1951_RicaldoneP_Don_Bosco_educatore_Vol1


1951_RicaldoneP_Don_Bosco_educatore_Vol1

1 Pages 1-10

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1.1 Page 1

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Sac. PIETRO RI0.A..LDtONE
DON BOSCO
ED.UCATORE
VoLul\\rn I.
I
LIBRERIA DOTTRINA CRISTIANA
COLLE DON BOSCO (ASTI)

1.2 Page 2

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/
Per la Società Sa,lesiana
Torino, l ottobre 1.951
Sac. Andrea Gennaro
Visto: nulla osta
'rorino, 22 ottobre 1951
Can. Luigi Carnino Rev.
IMPRIMATUR
C. L. Coccolo, V. G.
Proprietà riservata alla Libreria Dottrina Cristialila
liitituto Salesiano Arti Grafiche - Colle Don Bosco - ..&.sti 1951

1.3 Page 3

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FORMAZIONE SALESIANA
I Serie, 12
.;:, .
''

1.4 Page 4

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Formazione Salesiana
Vol. 1.
SERI E
(Sac. P. Ricaldone )
I Voti: Introduzione - Povertà
Vol. Il.
I Voti: Castità - Ubbidfonza
Vol. III.
Vol. IV.
Vol. V.
Le Virtù: l~oduzione - La Fede
•,.
Le Virtù: La Speranza
Le Virtù: La Carità
* Vol. VI.
* Vol. VII .
.. V-ol. VIII.
Le Virtù Cardinali
L e Vir 1ù: t~Umiltà
La Pietà: Vita di Pietà
L'Eucaristia - Il Sacro Cuore
Vol. IX La Pietà: Maria Ausiliatrice - Il Papa
.. Vol. X . Il Rendiconto - La Visita Canonica
Vol. Xl.
Oratorio Festivo,
Catechismo, Formazione Religiosa
Voi. XII - XHJ. Don Bosco Educatore
Vol. I.
Voi. Il.
Vol. III.
11 SERI E
(Sac. E . Cerì a )
Don Bosco con Dio
La vita religiosa
Profili . dei Capitolari Salesiani .
Di pro ssima P'.tbbli cazion e .

1.5 Page 5

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PREFAZIONE
Da tempo mi sono state rivolte premurose istan-
ze, perchè scrivessi una Circolare su Don Bosco
Educatore.
Ho accolto con gioia le filiali insistenze, e mi
proposi di presentare il pensiero, la pratica, .le
tradizioni del sistema educativo del nostro gran-
de Padre, con semplicità e chiarezza, e con l'a-
nimo sgombro da ogni altra preoccupazione, che
non fosse quella d"inquadrare ordinatamente il Vl?-
ro tesoro di sapienza educativa lasciatoci in ere-
dità da San Giov.anni Bosco.
Devo però confessare che, a misura che· pro-
gredivo nel dolcissimo lavoro, se .da una parie mi
convincevo sempr.e più della sua importanza, pra-
ticità e necessitià, dall'altra riconoscevo, quasi con
sgomento, le non comuni difficoltà di una tratta-
zione, la quale oggi più che mai interessa e preoc-
cupa, oltre che noi figli di Don Bosco, e tutti gli
studiosi di materie pedagogiche, anche gli statisti
e gli uomini sui quali pesa la responsabilità di pla-
V
a• (I)

1.6 Page 6

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smare, mediante un risanamento educativo, le nuo-
ve generazioni.
Sarebbe infatti di scarso giovamento formar-
le nelle lettere, nelle arti e nel progresso materia-
le, se poi venisse comecchessia é!, mancare il loro
avviamento alla virtù, alla moralità e a una ben
(ntesa e ben vissuta libertà: qualsiasi altro pro-
gresso infatti, oltre ohe essere privo di ba:~e, con-
tribuirebbe anzi a condurre irreparabilmente alla
rovina uomini, famiglie e popoli.
A rinfrancarmi nella non facile impresa, 1>CrvÌ
un'osservazione fattami da alcuni, e cioè che so-
no ormai uno dei pochi che ebbero la sorte di co-
noscere e di avvicinare il nostro santo Fondufore,
e di tenere, per lunghi anni, soave domestichezzR.
con i suoi primi Successori: Don Rua, Don Al-
bera ,e Don Rinaldi.
Dalle conversazioni di questi nostri Padri sgor-
gava perermemente, con altri insegnamenti relati-
vi al patrimonio spirituale .e religio-so, anche il
genuino pensiero pedagogico pi San Giovanni Bo-
sco, senza la cui fedele e perenne attuazione non
sarebbe possibile a noi Salesian'i perpetuare la
missione cristianamente educatrice del Santo.
,A troncare ogni indugio venne la Beatifi,cdzio-
ne di Domenico Savio.
Fu detto che questo avv,enimento, del tutto
straordinario ~ senza riscontro nella storia, è sia-
VI

1.7 Page 7

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to il celeste collaudo del sistema educativo di Don
Bosco: ed è vero.
L'angelico Alunno dell'Oratorio, il quale nel-
l'ambiente della vita familiare che si svolgeva
sotto gli occhi e secondo le norme educative di
Don Bosco, potè raggiungere le più alte vette della
perfezione cristiana e praticare in grado eroico
le virtù, off're là più alta conferma della bontà
dell'educazione impartita dal nostro grande Padre.
Ed ora, prima di pr,esentarvi l'umile mio lavn-·
ro, debbo preoenir.e una difficoltà. A taluno po-
tranno pf.!,rere eccessive le citazfoni e troppi i ri-
cordi biografici. Rispondo che, essendomi propo-
sto di presentare Don Bosco quale educatore so-
prattutto in atto, cioè oggettivamente e non spe-
culaUvamente, è naturale vengano moltiplicdte le
citazioni di detti e di fatti di Don Bosco, anche
perchè, se. incorniciate nella tradizione Salesilina
e tramandate in forma organica ai suoi Figli, in.:.
cidono sull'animo con efficacia maggiore.
Questo copioso materiale, raccolto dall'insegna-
mento e dalla vita del nostro santo Fondatore,
ho creduto bene distribuire in tre part,i.
Nella prima parf.e: Do:r:i Bosco di fronte al
problema educativo, mi è sembrato opportuno
chiarire, sia pur brevémente, il concetto stes_so che
Don Bosco inculcava circa t educazione, e poi mo-
strare anche com'esso risulti mirabilmente concor-
VII

1.8 Page 8

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d e con la definizione tratta dall'Angelico Dottore
S an Tommaso.
Nella seconda e terza parte sono venuto espo-
nendo teoria e pratica del nostro Padre in fatto
di educazione, col presentare anzitutto Il Sistema
Preventivo, sia nei suoi elementi (Educatori, Edu-
_candi), sia nelle sue forme prfncipali (Discipli-
na, Assistenza, Esemplarità, Insegnamento), e col
trattare in fine dell'Educazione in atto, così. co-
me la realizzò Don Bosco nei vari aspetti di edl.L-
cazione fisica, estetica, intellettuale, professionale,
sociale, morale, religiosa. Una parola sulla sceltr,.
dello stato, importantissima mèta dell'intera ope-
ra educativa, porrà termine a tutta la trattazione.
Quest'umile lavoro che, con l'aiuto del Cielo
e non senza fatica, mi fu dato di condurre a ter-
mine entrato nel mio ottantaduesimo anno, inten-
_do deporlo ai piedi dell'impareggiabile Maestro
e del suo angelico Alunno, come omaggio affEdu-
catore e. all'Educando, che ci si presentano aureo-
lati degli splendori dei Santi.
Dal po~to che indegnamente occupo, ho senti-
to tutta la mia grave responsabilità anche di fron-
te al problema pedagogico; essendo la pedagogia
il campo preciso dell'attività Salesiana. Mi persua-
si anzi che non sarebbe stato sufficiente ch'io mi
fossi adoperato p,er conservare e tramandare in-
tegro all~ future generazioni l'inestimabile· tesoro
VIII

1.9 Page 9

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della pedagogia salesiana lasciataci da Don Bo-
sco, se al tempo stesso non avessi procurato, con
tutti i mezzi a disposizione, di metterne in eviden-
za e diffonderne, a beneficio specialmente della gio-
ventù, l'intrinseco, ricco e fecondo contenuto.
Ecco perchè, vedendo avvicinarsi a grandi pas-
si l'ora della mia dipartita, mi affretto a con:piere
questo mio s(retto dovere, pregando lddio che. per-
intercessione di Maria Ausiliatrice, si degni di be-
nedir,e questa mia fatica, e dare alla povera rnfa
parola un po' di quella efficacia che, con tanta
dovizia, si degnò concedere a. quella, sapiente e
infocata di zelo, del nostro Padre e Maestro San
Giovanni Bosco.
Torino, 16 agosto 1951
Anniversario della nascita
di San Giovanni Bosco
Sac. PIETRO R1cALDONE
IX

1.10 Page 10

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2 Pages 11-20

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2.1 Page 11

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PROSPETTO DELLA. TRA.TTA.ZIONE
INTRODUZIONE
I. Brevi cenni sulla preparazione di Don Bosco al-
l'apostolato educativo.
2. Don Bosco, educatore e pedagogista.
a) Doverosa chiarificazione.
b) La scienza pedagogica di Don Bosco.
e) Don Bosco, scrittore di materie pedagogiche.
d) Il << sistema educativo » di Don Bosco.
e) Particolare responsabilità della Famiglia Sa-
lesiana.
PARTE PRIMA
DON BOSCO
DI FRONTE AL PROBLEMA EDUCATIVO
CAPITOLO I. Don Bosco, Apostolo dell'educazione.
I. Importanza e necessità dell'Educazione.
2. Il triste quadro.
3. Miserando stato delle fanciulle.
4. Le cause.
5. Dovere dei genitori.
6. La missione dei Cooperatori.
7. Ardore di Don Bosco per l'educazione della gioventù.
XI

2.2 Page 12

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CAPITOLO II. Il con~etto di educazione seeondo
Don Bosco.
1. Una domanda legittima.
2. Il primo professore di << Pedagogia Sacra ».
3. La definizione di<< Educazione>> data da Don 1Josco.
4. Brevi considerazioni sulla definizione di Don Bosco.
5. Formazione integrale. ·
6. Il concetto di educazione second~ San Tommaso.
a) L'anima è signora del corpo.
b) Il primato della volontà.
c) Dio e la pedagogia.
d) Natura e grazia.
e) Il J?rocedimento educativo.
/) Educatore ed educando.
PARTE SECONDA
IL SISTEMA PREVENTIVO
Premessa.
SEZIONE PRIMA
Elementi fondamentali <lell'educazione
CAPITOLO I. Il sistema.
1. L'opuscow sul Sistema Preventivo.
2. Dichiarazioni di Don Bosco sul suo sistema.
a) Alcune conversazioni.
1) Col Ministro Rattazzi.
2) Col Prefetto di Torino.
3) Col Maestro Bodra.t().
xn

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/
b) Una << Buona Notte>> sul Sistema Preventivo.
e) Altri accenni del santo Educatore.
3. Il principio informatore del Sistema Preventivo.
a) Il fondamento dell'amore.
1) L'educazione, opera d'amore.
2) L'amore, essenza della vita cristiana.
3) San Francesco di Sales, Santo dell'amore.
4) Don Bosco e la sua missione d'amore.
b) L'amore, anima del Sistema Preventivo.
1) Il Sistema Preventivo nel pensiero di Don Bosco.
2) L'amore nel Sistema Prev~ntivo.
3) Come Don Bosco amava i suoi giovani.
4) La lettera del 1884 da Roma.•
e) Le manifestazioni della carità.
1) La dolcezza.
2) La confidenza.
I. Sua utilità.
II. Come avvicinare i giovani: esempi di Don Bosco.
A. All'inizio della sua missione.
B. Don Bosco in Trastevere.
C. Don Bosco in Piazza del Popolo.
D. Don Bosco e Michele Magone.
E. • Vada alla.. pompa!,
III. Mezzi per guadagnarè la confidenza.
A. Le udienze particolari.
B. Le buone maniere.
CAPITOLO IL Gli educatori.
I. Il Direttore come Padre.
a) Vita di famiglia.
b) Requisiti del Padre.
XIII

2.4 Page 14

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c) Il Dire_ttore come centro dell'autorità e della
responsabilità.
d) Uffici del Direttore.
1) Dirigere.
2) Consigliare e ,correggere.
3) Vigilar~.
4) ~Itri doveri del Direttore.
2. I collaboratori.
a) Il Prefetto.
b) Il Catechista.
c) Il Consigliere e gli altri Superiori.
3. Requisiti delrEducatore.
a) La figura ideale dell'educatore secondo Don
Bosco.
b) Doveri dell'educatore.
1) Amar~ i giovani.
2) Essere paziente.
3) Coltivare l'intesa reci:p_roca.
4) Pregare per i giovani.
5) Operare con costanza e con rettitudine d'intenzione.
4) La ricompensa dell'Educatore.
CAPITOLO III. Gli educandi.
1. Importanza della conoscenza dei giovani.
2. Mezzi per conoscere i giovani.
3. L'ind~le dei giovani. ·
4. I giovani pericolosi.
XIV '~-

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SEZIONE SECONDA
Tl metodo
CAPITOLO IV. La disciplina :come mezzo generale
di educazione.
1. Amorevolezza e disciplina.
a) Autorità educatrice e perciò amorevole.
b) La mancanza di amorevolezza~.
c) Servire il Signore in letizia.
d) Costante allegria del Padre.
e) Sua allegria in mezzo ai giovani.
2. La disciplina educativa.
a) La disciplina all'Oratorio di Valdocco.
b) Concetto di Don Bosco sulla disciplina.
e) Importanza della disciplina.
d) Mezzi per ottenere la disciplina.
1) Rispetto al fanciullo.
2) Non eccedere. .
3) Educare al' rispetto verso i Superiori.
4) Rispetto reciproco tra i Superiori.
APPEND~CE AL CAPITOLO IV. Un'esperienza disci-
plinare , moderna: << II villaggio dei ragazzi >>.
a) Il nome.
b) Autogoverno!
c) Princìpi i,n:formatori.
CAPITOLO V. L'assistenza come mezzo fondamen-
tale di disciplina.
1. Ooncettò dell'assistenza.

2.6 Page 16

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2. Importanza dell'assistenza.
3. L'assistenza come dev'essere.
a) Assistenza positiva.
b) L'assistenza, oper.a di amore.
c) Assistenza solidale.
d) Altre qualità dell'assistenza.
e) Cose da evitare durante l'assistenza.
/) Particolare vigilanza sulle letture cattive.
1) I libri.
2) Giornali e riviste.
4. Responsabilità degli assistenti.
5. Don Bosco, assistente modello.
6. L 'assistenza negli ambienti particolari.
a) In Chiesa.
b) N elio studio.
c) Nei laboratori e nei reparti agricoli.
d) Nel refettorio.
e) In ricreazione.
f) Durante il passeggio e nelle file.
g) In portineria.
h) In dormitorio.
i) Nell'infermeria.
CAPITOLO VI. Correzione e castighi.
I. La funzione educativa della legge.
a) Far conoscere la legge.
b) Mezzi per far conoscere la legge.
2. L'amorevole correzione negU esempi e nelle parole
di Don Bosco.
XVI

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a) Come correggeva Don Bosco.
1) Sua delicatezza.
2) La parolina all'orecchio.
3) Nella • Buona Notte».
4) Nel cortile.
5) Efficacia correttiva dello sguardo di Don Bosco.
6) Aspettava la calma.
7) Esortava a ricever bene le correzioni.
b) Come Don Bosco .insegnava a correggere.
1) La correzione è un dovere per tutti.
2) Correggere in privato.
3) Longanimità, fermezza e imparzialità nella correzione.
4) Saper dimenticare.
3. I castighi.
a) L'amorevolezza e i castighi.
b) La grande Circolare sui castighi.
1) Prima dì punire si adoperino tutti gli altri mezzi di
correzione.
2) Si aspetti il momento opportuno.
3) Si eviti anche l'apparenza della passionalità,
4) Si lasci sempre la speranza del perdono.
5) Quali castighi adoperare.
6) A chi spetta castigare.
e) Altre norme di Don Bosco riguardo ai castighi.
d) Come Don Bosco castigava.
CAPITOLO VII. La scuola come palestra d'educazione.
Premessa.
1. Come Don Bosco usava l'istruzione ai fini educa' tivi.
2. La scuola.
a) Funzione educativa della _scuola.
XVII

2.8 Page 18

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b) Scuola cristiana.
e) L'ambiente della scuola.
d) La scuola in azione.
1) Don Bosco, maestro modello.
2) Preparazione remota.
3) Preparazione prossima.
4) Puntualità, ordine, pulizia.
5) La disciplina nella scuola.
6) La spiegazione. .
7) Il m etodo induttivo.
8) Il metodo de duttivo.
9) Doti dell'insegnamento.
10) L'interrogazione.
11) ..A.sse&'nazione dei lavori.
12) Correzione dei lavori.
13) I voti.
14) Lo studio del latino.
15) Per le vacanze.
16) Fuori classe.
e) Come promuovere l'applicazione allo studio.
1) .All'Oratorio si studiava.
2) Esortazioni agli studenti.
3) Nove m ezzi per studiare con profitto.
4) Industrie di Don Bosco per ottenere .Io studio e la
buona condotta.
5) Emulazione e incoraggiamento.
CAPITOLO VIII. L'esemplarità fattore supremo di
educazione.
I. Necessità del buon esempio.
a) Valore educativo dell'esempio nel pensiero e
nella pratica di Don Bosco.
b) L'esempio, coefficiente di moralità..
xvm

2.9 Page 19

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/
2. La moralità degli educ~tori.
a) Come ne parlava Don Bosco.
b) Importanza della virtù della castità per l'edu-
catore Salesiano.
e) La scelta degli educatori.
d) Mezzi per la moralità degli educatori.
1) Mezzi negativi.
I. Diunitoso riserbo.
II. Come trattare le varie persone.
III. Fuga delle occasioni e tentazioni.
2tI mezzi positivi.
e) Il primo responsabile della moralità.
f) Il modello dell'educatore Salesiano.
g) Santità..,_è Purezza.
CAPITOLO IX. Il Sistema Preventivo, sistema di
Santità.
PARTE TERZA
L'EDUCAZIONE IN ATTO
Premessa.
CAPITOLO . I. L'educazione fisica.
l. Il corpo nel pensiero di Don Bosco.
2. Cura della salute.
a) Preoccupazioni di Don Bosco per la salute dei
giovani.
b) L'ambiente e la persona.
e) Alimenti e vestimenta.
XIX

2.10 Page 20

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3. Il giuoco nel sistema di Don Bosco.
a) Necessità e fine della ricreazione.
.b) Ricreazione piacevole.
c) Il giuoco come elemento educativo.
d) La ginnastica.
e) Giuochi passionali e antieducativi.
/) Musica e spettacoli.
CAPITOLO II. L'educazione estetica.
I. Alla scuola della mamma...
2. Educazione estetica per mezzo della liturgia ..
3. Educazione estetica nelle scuole classiche e professio-
nali.
4. La musica e lo spettacolo come mezzi di educ(fzione
estetica.
r
l.
a) La musica.
\\~-
b) Il teatrino.
1) Sua origine e sviluppo all'Oratorio.
2) Suoi scopi.
3) La materia del teatrino.
4) Cose da escludersi.
c) Il cinematografo.
d) La radio.
CAPITOLO III. L'educazione intelléttuale.
1. L'ingegno di Don Bosco e la sua prodigiosa memoria.
2. Importanza e fine dell'educazione' intellettuale.
3. Scuole in funzione di vita.
4. Scuole domenicali e serali.
xx

3 Pages 21-30

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3.1 Page 21

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5. Scuole elementari, diurne ed estive.
6. Scuole interne per gli studenti.
7. Scuole professionali interne.
8. Non svilire il lavoro.
9. La preparazione dei maestri.
10. Libri e testi adatti.
a) << Biblioteca della Gioventù I,taliana >>.
b) << Selecta ex scriptoribus latinis Christianis -
c) I vocabolari.
d) La Collana Drammatica.
11. Don Bosco, scrittore-educatore.
12. Gli scritti di Don Bosco -e i loro pregi.
a) << La Storia d'Italia>>.
b) << La Storia Ecclesiastica >>.
e) << La Storia Sacra».
d) << Le Letture Cattoliche>>.
13. Don Bosco, formatore di scrittori.
C~PITOLO IV. L'educazione sociale.
1. Vita di collegio, vita di famiglia.
a) Il pensiero di Don Bosco.
b) Valore sociale della vita di collegio.
c) Spirito di economia e di risparmio.
d) Paternità di Don Bosco.
e) Spirito di famiglia degli Ex-Allievi.
2. Educazione sociale dei primi collaboratori.
3. Le Compagnie Religiose.
4. Società di mutuo soccorso.
5. Rela~ioni iociali.
XXI
I\\'

3.2 Page 22

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a) Compagni cattivi.
b) Compagni buoni.
c) Apostolato sociale.
d) Il fattore sociale del gioco.
6. La buona educazione.
a) Dovere di essere ben educati.
b) Don Bosco, perfetto gentiluomo.
c) -Urbanità dei Superiori e degli educatori.
CAPITOLO V. L'educazione morale.
1. - Forrnazione della .coscienza.
a) Gli insegnamenti del Padre.
b) Formazione al senso del dovere.
e) Formazione al senso della responsabilità.
2. Formazfone del cuore.
a) Come la voleva Don Bosco. ·
b) Un pericolo.
c) Distacco dalle cose.
d) Santo amore fraterno. ·
3. Fonnaziòne .della volontà.
a) Come la voleva Don Bosèo.
b) Mezzi per la . forinazio~e della volontà.
1) Mortificare la volontà.
2) Vincere il rispetto umano.
3)' Frenare l'indole.
4) Sogg_iogare-- le passionL .
5) Pensare, parlare, agire ,rettamente. .
c) Scritti e parole di Don Bosco intorno alla for
mazione della volontà•
.XXII

3.3 Page 23

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4. Forrnazione alla virtìi.
a) Abiti buoni e virtù.
b) Virtù partìc.ol~ri.
1) L'obbedienz~,
2) L'umiltà.
3) La moralità degli educandi..
I. Purezza, Grazia; Santità.
II. Preziosità della virtù angeUca. ·
III. Bruttezza del peccato contrario alla pur(lzza,
IV. Mezzi per colti.vare la moraljtà tra i giovani.
A. L'assistenza,
B. L'occupazione continua.
C. La mortificazione del cuore- e dei ·sensi.
D. La preghiera.' ·.
E. La frequenza ai Sacramenti.
V. Contro ·zo scandalo.
A. L'allontanamento degli scandalosi.
B. Prassi di Don Bqsco contro.-gli scandalosi.
C. Correzione pubblica.
D. Come impedire lo scandalo.
5. Formazione del carattere.
6. Formazione della personalità; ·
CAPITOLO VI. L'educazione religiosa.
l. Valore educativo della religione nel pensiero di
Don Bosco.
2. istruzione reli'giosa.
3. Religione e Pietà.
4. Il santo timor di Dio.
5. Le pratiche religiose.
a) I Santi Sacramenti.
·xxrn ·

3.4 Page 24

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b) La Confessione.
1) Sua nec«;issità.
2) Il Confessore stabile e la direzi.one spirituale.
3) Efficacia educativa della Confessione.
4) Norme 1,1,i confessori e agli educatori.
e) La Comunione.
d) La Santa Mess,a. e la visita al SS. Sacramento.
e) La divozione alla SS. Vergine.
/) La devozione al Papa.
g) L'imitazione dei Santi.
h) L'Esercizio della Buona Morte.
i) Ritiri Spirituali.
Z) Il ciclo delle ricorrenze religiose.
6. Il soprannaturale nell'educazione.
CAPITOLO VII. L'educazione per la vita.
I. L 'orientamento professionale.
a) Sua natura.
b) Fattori e mezzi dell 'orientamento professionale.
2. La vocazione.
a) La vocazione, chiamata divina.
b) Obbligo di seguire la vocazione.
c) Mezzi per conoscere la vocazione.
d) Necessità di una guida in fatto di vocaz;ione.
e) Libertà nella scelta dello stato.
C ONCLUSIONE.
XXIV

3.5 Page 25

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INTRODUZIONE
1 (I)
1
/

3.6 Page 26

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I-

3.7 Page 27

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1. Bre:vi cenni
sulla preparazione di Don .Bosco
all'apostolato educativo.
San Giovanni Bosco~ come vedremo, nacque e-
I
ducatore cristiano. Per questo motivo, accingen-
doci a trattare della sua opera pedagogica, pen-
siamo di ·non poter trovare miglior argomento
d'introduzione che il primo formarsi della sua
personalità e il precoce germogliare e sviluppar-
si in lui di quell'attività, che doveva assorbire
tarita parte della sua vita e costituirne la nota
caratteristica.
Don Bosco non fu un puro teorico, nè un ·in•
novatore: anzichè attardarsi a formulare teorie,
.,
s'immerse nell'azione, ispirata a princìpi che af-
fondavano le radici nella tradizione cristiana. A-
dattava bensì le dottrine perenni alle esigenze
dei nuovi _tempi, e qui sta il merito suo; ma sen-
za mai sacrificare l'eterno al contingente, qua-
3

3.8 Page 28

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si abbandonandosi alle correnti p _olitiche e so-
ciali di quegli anni burrascosi.
E se alcu_no ritenesse che Don Bosco sia sta-
to troppo avaro di enunciazioni teoretiche, dire-
mo, e non sarà difficile dimostrarlo, che quanto
più si studia iÌ suo operare nel campo educativo,
tanto più si scoprono tesori di sapienza pedago-
gica, i quali hanno solo bisogno di venire racçol-
i:i e ordinati, perchè se ne apprezzi tutto il valore
anche di fronte alle esigenze scientifiche.
È quello a cui miriamo col presente lavoro,
nella speranza di recare un modesto contributo a
una migliore comprensione di Don Bosco educa-
tore.
Gioverà intanto soffermarci a posare di prefe-
renza lo sguardo sulla giovinezza di questo Gran-
de: una giovinezza che fu aurora, o, se si vuole,
primavera, stracarica di' promesse non smentite.
Don Bosco non ebbe facile la preparazione
alla vita, a quella vita che più propriamente fu
sua. Questo era necessario, affinchè egli teso-
Teggiasse esperienze, delle quali avre.bbe avuto
bisogno nell'esercizio della sua missione. Giac-
chè, se la ·Divina Provvidenza lo insignì di doti
superiori, lasciò poi a lui l'onere, e diciamo an-
e:he l'onore, di rendersi abile a tradurle debita-
mente in atto.
Colui che è salutato Pa'dre degli orfani, in-

3.9 Page 29

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cominciò presto a sperimentare l'orfanezza e le
sue conseguenze.
Rimasto, a due anni, privo di padre, lo creb-
be un miracolo di mamma, il cui nome suona oggi
come un simbolo; ma ciò non valse a salvare
Giovannino dalle angustie dell'indigenza e dalle
vessazioni del fratellastro, Ialle quali soltanto l'au-
torità paterna avrebbe potuto mettere riparo.·
Sopra un punto moltJ delicato cadevano le
angherie. Tormentato, con (l'aprirsi dell'intelligen-
za, dalla brama di studiare, il fanciullo veniva
costretto dal fratellastro ·a ftar lontano dalla scuo-
]a e a deporre i libri per racrificare tempo e for-
ze a rudi occupazioni campestri, s•enza che la
buona madre avesse modo di temperare un sì
esoso trattamento.
Le cose giunsero al punto che Mamma Marghe-
rita con indicibile strazio del suo cuore si vide
costretta a staccarsi dal suo caro figliuolo; invian-
dolo presso suoi conoscenti perchè lo impiegassero
in lavori di campagna. E Giovannino « si allon-
tanava dalla casa materna con un involto sotto
il bra_ccio... e qualche libro di religione> (1). Ma
certamente portava con sè anche il ricordo del
sogno fatto all'età di nove anni, nel quale - co-
me udremo poi da Don Bosco medesimo - gli
era stata rivelata la sua futura missione a pro
dei giovanetti.
5

3.10 Page 30

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Ed ecco dunque il piccolo . andare ramingo
lungi dal nido domestico e aguzzarf l'ingegno per
trovare chi gli offrisse la maniera di vivere.
Girò, · picchiò, incontrò chi lo assunse quale
servitoreUo di campagna. Due anni di vita ser-
vile, per quanto alla dipendenza di padro11i cri-
stiani, avrebbero po,tuto invelenirgli l'esistenza od
·almeno farlo disperare dell'avvenire: invece con-
tribuirono a renderlo umile, forte e robusto, co-
me i Personaggi del so'gno avevano raccomandato.
Il senso crescente del dominio di sè, ispiratogli
dalla pietà cristiana che l'impareggiabile mam:rµa
aveva saputo con la parola e con l'esempio in-
fondergli nell'anima, lo mantenne superiore all'av-
. versa fortuna, irrobustendogli la volontà e rasso-
dandogli il carattere, in modo da essere poi te-
tragono ai colpi della sventura.
Quando finalmente il provvido intervento di
uno zio materno lo sottrasse a quell'a.vvilente con-
dizione e Mamma Margherita, fatta la divisione
, legale dell'esiguo patrimonio paterno, indusse a
vivere altrove colui che era .la causa della guerra
domestica, egli fu libero di lanciarsi con tutto
I"
l'ardore all'acquisto del sapere; contava già ben
14 anni.
Non si smarrì quegli che a suo tempo avrebbe
confortato tanti a non perdere la fiducia nelle
proprie forze. Un generoso sacerdote, .Don Giu-
6

4 Pages 31-40

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4.1 Page 31

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seppe Calosso, preso già per l'innanzi dalle sue
rare qualità intellettuali e morali, si profferse a
impartirgli l'insegnamento.
Parve allora a Giovanni _di toccare il cielo col
dito. Ma la sua gioia fu di breve durata. Una
morte subitanea gÌi ' rapì l'amato precettore, chè'
egli pianse amaramente e del quale portò fino alla
tomba i~presso nel cuore il riconoscent,e ricordo.
Imparò presto ad apprezzare il valore dei be-
nefìci e a serbarne grata memoria.
Intan·to bisognava incominciare da capo. Ma
come? Ma dove? Sul nativo colle dei Becchi vi-
v,eva tra campagnoli pressochè tutti analfabeti;
la borgata più vicina, detta Morialdo, non aveva
scuola. Eravi a •Castelnuovo d'Asti una scuola
ginnasiale, 'ma essa era troppo lontana.
Non importa: si ass·oggetta alla via crucis di
percorrere quattro volte al giorno cinque c~ilo-
metri, finchè gli arride la possibiliià di prendere
stanza a Castelnuovo nella casa di un sarto, an-
che , capo-cantore della· Parrocchia.
Per sdebitarsi dell'ospitalità impara quel me-
stiere e si inizia alla musica, al che, per guada-
gnare qualche cosa, aggiunge il maneggio del mar-
tello e della lima nell'officina d'un fabbro: tre
cose che - unite a una sufficiente pratica nel .
lavorare la terra e nej mestieri di muratore, le-
gatore di libri, barbiere, cuoco è confetturiere (2)
7

4.2 Page 32

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egli non immaginava dovessero un giorno ve-
nirgli a taglio non meno del latino.
Ma .che gran latino poteva imparare nella cao-
tica classe di Castelnuovo? A 16 anni d'età il
suo scarso corredo d'istruzione ben poco s'arric-
.chiva a quella scuola. Però, con l'esperienza per-
sonale, misurava le difficoltà che i :figli del po-
polo avrebbero incontrato per applicarsi a studi,
ai quali i tempi avrebbero ognora più sospinto
a.nche i figli dei meno favoriti dalla fortuna: espe-
rienza preziosa che gli sarebhe stata in avvenire
stimolo a fare molto di quello che operò.
Che fare adunque? Aveva sentito tanto par-
lare del Collegio di Chieri, come si chiamavano
allora gli Istituti governativi. L'idea di venir,e
ammesso a scuola con l'insegnci.mento regolare e
con autentici professori lo ass~llava: invidiava la
sorte degli abitanti del contado che potevano re-
carsi a frequentarla, mentre egli, privo di mezii,
doveva tenere oziosi i talenti ricevuti dalla Prov-
videnza, la quale gli ispirò di affrontare qualun-
que sacrificio pur di arrivare anche lui ad abbe-
verarsi alle fonti del sapere.
Primò sacrificio fu quello dell'amor proprio
nel dover mendicare il necessario. Disse più tardi
quanto gli costasse picchiare alle porte dei be-
nestanti.
Non stentiamo a credergli: un giovane di alto
8

4.3 Page 33

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sentire non sopporta facilmente l'umiliazione di
dover chiedere per sè. Egli tuttavia vide in quel-
l'umiliazione, non solo l'unico espediente per rag-
giungere il suo ideale, ma anche un mezzo prov-
videnziale p'er l'acquisto di un inestimabile te-
soro. Confesserà candidamente, nelle Memorie, de I-
l'Oratorio (3), che l'orgoglio gli aveva messo pro-
fonde radici nel cuore; seppe quindi cogliere l'oc-
casione propizia per estirparlo e sostituirgli il
germe di quella umiltà che l'avrebbe reso assai
gradito a Dio e agli uomini.
Quanto agli uomini, ne ebbe subito la prova.
Gli si voleva bene, e nessuno fu sordo aHe sue
domande: anzi i più generosi gli risparmiarono
il domandare. Dio poi, facendolo passare per tale
crogiuolo, lo temp~ava per quando la necessità
l'avrebbe costretto a stendere la mano per gli al-
tri; e intanto lo benedisse negli studi.
Orientandosi subito nell'ambiente cittadino e
studentesco, interamente nuovo per un figlio dei
campi, non s'impressionò delle prime burle dei
compagni, tra i quali in verità faceva la figura di
un gigante: non vedeva altro eh.e i suoi doveri
scolastici e religiosi.
Sulle magre e sconnesse nozioni di Castel-
nuovo venne crescendo un corredo di conosèenze
letterarie, che gli permisero di scavalcare, nel
breve giro di un anno, tre classi, la prepara-
9

4.4 Page 34

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toria, la prima e la s~conda ginnasiale, e quel
che. è più, senza invidie e malevolenze, anzi 'por-
tato ognora dai condiscepoli in palma di mano.
Ma l'avanzare così a gonfie vele non fu sen-
za sacrifici, più che penosi, umilianti. Pazienza
per l'affaticarsi ·in ripetizioni che gli rubavano
tempo, in.a fruttavano qualche utile alla sua vita
di stenti; quel rassegnarsi però a fare da gélrzone
di caffè, quel rannicchiarsi a dormire sopra il
vano di un forno, quell'accettare la carità di chi
lo aiutava a sfa~arsi, dovettero pur sape'° amaro
a uno,studente d'intelligenza come la sua.
Non di meno anche questa trafila di prove,
lente e difficili, egli volse a mortificazione delle
passioni e ad eroico esercizio di virtù.
Giovanni Bosco terminò il ginnasio nel 1835:
aveva dunque 20 anni suonati, ma · era moral-
mente ed intellettualmente maturo per varcare la
soglia del santuario, sogno della. sua vita e pre-
mio dei suoi saçrifici.
La vocazione al sacerdozio si confondeva in
lui con la voce della coscienza. Poteva dirsi egual-
mente della chiamata alla forma di apostolato,
che lo attendeva nel futuro?
,
Se avesse compreso subito quello che arcane
manifestazioni continuavano a fargli balenare
nella mente, dovremmo rispondere di sì; ma bi-
sognò aspettare che i ·fatti venissero a chiarirgli
. . 1()

4.5 Page 35

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le cose misterios_amente rappresentate al suo spi-
rito, quando non era ancora in grado di affer-
rarne il significato. ·
Tuttavia un impulso interiore lo spinse ben
presto in una direzione precisa e continua; nella
quale l'adolescénte avanzava verso la mèta fis-
satagli dalla Provvidenza, come a suo tempo ca-
pì. È innegabile infatti che l'attività di Don Bo-
sco educatore riveste il carattere di una missione
prov.videnzi~le.
Il crescente prevalere delle aspirazioni demo-
cratiGhe, mirando ali'elevamento civile e politico
delle masse, faceva sorgere sotto aspetti nuovi,
e con nuovi postulati, il problema dell'educazio-
ne. Non si eleva una classe di uomini a un gra-
do superiore di vita senza cominciare dall'intel-
ligenza: di qui la necessità dell'istruzione popo-
làre·e della scuola aperta a t~tti, resa anzi obbli-
gatoria dalla legge.
Se non che quest'arma potente, maneggiata dal
laicismo, diventava una minaccia sempre più for-
midabile contro quello che si aveva di più sa-
cro: la tradizione della civiltà cristiana. Soffocare
a ·poco a poco nelle anime giovanili la Fede con
l'indifferenza rellgiosa, allontanare insensibilmen-
te i fanciulli dalle sorgenti della vita spirituale, ,
· insinuare negli adolescenti la, sfiducia nel Clero
e l'avversione alla Chiesa: ecco lo spirito al quale
il

4.6 Page 36

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si sarebbe informato il pubblico insegnamento
primario e secondario. Ed intanto con la soppres-
sione delle Congregazioni insegnanti crollava un
argine opposto a11a marea travnlgente.
Ed ecco che, mentre le cose pigliavano una
piega che riempi.va di apprensione gli uomini sol-
leciti del vero bene comune, si levava sull'oriz-
zonte l'astro destinato a irradiare di sua luce be-
nefica la pedagogia nel Piemonte, in Italia e nel
mondo.
Non si è forse misurata abbastanza l'impor-
tanza e l'estensione dell'attività . pedagogica di
Don Bosco. Mentre la pedagogia teorica e scien-
tifica rimaneva pressochè isolata nel dominio dei
libri, Don Bosco, silenziosamente, ma intensamen•
te, metteva in azione una pedagogia che, da po-
chi ma saldi princìpi, veniva operando un mondo
di bene nel campo pedagogico pratico.
Centodieci anni dell'Opera iniziata da lui e
continuata dai Salesiani e dalle Figlie di- Maria
Ausiliatrice non sono trascorsi invano: i metodi"
da lui introdotti hanno contribuito non poco a
modificare l'arte dell'educare e istruire i fanciul-
li, democratizzandola senza abbassarla, e destando
anche l'attenzione dei governanti. Senza dire tut-
to quello che si potrebbe, basta osse:rvare che gli
insegnanti usciti dalle sue scuole hanno porta- .
to un po' dappertutto il lievito della pedagogia
12

4.7 Page 37

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I'
salesiana; e dove non sono arrivati gli uomini si
è imposto l'esempio, accentuando un movimento
dei più salutari.
Movimento tanto più degno di nota, se si con-
sidera che Don Bosco lo attuò andando a ritro-
so .dei tempi: educatore moderno fin che si vuo-
le, pronto cioè a fa;r proprio quanto la moder-
nità ha escogitato di utile e di sano, egli non
si scostò un apice 1 dalla tradizione cristiana, che
certe nuove teorie pedagogiche avrebbero voluto
sopraffare. Ecco nei suoi semplici e veri termini
la missione provvidenziale di Don Bosco.
Ritorniamo ora a lui fanciullo e adolescente,
quando si preparava inconscio alla sua missione.
Chi studia i suoi andamenti fin da quell'età,
deve concludere che egli era nato a fare il mae-
stro. L~ costatava egli stesso quando, verso il tra-
monto della vita, confidava che radunare i fan-
ciulli per fare loro il catechismo gli era brillato
alla mente fin da quando aveva solo cinque anni:
ciò formava il suo più vivo desiderio, ciò sembra-
vagli l'unica cosa che dovesse fare sulla ter-
ra (4).
Onde ci spieghiamo come, ragazzetto ancora_
proferisse espressioni nella loro ingenuità rivela- -
trici. La mamma non voleva più che si mesco-
lasse coi monelli, dai quali nulla di buono aveva
da imparare. <Semi trovo in mezzo ad essi, - le
13

4.8 Page 38

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-osservò - fanno come voglio io e non rissano
più » (5). Ed incontrando per la strada Sacerdoti,
e avvicinandosi loro per salutarli festosamente, e
:rion ricevendone che qualche segno d'attenzione
grave e contegnosa senza una buòna parola : « Se
io fossi prete, - diceva - vorrei ~vvicinarmi ai
fanciulli, vorrei dire loro delle buone parole, dare
<lei buoni consigli » (6).
Qui sarebbe inutile ripetere cose che tutti
sanno: come, trasportato quasi da naturale istin-
to, s'ingegnasse, egli così piccolo, di cattivarsi pic-
coli e grandi con mille industrie proprie di pr~- ·
vetti ed esperti educatori, i quali posseggono l'ar-
te sommamente educativa del saper unire l'uti- '
lità al diletto.
E questo, non solo fra la gente sua che lo co-
nosceva, ma anche durante il biennio in cui, sba-
lestrato lontano dalla casetta nativa, lavorava
sotto padroni. In breve· si amicò i contadinotti
delle ·case· coloniche di quei dintorni, sicchè nelle
ore di libertà se li conduceva ovunque volesse, al-
lettandoli a imparare volentieri, da scolaretti, ciò
che l'improvvisato maestrino. avrebbe esposto e
s p ie g a t o .
Non basta. La cascina era nel territorio di
Moncucco, dov'egli si recava ogni domenica a
compiere le sue divozioni. Ebbene. anche là j .
fanciulli non tardarono ad affollarglisi intorno. Lo
14

