nella questione
femminile uno dei segni dei tempi. Da allora si sono seguiti senza inter-
ruzione tentativi di riflessione e di iniziative pratiche: la discussione sul
sacerdozio della donna, la Lettera Apostolica « Mulieris dignitatem >», le
associazioni cristiane per la promozione della donna, uno spazio mag-
giore riservato alle donne nelle strutture ecclesiali, la necessità della loro
presenza nei seminari, l'emergere di alcune figure carismatiche, una po-
sizione di maggior rilievo nella dinamica ecclesiale (cf ChL 49-52).
Quando le conseguenze di queste linee d'azione si faranno sentire,
i centri di pastorale giovanile risponderano a un archetipo diverso e più
completo di quello che offrono attualmente Ia concezione di base, Ia teo-
logia e la prassi, ancora «segnate»» dal mondo maschile.
Del resto non ci si può nascondere che ciò che sta in gioco è il model-
lo di persona, la concezione della vita, il tipo di cultura e di organizza-
zione sociale, la relazione con le cose e i valori, I'awicinamento al mon-
do e al mistero, i modelli d'azione.
Esplicitare al riguardo la prassi senza esporsi a fraintendimenti è im-
possibile, perché non sono chiari gli attributi esclusivi dell'uno o dell'al-
tro sesso. E le idealizzazioni fanno oggi sorridere. Chi vede nella donna
«la più ricca riserva di umanità», chi considera il mondo femminile stret-
tamente legato alla protezione della vita e alla percezione dellabellezza,
alla capacità di dono illimitata e al senso della persona, alla ftnezza di
sensibilita e all'intuizione dello spirituale, alla praticità quotidiana e im-
mediata, coglie caratteristiche vere, ma certamente parziali. Eppure og-
gi si sente I'esigenza di ricuperare determinate sensibilità e valori. << Nelle
epoche in cui le idee vitali si esauriscono e si richiede i[ passaggio a nuove
concezioni ideali, le donne, sebbene non unicamente ma certo con maggior
prontezza, rnanifestano intolleranza per i limiti tradizionali della vita, e
sentono l'impulso ad aprire una nuova strada verso il futuro » (Soloviev).
Ma quando entrambe Ie correnti di sensibilità, maschile e femminile,
confluiranno, si delineerà un nuovo profilo nella cultura e nella mentali-
tà, nelle strutture e nella soluzione dei problemi. Allora si potrà parlare
di civiltà dell'amore perché il modello generale, e non solo il matrimo-
nio e la famiglia, sarà quello dell'incontro delle due possibilità dell'esi-
Stenza umana in una << sola carne >>, in una espressione culturale integrata.
3ll

32.4 Page 314

▲back to top
7. NUOVA COSTELLAZIONE DI VALORI
La costellazione di valori che sta emergendo è connessa strettamente
a quanto considerato: alla mondialità, alla comunicazione, alla traspa-
renza, alla valorizzazione del femminile.
La crisi vissuta dal mondo fino alla fine della guerra fredda si basava
sull'equilibrio della forza, sul principio della discussione, sulla contrap-
posizione di blocchi e ideologie, sull'accusa all'altro e sull'esaltazione della
propria legittimità.
La fase che sta seguendo sembra essere il superamento di questa po-
laizzazione. L'attenzione dei giovani si dirige perciò con preferenza verso
valori emergenti.
In primo luogo abbiamo la pace. La guerra del Golfo è stata esem-
plare: invadere e vincere non prestigio. I capi di tutte Ie religioni si
riuniscono insieme per proclamare con vigore che la guerra non è una
soluzione, ma solo I'inizio dei problemi.
Il senso comune consiglia ora di sostenere Io sforzo della pace con
Ia stessa costanza, mezzi e tempi con cui ieri si sosteneva una guerra. Se
I'effetto tarda ad arrivare, non c'è da desistere fino alla vittoria: la guer-
ra sarebbe comunque una rovina per I'umanità. La linea della pazienza
e del negoziato trova più consensi che la soluzione delle armi.
Tutto questo costituisce un segnale. E tuttavia la pace cui si aspira
è qualcosa di più. L'esclusione della guerra è soltanto una condizione.
La pace si riferisce a ben di più: alla cultura di non aggredire o elimina-
re, alla religione cui spetta rispetto e tolleranza, all'ordine sociale in cui
le differenze sono accolte nel dialogo. Si presenta in definitiva come pos-
sibilità di agire in condizioni ottimali per la pienezza della vita. È una
concezione globale dell'esistenza più che una felice situazione passeggera.
Per questo include Ia giustizia, I'altro valore chiave del futuro. La
sua concezione e pratica appaiono attualmente esauste e insufficienti. Oggi
la giustizia non si riferisce soltanto alla relazione tra gli individui e i gruppi
di una nazione, ma si applica anche alle relazioni tra i popoli.
La giustizia locale è considerata troppo angusta e interessata, poco
imparziale. Nascono i tribunali mondiali, indipendenti dalle nazioni e
ideologie: il Tribunale Russel, laLega per i Diritti Umani, il Consiglio
di Sicurezza dell'ONU. E ci sono movimenti e personaggi che criticano
il proprio Paese per gli effetti negativi che produce sugli altri.
Inoltre, sono ben noti i limiti della giustizia formale, che riesce a ri-
solvere qualche conflitto, ma la cui esasperazione causa ogni genere di
oppressione. Le norme della giustizia del resto sono spesso dettate da
chi detiene il potere, procurandogli vantaggi, mentre lascia senza difesa
312