4.9 Page 39

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aspettavano all'uscire di chiesa, gli tenevano com-
pàgnia, si lasciavano da lui condurre nell'aula
delle scuole comunali, ed ivi as~oltavano docili,
non solo i suoi piacevoli racconti, ma anche l'e-
sposizione delle verità della Fede e le esortazioni
al bene.
Venne il periodo di Castelnuovo: a poco a
poco la gioventù della scuola e del paese fu tutta
sua e l'influenza di lui su di essi era così salutar
che i genitori ne gioivano, vedendo i figli tornare
a casa migliori.
Nella quaresima il Parrpco gli affidò la scuo-
la di Catechismo. Il Card. Cagliero, Castelno-
vese, narrava che da ragazzo sentiva ancora de-
cantare nelle famiglie i buoni esempi d el giova-
netto Bosco.
A Chieri il tenore della vita intellettuale si
elevò, gli orizzonti spirituali si allargarono, e. la
santa passione per la gioventù si venne raffor-
zando. Furono quattro anni di vittorie individuali
e. di trionfi collettivi, preludenti in modo semp.re
più manifesto . alle grandi conquiste pedagogiche
ancora lontane. ·
·
Ecco alcuni esempi di vittorie individuali.
Il discolJtto · figlio della signora che p er la
prima lo ospitò, svogliato nello studio e amante
solo del giuoco, be~chè appartenente a una clas-
se superiore, subì dal suo contatto una trasforma-
15

4.10 Page 40

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zione cosi radicale d~ essere irriconoscibile.
Il distinto giovane .israelita, per quanto m~n-
dano, nei suoi frequenti incontri con lui improv-
visato garzone di caffè, prese tanto amore alla
Religione cristiana, che finì col volere il battesimo
a dispetto di tutte le opposizioni dei parenti e dei
correligionari.
'
Non vi fu anche il campanaro al quale Gio-
vanni Bosco allenò il cervello, fino ad invogliar-
lo a studiare da prete?
Tre brevi miracoli pedagogici germinati, con
la spontaneità dei fenomeni di, natura.
Ed ora, alcuni esempi di trionfi collettivi.
Don Bosco, nella maturità d-egli anni , e del-
1'esperienza~ insegnerà ai suòi Figli ad amare
quello che i giovani amano, se vogliono far loro
amare quello che da essi desiderano ottenere. Eb-
bene, lo studente Bosco· mette già in pratica que-
sto sapiente assioma pedagogico prima assai di
saperlo formulare.
Poco ci volle per richiamare su di sè l'atten-
zione generale nella scuola e fuori.
Prima della scuola aiutava tutti nelle diffi-
coltà scolastiche, financo gli israeliti: ai quali fa-
ceva i còmpiti il sabato, affinchè non agissero
contro coscienza facendoli essi stessi contro il di-
vieto della loro legge.
Dalla scpola il favore dei condiscepoli lo se-
16

5 Pages 41-50

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5.1 Page 41

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guiva fuori ~' per mezzo loro, si propagava; onde
la sua popolarità crebbe .a segno che egli si vide
circondato e quasi obbedito da una numerosa
clientela, avida di partecipare alle sue liete ri-
creazioni, curiosa di ascoltare i suoi racconti, e
unanime nell'applaudire, in convegni da lui pre-
parati, ai suoi saggi ginnastici.
Studiandone i gusti, li teneva tutti allegri, ma
sempre con in fondo il dolce; ed il dolce era na-
turalmente, ciò che tornava a bene dell'anima.
Del quadriennio chierese l'episodio più signifi-
. cativo fu 4: La Società dell'Allegria». Il futuro
creatore di asso:eiazioni mondiali consacrate alla
educazione d ella gioventù, organizzava ora, sem-
plice studente di ginnasio, una unione giovanile
che promovesse il bene dei soci e li esercitasse nel-
l'apostolato fra i coetanei. E la nominava proprio
dall'allegria, elemento non secondario del suo si-
stema educativo. La giocondità dell'animo gli si
affacciava fin d'allora alla mente quale mezzo in--
dispensabile per elevare la coscienza giovanile.
Per ottenere pienamente l'e ffetto bramato, il
giocoliere, il ginnasta, l'acrobata dei Becchi af-
finò l'arte sua e arricchì il suo repertorio in modo
che si confacesse al nuovo ambiente. Quaran-
f anni dopo descriveva così lP svariate industrie
da lui usate in qu~l tempo: 4: Carte, tarocchi, pal-
lottole, piastrelle, stampelle, salti, corse, erano tut-
17
,,

5.2 Page 42

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I•
ti divertimenti di mio sommo gusto, in .cui, se
non ero celebre, non ero certamente mediocre... Se
nei prati di Morialdo ero piccolo allievo, in quel-
l'anno ero divenuto un comp·atibile maestro)) (?').
Nè i soci dell'« Allegria » formavano intorno a
lui un circolo chiuso: erano piuttosto il suo Stato
Maggiore, e chiamavano quanti più potevano a
go:dere dei suoi trastulli per riceverne i salutari
influssi. Egli poi, pur occupandosi degli stµdenti,,
non pei:deva di vista i ragazzi popolani, -frequen-
tassero o no le scuole inferiori. .Li cercava per
piazze e strade, li allettava, e, bel b ello, li con- .
duceva .al Catechismo e alla chiesa. Dove solevano
riunirsi in molti per giocare, egli compariva in
mezzo a loro, si divertiva con essi e se li tirava
dietro.
Insomma l'ascendente acquistato dà/ Giovanni
Bosco sulla gioventù a· Chieri era quello di un do- .
minafore. Di questo dominio morale il fatto più
interessante era senza dubbio la sagacia con la
qu·ale sapeva prendere og11-uno per il suo yerso,
per ottenere che tutti facessero a modo suo.
Un fatto che ha dell'incredibile è questo.
Nella quinta ginnasiale aveva venticinque com-
_pagni. Orbene, di essi ben ventuno entrarono nel-
la. carriera ecclesiastica. Si pensi che per almeno
tre classi quei giovani avevano goduto della sua
familiare consuetudine!
18

5.3 Page 43

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Nel 1835 si chiusero dietro a lui Ìe porte del
Seminario, dove il chierico Bosco andava a rn-
cominci'are un secondo periodo della sua vita.
Non finì qui la sua preparazione ,remota ve-
ramente ecèe.zionale, poichè, dopo l'ingresso nel
sacro recinto, non furono rotti i ponti coll'esterno.
E poi yi erano le vacanze an~uali, in cui il ri-
torno del chierico Bosco veniva salutato con gioia
dai ragazzi e dai giovanetti delle campagne circo- .
stanti.
Scrive di loro: « Mi occupava d-ei miei soliti
giovanetti, ma ciò poteva solamente fare nei gior-
ni festivi. Trovai p erò un gran conforto a fare
catechismo a molti miei compagni che trovavansi,
ai 16 e anche ai 1? anni, digiuni affatto delle ve-
. rità della Fede. Mi sono eziandio dato ad ammae-
sirarne alcuni nel leggere e nello scrivere con as-
sai buon successo; poichè il desiderio, anzi -la
smania d'imparare mi traeva i giovanetti di tutte
le età. La scuola ·era gratuita, ma metteva per ·
condizione assiduità, attenzione, e la confessione
mensile » (8).
'
EccQ-lo dunque sempre uguale a se stesso.
Quello tuttavia · fu un tempo· dedicato preva-
lent'emente, per non dire esclusivamente, allo. stu-
dio. Prendiamo invece Don Bosco all'uscita dal
Seminario, quando, sacerdote novello, entrò nel
-campo assegnatogli dalla Provvidenza. ·
I
19

5.4 Page 44

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E provvidenziale fu subito per lui il penetra-
re nelle carceri di Torino, condottovi dal suo con-
fessore e b enefattore San Giuseppe Cafasso. Là
mise tosto il dito sopra una gravissima piaga
sociale, che gli cagionò spavento e pietà: ma in-
sieme lo orientò senza indugio verso la, sua for-
ma di apostolato.
Fra qu,elle tetre mura incontrò affollamenti di
giovani, la cui precoce depravazione era cosa da
farlo inorridire. Ne studiò le cause.
Due erano le principali: l'abbandono da par-
te dei parenti, distratti da altre cure, e l'allonta-
namento dalle pratiche religiose nei giorni festi-
vi, che per la gioventù in ozio sogliono essere
i più p ericolosi della settimana. Sentì impellen-
te il bisogno di correre ai ripari.
Detto, fatto. Si diede a raccogliere i ragazzi
vaganti per le vie e per le piazze della capitale,
e con sacrifici inauditi riuscì a polarizzarne in-
torno alla sua persona un numero sempre cre-
scente. Se li attirava a centinaia nei giorni festi-
vi, li faceva divertire, li catechizzava, li avvia-
va alle pratiche religiose, e poichè i più erano
analfabeti, ideò scuole serali in cui li veniva di-
rozzando. Intanto ne metteva il maggior .numero
possibile al lavoro presso buoni padroni e im-
prenditori, non perdendoli mai di vista.
Ma, dal 1841, per cinque anm non disponeva
20

5.5 Page 45

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d 'un palmo di _terra che fosse suo, e lo perse-
guitavano da più parti coloro che ne interpre-
tavano male lo zelo, sicchè si vedeva costretto
a vagare qua e là ammassando il suo ·chiassoso
esercito i:p. luoghi di fortuna.
Tuttavia sarebbe lungo a descrivere con quan-
ta abilità sapeva dominare quelle incomposte
moltitudini e piegarle ai suoi voleri. E intanto
quali trasformazio-ni andava operando! La sua
potenza educatrice, fatta di carità e di amore-
volezza, trionfava eroicamente di difficoltà, che
altri si ostinavano a ,giudicare insormontabili.
L'amore vince tutto, e innanzi all'educatore
che ama, da cosa nasce cosa. N el 1846 Don Bosco
acquistò un pezzo di terra con un rustico edi-
ficio in ap erta campagna, e gli parve di ave-
re fatto un gran passo. Perchè? Perchè più nessu-
no avrebbe potuto farnelo sloggiare.
N òn sloggiare era troppo poco. Piantò ivi
.saldamente e, per sempre le radici. Infatti l'O-
ratorio festivo non bastava più. Tanti poveri ra-
gazzi avevano bisogno di ricovero, vitto e vesti-
to, se non si voleva che si dessero alla mala vita.
Ebbene, prima trasformò l'umile casa, poi vi ag-
giunse corpi di fabbrica, e infine coperse di gran-
di costruzioni un'area assai vasta. Tutto un mon-
do si moveva entro quel recinto: una sua numero-
sa famiglia religiosa e circa ottocento fra giovani
21

5.6 Page 46

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)
artigiani e studenti, con sciiole, laboratori e chie-
se. I suoi salesiani, crescendo di numero, scia-
mavano e ·andavano ad aprire oratori e collegi
per il Piemonte, per l'Italia, per l'Europa e fin
nell'America.
·
·
Il grande educatore, all'età di 72 anni, chiuse
la sua carriera mortale il 31 gennaio 1888. Do-
. dici anni prima, in uno spettacoloso sogno, gli
era sfilata innanzi una teoria immensa di giova-
ni~ che davano a lui festosi segni ·di riconoscenza.
Part.e gli erano ·noti, ma i più sconosciuti: tutti
si mostravano lieti di onorarlo come maestro e
padre.,
Comprese tosto quelle essere schiere giovani-
li che avevano o avrebbero sperimentato i be-
nèfici effetti della sua opera· educativa. Alla loro
testa m~oveva il quindicenne Domenico Savio,
ben degno di capitanare il glorioso esercito, egli
che meglio di ogni altro aveva corrisposto alle
sue cure, toccando sotto la sua direzione il ver-
tice della perfezione cristiana, sì da meritare il
trionfo dei Beati nell'Anno Santo 1950.
La mirabile visione simboleggiava la sovrab-
bondante messe di bene che, direttamente o indi-
rettamente, Don Bosco aveva ~ avrebbe miet.uto
nel mondo col suo sistema educativo: sistema
portato dai suoi Figli e dalle sue Figlie fino al-
...,.le lontananze più remote, co~e programma di
22

5.7 Page 47

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azione pedagogica uniforme e costante.
. Quali siano i capisaldi del sistema educativo
di Don Bosco e dei suoi, quali le maniere di ef-
i fettuarlo, quali risultati ottenuti, apparirà .dal-
la .trattazione, che , ci propon:iamo di sviluppar~
con relativa ampiezza in qu~ste pagine~
2: Don Bosco, educatore e pedagogista.
:Non è -possibile immaginary un educatore ve-
ramente tale nelle sue conce.zioni e attuazioni,
il quale non abbia al tempo stesso ideie, diret-
tive, norme che r.egolino la sua azione educativ~.
Le idee, le direttive, le norme, potranno essere
sue oppure di altri; ma, ripetiamo, senza di esse
non p~ò concepirsi un educatore degno di ta-
le nome.
Se questo deve, affermarsi di qualsiasi educa-
tore, a maggior ragione lo dobbiamo dire di Don
Bosco, il quale non si consacrò all'educazione
saltua:riamente nè accidentalmente - · come av-
viene e si sa di altri educatori, che pur godono ·
fama di insigni scrittori di pedagpgia - ma svol-
se le suf: non comuni doti di educatore, b en · possia-
mo dire, dalla prima età fino alla tarda vec-
chiaia.
E si avverta che egli ciò fece coerente. sem-
pre a se stesso, in modo uniforme, seguendo una
23

5.8 Page 48

▲back to top
identica ispirazione, adoperando lo stesso siste-
ma, avendo presente in ogni tem.po, luogo e cir-
costanza, la stessa mèta da raggiungere con l'o-
pera sua. Non solo, ma il suo ideale educativo,
il suo sistema, le sagge norme da lui costante-
mente praticate, egli insegnò, fece fedelmente
praticare sotto l'immediato suo controllo, e tra-
smise poi, come eredità preziosa, ai suoi figli e
discepoli. Questi, nonostante l'inevitabile logorìo
degli anni e malgrado il rapido moltiplicarsi dei
soggetti in tutte le nazioni e sotto le più svariate
condizioni di clima, di razze, di popoli, di am-
biente sociale, hanno conservato intatto e difeso
da infiltrazioni di errate j.deologie e da attacchi
di ogni genere quel medesimo ideale, quel mede-
simo sistema educativo praticato dal loro Padre
e Maestro.
I figli di Don Bosco, mentre sforzavansi di
agire così, erano convinti, non solo di rispettare
e di divulgare le tradizioni paterne, ma di com-
piere un'opera di grande portata sociale a van-
taggio delle future generazioni.
,
Ed è pro~ato che la profo11da loro devozione
verso il grande Padre e Maestro seppe conserva-
re fedelmente tutto ciò che egli aveva loro tra-
~a:r~dato, non soltanto a voce e mediante la sua
pratica educativa." ma con scritti che la illustra-
no e fissano a perpetuità.

5.9 Page 49

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È questo appunto il motivo per cui pos~iamo
affermare che il nostro Fondatore, oltre che edu-
catore, è anche scrittore di argomenti pedago-
gici, come vedremo più ampiamente fra breve.
a) DOVEROSA CHIARIFICAZIONE.
Prima però di studiare Don Bosco come scrit-
tore di materie pedagogiche, ci pare doveroso cor-
reggere una erronea inteTpretazione 'attribuita ad
alcune sue parole, in un primo tempo mal riferi-
te. Ecco il fatto.
Il I nostro. Padre, nei suoi viaggi in Francia,
visitò due volte la città di Montpellier, accoltovi
sempre con venerazione ed entusiasmo. La se-
conda volta vi giunse 1'8 maggio d el 1886, di ri-
torno da Barcellona, e fu ospite del Grande Se-
minario di quella città. L'ospitalità fu oltremodo
cordiale ed ebbe un seguito del quale ora dobbi~-
·mo occuparci.
Il Superiore del Seminario, Sig. Dupuy, era
m embro della Congregazione dei Lazzaristi, fon~
data da San Vincenzo de' Paoli. Don Bosco, ap-
pena giunse a Torino, inviò ·a . detto Padre l'e-
spressione délla · sua riconoscenza, aggiungendovi
l'omaggio di alcune sue pubblicazioni, tra le qua-
li una brev'e Vita di S. Vincenzo de' Paoli.
Il buon Rettore si affrettava a rispondergli il
25

5.10 Page 50

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2 luglio. Dopo averlo ·ringraziato e assicurato che,
nella città di Montpellier e i~ partic~lare nel ·Se-
minario, si conservava vivissimo il ricordo d el-
a la sua visita, aggiungeva che lui però era ri-
masto un gran rammarico; poichè, avendolo la-
sciato, durante la breve permanenza, interamente
a disposizione degli altri, non si era mai potut~
procurare la comodità di discorrere con lui da
solo a solo, mentre ·avrebbe avuto vivo desiderio
di .,interrogarlo a riguardo dei ~ piccoli segreti»
che Don Bosco adoperava per portare le anime a
Dio.
È vero che, durante il breve soggiorno del no-
·stro Padre, il Rettore aveva domandato come riu-
scisse,_ con sì scarso numero di aiutanti, a diri-
gere e a governare tanti giovani, e che Don Bo-
sco gli avyva risposto come tu,tto il segreto stava
~ell'infondere il santo timor di Dio.
Ma il Sig. Dupuy osservava ora nella sua
lettera : « Il timor di Dio è soltanto il principio
' della sapienza; io invece yorrei sapere come fa
lei a guidare le anime· al sommo della sapienza,
·che è l'amor di Dio ». (9).
Quando glì si l~sse lo scritto dello zelante Ret-
tore, Don Bosco esclamò: ( ·Il mio m etodo si
vuole che io esponga. Mah!... Non lo so neppur
io! Sono sempre andato avanti come il ~ignore
n;i.'ispirava e le circostanze esigevano> (10).
26

6 Pages 51-60

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6.1 Page 51

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Queste . parole del nostro Padre furono pur-·
troppo da taluni erroneamente interpretate, qua-
si che S. Giovanni Bosco avesse affermato di non
sapere . quale foss·e il sistema da lui seguito nel-
l'educazione della .gioventù. Nulla di più falso!
. La lettera del Sig. Dupuy conteneva, sì, l'ac-·
/
.
I
cenno a una questione di disciplina pedagogica,
ma per dire che essa era già stata risolta dal San-
to a viva voce.
,.
Quello invece che ora premeva al Rettore' di
sapere, · erano, ripetiamo, i segreti per portare le
anime all'amor di Dio: questione, come ognun ve-
de, non più. semplicemente di pedagogia, ma
- per esprimerci con Ùn termine caro _, ai :nioder-
ni - di spiritualità. E tanto è così, che, nella stes-
sa letfera, il Sig. _Dupuy prosegue parlando di
un confronto fra la spiritualità di San Vincenzo
e quella di San Francesco di Sales, chiedendo
pure il parere di Don _Bosco al riguardo: parere
che noi ignoriamo.
Orbene, l'esclamazione del Santo è ovvia, se
si . riferisce alla guida particolare delle anime,
la quale esige somma prudenza e capacità di adat-
tamento così ai bisogni spirituali dei singoli,
come alle diverse vie · della Grazia. Ecco percliè
Don ·Bosco. dice di non seguire un suo sistema
rigido, ma di piegarsi alle circostanze concrete
e alle ispirazioni del Signore.
2:7

6.2 Page 52

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Uguale risposta aveva dato parecchi anni pri-
ma a simile domanda. Nel 1862 Villa Giovanni,
poi Salesiano, trovandosi a Osimo come soldato,
fu pregato da un sacerdote di domandare a Don
Bosco quale segreto avesse per attirare così po- ·
tentemente il cuore dei giovani. Il Villa, venutb
poco dopo a Torino, riferì l'incarico avuto, e Don
Bosco rispose: « Io Fignoro. Se quel buon prete
ama Dio, riuscirà pure in ciò assai meglio di
me » (11).
Erronea invece sarebbe ogni interpretazione
che negasse in Don Bosco la consapevolezza
I',
di un suo metodo ben determinato nel campo
dell'educazione. Questo sarebbe travisare il vero
senso deile parole pronunciate dal Santo e fare
nello stesso tempo un yero torto al grande Edu-
catore.
Infatti egli ·avrebbe affermato, nel 1886, che
neppure lui sapeva quale fosse il suo sistema
o metodo pedagogico, mentre tante volte ne ave-
va parlato ai suoi figli; an:z;i, fin dal 1852, e poi
negli anni successivi, aveva incominciato ad ab-
bozzare i Regolamenti, tutti ispirati ai criteri, che
più tardi avrebbe espressi nell'opuscolo sul Siste-
ma Preventivo. E si potrebbe credere seriamente
che Don Bosco 4: non conoscesse » il suo sistema,
lui che, quasi quarant'anni prima, aveva deci-
samente formulato la sua scelta pel Sistema Pre-
28

6.3 Page 53

▲back to top
ventivo, e ne aveva così limpidamente espresse
le norme fondamentali? Ci sembra contrario a
ogni sana ragione il pensarlo; e ciò tanto più,
se si pensa che le pagine sul Sistema Preventivo
erano . per Don Bosco soltanto « l'indice » di un
lavoro pedagogico di più ampio respiro, che egli
non ebbe poi opportunità di scrivere, ma il cui
contenuto gli fu sempre presente alla mente per
1dirigerne l'azione.
Il Sig. Dupuy gli inviava la suà lettera, come
si disse, nel 1886; ma Do:ri Bosco, ripetiamo, fin
dagli inizi della sua opera aveva manifestato b en
chiaramente di avere, nel campo pedagogico, idee
limpide e precise circa il sistema da lui pratica-
·to: idee che inculcava ai suoi figli, vigilando per-
chè fossero· fedelmente osservate, anche in certe
norme che taluno avrebbe potuto giudica~e di 1
poca importanza.
Del resto, in molte altre circostanze, e rispon-
dendo ad analoghe domande, Don Bosco aveva
avuto occasione di precisare quali fossero i suoi
prÌncìpi in campo eduçativo e quale fosse il suo
sistema. Nè mai egli negò di avere ùn sistema;
anzi di questo si faceva cura di enunziare e chia._
rire quali fossero gli elementi fondamentali e i
princìpi info:cmatori.
Ci valga di esempio, fra tutti, un episodio
avvenuto nel 1884, cioè due anni prima della
29

6.4 Page 54

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7.
conversazione col S_ig. Dupuy e della lettera
di questi al Santo.
Il 25 aprile 1884 un redattore del Journal de
R,ome pubblicava una intervista con Don Bosco.
Il giornalista aveva chiesto: « Vorrebbe dirmi
qual il suo sistema educativo?» Il Sa~to ri-
spose: « Semplicissimo. Lasciare ai .giovani piena
libertà di fape le . cose che loro maggiormente
aggradano. Il punto sta di scoprire in essi i
germi delle loro buone disposizioni e procurare
di svilupparle. E, poichè ognuno fa con pia~ere ·
soltanto quello che sa di poter fare, io mi regolo
con questo principio, · e i miei allievi lav,oranò
tutti, non solo con attività, ma con amore. In qua-
rantasei anni non ho mai inflitto neppure un ca-
stigo, e oso affermare che i miei alunni mi voglio-
no molto benè » (12).
Dopo ciò crediamo che non possa sussistere
più alcun dubbio circa il senso - ascetico, e non
pedagogico - delle citate umilissime parole· di
· Don Bosco: « Il mio metodo? ... Non lo _so neppur ,
io!» ·.
b) LA SCIENZA PEDAGOGICA ·DI DoN Bosco.
Oggi è invalsa la consuetudine di chiama;re,
pedagogo o educ.aiore colui che si applica- per-
sonalmen.te all'arte di educare, e cioè all'opera
30

6.5 Page 55

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educativa direttamente attuata. Chi invece si de-
dica alle scienze educative o ·pedagogiche, chi
scrive di materie che riguardano la scienza del-
1'educazione, e più particolarmente chi espone 1e
proprie idee educative come frutto di accurate
ricerche e riflessioni scientifiche circa il proble-
ma pedagogico, vien chiamato, con parola moder-
na ormai ammessa e · usata da iutti, pedagogisfa.
Orbene, fra i pedagogisti che moltiplicano
scritti ed anche trattati cli pedagogia, ve ~e sono
di quelli che mai, o quas1 mai, si sono occupati
nell'educaré praticamente la gioventù: infatti con
i giovani essi non ebbero consuetudine o convi-
venza personale, nè nella scuola nè in Collegi o
· Convitti. ·
È evidente che alla -scienza pedagogica di cote-
sti autori manca il collaudo e il tesoro dell'espe-
rienza, la quale, ·in questo campo, ha il più delle
volte valore decisivo.
Che Don Bosco sia stato anzitutto pedagogo,
nel senso che si impegnò nell'educazione pratica-
ta e vìssuta, è cosa tanto risaputa e universalmep.-
te ammessa, che non è necessario spendere paro-
. le per dimostrarlo. Nella storia dell'educazione
non si riscontrano· molti · che, come lui, abbiano
speso tanti anni di vita, tante · fatiche, tanti sa-
crifici nell'opera educativa, portandola· . a tale
esfensi'one di soggetti, a tanta profondità di vedu-
31

6.6 Page 56

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te a risultati tanto sorprendenti, da eccellere tra
i migliori educatori di tutti i tempi.
P er ciò che riguarda in particolare l'estensione
del suo lavoro educativo, egli, pur av,endo sempre,
fin dai suoi inizi, come soggetto delle sue prefe-
renze i giovani più poveri e derelitti, col cresce;ré
degli anni e con lo svilupparsi delle sue opere,
abbracciò, nelle manifestazioni della carità, qua-
si tutte le categorie di educandi: dagli analfa-
beti e dagli alunni delle prime scuole ·elementari
a quelle dei corsi medi, ginnasi~li e liceali; dalla
prima infanzia e fanciullezza alla adolescenza
e giovinezza: dagli alunni · delle classi meno ab-
bienti fino a quelli del ceto medio, non rifiutan-
do, dietro istanze dei genitori, quelli di f,amiglie
benestanti e anche nobili, purchè si adattassero
al trattamento sempre modesto dei suoi Istituti.
Su quest'ultimo punto il buon Padre metteva in
guardia i Salesiani al fine di evitare che, p er ri-
guardo a qualche ricco o patrizio, il quale vo-
lesse a ogni costo affidar loro i propri figli, com-
mettessero l'errore funesto di attrezzare con lus-
so le loro Case, o di assumere -:- nelle divise,
nel vitto, o in altre manifestazioni - atteggia-
menti meno conformi alle loro tradizioni di po-
vertà, mai disgiunta p:erò dalla proprietà e dal-.
l'ordine.
Sull'esempio del Padre, e interpretandone e
.32

6.7 Page 57

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sviluppandone il pensiero, i Salesiani e le Figlie
di Maria Ausiliatrice continuarono e continuano
tuttora a portare il beneficio di una educazione
profondamente cristiana alla gioventù delle già
indicate categorie sociali, preferendo però sem- .
·,
pre gli orfani, i derelitti, gli umili, i figli di ope-
rai, per formarli nelle scuole professionali e in-
dustriali, come pure la grande massa dei figli
dei contadini, da elevare moralmente e tecnica-
mente -nelle scuole agricole, queste e quelle spar-
se ormai, in numero rilevante e con vero vantag-
gio della società, in tutte le parti del mondo.
Abbiamo detto che Don Bosco compì l'opera
educativa anche in profondità, non limitando il
suo lavoro pedagogico, come avviene in troppi
casi, alla pura istruzione, - il che crea esseri
deformi, dalla testa smisurata e dal cuore rat-
trappito, - ma estendendo invece - con integrità
di comprensione e .pienezza di responsabilità -
le sue attività pedagogiche a tutti gli aspetti del-
1'educazione, e cioè a quello fisico, intellettuale,
estetico, morale, religioso, e anche sociale.
Questa educazione integrale, senza squilibri
nè parzialità, è forse uno dei pregi più notevoli
e ·pratici dell'opera educativa di Don Bosco, so-
prattutto .quando si pensi che egli visse nel se-
colo in cui dominava ancora il vezzo degli illu-
ministi e dilagava quello dei razionalisti, che ogni
33
2 (I)

6.8 Page 58

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loro cura dedicavano a illuminare e arricchire le
menti senza purtroppo curarsi come sarel?be stato
necessario della doverosa formazione murale · e
spirituale degli alunni.
Questo profondo convincimento e questa co-
stante preoccupazione pratica di dare ai giovani
una formazione equilibrata e completa è, lo ripe-
tiamo, la nota più caratteristica dell'orientamento
pedagogico e del lavoro educativo di San Giovan-
ni Bosco.
Se poi si volesse mettere in evidenza qualche sua
·speciale preoccupazione o preferenza per i diversi
aspetti o settori dell'opera sua educativa, ci pare
di poter affermare che il nostro Padre, pur man-
tenendosi nell'armonia e nell'integrità delle sue.
attività pedagogiche, dedicò cure del tutto speci~li
all'educazione profondamente cristiana della gio-
v,entù; anzi sacra egli chiamò e volle la peda-
gogia, come a suo luog,0 vedremo.
· Egli infatti era intimamente persuaso che la
radice e la chiave dello sviluppo e del perfetto
ordinamento della vita del giovane è proprio la
formazione religiosa e morale, senza di cui qual-
siasi educazione sarebbe monca e imperfetta, per.:
chè, non diretta dalla luce del Fine Sopranna-
'turale e priva delle potenti risorse della Grazia,
mancherebbe della base granitica che deve sor.:.
reggerla.
' 34

6.9 Page 59

▲back to top
In c10 ·n Santo ebbe il più alto e solenne ri-
conoscimento dal grande Papa Pio XI; il quale
esaltò la « educazione cristiana come Don Bosco
l'intendeva, cioè profondamente, completamente,
squisitamente · cristiana e cattolica·» (13).
Se volessimo infine p·arlare dei risultati da lui ·
ottenuti, dovremmo richiamarci all'intera sua vita,
al prodìgioso sviluppo delle sue opere, al costante
moltiplicarsi dei suoi figli, al contributo portato
in così alta misura dai suoi Ex-Allievi in tutta
la scala delle gerarchie sociali, alla cooperazione
sempre più çstesa, fattiva e cordiale, di centinaia
'
di migliaia di Cooperatori, Cooperatrici e Bene-
fatiori, financo acattolici e pagani, che, con ge- .
nerosità, impiantano, sorreggono, sviluppano i
suoi istituti sotto tutti i cieli e tra tutti i popoli.
. Ma, tralasciando di moltiplicare le citazioni
di fatti d'altronde universalmente conosciuti, po-
niamo invece termine a queste considerazioni
riaffermando un concetto già espresso, sul quale
però è bene insistere, e cioè che un'opera diutur-
na,- così coerente, èosì estesa, così notevole in pro-
fondità, e feconda di risultati, non poteva non
essere frutto di chiare, sode e ben ponderate
idee pedagogiche.
Queste idee poi Don Bosco non si limitò a
tradurle in pratica nella sua lunga missione di
educatore, ma le manifestò ripetutamente nei suoi
35

6.10 Page 60

▲back to top
\\.
scritti, e in molte conferenze e conversazioni, che
i ruoi figli raccolsero con diligenza e amore, e
tramandarono alla posterità nelle Memorie Bio-
grafiche .
. E qui ci venga concesso di rivolgere un rin-
graziamento a quei membri della Società Sale-
siana, che, avendo intuito sùbito la grandezza
morale di Don Bosco e la sua missione provvi-
denziale, ·si proposero, per somma nostra ventura,
di prender nota delle sue attuazioni e di fissare
le sue parole per tramandarle a edificazione e
. istruzione di quanti sarebbero poi divenuti suoi
figli, suoi divoti, suoi ammiratori, e, comecchessia,
continuatori del suo apostolato.
Appunto dall'attento esame di ·guanto fece,
~crisse e disse Don Bosco, risulta la robustezza
di struttura delle sue opere. Esse infatti poggia-
no sulla salda base di idee e princìpi pedago-
gici, che egli aveva profondamente elaborati e
radicati nella mente, irrobustendoli ogni giorno
più con le personali esperienze nell'educazione
dei suoi giovani, e così pure con la lettura di
opere pedagogiche, con frequenti contatti cogli
ottimi pedagogisti che :fiorivano ai suoi tempi
nella capitale del Piemonte, dai quali era ap-
prezzatissimo, ed anche con visite accurate ai
principali Istituti di educazione della regione in
cui viveva, e di altre parti d'Italia e d'Europa.
36

7 Pages 61-70

▲back to top

7.1 Page 61

▲back to top
e) DoN B~sco, SCRITTORE
DI MATERIE PEDAGOGICHE,
Diciamo subito che Don Bosco non ha scritto
un vero e proprio trattato di pedagogia: le sue
idee circa l'educazione si trovano disseminate nei
suoi scritti e nelle sue parlate. E lo sono in mi-
sura tanto completa e abbondante da potersene
compilare una trattazione, che speriamo possa es-
sere presto reializzata.
Noi qui ci preoccupiamo solo di passare in
breve rassegna alcuni scritti pedagogici di Don Bo-
sco, allo scopo di formarci un concetto sempre
più chiaro del contributo dato dalla penna del San-
to alla soluzione del problema educativo.
È doveroso assegnare il primo posto all'opu-
scolo, pubblicato l'anno 1877, dal titolo Il Sistema
Preventivo. In esso egli presenta i concetti fonda-
mentali del suo sistema pedagogico e fissa quale
dèbba essere il principio animatore dell'opera
educativa, di cui traccia le linee essenziali: e ciò
fa con la sua solita aurea chiarezza e praticità,
senza preoccuparsi di dare al suo lavoro anche
.
soltanto l'apparenza di' una elaborazione scienti-
fica.
Eppure, in quelle pagine, quale profondità
di dottrina, quanta sapienza di norm~, quale pra-
ticità d'impostazione e fecondità di orientamenti
37
.

7.2 Page 62

▲back to top
,\\
•.
s~iluppati~i al calore delÌa carità che gli ardeva
in cuore; e, in fine, quale chiaro e giusto concetto
di quel principio· soprannaturale eh; dev'essere
l'anima di ogni p.edagogia destinata a dare frutti
di salvezza!·
Verso la fine dell'anno 1911, chi scrive, accom-
k
pagnava il venerato Don Albera nella visita alle
Case dell'Austria, della Polonia e della Jugosla-
via. Precisamente a Vienna ebbi la sorte d'intrat-
tenermi con il celebre P. Krammer, Professore
di Pedagogia in quella Università.
Egli aveva studiata a fondo l'opera educativa
di Don Bosco, divenendone ammiratore sincero.
Appunto nel corso di quella indimenticabile con-
versazione il chiarissimo Professore, parlando del-
l'opuscolo scritto da Don Bosco sul Sistema Pre-
ventivo, mi diceva: « Vi assicuro che io ho tro-
vato maggior ricchezza di sano contenuto ped~go-
gico, e più sapienti e pratiche norme èducative,
ip quelle brevi pagine, che non in · tanti volumi
m folio, i quali pur vanno per la maggiore ».
Ciò prova che non basta leggere superficial-
me.nte il prezioso trattatello. Esso vuol essere ben
considerato in ogni suo p·articolare concetto; e
brillerà in tutta la sua luce, quando sia messo.
fedelmente in pratica.
Notevoli fonti del pensiero pedagogico di Don
Bosco sono inoltre il Regolamen.fo degli Oratori
38
'

7.3 Page 63

▲back to top
Festivi, il Regolamento delle Case, le Costituzio-
ni e i Regolamenti della Società Salesiana.
Nel R egolamento degli Oratori Festivi, noi
troviamo come in germe tutta l'Opera Salesiana e,
·in particolare, chiaramente abbozzato il sistema
,
che Don Bosco intendeva usare e, tramandare ai
suoi figli per l'educazione dei giovani. Quel li-
bretto· è una vera miniera, purtroppo non sem-
pre sufficientemente conosciuta e approfondita.
D 'altronde era giusto che il nostro Padre, trat-
t~ndos1 della prima opera da lui fondata e che
maggiormente gli stava a cuore, versasse· in quel
breve Regolamento tanti tesori di carità, di cri-
stiano senso pedagogico, di praticità organizza-
tiva.
Il Regolamento delle Case è un vero codice
p edagogico: è La cornice nella quale d eve svolgersi
·,
l'opera educativa dei suoi figli; è il saldo e si-
curo binario da percorrersi da chi yoglia seguire
Don Bosco nel suo lavoro di ricostruzione so..
ciale.
Il nostro Padre amò sempre far precedere la
' pratica, la vita vissuta, alla compilazione della
legge. Impiegò molti anni, prima di giungere alla ·
redazione definitiva di quel Regolamento, la cvi
elaborazione aveva avuto inizio nel 1852 ed era
stata preceduta, durante alcuni anni, da varie e
brevi norme, scritte su di una tàbella che si te-
39
\\'
'

7.4 Page 64

▲back to top
I
neva esposta in dormitorio perchè i giovani po-
tessero leggere e ricordare. Solo dopo venticinque
anni lo diede alle stampe.
Questo lungo lasso di tempo sta a provare che
esso fu in verità frutto di ponderato studio, di co-
stante osservazione e di diuturna esperienza.
Se talvolta, nella esplicazione dell'opera affi-
dataci dall'ubbidienza, qualcuno di noi ha riscon-
trato manchevolezze e insuccessi, ripensandoci su,
chissà che non debba forse riconoscae che ciò
dipese dal non aver opportunamente ricor·dato e
messo in pratica il Regolamento delle Case!
È certamente cosa lodevole e ottima leggere
solennemente il Regolamento davanti a tutti i Su-
periori e giovani, all'inizio dell'anno scolastico-
professionale-agricolo, come ·volle e praticò ,Don
Bosco; ma alla labile memoria umana c10 non
basta, e quindi è bene ritornare più v.olte a dis-
setarci a quella fonte vitale.
Nè poteva mancare abbondanza di contenuto
pedagogico nelle Costituzioni Salesiane. Don Bo-
sco si era proposto di formare una grande fami-
glia di educatori. Ed era logico che, nel gettare
le basi della sua Società, nell'innalzarne le mura
robuste, nel condurne a termine la struttura, nel
dotarla all'esterno e all'interno di tutti quei sussi:
di e sostegni che dovevano renderla completa e
atta alle sue finalità, non perdesse mai di vista
40

7.5 Page 65

▲back to top
la missione fondamentale dei suoi figli: ai quali,
come educatori, si dovevano dare nelle Costitu-·
zioni princìpi e direttive, atti a rendere la loro
opera educativa feconda e duratura.
Fonte copiosa di sapienza pedagogica. ci ha
poi lasciato Don Bosco nelle Vite, da lui scritte,
di Domenico Savio, Michele Magone, France~co
Besucco, Luigi Fiorito Colle, figlio dei Conti Colle
di Tolone.
Nella compilazione di queste biografie è da
mettere in rilievo il grande senso pratico edu-
cativo di Don Bosco. Egli era convinto che la for-
za dell'esempio nell'educazione è irresistibile, e
che l'imitazione, se non è tutto, è certamente pres-
sochè tutto, quando si tratta di giovani. Ed ecco
i,; perchè egli stesso volle s_crivere, · con quella ini-
mitabile chiar·ezza di pensiero, semplicità di frase
.
e fedeltà storica, le Vite cli quei giovanetti, tre
dei quali egli stesso aveva raccolto nella sua pri-
ma Casa, conosciuta oggi ancora col nome di
Oratorio, guid·andoli man mano nel nuovo am-
biente, mediante le norme del suo sistema peda-
gogico, fino alle più alte vette della perfezione.
Abbiamo detto pensatamente che tali biografie
furono scritte con fedeltà storica, p,er dare ri-
salto a una qualità che nel nostro Padre risplen-
dette in sommo grado, e che fu riconosciuta dalla
Chiesa stessa, duJante la Causa di Beatificazione
41

7.6 Page 66

▲back to top
del Giovanetto Domenico Savio, con e~plicita ed
· autorevole dichiarazione della speciale Sezione
Storica annessa da Pio XI alla Sacra Congrega-
zione dei Riti.
·
Don Bosco infatti, nello scrivere le Vite di quei
cari giovanetti, oltre a basare le sue affermazioni
sull'intima conoscenza che egli aveva avuto di essi
per lunga domestichezza e costanti contatti per-
sonali, potè attingere dati sicuri e notizie esatte
dai Superiori, compagni e altre persone con cui
detti giovani erano vissuti. '
Se nelle biografie scritte da Don Bosco gli
alunni avessero riscontrato qualcosa di meno esat-
to storicamente, si sarebbero affrettati, per quel
senso d 'intimità ·filiale che li univa al lor o Padre
e r endeva naturale e spontanea la· confidenza, a
presentargli le osservazioni che avessero ritenute
opportune. Anzi lo stèsso Don Bosco li esortava a
ciò, appunto ·perchè gli premeva che la luc~ delle
virtù di questi santi giovan.etti si accrescesse e
completasse con lo splendore cli una assoluta ve-
rità storica (14).
Si aggiunga che l'importanza pedagogica cli
queste biografie acquista nqtevole valor.e dal fatto
che ognuno di tali giovanetti aveva speciali ca-
ratt eristiche d'in<lole, d'intelligenza: d'impulsi e
sensibilità; inoltre ognuno proveniva da ambienti
diversi e aveva avuto antecedentemente relazioni
42
I.