32.5 Page 315

▲back to top
i pitr deboli. Nasce I'obiezione di coscienza che prende corpo nella di-
sobbedienza alla legge, nel rifiuto di pagare certe tasse, di cooperare a
determinati piani. L'ultimo appello non sta nella legge formulata, bensì
nella coscienza. E questo è un segno dello spazio di libertà che la perso-
na si è conquistato.
Giustizia pertanto significa oggi quell'esigenza reale che si chiama svi-
luppo per tutti i popoli e rispetto per ogni persona.
AI futuro appartiene ancora non solo l'ideale, ma anche larealizza'
zione minima della giustizia internazionale. Oggi si affaccia appena alla
coscienza: richiederà una lunga educazione. Finora si rileva una enorme
superficialità nell'analisi delle situazioni di miseria e di oppressione. Si
awerte molta curiosità leggera per il cosiddetto terzo mondo; vige trop-
pa declamazione interessata, molta rimozione del problema o delega ad
altri. Ma appunto in questo tipo di giustizia sta la difficoltà della testi-
monianza della fede cristiana nell'era planetaria. La pace domestica non
basta più, come non è sufficiente una pace comunque. Occorrono nuove
visioni e rinnovato impegno.
Insieme alla giustizia e alla pace c'è il problema dell'ambiente. Dopo
la riduzione della minaccia nucleare, l'inquinamento si configura come
il pericolo numero uno. I movimenti che operano in favore dell'ambien-
te si fanno portatori di tale istanza. La politica si veste in ogni parte di
verde. Sono in gioco le condizioni umane di esistenza di un ambiente,
ma pure le relazioni tra popoli.
La maggior parte dell'inquinamento in realtà è prodotto dal mondo
industriale, che dispone del più alto livello di benessere. Già si è tentato
di usare come << discarica i Paesi poveri, disposti ad assorbire rifiuti tos-
sici per denaro. Greenpeace ha combattuto molte battaglie e non poche
sono state vinte.
La natura comincia di nuovo a essere oggetto di contemplazione e
linguaggio cifrato di una presenza, non più solo cava di materie prime
per beni di consumo: è un capitale comune destinato a tutti, che non bi-
sogna dilapidare o schiavizzare. La creazione uscita dalle mani di Dio,
quella che cantano i salmi, acquisisce nuovo senso e rilancio.
Ma al centro di tutti questi valori sta la solidarietà, ossia il pensare
e I'agire alla ricerca del bene simultaneo e proporzionato di tutti.
La liberta, come possibilità di procacciarsi il proprio benessere, non
funziona più; così la distribuzione forzata dei beni. Occorre percorrere
la via dell'educazione della coscienza. I fatti dimostrano che non si ot-
tiene nulla nella realizzazione dei valori, se non si procede insieme.
La solidarietà non è la.buona azione quotidiana, ma il modo profon-
do di vivere la relazione tra persone, popoli e continenti. Il nostro pro-
313

32.6 Page 316

▲back to top
getto di vita si intreccia con quello di chi oggi condivide con noi lo
spazio e il tempo, ma anche con quello di quanti esistono nel mondo in-
tero ed esisteranno nel futuro.
Perciò il punto chiave della nuova evatgelizzazione e della pastorale
giovanile è formare il «cristiano solidale». Guardando al passato si ha
l'impressione di esserci preoccupati assai di praticare l'etica privata e so-
lo di predicare la dottrina sociale della Chiesa. La nuova sensibilità nel
tema sociale la pone ormai urgentemente al centro della prassi della cari-
tà cristiana per costruire la cultura della solidarietà e Ia civiltà dell'amore.
- « Non sappiamo come sarà trasformato I'Universo afferma il Con-
- cilio sappiamo tuttavia, dalla rivelazione, che Dio prepara una nuova
casa e una terra nuova, dove abita la giustizia e la cui felicità saziera ab-
bondantemente ogni desiderio di pace che nasce dal cuore degli uomini »
(GS 3e).
Nel tempo presente la pastorale giovanile ha un compito grande: pre-
parare i giovani a porsi e ad agire nella storia con il vigore della speranza
che viene dalla Risurrezione di Gesù. Questo è il motivo per non arren-
dersi mai, convinti che il traguardo finale che ci attende si trova al di
dentro, ma anche sempre al di di tutte le tappe dell'esistenza terrena.
314

32.7 Page 317

▲back to top
INDICE
pag
Presentozione
5
Parte prima
LA CHIESA DI FRONTE
ALLA QUESTIONE GIOVANILE: QUALE PASTORALE
Premessa
9
Capitolo I - La questione giovanile: tappe di una evoluzione e sfide
poste all'azione pastorale .
l. Prima della questione giovanile .
1l
ll
2. Il fenomeno giovanile degli anni '60 .
l3
3. ll'77: novità e continuazione .
15
4. Verso gli anni '90 .
l6
4.1. Categorie interpretotive e nuovi bisogni .
16
4.2. America Lstino .
t9
4.3. Africa .
20
4.4. Asiq
20
5. Sfide attuali alla pastorale .
2t
Capitolo II - La Chiesa assume la questione giovanile '
26
1. La riflessione teologico-pastorale .
28
2. La prassi della Chiesa nei confronti dei giovani .
3l
3. Verio una visione organica della pastorale giovanile: i progetti '
33
Capitolo III - Pastorale: punti fermi e prospettive .
38
l. Riferimenti fondamentali per una impostazione della pastorale '
38
l.l. Ls prima porola chiove: Gesù Cristo .
39
1.2. La seconda porola chiove: la Chiesu .
40
1.3. La terza parola chiove: solvezza .
4l
1.4. Ls quarta parolo chiave: l'uomo .
43
2. Criteri ispiratori di pastorale giovanile oggi '
44
2.1. L'incarnazione: modello dell'agire postorale .
44
2.2. La Chiesa: socramento di salvezzo -
46
2.3. Cultura: reqltà da evongelizzare .
47
3. Prospettive pastorali conseguenti .
50
315