7.7 Page 67

▲back to top
con persone che poterono contribuire a una di-
versa formazione iniziale.
Il piccolo Savio pareva destinato da Dio a
condurre una vita angelica fin dagli anni più te-
neri, tanto era innocente l'anima sua e robusta la
sua virtù. Fin dai primi contatti con Don Bosco
il virtuoso giovanetto ne intuì la santità, e, giunto
all'Orato;io, si mise totalmente nelle sue mani.
E precisamente in Domenico Savio la pedago-
gia di Don Bosco ebbe il suo coronamento, al
punto di poter noi con.siderare il Savio come iL
tipo della santità salesiana: la santità infatti è il
movente e la mèta di tutto il lavoro · pedagogico
di Don ·Bosco e dei suoi figli.
E si avverta che nello scrivere la biografia di
Savio Domenico - la quale dai posteri sarebb~
stata considerata èome suo capolavoro - Don Bo-
sco non si diffonde nell'enumerare formule e nel-
l'indicare princìpi e precetti di scienza pedagogi-
ca, che avrebbero .pur potuto esser discussi. No.
Egli si limita invece a narrare ·con semplicità i
fatti, perchè da questi intendeva si sprigionasse
una pedagogia praticamente controllata e vissuta.
Michele Magone, il birichino della strada, il
capo dei monelli, insofferente di ogni giogo, au-
dace per natura, nascondeva sotto la ruvida scor-
za delle sue bravate e monellerie, un cuore d'oro.
Guidato da un sapiente educatore, sotto la for·za
43

7.8 Page 68

▲back to top
trasformatrice dell'educazione cristiana, avrebbe
primeggiato anche nel bene, e con maggior slancio
di quello che avesse avuto nella vita di monello
fino al giornc;> in cui Don Bosco, dopo averlo cono-
sciuto capitano qegli sbarazzini nei pressi della
stazione di Carmagnola, lo aveva condotto al suo
Oratorio.
Nella biografia di Michele Magone si manifesta
soprattutto quanta forza attribuisse Don Bosco
alle pratiche religiose nell'educazione della gio-
ventù: senza di esse manca agli elementi educa-
tivi il principio organico, l'anima di quella for-
mazione morale che è la mèta principale da rag-
giungeTe nell'educazione.
Il terzo gioiello di natura squisitamente peda-
gogica è la biografia di Francesco Besucco, il Pa-
storello delle Alpi, che aveva avuto la sorte di
trovare nel suo parroco un uomo profondamente
spirituale.
Questi seguiva giorno per giorno il suo piccolo
parrocchiano, e, vedendolo crescere in modo del
tutto straordinario nella pratica delle virtù, si ac-
cinse a dargli una soda formazione ascetica.
Quando poi il -virtuoso sacerdote udì parlare di
Don Bosco e dei risultati meravigliosi che eg1i
otteneva nell'educare i giovani, credette, nella sua
umiltà, che il còmpito suo fosse esaurito, e offrì
a Don Bosco quel tesoro di giovanetto, perchè l'e-
44

7.9 Page 69

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sperto e santo educatore completasse l'opera da
lui iniziata, dando in certo modo gli ultimi ritoc-
chi a quel piccolo capolavoro di :virtù cristiane.
Il Besucco venne infatti all'Oratorio, ove con-
dotto dalla mano esperta di Don Bosco, nei pochi
mesi che gli rimanevano di vita, raggiunse un
non comune grado di santità, a tal punto che Don
Bosco stesso credette di fare cosa utile ai suoi
giovanetti scrivendone la vita.
La rassegna delle biografie pedagogiche scrit-
te dal nostro Fondatore non sarebbe completa se
non parlassimo della breve vita di Luigi Fiorito
Colle.
I suoi genitori non solo furono grandi ammi-
ratori, ma fòrse i più insigni benefattori del Santo,
che li visitava frequentemente e a loro ricorreva
con assoluta fiducia in tutte le sue necessità. Essi,
fortemente radicati nella Religione e nell'esercizio
,delle virtù cristiane, si erano grandemente preoc-
cupati della formazione spirituale del loro Luigi,
cosicchè il giovanetto era cresciuto illibato e san-
to. Don Bosco lo conobbe quando era ormai ma-
turo per il Cielo.
Perduto quel loro tesoro, i desolati genitori,
solo nella Religione e nella corrispondenza affet-
tuosa di Don Bosco, poterono trovare balsamo per
il loro animo straziato.
._ Don Bosco, raccontando i suoi sogni, parlò
45

7.10 Page 70

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parecchie volte dell'angelico Luigi Colle. Lo yide
negli splendori della gloria e ne ricev~tte superne
ispirazioni.
·Per questo, negli ultimi anni della sua vita,
/#
fornì al salesiano Don De Baruel dati e conside-
razioni pedagogiche, perchè ne abbozzasse la Vita
in lingua francese. In quelle pagine, lo scrittore
·non sempre seppe imitare l'aurea semplicità dello
stile e la chiarezza del pensiero di Don Bosco,
il quale, come abbiamo detto, rifuggivà da tutto
- ~iò che avesse anche solo un~ lontana parvenza
di pretenziosità.
Comunque, la vita di Luigi Colle è talmente
ispirata alle idee pedagogiche di Don Bosco e
tracciata nella cornice dei fatti e delle relative
considerazioni da lui suggerrte, che il nostro Pa-
dre non esitò- a farla sua, pubblicandola col suo
nome. Anche in essa infatti noi ritroviamo tutta
l'anima del santo educatore.
Considerando le biografie di questi cari giova-
netii, sgorgano logicamente alcune considerazioni.
Anzitutto Don Bosco seppe dare ad essi, giunti
a lui con natura e con,dizioni familiari, sociali,
relidose, diverse, tale formazione, da farli ogget-
·to di ammirazione da parte dei loro stessi condi-
scepoli, che li considerarono e proclamarono santi.
Ma ancor più ci interessa e riempie di stu-
pore, costatare l'immenso tesoro di alta dottrina
46

8 Pages 71-80

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8.1 Page 71

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pedagogifa che si sprig10na dalle pagine da lui
scri±te narrandone la vita. E questo dicasi pure
degli edificantissimi Cenni si-orici sulla vita del
Chierico Luigi Comollo, e di due altri prezio1Si
libriccini, intitolati Severino (ossia Avventure di
un giovane alpigiano) e Pietro (o La forza della
buona educazione). Di quest'ultimo solo una metà
è del Santo, il quale tradusse l'altra metà da un
opuscolo francese anonimo, che egli però fece suo,
accettand~ne e avallandone il contenuto.
Notiamo poi che le biografie di Savio, di Ma-
gone e di Besucco sono il ritratto fedele dell'am-
biente della casa salesiana in cui vissero e dei
sussidi pedagogici messi in opera a seconda d el
carattere e delle condizioni dei singoli: insom-
ma, una vera apologia del sistema preventivo,
praticato in una soave atmosfera cli carità e di
serena letizi~ nell'esercizio della pietà e di -ògni
più bella virtù, in costante ascesa verso la santi-
tà. Poichè - giova ripeterlo - Don Bosco era
conv:into che, proprio nell'adempimento dei pro-
pri doveri e nella pratica clell'amor di Dio e del
prossimo, sbocciano, crescono e si irrobustiscono i
migliori propositi dei giovani, ai quali così riesce
facile corrispondere alle cure dei Superiori, pra-
ticarne gli insegnament( e dare frutti prez10si
· per la terra e pel Cielo.
Altre fonti del pensiero pedagogico di Don
47

8.2 Page 72

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Bosco noi troviamo nei suoi scritti st~rici. Egli
intendeva che effettivamente la storia fosse mae-
stra della vita, specie trattandosi di giovani, i
quali sono portati quasi istintivamente all'imita-
zione.
Nella Storia Sacra, nella Storia Ecclesiastica,
nelle Vite dei Papi, nella Storia d'Italia, Don Bo-
sco ha saputo disseminare un vero tesoro di dot-
t~ina pedagogica e di norme educative traendo,
dai fatti e dai personaggi, tali logiche deduzioni
di concetti, esortazioni e stimoli formativi, da la-
sciar capire, a chi approfondisca il suo pensiero,
<:JUale potenza educatrice racchiudesse l'anima
sua, che di tutto sapeva profittare per tener lon-
tani i giovani dalla via del vizio e guidarli alla
virtù.
Non ultima fonte deUa pedagogia di Don Bo-
sco è nei libri ascetici e nelle operette ·agiografi-
che e morali, che egli scriveva per i giovanetti e
pel popolo.
Primeggia su tutti il Giovane Provveduto, tra-
dotto · nelle principali lingue e diffuso in milioni
di copie. In quelle pagine si ritrova e quasi si
rivive lo zelo ardente di Don Bosco per avvici-
nare le anime dei giovanetti a Dio, fonte, modello
e mèta di ogni formazione.
Altrettanto dicasi della Figlia Cristiana e del
Cattolico Provveduto.
48

8.3 Page 73

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Nelle Letture Cattoliche il nostro Padre pub-
blicò non pochi volumetti di indole agiografica,
morale ed anche polemica.·
Educatore nato, da tutto egli traeva argomen-
to per fissare e inculcare norme educative allo
scopo di migliorare i giovani e la società.
Insomma, la sua meravigliosa sensibilità pe-
dagogica è manifesta in tutti i '.suoi scritti. Ci pare
anzi di poter affermare che egli si prefisse di dar
sempre la preferenza a quegli argomenti, che
presentassero maggior interesse formativo delle
menti, dei cuori e del carattere cristiano, sia che
i suoi scritti fossero in particolare indirizzati ai
giovani, sia che riguardassero il popolo in ge-
nerale.
Ma forse la fonte più abbondante della peda-
gogia di San Giovanni Bosco noi la troviamo nei
diciannove volumi delle Memorie Biografiche: essi
costituiranno sempre il più ricco patrimonio della
vita, virtù, esempi, spirito e dottrine pedagogiche
di San Giovanni Bosco.
A questo mirabile tesoro si possono aggiungere
i Cinque Lustri dell'Oratorio di S. Francesco di
Sales scritti da Don Bonetti e direttamente con-
trollati da Don Bosco, e così pure le Deliberazio-
ni prese nei primi quattro Capitoli Generali pre-
sieduti dal Santo 'Fondatore. Grande importanza
ha pure la collezione del Bollettino S,alesiano
49

8.4 Page 74

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pubblicatQ ancora sotto gli occhi del nostro buon
Padre.
Non possiamo poi dimenticare l'abbondante
materiale delle prediche, delle innumerevoli con-
ferenze e sernioncjni della Buona Notte, nonchè le
numerose lettere, nelle quali, specialmente se
scritte ai suoi figli, il Santo non ·lascia mancare
quasi mai lo spunto pedagogico. Alcune poi, co-
me quella inviata da Roma il 10 maggio 1884,
sono veri tesori di pedagogia sales~ana, come ve-
dremo a suo tempo.
Fonte non trascurabile del pensiero educativo
di Don Bosco sono pure i suoi sogni. I concetti, le
norme .e le direttive in essi racchiusi hanno quasi
un . pregio carismatico: giacchè va sempre più
rafforzandosi la persuasione che i cosiddetti .sogni
del nostro Padre siano state vere ispirazioni dal-
l'Alto, a volte con carattere profetico, quasi 15em-
pre con orientamento didattico e valore pedago-
gico d'inestimabile valore.
Chi infine si proponga di studiare in tutta la
sua estensione il patrimonio pedagogico lasciato
da Don Bosco ai suoi figli, non può prescindere
dalla ricca fonte della tradizione salesiana, com~
può giustamente chiamarsi la pedagogia vissuta
dai figli di Don Bosco ~otto il suo sguardo e il
suo controllo, e tramai1data poi fedelmente alle
successive generazioni: le quali si sforzarono di
·}
\\
'

8.5 Page 75

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fissarla in attuazioni pratiche e m scritti larga-
mente noti.
E qui è bene mettere in rilievo un particolare,
che giudichiamo di non lieve importanza. Don
Bosco, per formare la sua Società Salesiana, pre-
ferì servirsi dei suoi giovani. Sono pochissimi gli
altri, venuti a Don Bosco in età matura e dopo
aver compiuto una loro formazione in diversi am-
bienti.
Era più facile così al Santo dare una educa-
zione veramente completa e totalitaria a quei pri-
~i soggetti chiamati a costituire la Famiglia Sé:1--
]esiana: i quali divennero in seguito, non solo gli
elementi direttivi, ma, ciò che più conta, gli eredi
e continuatori, oltre che della sua Società, anche
è soprattutto delle sue virtù, dei suoi esempi, del-
le sue dottrine e del suo sistema educativo.
Inoltre la Provvidenza dispose che i Superiori
destinati a essere fino ad oggi i primi Successori
di Don Bosco avessero avuto la sorte di essere
stati suoi alunni, lui vivente. Alcuni vissero molti
anni al suo fianco; tutti lo conobbero, e apprese-
ro, per lunga consuetudine con lui e con i primi,
la più genuina e fresca tradizione salesiana.
Da questo ci pare di poter dedurre che il p en-
siero di Don Bosco Educatore potè essere appreso
nella sua genuina integrità e venir tramandato
con pièna sicurezza da coloro che furono chia-
51 ·

8.6 Page 76

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mati ad occupare il suo posto nella continuazio-
ne e sviluppo dell'Opera sua. Non per nulla,
dei primi tre defunti Successori del Santo, due
sono già avviati all'onore degli altari: Don Rua
e Don Rinaldi.
Si aggiunga che le prime Vite di Don Bosco
e alcuni stampati che racchiudevano l'essenza e
le µorme del suo sistema educativo, uscirono alla
luce vivente ancora .Don Bosco; quindi possiamo
essere sicuri della ortodossìa del loro contenuto.
Dopo la sua morte le di lui biografie, come pure
i commenti pedagogici al suo sistema, si andarono
moltiplicando.
Il suo pensiero educativo fu inoltre fissatq in
questi ultimi lustri negli Annali della Società
Salesiana, pubblicati con ponder<1:to senso storico
dal nostro caro e tanto benemerito Don Ceria,
il quale approfondì come pochi tutto ciò che ri-
guarda la vita, le opere, le idee e le pratiche pe-
. dagogiche di Don Bosco.
Il nostro fecondo Don Caviglia seppe egli pu-
re presentarci un tesoro di idee e spunti pedago-
gici, da lui dedotfr con non comune comp·etenza
dall'esam e degli Scritti del nostro Padre: anche se
gli potè sfuggire talora qualcosa di meno con-
trollato, che noi credemmo doveroso segnalare e
rettificare negli Atti del Capitolo Superiore (15).
52

8.7 Page 77

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d) IL « SISTEMA EDUCATIVO»
m DoN Bosco.
Il nostro Santo Fondatore pubblicò il noto
opuscolo dal titolo Il ·sistema Preventivo. Questa
denominazione è orm~i adottata ovunque, ed è
questo il motivo per cui è invalsa l'abitudine di
chiamare il Sistema Preventivo « Sistema educa-
tivo di Don Bosco ».
Il nostro Padre, portato per natura e per amo-
re di chiarezza alla semplicità, usava la parola
« sistema » dandole un s_enso pratico, come se di-
cesse « modo di fare ». Persino nel sermoncino
della Buona Notte, avvisando · alle volte i suoi
giovani dei falli commessi o di abusi introdottisi,
e · accennando a· misure o anche a sanzioni cui si
sarebbe dovuto ricorrere, diceva senz'altro: « Guar-
date p erò ché questo non è il mio sistema ».
Con ciò affermava che non ·era quello il suo
modo di fare, e che egli non intendeva affatto
educare i giovani a base di riprensioni e casti-
ghi. Altre volte, parlando o scrivendo ai suoi
figli, specialmente se Missionari lontani, soleva
dire: « Tu sai come fa Don Bosco ».
Orbene, per « sist_~ma educativo di Don Bo-
sco » noi dobbiamo intendere le idee, i princìpi
e i mezzi che mossero, regolarono e èondussero
a compimento la di lui azione educativa: idee,
53

8.8 Page 78

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princ1p1 e mezz_i, quali ci risultano dalle fonti
sopra indicate.
· Allo scopo di comprendere sempre meglio l'im-
portanza di tutto questo inestimabile tesoro affi-
dato ai Salesiani e alle Figlie di Maria Ausilia-
trice, daremo uno sguardo alla situazione gene-
rale di fronte alla p edagogia.
e) PARTICOLARE RESPONSABILITÀ
DELLA FAMIGLIA SALESIANA.
Oggi purtroppo, come già accadde altre volte,
la società non si rende esatto conto del grave
pericolo che le sovrasta, e che ne minaccia la stes-
sa esistenza: intendiamo parlare degli errori n ella,
scelta del sistema educativo.
È vero che sistemi educativi esistettero in ogni
tempo, perchè, b ene o male, si è sempre educato
in questo povero mondo; ma è vero altresì che
nel succedersi delle generazioni . le s'oluzioni date
al problema dell'educazione furono, non solo di-
verse ed anche contraddittorie, ma soprattutto
apportatrici spesso di conseguenze più o meno
funeste, a seconda del modo con cui erano intesi
i termini del problema stesso: uomo e p erfezione,
autorità e libertà.
Si resta addirittura sgomenti dinantj a certe
aberrazioni, alle quali facevano riscontro nel cam-

8.9 Page 79

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po pratico deviazioni religiose e morali dalle con-
seguenze più funèste pel lavoro educativo: e
questo anche presso nazioni, che pure avevano
raggiunto un notevole grado di civile progresso.
In tal modo, i princìpi, le leggi, le norme stesse
dell'arte educativa, non solo non furono dovuta-
mente formulate nè definitivamente fissate; ma,
ciò che più rattrista, le soluzioni qua e là pro-
spettate, sono ancora ben lontane dalla mèta a cui
tendono .coloro che professano e seguono i sani
princìpi pedagogici della dottrina cattolica.
Anzi in tempi a noi più prossimi la pedago-
gia, per cause diverse, venne a trovarsi in una
situazione ancor più deplorevole, dovuta a due
opposte tendenze.
Taluni infatti si ostinano a considerare la
pedagogia, non solo come serva e mancipia della
filosofia, ma addirittura a identificarla: con essa,
togliendole così ogni respiro proprio e la stessa
possibilità di costituirsi come scienza autonoma
e indipendente.
Altri p er contro, · e sono oggi 1 p1u numerosi,
pretendono rinserréJ.re la pedagogia scientifica: nel-
la stretta cornice della pedagogia naturalistica,
sfruttandone erroneamente i dati scientifici. Molti
purtroppo partendo da uùa visione materialistica
della vita umana, e, ba-sandosi su una filosofia_
miope e angusta, giungono a conclusioni giu•
/

8.10 Page 80

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stamente deprecate nel campo educativo: come
quando riducono tutta l'educazione a uno svi-
luppo somatico e psichico del fanciullo, senza te-
ner conto dei valori morali e spirituali della per-
sona umana.
Se vogliamo conservare il tesoro del sistema
educativo di Don Bosco noi dobbiamo evitare <)Ue-
sti due opposti estremi e mantenerci nel giusto
mezzo, seguendo in ciò le illuminate direttive con-
tenute nell'Enciclica Divini lllius Magistri del-
l'immortale Pio XI e in recenti documenti dcll'an-
gelico Pio XII felicemente r·egnante.
La nostra pedagogia la vogliamo poggiata sul-
le granitiche basi della filosofia perenne e della .
teologia cattolica, e insieme sui dati che ci of-
frono le altre scienze, quali la psicologia, la bio-
logia, la so~iologia, e via dicendo; ma insieme
vogliamo che il tempio della scienza pedagogica,
oltre che venusto e gagliardo, sia anche libero
da superstrutture, erronee o estranee, che, con
la pretesa di volerlo rafforzare o abbellire, prati-
camente lo soffochino o deturpino, privandolo del-
la sua fisionomia caratteristica e dello spirito che
lo vivifica e contraddistingue per praticità d'in-
tenti, slancio di iniziative e fecondità realizza-
trice.
Al tempo stesso però, nelle attuazioni pratiche
dell'educazione, intendiamo servirci pure, e nella
56

9 Pages 81-90

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9.1 Page 81

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più ampia misura, dei ritrovati di qualsiasi scien-
za positiva che abbia possibilità di coadiuvarla.
Ma nel compiere questo lavoro ci proponiamo
· di non perc\\ere mai di vista i sani princìpi della
scienza pedagogica, alla luce dei. quali sarà più
agevole evitare gli scogli del positivismo e del
naturalismo, che ·conducono inevitabilmente al
materialismo, con la conseguente negazione di
Dio, della stessa libertà umana e di ogni legge
morale.
Or non è molto che negli Stati Uniti si alzava
accusatrice ·1a voce della professoressa Driscoll,
la quale, riferendosi alle disastrose conseguenze
causate nel campo educativo da certe dottrine
dissolvitrici; ne chiamava pubblicamente respon-
sabile la Columbia University, ove pontificava ,
il Dewey, il più fecondo, ma anche il più fallace
sostenitore della pedagogia positivista ed atea.
Noi ci auguriamo che, per un miglior avve-
nire della gioventù e della società, sorgano, al-
trettanto autorizzate e potenti, simili voci, ovun-
que siavi un focolaio di pedagogia infetta ed
avvelenatrice.
Gli umili figli di San Giovanni Bosco, consci
della loro responsabilità, si faranno un dovere
di alzare essi pure, chiara e ammonitrice, la
loro modesta voce, là ove · saranno chiamati a
svolgere le loro attività educative.
,
57

9.2 Page 82

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La minaccia della p·edagogia materialista ed
atea, anche se mascherata col nome di scientifica,
la riteniamo talmente grave che pensiamo non ve
ne sia al presente altra più funesta per le sorti
dell'umanità.
A volte ci assale il timore che lo stesso ricco
tesoro della pedagogia inculcataci con tanta chia-
rezza _e insistenza da San Giovanni Bosco, possa
correre il pericolo di venir comecchessia inquinato
con funeste infiltrazioni di teorie demolitrici, pro-
palate insidiosamente dai loro fautori in tutti
gli ambienti.
Guai a noi e alle opere nostre se, per man-
canza dei sani princìpi o per insufficiente pre-
parazione, non avvertendo tempestivamente e non
sapendo sventare le insidie e le trame dell'errore,
ci lasciassimo sviare dalla strada regia della pe-
dagogia cattolica e salesiana!
Purtroppo non sono pochi nè poco agguerriti
coloro che si servono dell'arma micidiale di una
pedagogia contaminata per corrompere in fiore
la mente e il cuore di quei giovani, la cui sal-
vezza costituisce il fine della nostra vocazione e
il lavoro della nostra esistenza.
Anzi, proprio per tener lontana dalla nostra
Società tale iattura, e perchè ci schieriamo tutti,
come fece ai suoi tempi e farebbe oggi San Gio-
vanm Bosco, a combattere con ammo risoluto e
58

9.3 Page 83

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mezzi ad~guati questa g-rande battaglia, abbiamo
voluto che sorgesse, nel seno del Pontificio Ateneo
Salesiano, l'Istituto Superiore · di P~dagogia, con
la specifica missione di approfondire e diffondere
la pedag-ogia cattolica in generale e il pensiero
.
e le norme educative insegnateci da San Giovan-
ni Bosco in particolare.
Ci conforti il pensare che è già notevole il
lavoro compiuto e che le promesse per l'avvenire
sqno in realtà lusinghiere. Soprattutto poi deve
rassicurarci pienamente il fatto che da questo nd-
stro centro di scienze pedagogiche uscirono e
usciranno tanti figli di San Giovanni Bosco, i
quali, nelle case di formazione e in altri nostri
Istituti, sapranno approfondire, illustrare, esporre
e diffondere i princìpi, le direttive e le attuazioni ·
della vera pedagogia, · contrastando la malefica
propaganda di princìpi educativi avvelenati dal
naturalismo e dal materialismo ateo.
Lo. voglia il Cielo!
59
,.

9.4 Page 84

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9.5 Page 85

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PARTE PRIMA
DON BOSCO
DI · FRONTE AL PROBLEMA EDUCATIVO

9.6 Page 86

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9.7 Page 87

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CAPITOLO I.
DON BOSCO
~<\\'.POSTOLO DELL'EDUCAZIONE
1. Importanza e necessità
dell'educazione.
Dori Bosco, più che persuaso, era, ben si pÙò
dire, veramente domiriato dall'importanza e neces-
sità dell'educazione cristiana. Per una convinzione
precocemente radicata nell'anima, confermata poi
e resa sempre più salda e sicura da.continue ma- .
nifestazioni celesti, egli si dedicò, come abbiam
visto, fin dalla più tenera età, alla missione edu-
catrice. ·È questo un fatto quasi unico nella sto:..
ria dell'educazione.
Dell'importanza3 necessità e vantaggi dell\\du-
,
cazione, egli parlò e scrisse del continuo, special-
mente nelle conversazioni ,e spiegazioni, che si
vide spesso ohbligato· a dare, per legittimare il
63
,:

9.8 Page 88

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suo modo di agire, a coloro che, non compresi
della- necessità dell'opera educatrice, specie in quei
tempi, lo ostacolarono in mille modi.
L'argomento dell'educazione fu da· lui trattato
frequentemente nelle conferenze ai suoi figli e
cooperatori, come pure quando ricorreva ai pri-
vati e alle autorità per avere aiuti e appoggi a
sostegno delle sue opere. Ne daremo un br~ve
saggio.
Sebbene Don Bosco fosse così convinto dell'im-
portanza fondamentale dell'educazione della gio-
ventù, tuttavia non ne parlava mai in astratto,
in veste di teorico .o di pedagogista ·puro. Infiam-
mato di zelo per il bene delle anime, egli ne ra-
gionava da Santo, e cioè come d'una necessità
pratica che mirava alla salvezza dei giovani e
ai bisogni dei suoi tempi, i quali offrivano già
allora lo spettacolo d'una gioventù minacciata, per
cause gravi e diverse, da squallida miseria mo-
rale e materiale.
Mentre egli adunque additava ai buoni le cause
della triste e paurosa situazione che si andava
creando, da ·uomo pratico ne indicava pure i
rimedi. E precisamente avvertiva che il vero e
radicale rimedio sarebbe stato questo: la cristiana
educazione della gioventù.
< Una delle prime necessità dell'epoca nostra,
- scriveva, - è di venire in ai\\lto alla povera gio-
64

9.9 Page 89

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ventù maschile · abbandonata, onde educarla cri-
stianamente e farne dei buoni cittadini, operai e
capi di famiglia cristiani, e dei buoni sacerdoti e
religiosi, debitamente coltivando la vocazione di
ciascuno » (16).
L'esperienza aveva persuaso il Santo che
questo era l'unico mezzo per sostenere la civile
società: poichè i giovani « se non trovano - di-
ceva - una mano soccorrevole che li raccolga,
son destinati a diventare in brevissimo tempo il
flagello della società. Son quelli che riempiranno
le prigioni e che verranno presto, non più sola-
.mente infelici, ma purtroppo, lo ripeto, il flagello
della società in generale, e della famiglia in parti-
colare » (17)-.
« La porzione dell'umana società, ..:_ insisteva
ancora, - su cui sono fondate le speranze del pre-
sente e dell'avvenire, la porzione degna dei più at-
tenti riguardi è senza dubbio la gioventù. Questa
rettamente educata, vi sarà ordine e moralità: al
oontrario, vizio e disordine», (18). « Il bene della
società e della Chiesa risiede nella buona ed-ii.-
cazione della gioventù » (19). ·Per questo « in ogni
1, tempo fu speciale sollecitudine dei ministri della ·
nostra santa cattolica Religione di adoperarsi con
zelo a fine di promuovere il bene spirituale della
gfoventù; perciocchè dalla buona o cattiva edu-
cazione di essa dipende un buono o tristo avvenire
65

9.10 Page 90

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ai costumi della società » (20). Diceva altra volta:
« Secondo la parola di uno dei più illustri pre-
lati, Mons. Dupanloup, la società sarà buona se
voi darete una buona educazione alla gioventù;
se voi la lascerete andare dietro l'impulso del
male, la società sarà pervertita» (21).
Sottolineava quindi l'urgenza di adottare que-
sto mezzo, sia per il futuro rinnovamento della
società, sia per il bene della gioventù: « È difficile,
- scriveva, - ridurre un pomo fracido alla pri-
miera maturità; sarà dunque più facile seminare
quei grani che porta in sè, i quali a tempo suo
daranno poi frutto stagionato e salubre. Con ciò
s'intende che non vi è altra maniera di sperare la
riforma della società che applicandosi ad allevar
bene la gioventù, la quale poi arrecherà un mi-
glioramento universale nei popoli» (22).
In altra circostanza diceva ancora: « L'espe-
rienza ha fatto conoscere che ordinariamente la
gioventù, prima dei dodici anni, non è capace di
fare nè gran bene e neppure gran male, e che
passati i diciotto anni riesce assai difficile il far
deporre abitudini altrove formate per uniformarsi
ad un nuovo regolamento di vita (23). Come una
tenera pianta, sebbene posta in un buon terreno
,dentro un giardino, prende tutta_via una cattiva
piega e finisce male se non è coltivata, e, per
dir così, guidata fino ad una certa grossezza, così
66

10 Pages 91-100

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10.1 Page 91

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i giovani piegheranno sicuramente al male, se
non si lasceranno guidare da chi ha cura della
loro educazione e del bene dell'anima foro. Que-
sta guida la avranno nei genitori e in quelli che
ne fanno le veci, cui devono docilmente obbedi-
re» (24).
Richiamava infine l'attenzione sul fatto che
anche i cattivi, quando si tratta di educazione
della prole, ne sentono la résponsibilità, in pieno
contrasto con la propria condotta: « La bontà è
anche stimata dagli uomini perversi, benchè essi
non la pratichino. Guardate: vi sono dei padri
che conosceranno anch'essi di essere cattivi ori-
ginali, ma vogliono che i loro figliuoli si man-
tengano, o diventino buoni, se non lo fossero, e
sono contenti che siano educati nella religione. Vi
sono dei padri dati al vino, ubriaconi veri; ma
guai se sanno che il loro figliuolo mette piede
nell'osteri~! Un tale sarà un giocatore che gioe~
tutto il suo, ed anche quello che non è suo, ma
guai se sorprende il figliuolo a gioc~re ! Un altro
sarà sboccato nelle conversazioni, ma guai se sa-
pesse che alla presenza di suo figlio si è detta
qualche parola scandalosa! E ciò perchè? Essi
sanno quanto gravi danni possono portare questi
vizi. Mi ricordo, per recarvi un esempio, di un
uomo già avanzato in età, coi capelli bianchi, ri-
spettabilissimo, ma senza religione, che veniva a
67
'

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farmi queste raccomandazioni, non sono molti
giorni:
_:_ Guardi che il mio figliuolo frequenti le di-
vozioni del collegio, che ascolti le sue Messe, che
fac~ia la confessione e la comunione e che si ·pre-
pari alla cresima, che tenga buona condotta.
- Ma lei, gli dissi, conosce l'importanza di ·
queste cose?
Ah, sì, le conosco!
_:_ E le mette in pratica?
- È vero, soggiunse, che sono cattivo, che so-
no disgraziato; ma appunto per questo non vo-
glio che mio figlio divenga tale) (25).
Per stimolare poi tutti i buoni a prendersi cu-
ra della educazione dei fanciulli e delle ragazze,
Don Bosco lodava i pregi e l'eccellenza di questa .
missione. < Volete ·fare una 'cosa buona? Educa-
te la gioventù. Volete fare una cosa santa? Educa- ·
te la gioventù. Volete fare una cosa santissima?
Educate la gioventù. Volete fare cosa divina? E-
ducate la gioventù. Anzi questa tra le cose divine
è divinissima. I Santi Padri vanno d'accordo nel
ripetere quel detto di San Dionigi: Divinorum di-
vinissimum est cooperari Deo in salutem anima-
rum. (Cosa divinissima tra le divine è cooperare
con Dio alla salvez'za delle anime)» (26). E ne
mostrava anche l'utilità ed i vantaggi non indiffe-
renti per l'individuo, per la società, per le fami-
68

10.3 Page 93

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glie e per la Chiesa, dicendo: « Imperocchè mi-
gliaia di ragazzi, - che, dispersi, privi di educazio-
ne ·e di religione, sarebbero divenuti la maggior
parte il flagello della società, e forse non . pochi
andati a bestemmiare il Creatore nelle carceri,
- per mezzo dell'istruzione religiosa, dell'educa-
zione, dello studio o di un mestiere imparato,, si
ritraggono al contrario dalla mala vita, e ·noi ab-:-
bi~mo la più soave speranza che essi diventino
buoni cristiani, onesti ed utili cittadini » (2?).
« Raccogliendo ragazzi abbandonati si diminui-
sce il vagabondaggio, diminuiscono i tiraborse,
si tiene più sicuro il danaro in saccoccia, si riposa
più quieti in casa, e coloro che forse andrebbero
a popolare le prigioni, e che sarebbero per sempre
il _flagello della civile società, diventano buoni
· cristiani, onesti cittadini, gloria dei paesi ove di-
1
morano, decoro della famiglia a cui appartengono, .
guadagnandosi col sudore e col lavoro onestamen-
te il pane della vita ~ (28).
« Il raccogliere poveri fanciulli, l'educarli, il
toglierli dal vestibolo delle carceri per ritornarli
alla società buoni cristiani ed onesti cittadini,
sono cose che non possono a meno d'aver l'ap-
provazione di tutte le condizioni degli uomi-
ni~ (29).
< Cominciate dalle vostre proprie famiglie: al-
levate bene i vostri figliuoli. Date buoni consigli
69

10.4 Page 94

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a quanti potete conoscere. Se presso di voi si
trova qualche orfano, prendetevene una cura par-
ticolarissima, insegnategli a servire Dio, aiutate-
lo a evitare le tentazioni del vizio» (30).
« Si tratta, insomma, di liberarli dai per.icoli
che loro sono im:rninenti, dal mal fare, dalle me-
desime carceri; si tratta di renderli onesti citta-
dini e buoni cristiani ·» (31).
Ricordava spesso ai buoni il dovere di favo-
rire preferibilmente l'educazione della gioventù
povera ed abbandonata, dicendo: « Perseverate
nelle vostre tradizioni di generosa carità per tutte
le opere buone. La più importante è la cristiana
educazione della gioventù » (32). E ne metteva in
luce i vantaggi: « Prendendo parte a questa ope-
ra di beneficenza, si provvede alla pubblica e alla
privata utilità: e voi sarete benedetti da Dio e
dagli uomini. Da Dio, presso cui non vi verrà me-
no la ricompensa; dagli uomini, poi, avrete la più
sentita riconoscenza; mentre uno stuolo di gio-
vani benediranno ogni momento la mano genefica,
che li ha tolti dai pericoli delle strade avviandoli
al buon sentiero, al lavoro, alla salvezza dell'ani-
ma » (33).
« La mercede - spiegava altra volta - sarà
di avere contribuito a salvare dalla rovina spi-
rituale, e fors'anco temporale, tanti ragazzi, che
forse sarebbero andati perduti ed a finire in car-
70

10.5 Page 95

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I
cere, d'aver impedito che quei ragazzi divenis-
/
sero il flagello della società. Credetelo pure, che,
se adesso rifiutate l'obolo per la loro educazione,
verranno forse un giorno a prendervelo in saccoc-
cia. Ma se adesso pro~urate di venire loro in aiu- ,
to, la cosa muterà ben di aspetto. Essi saranno
quelli che vi benediranno, riconosceranno in voi
tanti benefattori, e, all'occorrenza, saranno anche
disposti a difendervi e a dare anche la loro vita
per salvare la vostra. , Inoltre essi pregheranno
sempre per i loro benefattori: e la preghiera del
povero sale sempre gradita al trono dell'Eter-
no » (34).
Anzi, 1'11 aprile del 1883, trovandosi a Lione,
ospite al Patronage de Notre-Dame, giunse a di-
re, con apostolica franchezza, parole che ora han-
no sapore di profezia: « La salvezza della socie-
tà, o signori, è nelle vostre tasche. Questi fanciulli
raccolti dal Patronage e quelli mantenuti dal-
l'Oeuvre des Ateliers attendono i vostri soccorsi.
Se voi adesso vi tirate indietro, se lasciate che
questi ragazzi diventino vittime delle teorie co-
munistiche, i benefizi che oggi rifiutate loro, ver-
·
ranno a domandarveli un giorno, non più col cap-
pello in mano, ma mettendovi il coltello alla gola,
e forse insieme con la roba vostra vorranno pure
la vostra vita » (35).
A un giornalista poi replicò: « Sono opere,
71

10.6 Page 96

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queste, che non solo i cattolici debbono sostenere
oiribus unitis, ma anche tutti gli uomini cui stia
a cuore la moralità dell'infanzia. Gli umanitari
bisogna che se ne interes~ino non meno dei cri-·
stiani. l'unico mezzo per preparare un mi-
gliore avvenire alla società ». E continuava di-
cendo a quei signori: « Se voi non ·sostenete que-
st'opera, ne pagherete il fio. Opere come questu
sono necessarie all'equilibrio della società » (36).
2. Il triste quadro.
Questi accorati richiami di Don Bosco al do-
vere urgènte di pensare all'educazione.dei giovani,
assumevano tanto maggior valore quanto più pro-
fonda era la sua conoscenza delle tristi condizio-
ni in cui i giovani stessi versavano.
Da fanciullo, da studente e seminarista a Chie-
ri, e fatto poi sacerdote, egli era sempre stato in
inti~o contatto con la gioventù, specialmente po-
polare, del cui stato miserando si era fatta una
idea concreta specialmente visitando le carceri.
Nelle parlate é nei suoi scritti ne presentava
questo laèrimevole quadro: « Se vi fu un tempo
calamitoso per la gioventù, certamente è questo.
Un gran numero trovasi in imminente pericolo di
perdere onestà e religione per un tozzo di pa-
ne » (37).
72

10.7 Page 97

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« Io non intendo parlare di · .quella gioventù
.alle~afa con tantè cure nelle famiglie agiate, in
collegi od in istituti; ma parlo solamente de1
fanciulli abbandonati, -dei ·v·agabondi che girano
per le vie, per le piazze, per le strade. Parlo solo
di questi esseri derelitti, che tosto o tardi diven-
tano il flagello della società e finiscono con an-
dar a popolare le prigioni» (38).
« Tanti poveri giovanetti abbandonati, che si
aggirano oggidì sudici~ scalzi e pezzenti, per le
contrade della città, e che, vivendo di accatto e
andando la sera a stivarsi malamente in certe lo-
cande, senz'alcuno che si prenda cura pietosa del
lo~o corpo e della loro anima, crescono ignoran-
ti delle cose di Dio, della Religione, dei loro do-
veri morali; bestemmiatori, ladri, impud,ichi, ingol-
fati in tutti i vizi, e c.apaci di ogni azione anche
Ja più scellerata. Molti dei quali vanno poi a
,
cadere miseramente o nelle mani della giustizia,
che li caccia a marcire in qualche prigione, 'op-
pure·, ciò che è ancor peggio, tra le branche -dei
Protestanti.
« Questi hanno aperto ormai molti covi, dove
la povera gioventù, allettata dal luccicare dell'o-
ro e da mille promesse fallaci, dopo aver per-
duto ogni bene e calpestato ogni altra virtù, vanno
a fare getto deplorevole anche della loro fe-
de » (39).
73

10.8 Page 98

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3. Miserando stato delle fanciulle.
Indicava poi anche le condizioni infelici di
molte fanciulle: I per~coli e seduzioni, a cui stan-
no esposti i giovani sono, direi, quasi maggiori pe.r
le povere orfanelle. D'ordinario per guadagnarsi
da vivere debbono andare nelle città e adattarsi
ad ogni mestiere, a ogni servjzio. Da una parte
la mancanza di educazione e di religione, dall'al-
tra lo scandalo, la corruzionè, la malizia fanno
strage. Chi può contare tutte le vittime? Chi può
dire quante di queste creature ritornano ancora
alle loro case come erano partite? Se la cristiana
educazione dei ragazzi è ai .giorni nostri di mas-
sima importanza, non di minor momento si è la
buona istituzione delle fanciulle. Una figlia sag-
giamente istruita, e cristianamente educata, riesce
una benedizione, un angelo, un sostegno, una sor-
gente di prosperità e di pace per una famiglia.
Gu~i invece se la giovane crescerà incolta ed igno-
rante; peggio poi, se verrà su guasta nelle idee e
corrotta nel cuore! Non vi è male peggiore che
una donna cattiva » (40). E aggiunge,va: « Quante
giovanette ripongono la loro cura in vestire e
adornare il loro corpo, piuttosto che badare ad
abbellire l'anima colla pratica delle virtù! Qua~-
ti parenti non lianno altra ambizione che dì ve-
dere la loro figlia ben vestita perchè faccia la
74

10.9 Page 99

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--
più bella comparsa tra quelle che si accostano
alla Comunione» (41).
« Nostro Signore è venuto' nel mondo solo per
redimere i giovanetti o non anche le ragazze?.:.
Ebbene io debbo procurare che il suo Sangue non
sia sparso inutilmente, tanto per i giovani, quanto
per le fanciulle » (42).
Perciò il Santo si compiaceva dell'apostolato
delle Figlie di Maria Ausiliatrice, intente a pren-
dersi cura anche delle ·tante ragazze abbandona-
te: « ragazze bisognose, e pel corpo, - perchè mol.
te volte stanno tutto il giorno fuori di casa e qua~
si senza vitto, non potendo i genitori provve-
derlo, - e per la moralità, essendo esposte ad
ogni sorta di peric.oli, senza avere riè guida nè
istruzione che le salvi» (43).
4. Le cause.
A Don Bosco poi premeva segnalare, a monito
di ~tutti, le cause del traviamento, o del pericolo di
traviamento, di tante povere giovinezze in balìa
di se stesse. Il liberalismo aveva incominciato a
dare i suoi frutti velenosi combattendo la Chiesa
e il Papa, i Vescovi e i Sacerdoti, laicizzando le
scuole e diffondendo una stampa sovvertitrice,
immorale ed atea. D'altra parte l'industrialismo
aveva .gettato i primi germi délla questione so-
/
75

10.10 Page 100

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~iale, allontanando l'operaio da Dio, dal Cielo e
da:l pensiero dei suoi eterni destini, minando al
tempo stesso le basi della famiglia cristiana, Que--
sto è il triste· sfondo del quadro che Don Bosco
delineava ai suoi contemporanei, elencandone tre
cause principali: la propaganda dei settari, lo
scandalo da parte dei cattivi compagni, l'abban-
dono dei genitori.
~ In questi tempi i malvagi cercano di spar-
gere l'empietà e il malcostume, e vogliono rovi-
nare specialmente l'incauta gioventù con società,
con pubbliche stampe, con riunioni, che hanno
per iscopo più o meno aperto di allontanarla dal-
la Religione, dalla Chiesa, dalla sana mora-
le» (44).
« Accade a molti giovanetti che, per lo sfor-
. tunato incontro di perversi compagni, o per la
trascuratezza dei genitori, e spesso ancora per la
loro indole restìa alla buona educazione, dalla più
tenera età diventano preda infelice del vizio, per-
dendo, così, l'inestimabile tesoro dell'innocenza,
prima di averne conosciuto il pregio, ~ divenen-
do schiavi di satana, senza nemmeno aver potuto
gustare la dolcezza d~i :figliuoli di Dio> (45).
< Si incontrano talora giovani orfani e privi
dell'assistenza paterna, perchè i genitori non pos-
·sono o-·non vogliono curarsi di loro, senza pro-
fessione, senza istruzione. Costoro sono esposti ai
76

11 Pages 101-110

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11.1 Page 101

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più gravi pericoli spirituali e corporali, nè si sa
come impedirne la rovina, se ·non si stende loro
una benefica ma"no, che li accolga, li avvìi al la-
voro, all'ordine, alla religione » (46).
·
Perciò accoratamente rilevava: « Sono·degni di
nostra carità questi giovanetti poveri ed abban-
donati. Poveri fanciulli! Orfani talvolta dei pro-
pri genitori, ben sovente lasciati in balìa di se
stessi, privi di istruzione religiosa e di morale
educa2:ione, circondati da malvagi compagni, à
qual sorte mai non vanno essi incontro? Ora noi
li vediamo scorrazzare di piazza in contrada, di
spiaggia in spiaggia, crescere nell'ozio e nel gio-
co, imparare oscenità e bestemmie; più tardi h
vediamo divenire ladri, furfanti e malfattori; . in'
fine, e il più delle volte sul fior dell'età, li vedia-
mo cadere in una prigione, 'ed essere il disonore
della famiglia, l'obbrobrio della patria; inutili a
se stessi, di peso alla società. Se invece -una mano
benefica li strappa per tempo al pericolo, li av-
vìa per una carriera onorata, e li forma alla -vir-
tù per mezzo della religione, essi si fanno capaci
di giovare a sè e agli altri, diventano buoni cri-
stiani, savi cittadini per divenire un giorno for-
tunati abitatori del Cielo. Per questa ragione la
gioventù, specialmente la povera e derelitta, fu
e sarà. sempre la delizia di Gesù Cristo, fu e sarà
sempre l'oggetto delle amorose sollecitudini delle
77 /
l
'.