32.8 Page 318

▲back to top
3.1 . Uno presenzo solidqle e missionario .
50
3.2. Approfondire i nodi dell'esperienzs dello fede
53
Parte seconda
UN'ESPERIENZA ORIGINALE ED EMBLEMATICA
DI PASTORALE GIOYANILE
A SERVIZIO DELLA CHIESA
Capitolo I - L'esperienza educativa pastorale del Santo dei giovani
59
l. Una vocazione .
60
2. Un progetto operativo con i giovani al centro .
62
3. Comprensione profonda del giovane .
66
4. Un criterio e un programma: aiutare ad affrontare la vita .
69
5. Un « luogo » per i giovani .
72
Capitolo II - Un sistema educativo che si fa ispiratore di progetto pa-
storale
75
l. Un'ispirazione unitaria
77
2. ll criterio preventivo .
80
3. Obiettivi e contenuti: l'uomo e il cristiano, il cittadino e il credente . 83
4. Il principio del metodo: I'amorevolezza .
88
5. Interventi coerenti e convergenti .
91
6. Le « opere » o i programmi educativi .
94
Capitolo III - Un'istanza decisiva: la spiritualità della carità educativa 97
l. L'esperienza fondamentale: il Sistema Preventivo .
99
2. La caritìl. centro della vita spirituale .
100
3. La carità pastorale .
l0l
4. La carità pedagogica: un amore che educa .
102
5. Gli atteggiamenti della carità pedagogica .
103
6. Dagli atteggiamenti alla pratica di vita .
106
Capitolo IY - Una scelta determinante: la gioventù della strada e del-
le piazze da aprire al Vangelo .
ll0
l. I giovani lontani oggi .
ll0
2. Dalla parte dei <<lontani» .
tt2
3. L'atteggiamento evangelico: essere «compagnia» .
tt2
3.1 . Andore << verso »» i lontani .
ll3
3.2. Invitore e accogliere .
114
3.3. Comminore insieme .
tt4
4. Un compito: portatori dipienezza di vita .
ll5
4.1. Espertenzo di fede ed esperienzo giovonile .
115
4.2. Il dono <<dentro»» di noi .
ll6
4.3. L'incontro con Cristo .
117
316

32.9 Page 319

▲back to top
Parte terza
LA COMUNMÀ EDUCATIVA PASTORALE
ANIMA E PROGETTA
Capitolo I - La comunita educativa pastorale .
120
l. Le motivazioni che sollecitano a tale scelta .
t2r
2. Le esigenze attuali di una comunità formativa .
123
3. lstanze che rendono dinamica la comunità .
t26
4. La comunità educativa si situa nel suo contesto .
t29
5. La missione della comunità educativa pastorale .
130
Capitolo II - La comunità educativa pastorale valorizza il territorio
e in esso si fa proposta .
134
l. Il territorio ha un riferimento centrale: I'uomo .
134
2. I dinamismi .
137
3. Valori emergenti dall'attenzione al territorio .
t4l
4. Come la comunità si fa proposta nel territorio .
t43
4.1. Educozione <<propositivo»> .
r46
4.2. Evangeli«uzione << popolare »» .
r47
4.3. Comunicazione <<efJicoce»» .
149
Capitolo III - La comunità opera secondo un progetto educativo pa-
storale
l5l
l. La configurazione di un progetto .
152
l.l. Il significato di Progetto .
152
1.2. Le motivozioni di fondo per progettare oggi .
155
1.3. II progetto nei suoi contenuti .
t57
1.4. Dinsmico di elaborazione di un progetto .
159
2. Le scelte di fondo per I'elaborazione di un progetto educativo-pa-
storale
161
2.1. Lo finalità: I'evongelizzozione .
l6l
2.2. L'incqrnozione culturale
162
2.3. Lo scelta educottvo .
r64
2.4. Il compo di azione da privilegtare .
165
2.5. I criteri orientotivi dell'azione .
166
Capitolo IY - L'animazione pastorale della comunità '
168
l. La scelta del metodo dell'animazione .
r69
2. Le ragioni dell'animazione nella pastorale giovanile
172
3. Gli ambiti dell'animazione pastorale .
t74
3.1. La presenzs
174
3.2. Processo educotivo .
175
3.3. Comunità educativs
177
4. L'arimazione della comunità per la pastorale .
179
5. Gli animatori pastorali .
r82
317