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anime pietose, amanti della religione e del vero
bene della civile società) (47).
5. Dovere dei genitori.
Perciò Don Bosco non si stancava di rivolgere
spesso le sue esortazioni anzitutto ai più diretta-
ip.ente responsabili dell'educazione dei propri fi-
gliuoli, e cioè ai padri e alle madri, insistendo
sopra l'obbligo e sulla maniera di educarli cri-
stianamente: ~ Padri e Madri! Non illudiamoci! È
certo che voi dovrete rendere al tribunale di Dio
un conto rigorosissimo dell'educazione data ai vo-
stri figliuoli! C erto che molti :figli si dannano per
essere stati malamente educati; ed è egualmente
certo che molti padri e molte madri vanno all'e-
terna dannazione per la mala educazione data ai
loro :figliuoli.
« Queste verità meritano di essere attentamen-
te considerate. Se la :figliuolanza è b en educata, si
vedrà la crescente generazione amante dell'ordine
e del lavoro, sollecita per confortare i genitori e
sollevare la famiglia. Insomma avremo tempi mi-
gliori: avremo :figliuoli che formeranno l'onore del-
la patria, il sostegno della famiglia, la gloria e
il d ecoro della Religione » (48).
« Padri e Madri! Se desiderate di avere dei fi-
gliuoli ben educati e ·che facciano la vostra con-
78

11.3 Page 103

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solazione in età adulta, adoperatevi per istruirli
nella religione e soprattutto nella tenera età ac-
cuditeli ed osservate se vanno in chiesa, o se dia·
no a frequentare cattivi compagni.
« Ma date voi medesimi l'esempio, perchè sa-
rebbe una vera pazzia, se ci fossero genitori, i
quali si facessero scrupolo di parlare liberamente
contro ai buoni costumi, o contro alla R eligione, e
talora eziandio in presenza della medesima· :fi-
gliuolanza; o facessero le loro· partite nei gior-
ni festivi, proprio nel tempo in cui dovrebbero
assistere alle sacre funzioni, e pretendessero poi
che i loro figliuoli siano buoni, ritirati, devo-
ti » (49).
« Padri e madri, padroni e principali di fab-
briche e di n egozi, a cui sta a cuore il benessere:
presente e futuro dei giovani dalla Divina Prov-
videnza a voi affidati, voi potete grandemente
cooperare al loro b ene col mandarli ed animarli
ad intervenire alle pratiche di pietà.
« Il Signore non mancherà di compensare que-
gli intervalli di tempo che per avventura doveste
per un sì santo fine sacrificare.
« Giovani, giovani miei cari, delizia e pupilla
dell'occhio divino, non vi rincresca di tollerare
alcuni disagi della stagione, onde procurare alle
anime vostre un bene, che· non . verrà meno giam-
mai. Il Signoi:e, chiamandovi ad ascoltare la sua
,
79

11.4 Page 104

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F
santa parola, vi porge f.;._vorevole occasione per.
ricevere le sue grazie e _le sue benediziop.i. Ap-
profittatene. Beati voi se da giovani vi avvezzate
ad OSl:ìervare la divina legge: Bonum est viro, cum
. portaverit iugum ab adolescenti-a sua. bene per
l'uomo l'aver portato il giogo sin dalla sua fan-
ciullezza) » (50).
Raccomandava soprattutto la cura di una ca-.
tegoria di giovani che gli stava massimamente a
cuore: « Ma quelli che maggiormente vi raccoman-
do sono i giovanetti di buona indole, amanti dellé
pratiche di pietà, e che lasciano qualche speranza.
di essere chiamati allo stato ecclesiastico. Sì,
prendete~i a cuore queste speranze della Chiesa;
fate il possibile, e, direi, l'impossibile, per colti-
vare in questi teneri cuori e far germogliare il
prezio.so germe della vocazione; indirizzateli in
.
qualche luogo dove possano compiere i loro stu-
di, e, se sono poverelli, aiutateli anche con quei-
mezzi che la Divina Pr.ovvidenza vi ha posto nelle
mani e che la vostra pietà e l'a~ore delle anime
vi sapranno suggerire. Voi fortunati, se potrete
riuscire a dare qualche sacerdote alla Chiesa in
questi tempi, nei quali scarseggiano talmente i sa-
cri ministri, che, in alcuni paesi della nostra stes-
sa Italia, nei giorni festivi, non si dice neanche
più la Messa, nè si compiono le funzioni religiose
per mancanza di sacerdoti. Dio, gli Angeli, la Re-
80
I

11.5 Page 105

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ligione, vi saranno grati di un'opera così esimia,
e voi ne avrete fin di quaggiù il centuplo nelle
benedizioni che ne riceverete in premio da Dio,
oltre alla bella corona che Egli vi tiene riserbata
m Cielo » (51).
6. La missione dei Cooperatori Salesiani.
Oltre che ai genitori, Don B.osco si rivolgeva
in modo particolare ai suoi Cooperatori perchè
s'interessassero della buona educazione della gio-
ventù: anzitutto nell'àmbito parrocchiale.
« I Cooperatori salesiani non debbono -sola-
mente raccogliere elemosine per i nostri ospizi,
ma anche adoperarsi con ogni mezzo possibile per
cooperare alla salvezza dei loro fratelli, e in par-
ticolar modo della gioventù. Cerchino p ~rtanto
di mandare i :ragazzi al catechismo, aiutino per-
sonalmente i parroci a farlo, preparino i fanciulli
alla Comunione e vedano che abbiano anche gli
abiti convenienti; diffondano buoni libri e si op-
pongano energicamente alla lettlll'a della stampa
.irreligiosa e immorale » (52).
Voleva che si prendessero cura specialmente
dei ragq.zzi più poveri ed abbandonati: ~ Volete
che vi suggerisca un lavoro relativamente facile,
moito vantaggioso, e fecondo dei più ambìti ri~ul-
tati? Ebbene, lavorate intorno alla buona educa-
81

11.6 Page 106

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zione della .gioventù, di quella specialmente pm
povera ed abbandonata, che è in maggior numero,
e voi riuscirete agevolmente a dar gloria a Dio,
a procurare il bene della Religione, a salvare mol-
te anime, e a cooperare efficacemente alla riforma,
al benessere della civile società; imperocchè la ra-
gione, la Religione, la storia, l'esperienza, dimo-
strano che la società religiosa e civile sarà buona
o cattiva, secondo che buona o cattiva è la gio-
ventù che ora ci fa corona» (53).
Insegn~va quindi la maniera di occuparsi di
loro, di allontanarli dai pericoli, di preservarli
dal vizio, di procurare loro una sana educazione:
« Anzitutto fai.evi uno studio di instillare in bel
modo l'amore della virtù e l'orrore del vizio nel
cuore dei fanciulli e delle fanciulle delle vostre
famiglie, vicini, parenti, conoscenti ed amici. Se
mai venite a conoscere che qualche giovanetta ·
inesperta corre pericolo dell'onestà, voi datevi
sollecitùdine di allontanarnela e strapparla per
tempo dagli artigli dei lupi rapaci. Quando ave-
ste, o sapeste che qualche famiglia ha, giovanetti e
giovanette da mettere in educazione al lavoro,
aprite bene gli occhi e fate, suggerite, consigliatei
esortate che siano collocati in collegi, in educa- ·
torii, in botteghe, in laboratori, dove, con la scien-
za e con l'arte, si insegna anche il ·timore di Dio,
e dove sono in fiore i buoni costumi. Fate pene-
82

11.7 Page 107

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trar nelle vostre case libri e fogli cattolici, e dopo
averli fatti leggere in famiglia, fateli correre nel-
le mani di quanti più potete, regalandoli come
per premio ai ragazzi e alle ragazze più assidui
al catechismo. Soprattutto poi quando venite a
conoscere che ·qualche giovanetta non si può al-
trimentì salvare dai pericoli se non collocandola
in. qualche ritiro,, voi datevi premura di metterla
al sicuro » (54).
« Quante b elle occasioni si presentano! Si può
dare un buon consiglio a un fanciullo o ad una
ragazza per indirizzarli alla virtù e allontanarli
dal vizio; si può suggerire qualche buon mezzo
ai genitori, perchè allevino cristianamente i loro
:figliuoli, li mandino alla chiesa, o, dovendoli col-
locare allo studio o al lavoro, scelgano buoni col-
legi, maestri virtuosi, onesti padroni; si può fare
in modo da avere buoni maestri e buone maestre
nelle scuole; si può prestare aiuto nel fare il ca-
techismo in parrocchia; si può regalare, impresta-
re, diffondere un libro, un foglio cattolico o le-
varne di mezzo uno cattivo » (55).
Per rendere più persuasive ed efficaci le sue
parole, metteva loro dinanzi il lavoro dei nemici:
« I protestanti, gli increduli, i settari di ogni fat-
ta - diceva - niente lasciano di intentato a
danno dell'incauta gioventù, e come lupi affamati
si aggirano a far scempio degli agnelli di Cristo.
83
,I

11.8 Page 108

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Stampe, fotografie, scuole, asili, collegi, sussidi,
promesse, ·minacce, calunnie, tutto mettono in
opera a fine di pervertire le tenere anime, strap-
parle dal _seno materno della Chiesa, adescarle;
tirarle a sè e gettarle in braccio a- Satana. E
quello che più addolora si è che i maestri, istitu-
tori, e persino certi genitori, prestano la mano a
, questa opera di desolazione. Qra, a spettacolo così
straziante, ce ne staremo noi indifferenti e fred-
di? Non sia maj1 o anime cortesi; no, non si av-
veri che siano più' accorti, più animosi nel fare
· il male i figli delle tenebre, che non siano nell'o-
perare il bene i figli della luce. Laonde ciascuno
di noi si faccia guida, maestro, salvatore di fan- ·
ciulli.
« Alle arti ingannatrici della malignità con-
trapponiamo le industrie amorose della carità no-
stra, stampe a stampe, scuola' a scuola, collegi a
collegi; vigiliamo attenti sui bimbi delle nostre
· famiglie, parrocchie ed istituti; e poichè una tur-
ba immensa di poveri ragazzi e ragazze si trova
in ogni luogo esposta ai più grandi pericoli di
pervertimento, o per incuria dei parenti, o per
estrema miseria, noi, secondo le forze. e la posi-
zione nostra, facciamoci loro padri e nutrizi, met-
tendoli in luogo sicuro, e al riparo dalle lusinghe
del vizio, e dagli attentati degli scandalosi. A -sti-
molarci poi e a rinfrancarci ogni dì più ad opera
84

11.9 Page 109

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·bella ricordiamoci sovente delle cure e amo-
revolezze prodigate dal Figliuolo di Dio ai pargoli
durante la sua mortai carriera; rammentiamo an-
che l'alto premio da lui promesso a chi, coll'e-
sempio, colla parola e colla mano, farà del bene
ad un fanciullo. Il centuplo Egli ci assicurò in
questa vita, e una corona eterna n ell'altra » (56).
Infine metteva in risalto lo scopo, il valore, i
frutti benèfici delle offerte da loro fatte alla sua
opera: « A dare ricovero ad un maggior numero
di giovani, i quali erano in pericolo di divenire
_la desolazione dei parenti e il flagello della so-
.cietà, furono le vostre limosine, che, provvedendo
loro vitto e vestito, diedero ad un tempo un mezzo .
di rendersi buoni cristiani ed onesti cittadini e
di riuscire il sostegno della famiglia ed il decoro
-della Religione » (5?).
4:: Ormai sapete a che cosa serve la vostra ca-
. rità, la vostra limosina nelle mani di Don Bosco.
Essa serve a raccogliere dalle vie tanti giovanetti,
e dar loro col pane della vita il cibo dell'anima,
istruirli nella Religione, avviarli ad un mestiere
o a qualch'e carriera onorata, a formare dei buoni
figliuoli di famiglia e dei savi cittadini; serve a
dare alla civile società dei membri., utili, alla
Chiesa dei cattolici virtuosi, al Cielo dei fortuna-
ti abitatori» (58).
85

11.10 Page 110

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7. Ardore· di Don Bosco
per l'educazione della gioventù.
Don Bosco adunque non nascondeva la sete
e la brama sua ardente di raccogliete la gioventù
per educarla cristianamente, e darle la possibilità
di guadagnarsi onestamente il pane. Egli sentiva
di essere -investito d'una missione speciale per la
salvezza della parte più eletta del genere umano:
« Sono in Torino da vent'anni ed ho consumato
ogni momento di mia vita nel ministero sacerdota-
le per ·le carceri, per gli ospedali, scorrendo talo-
ra le piazze, le contrade, per togliere dai pericoli
i fanciulli abbandonati, ed avviarli alla moralità,
al lavoro ed allo studio, secondo la rispettiva ca-
pacità ed inclinazione» (59).
« È mio fermo proposito - affermava - di at-
tenermi all'unico scopo di fare del bene morale ai
poveri gÌovanetti, per mezzo dell'istruzione e del
lavoro, senza ingombrare loro il capo di idee che
non sono da essi. Col raccogliere giovanetti ab-
bandonati e coll'adoprarmi di renderli alla fami-
glia ed alla · società buoni figli ed istruiti citta-
dini, io fo' vedere - abbastanza chiaramente che
l'opera mia, lungi ·dall'essere contraria alle mo-
derne istituzioni, è anzi tutta affatto conforme ed
utile alle medesime :i> (60).
Spinto da zelo e brama sempre più ardenti,
86

12 Pages 111-120

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12.1 Page 111

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si rammaricava di aver troppo pochi aiutanti:
« Quanto bene di più potremmo fare se aves-
simo tanti uomini, quanti ne richiede il bisogno!
Noi potremmo allora raccogliere più migliaia di
poveri giovanetti, educarli, istruirli nella religio-
ne, nella scienza, nelle arti, e, dopo alcuni anni,
restituirli alla famiglia, alla società, alla Chiesa,
buoni figliuoli, savi cittadini, esemplari cristia-
ni» (61).
Molte altre citazioni potremmo addurre, le
quali tutte metterebbero.in evidenza sempre più
luminosa quanto stesse a cuore la gioventù a Don_
Bosco e quanto egli abbia fatto per raccoglierla,
educarla, salvarla. Pensiamo però siano sufficien-
ti allo scopo nostro quelle già elencate.
87

12.2 Page 112

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CAPITOLO II.
IL CONCETTO DI EDUCAZIONE
SECONDO DON BOSCO
1. una domanda legittima.
A -tutti è noto quanto intensamente Don Bosco
si sia occupato dell'educazione dei giovani, e
quanto abbia parlato e scritto di argomenti pra-
tici relativi alla loro formazione. Ora è una cu-
riosità più che legittima chiedersi se e quale defini-
zione abbia dato Don Bosco all'educazione.
Sebbene in nessun luogo il Santo si sia messo
di proposito a formulare a fini puramente teorici ·
tale definizione, tuttavia, nei molti suoi scritti
e nelle sue conferenze, è oltremodo facile trovare
tutti gli elementi che costituiscono una completa
definizione della scienza e dell'arte educatrice.
Infatti ripetutamente ne determina e fissa ,l'es-·
senza come ope.ra squisitamente d'a:r11ore: ne enu-
mera i tre grandi fondamenti , - che, per lui,
sono la religione, la rag10ne e l'amorevolezza
88

12.3 Page 113

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incorniciati in un ambiente di pietà tutta pog-
giata sulla Confessione e Comunione:
Inoltre egli .vuolé che nel lavoro educativo nul-
la si trascuri di ciò che riguarda il corpo e il ·sen-
timento, l'intelligenza e la volontà dell'educando.
Poi s'indugia a fissare le doti del buon educatore,
anzi egli stesso, attraverso a sapienti· considera~
zioni e consigli, lo guida allo studio dei diversi
caratteri dei giovani, oggetto del lavoro educativo.
E in fine, quando si tratta di fissare delle norme,
gli propone il sistema preventivo.
L'ampiezza e chiarezza con cui sviluppa que-
sti punti ci p ersuadono che non gli sarebbe riu-
scito per nulla difficile darci una esatta defini-
zione dell'educazione.
D'altronde, con la dovizia veramente eccezio-
nale delle sue direttive e mirabili applicazioni
pratiche, a voce · e per iscritto, egli ci compe.nsa
lautamente ed esaurientemente .di quella omissio-
ne, che può ben dirsi piuttosto apparente che
reale. Se infatti non troviamo nelle molte pagine
dei molti libri dovuti alla penna di Don Bosco
una definizione scritta dell'educazione, essa per-
venne a noi per sicura tradizione. Fin da quando
coltivò i primi giovani che avrebbero· dovuto -
costituire la base delta Società Salesiana, Don Bo-
sco; appunto perchè si proponeva di formare una
Società di .educatori, volle che, già durante il
89

12.4 Page 114

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periodo della loro ascriz10ne o noviziato, non
mancassero loro gli elementi di una buona pre-
parazione pedagogica. E Don Bosco stesso, ser-
vendosi di conferenze e istruziQni pubbliche e ·
private, spargeva in mezzo a quei primi candi-
dati i semi della sua pedagogia, coadiuvato effi-
cacemente· ,da colui che ne aveva intuito in modo
perfetto lo spirito e che sarebbe stato il suo pri-
mo Successore, Don Michele Rua.
2. Il primo professore
di « Pedagogia Sacra».
Quando, il . 3 aprile 18?4, la Società di Sau
Francesco di Sales ottenne l'approvazione della
Santa Sede, una delle prime preoccupazioni di
Don Bosco fu precisamente quella di destinare al-
la formazione dei futuri salesiani, religiosi ed
educatori ad un tempo, un uomo che avesse le
doti richieste per tale delicata missione. La scel-
ta cadde sul Sac. Teologo Giulio Barberis, da tutti
stimato per la sua vita angelica, per l'adesione
incondizionata a Don Bosco, pel suo spirito di
lavoro e di sacrificio, nonchè per una accurata
preparazione intellettuale ottenuta frequentando
la facoltà teologica ed anche i corsi di pedagogia
all'Università di Torino.
da avvertire. che in quel tempo la ' scuola
·...
90

12.5 Page 115

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pedagogica dellà Capitale del Piemonte si tro-
vava nel massimo fiore. Essa poteva vantare nomi
illustri come il Rayneri, l'Allievo e per qualche
tempo anche l'Aporti, pedagogo di doti non co-
muni, anche se non immune da qualche esube-
ranza. Don Bosco ebbe anche occasione di cono-
scere a Torino il Tommaseo, il Berti, il Boncom-
pagni, il Prato e altri illustri filosofi e pedagogisti.
La maggior parte di essi furono in intimi rapporti
con lui, additandolo come esempio di valente
educatore. Il Rayneri, che visitando frequente-
mente l'Oratorio si era reso conto · dell'efficacia
del sistema educativo di ·Don Bosco, ebbe a dire
più volte ai suoi scolari: « Se volete vedere mes-
sa mirabilmente in pratica la pedagogia, andate
all'Oratorio di San Frances.co di · Sales e osser-
vate ciò che fa Don Bosco» (62).
Possiamo pertanto ragionevolmente dedurre
che,. a contatto con uomini tanto eminentC nella
scienza ed. arte pedagogica, il nostro Padre ab-
, bia potuto, sen_za sforzo, mantenersi aggiornato
circa i problemi educativi e anche circa le di-
verse soluzioni che di essi venivano da.te.
Altro rilievo dobbiamo fare, ed, è come Don
Bosco, così assorbito dall'azione, e d'altra parte
così scarso di personale, mentre si accingeva ad
aprire nuove case e ad inviare i suoi primi mis-
sionari nella Patagonia, si sia deciso a far fre-
91

12.6 Page 116

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quentare i corsi di ped.agogia da Don · Barberis.
Questo fatto sta a dimostrare quanto egli avesse
a cuore l'accurata formazione pedagogica dei suoi
fu turi' salesiani.
Sappiamo inoltre che, fin dal 1852, lo stesso
Don Bosco aveva abbozzato il R,egolamento delle
Case, ritoccandolo poi negli anni 1853-54, e an-
cora in seguito, fino alla stesura e stampa defi-
.nitiva fatt~ solo nel 1877.
In quegli stessi anni egli andava anche matu-
rando Il Sistema Pr<eventivo, che, composto e
completato, fu alfi.ne, nel 1877, stampato col ci-
tato Regolamento. Queste due magnifiche paral-
lele costituirono il binario percorso da quei pri-
mi Salesiani per la loro formazione educativa
sotto lo sguardo paterno di Don Bosco, il quale
chiariva e illustrava, indirizzava ed esortava, am-
moniva e correggeva i suoi :figliuoli, incoraggian-
doli sempre col suo equilibrato e sereno ottimismo.
« Nel 1874, - così scrive Don Barberis, -
quando la nostra Società fu approvata definitiva-
mente dalla Santa Sede, dispose Don Bosco che
tutti i suoi chierici ascritti avessero una scuola
apposita, in cui si spiegassero quei princìpi edu-
cativi che potessero in seguito aiutarli ad ottenere
buoni risultati tra i loro allievi. Volle che essa
fosse intitolata Scuola di Pedagogia Sacra: ed
egli medesir~o, il buon Padre, volle dare al primo
92

12.7 Page 117

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Maestro a c10 stabilito, istruzioni speciali, acc10
questa scuola aves·se ad ottenere lo scopo pe~ cui
era stabilita» (63).
È doveroso fare sulle affermazioni di Don Bar-
beris qualche breve considerazione.
Anzitutto, quando Don Bosco vide la sua So-
cietà Salesiana definitivamente stabilita e appro-
vata dalla Chiesa, si affrettò a dare forma, dire-
mo, legale e stabile alla Scuola di Pedagogia, ap-
punto perchè egli - come afferma ancora Don
Barberis - « non ebbe altro che gli stesse più .a
cuore quanto l'educar pene i giovanetti che la Di-
vina Provvidenza gli mandava» (64).
d In secondo luogo, Santo determinava subito
e senza ambagi la differenza specifica della sua
Peda.gogia, chiamandola Sa.era. Il gTande Educa-
tore vedeva che il positivismo, allora capeggiato
dal-Pestalozzi, dal F~oebel e dai loro discepoli, si
estendeva e penetrava un po' dappèrtutto negli
ambienti pedagogici, anche del Piemonte, rinne-
gando nell'uomo il soprannaturale e ·riducendo la
scienza e l'arte pedagogica a un puro naturali-
smo. Gli premeva perciò alzare il vessillo di una
pedagogia che, nei suoi princìpi, nelle sue norme ·
e nelle sue pratiche attuazioni, attingesse. lar-
gamente alle fonti della divina Rivelazione e del-
la Tradizioné cattolica: perciò chiamò sacra tale
sua pedagogia.
, 93

12.8 Page 118

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Infine, cosa per noi di somma importanza, il
primo Maestro di Pedagogia Sacra, ossia lo stes-
so Don Barberis, ricevette dal Santo Fondatore
- e senza dubbio, non solo all'inizio del suo in-
segnamento, ma anche in seguito fin che v.isse
Don Bosco - « istruzioni speciali », poichè stava
grandemente a cuore al nostro Padre che detta
scuola desse risultati concreti e abbondanti.
Don Barberis si accinse con lo slancio suo abi-
tuale a compiere la missione ricevuta e, per es-
sere più preciso n ell'insegnare, prese note e ap-
punti che andò man mano ritoccando, e che cer-
tamente dovettero avere l'approvazione di Don
Bosc~, al quale nulla sfuggiva di quanto avve-
niva di_ notevole nella nascente Società Sale-
siana.
Non fu però pubblicato nulla di quel primo
materiale, di cui si serviva Don Barberis. D'al-
tronde fu ·questa la regola costante di Don Bo-
sco: mettere in pratica ciò che giudicava buono
e opportuno, ma provarlo nel crogiuolo di lunga
esperienza, prima di formulare leggi, e soprat-
tutto prima di darlo alle stampe. Ecco perchè so-
lo in seguito, con lo svilupparsi della Congrega-
zione e il moltiplicarsi degli ascritti in altri Novi-
ziati eretti in regioni anche lontane, si sentì la
necessità di un testo apposito, allo sçopo di man-
tenere l'unità di metodo. E il Servo di Dio Don
94

12.9 Page 119

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·Rua ordinò a Don Barberis di pubblicare ciò che
fin dal 18?4 veniva insegnando.
Don Barberis presentava nel 1897 i suoi Ap-
punti di Pedagogia Sacra in edizione litografica
e riservata ai Salesiani, ricordando che « fin dai
primordi era stato incaricato da Don Bosco della
scuola di Pedagogia » e affermando di aver rac-
colto in quelle pagine gli ammaestramenti fino
allora « esposti verbalmente » (65).
Don Rua stabilì che tali Appunti non fossero
dati alle stampe.. Al motivo già indicato, e cioè
che dovevano servire solo pei Salesiani, Don Bar-
beris aggiunse quest'altro: « Con essi non si ha di
mira di fare un trattato completo di Pedagogia,
ma di considerare i giovani quali sono nelle va-
rie nostre Case, e; senza tante teorie, aiutare
nella pratica i nostri Confratelli nel difficile com-
.,
pito di educarli bene». E pone termine alla- Pre-
fazione con le seguenti parole, che non dovrebbero
mai cader di mente a chiunque voglia capire Ja
fonte e lo scopo qel sistema di Don Bosco: ~ Il
nostro gran Padre ci lasciò un sistema di educa-
zione in piccolissima parte scritto, ·nella maggior
parte stampato nella · ment~ e nel cuore di noi,
che ebbimo la fortuna di avvicinarlo per vari lu-
stri. E tenendoci a questo sistema riusciremo an-
. che noi a fare qualche cosa. Non è da credersi che
il metodo di Don Bosco consista in teorie alti-
95
)

12.10 Page 120

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'
I,
sonanti od in lunghi ragionamenti o in molti pre- -
cetti. Tutto il suo segreto sta in questo unica-
mente: Gesù venne ad educare il mondo e fondò -
· i veri princìpi e la pratica di ogni ecluca_zione:
seguiamo i pri-ncìpi del Vangelo; cerchiamo cli
fare, nel nostro piccolo, come faceva Gesù: non
occorre altro. Da questo punto fondamentale -par-
tirono tutti gli ammaestramenti di Don Bosco:
su -cli esso è basato tutto il . suo sistema. Esso è
tutto facile, tutto ·naturale:. tuttavia richiede una ·
guida; ed è espressamente per facilitare la pra-
tica cli questo sistema che si scrissero questi Ap-
punti » (66).
Abbiamo ritenuto necessario indugiarci sulle
cose dette, perchè esse meHono in chiara luce la
· personalità cli Don Barberis, la fiducia in lui ri:
posta da Don Bosco, ·l'intimità dei rapporti fra
il grande Educatore e il discepolo fedele, la con-
tinuità d'indirizzo e di controllo da parte di Don
Bosco sull'incaricato della scuola di Pedagogia
Sacra: il...che ci rassicura pienamente circa la ve-
rità delle cose -che Don Barberis attribuisce a
Don Bosco, specialmente nel campo pedagogico.
3. Definizione di educazione
data da Don Bosco.
. , Ed ora, ascoltiamo dallo stesso Don Barberis
· la definizione che Don Bosco soleva dare dell'e-
96 .
./
\\,
)
..

13 Pages 121-130

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13.1 Page 121

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ducazione: « L'educazione è la grande arte di for-
mare gli uomini ».
Don Barberis ci tiene a dire che tale definizio-
ne Don Bosco la ripetev·a spesso (67).
Noi che avemmo la somma ventura di cono-
scere Don Bosco, la sua forma mentis e quella del
/
suo pensiero, schivo di speculazioni e improntato
sempre a pratiche realizzazioni, riconosciamo
senz'altro, nella definizione trasmessaci da Don
Barberis come data da Don Bosco, la personalità
del Santo Educatore, mentre d'altra parte siamo
persuasi che la definizione stess_a possa figurare in
qualsiasi trattato di Pedagogia.
Tra i figli di Don Bosco più anziani, che si oc-
cuparono di Pedagogia, è doveroso ricordare il
Prof. Don Francesco Cerruti, per molti anni Di-
rettore Generale delle Scuole Salesiane, e il Prof.
Don Domenico Vota, insegnante di Teologia, Filo-
sofia e Pedagogia nelle nostre Case.
Orbene, Don Cerruti chiamava la Pedagogia
(: La scienza dell'educazione dell'uomo» (68); e
Don Vota diceva che (: l'educazione è l'arte di
svolgere e perfezionare le facoltà dell'uomo, e spe-
cialmente del fanciullo, in ordine al suo fine» (69).
Don Cerruti e Don Vota ebbero dunque la
preoccupazione, scrivendo e insegnando come Sa-
lesiani, di riflettere sostanzialmente il pensiero di
Don Bosco, facendosi un dovere di non allonta-
97
4 (I)
'

13.2 Page 122

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nars1, m cosa sì importante · e veramente fonda-
mentale, dal sentire del Padre e Fondatore.
Perciò concludiamo che la definizione di edu-
cazione, t:rasmessaci da Don Barberis come rice-
vuta dal nostro Padre, è veramente di San Gio ·
vanni Bosco: ce lo assicura un testimonio inec<'e-
pibile qual è lo stesso Don Barberis, e ce lo com-
. provano, con la loro sostanziale riproduzione, i
due primi scrittori salesiani di materie pedagogi-
che, Don Cerruti e Don Vota.
4. Brevi considerazioni
sulla definizione di Don Bosco.
E ora crediamo opportuno far qualche breve
considerazione sulla definizione data da Don Bo- .
sco a riguardo dell'educazione.
Notiamo anzitutto come · egli sottolinei il ca-
rattere pratico ·dell'educazione, dicendola la gran-
de arte di formare gli uomini.
In ciò concorda con l'uso comune, nel quale
per educazione s'intende appunto l'azione diretta
a sviluppare tutta quanta la personalità dell'edu-
cando. ,
Con la parola pedagogia {o, come si diceva
nel secolo scorso, pedagogica) s'intende invece la
scienza che illumina, guida e giustifica l'arte del-
reducazione.
'
I
98 .
I.

13.3 Page 123

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Se Don Bosco qualche volta disse .che l'edu-
cazione è la scienza e l'arte di educare, si spiega
facilmente pensando che egli non si impegnava in
sottili distinzioni e che, del resto, la pratica di
un'arte non è concepibile senza un pensiero che
la diriga. Più spes~o però Don Bosco, le cui
preoccupazioni erano, come si è eletto, di natura
prevalentemente pratica, designò l'educazione col
puro e semplice nome cli arte o di grande arte: e
Don Barberis, scrivendo i suoi Appunti, si fa eco,
come abbiamo visto, di questo orientamento del
suo grande Padre e Maestro.
Don Bosco, nella sua definizione, parla di for- .
mazione, che è quanto dire di un lavoro che deve
tendere a perfezionare il fanciullo sino a farne
un uomo. Tutti i pedagogisti ed educatori sono
d'accordo su questo punto fondamentale, che cioè
l'opera:. educatrice sia opera di perfezìone; ma noi
sappiamo che, proprio dal modo diverso di con-
cepire la .perfezione, ebbero. origine, presso i dif-
ferenti popoli, differenti indirizzi educativi.
Gli Ateniesi, ad esempio, reputavano perfetto
l'uomo che in sè riunisse la felice armonia del-
la perfezione ' morale e della perfezione fisica.
Platone, facendosi eco della scuola socratica-, af-
ferma appunto che l'educazione ha per fine di
dare allo spirito e -al corpo tutta la bellezza e la
perfezione di cui sono capaci. Anzi, Pitagora,
-89

13.4 Page 124

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aveva già affermato essere fine dell'educazione la
somiglianza con Dio.
Ma questo concetto, che può essere accettato
senz'altro anche dalla pedagogia cristiana, non
fu, presso i pagani, base e fonte di perfezione, ma
triste fermento di corruzione, a causa del loro
falso concetto della divinità.
Sappiamo infatti che le divinità pagane erano
la personificazione delle più abbiette passioni:
creazioni tanto abhominevoli da meritare, se fos-
sero realmente esistite, la punizione che si inflig·-
ge agli scellerati. Tanto che i migliori pensatori
greci e romani volevano bandito l'insegnamento
religioso dalla scuola, perchè ritenevano le divi-
nità dell'Olimpo mostri d'immoralità.
Anche la scuola positivistica moderna, pre-
15cindendo da Dio e da ogni concetto sopranna-
turale, ha della perfezione del fanciullo e dell'uo-
mo un ideale naturalistico, che esclude perfino
l'ombra della Fede e di princìpi religiosi.
Analoghe considerazioni si possono fare ri-
spetto all'altro elemento fondamentale che entra
nella definizione dell'educazione: l'uomo.
Sappiamo in qual conto fosse tenuta la digni-
tà dell'uomo presso i pagani. ~artendo dall'errore
che la natura umana non è uguale in tutti, essa
vemva misconosciuta negli schiavi, diventati pro-
prietà del padrone; misconosciuta nella moglie,
100

13.5 Page 125

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che il marito poteva ripudiare a suo talento; mi-
sconosciuta nei fig,li, che potevano essere abban-
donati o cacciati, anche per minimi pretesti. Il
materialismo poi, insozzato d'epicureismo, e la
dissolutezza, facevano che il corpo e la mate-
ria trionfassero sovrani.
Purtroppo siamo obbligati a ripetere anche
qui che il positivismo moderno, si chiami esso
materialismo o naturalismo, non differisce sostan-
zialmente da quello pagano, e che, di conseguen-
za, identiche sono pure le tristi ripercussjoni di
siffatti malaugurati errori nel campo dell'educa-
zione.
Ed è proprio questo il motivo per cui credia-
mo sia indispensabile chiarire e precisare con
esattezza -i concetti usati da Don Bosco nel defi-
nire l'educazione: la grande art,e di formare gli
uom'ini.
« Don Bosco, - dice il già citato Don Bar-
beris, - spese tutta la sua vita nell'educare: egli
si studiò sempre di fare degli uomini: uomini che,
dietro le sue orme, cercassero a lor volta di salva- ·
re la società dal rovinìo che si sarebbe detto im-
minente » (?O).
Ora fare o formare degli uomini, nel pensie-
ro di Don Bosco, era educarli in modo che essi
raggiungessero il fine pel quale erano stati crea-
ti. Perciò la formazione che egli darà ai suoi al-
101

13.6 Page 126

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lievi ·sarà ispirata al raggiungimento della perfe- ·
zione indicata dal Divino Maestro quand·o disse:
Siate perfetti com'è perfetto il Padre vostro ch'è
nei Cieli (71).
Perfezione senza limiti dunque, affinchè l'uo-
mo, tendendo a mete sempre più alte, possa rag-
giungere con la perfezione anche i meriti che gli ·
assicurano l'ampia mercede. Perfezione, inoltre,
tutta pervasa di soprannaturale, perchè, nella lu-
ce della perfezione di Dio, deve svolgersi la breve
nostra vita presente, destinata a perpetuarsi poi
negli ineffabili godimenti di quella eterna. Certo,
in una trattazione di pedagogia sacra, non po-
trebbe trovar luogo altra definizione all'infuo-
ri di ·quella testè indicata.
L'uomo; anche se indebolito dal peccato d'ori-
gine, è suscettibile di perfettibilità: egli, quasi
mosso da una m~lla che mai rallenta, tende al
possesso di perfezione sempre maggiore med.ian-
·te l'affinamento delle sue facoltà. Con ciò egli
dimostra la sua educabilità, e, poichè Dio lo dotò
di perfettibilità senza misura, da ciò possiamo de-
dùrre quanto sia grande la .sua capacità di edu-
cazione.
D 'altronde se Don Bosco, appoggiato alla dot-
trina del suo Patrono San Francesco di Sales e
agli esempi di molti altri santi educatori, si de-
dicò durante tutta la sua vita all'educazione, è
· . 102

13.7 Page 127

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appunto perchè riteneva f uomo educabile e ca-
pace di perfezione." .'È questa, - ben possiamo di-
re applicando a Don Bosco ciò che fu affermato
. del nostro Patrono, -,- la prova, anzi una buona
prova pratica, della fiducia di Don Bosco nel-
l'uomo.
Infatti il nostro Fondatore afferma categorica-
mente: « Siccome non v'è terreno ingrato e ste-
rile che, per mezzo d~ lunga pazienza, non si
possa finalmente ridurre a frutto, così è dell'uo-
mo, vera terra morale, la quale, per quanto sia
sterile e restìa, produce nondimeno, presto o tardi, ·
pensieri onesti e poi atti virtuosi, quando un di-
rettore, con a~denti preghiere, aggiunge i suoi
sforzi alla mano di Dio nel coltivarla e renderla
feconda e bella. In ogni giovane, anche il più
disgraziato, havvi un punto accessibile al bene:
,e dovere primo dell'educatore è di cercare que..,
·sto punto, questa corda sensibile del cuore, e trar-
n e profitto » (72).
Don Bosco, parlando di ·formazione, non po-
teva intenderla se non completa. L'uomo che si
vuol formare è composto di anima e corpo: egli
possiede facoltà spirituali e facoltà sensitive.
Dello spirito e del corpo egli si sforzerà dunque
di raggiungere la maggior possibile perfezione.
L'educatore quindi, secondo Don Bosco, deve ri-
volgere le ·sue cure: s.oprattutto a coltivare nel fan-
103

13.8 Page 128

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ciullo la ragione e la . volontà, senza trascurare
alcuna delle altre facoltà (?3).
5. Formazione integrale.
L'educazione voluta da Don Bosco è adunque
una formazione integrale. Nel suo pensiero l'edu-
cazione doveva investire e rivolgere le sue cure
a tutto il fanciullo, a tutto l'uomo, al fisico e al
morale, senza trascurare nessuna delle sue necessi-
tà e dei suoi rapporti familiari e sociali.
Egli voleva, come vedremo in seguito, una edu-
cazione armonica e consentanea alle esigenze del-
la natura, purtroppo deturpata da imperfezioni e
manchevolezze, specialmente nei giovani: una
educazione insomma, non frutto di fantasia, ma
accessibile e aderente ai soggetti da educare e
perciò atta alla loro indole, e tale da saper gua-
dagnare soavemente il cuore dei suoi educan-
di (74).
Ora, se l'attività educativa altro non è che il
complesso delle cure e sollecitudini atte a perfe-
zionare tutte e singole le facoltà dell'uomo, ne
consegue logicamente la divisione della Pedagogia,
quale era stata tràeciata da Don Barberis nei
suoi Appunti sotto lç1 guida del nostro Santo Fon-
datore, e poi fissata nei Regolamenti della Società
Salesiana: divisione che, con leggiere modificazioni
104

13.9 Page 129

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e spostamenti, era usata nei trattati di quei tempi
ed è ancora in uso ai tempi nostri. E cioè: educa-
zione fisica, intellettuale, estetica, sociale, morale,
religiosa (?5).
D'altronde le facoltà da educarsi e perfezio-
narsi nell'uomo saranno sempre le stesse: non si
potrà quindi prescindere mai dall'educare :fisica-
mente, inte11ettualmente, esteticamente, social-
mente, moralmente e religiosamente. Ciò fu fatto
dal nostro Padre fin dagli inizi del suo lavoro
educativo e ciò continueranno a fare i suoi figli.
Si dirà che, in questo, Don Bosco non differisce
dagli altri educatori e pedagogisti; e noi rispon-
deremo che non dobbiamo farne le meraviglie.
Don Bosco era pervaso da tanto buon senso, da
non lascia:i;si andare a orgogliose e audaci innova-
zioni, sconfessando tutto un passato pedag~gico
- frutto dell'esperienza di tap.te generazioni e
di uomini eminenti, che all'educazione avevano
consacrato ogni loro attività - per fare un salto
nel vuoto e sostituirlo con nuove conerezioni. E
d'altra parte, appoggiandosi saggiamente sui sai-
1
di fondamenti della tradizione cristiana e sen-
za allontanarsi dalla via, tracciata e battuta, degli
insegnamenti pedagogici della Chiesa Cattolica,
egli seppe, nel solco morbido e profondo s·chiuso
dall'e:sperienza, piantare un nuovo virgulto che,
irrorato dai suoi sudori e fecondato dalla carità,
105

13.10 Page 130

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si sarebbe sviluppato in una nuova pianta vegeta
e bella, semplice nella sua struttura, vigorosa
nella sua ramificazione, ricca di fiori e di frutti
santi (76) .
.E noi esamineremo a suo tempo quale sia il
nuovo apporto di Don Bosco alla scienza e al-
1'arte educativa nei vari settori di essa.
Parlando però di questi diversi settori in cui si
divide l'educazione, noi non vogliamo dire che essi
siano tra di loro assolutamente separati, e tanto
meno che ciascuno di essi possa trovare attuazio-
ne senza riguardo all'unità e alla totalità d ella ·
persona umana. certo che in ognuno di essi,
appunto perchè siano educativi, d,eve aversi ri-
guardo al valore e ai fini morali della persona:
altrimenti l'educazione, nonchè integrale, non sa-
rebbe neppure umana.
Ora tutti sappiamo come i costitutivi propri .
ed essenziali della persona, guardata in senso edu-
cativo, sono appunto la coscienza e la libertà.
E proprio in questo senso il nostro Padre in-
tendeva sempre l'educazione, precisando poi il
· valore morale della persona in senso religioso e
cristiano.
La necessità di riaffermare questi princìpi si
fa sempre più impellente ai nostri giorni, nei qua-
li il naturalismo dilagante, prescindendo dal so-
prannaturale, anzi negando Dio stesso, toglie ogni
106

14 Pages 131-140

▲back to top

14.1 Page 131

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base alla moralità e svuota l'educazione di ogni
princ1p10 e contenuto che la innalzi al di sopra
della natura. D'altra parte lo stesso naturalismo
fa ogni sforzo per illustrare con sussidi sempre
più numer_osi e abbaglianti la psicologia e le di- ·
scìpline affini, collocate esse pure in una corni-
ce natura1ista. Ora i pedagogisti cattolici, davan-
ti a questa minacciosa e funesta propaganda che
vuol privare l'educazione di ogni bene sopranna-
turale, si sono giustamente schierati contro l'esi-
_ziale dottrina, negando al suo preteso lavoro edu- ·
cativo il nome di vera ed integrale educazione.
Questa ha e deve avere l'alta finalità di for-
mare l'uomo, orientandolo e avviandolo verso il
conseguimento dei suoi alti destini soprannatu-
rali. Un'educazione pertanto che si svolga solo e
volutamente nell'àmbito della natura, non può
chìamarsi educazione. Questo appellativo va ri-
servato invece a quel complesso di attività pe-
dagogiche, che, considerando il fanciullo alla lu-
ce del Vangelo di Gesù Cristo, si propongono di
conferirgli la capacità di conquistarsi quella eter-
na beatitudine, che da Gesù Cristo ci fu ricon-
quistata con l'olocausto della sua vita e del suo
preziosissimo Sangue.
La pedagogia cattolica , non trascura nessuno
dei valori umano-naturali, appunto perchè si
propone di essere integrale; ma., al tempo stesso,
107

14.2 Page 132

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intende rimanere cristiana e soprannaturale.
· Quando però il naturalismo, prescindendo da ogni
principio soprannaturale, si chiude nella stretta
sua cerchia e dichiara « autonomo e autosuffi-
ciente >> il complesso dei soli valori umano-natu-
rali, allora coraggiosamente la pedagogia cattolica
gli nega il diritto di chiamare « educazione ;~ quel-
la che, sia fisica, sia intellettuale, si vuol sottrarre
alla luce della religione e del soprannaturale.
L'educazione infatti non può avere altra mèta al-
l'infuori di questa: dirigere l'uomo al consegui-
mento pieno dei supremi ideali a cui egli è de-
stinato, e cioè a quell'ultimo fine soprannaturale
che diventa, così, la misura suprema degli stessi
valori umani ed educativi.
E non sarà certamente inutile notare come
questa posizjone dei p,edagogisti cattolici sia esat-
tamente quella della stessa pedagogia Cé;i.ttolica,
contenuta in solenni documenti del magistero ec-
clesiastico. Pio XI, ad esempio, nell'Enciclica Di-
vini illius magistri, dice: « Infatti non si deve mai
perdere di vista che il soggetto dell'educazione
cristiana è l'uomo tutto quanto, spirito congiunto
al corpo in unità di natura, in tutte le sue fa-
~oltà, naturali e soprannaturali, quali ce le fanno
conoscere e la retta . ragione e la Rivelazio-
ne » (77).
E lo stesso Sommo Pontefice nella Omelia pro-
108

14.3 Page 133

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nunciata nella solennità di Pasqua del 1934, per
la Canonizzazione di San Giovanni Bosco, espres-
se un identico pensiero con queste parole: « Egli
(il Santo) mirava a formare. nei giovani il cit -
tadino e il cristiano: il perfetto cittadino degno
figlio della patria terre~a, il perfetto ~ristiano
meritevole di divenire un giorno. membro glorioso
della patria celeste. Per lui l'educazione non deve
essere soltanto fisica, ma soprattutto spirituale;
non deve limitarsi a rafforzare i muscoli con gli
esercizi ginnastici, a corroborare le forze cor-
poree col sano esercizio delle medesime, ma deve
soprattutto esercitare e rafforzare lo spirito di-
sciplinandone i moti incomposti, fomentandone le
tendenze migliori, e tutto dirigendo verso una
idealità di virtù, di probità e di bontà. Educa-
zione, quindi, piena e completa, che abbracci tut-
to l'uomo, che insegni le scienze e le discipline
umane, ma che non trascuri le verità sopranna-
turali e divine :) (2'8).
·
Dalle parole del grande Papa risulta quindi
.
subito ben chiara la necessità di dirigere tutto
l'uomo al suo destino eterno e soprannaturale.
E si noti come sia proprio la necessità del-
l'elemento naturale nelreducazione e insieme la
sua insufficienza, a esigere un concetto unitario
dell'educazione. Infatti, da una parte, non si può
costruire l'edificio soprannaturale se non sulla
109

14.4 Page 134

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base delle attività naturali; mentre dall'altra par-
te que_ste, da sole, non sono 'ancora, come ·si è
detto, educazione. L'educazione è una, è unica: e
il suo concetto si attua pienamente soltanto nelle
funzioni della vita soprannaturale, a cui tutto l'uo-
mo deve essere portato e di cui deve essere reso
capace.
E si ricordi a questo proposito l'esortazione di
San Paolo, il quale stimolava i cristiani di Corin-
to a indirizzare ogni loro azione a Dio rendendola
in tal modo soprannaturale. « Sia che mangiate,
sia che beviate, sia che facciate altra cosa, fate
tutto per la gloria di Dio » (79). La vita intera~
nel pensiero genuino cristiano, non deve avere al-
tro scopo ed orientamento: tutto per Iddio, e per-
ciò tutto nell'ambiente celeste della vita sopran-
naturale, la quale esige che l'atto della volontà
si compia sempre in armonia coi princìpi della
morale e in corrispondenza ali'ordine della gra-
zia. Così intesa la vita, è facile tirarne le legit-
time conclusioni.
Quando adunque si parla di educazione fisi-
ca e intellettuale, se si pretende che tali sezioni
siano come dei settori chiusi è autonomi di edu-
cazi_one, allora ci troviamo dinanzi ai quadri del-
la pedagogia positivistica e naturalistica: incapa-
ce l'una di esprimere un unico concetto coerente
di educazione, per la frammentarietà essenziale
110

14.5 Page 135

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l
al suo empirismo; e falsa-l'altra per la negazione
almeno imp_licita, delle realtà .e tei destmì so-
prannaturali dell uomo.
·
Si può invece parlare di educazione fisica o
intellettuale in u:O: senso affatto diverso, in quan-
to tali espressioni servono a indicare l'apporto in-
dispensabile che la natura, sanamente potenziata,
può e deve dare alla vita soprannaturale, da cui
la natura stessa viene irrobustita, e come trasfor-
mata, per diventare o per fornire una base più
adatta all'arricchimento di quella medesima vita
soprannaturale.
In questo senso, si può legittimamente parlare
di educazione fisica, intendendo con essa non il
puro fatto fisico, ma rapportando questo fatto
alla vita morale e soprannaturalé: sia negativa-
mente, in quanto non venga a recarle contrasto;
sia soprattutto, positivamente, come un elemento
materiale che, posto a disposizione dell'uomo, vie-
ne da lui coltivato e potenziato, perchè in esso
possa riverberarsi la luce soprannaturale_ dello_
spirito.
..
Le stesse considerazioni valgono per l'educa-
zione intellettuale, sociale ed altre. Insomma, que-
sti settori dell'educazione appartengono di diritto
ad essa, in quanto si presentano come materiale
che si presta alla forma educativa, arricchendola
con le copiose possibilità e varietà della natura.
111

14.6 Page 136

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Parlando quindi di educazione .fisica, intellet-
tuale, estetica, sociale, non dimentichiamoci di
vedere tutto illuminato dalla luce soprannaturale,
che deve informare l'educazione che voglia essere
veramente degna di tal nome e a cui si possa ap-
plicare la den~minazione di cattolica e di sale-
siana.
6. Il concetto di educazione
secondo San Tommaso.
Per noi Salesiani, che abbiamo ricevuto dal
nostro santo Fondator,e la parola d'ordine: 4'. Il no-
stro Maestro sarà San Tommaso» (Costit., 166), è
consolante notare come il pensiero di San Gio-
vanni }}osco circa l'educazione collimi con quello
dell'Angelico Dottore.
Anzi, giudichiamo bene indugiarci alquanto
sopra questo punto, anche se a prima vista può
sembrare troppo speculativo. necessario fissar
bene ·i princìpi e rafforzare le idee alla luce
della dottrina di San Tommaso, contro errori pe-
dagogici antichi e moderni che minacciano di
compromettere, nella nostra mente e nel nostro
operato, il sistema preventivo e la pedagogia cat-
tolica.
Il Santo Dottore nella sua Somma Teologi-
ca (80) dice che educare è condurre ed elevare
112

14.7 Page 137

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fino alla perfezione, la quale per l'uomo consiste
nella saldezza della virtù. Egli poi vuole che nel-
l'educare si abbia sempre presente tutto quanto
l'uomo, di modo che nulla venga trascurato delle
sue parti nel fatto dell'educazione. L'uomo è ma-
teria e spirito, anima e corpo, intelligenza e vo-
lontà; è una creatura con dei doveri verso il suo
Creatore; è un essere naturale, ma chiamato a
uno stato soprannaturale. Non si può pertanto
pensare a un'educazione monca, che prescinda da
alcuno degli elementi dell'umana condizione, come
vorrebbero certi moderni pedagogisti, che con
.
opposti criteri orientano ogni attività educati va
al solo intelletto (intellettualismo pedagogico) o
alla volontà (volontarismo pedagogico). Peggio
ancora fanno coloro che, preoccupandosi soltanto
della parte materiale dell'uomo, riducono l'edu-
cazione poc·o meno che a un allevamento selezio-
nato di esseri senza ragione.
Su questi punti faremo, secondo la dottrina
di San Tommaso; qualche breve considerazione,
a conferma della necessità di quella educazione
integrale che, come abbiamo visto, rappresenta '
il pensiero e l'opera pedagogica di San Giovanni
Bosco.
113

14.8 Page 138

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·a) L'ANIMA È SIGNORA DEL CORPO.
Secondo l'Angelico Dottore, l'anima non è sol-
tanto la parte principale dell'uom_o, ma essa è che
lo fa esistere ed essere unito in un sol tutto. Per
questa ragione l'anima deve averne la padronan-
za, dominandone i sensi e regolandone tutti gli
atti.
Cosicchè l'educazione dell'uomo avrà raggiun-
to il suo scopo, quando sarà riuscita a far sì che
sia pieno e stabile il dominio dell'anima sul cor-
po e sui sensi. Solo allora l'armonia fra le atti-
vità di ordine superiore e le attività .di ordine in-
feriore sarà tale, da rispecchiare l'armonia volu-
ta da Dio nella natura umana: si avrà insomma
assicurata quella saldezza di virtù, che è la per-
fezione dell'uomo in quanto tale.
Quando poi si pensi con San Tommaso alle
misteriose dinamiche prerogative dell'anima spi-
rituale e immortale, e alla sua capacità e aspi-
razione a tutto conoscere, e a tutto volere oltre
ogni bene particolare, - tanto da potersi dire che
più grande dell'universo è ogni anima umana
(81) - dobbiamo concludere che l'opera dell'e-
ducazione acquista un valore pressochè infinito.
In questa luminosa dottrina vi è il contravve-
leno per qualsiasi pedagogia materialistica, nega-
trice dell'anima; e al tempo stesso c'è un mirabile
114

14.9 Page 139

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accordo col mòtto di Don Bosco Educatore: Da
mihi animas (Dammi le anime).
b) lL PRIMATO DELLA VOLONTÀ
L'educazione della volontà ha un valore deci-
sivo e definitivo nella sana pedagogia.
bensi véro che, quando si tratta di cercare e
conoscere la verità, deve predominare l'intelligen-
za: la quale è pure la luce della volontà nella ri-
cerca del bene.
Tuttavia, in ordine all'azione, il predominio
spetta sempre alla volontà: se questa è buona,
l'agire sarà buono e virtuoso; se è cattiva, l'agire
sarà vizioso e cattivo.
Un uomo intelligente, per quanto ben illumi-
nato ·dalla ragione e dalla Fede, e per quanto
addentratosi nei misteri della filosofia e della
teologia, quando non abbia l'aiuto e il sostegno
di una volontà buona e ferma, è destinato a fal-
lire miseramente nel campo della virtù. _
San Tommaso è molto esplicito a questo ri-
guardo, poichè chiama ~ uomo buono i:p. quanto
tale » colui che ha volontà buona (82) ..
Ecco allora che educare, e cioè condurre alla
saldezza della virtù, significa specialmente for-·
mare una volontà buona, la sola che conferisca
all'uomo la sua :vera perfezione. I veri grandi uo-
115

14.10 Page 140

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mini, incominciando dai santi, sono prima di tut~
to volontà buone.
Ed anche in questo il nostro Fondatore e Pa-
dre concorda perfettamente con San Tommaso:
tanto che insiste, e ripetutamente, sulla neces-
sità che le varie parti (fisiea, intellettuale, so-
ciale, ecc.) dell'educazione rispettino la suprema-
zia della moralità, e perciò della volontà buona,
affinchè ne risultino azioni ve:r;amente educative.
e) Dro E LA PEDAGOGIA.
Nell'insegnamento di San Tommaso la ragione
e la Fede dimostrano che l'uomo è creato da Dio:
il che vuol dire che l'uomo da Dio dipende to-
talmente, così nel suo esistere come nel suo òpe-
rare.
· ; ·: 1 l~f!li~
Una pedagogia che volesse prescinde~e dai
rapporti che intercorrono tra Dio e l'uomo, si .ri-
durrebbe all'assurdo, anche di fronte alla sem-
plice ragione non ancora illuminata dalla Fede.
Qualsiasi parte della pedagogia trova la sua
ultima ragione di essere e la sua piena spiegazio-
ne nei rapporti dell'uomo con Dio, cioè nell'aspet-
to religioso. Volere o no, .come non vi è parte
alcuna per quanto minuta della realtà che non
dipenda in tutto da Dio Creatore e Conservato-
re, così non vi è pedagogia individuale o sociale
116

15 Pages 141-150

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15.1 Page 141

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che ragionevolmente possa trascurare le relazioni
dell'uomo verso Dio e i doveri che ha verso di
Lui.
Oggi àbbondano, purtroppo, i fautori della
pedagogia areligiosa o laica o atea: ma essi, pri-
ma ancora che dalla Fede, son condannati dalla
ragione e dal buon senso.
d) NATURA E GRAZIA.
La semplice ragione, abbandonata a se stessa,
non basta a spiegare il mistero dell'uomo, e pre-
cisamente gli ardui problemi della personalità,
della libertà umana, del male, e simili. È neces-
saria la Divina Rivelazione: essa ci fa conoscere
le grandi verità del peccato originale e dei supre-
mi destini della persona umana, dotata d'intelli-
genza e di libera volontà, e così pure ci nssicnra
che la grazia soprannaturale è assolutamente ne-
cessaria per osservare a lungo tutta la legge natu-·
rale (83).-
0ra, se l'educazione ha per iscopo ' di condur-
re l'uomo sino alla vita stabilmente virtuosa, ecco
che una pedagogia puramente naturale è errata,
anzi assurda; e così la dottrina di San T ommaso
rigetta quel naturalismo pedagogico, che sotto di-
verse fornie ha imperversato, da Rousseau in poi,
in tutta la p redagogia moderna.
117

15.2 Page 142

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Col grande genio della dottrina sacra, Tom-
maso -d'Aquino, s'incontra il genio della educazio-
ne cristiana, Giovanni Bosco. I due Santi dicono
che, se è impossibile una pedagogia senza la ra-
gione, non meno impossibile è una vera peda-
gogia senza la religione. Ragione e Religione! _pro-
clama Don Bosco: e per religione intende, non
una vaga religiosità qualunque, ma la Religione
Cattolica con gli ineffabili aiuti della Grazia,
della Confessione e Comunione, della Divozione
alla Madonna. In questo il nostro Padre era in-
transigente.
La pedagogia di Don Bosco è la condanna di
ogni naturalismo pedagogico. E la storia sta con-
fermando il pratico fallimento di quei sistemi
educativi, che non fanno il debito posto alla Re-
ligione e alla Grazia, quali intendeva e volev~ il
santo Educatore dei tempi moderni.
Per Don Bosco la pedagogia è e dev'essere
essenzialmente sacra, cristiana," cattolica.
e) b. PROCEDIMENTO EDUCATIVO.
Secondo San Tommasò, giova ripeterlo, educa-
re significa condurre l'uomo dallo stato d'imper-
fezione allo stato di perfezione, che è la soda vir-
tù. Dunque l'educazione è un lavorìo di perfe-
zionamento: è passaggio da ciò che è ancora ru-
.118

15.3 Page 143

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dimentale e imperfetto a quello che sarà, relati-
.vamente, perfetto e compiuto.
Ora possiamo dire, sempre seguendo la dot-
trina dell'Angelico (84), che nel fanciullo vi è g;à
tutto l'uomo, con l'intera ricchezza dei suoi doni,
sebbene in maniera germinale ·e imperfetta: come
nel germe o nel seme si contiene imperfettamente
tutto l'albero con radici, tronco, rami, foglie, fiori .
e frutti.
Abbiamo qui tracciata la giusta via di mezzo
tra l'ottimismo e il pessimismo esagerati, entram-
bi di marca naturalista.
L'ottimismo pedagogico (tipo Rousseau) non·
trova nulla da fare nel fanciullo: come se nel-
l"educando tutto già vi fosse in modo perfetto.
. Invece il pessimismo pedagogico (di tinta lutera-
na) suppone che nel' fanciullo · non vi sia nulla
di buono e che ogni cosa lodevole debba inserirsi
nell'educando col bastone o ,col premio, come se
si trattasse di un animale da addomesti.care.
La via di mezzo, rivelata dal sereno equilibrio
di San Tommaso e dalla pratica degli educatori
·cristiani, come ·pure dal paterno sistema di San
Giovanni Bosco, sta in questa affermazione: nel-
1'educando vi è già tutto l'uomo, ma in modo po-
tenzialè e imperfetto, cosicchè è ufficio e missione
dell'educatore il rendere attuale e perfetto l'eser~
cizio delle facoltà e virtù umane.
119

15.4 Page 144

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f) EDUCATORE ED EDUCANDO.
Il procedimento educativo, inteso da San Tom-
maso quale sviluppo dal germe al frutto, implica
l'intervento di due fattori essenziali; il primo è
l'educatore, il quale con il suo lavoro agisce sul-
l'educando per perfezionarlo: il secondo è !'edu-
cando stesso, che usufruisce dell'opera e dei sa-
crifici dell'educatore. Questi infatti esercita un
influsso attivo sull'educando e suscita in hiì una
perfezione, che l'educando non po.ssedeva ancora
in atto e che va acquistando mediante l'opera del-
l'educatore.
Orbene, è legge ~niversale,- rilevata innumere-.
voli volte dall'Angelico Dottore (85.), che chiunqùe
agisca, non soltanto opera secondo la natura e Ia
grandezza della perfezione da lui posseduta, ma
tende a render simile a ciò che è oggetto delle
sue azioni (86). L'artista, ad esempio, imprime nel
marmo e riproduce sulla tela quella perfezion~
ideale che egli con il suo genio ha concepHo: ·
plasma quindi la. materia in modo da renderla si-
mile, nel modo più perfetto, alla forma che egli
ha in mente.
Quanto succede nelle opere d'arte, avviene pu-
re, in maniera analoga ma assai più profonda e
grandiosa, nell'opera di educazione.
E si noti che l'educatore non può educare se
120

15.5 Page 145

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non secondo la misura della perfezione che egli
ste~so possiede; mentre !'educando non riceve l'in-
flusso educativo se non secondo la misura della
sua docilità e delle sue buone disposizioni.
Quando poi, per felice congiuntura, una straor-
dinaria perfezione e capacità educativa viene ad
incontrarsi con non meno straordinarie disposÌ'ÒO-
ni nell'educando, balzano fuori i capolavori di
cristiana educazione della gioventù. Si pensi a San
Giovanni Bosco e al Beato Domenico Savio: qui
la perfezione del capolavoro educativo rivela in-
sieme la gràndezza dell'Educatore e la docilHà
dell'Educando, in ·modo che l'uno viene ad essere
la gloria dell'altro.
E con questa magnifica visione concludiamo ]a
prima parte di questo lavoro, nella quale abbia-
mo considerato l'atteggiamento teorico e pratico
di Don Bosco di fronte al problema educativo:
atteggiamento pienamente conforme ai princìpi
del grande Maestro San Tommaso.
Passiamo ~ra a esaminare quanto il nostro
Fondatore e Padre ha scritto, ha detto e ha fatto,
riguardo a ciascuno dei problemi educativi in
particolare.
121

15.6 Page 146

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15.7 Page 147

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PARTE SECONDA
IL SISTEMA PREVENTIVO

15.8 Page 148

▲back to top
l

15.9 Page 149

▲back to top
Premessa.
Dopo aver esposto che cosa sia l'educazione
secondo il pensiero di Don Bosco, dobbiamo con-
siderare il sistema o metodo del quale egli si ser-
vì per svolgere l'azione educativa salesiana. È
appunto questo sistema che fa nascere e forma la
caratteristica personalità dei suoi figli educatori,
e cioè dei Salesiani e delle Figlie di Maria Au-
siliatrice.
A queste due famiglie religiose egli affidò il
delicato incarico di educare la gioventù secondo
il suo sistema è le sue tradizioni, applicandolo
alle opere suscitate dal suo zelo apostolico : agli
Oratori Festivi, agli Ospizi, ai Collegi, alle Scuo-
le Professionali ed Agricole, e ad altre opere di
assistenza sociale di qualsiasi indole a vantaggio
della gioventù. Le persone e le istituzioni poi,
anche considerate nella loro forma materiale, so-
no di fatto esse pure elementi costitutivi del si-
stema e, benchè siano diverse nella loro specifica
125

15.10 Page 150

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natura, convergono tutte allo stesso ideale: l'edu-
cazione cristiana della gioventù.
· Ma un sistema educativo, oltre alla parte ma-
teriale o, se meglio piace, oltre al complesso delle
norme e prescrizioni, ha anche la sua anima e il
suo spirito: anima e spirito che costit:uiscono r i
princìpi ispiratori del sistema stesso, i qua1i lo
perpetuano rende dolo ·ricco di vita rigogliosa
e di risultati fecondi.
Diciamo chiaramente che sbaglierebbe chi .rite-
nesse cosa facile l'individuare, sca:ndagliar.e, ca-
pire lo spirito del sistema educativo di Don Bosco:
di fronte a questo insign-e Educatore ci si trova
realmente in imbarazzo, per la difficoltà di pene-
trarne l'anima grande, i tesori del cuore, la mol-
teplicità e magnificenza delle idee e dei princìpi
che informano l'azione e l'opera sua multiforme.
È certo però che, anche da un primo esame della .
varietà dei princìpi immediati e subordinati, bal-
za sempre fuori chiaro e distinto il principio. su-
premo dell'opera da lui svolta nel campo pedago-
gico.
Questo è il compito che ora ci prefiggiamo:
cogliere, nel sistema di Don Bosco, detto prin-
cipio supremo, dal quale derivano gli altri. Sta-
bilito il principio, è più facile elencare i mezzi
principali, che da quello ·scaturiscono logicamente
come dal1a propria fonte, pel compiment() dell'a-
126

16 Pages 151-160

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16.1 Page 151

▲back to top
..zione educativa, e _così pure mostrare -i requisiti
indispensabili che deve possedere la persona del-
1'educatore. Qùindi resterà da vedere il modo, o,
per dirla con parola scolastica,· la metodologia
de.Il'applicazione di detti mezzi.
·Ci saremo in tal modo sforzati d'inquadrare,
in un sistema logico di idee, tutta l'anima della
pedagogia di Don Bosco: e dai princìpi enunziati
scaturiranno le norme riguardanti sia l'azione edu-
cativa sia il soggetto da educare sia la persona del-
l'educatore, alla luce sempre del fine dell'educa-
zione qual era dal Santo stesso inteso.
Per farci un'idea adeguata del sistema pre-
_ventivo gioverà ascoltare anzitutto la parola di
Don Bosco attraverso quelle fonti della pedagogia
salesiana -da noi indicate nell'introduzione. Esse
saranno sempre il mezzo più efficace per cono-
scere il suo sistema.
A tale conoscenza pensiamo giovi pure qual-
.che brevissimo cenno riguardante l'origine del-
1'opuscolo Il Sistema Preventivo, che è natural-
mente la fonte principale: e che noi riprodurremo
per intero fra le appendici.
127

16.2 Page 152

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,~ 1, ..

16.3 Page 153

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SEZIONE I.
GLI ELEMENTI FONDAMENTALI
DELL'EDUCAZIONE
CAPITOLO I.
IL SISTEMA
1. L'opuscolo sul Sistema Preventivo.
Nel 1847 Dàn Bosco pubblicò il primo Regola-
mento dell'Oratorio Festivo. In esso sono i germi
della Società Salesiana ch'egli avrebbe fondato .
ed i princìpi del metodo che essa avrebbe seguito
nell'educare la gioventù. Il Regolamento delle Ca-
se, già in vigore fin dal 1854, fu dato alle stampe
solo nel 1877: e Don Bosco lo fece precedere ·pre-
cisamente dal trattatello Il Sistema Preventivo nel-
l'educazione della gioventù.
Il prezioso scritto nacque così.
Il 12 marzo di quell'anno il Santo avev3 pro-
·5 (I)

16.4 Page 154

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nunziato a Nizza Mare un discorso in occasione
dell'inaugurazione del Patronato di San Pietro.
Gli proposero di pubblicarlo allo scopo di far co-
noscere meglio detto Istituto in Francia. Gli piac-
que l'idea, e, durante il viaggio di ritorno, compilò
un opuscolo dal titolo Inaugurazione del Patro-
nato di San Pietro a Nizza, nel quale incluse,
oltre quel discorso, una serie di articoli convenien-
temente ritoccati e sistemati,. da lui poi ripub-
blicati lo stesso anno insieme col Regolamento.
Detti articoli formano appunto Il Sistema Prè-
ventivo.
Più tardi, parlando di questo lavoro, dichiarò
che gli era costato tempo e fatica, avendo dovuto
rifarlo parecchie volte. « Andava quasi lamentan-
domi meco stesso - confidò il Santo - di non tro-
vare di mio gusto questi miei scritti. Una volta
gettava /giù. le intere facciate e no~ v( ritorna-
va più sopra; ora invece scrivo, correggo, riscri-
vo, ricopio, rifò la quarta e la quinta volta, e an-
cor non mi piace il mio lavoro » (88).
Egli riteneva per altro che l'opuscolo fosse
atto a fare gran bene: il che avvenne in Francia
-e in ogni parte, allora e poi. E dire che all'ini-
zio si trattava di un semplice preambolo, quasi
come se l'autore medesimo non ne misurasse tutta
la portata!
La pedagogia di quell'epoca teorizzava molto, ,
130

16.5 Page 155

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ma non sempre alla teoria, a volte ingombrante,
corrispondeva la pratica. La sua scarsa fecondità
derivava dal fatto che, il più delle volte, traeva
i suoi elementi dai soli dettami del naturalismo;
quindi princìpi razionalistici e spirito positivisti-
co ne informavano e infirmavano l'indirizzo. Don
Bosco, senza alcun sussiego dottrinale, senza la
menoma pretesa di aver scop erto il segreto dPl-
l'arte educativa, ispirandosi al Vangelo e agli in-
segnamenti della Chiesa, dopo aver saputo fon-
dere armonicamente con le norme d ella ragione
naturale i mezzi sovrabbondanti della grazia, da-
va vita a un metodo che, nel campo della pe-
dagogia, ha prodotto e produce frutti ubertosi.
Prima però lo aveva attuato, ripensato, ricorret-
to, condensandolo alfi.ne nelle poche paginette del
suo opuscolo.
Si ponga mente anche solo a un punto: alla
gran· questione dell'autorità, e dei premi e dei
castighi. Noti scrittori della tendenza naturali-
stica di allora, dedicarono all'argomento molte
pagine, dicendo anche cose belle, ma mischiate
purtroppo a errori teorici. Tuttavia, per il difetto
lamentato poc'anzi, rimasero ben lontani dalref-
ficacia raggiunta da Don Bosco, il quale proce-
dendo per via di ragione e di Fede, ha, in poche
battute maestre, risolto praticamente e pienamente
l'arduo problema.
131

16.6 Page 156

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Meritato e degno riconoscimento del valore pe- .
-dagogico che impreziosisce Il Sistema Preventivo
fn, in Italia, la sua assegnazione allo studio delle
Scuole Magistrali. A questo proposito Pietro F e-
dele, Professore di Storia all'Università di Roma,
Senatore del . Regno e già Ministro dell'Educa-
.zione Nazionale, pronunciò in una solenne oc-
casione queste parole: « Senza il soprannaturale
l'opera di Don -Bosco non si spiega. E questa
opera è il fiorire esterno delle sue virtù interne.
Egli fu contro il materialismo corrompitore della
gioventù, e fermò a tempo il popolo italiano
sulla china della via funesta. Quando io prop.osi ·
lo studio della dottrina pedagogica di Don Bosco,
qualche filosofo idealista sorrise. Oggi il tempo
mi . ha dato ragione » (89).
2~ Dichiarazioni
di Don Bosco sul suo sistema;
Il Conte Carlo Conestabile della Staffa in un
suo opuscolo dal titolo Opere. religiose e sociali in
Italia, asserisce di aver visto attuato da Don Bo-
che . sco il suo metodo pedagogico prima ancora
lo avesse formulato per iscritto (90).
Dobbiamo aggiungere che lo stesso nostro Pa-
dre specificò a viva voce in diverse circostanze,
prima e dopo la pubblicazione dell'opuscolo. i
132

16.7 Page 157

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princìpi e le attuazioni del suo sistema preven-
tivo.
a) ALCUNE CONVERSAZIONI.
Ricorderemo soltanto alcune delle sue conver-
sazioni, che ricevettero particolare rilievo dai per-
sonaggi o dalle circostanze.
1) Col Ministro Ratta~zi.
Una domenica di aprile del 1854 egli ebbe un
colloquio di circa un'ora con il Ministro Urbano
Rattazzi, il quale lo ave'Va interrogato sopra i
mezzi da lui adoperati per conservare l'ordine tra
i giovani dell'Oratorio.
Domandava il Ministro:
- Non ha la Signoria vostra ai suoi cenni al·
meno due o tre guardie Civiche in divisa o tra-.
vestite?
- Non me ne occorrono, Eccellenza.
- Possibile? Ma questi suoi giovani non sono
mica dissimili dai giovani di tutto il mondo; sa-
ranno ancor essi peir lo meno sbrigliati, attacca-
brighe, rissosi. Quali riprensioni, quali castig)1i
usa dunque per infrenarli e impedire scompigli?
- La maggior parte di questi giovani sono
davvero svegliati dalla quarta, come si dice; ciò
non di meno, per impedi:r;e disordini qui non ~i
133

16.8 Page 158

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adoperano nè violenze nè punizioni di sorta.
- Questo mi pare un mistero; favorisca spie-
garmi l'arcano.
- Vostra Eccellenza non ignora che vi sono
due sistemi di educazione, uno chiamato sistema
repressivo, l'altro sistema preventivo. Il primo si
prefigge di educare l'uomo colla forza, col repri-
merlo e punirlo quando ha violato la legge, quan-
do ha commesso il delitto; il secondo cerca di edu~
carlo çolla dolcezza, e ·perciò lo aiuta soavemente
ad osservàre la legge medesima e gliene sommini-
stra i mezzi più acconci ed efficaci all'uopo; ed è
questo appunto il sistema in vigore tra noi. An-
zitutto qui si procura di infondere nel cuore dei
giovanetti il santo timor. di Dio, loro s'ispira amore
alla virtù ed orrore al vizio coll'insegnamento del
catechismo e con appropriate istruzioni morali; si
indirizzano e si sostengono nella via del bene con
opportuni e benevoli avvisi, e specialmente colle
pratiche di pietà e di . Religione. Oltre a ciò, si
circondano, per quanto è possiòile, di un'amore-
vole assistenza durante la ricreazione, nella scuola,
sul la~oro; s'incoraggiano con parole di benevo-
lenza, e, non appena mostrano di dimenticare i
propri doveri, loro si ricordano in bel modo, e si
richiamano a sani consigli. In una parola, si usano
tutte le industrie che suggerisce la carità cristia-
na, affinchè facciano i:l bene e fuggano il male
134

16.9 Page 159

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per principio di coscienza, illuminata e sorretta
dalla Religione.
- Certo è questo il metodo pm adatto per
educare creature ragionevoli; ma riesce efficace
per tutti?
- Per novanta su cento questo sistema riesce
di ,un effetto consqlante; sugli altri dieci esercita
tuttavia un influsso così benefico da renderli me-
no caparbi e meno pericolosi; onde di rado mi
occorre di cacciare via un giovane siccome inJ.o-
mabile e incorreggibile. Tanto in questo Oratorio
quanto in quello di Porta Nuova e di Vanchiglia
si presentano e sono talora condotti giovani che,
o per mala indole o per indocilità, ed anche per
malizia, furono già la disperazione dei parenti e
.dei padroni, ed in capo a poche settimane non
sembrano più dessi; da lupi, per così dire, si mu-
tano in agnelli.
- Peccato che il Governo non sia in grado ·di
adottare siffatto metodo nei suoi stabilimenti di
pena, dove, per bandire i disordini, occorrono cen-
tinaia di guardie, e i detenuti diventano ogni
giorno peggiori!
-- E che cosa impedisce al Governo di seguire
questo sistema nei suoi Istituti penali? Vi s'intro-
duca la Religione; vi si stabilisca il tempo oppor-
tuno per l'insegnamento religioso e per le pratiche
di pietà, si dia a queste, da chi presiede, l'impor-
135

16.10 Page 160

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tanza che ·si ··meritano, vi si ..lasci entrare. spesso
il Ministro di Dio e gli· si permetta di intratte-
nersi liberamente con quei miseri, e di far· loro
.udire uria parola di amore e di pace, ed allora
il metodo preventivo sarà bell'e adottato. Dopo
alcun tempo le guardie non avranno più, o ben po-
co, da fare; ma il Governo avrà il vanto di ri<;lo-
nare alle famiglie e ·alla società tanti membri
morali ed utili. Altrimenti esso spenderà il de-
naro al fine di correggere e punire per un tempo
più o meno lungo un gran numero di discoli e
colpevoli, e, quando li avrà messi in libertà, do-
vrà proseguire a tenerli d'occhio, perchè pronj:i a
fare il peggio».
Di q~esto tenore Don Bosco tirò avanti per
un buon pezzo; e, siccome fin dal 1841 e.gli cono-
sceva lo stato dei prigionieri giovani e adulti, p er-
chè faceva a quei miseri frequenti visite, così po-
tè [ar rilevare al Ministro dell'Interno l'e:fficàcia
del1a Religione sulla morale loro riabilitazione.
« Al vedere il Sacerdote di Dio - continua-
va - all'udire la parola di co_nforto, il detenuto
rammenta gli anni beati in cui assisteva al Ca-
techismo, ricorda gli avvisi del Parroco o del
Maestro, riconosce che, se è caduto in quel luogo
.di pena, si è perchè cessò di frequentare la Chiesa
o perchè nòn mise in pratica gli insegnamenti
che vi ha ricevuti; onde, richiamate a mente que-
' 136

17 Pages 161-170

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17.1 Page 161

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ste ·care rimembranze, sente il più delle volte
commuoversi il cuore, si pente, soffre con rasse-
gnazione, risolve di migliorare la su~ condotta,
e, · scontata la pena, rientrerà in soci~tà disposto
a ristorarla dagli scandali dati.
« Se invece gli si toglie l'amabile aspetto della
Religione e la dolcezza delle sue !llassime e delle
sue pratiche, se lo si priva delle conversazioni
e dei consigli di un amico dell'anima, che sarà del
~isero in quell'odiato recinto? Non mai invitato da
una voce amorevole a sollevare lo spirito oltre la
1
terra; non mai animato a riflettere che, peccando,
offese, non solo le leggi dello Stato, ma Iddio,
Legislatore supremo; non mai eccitato a doman-
dargJi perdono, nè confortato a soffrire la sua pena
temporale in luogo della eterna che gli vuol con-
donare, eg.li, nella sua misera condizione, altro
non vedrà che il mal garbo di una fortuna av-
versa; quindi, -invece di bagnare le sue catene
con lacrime di pentimento, le morde~à di µi.al
celata rabbia; invece di proporre emendamento
di Yita, si ostinerà nel suo male; dai suoi compa-
gni di punizione imparerà nuove malizie, e con
essi combinerà if modo di delinquere un giorno
più occultamente, per non cadere nelle mani della
giustizia, ma non già di migliorarsi e di farsi un
buon cittadino».
Don Bosco, colta la favorevole occasione, se-.
137

17.2 Page 162

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gnalò al Ministro l'utilità del sistema preventivo
soprattutto nelle pubbliche scuole e nelle case
di educazione, dove si hanno a coltivare ani-
mi ancor vergini di delitti, animi che si pie-
gano docilmente alla voce della persuasione e
dell'amore. E concluse:
« So bene che il promuovere questo · sistema
non è còmpito devoluto al dicastero di Vos,tra
Eccellenza; ma un suo riflesso, una sua parola,
avrà sempre un gran peso nelle deliberazioni
del Ministero della Pubblica Istruzione » (91).
Il Ministro Rattazzi ascoltò con vivo interesse
queste ed altre osservazioni di Don Bosco, si con-
vinse appieno della bontà del sistema in uso negli
Oratori, e ·promise che dal canto suo lo avrebbe
fatto preferire ad ogni altro negli Istituti go-ver-
nativi. Che, se poi non mantenne semp~e la pa-
rola, la cagione si è che anche al Rattazzi man-
cava il coraggio di manifestare e difendere le pro-
prie convinzioni religiose.
Fin'ita così la conversazione, egli ne rimase
tanto ben impressionato che, da quel gior:t;to, di-
venne avvocato e protettore di Don Bosco.
2) Col Prefetto di Torino.
Altra conversazione sullo stesso argomento eb-
be il Santo col Prefetto di Torino. I disordini .
11 38

17.3 Page 163

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che succedevano alla Generala erano tali da pre-
occupare grandemente le Autorità; erasi perfino
creduto di dover far fuoco sui giovani rivoltosi,
e vi furono delle vittime. Il Prefetto, avuta occa-
sione di parlare con Don Bosco, lo interrogò se
avrebbe presa la direzione di quei corrigendi, fa-
cendogli vive istanze perchè accettasse. Don Bo-
sco rispose che per conto suo non esistevano diffi-
coltà, ma che certamente il Ministero non avrebbe
mai affidato a lui un Penitenziario.
- E perchè?
- Perchè si dice che Don Bosco vuol troppa
Religione; e infatti io ritengo che, senza Religione,
nulla si possa fare di buono fra i giovani.
- · Oh! Non dica questo. Noi non volere
la Religione? Anzi ne riconosciamo per pTimi la
necessità; quindi saremmo a lei ben riconoscenti
se, con questo mezzo, riuscisse a domare quei
disgrazi~ti. Se mi permette, io scriverei al Mini-
stro dell'Inte;no, proponendo che a lei sia af-
fidata quella direzione.
- Ripeto che il mio metodo di educare non
sarà mai di gradimento al Governo. ·
· Qui Don Bosco espose il proprio sistema edu-
cativo: frequenza dei Sacramenti, istruzione re-
ligiosa, sorveglianza preveniente, carità ·conquista-
trice... e relativi vantaggi~ Il Prefetto ascoltò con in-
teresse, nè ci vide seri ostacoli a~ suo divisamento.
139

17.4 Page 164

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Io - Facciamo la prova - disse poi. - scri-
verò al Ministro ·e vedrà!
- Eh l lo credo cosa molto difficile che il Go-
verno acconsenta. ·
- Ed io la credo cosa facilissima.
Il Prefetto scrisse subito. La risposta non tardò
a giungere. Era un serto di elogi per Don Bosco;
si approvò quell'idea e si pregava di trattarne.
Non esservi di meglio che affidare la Generala a
Don Bosco; l'esito non poteva mancare; doversi
star sicuri che i deplorevoli fatti .accaduti non si
sarebbero più rinnovati.
Fu chiamato il Santo per dargli la buona no-
vella.. - Veda, veda - gli disse il Prefetto - se
non aveva ragione io!
- Partito troppo largo! - rispose Don Bo-
sco, crollando il capo. Tuttavia cominciò le trat-
tative, non volendo che per colpa sua si spe-
gnesse quel barlume di speranza. Ma egli esige-
va piena indipendenz'a nella educazione religio-
sa; gli bisognava essere solo nella dtrezione; il
Governo ·pagasse ottanta centesimi al giorno per
ogni giovan·e detenuto, escludesse le guardie car-
cerarie, al più si conservasse il picchetto dei sol-
dati alla porta.
Il Prefetto nulla trovò di irragionevole, ma il
Ministro finì con rispondere che Don Bosco voleva
fare tutti preti quei giovanetti e che di preti ve
140