32.10 Page 320

▲back to top
Capitolo Y - II laico nella comunità educativa pastorale
185
l. Una prassi dal volto nuovo per il laicato .
r86
2. L'impostazione corretta della questione .
187
2.1. Teologia del lotcato .
188
2.2. I ministeri .
188
2.3. Vito cristisna .
189
2.4. Sale e luce .
190
2.5. Nuovo rifertmento .
l9l
3. Un banco di prova: I'educazione .
192
4. Un laboratorio per la prassi ecclesiale: la comunità educativa .
193
5. Formazione mediante corresponsabilità .
195
Conclusione.
196
Parte quaÉa
LE DIMENSIONI FONDAMENTALI
DEL PROGETTO EDUCATIYO
Capitolo I - Educare oggi: missione impossibile? .
201
l. Dio educa l'uomo.
20r
2. II centro di attenzione nel compito educativo: la persona
204
3. La cultura: energia, ambiente, materia prima dell'educazione
207
4. I valori: scoperta ed educazione.
209
4.1. Enunciozione e gerarchio .
209
4.2. Esperienzo.
211
4.3. Comprensione
211
4.4. Esercizio
2t2
4.5. Motivazione
212
5. Prospettive attuali dell'educazione .
213
6. Condizioni educative indispensabili .
2ts
Capitolo ll - Evangeluzare: compito urgente per questo tempo .
2t8
l. Tempo di evangelizzazione .
218
. 2. Cosa comporta un tempo di evangelizzazione .
220
3. Qual è il significato di evangelizzare .
222
4. L'evangelizzazione è una strada privilegiata .
224
5. Evangelizzatori .
227
Capitolo III - Evangelizzare educando: una sintesi .
230
l. Un aspetto o un progetto globale? .
230
2. Un obiettivo chiaro per I'evangelizzazione .
23t
3. Un criterio: fare esperienza della fede .
234
4. Una tensione feconda: libertà e proposta .
236
5. Conclusione: come il tesoro nascosto .
238
318

33 Pages 321-330

▲back to top

33.1 Page 321

▲back to top
Capitolo IV - La dimensione associativa: i gruppi giovanili per aiuta-
re a crescere .
239
l.Unosguardoallasituazione. . : . : : .
239
l.l. Ls domondo giovanile .
239
1.2. L'associuzionismo nella Chieso .
241
1.3. Gruppi e associozionismo in prospettiva Jormativo '
242
2. Il gruppo come elemento qualificante della proposta associativa
244
2.1. Il gruppo: soggetto di formazione .
2M
2.2. Il metodo formqtivo di gruppo .
246
2.3. L'animotore, un adulto con funzione specifico .
251
3. I passi di un processo .
2s4
Capitolo Y - La cura delle vocazioni: espressione di una pastorale gio-
vanile autentica .
257
l. Una pastorale giovanile per la promozione vocazionale .
259
1.1 . Il campo
260
1.2. Le mete .
262
2.Una pastorale «della comunità».
265
3. Una pastorale giovanile di cammino e orientamento .
267
3.1 .Fasiopassaggi
267
3.2. Tre momenti .
268
3.3. Obiettivi
270
4. Una pastorale «dell'esperienza di fede» .
271
4.1. Indicszioni generali .
272
4.2. Problemi concreti
273
4.3. Esperienze privilegiote .
274
5. Una pastorale «umile e propositiva» .
275
Capitolo VI - Pastorale vocazionale: un itinerario educativo
277
l. Vocazione e progetto di vita .
277
2. Giovani e domanda vocezionale .
280
3. Il profilo delle nuove iniziative .
282
3.1. Annunciare
283
3.2. Esperienze vulide
284
3.3. Sviluppo completo .
284
3.4. Obiettivi porticolori
286
3.5. Proposto esplicita
287
Capitolo YII - L'animazione missionaria in un progetto di pastorale
giovanile .
289
l. Convergere sul progetto .
290
2. Prospettare il cammino di fede .
29t
3. Puntare sulla crescita interiore .
292
319

33.2 Page 322

▲back to top
4. L' arumazone missionaria .
293
5. Valutazione dell'animazione missionaria .
29'1
Conclusione - Una pastorale aperta al futuro .
300
l. Utopia e anti-utopia .
300
2. Il Signore della vita resta la chiave interpretativa determinante
302
3. Il mondo: nuovo scenario della pastorale giovanile .
304
4. L'elemento chiave sarà la comunicazione .
306
5. Lo stile si rifà al modello di «società trasparente».
308
6. L'archetipo della cultura: uomo e donna .
310
7. Nuova costellazione di valori .
312
320