17.5 Page 165

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n'erano- già troppi. Così, prosaicamente, s1 chiu-
se la nobile iniziativa (92).
3) Col Maestro Bod'rato.
Altra conversazione sul sistema preventivo eb-
be Don Bosco 1'8 ottobre 186~ a Mornese. Ivi ri-
cevette in speciale udienza il Maestro comunale
Francesco Bodrato, il quale gli chiese qual se-
greto egli avesse per · dominare si:ffattamente tan-
ta gioventù, insofferente, per natura, di discipli-
na. Don Bosco rispose:
« Religione e ragione sono le due molle di tut-
to il mio sistema di educazione. L'educatore deve
pur persuadersi che .tutti, o quasi tutti, questi
cari giovanetti hanno una naturale intelligenza
per conoscere il bene che loro vien fatto perso-
nalmente, e che insieme son pur dotati di un
cuore sensibile, facilmente aperto·alla riconoscen-
za. Quando si sia giunti, con l'aiuto del Signo-
re, a far penetrare nelle loro anime i principali
misteri della nostra santa Religione, la quale,
tutta carità, ci ricorda l'amore immenso che Dio
ha pc,rtato all'uomo; quando si arrivi a far vi-
brare nel loro cuore la corda della riconos.cenza
che gli si deve in 'ricambio dei benefizi che ci ha
sì largamente compartiti; quando finalmente col-
la molla della ragione ~i siano fatti persuasi che
141

17.6 Page 166

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la vera riconoscenza al Signore deve esplicarsi
coll'eseguirne i voleri, col rispettare i suoi pre-
cetti, quelli specialmente che inculcano l'ossPr-
vanza dei reciproci nostri doveri, creda pure che
gran parte del lavoro educativo è già fatto.
~ La Religione in questo sistema fa ·ruffic~o
del freno, messo in bocca dell'ardente destriero, che
lo domina e lo -signoreggia; la ragione fa poi
quello dellà briglia che, premendo sul morso, pro-
duce l'effetto che se ne vuole ottenere. Religione
"·era, Religione sincera, che domini le azioni della
gioventù; ragione che nettamente applichi quei
santi dettami alla ~egola di tutte le sue azioni:
eccole in due parole compendiato il sistema da Il!C
applicato e di cui ella desidera conoscere il gran
segreto ».
Il Maestro Bodrato a questo punto, richiaman-
do la similitudine del domatore di cavalli, do-
mandò a Don Bosco se, oltre al freno della Re-
ligione e al buon uso della ragione, si valesse an-
che d'un terzo elemento, insepar;=ibile da siffatto
ufficio, ossia della frusta.
·
< Eh! mio caro signore! Mi permetto osservar-
le che, nel mio sistema, la frusta che ella dice in-
dispensabile, ossia la minaccia salutare dei ven-
turi castighi, non è assolutame~te esclusa; voglia
riflettere che molti e terribili sono i castighi che
la ·Religione minaccia a coloro che, non tenend~
142

17.7 Page 167

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'
conto dei precetti del Signore, oseranno disprez-
zarne i comandi; minacce severe e terribili, che,
ricordate sovente, non mancheranno di produrre
il loro effetto, tanto più giusto in quanto che non
si limita alle esterne azioni, ma colpisce eziandio
le più segrete, ed i pensieri più occulti.
· < A far penetrare piit addentro la persuasione
di questa verità si aggiungano le pratiche sin-
cere della Religione, la frequenza dei Sacramenti,
e l'insistenza dell'educatore; ed è certo che,
con l'aiuto del Signore, si verrà più facilmente a
capo di ridurre a buoni cristiani moltissimi an-
che fra i più pertinaci. Del resto, quando i gio-
vani vengono ad essere persuasi che chi li dirige
ama sinceramente ·il loro bene, basterà, ben so-
vente, ad efficace castigo dei recalcitranti, un con-
tegno più riserbato, che ne addimostri l'interno di-
spiacere di vedersi mal corrisposto nelle paterne
sue cure.
< Creda pure, mio caro signore, che questo si-
stema è forse il più facile, e -certamente il più
efficace, perchè con la pratica della Religione sarà
anche il più benedetto da Dio > (93). ·
b) UNA BUONA NOTTE.
Gioverà infine ricordare una Buona Notte data
da Don Bosco ai giovani dell'Oratorio nell'agosto

17.8 Page 168

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·,del 1863: essa riassume con semplicità e i;m.me-
diatezza le sue idee fondamentali circa il sistema
preventivo.
< Siamo tutti insieme - diceva il Santo - per
correre.un arringo e guadagnarci una bella coro-
na. Tutti voi avete desiderio di fare una buo-
na riuscita. Dunque mettiamoci in cammino. Io
vi guiderò, voi mi seguirete. Prima però bisogna
che ci intendiamo nei patti. Patti chiari, amici-
?,:ia lunga, dice il proverbio. Io non sono qui per
guadagnar denari, per acquistarmi un nome, per
·glorial,'mi del vostro numero; son qui' per niente
altro che per fa~e del bene a voi. Perciò fate
conto che quanto io sono, sono tutto per voi, gior-
no ·e notte, mattino e sera, in qualunque momen- -
to. Io non ho altra mira che di procurare il vo-
- stro vantaggio morale, intellettuale, fisico. Ma, .per
riuscire in questo, ho bisogno del vostro aiuto: se
voi me lo date, io vi assicuro che quello del Si-
gnore non mancherà, ed allora tenete per certo
che·faremo grandi cose».
Osserviamo qui come Don Bosco, senza fer-
marsi alla parte umana dell'educatore e dell'edu-
cando, metta in piena luce il concetto genuino e
·completo dell'educazione cristiana, rilevandone il
· fattore principale, ossia l'azione di Dio e della
sua Grazia.
~gli infatti, come appare dalle. parole testè
144

17.9 Page 169

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'
·· ·citale~ non si · accòritentava che l'intervento di
Dio come . Educatore, specialmente nella per-
sona di Gesù Cristo, ~ostro Divino Maestro e Pe-
e dagogo, fosse soltanto ammesso e sottinteso, ina
voleva che fosse espressamente ricordato te-
nuto nel debito conto.
~ lo non voglio - continuò poi Don Bosco ~
che mi consideriate tanto come vostro Superiore
quanto come vostro amico. Perciò non abbiate
nessun timore di me, nessuna paura, ma invece
molta confidenza, che è quello- che io desidero, ch'e
vi domando, come mi aspetto da veri amici. lo,
ve lo dico schiettamente, aborrisco i castighi, non ·
mi piace dare un avviso coll'intimare punizioni a
chi mancherà: non è il mio sistema. Anche quan-
--0.0 qualcuno ha mancato, se posso correggerlo con
una buona parola, se chi ha commesso il fallo si
emenda, io non pretendo di più. Anzi, se dovessi
castigare uno di voi, il castigo· più terribile sareb-
be per me, perchè io soffrirei troppo.
'
« Quando un padre ha un figliuolo insubordi-
nato, sovente si sdegna, dà mano anche alla sfer.-
za, che, in certe circostanze, è necessario adope- .
rare. E fa bene, perchè Qui parcit virgae odit fi-
lium suum (Chi risparmia la verga odia il figlio .
suo) (94). Non di meno il mio cuore non reggereb-
be, non che a battere, neppure a vedere. Non già ·
che io iolleri i disordini. Oh! no, specialmente se
145

17.10 Page 170

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si trattasse di certuni che dessero scandalo ai
compagni: in questo caso per forza io dovrei dir-
gli: - Tu non puoi stare in mezzo a noi! - Ma ,
c'è un mezzo per antivenire ogni dispiacere mio
e vostro. Formiamo tutti un solo cuore! Io sono
qui per aiutarvi in ogni circostanza. Voi abbiate
buona volontà. Siate franchi, siate schietti come io
lo sono con voi. Chi fosse in pericolo, si lasci
sost.enere, me lo dica; chi avesse mancato, non
cerchi di coprirsi, ma invece procuri di rimediare
al mal fatto. Se io so le cose, e da voi stessi, allora
procurerò di trovar ripieghi, affinchè tutto pro-
ceda pel vostro meglio spirituale_e temporale. Non
sono io che voglio condannare coloro cui Dio
avesse perdonato... ~ (95).
C) ALTRI ACCENNI DEL SANTO EDUCATORE.
In parecchie altre circostanze posteriori alla
pubblicazione dell'opuscolo, Don Bosco presentò
le linee g:enerali del suo sistema. Ci limiteremo a
ricordarne alcune.
Il 23 luglio 1878, su richiesta del Ministro del-
l'Interno, Zanardelli, allegava, ad una lettera, il
suo pensiero sopra il sistema preventivo, in cin-
que punti:
- Il sistema preventivo neÌla educazione del-
la gioventù.
146

18 Pages 171-180

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18.1 Page 171

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- Sistema preventivo e repressivo m mezzo
alla società (definizione e differenze).
~ Quali fanciulli debbano dirsi pericolosi
(quattro categorie).
- Provvedimenti.
- Ingerenza governativa.
In fine esponeva con semplicità risultati ot-
tenuti (96).
Al Principe Gabrielli, Presidente della Com-
missione che amministrava l'Ospizio di San Mi-
chele in Roma, nel giugno del 1879 Don Bosco
scriveva: « Nelle nostre Case si fa uso di un si-
stema disciplinare affatto speciale, che noi chia-
miamo preventivo, in cui non sono mai adoperati
nè castighi nè minacce. I modi · benevoli, la ra-
gione, l'amorevolezza ed una sorveglianza tutta
particolare, sono i soli mezzi usati per ottenere
disciplina e moralità tra gli allievi» (97).
La sera del 22 maggio 1883, in occasione del
cinquantenario della Società di San Vincenzo dei
Paoli, Don Bosco tenne a Parigi, alla presenza del
Consiglio Centrale della Società, un breve discor-
so, durante il quale, a mo' di chiusura, tratteg-
giò il suo metodo educativo mirante a guadagnare
il cuore dei giovani, e a ottenere, mediante l'af-
fetto da essi portato ai loro Maestri, che siano buo-
ni e facciano il proprio aovere (98).
Era poi così intimamente convinto della ne-
147

18.2 Page 172

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cessità di praticare detto sistema, che non si stan-
cava di raccomandarlo in tutti i modi ai suoi figli.
Nel settembr~ del 1884 diceva in seno .al Capi-
tolo Superiore: <·Ogni· studio e ogni sforzo sia
rivolto a introdurre e praticare nelle nostre Case
il sistema preventivo. I vantaggi che ne verranno
. sono incalcolabili per la salute delle anime e la
gloria di Dio » (99).
3. Il principio informatore
del Sistema Preventivo.
a)
lL
FONDAMENTO
1
DELL AMORE.
Il sistema preventivo, al dire del nostro Pa-
dre, 4: si appoggia tutto sopra la ragione, la reli-
gione, e sopra l'amorevolezza l> (Regolam., 89).
Che la Ragione sia u°:o dei fondamenti in
questione, emerge da tutta questa nostra tratta-
zione. Ci pare. perciò superfluo parlarne espressa-
mente. e separatamente.
' Più avanti tratteremo del secondo fondamento
che· è .la Religione, base granitica e insostituibile
delÌ'educazione.
. Ci fermeremo ora sull'Amorevolezza, che tan- _
ta parte ha nel sistema educativo di Don Bosco,
chiamato con ragione Amico e Padre dei giovani.
148

18.3 Page 173

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1) L'educazione, opera d'amore.
Fu gia ·ricordato che l'opera educatrice tende
alla perfezione dell'educando, in tutto il suo essere
di uomo. Perfe,zionare vuol dire guidare, soste-
:nere, correggere: insomma, rendere ben ordinata,
utile e felice la vita umana.
Ora, se l'inclinazione dell'anima a volere il
bene di una persona è già amore, a maggior ra-
gione opera di amore deve dirsi l'educazione: ..:::ssa
infatti vuole ed effettivamente si adopra e sacri-
fica per procacciare l'unico vero bene dell'educan-
. do, ossia la perfezione della sua vita in quanto
·uomo, assecondando ib ciò l'innato impulso di
ogni essere verso Dio, Sommo Bene e . Sommo
Amore.
Ecco perchè l'educatore n,e,l suo delicato lavo-
ro non dovrà allontanarsi mai dalle pure e ce-
lesti vie di un sincero e fattivo amore. Qualsiasi
formazione data fuori dell'ambiente dell'amore e
priva degli slanci generosi di esso, non merita il
nome di educazione. E questo diciaino guidati dàl
solo dettame della retta ragione.
2) L'amore, essenza della vita crlstiana.
Ma che dovremo dire, illuminati dalla luce
soprannaturale? L'educazione in questa luce si
149

18.4 Page 174

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sublima e quasi divinizza, pqichè, aureolata dai
suoi splendori, essa altro non è che perfezionare
la vita di Gesù in noi, essendo Gesù della vita
soprannaturale Autore e Sorgente.
Adamo prievaricando ci co:nmnicò la morte;
Gesù venne perchè avessimo la vita, e vita abbon-
dante (100). Egli inoltre vuole che noi, consepolti
con Lui e con Lui risorti, viviamo una nuova vi-
ta (101). Non dobbiamo più essere coinquinati dal
vecchio fermento (102), ma dobbiamo divenire
una creatura nuova (103), giusta· la fra~ profon-
damente teologica dì San Paolo. Noi siamo incor-
porati a 6esù che è nostro capo (104), e perciò
di Lui siamo membri (105) e con Lui formiamo
un solo corpo mistico. No~ siamo più noi che vi-
viamo, ma è Gesù Cristo che vive in noi (106),
e la sua vita è la stessa nostra vita (107); donde
risulta che questa nostra vita è come nascosta,
con la persona di Gesù Cristo, in Dio (108).
È in Dio - al dire dell'Apostolo - che tutta
la nostra vita si svolge. In Lui ci moviamo, e co-
stantemente siamo (109): fatti consorti della sua
natura (110); noi, ovunque ci rechiamo, siamo por-
tatori di Gesù Cristo (111).
· Principio dunque della vita sopra:Q.naturale è
Gesù Cristo stesso, che volle addossarsi le uma-
ne colp,e, espiandole e riversando i meriti della
sua Passione sull'umanità, comunicando alla Chie-
150

18.5 Page 175

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sa, e attraverso la Chiesa, a tutti i suoi figli, quella
vita soprannaforale che è comunicazione della vita
sua propria·. Ma la vita di Dio è vita di amore:
lddio è carità (112).
·
Se poi scorriamo le pagine del Vangelo, ove,
sotto l'ispiraz.ione divina, sono ritratte le soavi
sembianze e narrate le opere prodigiose di Gesù,
facilmente ci persuaderemo che là tutto è amore.
Anzi Gesù stesso ci assicura di essere venuto dal
Cielo in terra per riaccendere il fuoco dell'amo-
re (113). Egli si compiace di chiamarsi il Buon
Pastore, e di presentarsi a noi quale Padre che
accoglie il figliuol prodigo, e quale pietoso Sama-
ritano che si china a curare ogni ferita. Egli ama
raffigu.rarsi a noi come la chioccia che raccoglie
i pulcini sotto le sue ali (114). Egli chiama a sè
quanti sono afflitti e oppressi per versare balsa-
mo .sulle piaghe del loro cuore (115). Egli in fine,
prima di manifestarci l'infinito suo amore immo-
landosi sulla croce, volle darsi a noi come cibo
nel Sacramento dell'Amore. La vita cristiana per-
tànto, considerata alla luce della Fede, è amore
perchè originata e alimentata da Gesù, amore infi-
nito. E noi professiamo come verità teologica, sulla
scorta di San Tommaso, che la perfezione cristiana
tutta si racchiude nella carità, nell'amore; poichè
è dessa, la carità, che ci unisce a Diò, nostro ul-
timo fin~ (116).
151

18.6 Page 176

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E. così veniamo a conchiudere che il vero fon-
damento e il termine della vita cristiana, il prin-
cipio inforf!latore di ogni manifestazione, la ·fon-
.te, · if mezzo, il fine della vera perfezione e l'a-
more. Ora, essendo Iddio amore è carità, noi
veniamo a trovare in Lui, no~ solo la fonte di
ogni bellezza e di ogni bene, non solo l'impulso per
operare con slancio e abnegazione in conformità al
divino volere, ma l'ideale della più alta perfe-
zione.
1
Abbiamo creduto necessario fissare questi con-
cetti, perchè noi Salesiani, come Religiosi e come
Educatori, essendoci proposta l'educazione della
gioventù in conformità ai dettami della vita cri-
stiana, dobbiamo richiamarci COJ;l frequenza ad
essi, ricordando . e praticamente manifestando che
il grande principio della legge evangelica; il
mandp.to ·nuovo che Gesù è venuto a dare all'u-
manità redenta, l'anima insomma del cristiano
~perare, è l'amore.
San Francesco di Sales, dopo aver ricordato
che dall'anima viene il primo atto, il principio di
tutti i moti vitali dell'uomo, per il quale vivia-
mo, sentiamo e intendiamo, aggiunge che deve dir-
.si la stessà cosa dell'amore, perchè esso è il pri-
mo atto, il pr1ucipio di tutta la nostra vita spi-
rituale, quel principio appunto per cui viviamo,
e sentiamo ci muoviamo.
152

18.7 Page 177

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·.
È _logico pertanto conchiudere che l'amore è e
de~>essert; il principio di tutt~ l'opera nostra edu-
cativa e di ogni apostolato, poichè, se l'educazio-
ne è opera di perfezione, e la perfezione cristia-
~a consiste nell'amore, la vera educazione deve
raggiungere il suo scopo nell'amore e con l'a-
more.
3) San Francesco di Sales, Santo dell'amore.
Oltre che al Vangelo, tutto ardore di carità,
San- Giovanni Bosco si ispirò a San Francesco di
Sales, ch'egli scelse come Patrono del suo primo
Oratorio, e più tardi di tutta la Società, appunto
per la sua amorevolezza.
Fin dall'8 dicembre 1844, autorizzato dall'arci-
vescovo, Don ·Bosco, benedicendo due camerette
concessegli dalla Marchesa Barolo nei locali dell'O-
spedaletto, vi stabiliva la prima cappella., dccli-
. candola a San Fran~esco di Sales. Tre f~rono le
ragioni di questa scelta. Primieramente perchè la
Marchesa Barolo, per secondare Don Bosco, di,,i-
sava di stabilire al Rifugio una Congregazione di
Sacerdoti sotto questo titolo. In secondo · luogo,
perchè la parte di ministero che Don Bosco aveva
preso ad esercitare intorno alla gioventù richie-
deva molta calma e mansuetudine. Oltre a ciò
lo confortava una terza ragione. In quel tempo,
153

18.8 Page 178

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parecchi errori, sparsi specialmente dai prote-
stanti, incominciavano ad insinuarsi insidiosa-
mente, soprattutto in Torino, tra il popolo. Or-
bene, Don Bosco, scegliendosi come Patrono San
Francesco di Sales, che aveva lottato e trionfato
così splendidamente dei nemici della Chiesa, in-
tendeva ren9-erse1o propizio per ottenere dal
Cielo quelle speciali attitudini di cui avrebbe po-
tuto aver bisogno nella lotta per guadagnare ani-
me al Signore.
« Insomma / - conclude Don Lemoyne _:... Don
Bosco giudicava che lo spirito di San Francesco
di Sales fosse il più adatto ai tempi per l'educa-
zione e l'istruzione popolare» (11'7).
Orbene, in che consiste lo spirito di San Fran-
cesco di Sales? È generalmente ammesso che nei
colossi della perfezione cristiana si ·delinei a volte
un aspetto speciale, quasi una differenza specifica
di azione e di santità, che co~tituisce in certo mo-
do una loro caratteristica. Evidentemente ~ sem-
pre lo Spirito di Dio che opera in loro. Dio stes-
so però ama manifestarsi in modi diversi, e così
il suo Spirito ebbe ed ha manifestazioni diverse
anche nelle anime dei suoi santi.
La santità si . compie sempre e si perfeziona
nella carità; ma questa, appunto perchè è carità,
seppe nel corso dei secoli e attraverso l'opera di
uomini santi e provvidenziali, presentarsi con mo-
154

18.9 Page 179

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di con caratteristiche particolari. K così si usa
chiamare Sa,n Girolamo il santo della castità,
San Benedetto il santo della liturgia, San Fran-
cesco d'Assisi il santo deila povertà, San Ber-
nardo il santo della mortificazione. Orbene, San
Francesco di Sales vien detto il santo dell'amore
e della dolcezza. Non già che egli sia stato, in
certo modo, l'inventore dell'ascetica dell'amore
come metodo per raggiungere la santità; ma per-
chè, illustrando il fondamento della sua teologia,
della ·sua ascetica, del suo lavoro formativo a
vantaggio delle anime, nella Introduzione alla vita
devota e nel Teotimo o Trattato dell'amor di Dio,
seppe esporre e coordinare in maniera soave e
meravigliosa tutta la dottrina dell'amore, che
viene presentato come fonte, mezzo e termine
della santità.
Di fronte al rigorismo invadente e al fatalismo
di Calvino, San Francesco di Sales seppe addi-
tare efficacemente la strada del Vangelo per ri-
condurre le anime al loro Padre che sta nei cieli,
ripetendo costantemente con San Giovanni Evan-
gelista che Dio è carità.
Nel cuore del, nostro Patrono il Creatore aveva
soprattutto versato tesori senza limiti di bontà
e di carità. Non voleva che si temesse Dio, ma
che lo si amasse grandemente: < Dio è tuo Pa·
dre - diceva. - Se così non fosse, egli non ti
155

18.10 Page 180

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farebbe dire: Padre ·nostro, c_he sei nei cieli. E che
cosa hai da temere, essendo figlio di un tal" Pa-
dre? ... Figli d 'un tal Padre, è cosa ben strana
che abbiamo o possiamo avere altro pensiero che
non sia di fedelmente amarlo e servirlo» (118).
Nel prossimo stesso amava Iddio, ripetendo: « Mi
sembra ch'io non ami altro che Dio, e tutte le
·anime per Iddio, e tutto ciò che non è Dio o per
Iddio lo tengo per cosa da nulla » (119). E sog-
giungeva: « Chi ama il rigore vada lungi da me;
perchè io di rigore non voglio saperne... A tener
maniere dure e aspre, non vi è nulla da guada-
gnare » (120). Riguardo poi alla dolcezza con cui
.trattare il prossimo, diceva ancora: « Lo spirito
umano è così fatto, che a trattarlo con rigore si
inalbera. Tutto con dolcezza, niente p·er forza: la
durezza manda a male ogni cosa, inasprisce i
cuori, produce l'odio: e lo stesso bene che si fa,
lo si fa di sì mal garbo, che non si può saper-
gliene grado. Al contrario la dolcezza maneggia a
suo talento il cuore déll'uomo, e ne fa quel che
vuole » (121).
Insomma egli era giunto alla persuasione - e
frutto di essa fu l'apostolato intero della sua vi-
ta? - che la perfezione del cristiano è fondata
sull'amore, e che solo può cercarsi e compiersi
con l'amore. E -perciò, come l'amore è tutto nella
vita spirituale, altrettanto deve dirsi che è tutto ·
156

19 Pages 181-190

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19.1 Page 181

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nell'opera dell'educazione, la quale solo può e~-
fettuarsi nell'amore e còn l'amore.
Questo, in sintesi, lo spirito del Vangelo e lo
spirito di San Fràncesco di Sales, che dal Van-
gelo lo attinse. Questo pure lo spirito di Don
Bosco, formatosi alla scuola del Vangelo e di San
I
Francesco di Sales. Questa anche la ragione per
cui Don Bosco non volle che i suoi figli _pren-
des~ero nome da lui, ma dal Patrono, vale a dire
fossero Salesiani, cioè formati allo spirito di ca-
rità e di dolcezza del Salesio.
4) Don Bosco e la sita missione <l'amore.
Don Bosco intese e visse la_sua vita come un
esercizio costante d'amore. Non è qui il caso di
parlare dell'amore del Santo verso Dio; ma poi-
ch.è dall'amor di Dio prende tutta la sua forza
l'amore verso il prossimo, ci limitiamo a tra-
scrivere circa quest'argomento alcune brevi pa-
role di Don Rua, che meglio di ogni altro co-
nobbe, approfondì e ritrasse lo spirito di Don
Bosco. « Ben si può . dire - egli afferma - che
in tutta la vita di Don Bosco l'amor di Dio fu
il movente di tutte le sue opere, l'ispirazione di
tutte le sue parole, ed il centro di tutti i suoi
pensieri e dei suoi affetti» (122).
Don Albera, secondo successore del Santo, nota
157

19.2 Page 182

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che senza dubbio la vita di Don Bosco fu una
non mai interrotta unione con Dio, e che, quanto
più in Dio s'accresceva l'amor suo, tanto più ge-
nerosamente questo · stesso amore egli riversava
sul prossimo: chiamato, per ispirazione celeste,
ad occuparsi in modo particolare della gioventù,
da Dio stesso, a mezzo di celesti carismi, potè co-
noscere ·quale doveva essere il principio informa-
tore dell'opera sua formatrice (123).
Tra le ispir~zioni e i carismi occnpa il primo
posto il sogno fatto all'età di nove anni; nel quale
Iddio gli fissava il programma e il metodo della
sua missione. Don Bosco stesso lo narra ai suoi
figli, a loro incoraggiamento e ammaestramen-
to. Ivi noi possediamo una delle più belle pagine
della giovinezza del Santo, de~critta con tanta mi-
nuzia di particolari e con tanta immediatezza di
forma e di sentimento, che egli, mentre da una
parte sembra rivivere tutti e ·singoli gli aspetti
-di quella prima rivelazione soprannaturale, dal-
l'altra dimostra di essere perfettamente cow,cio
della peculiare importanza di essa in rapporto a11a
sua vita e alla sua missione.
D'altronde, se è sempre una della cose più
belle la lettura della giovinezza di un grande,
pensiamo ciò possa dirsi in particolare del nostro
Padre e F~ndatore, riguardo alle prime intuizio-
ni del suo avvenire e delle caratteristiche del suo
158

19.3 Page 183

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futuro apostolato. Ecco adunque come egli narra
la prima manifestazione fattagli da Dio sulla
sua missione di educatore.
« All'età di nove anni circa, ho fatto un so-
gno che mi rimase profondamente impresso per
tutta la vita. Nel sonno, mi parve di essere vi-
cino a casa, in · un cortile assai spazioso,,,.-.d_pve
stava raccolta una·moltitudine di fanciulli che si
trastullavano. Alcuni ridevano, altri giocavano,
non pochi bestemmiavano. All'udire quelle be-
stemmie, mi sono subito slanciato in mezzo a .lo-
ro, adoperando pugni e parole per farli tacere.
In quel momento, apparve un · Uomo venerando,
in età virile, nobilmente vestito. Un manto bian-
co gli copriv:a tutta la persona, ma la sua faccia
era così luminosa che io non poteva rimirarla.
« Egli mi ·chiamò per nome e mi ordinò di
pormi alla testa di quei fanciulli, aggiungendo
queste parole: - Non con le percosse, ma colla
mansuetudine e con la carità dovrai guadagnare
questi tuoi amici. Mettiti dunque immediatamente
a far loro un'istruzione sulla bruttezza del pec-
cato e sulla preziosità della virtù.
«Confuso ·e spaventato, soggiunsi che io era
un povero ed ignorante fanciullo, incapace di par-
lare di Religl'tme a quei giovanetti. In quel mo-
mento, quei ragazzi, cessando dalle risse, dagli
schiamazzi e dalle bestemmie, si raccolsero tutti
159

19.4 Page 184

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intorno a Colui che ·_ p'arlava. Quasi senza saper~
che mi dicessi:
- Chi siete voi, soggiunsi, che mi comandate
cosa impossibile?
- Appunto perchè tali cose ti sembrano im-
possibili, devi renderle possibili coll'obbedienza e
con l'acquisto della scienza.
- Dove, con quali mezzi potrò acquistare la
scienza?
- Io ti darò la Maestra, sotto la cui disci-
plina, puoi diventare sapiente, e, senza· cui, ogni-
sapienza diviene stoltezza.
- Ma chi siete voi, che parlate in questo modo?
- Io sono il Figlio di Colei che tua madre ti
ammaestrò di salutare tre volte al giorno.
- Mia madre mi dice di non associarmi co,11
quelli che non conosco, senza suo permesso; per-
ciò ditemi il vostro nome.
- Il mio nome domandalo a mia Madre.
« In quel momento vidi accanto a Lui una
Donna di maestoso aspetto, vestita di un manto
che risplendeva da tutte le parti come se ogni
punto di esso fosse una fulgidissima stella. Scor-
g~ndomi ognor più confuso nelle mie domande e
risposte, mi accennò di avvicinarmi a Lei, che,
presomi con bontà per mano: - . Guarda - mi.
disse.
« Guardandomi accorsi che tutti q.~ei fanciulli
160

19.5 Page 185

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,/
erano fuggiti, ed in loro vece vidi una moltitu-
dine di capretti, di cani, di gatti, di orsi, e
parecchi altri animali. - Ecco il tuo campo, ecco
dove devi lavorare - continuò a dire quella Si-
gnora. ~ Renditi umile, forte, robusto, e ciò che
in questo momento vedi succedere di quegli ani-
mali, tu dovrai farlo pei miei figli.
« Volsi allora lo sguardo, ed -ecco, invece di
animali feroci, apparvero altrettanti mansueti
agnelli, che tutti, saltellando, correvano attorno,
belando come per fare festa a quell'Uomo e a
quella Signora.
« A quel punto, sempre nel sonno, mi misi a
piangere, e pregai quella Donna a voler parlare in .
modo da capire, perciocchè io non s_apeva quale
cosa si volesse significare. Allora Essa mi pose /
la mano sul capo dicendomi: - A suo tempo
tutto comprenderai.
« Ciò detto, un rumore ini svegliò, ed ogni
cosa disparvè. Io rimasi sbalordito. Sembravami
di avere le mani che facessero male per i pugni
che avevo dato, che la faccia mi dolesse per gli
schiaffi ricevuti da quei monelli." Di poi, quel
Personaggio, quella Donna, le cose dette e queHe
udite, mi occuparono talmente la mente, che per
quella notte non mi fu più possibile prendere
sonno.
« Al mattino io tosto con premura raccontai
161
6 (I)

19.6 Page 186

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quel sogno, prima ai m1e1 fratelli, che si misero
a ridere, poi a m}a madre ed alla nonna. .Ognuno
dava al medesimo la sua interpretazione. Il fra-
tello Giuseppe diceva: - Tu diventerai g.uardia-
no di capre, di pecore, e di altri animali. - Mja
madre: - Chissà che non abbia a diventare pre-
·te! - Antonio, con secco accento: - Forse sarai
capo di briganti. - Ma la nonna, che sapeva as-
sai di teologia ed era del tutto analfabeta, diede
sentenza definitiva dicendo: - Non bisogna ha-
dare ai sogni.
·
« Io era del parere di mia nonna, tuttavia non
mi fu mai possibile di togliermi quel sogno dalla
mente » (124).
Don Bosco adunque, alla scuola dell'Uomo ve-
nerando e della Donna di maestoso aspetto, up-
, prese che, con la mansuetudine e la carità, avreb-
be potuto trasformare gli animali selvaggi e feroci
m mansueti agnelli.
·
b) L'AMORE, ANI MA DEL SISTEMA PREVENTIVO.
1) Il Sistema Preventivo
nel pensiero di Don Bosco.
Ma è tempo ormai che indichiamo almeno i
punti fondamentali dell'opuscolo Il Sistema Pre-
ventivo, alla luce di quanto abbiamo rilevato fin
qui. Udiamo il Santo Educatore.
162,

19.7 Page 187

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(
..
< Più volte egli dice - fui richiesto di espri-
mere verbalmente o per iscritto alcuni pensieri in-
torno al cosiddetto Sistema Preventivo che si ~1101
usare nelle nostre Case. Per mancanza di .tempo,
non ho potuto finora appagare questo deside:-io,
e, presentemente, volendo -stampare il Regolamen-
to che finora si è quasi sempre usato tradizional-
mente, credo opportuno darne qui un cenno, che
però sarà come l'indice cli un'operetta che vo pre-
parando, se Dio mi darà tanto di vita da poterla
terminare, e ciò unicamente per giovare alla diffi-
cile arte della giovanile educazione » (Regolam.,
P art. II, Sez. I).
Dopo questo preambolo,, egli passa a dire in
che cosa consiste il sistema preventivo:
« Due sono i sistemi in ogni tempo usati nel-
l'educazione della gioventù: preventivo e repres-
sivo. Il sistema repressivo consiste nel far cono.:-
scere la ]egge ai sudditi, poscia sorvegliare pe.r
conoscerne i trasgressori ed infliggere, ove sia
d'uopo, il meritato castigo. Su questo sistema le
parole e l'aspetto del Superiore debbono sempre
essere severe e piuttosto minaccevoli, ed egli stesso
deve evitare ogni familiarità coi dipendenti. Il
Direttore, per accrescere valore alla sua auto-
rità, dovrà trovarsi di rado tra i suoi soggetti, e
pe~ lo più solo quando si tratta di punire e cli
minacciare.
163

19.8 Page 188

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« Questo sistema è facile, meno faticoso, e gio-
va specialmente nella milizia e in generale tra
le persone adulte e assennate, che devono da se
stesse essere in grado di sapere e ricordare ciò
che è conforme alle foggi e alle altre prescrizio-
ni» (Regolam., 87).
« Diverso; e, direi, opposto è il Sistema Pre-
ventivo. Esso consiste nel far conoscere le pre-
scrizioni ·e i Regolamenti di un Istituto, e poi
sorvegliare in guisa che gli allievi abbiano sopra
di loro l'occhio vigile del Direttore o degli assi-
stenti, che, come padri amorosi, parlino, servano
di guida ad ogni evento, diano consigli e amore-
volmente correggano, che è quanto dire: mettere
gli allievi nell'impossibilità di commettere man-
canze » (Regolam., 88).
·
Dallo ·scritto di Don Bosco risulta chiaramen-
te anzitutto che, tra i due sistemi di educazione,
il repressivo e il preventivo, egli scelse il pre-
ventivo. Risulta parimenti che questo sistema pre-
ventivo non è una novità pura e semplice ne1la
storia dell'educazione e della pedagogia. Già Pla-
fone insorgeva a suo modo contro gli educatori
del suo tempo, che educavano i giovani con la
violenza e con la repressione, come se fossero f's-
seri irragionevoli: egli reclamava, p•er i giovani
dotati d'intelligenza e di volontà, un'educazione
ispirata alla ragione e alla libertà, e così lascia-
. 164

19.9 Page 189

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va intravvedere una pedagogia ed una educazio-
ne basata sull'amore, che della ragione e della
volontà è l'espressione più piena e feconda.
Questo sistema del resto, seguito già da altri
pedagogisti suoi antecessori, come ad esempio in
Italia da Vittorino da Feltre, in Francia dal Du-
panloup, e in tempi più remoti da San Paco-
mio, da Sant'Anselmo ed altri, Don Bosco lo intese
ed applicò, anzi lo rinnovò in un modo tutto suo,
illustrandolo con tanta copia di norme e pre-
cetti, da giustificare la denominazione, ormai dif-
fusa in tutto il mondo, di sistema preventivo rli
Don Bos~o.
Il Santo visse in un tempo, in cui l'arte del-
l'educazione era praticata da alcuni sotto fispi-
razione del naturalismo pedagogico, che faceva
capo alle dottrine ottimistiche del Rousseau, men-
tre altri molti, educatori e moralisti cattolici, si
ispiravano piuttosto a un rigorismo di sapore an-
cora giansenistico.
· Don Bosco, con sano equilibrio, seppe cogliere
il punto giusto e mantenersi a un'equa distanza
dai due estremi: cosicchè - ed è ciò che costituisce
il massimo pregio delle sue idee pedagogiche e
morali - egli potè costituire, con gli stessi princìpi
del Vangelo e secondo le direttive della Chiesa,
un sistema d'educazione nel quale non vi è posto
nè per l'esagerato ottimismo tipo Rousseau, nè
165

19.10 Page 190

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per il gelido pess1m1smo giansenistico e, peggio,
luterano. Appunto da questa decisa posizione di
stabile equilibrio egli trasse e costrusse tutto l'e-
dificio della sua azione e tradizione educa.tiva.
Lo stesso Don Bosco poi diede incessantemente
a conoscere quale fosse la vera anima di ·tutta
la sua vita di educatore, di apostolo e di fonda-
tore.
2) Vamore nel Sistema Preventivo.
Chiunque legga la Vita di Don Bosco, si per-
suade facilmente che egli, fedele alle ispirazioni
celesti, volle che tutto il suo lavo'ro per la gio~
V'entù e per le anime - ai Becchi, a Chieri, a
Torino; da pastorello e da 'piccolo saltimbanco; da
chierico, da prete e da fondatore della Società
Salesiana - fosse, in ogni tempo e circostanza,
mosso dal più puro amore, e vivificato dalla ca-
rità.
Egli stesso ci fa sapere che, fin dagli inizi del
suo apostolato, prese, fra le altre, questa risolu-
zione: « Cerca di farti: amare, di poi ti, farai ob-
bedire con tutta facilità » (125). « ~ cosa - di-
ceva - assai importante ed utile per la gioven-
il far in modo che non mai un fanciullo par-
ta malcontento da noi » (126).
U 31 agosto 1846, convalescente ai Becchi, scri-
veva a Don Borel, che lo sostituiva a Torino:
166

20 Pages 191-200

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20.1 Page 191

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~ Ella fa-ccia che l'olio condisca ogni vivanda nel
nostro Oratorio » (12?). Dettando le prime norme
del suo Oratorio festivo, diceva che la c~rità e le
buone maniere, ·« sono le fonti da cui derivano
i frutti che si sperano dall'Opera degli Orato-
ri » (128).
La moralità cristiana non è, come ,erroneamen-
te scrissero alcuni filosofi, semplicemente nega ti-
va: essa non si limita al Non fare; ma, tutta vi-
vificata dalla carità, sviluppa potenti energie per
l'azione, mettendo aHe · nostre attività una sola
condizione, quella di ispirarsi e di tendere a11'a-
more. Ed è opera squisitamente di amore fattivo,
.'il sistema che Don Boscò vuole sia norma de1la
pedagogia salesiana.
Rileggendo le pagine · che egli scrisse snl suo
sistema, le sue conferenze, i suoi discorsini dt'lla
Buona. Notte e molte sue lettere, si prova una
soavità ineffabile. Basti accennare ai Ricordi da
lui scritti al figlio prediletto, Don Rua, allorchè
lo inviava a fondare la prima Casa fuori Torino
a Mirabello Monferrato: noi li pubblicheremo
fra le appendici (129). Questi documenti, ; quali
· con le Costituzioni e i Regolamenti delle Case
salesiane costituiscono come la magna. cha.rfa del-
la pedagogia salesiana, sono tutti pervasi e pro-
fumati di .purissima carità. L'educatore salesiano,
sia Direttore o Consigliere o Catechista, sia Mae-
167

20.2 Page 192

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stro ù Assistente o Capo d'Arte, o rivestito di
qualsiasi altra carica, è e dev'essere sempre, nel
pensiero di Don Bosco, l'uomo della carità. Ecco
la sua norma: I Superiori « amino ciò che piace ai
giovani, e i giovani ameranno ciò che piace ai
. Superiori » (130) . Al contrario, quando « i Supe-
riori sono considerati come Superiori, e non più
come padri, fratelli ed amici... sono temuti e poco
amati » (131). Ed ancora scrive: « Quando illan-
guidiscei l'amore, le cose non vanno più be-
ne! » (132). ~
L'amore da lui voluto come scopo e strumento
dell'apostolato educativo, è sempre l'amore pu-
rissimo che solo può attingersi alla sorgente del~
l'infinito Amore. E il Santo non si stanca di ripe-
tere che l'anima, l'essenza, il principio supre-
mo, del suo sistema educativo è la carità, giun-
gendo spesso ad affermare compendiosamente; « Jl
sistema preve,ntivo è la carità » (133).
A proposito poi dell'applicazione del sistema
preventivo, scrive: « La pratica di questo sistema
è tutta appoggiata sopra le parole di San Paolo,
che dice: Caritas benigna est... Omnia suffert,
omnia sperai, omnia sustinet (134): La carità è
benigna e paziente; soffre tutto, ma spera tutto, e
sostiene qualunqu~ disturbo. Perciò - conch.iu-
de ~ soltanto il cristiano può con successo appli-
care il sistema preventivo » (Regolam., 9'o) .. E la
168

20.3 Page 193

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ragione è evidente: egli solo si trova vivificato dal-
l'amore soprannaturale.
Il nostro Padre, da pedagogo ed educatore sa-
pientemente sagace, che mira ai risultati reali
e duraturi, esclude il sistema repressivo, perchè,
secondo lui, « non fa migliori i delinquenti» (Re-
golam., 89, 3°). Per lui l'educazione è eminente-
mente opera di ricostruzione, di miglioramento, di
perfezione. Solo il cuore può rendersi padrone dei
cuori: ed ecco spiegata la sua insistenza suìl'a-
morevolezza « che rende amico l'allievo » (Rego-
lam., 89, 3°). « Ricordava sovente la massima di
San Francesco di Sales: - Si prendono più mo-
sche con un cucchiaio di miele che non con un
barile di aceto » (135).
Ed egli, applicando i princìpi di San France-
sco di Sales all'educazione per condurre le ani-
me al Dio dell'amore, si vale dell'amore: è que-
sta l'essenza dello spirito salesiano.
Il 10 agosto 1885 così scrivev,a a Mons. Costa-
magna a Buenos Aires: « Vorrei a tutti fare io
stesso una predica, o meglio, una conferenza sul-
lo spirito salesiano che deve animare e guidare
le nostre azioni ed ogni nostro discorso. Il siste-
ma preventivo sia proprio di noi. Non mai casti-
ghi penali, non mai parole umili~nti, non rimpro-
veri severi in presenza altrui.. Ma nelle classi
suoni là parola dolcezza, carità e pazienza. Non
169

20.4 Page 194

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m·ai parole mordaci, non mai uno schiaffo grave
o leggero. Si faccia uso dei castighi negativi, e
sempre in ~odo che c~loro che siano avvisati, di-
ventino amici nostri più di prima, e non partano
mai avviliti da noi... La dolcezza nel parJare,
pell'operare, nell'avvisare, guadag·na tutto e tut-
ti » (136).
D'altronde la ragione stessa conferma 1'espe-
rienza che, senza vera affezione, è inutile il mi-
nistero dell'educatore. La prima felicìtà di un
fanciullo è sapere di essere amato: e così egli
corrisponde a questo amore, si persuade di quan-
to il maestro asserisce, ama tutto ciò che il mae-
stro insegna, a lui piace quello che al maestro
piace, si affeziona per tutto il tempo del1a sua
vita alla verità e alla dottrina da lui apprese, e,
a volte, si sente perfino inclinato alla stessa pro-
fessione, anche sacerdotale e religiosa, dell'('du-
catore, e lo ama come il padre dell'anima su n.
Lo ripetiamo con Don Bosco stesso: « Ciò che più ·
di tutto attrae i giovanetti sono le buone acco-
glienze: per ottenere buoni risultati nell'educa-
zione della gioventù, bisogna studiare il modo di
farsi amare, per farsi di poi temere » (13?).
Voleva però che non si amassero le creature
per fini umani (138), ma solo e sempre per amor
di Dio e per far loro del bene: amore fattivo in~
somma egli desiderava, praticava ed inculc~va,
170

20.5 Page 195

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per rendere feconda l'opera educativa (139}. < Ca-
rità, carità, carità» - raccomandava nel 1881 ai
missionari partenti (140).
Questa carità poi voleva che si usasse special-
mente verso i bisognosi. Dic~va il 26 settembre
1868: « Dopo aver messo in pratica tutte le Re-
gole della Casa, procurate anche di farle osser-
vare ai giovani... Nello stesso tempo trattateli
con grande carità nell'avvisarli... Andate sempre
con quelli che hanno bisogno di essere consolati,
cogli infermi, e ispirate loro coraggio, animateli
alla pazienza... Ciò fate non solamente con quei
tali che piacciono, che sono buoni, che han molto
ingegno, ma anche con quelli che sono di poca
virtù, di poco ingegno, e anche con i cattivi. Non
è scritto nel Vangelo aver detto Gesù che i sani
non han bisogno del medico?» (141).
Il 1 marzo 1863 parlava ai suoi collaboratori
della sollecitudine che si deve avere per farei· del
bene alla gioventù.
« Con grande effusionè di cuore - attesta Don
Bonetti - ci esortò a cercare di preferenza quei
fanciulli che ci paiono più abbandonati degli altri
per i loro difetti; e che non ricusassimo di trat-
tenerci con quelli la cui compagnia possa recarci
noia e fastidio. Uscì infine con 'queste parole: -
Anche costoro hanno un'anima. che dobbiamo ad
ogni costo salvare » (142).
171

20.6 Page 196

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E non basta. L'amore lungimirante di Don
Bosco non sa separarsi da coloro che furono suoi
allievi. Egli vuole continuare in certo modo con
essi la sua missione, anche quando avranno la-
sciato l'Istituto. Ora precisamente per rendere
indissolubili ,i vincoli che devono unire l'educa-
catore all'educando, egli ancor più. tenacemente
insiste sulla pratica della carità. Valendosi del
sistema preventivo « l'educatore - così scrive --
potrà parlare col linguaggio deJ cuore, sia in tem-
po dell'educazione, sia dopo di essa. L'educatore,
guadagnato il cuore del suo protetto, potrà eser-
citare sopra di lui un grande impero, avvisarlo,
consigliarìo, ed anche correggerlo allora eziaudio
che si troverà negli impieghi, n'egli uffici civili
e nel commercio » (Regolam., 89, 1 4°).
È questa la chiave del mirabile successo del-
l'Associazione degli Ex-Allievi, che racchiude,
nella forza del -suo organismo, tanta ricchezza di
risultati e di promesse. Tutto, nell'opera educa-
tiva di Don Bosco, si impernia e si sviluppa
nell'amore.
Possiamo pertanto conchiudere che il siste:rp.a
educativo di Don Bosco, è derivato, guidato, so-
stenuto, perfezionato, reso fecondo dalla éarità:
la carità ne è l'anima, il principio informatore.
Da questa carità, trasformata in amore, fattivo
per il prossimo, risultò per Don Bosco quella che
172

20.7 Page 197

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fu la vocazione di tutta la sua vita, ed è voca-
zione pure dei su,oi Figli e delle Figlie di Maria
Ausiliatrice: rig~nerare cioè e formare rettamente
una sterminata moltitudine di giovani e giovanette
mediante l'educazione cristiana, nel soave am-
biente della più pura carità, ~ffinchè _s'impari
fin dalla tenera età, mediante l'adempimenfo dei
propri doveri, a dimostrare praticamente a Dio
rispetto per le sue leggi e corrispondenza al suo
amore.
Uno può anche consacrarsi all'opera dell'edu-
cazione per un sentimento naturale di beneficare
i propri simili, o per. le gioie stesse che si pro-
vano quando i giovani corrispondono alle pro-
prie cure, oppure per trarne mezzi di sussistenza,
e perfino a causa di particolari situazioni della
vita che rendono inevitabile un tal lavoro. Per
Don Bosco invece, il motivo fu sempre, e con tutti,
uno solo: la carità, servir Dio salvando i giovani
e il p:r;ossimo.
Alla luce di ·questo principio supremo della
sua vita_ e del suo apostolato, egli iniziò e conti-
nuò fino al termine dei suoi giorni il suo lavoro
meraviglioso, lasciando ai suoi Figli e Figlie il
perpetuare un'opera che, beneficando la gioventù,
dovrà continuarne le benefiche conquiste a gloria
della Chiesa e ad incremento della civile società.
173
\\'

20.8 Page 198

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3) Come Do·n Bosco amava i suoi giovani.
Don Bosco era il primo a, dare, con l'esempio,
ridea del come bisogna amare i giovani. . Il suo .
metodo di educazione era la carità, ossia la bontà
adattata sapientemente- e soavemente _all'età dei
- giovani (-143).
Fin da piccolo si era persuaso del bisogn~
che la gioyentù ha di un sostegno amorevole,
e che -essa. si lascia piegare come si vuole, pur-
chè siavi chi se ne prenda cura. Egli allora pro-
vava in se stesso tale necessità e, come abbiamo
visto, si rammaricava del contegno riservato del
suo Prevosto verso di lui.
Cresciuto negli anni, e diventato chierico, si
diportava coi piccoli proprio così come aveva
sognato da piccolo. Il Sig. Brosio attestò: « Mi
ricordo, essendo io ancor giovanetto a Chieri,
·che Don Bosco, allora chierico, er~ caro a tutti
perchè amantissimo della gioventù. Si poteva dire
che egli viveva per i fanciulli » (144). Ed i gio-
vani sapevano di essere da lui praticamente a-
mati, e « lo - attorniavano, come figli il proprio
padre» (145).
Diventato sacerdote, continuò a fare lo stesso
coi giovani dell'Oratorio (146). , Don Rua, par-
lando di quando Don Bosco l'aveva accolto a
Va:1docco, dopo molti anni narrava tutto com-
174

20.9 Page 199

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mosso la cura materna che si era presa, di lui e
di tutti :gli altri, sopportando le fanciullesche
vivacità _di molti ed ottenendo amorevolmente
' silenzio ed attenzione nei tempi designati (147).
Don Giacomelli, eh~ per due anni convisse con
Don Bosco all'Oratorio e fu sempre suo intimo,
attestò che « i gio_,vani, di mano in mano che si
avvicinavano a Don Bosco, diventavano migliori
e laboriosi, ed egli accompagnava costantemente
con la carità ogni comando, avviso o correzione,
cosicchè, da tutto il suo modo di fare, appariva
evidente non cercare egli altro che il loro bene.
Prevenendo le mancanze, no~ era costretto .a por
mano ai castighi. I giovani, di contraccambio,
lo amavano tanto, e tanta stima e rispetto ave-
vano per lui, da bastare che esternasse un desi-
derio per venir subito ascoltato... Nella loro obbe-
dienza non vi era alcun timore servile, ma un af-
fetto veramente filiale. Taluni si guardavano dal
cadere in certe mancanze quasi più per ri-
guardo a lui che per riguardo all'offesa di Dio;
ma egli, accorgendosene, tosto li rimproverava
seriamente » (148). Voleva che fossero buoni, non
per piacere a lui, ma a Dio.
Il Prof. Francesco Maranzana, che nella sua
infanzia, e poi p-er lunghi anni ancora, era stato
testimonio delle meraviglie operate da Don Bosco,
scrisse: « L 'amore ardente e sincero che Don Bosco
175

20.10 Page 200

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portava ai giovani traspariva dal suo sguardo e
dalle sue parole in un modo così evidente -che tmti
lo sentivano... e provavano una gioia arcana nel
trovarsi innanzi a lui: il quale affetto, congiunto
con quella dolce e mite autorità che... gli circon-
dava il capo come un'aureol~ celeste, faceva sì
. che ogni suo detto fosse ascoltato attentamente;
e quando Don Bosco parlava, si credeva che
parlasse Dio stesso » (149).
« Una delle qualità caratteristiche di Don Bo-
sco - disse il Teologo Ballesio ~ fu quella di
guadagnarsi l'affezione dei giovani » (150).
Quanti giovani conobbero che cosa fosse amor
di padre solo quando si incontrarono con Don
Bosco! Ed egli si intratten eva sempre volentieri
con essi per indirizzar loro una buona parola.
In questa guisa, mentre educava il loro cuore,
ne migliorava la condotta. Sebbene gran parte
di essi fossero poveri orfanelli, nondimeno a tutti
pareva di trovarsi tra le gioie di famiglia. Egli
trattava tutti senz'ombra di parzialità, con le me-
desime dimostrazioni di benevolenza, e, p er evi-
tare fra di loro ogni disputa e gelosia, li rassi-
curava di tratto in tratto della su~ uguaglianza
di aff.eito (151).
Ciò non impediva tuttavia che egli . dimo-
strasse speciale benevolenza verso gli orfanelli
più bisognosi ed abbandonati, maggiormente espo-
176

21 Pages 201-210

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21.1 Page 201

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stì ai pericoli e agli scandali delle famiglie o
dei cattivi compagni. Diceva un giorno tutto com-
mosso e colle lacrime agli occhi: « Per questi gio-
vani farò qualunque sacrificio; anche il mio
sangue darei volentieri per salvarli». E rac-
comandava ai suoi coadiutori la stes~a compas-
sione (152).
Egli esigeva, come manifestazione di carità
pratica, rinunce, sacrifici (153), e dedizione com-
pleta. Nulla voleva per sè: il suo amore sempre
soprannaturale e casto (154) era fatto di sop-
portazione e di tolleranza, a volte eroica. « Con
la pazienza - diceva_ - si accomodano tante
cose » (155).
Non fanno meraviglia quindi le grandi cd
entusiastiche manifestazioni di affetto e di rico-
noscenza degli antichi Allievi dell'Oratorio per
Don Bosco. Ne ricorderemo una sola.
Il Teol. Berrone, parlando nella grande acca-
demia per l'onomastico di Don Bosco nel 1885,
a nome degli Ex-Allievi diceva; « Tu pure, Don
Bosco, puoi a ragione vantarti di padroneggiare
i cuori. Permetti che te lo dica e te lo ripeta:
Tu sei un ladro, e un ladro incorreggibile, perchè
hai sempre rubato e continui a rubare i cuori
di tutti quelli che ti conoscono. Questo furto
però, intendiamoci bene, non si compie invito do-
mino, cioè contro volontà del padrone, tutt'altro;
177

21.2 Page 202

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quelli che ti amano vanno anzi superbi di amarti
e di essere da te riamati » (Ì56).
E questo amore per i giovani · Don .Bosco
lasciò come testamento spirituale ai suoi figli
nelle Costituzioni, dove dice che essi dovranno
esercitare og'ni opera di carità spirituale e cor:-
porale verso i giovani, specialmente i più poveri
· (Costit., 1). Egli non mette limiti alla moltepli-
cità delle sue opere, ma vuole che se ne conservi
l'indole e la caratteristica: i Salesiani devono
~mare i giovani, tutti i giovani, e con p:cefcrenza
·i più poveri. Il Santo espresse ripetutamente
a voce, per iscritto, e soprattutto con la pratica
costante il suo affetto per la gioventù. « JJ Si-
gnore mi ha mandato per i giovani - diceva; - ·
perciò bisogna che mi risparmi nelle altre cose
estranee e conservi la mia salute per loro » (157).
Nelle prime pagine del Giovane Provveduto
Don Bosco, fin dal 1847, scrisse: « Miei cari, io
vi amo tutti di cuore, e mi basta sapere che voi
siete ancora in tenera età perchè io vi ami assai_;
e vi posso accertare che troverete libri propostivj
. da persone di gran ·lunga più virtuose e più
. I dotte di me, ma difficilmente potrete trovar.e
chi più di me vi a.mi in Gesù Cristo e chi più
desideri la vostra felicità. La ragione di questo
mio affetto si è che nel vostro cuore voi con-
servate il tesoro della virtù » (158).
178

21.3 Page 203

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L'amore .che Don ~osco aveva per i giovani
era immenso e soprannaturale: egli non si pe-
ritava di chiamarsi il più grande amico dei gio-
vani, fondandosi, non solamente sui sentimenti
d.el suo gran cuore, ma sulla prova dei fatti,
vale a dire sugli innumerevoli ed eroici sacrifici
da lui compiuti per fondare l'opera sua a van-
taggio della gioventù. Non · era l'uomo, ma il
sacerdote, che domandava ai giovani il loro cuore
per darlo a Dio (159).
Nel fatidico primo sogno, ripetutosi poi in for-
me diverse pur svolgendosi sempre nella cornice
del concetto principale, era stato indicato questo
campo alla sua mirabile attività, ed egli seguì
docilmente, ardentemente, costantemente le di:r:et-
tive ricevute dall'Alto. La sua vita fu spesa tutt~
e prevalentemente per il bene e la salvezza dei
giovani. Ai Becchi, a Chieri, a Torino, ovunque
Don Bosco sarà sempre l'apostolo della giov.entù,
da lui chiamata « la porzione più delicata e la
più preziosa dell'umana società » (160). Dei gio-
vani egli conosce, anzi intuisce i bisogni, ne scusa
le manchevolezze: sull'esempio del Salvatore, vuo-
- le egli pure raccogliere e salvare i figli disper-
;i (161). La sua vita, come educatore, come scrit-
tore, come conferenziere, nei suoi Oratori, nei
suoi Ospizi, nei suoi Collegi, nelle sue Scuole
Professionali .ed Agricole, sempre e ovunque, egli
179

21.4 Page 204

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la spese tutta, con prodigalità e senza misura,
per i giovani.
E perchè l'opera sua di carità e dedizione
si perpetuasse, creò due famiglie religiose e una
Pia Unione di Cooperatori con il compito di
continuare nel corso dei secoli il suo apostolato,
tenendo viva la fiamma dell'amore per la gio-
ventù, amore fatto di lavoro, di sacrificio, di
eroismo. E a taluno che gli fece notare che i
suoi figli lavoravano eccessivamente, il nostro
Padre :rispose: « Quando avverrà che u~ Sale-
siano cessi di vivere lavorando per le anime,
allora direte che la Congregazione ha riportato
un grande trionf~, e sopra di essa discenderanno
copiose le benedizioni del cielo » (162).
Don Bosco imparò ad ·amare i giovani avvi-
cinandoli. Così egli conobbe quante deficienze vi
fossero nelle famiglie e nei loro elementi basi-
lari, il padre e la madre; quante deficienze si
trovassero altresì nella scuola, dalla quale si era
voluto togliere l'istruzione religiosa e persino
il Crocifisso: quante deficienze ancora venissero
causate dai n emici di Dio, i quali ostacolavano
in tutti i modi il lavoro dei sacerdoti e dei reli-
giosi; e tali deficienze erano accresciute da una
stampa procace, dal malcostume dilagante e da
mezzi di propaganda enipia e sfacciata, senza
ritegno di sorta. A contatto con i giovani, egli
180

21.5 Page 205

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vide quanit1 fosse la loro ignoranza in Religione e
i pericoli che ne derivavano.
A quella vista il suo cuore,, fatto ardito da
un 'amore irresistibile, si lanciò con entusiasmo
. -a risanare la società mediante la loro redenzione.
Fu chiamato Padre degli orfani, Orphanorum
Pater, per indicare che l'amor suo per i giovani
era stato particolarmente diretto ai più poveri
ed abbandonati, anzi alla società stessa rimasta
orfana, al ontanandosi da Dio e dalla Religione.
4) La lettera del 1884 da Boma.
Don Bosco, il 10 maggio 1884, scriveva, da Ro-
ma, ai suoi cari :figliuoli dell'Oratorio, una let-
tera di importanza dei tutto straordinaria. Ci
sforzeremo di riassumerla in breve.
' Don Bosco vide in un sogno che ne] suo caro
Oratorio si passava un momento ·di crisi. Molti
dei giovani di quegli anni non corrispondevano
più ai gloriosi esemplari di Domenico Savio,
Michele Magone, Francesco Besucco, ed altri. Vi
era una svogliatezza, nelle ricreazioni e nell'a-
dempimento dei doveri, che impressionava, men-
tre il termometro della pietà era in grande ri-
basso. Ed egli domandò alla guida del sogno co-
me si potessero richiamare quei cari giovani, ac-
181

21.6 Page 206

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ciocchè riprendessero l'antica vivacità, allegrezza,
espansione. Gli fu risposto: ·
- Colla carità!
- Colla carità? Ma, i miei giovani non sono
amati abbastanza?! Tu lo sai ·se io li amo! Tu:
sai quanto per essi ho sofferto e tollerato nel
corso di ben 40 anni, e quanto tollero e soffro
ancora adesso! Quanti stenti, quante umiliazioni, .
quante .opposizioni, quante preoccupazioni, per
dar ad essi pane, casa, maesfri, e specialmente
per procurare la salute delle loro anime! Ho
fatto quanto ho potuto e saputo per coloro che
formano l'affetto di tutta la mia vita!
- Non parlo di lei - disse la guida.
- Di chi adunque? Di coloro che fanno le
mie veci? Dei Direttori, dei Prefetti, Maestri,
Assistenti? Non vedi come sono martiri dello stu-
dio e del lavoro?! come consumano i loro anni
giovanili per coloro che ad essi affidò la Divina
Provvidenza?!
- Vedo, conosco. Ma ciò non basta: ci manca
il meglio.
~ Che cosa manca adunque?
- Che i giovani, - non solo siano amati, 111;a
che essi conoscano d'essere am{lti.
- Ma non hanno gli occhi in fronte? Non
hanno il lume dell'intelligenza, non vedono che
quanto si fa per essi è tutto per loro amore?
182

21.7 Page 207

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No, c10 non basta!
-Che cosa c~ vuole adunque?
Che, essendo amati in quelle cose èhe loro
piacciono, col partecipare alle loro ricreazioni
'infantili, imparino a vedere l'amore in quelle .
cose che · naturalmente loro piacciono poco, quali ·
sono la disciplina, lo studio, la mortificazione
di se stessi, e queste cose imparino a fare con
slancio ed amore.
- Spiègati meglio.
- Osservi i giovani in ricreazione!
Osservai e: - Che cosa c'è di speciale da
vedere?
- Son tanti anni che va educando i giovani
e non capisce? Guardi meglio! Dove sono i .no- ·
stri Salesiani?
« Ossèrvai - scrive Don Bosco - e vidi che
ben pochi preti e chierici si mescolavano
fra i giovani, ed ancor più pochi prendevano
parte ai loro divertimenti. I Superiori non erano
più l'anima della: ricreazione, la maggior parie
di essi passeggiavano fra di loro parlando, senza-
badare che cosa facessero gli allievi; altri sorve-
gliavano così alla lontana, senza avvertire chi
commettesse qualche mancanza. Qualcuno poi
ayvertiva, ma in atto minaccioso, e ciò raramente:
Vi era ·qualche Salesiano che avrebbe deside:rato
iid.romettersi ìn qualche gruppo di giovani, ma
' 183

21.8 Page 208

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vidi che questi studiosamente cercavano di allon-
tanarsi dai Maestri e dai Superiori ».
E qui la guida, dopo aver fatto notare a
Don Bosco alcune manchevolezze nell'assistenza
da parte dei Superiori, e aver ricordato i tempi
antichi ddl'Oratorio, quando tutto era un tri-
pudio di Paradiso perchè l'affetto era ciò che
a tutti serviva di regola, aggiungeva:
- La causa del presente cambiamento è ·che
un numero di giovani non ha confidenza nei Su-
periori. Anticamente i cuori erano' tutti aperti
ai Superiori, che i giovani amavano ed obbedi-
vano prontamente. Ma ora i Superiori sono con-
siderati come Superiori e non più come padri,
fratelli ed amici: quindi son temuti e poco amati.
P erciò, se si vuol fare un cuor solo ed un'anima
sola, bisogna che si rompa quella fatale barriera
della diffidenza, e sottentri a questa la confi-
denza cordiale. Quando l'ubbidienza ·guidi l'al-
lievo come la mé!,dre il suo fanciullo, allora re-
gnerà nell'Oratorio la pace e l'allegrezza antica.
Come adunque fare per rompere questa
barriera?
- Familiarità con i giovani, specialmente
in ricreazione. Senza familiarità non si dimostra
l'affetto, e senza questa dimostrazione non vi
può essere confidenza. Chi vuol essere amato
.bisogna che faccia vedere che ama. G esù si fece
184

21.9 Page 209

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piccolo e portò le nostre infe11mità. Ecco il Mae-
stro della familiarità. Il Maestro, visto solo in
ca.Hedra, è maestro e non più; ma se va in ricrea-
zione con i giovani, diventa come fratello. Se
uno è visto solo predicare dal pulpito, si dirà
che fa nè più nè meno del propio dovere; ma,
se dice una parola in ricreazione, è la parola di uno
che ama. Quante conversioni non cagionarono
alcune sue parole fatte risuonare all'improvviso
all'orecchio di un giovane mentre si divertiva!
Chi sa d'essere amato, ama, e chi è amato ottiene
tuttÒ-, specialmente dai giovani. Questa confidenza
mette una corrente elettrica tra i giovani e i
Superiori. I cuori s'aprono e fanno conoscere i
loro bisogni, e palesano i loro difetti. Quest'a-
more fa sopportare ai Superiori le fatiche, le
noie, le ingratitudini, i disturbi, le mancanze, le
negligenze dei giovanetti. Gesù Cristo non spezzò
la canna già fessa, nè spense il lucignolo che
fumigava. Ecco il vostro Modello. Allora non
si vedr.à più chi lavorerà per fine di vanagloria;
eh.i .punirà solamente per vendicare l'amor pro-
prio offeso; chi si ritirerà dal campo della sor-
veglianza per gelosia di una preponderanza al-
trui; chi mormorerà degli altri volendo essere
amato e stimato dai giovani, esclusi tutti gli altri
Superiori; chi per amore dei propri comodi tenga
in non cale il dovere strettissimo della sorve-
185

21.10 Page 210

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glianzçi.; chi per v:ano rispetto um~no si astenga
'1.all'ammonire coiui che deve essere. ammonito.
Se ci sarà questo vero amore, non si cercherà
altro che la gloria di Dio -e la salute delle anime,
Quando illanguidisce quest'amore, · le ·cose non
vanno più bene.
- Perchè - continuava la gu,ida - si vuol
sostituire alla carità la freddezza di un Regola-
mento? Perchè i Supe-riori si allontanano dal-
1'osservanza di quelle regole di educazione che
Don Bosco ha loro dettate? Perchè al sistema di
prevenire con la vigilanza e premurosamente i
disordini, si va sostituendo a poco a poco me-
todi meno pesanti e più spicci per chi comanda,
quelli cioè di bandire leggi, che se si sostengono
con i castighi, accendono odii e fruttano dispia-
ceri, sé invece si trascura di farle osservare, frut-
tano disprezzo per i Superiori e son causa di di-
sordini gravissimi? E ciò accade necessariamente,
se manca la familiarità. Se adunque si vuol che
l'Oratorio ritorni all'antica felicità, si rimetta in
vigore l'antico sistema: il Superiore sia tutto a
tutti, pronto ad ascoltare sempre ogni dubbio o
lamentanza dei giovani, tutt'occhio a sorv.egliare'
paternamente la loro condotta, tutto cuore per
· cercare il bene spirituale e temporale di coloro
che la Provvidenza gli: ha affidati.
- Allora concludeva la guida - i cuori
186

22 Pages 211-220

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22.1 Page 211

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non saranno pm chiusi e non regneranno pm
certi segretumi che 1,1ccidono~ Sqlo in caso d'immo-
ralità i Superiori siano inesorabili; è meglio cor-
rere il pericolo di cacciare dalla Casa un inno-
cente che ritenere uno scandaloso. Gli assistenti
si facciano uno strettissimo dovere di coscienza
di riferire ai Superiori tutte quelle cose che co-
noscono in qualsiasi modo essere offesa di Dio.
Don Bosco interrogò la guida per sapere ·qua-
le fosse il mezzo precipuo per far trionfare la
familiarità, l'amore e la confidenza inculcata.
Gli fu risposto:
L'osservanza esatta delle regole della Casa.
- E null'altro?
- Il piatto migliore in un pranzo, è quello
delJa buona cera - fu la risposta.
Nella stessa lettera Don Bosco riferì, come
frutto d'alta illustrazione speciale, ciò che era
stato raccomandato riguardo ai giovani: - Che
essi riconoscano quanto i Superiori, i Maestri,
gli Assistenti, fatichi~o e studino per loro amore,
pe1·chè se non fosse per ·Il loro bene, no,n si as- .
soggetterebbero a tanti sacrifici. ·Si ricordino i
giovani essere l'umiltà la fonte d'ogni tranquil-
lità. Sappiano , sopportare i dHetti degli altri,
poichè al mondo non si trova la perfezione, ma
questa è solo in Paradiso. Che cessino dalle mor-
morazioni, poichè queste raffreddano i cuo!i, e
187

22.2 Page 212

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soprattutto procurino di vivere nella santa gra-
zia di Dio. Chi non ha pace con Dio non ha pace
con sè, non ha pace con gli altri».
'
Don Bosco parla in seguito di un difetto che
rende poco fruttuoso o vano il frutto dei Santi
Sacramenti, ed è la mancanza di stabilità nei
propositi. « Si confessano sempre le stesse man-
canze, le stesse occasioni prossime, le stesse ahi-'
tudini cattive, le stesse disubbidienze, le stesse
irascuranze dei doveri; e così si va avanti per
mesi ed anche anni. Son confessioni che valgono
poco o nulla, quindi non recano pace; e se un
giovanetto fosse chiamato in quello stato al tri- '
bunale di Dio, sarebbe un affare ben seriQ >.
Infine la guida raccomandava a tutti, grandi
e piccoli, che si ricordassero sempre di essere fi-
gli di Maria Ausiliatrice: - Es~a li ha qui ra-
dunati per condurli via dai pericoli del mondo,
perchè si amassero come fratelli, e perchè 9-essero
gloria a Dio e a Lei con la loro buona condotta.
È la Madonna quella che loro provvede pane e
mezzi per studiare, con infinite grazie e portenti.
- E soggiungeva che la barriera di diffidenza e
freddezza che si era alzata tra Superiori e giova-
ni verrebbe tolta, se grandi e piccoli fossero stati
pronti a soffrire qualche piccola mortificazione
per amore di Maria e a mettere in prp.tica le rac-
comandazioni fatte.
188

22.3 Page 213

▲back to top
. Don Bosco poi ripigliava: « Sapete cosa de-
sidera da voi questo povero vecchio, che per i
suoi ~ari giovani ha consumato tutta .la vita?
Niente altro fuorchè, fatte le dèbite proporzioni,
ritornino i giorni felici dell'antico Oratorio, i
giorni dell'affetto e della confidynza cristiana tra
i giovani e i Superiori, i giorni dello spirito di
accondiscendenza, per amore di Gesù Cristo, degli
uni verso gli altri, i giorni. dei cuori aperti con
tutta semplicità e candore, i giorni della carità
e della ·vera allegrezza per tutti».
E finiva: « Mettiamoci dunque d'accordo. La
carità di quelli che comandano, la carità di quelli
che ,debbono ubbidire, faccia regnare fra di noi
]o spirito di San Francesco di Sales. O miei cari
figliuoli, si avvicina il tempo nel quale dovrò
distaccarmi da voi e partire per· la mia eternità:
quindi io bramo di lasciare voi, o preti, o chierici,
o giovani carissimi, per quella via del Signore
nella quale ~gli stesso vi desidera » (163).
Possa questo documento, di una importanza
verainente straordinaria pei la pratioo: del siste-
ma preventivo, far capire sempre meglio quanto
grande, per non dire senza limiti, debba essere
la carità che l'educatore salesiano deve dimostrare
verso !'educando: di modo che questi giunga a
persuadersi dalle parole e soprattutto dai fatti,
di essere veramente amato dal suo educatore.
189

22.4 Page 214

▲back to top
e) LE .MANIFESTAZIONI. DÉLLA CARITÀ.
A questo punto forse qualcuno amerebbe che
si dicesse qualcosa delle for~e ~ dei modi con cui
si manifestava la carità di Don Bosco. Il tema è
attraente, ma, poichè potrebbe anche risultare
eccessivamente lungo, ci limitiamo a metterne
in rilievo solo qualche aspetto tra i più impor-
tanti.
1) La dolcezza.
Una delle forme della sua carità era la dol-
cezza. Fin da quando era chierico a· Chieri aveva
svelato questo suo proposito. Nel Seminario eravi
un condiscepolo chiamato pure Giovanni Bosco.
Un giorno, faceziando, si chiedevano qual sopran-
nome dovessero imporsi per distinguersi. Si avver-
ta che bosco in piemontese vuol dire legno. Or-
bene quel tale disse: - Io sono Bosco di Nespolo
(in piemontese pucciu). - Con. ciò intendeva
dire che voleva essere piuttosto duro, poco pie-
ghevole, co~e è appunto il legno di detto albero.
Invece il futuro nostro Fondatore e Padre rispose:
- Ed io intendo chiamarmi Bosco di Sales. -
In piemo:r;ttese sales vuol dire salice, dal legno
dolce e flessibile. Il Santo diede così a divedere
che già fin d'allora voleva imitare la dolcezza di
190

22.5 Page 215

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colui, che avrebbe poi scelto a P13-trono della sua
Congrega.zione (164).
Quando ·il 6 giugno· .del 1841 ·celebrò la sua
Prima Messa, fra gli altri propositi, pre:se questo:
« La cal'.ità e la dolcezza di San Francesco di Sales
mi guidino in ogni cosa » (165}. Di questo ammi-
rabile apostolo conosceva minutamente · vita e
opere, e spesso ne ricordava le massime nei suoi
discorsi e nelle sue conversazioni coi giovani. Pro-
curava di rappresentare loro soprattutto la dol-
cezza del cuore di lui, che tanti eretici aveva ri-
condotto al seno della Chiesa (166).
Tale virtù egli raccomandava già da] 1861 ai .
suoi Salesiani riuniti in conferenza. Diceva loro:
« Riguardo ai giovani dobbiamo aver carità usan-
do sempre dolcezza; che' non si dica mai di nes-
suno di noi: - Il tale è rigoroso e severo! -
No! Questo non sia mai il concetto che i giovani
possano formarsi di qualcuno di noi. Se abbiamo
da rimproverare qualcuno, prendiamolo in di-
sparte, facciamogli vedere alle buone il suo male,
il suo .disonore, il suo danno, l'offesa di Dio; per-
chè facendo noi altrimenti, egli abbasserà il capo .
alle nostre dure parole, tremerà, ma cercherà
sempre di sfuggire; sarà poco il profitto ottenuto
con ammonimenti di simil fatta ... » (167). ·
Raccomandava la dolcezza in modo particola-
re ai primi suoi Missionari. «: Con la dolcezza
191

22.6 Page 216

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di, San Francesco di Sales - assicurava
i Salesiani tireranno a Gesù Cristo le popolazioni
dell'America. Sarà cosa difficilissima moralizzare
i selvaggi, ma i loro figli obbediranno con tutta
facilità alle parole dei Missionari... e la civiltà
prenderà il posto della barbarie, e così molti
selvaggi verranno a far parte dell'ovile di Cri-
sto» (168).
Don Bosco fu anche assai devoto di San Vin-
cenzo de' Paoli, del quale scrisse la vita. Avendo
egli sortito da natura, al pari di San Vincenzo,
un'indole biliosa, spiriti vivaci e inclinati alla
collera, lo imitava nella dolcezza per cattivarsi
i cuori degli uomini, e da lui, come riflesso, ri-
traeva la soave affabilità di Sai;i Francesco di
Sales (169).
Di San Vincenzo Don Bosco riportò nelJa hio-
g·rafia questi pensieri riguardanti lfl dolcezza:
« La dolcezza ha tre principali atti. Il primo di
questi atti reprime i movimenti della collera e
gli impeti di quel fuoco che turba l'anima, sale
al volto, e ne cangia il colore. Un uomo dolce· non
lascia di sentire la prima emozione, perchè i sen-
timenti della natura prevengono quelli della gra-
zia. Egli però sta fermo, perchè la passione non
trionfi, e se, suo malgrado, comparisce in lui
qualche alterazione del suo esteriore, si rimette
ben presto, e rientra nel suo stato naturale. Se
192

22.7 Page 217

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è costretto a riprendere e a castigare, segue la
via del doverie, e non mai quella dell'impeto; in
ciò imita il figlio di Dio che chiamò Pietro Sa-
tana, rimproverò i Giudei di essere ipocriti, ro-
vesciò le tavole dei negozianti del Tempio, ma
tutto ciò fece con perfetta tranquillità, mentre
un uomo senza dolcezza in simiÌi circostanze
avrebbe fatto per collera.
« Il secondo atto della dolcezza consiste in una
grande affabilità e in quella serenità di volto
che rassicura chiunque si avvicina. Certe persone
con aria ridente e am~bile contentano tutti, ed al
primo istante sembrano offrirvi il loro cuore e
chiedere il vostro; altre all'opposto si presentano
con aspetto riservato, e il loro viso arido e acci-
gliato spaventa e sconcerta. Un sacerdote, un mis-
sionario, e altrettanto dicasi di un educatore, che
non ha maniere insinuanti, le quali cattivino il
cuori, non farà mai frutti, e sarà come una terra
poco feconda che li dà scarsi e rattrappiti.
« Finalmente il terzo atto della dolcezza con-
siste niello sbandire dal proprio spirito le riflessio-
ni che seguono purtroppo le pene che ci vengono
cagionate e i cattivi servigi che ci furono resi.
Bisogna allora assuefarsi a distogliere il proprio
pensiero dall'offesa, a scusare quegli. da cui pro-
vi1ene, a dire a se stesso che egli ha operato con
precipitazione e che un primo movimento l'ha
193
7 (I)

22.8 Page 218

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irasportato; soprattutto non bis~gna aprire bocca
per rispondere a coloro che altro non cercano se
non di inasprirci. Devonsi egualmente trattare con
dolcezza coloro che hanno meno riguardi con noi,
e sie giungessero ad oltraggiarci sino a darci uno
schiaffo, bisogna off:r:ire anche - questo a Dio, e
· eo:ffri.re p er amore suo -questo ingiurioso tratta-
mento. Devonsi ancora trattenere gli impeti di
collera, e preferire ad ogni altro linguaggio quello
della dolcezza, perchè una parola di dolcezza
può convertire un ostina_t~, quando, all'oppo-
sto, una parola aspra è capace di desolare un'a-
nima » (1 ?O).
Che Don Bosco possedesse questa virtù in
sommo grado non v'è alcun dubbio: lo confer-
mano non poche testimonianze. Un giovane, che
era vissuto per qualche anno all'Oratorio col
Santo, lasciò scritto di . lui: « La sua dolcezza
era abituale. Essa formava il fondo del suo siste-
ma perchè egli era fermamente persuaso esser ne-
cessario, per educare i giovani, aprire i loro cuori,
potervi penetrare come in casa propria per estir-
parne i germogli del vizio e coltivarvi i fiori delle
nascenti virtù » (1?1).
Attestò un ex-allievo sacerdote: « Don Bosco
educava i giovani e li portava al bene colla per-
suasione: Proced·eva sempre cori dolcezzà.; dan-
do ordinì, quasi ci pregava, e noi ci saremmo as-
194 -

22.9 Page 219

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soggettati a qualunque sacrificio per conten-
tarlo » (172).
Nè si pensi che la dolcezza di Don Bosco con-
sistesse nel cedere e nel concedere sempre tutto.
Però alla fermezza - asserì un antico Sa-
lesiano - univa sempre la dolcezza dei mo-
di » (173).
Appunto questa carità multiforme, praticata
sempre e con tutti da Don Bosco, mosse il Card.
Lucido Parocchi, Vicario di Roma, a pronunciare
J'S maggio 1884 queste memorande parole: « Che
cosa dunque di speciale vi sarà nella Congrega-
zione salesiana? Quale sarà il suo carattere, la
sua fisionomia? Se ne ho ben compreso, se ne ho
ben afferrato.il concetto, se l'affetto non mi fa _ve-
lo all'intelligenza, il suo scopo, il .suo carattere
speciale, la sua fisionomia, la sua nota essenziale,
è la carità esercitata secondo le esigenze del no-
stro secolo:,, Nos credidimus caritati; Deus cari-
tas est, (Noi abbiamo creduto alla carità; Dio è
carità) (174), e si rivela per mezzo della carità. 11
secolo presente soltanto con le opere di carità può
essere adescato, e tratto al bene » (175).
· Possiamo pertanto affermare che effettivamen-
te per Don Bosco la carità è l'essenza del sistem~
preventivo. Egli non aveva dimenticato le p~role
udite dalla nobilissima Signora dei fatidici so.-
gni: « Se vuoi guadagnarti questi monelli, ,non de-

22.10 Page 220

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vi affrontarli colle percosse, ma prenderli con la
dolcezza e con la persuasione » (176).
Conchiuderemo con un episodio personale che
viene a confermare quanto abbiamo fin qui detto.
Nel 1906 mi trovavo in Portogallo, ove ebbi la
sorte di incontrare un eminente Padre della Com-
pagnia di Gesù, il quale era stato Rettore di uno
dei loro principali Istituti in quella nobile Na-
zione. Detto Padre raccontava, che, avendo e.gli
dovuto recarsi in Italia, aveva ottenuto dal suo
Superiore di potersi fermare a Torino per fare la
conoscenza di Don Bosco e chiedergli qualche
consiglio. Giunto infatti alla sua presenza, espose
al santo educatore i suoi quesiti circa il modo di
educare gli alunni del suo Istituto. Don Bosco
lo ascoltò con grande attenzione, senza interrom-
perlo mai. Al termine del suo dire, il Padre Ge-
suita sintetizzò in una sola domanda .ciò che de-
siderava sapere: - In che modo riuscirò a edu-
car bene i giovani del mio Collegio? - E tacque.
Don Bosco, al Padre, che si aspettava forse un
lungo discorso, rispose quest'unica parola:
- Amandoli!
« Capii subito - mi diceva il buon Religio-
so - che, con quella sola parola,· Don Bosco mi
.aveva dato la più sapiente e la più efficace ri-
/ sposta».
a Risposta che può ripetersi tutti coloro che
196

23 Pages 221-230

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23.1 Page 221

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chiedono come riuscire nell'ardua missione di edu-
care i giovani: Amandoli!
2) La confidenza.
Nella lettera del 1884 da Roma, citata in par te
più sopra, è chiaramente delineata la necessità
di avvicinare i giovani per guadagnarsene la con-
fidenza. Data la somma importanza di questo fat-
tore di pedagogia squisitamente salesiana, credia-
mo opportuno aggiungere ancora qualche consi-
derazione ~opra un argomento, che acquista sem-
pre maggior risalto alla luce degli insegnamenti
e ~egli esempi del nostro Padre.
·
I. Sua utilità.
Nel pensiero del Santo, la confidenza clev'es·
sere anzitutto un potente mezzo di formazione
· morale. « impossibile - diceva - poter Lene
educare i giovani se questi non hanno confidenza
ne.i Superiori » (1?7).
·
A un giovane che gli domandava in qual mo-
do avrebbe potuto progredire per la via della
perfezione, suggeriva tra gli altri mezzi, una
S e una T; il che voleva dire: Parla Sovente delle
cose dell'anima e palesa sempre Tutto; e cioè,
confidenza illimitata nel ,Superiore» (178).
197

23.2 Page 222

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Egli era inoltre persuaso che la confidenza
nel Superiore è un efficace rimedio alle passioni
e una preservazione da tanti mali morali, e che
ogni atto di confidenza vale una gran vittoria
sopra il demonio. A un ottimo giovane che gli
aveva confidato di essere stato preso da un'affe-
zione troppo viva per un compagno, e che, no-
·nostante il molto disturbo che ne aveva provato,
non aveva osato manifestargliela, Don Bosco dis-
se: ,~ Me n'era accorto, sai, e viveva in angustia
per te; ma, ora che ti sei aperto, io · non temo
più » (179).
Nella confidenza trovav~ un mezzo efficacissi-
mo per illuminare ,e orientare i giovani nella
scelta dello stato. Perciò il 3 febbraio 1868 fa- ·
ceva queste raccomandazioni ai Dir~ttori e ai
Confratelli dell'Oratorio:
« Ed ora pensiamo ad accrescere il nostro per-
sonale: ma per averlo bisogna che tutti ci fac- .
ciamo un dovere di guadagnare qualche nuovo
confratello. Ciò dipende principalmente dai Di-
rettori delle Case. Bisogna che essi procurino di
guadagnarsi e. mantenersi la confidenza di quei
giovanetti .chè vedono chiaramente poter essi fare
in avvenire un gran bene. questo l'unico mezzo
per trarli nella Pia Società. Io ve lo dico per
esperienza, posso assicurarvi che, se vi è un
giovane che facendo i suoi studi a:bbia sempre
198

23.3 Page 223

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,
(
avuto una confidenza illimitata col suo Superiore
e Direttore, facilmente si riuscirà a guadagnarlo.
Vedendo nel suo Direttore, non il superiore, ma
il padre, verserà il suo cuore nel cuore di lui e
farà quanto questi gli consiglia di fare. Così por-
rà affezione alla Casa; senza conoscere ancora la
Società ne praticherà le regole, e, conosciutala
appena, l'abbraccierà per non lasciarla mai, tolto
il caso che perdesse ·quella confidenza. Al con-
trario vi sono giovani che vengono qui, fanno tutti
i loro studi, non si ha niente da dire sulla loro
condotta, saranno buoni,· meriteranno buoni voti;
ma, se non hanno questa confidenza, non si po-
tranno avere che due decimi di speranza che essi
siano per entrare o per restare con noi. Da ciò
si prenda norma pe~ giudicare la necessità di
ispirare affetto per conoscere le propensioni degli
allievi e degli altri dipendenti» (180).
Egli sapeva stimolare in mille modi la con-
fidenza. Non di rado la raccomandava in pubbli-
co ai giovani, mostrando quanto fosse la stima
che ne aveva ed il piacere che prova rn della
loro apertura di cuore; Il 2 dicembre 1859, dando
per fioretto: « Procurerò di avère gr~nde confiden-
za coi Superiori », soggiungeva: « Noi non vo-
gliamo essere temuti: desideriamo di essere ama-
ti e che abbiate in noi tutta la confidenza; Che
cosa vi è di più bello, in una casa, di questo: che
199'
,

23.4 Page 224

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cioè i Superiori godano la confidenza degli infe-
riori? È l'unico mezzo per far sì che l'Oratorjo
divenga un paradiso terrestre e che in Casa non
vi sia nessun malcontento » (181). Nel 1875, in
occasione della festa del suo onomastico. espri-
meva questo desiderio: « Non vi chieggo altro se
non che mi lasciate padrone d el vostro cuore, af-
finchè possiamo ornarlo di tante virtù e presen-
tarlo così a San Giovanni p ,erchè lo offra a
Dio » (182).
A volte egÌi stesso rassicurava certi giovani,
che, pur amandolo sinceramente, tuttavia mostra-
vano una certa paura e una certa esitazione a
trattare con lui. L'anno 1866 , aveva assunto come
segretario il giovane Ch. Berto Gioachino, il
quale, nei primordi del suo ufficio, si mostrava
alquanto timido ed affannato per timore di non
eorrispondere alla fiducia del Superiore. Don Bo··
sco un giorno, mentre quegli lo · accompagnava
dalla camera al teatro, lo tranquillizzò dicendo:
« Guarda, tu hai troppo timore di Don Bosco;
credi che io sia rigoroso e tanto esigente, e p er-
ciò sembra che abbia timore di me. Non osi par-
larmi liberamente. Sei sempre in ansietà di non
potermi accontentare. Deponi pure ogni .timore.
Tu sai che Don Bosco ti vuol Hene: perciò, se ne
fai delle piccole non vi bada, e se ne fai delle
grosse te le perdona» (183). ammirabile questa
200
I.

23.5 Page 225

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còmprensione del buon Padre, con la quale atti-
rava irresistibilmente a sè i cuori. Ma più am-
mirabile ancora è l'abilità non comune con la
quale sapeva avvicinare i giovani per averne
quella con~denza che, per lui, era « la cosa più
cara al mondo» (184).
IL Come avvicinare i giovani:
esempi di Don Bosco.
Sul modo di avvicinare i giovani vi sono de-
gli episodi nella vita di Don Bosco veramente no-
tevoli, che in questa trattazione non possonÒ es-
sere trascurati, data la loro ricchezza di conte-
nuto pedagogico: ci limiteremo a ricordarne al-
cuni tra i più caratteristici.
A '- All'inizio della sua missione.
E ci viene anzitutto sott'occhio il classico rac-
conto delì'incontro di Don Bosco con Bartolomeo
Garelli, nel quale il buon Pa_dre mostra di avere
avuto, fin dall'i:p.izio della sua missione, quello
straordinario senso pedagogico che ora tutti gli
riconoscono.
Era la mattina dell'8 dicembre del 1841, ·festa
solenne dell~ Immacolata Concezione. Don Bosco,
all'ora stabilita, nella sacristia di San Francesco
201

23.6 Page 226

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d'Assisi stava in procinto di vestirsi dei sacri pa-
ramenti per celebrare la Santa Messa. Attendeva
che qualcuno venisse a servirgliela. In mezzo al-
la sacrestia, volgendosi da una · parte e dall'al-
tra, stava un giovane sui 14-15 anni, le cui ve-
stimenta non troppo pulite e la sguaiata andatura
davano a conoscere che non apparteneva a fa-
miglia signorile nè agiata. In piedi, col cappello
in mano, guardava gli arredi sacri con il volto
attonito, copie uno che rare volte avesse di tali
cose vedute. Quand'ecco il sacrestano, uomo di
cattivo garbo e montanaro, se ne andò a lui e bru:-
scamente gli disse:
- Che fai tu qui? Non vedi che sei d'impac-
cio alla gente? Presto, muoviti, va ,a servir Messa
a quel prete.
Il giovanetto, a udir tali parole, restò come
sbalordito, e, tremebondo per paura all'austero
cipiglio del sacrestano, balbettando frasi scon-
nesse, rispose:
Non so, non sono capace.
- Vieni - replicò l'altro, - voglio che tu
serva la Messa.
- Non so, - rispose il giovanetto ancor più
mortificato, - non l'ho mai servita.
- Come, come! - gridò il sacrestano, - non
sai? - E scaraventandogli un calcio proseguiva:
- Bestione che sei; se non sai servir Messa, per_-
202

23.7 Page 227

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chè vieni in sacrestia? Vattene subito! - E, non
essendosi mosso il giovane per lo sbalordimento,
egli, in men che non si dica, dà di piglio allo
spolverino, e giù colpi sulle spalle del poveretto,
mentre questi cercava di fuggire.
- Che fa-te? - gridò Don Bosco commosso ' e
ad alta voce al sacrestaho; - perchè battete quel
giovanetto in cotal guisa? Che cosa vi ha fotto?
Ma il sacrestano, tutto infuriato, non gli dava
ascolto. Il giovane intanto, vedendosi a mal par-
tito e non conoscendo l'uscio che metteva in chie-
sa, erasi cacciato nella porta che metteva nel
piccolo coro, inseguito dall'altro. Qui, non tro-
vando nessuna uscita, ritornò in sacrestia, · e fi-
nalmente, trovato f:~ampo, se l?-' dava a gambe in
piazza.
Don Bosco chiamò per la seconda volta il sa-
;
crestano e con viso alquanto ·severo ·gli chiese:
- Per qual motivo avete battuto quel giovane?
Che cosa ha egli fatto di male da trattarlo in tal
guisa?
- Perchè viene egli in sacrestia, se non sa
servir Messa?
Comunque sia, voi avete fatto male.
A lei che importa-?
Mi importa as·sai: è un mio caro amico.
Come, - 'esclamò il sacrestano meraviglia-
to: - è un suo amico quel bel soggetto?
203
I

23.8 Page 228

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- Certamell.te, tutti i perseguitati sono i m1e1
· più cari amici. Voi avete battuto uno che è co-
nosciuto dai Superiori. Andate a chiamarlo all'i-
stante, perchè ho bisogno di parlargli, e non ri-
tornate finchè l'abbiate trovato, altrimenti dirò
al Rettore della Chiesa la vostra maniera di trat-
tare i ragazzi.
A quella intimazione si calmò l'i~a sproposi-
tata del sacrestano, il quale, deposto lo spolveri-
-no e chiamando a gran voce, corse dietro al giova-
netto; lo cercò, trovollo in una via attigua, e, as-
sicuratolo di migliore trattamento, lo condusse vi-
cino ' a Don Bosco. Il poverino si approssimò tutto
tremante e in lacrime per le busse ricevute.
- Hai già udita la Messa? - gli domandò il
sacerdote con tutta amorevolezza.
- No, - rispose.
- Vieni adunque ad ascoltarla; dopo avrò
da parlarti di un affare che ti farà piacere.
Desiderio di Don Bosco era solo di mitigare
l'afflizione di quel tapinello e non lasciarlo con
sinistre impressioni contro gli addetti alla sacre-
stia. Ma ben più alti erano i disegni di Dio, che
voleva in quel giorno porre la base di un grande
edificio. Quel dialogo era stato interrotto dal sa-
crestano, il quale veniva accompagnato da un al-
tro giovane, da lui cercato p er servire ia
Messa.
204

23.9 Page 229

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Celebrata la santa Messa e fattone il dovuto
ringraziamento, Don Bosco fece a sè venire e
condusse il suo candidato in un coretto della Chie-
sa, ove sedette Gon faccia allegra, e, assicuran-
dolo che non avesse più a temere di percosse,
prese ad interrogarlo così:
Mio buon amico, come ti chiami?
Mi chiamo Bartolomeo Garelli!
Di qual paese sei?
Sono di Asti.
Che mestiere fai?
Il muratore.
Vive ancora tuo padre?
No, mio padre è morto.
E tua madre?
Mia madre è anche morta.
Quanti anni hai?
Ne ho sedici.
Sai tu leggere e scrivere?
Non so niente.
Sai cantare?
Il giovanetto, asciugandosi gli occhi, fissò Don
Bosco in viso meravigliato e rispose:
- No.
- Sai zufolare?
Il giovanetto si mise a ridere; ed era ciò che
Don Bosco voleva, perchè indizio di guadagnata
confidenza. Poi il Santo continuò:
205
I
'

23.10 Page 230

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- Dimmi, sei stato promosso alla prima , Co-
m.unione?
- Non ancora.
Ti sei già confessato?
Sì, ma quando ero piccolo.
E le tue orazioni mattina e sera le dici
sempre?
No, quasi mai; le ho dimenti~ate.
Ed hai nessuno che si curi di fartele reci-
tare?
No.
Dimmi, vai sempre alla Messa, tutte le do-
meniche?
- Quasi sempre, - rispose il giovane dopo un
po' di pausa e facendo una smorfia.
- Vai ~l catechismo?
Non oso.
Perchè?
Perchè i miei compagni più piccoli di me
sanno la dottrina, ed io così grande non ne so
una parola: per questo mi vergogno di mettermi
tra loro in quelle classi.
- - Se ti facessi io stesso un catechismo a par-
te, verresti ad ascoltarmi?
- Ci verrei di buon grado.
- Verresti volentieri anche in questa came-
retta?
- Sì, sì, purchè non mi diano delle bastonate.
206

24 Pages 231-240

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24.1 Page 231

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Sta tranquillo çhe niuno ti maltratterà qui,
come ti ho assicurato. Anzi d'ora in avanti tu
sarai mio amicò e avrai da fare con me e con
nessun altro. Quando vuoi dunque che comincia-
mo il nostro c_atechismo?
- Quando a lei piace.
Stasera forse?
Sì.
Vuo anche ade:;sso?
Sì, anche adesso, e ·con molto piacere.
Don Bosco allora si pose in ginocchio, e, prima
di cominciare il catechismo, recitò un'Ave Maria,
perchè la Madonna gli desse la grazia di salvare
quell'anima. Quell'Ave fervorosa con sì retta inten-
zione fu feconda di grandi cose! Don Bosco poi
si alzò e fece il segno di Santa Croce per comin,- ,
ciare; ma il suo allievo nol faceva perchè ne igno..
rava il modo e le parole: e perciò in quella prima
lezione il maestro si intrattenne nell"insègnargli
la maniera di fare il segno della croce e nel fargli
conoscere . Iddio Creatore e il fine per cui ci ha
Egli creati e. redenti. Dopo circa una mezz'ora
lo licenziò con grande benevolenza; e, assicuran-
dolo che gli avrebbe insegnato a servire la santa
Messa, gli regalò una medaglia di Maria San-
t1ssima, facendosi promettere di ritornare la do-
menica seguente. Quindi soggiunse: - Senti, io
tu desidererei che non venissi solo, ma conducessi
207
I

24.2 Page 232

▲back to top
qua altri tuoi compagni. Io avrò qualche regalo
da. fare di nuovo a te e a quanti verranno teco.
Sei contento?
- Oh! molto, molto! - rispose con una gran-
de espansione quel buon giovane; e, baciandogli
la mano due o tre volte, se ne andò.
· La domenica seguente pertanto nella chiesa di
San Francesco d'Assisi si vide un caro spettaco- -
lo. Sei garzoncelli male in arnese condotti da Bar-
±olomeo Garelli stavano attentissimi alle parole
..di Don Bosco, che loro insegnava la strada del
.Paradiso (185).
Non ci fermeremo ad analizzare tutta la mol-
ieplicità degli aspetti pecfagogici di questo memo-
:rabile incontro. Ci basti sottolineare il fatto che
Don Bosco, chiamato a sè il ragazzo fuggitivo,
cerca subito di rassicurarlo e di calmarlo, acco-
gliendolo come un amico, e, celebrata la Sfluta
Messa, s'interessa delle sue cose, della sua vita,
dei suoi parenti, e non è sodisfatto finchè non lo
vede ridere: « indizio di guadagnata confidenza~-
Era ciò che a Don Bosco stava a cuore per poter
entrare, poi, a parlare delle cose dello spirito.
Da quel punto l'anima di quel giovane fu sua,
diventando anche la pietra angolare sopra la
q~ale Don Bosco fondò l'opera degli Oratori Fe-
stivi.
208
.r

24.3 Page 233

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B - Don Bosco in Trastevere.
Un altro episodio che ci mostra il fascino di
Don Bosco è il' seguente.
Il 25 marzo 1858 egli era a Roma, e, 11na
mattina, si trovava col Marchese Patrizi ed altri
in visita alla città. Di ritorno dopo la celebra-
zione della santa Messa alla Madonna della Quer-
cia, passato il Tevere, osservò in una piccola
piazza una trentina di ragazzi che si divertivano.
Senz'altro si portò in mezzo a loro, ed ·essi,
sospesi i vari giochi, lo guardavano meravigliati.
1
,
Don Bosco allora alzò la mano, tenendo fra le dita
una medaglia. Poi esclamò amorevolmente:
..,- Siete troppi e mi rincresce di non aver tan-
te medaglie per regalarne una a ciascuno di voi.
Quei ragazzi, preso animo, gridarono a pieno
1.
coro sporgendo le mani:
- Non importa, non importa,... a me, a me.!
Don Bosco soggiunse:
- Ebbene, non avendone per tutti, questa me-
daglia voglio regalarla al più buono. Chi è di
voi il più buono?
- Sono io, sono io! - risposero con grida as-
sordanti.
Il Marchese e i suoi amici ad una certa di-
stanza sorridevano commossi e stupiti nel veder
Don Bosco trattare così familiarmente con quei
.209
41

24.4 Page 234

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ragazzi, ché per la prima volta aveva incon-
trati; ed esclamavano: - Ecco un altro San fi-
lippo Neri, amico della gioventù.
Don Bosco infatti, come se·fosse stato un ami-
co già conosciuto da quei fanciulli, continuò ad
interrogarli, se avessero già ascoltato la santa Mes-
sa, in quale chiesa solessero andare, se conosce-
. vano gli Oratori che erano in quelle parti, se
avessero già par1ato con l'Abate Biondi. I fan-
ciulli rispondevano.
Il dialogo era animato, e finalmente Don Bo-
sco, dopo averli esortati ad essere sempre buoni
cristiani, prometteva che sarebbe passato altra
volta per quella piazza e avrebbe recato una me-
daglia ovvero un'immagine per ciascuno d 'essi.
Poi, salutato affettuosamente, usciva di mezzo a
quella turba, e, ritornando a quei signori che lo
aspettavano, loro mostrava ·quell'unica medaglia
che teneva ancora in mano. Nulla aveva dato a
quei fanciulli, eppure li aveva lasciati conten-
ti (1.86).
C - Don Bosco in Piazza del Popolo.
Altra volta, e precisamente nella prima deca-
de di aprile dello stesso anno, Don Bosco, che
era ancora a Roma, ospite quel giorno del Carcl.
Tosti, dopo il pranzo, fu gentilmente pregato dal
210.

24.5 Page 235

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Porporato di salire con lui in carrozza per la
passeggiata. E si incominciò a parlare del siste-
ma più adatto all'educazione dei giovani. Don
Bosco gli diceva: -_ Veda, Eminentissimo, è im-
possibile poter bene educare i giovani, .se questi
non hanno confidenza coi .Superiori.
- Ma come, - replicava· il Cardinale, - si
può guadagnare questa confidenza?
- Col cercare che essi si avvicinino a noi~
togliendo ogni causa che da noi li allontani.
1
- E come si può fare ·per avvicinarli a noi?
- Avvicinandoci noi a:d essi, cercando di adat-
tarci ai loro gusti, facendoci simili a loro. Vuole
che facciamo una prova? Mi dica in qual punto
di Roma si può trovare un bel numero di ragazzi.
- In Piazza Termini, in Piazza del Popolo.
- Ebbene: andiamo dunque 'in Piazza del
Popolo. - E così si andò.
Don Bosco scese di c~rrozza e il Cardinale
rimase ad osservarlo.
Don Bosco, visto un crocchio di g·iovanetti che
giocavano, si avvicinò, ma i birichini fuggirono.
Allora li chiamò · colle buone maniere e i gio-
vani dopo qualche esitanza tornarono.
Don Bosco li regalò di qualche cosuccia, do-
mandò notizie delle loro famiglie, chiese a qual
gioco si divertissero, li invitò a ripigliarlo. si fer-
mò a presie~ere al loro trastullo, ed egli stesso v1
211

24.6 Page 236

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prese parte. Allora altri giovani che stavano guar-
dando in lontananza corsero numerosissimi dai
quattro angoli della piazza intorno al prete, che
tutti accoglieva amorevolmente ed aveva per tutti
una buona parola ed un regaluccio; loro chiedeva
se fossero buoni, se dicessero le orazioni, se an-
dassero a confessarsi. Quando volle allontanarsi,
lo seguirono per un buon tratto, e solo lo lascia-
rono allorchè risalì in carrozza. Il Cardinale era
meravigliato:
Ha visto? - gli chiese Don Bosco.
Avete ragione! (18?}.
D - Don Bosco' e Michele Magone.
~ Una sera di autunno - racconta lo stesso
Don Bosco, - io ritornava da Sommariva del Bo-
sco, e, giunto a Carmagnola, dovetti attendere
oltre un'ora il convoglio della ferrovia per To-
rino. Già suonavano le ore sette, il tempo era nu-
voloso, una densa nebbia risolvevasi in minuta
pioggia. Queste cose contribuivano a rendere le
tenebre più dense, sì che a distanza di un passo,
non sarebbesi conosciuto uomo vivente. Il fosco
lume della stazione lanciava un pallido ·chiaro-
re che a poca distanza dallo scalo perdevasi nel-
1'oscur_ità. Soltanto una turba di giovanetti con
trastulli e schiamazzi attraevano l'attenzione, o
212

24.7 Page 237

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meglio, assordavano le orecchie degli spettatori. Le
voci di « aspetta », « prendilo », «corri», « cògli
questo », « a~resta quest'altro », servivano ad oc-
c~pare il pensiero dei viaggiatori. Ma, tra quelle
grida, rendevasi notabile una voce che, distinta,
alzavasi a dominare tutte le altre; era come la
voce di un capitano, che ripetevasi dai compagni
ed era da tutti ese,guita quale rigoroso comando.
Tosto nacque in me vivo desiderio di conoscere
colui che con tanto ardire e con tanta prontezza
sapeva regolare il trastullo in mezzo a sì sva-
riato schiamazzo. Colgo il destro che tutti sono
radunati intorno a colui che la faceva da guida;
di poi con due salti mi lancio tra loro. Tutti· fug-
gono come spaventati: uno solo si arresta, si fa
avanti e, appoggiando le mani sui fianchi con aria
imperatoria, comincia a parlare così:
- Chi siete voi, che qui venite tra i nostri
giochi?
Io sono' un tuo amico.
- Che cosa volete da noi?
- Voglio, se ne siete contenti, divertirmi e
trastullarmi con te e con i tuoi compagni.
Ma chi siete voi? Io non vi conosco.
- Te lo ripeto, io sono un tuo amico: <lesi- ·
clero di fare un po' di ricreazione con te e
cou i tuoi compagni. Ma tu chi sei?
- Io? Chi ,sono? Io sono, soggiunse con

24.8 Page 238

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grave e sonora voce, - Magone Michele, gene-
rale della ricreazione.
Mentre facevansi questi discorsi, gli aìtri ra-
gazzi, che un panico timore aveva dispersi, uno
dopo l'altro ci si avvicinarono e si raccolsero in-
torno a - noi. Dopo aver vagamente indirizzato il
discorso ora ·agli uni ora agli altri, volsi di nuovo
la parola a Magone e continuai così:
Mio caro Magone, quanti anni hai?
Ho tredici anni.
Vai già a confessarti?
Oh! Sì! - rispose ridendo.
Sei già promosso alla Santa Comunione?
Sì che sono già promosso e c1 sono già an-
dato.
Hai tu imparata qualche prof ssione?
Ho imparata la professione del ,far niente.
Finora che cosa hai fatto?
Sono andato a scuola.
Che scuola hai fatto?
Ho fatto la terza elementare.
Hai ancora tuo padre?
No, mio padre è già morto.
- Hai ancora la madre?
- Sì, mia madre è ancor viva, e lavora a
servizio altrui, e fa quanto può per dare del pane
a me ed ai miei fratelli, che la facciamo conti-
nuamente disperare.
214

24.9 Page 239

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- Che vuoi fare per l'avvenire?
- Bisogna che io faccia qualche cosa, ma non
so quale.
Questa franchezza di espressioni, unita a una
loquela ordinata ed assennata, fecemi ravvisare
un gran pericolo per quel giovane, qualora fosse
lasciato in quella guisa derelitto. D'altra parte
sembravami che, se quel brio e quell'indòle intra-
prendente fossero stati coltivati, ·egli avrebbe fat- .
to una buona riuscita; laonde ripigliai il di-
scorso:
- Mio caro Magone, hai tu volontà di abban-
donare questa vita di monello e metterti ad ap-
prendere qualche arte o mestiere, oppure conti-
nuare gli stu_di?
- Ma sì, eh~ ho volontà, - rispose commosso;
- questa vita da dannato non mi piace più; alcu-
ni miei compagni sono già in prigione; io temo al-
trettanto per me; ma che cosa debbo fare? Mio
padre è morto, mia madre è povera; chi mi aiu-
terà?
- Questa sera fa' una preghiera ferrnrosa al
Padre nostro che è nei cieli; prega di cuore, spera
in Lui. Egli provvederà per ·me, per te e per
tutti.
In quel momento la campanella della stazione
dava gli ultimi tocchi ed io doveva partire senza
dilazione.
215
'

24.10 Page 240

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Prendi, -_ gli dissi, - prendi questa meda-'
glia; domani va' da Don Ariccio tuo Viceparroco;
digli che il prete, il quale te l'ha donata, desidera
delle informazioni sulla tua condotta.
Prese egli con rispetto la medaglia: - Ma
qual è il vostro nome, di qual paese siete? Don
Ariccio vi conosce? - Queste ed altre cose andava
domandando ,il buon Magone; ma non ho più po-
tuto rispondere, perchè essendo giunto il convo-
glio della ferrovia, dovetti montare in vagone alla
volta di Torino » (188).
E da quel punto anche l'anima di Magone fu
sua, perchè di a qualche s_ettimana, anch'egli
venne all'Oratorio, a far parte di quella eletta
schiera di pii giovanetti che sono la più splendi-
da dimostrazione della bontà e della efficacia del
sistema educativo di -Dori Bosco.
E - « Vada alla pompa>!
Non possiamo · trattenerci dal riportare qui
una pagina autobiografica del compianto I;>on
Giuseppe Vespignani. La togliamo dall'aureo suo
libretto: Un anno alla scuola del Beato Don Bosco.
Egli, adunque, giunto p-ieno di entusiasmo al-
l'Oratorio, essendo già sacerdote, fu messo a fare
scuola di catechismo; ma dovette esserne esonera-
to, in seguito alle prime esperienze dell'insegna-
216

25 Pages 241-250

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25.1 Page 241

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mento, piuttosto disastrose dal lato disciplinare.
Ne rimase talmente scoraggiato, da credersi ina-"
datto a tale scuola.
Narra egli stesso: « Il mio sconforto, com'è faci-
le immaginare, non cessava. Ricorsi dunque a Don
Bosco, esponendogli le mie disfatte e manifesian-
dogli il dubbio sulla mia inettitudine a compiere
gli uffizi principali del Salesiano, come il cate-
chizzare i ragazzi e fare scuola. Don Bosco, sor-
ridendo, mi chiese come mai io fossi così pauroso
da spaventarmi d'un centinaio di ragazzi ben di-
sposti e desiderosi di ascoltarmi e d'imparare;
tutta la difficoltà stare nel non conoscersi recipro-
camente.
- E come farò io a conoscerli e a farmi co-
fil.oscere?
- Oh, bella! mettendosi ·con loro, trattandoli
familiarmente, portandosi come uno di essi.
- Ma dove, ma quando, mettermi con loro?
Io non sono fatto per giocare, correre, ridere in
loro compagnia; i miei ·malanni, la debolezza del
petto me l'impediscono.
- Ebbene, vada alla pompa. Là all'ora di
colazione troverà tanti giovani riuniti per· bere,
che discorrono degli studi, della scUGla, dei giuo-
chi, di tutto. S'intrometta anche lei, si faccia ami-
co di tutti, e poi andrà alla rivincita e ci riu-
scirà.
217

25.2 Page 242

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« Il suggerimento mi ridonò la vita, anco~chè
non ne comprendessi per tutta l'importanza.
Risolvetti di fare proprio come Don Bosco mi
aveva consigliato. E, venuta l'ora di colazione, mi
.appostai vicino alla pompa dell'antico pozzo pres-
so la Casa Pinàrdi, pompa che tutt'ora esiste. In
,quei tempi la colazione consisteva nella famosa
« pagnotta », distribuita ai giovani nell'uscire dal-
la chiesa. Essi, ricevutala, correvano presso , la
pompa dell'acqua a divorarla; indi· si spargevano,
-chi prima chi poi, per il cortile, dandosi ai loro
giuochi. Là vicino a quel convegno era il pun-
to strategico indicatomi da Don Bosco.
« Eccomi dunquè al mio posto d'osservazione.
Passeggio lento lento sotto il porticato senza per-
dere di vista la pompa e i suoi avventori, che vi
volavano a stormi con la loro pagnotta in mano.
Mentre gli uni bevevano, altri conversavano ·di
lezioni, di compiti, dei voti di condotta, delle ma-
terie scolastiche. Io mi accosto, attacco discorso,
fo domande su cose scolastiche del giorno, chieggo
chi riesce meglio nella tale e tal altra materia, mi
spingo financo a interrogare sul conto che si fa
del·catechismo, e vedo stringePmi attorno a poco a
poco uno sciame di quei birichinetti che tanta mo-
lestia mi cagionavano in classe, e tutti mi .rispon-
dono a tono. Presa confidenza, chieggo il perchè
di quel chiasso durante la lezione di catechismo.
218

25.3 Page 243

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\\\\ Le spiegazioni furono pareèchie, dalle quali ·
però capii che non ci conoscevamo e quindi non
ci potevamo intendere. Ritornato alcune mattine
di seguito al medesimo convegno, me li vedevo
attorno con certa libertà, che ne attestava le otti-
me disposizioni » (189).
III. Mezzi per guadagnare la confidenza.
A - Le udienze particolari.
L'amabilità dei modi ,paterni di Don Bosco, la
serenità del suo volto, il suo sorriso abituale, pre-
dispp;nevano i cuori ispirando rispetto e confi-
denza.
Al comparirgli dinanzi nella sua stanza un
giovane di fresco accettato, la prima parola che
dicevagli era sempre dell'anima e dell'eterna sal-
vezza. Per rallegrarlo e diminuirgli la pena del
distacco dalla famiglia, incominciava:
- Quanto sono Gontento di vederti! Ti asp et-
tavo. Sei venuto volentieri, non 1è vero?
Poi passava a domandargli il nome e notizie
sulla sanità, sui genitori, sui parenti, sul parro-
co, e via discorrendo.
Così, fattosi largo con quelle e simili interro-
gazioni, pass.ava subito al più importante- e, pre-
so un aspetto un . po' sostenuto tra il serio e il
219

25.4 Page 244

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sorridente, tutto proprio di lui: - Là, là, - diceva
abbassando un po' la voce in atto di confidenza, -
parliamo di ciò che importa di più. Yoglio che
siamo amici, sai? Vuoi esserlo, mio amico? Io
voglio aiutarti a salvare l'anima tua. Come stia-
mo di anima? Eri buono a casa? Ma qui ti farai
più buono, non è vero? Voglio che andiamo i.n
Paradiso assieme. ;Mi capisci che cosa voglio da
te? Mi verrai a trovare? Vedi: ci parleremo con
tutta confidenza; ti dirò delle belle cose che ti
faraniio piacere! Sarai contento.
Il giovanetto sorrideva, annuiva col capo, ri-
spondeva con qualche monosillabo, o abbassava
gli occhi ed arrossiva secondo si andavano succe-
dendo le interrogazioni, che però non erano insi-
stenti, nè aspettavano risposta: Don Bosco intan-
to con l'occhio scrutatore tutto penetrava, e ne
indovinava il carattere, l'ingegno, il cuore (190).
Per rendersi sempre più padrone del cuore dei
suoi giovani, moltiplicava le occasioni di intrat- ·
tenersi con loro. Di quante confidenze non sono ·
state testimoni le pareti delle sue venerate came-
rette! Nonostante le molte e gravi occupazioni,
era sempre pronto ad accogliere, con cuore <li
padre, i giovanetti che gli chiedevano udienza.
Voleva anzi che lo trattassero con molta familia-
rità e non si lagnava mai della indiscrezione con
la quale era da essi talvolta importunato. Sic-
220

25.5 Page 245

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come in lui mai si vedevano nè atti di sorpresa,
nè precipitazioni di giudizio, nè moti violenti, ma
sibbene calma inalterabile e portamento sempre
uniforme, tutti gli si presentavano volentieri, col
cuore alla mano.
Lasc.iava a ciascuno piena libertà di fare
domande, esporre gravami, .difese, scuse, e un
giorno, avendogli chiesto un suo prete il motivo
di tanta pazienza, egli, coprendo la virtù e scher-
zando, gli rispose: - Sai tu che cosa significhi
essere furbo? Saper fare il bonomo! Così faccio
io: lascio dire tutto quello che si vuol dire, ascol-
to l'uno, ascolto l'altro, attendendo bene alle -pa-
role; ma in fine nel decidere tengo conto di
tutto e vengo a conoscere perfettamente ogni co-
sa (191).
Un altro mezzo era quello dei bigliettini che,
in certe occasioni speciali, egli richiedeva dai
suoi giovani. Vi scrivevano un proposito riguar-
do ad una virtù speciale da mettere in pratica o
ad un particolare difetto da correggere. Non vi
era nessun obbligo: piena libertà di scrivere! Don
Bosco manteneva il segreto, e, di tanto in tanto,
quando v'era di bisogno, ricordava agli interes-
sati i proponimenti fatti. Era una risorsa pedago-
gica, mediante la quale i ragazzi si esercitavano
nella volontà, nella riflessione e nella conoscen-
za di se stessi {192).
221

25.6 Page 246

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Anche nel fare un invito alla confessione usa-
va singolare destrezza e moderazione, memore
della gr<;1.n massima che la confidenza vuole es-
sere guadagnata e non imposta (193).
1
Oltre a tutto ciò, pur di rendersi padrone del
cuore dei suoi giovanetti, sopportava dalla mag-
gior parte, con pazienza eroica ed ilarità, gli
schiamazzi, le importunità, la vivacità di ca-
rattere, la varietà delle indoli e gli altri difetti,
fisici o intellettuali, o cagionati da una educa-
zione :nozza od anche villana. (194).
B - Le buone maniere.
Chiunque legg·a attentamente la vita di Don
Bosco rimane particolarmente colpito dalle belle
maniere che egli usava coi giovani per conqui-
starne il cuore. Non basta infatti avvicinare i
giovani per averne la confidenza: occorre avvici-
narli con le buone maniere: poichè a volte ba-
sta un tratto un po' sgarbato, una parola troppo
severa, un modo di fare un po' rozzo, per allon-
tanarli definitivamente da noi.
Già, nel primo Regolamento dell'Oratorio Fe-
stivo, Don Bosco aveva fissato come concetto
fondamentale: « Questo Oratorio è posto sotto la
protezione di San Francesco di Sales, pe~chè .co-
loro che intendono dedicarsi a questo genere di
222

25.7 Page 247

▲back to top
.•
occupazione devono proporsi questo Santo per
modello nella carità e nelle buone maniere, che
sono le fonti da cui derivano i frutti che si spe-
rano dall'Opera degli Oratori »' (195). Il 18 set-
tembre del 1869, a conclusione degli esercizi spiri-
tuali di Trofarello, insisteva: « pur nostro do-
vere usare modi caritatevoli cogli inferiori ed
aiutarli. Non dir mai con aria di autorità: - Fai
questo, fai quello! - ·ma usar sempre modi gra-
ziosi, soavi, dolci » (196).
I
Alle volte diceva a chi era di naturale aspro:
« Desidero che tu d'ora in poi guadagni i cuori
~enza parlare; e se parli, il tuo parlare sia sem-
pre condito colla dolcezza! » (19?).
Un giorno egli prese il prefetto dell'Oratorio,
Don Rua, e con tutta serietà: -'-- Mio caro, dam-
mi retta: mettiti a negoziare olio. - Negoziare
elio? - Sì, negoziare olio. - Ma, Don Boscq, un
religioso! - Precisamente! O non sei tu il prefet-
to e come tale incaricato delle riparazioni occor-
renti nell'Oratorio? Ora mi pare di avere udito
certi usci stridere, ed un po' d'olio ai cardini ac-
comoderebbe tutto. - Oh, come mai? Non vedo
la ragione. - E, poi, - riprese Don Bosco con dolce
sorriso scandendo le parole, - e poi... i tuoi dipen-
denti stridono in una maniera... Dunque, ci sia-
mo ·intesi? Quando tratti con loro, non diutenti-
care che fai o meglio che devi ·.fare il mercante
223

25.8 Page 248

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di olio. - Don Rua capì, ed ognuno, vedendo
quq.nt'egli sia stato buono, affabile, dolce, in una
parola vero imitatore di Don Bosco, può persua-
dersi che il Santo non sprecava tempo, dando
colla maggiore affahilità lezioni tanto prezio-
se (198).
Egli corrobòrava le sue parole con l'esempio.
Già da studente, coii le buone maniere sapeva
guadagnarsi il cuore dei suoi condiscepoli. A 1'.
lui nessuno poteva dare una negativa; non poteva
essere più buono di quello che era » (199). Un suo
compagnò raccontava ai Superiori dell'Oratorio:
« Sospiravamo il momento di poterci trattenere
con lui, perchè i suòi bei modi esercitavano so-
pra i nostri animi un fascino irresistibile » (200).
Fatto Sacerdote, i modi affabili che egli usa.va
con la gioventù erano affatto opposti al metodo
di severità tenutosi fino allora (201). « Il suo me-
todo di educazione - scrisse un autorevole eccle-
siastico - era tutto paterno, attirando i giovani
coP bei modi, per cui gli erano molto affezio-
nati » (202). Anche nel correggere aveva sempre
modi cortesi e tutti suoi propri (203), provando
gran dispiacere quando vedeva talora qualcuno
dei suoi trattare con troppa durezza i giova-
ni (204).
Coi caratteri più difficili poi era così deli-
cato nelle parole e nel tratto che ben presto
224
\\

25.9 Page 249

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costoro restavano conquisi. Sul princ1p10 di ago-
sto del 1866 giungevano all'Oratorio da Ancona
sei orfani, dalla :fisionomia insolente, sprezzante
e prepotente. Rozzi, focosi e ghiotti, erano in-
sofferenti di disciplina ed armati di coltello.
Di a qualche giorno uno di. loro giunsr. per-
fino a ferire il capo calzolaio. All'indomani, dopo
pranzo, Don Bosco era sotto i portici, quando
gli furono presen' tati quei :figùri, i quali neppure
si tolsero il cappello. Con amorevole sorriso il
Santo tentò di accarezzarli e chiese loro:
- Avete fatto buon viaggio? Come state?
Male.
-,- E perchè state male?
- Perchè in questo luogo ci stiamo malvolen-
tieri.' Vogliamo tornare a casa.
- E perchè ci state malvolentieri?
- Perchè qui non c'è da mangiare. Quello
che ci dànno è roba da...
- Olà, è questa la maniera di rispondere?
Quella minestra che voi mangiate è quella che
mangiano i vostri compagni, che mangiano vo-
lentieri quelli venuti da Ancona prima di voi,
che mangiano i vostri Superiori, che mangio
anch'io.
Se lei vuol mangiarne, padro.nissimo.
Sapete con chi parlate?
Che me ne importa?
225
8 (l)

25.10 Page 250

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Là, . là: a· questo modo non si può discor-
rere.
E Don Bosco, sempre sereno in volto, si
volse altrove a intrattenersi cogli altri giovani
che numerosissimi lò avevano attorniato e che
frementi avevano assistito a quel dialogo. Vice-
versa, quelli, data l'ultima risposta, alzarono vil-
lanamente le spalle, guardarono attorno provo-
canti e si ritirarono in crocchio in un angolo
del cortile.
Ma non venne meno la magica influenza di
Don Bosco sulla gioventù e il tono di a~mansire
i caratteri più difficili a dominarsi. Più di , una
volta aveva visto, nei primi giorni dell'entrata
di qualche giovane nell'Oratorio, sc~ne violente
di indisciplinatezza; ma anche sotto la pelle
d'una belva bestemmiatrice, e.ra riuscito a for-
mare a poco a poco un docile agnello e a destare
la retta e sempre grande sensibilità di cuore
della gioventù. Egli non contrastava, calmava
gli animi colla bontà; scopriva e faceva risplen-
dere la parte buona di ogni individuo, e lo
traeva a Dio.
Egli adun.que prese separatamente ad uno ad
uno quei nuovi venuti, e colle dolci parole ne
guadagnò gli animi, perchè quasi tutti avevano
buon cuoré. Li trovò arrendevoli al suo consiglio
di fraternizzare cogli altri alunni della casa, e,
226

26 Pages 251-260

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26.1 Page 251

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con occhio maestro, investigati i vari talenti di
ciascuno, chi mandò allo studio e chi al labo-
ratorio (205).
« Tutti coloro che conversavano eziandio una
volta sola con lui, - scrive il biografo, - restava-
no innamorati della dolcezza e nobiltà -dei suoi mo-
di ,e della grazia delle sue parole. I c·uori dei gio-
vani, sempre aperti e confidenti, davano ai loro
volti quell'attrattiva speciale che è, diremmo, tra-
sparenza dell'anima. Ad essi pertanto costava· tan-·
ta fatica separarsi da Don Bosco, che bisognava
che lui stesso li staccasse da sè. La :fisionomia
di Don Bosco, a detta di Giuseppe Buzzetti, ave-
va un'espressione simpatica, così bella, amore-
vole, e direi angelica, che sembrava non fosse
.cosa di questo mondo; nello sguardo e nel sorriso
palesava l'incanto della santità che aveva dentro
di sè. Le cento volte si udivano i giovanetti che
gli restavano d'intorno ripetere: - Sembra No-
stro Signore! - Frase divenuta loro abituale.
Egli però sapeva talora mostrarsi anche corruc-
ciato, perchè anche l'ira è strumento di virtù,
ma non mai fuor di modo, e solo quando si trat-
tava dell'onore di Dio oltraggiato » (206).
A questa scuola furono plasmati Don Rua,
il Cardinal Cagliero, Don Giulio Barberis, Don
Francesia, e un eletto stuolo di Salesiani di an-
tico stampo, i quali coi loro esempi, e col fascino
227

26.2 Page 252

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indescrivibile che essi a loro volta esercitavano
sulle folte schiere di giovani che li circondavano,
mostrarono quali meravigliosi frutti abbia pro-
dotto e quindi quale potente efficacia abbia avuto
il sistema preventivo, praticato integralmente giu-
sta gli esempi lasciatici da Don Bosco.
228

26.3 Page 253

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CAPITOLO II.
GLI EDUCATORI
A questo punto è bene soffermarci a consi-
derare, nella luce della pedagogia di Don Bosco,
coloro che sono destinati a compiere l'opera edu-
c~tiva, secondo il suo spirito.
L'educazione, tenendo conto in essa dei soli
fattori umani, è sempre un'opera a due: deve
realizzarsi dal binomio inscindibile, educando-
educatore.
La presenza dell'educatore, la sua formazione,
le caratteristiche della sua personalità, sono ele-
menti sostanziali per qualsiasi sistema educativo.
È vero che questo è caratterizzato dai principi,
dai mezzi e dai fini di cui è costituito; ma, in
ultima analisi, tutta l'efficacia, tutta la caratte-
ristica di un sistema educativo, dipende in gran
parte dalla personalità dell'educatore, dal suo
modo d'agire e di applicare un dato metodo di
·educare.
229

26.4 Page 254

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Don Bosco ebbe un concetto tutto e veramente
suo dell'educazione: egli infatti, m ~ntre ha· va-
lutato la persona dei suoi educandi, guidandola,
giusta sue speciali direttive, ai risultati che si
proponeva di conseguire mediante l'opera sua
educati-va, ha , anche ·concepito in una manier.a
tutta propria la personalità dell'educatore.
1. Il Direttore come padre.
a) VITA DI FAMIGLIA.
·Una casa di educazione per ottenere il- suo
scopo dev'essere convenientemente impoistata. L'i-
stituto d'educazione, lo abbiamo detto, deve age-
volare e talora anche sostituire l'opera educa-
tiva della famiglia. Di qui la necessità per ogni
istituto educativo di ispirarsi allo spirito di fa-
miglia. Ora è evidente che, se il collegio dev'essere
una famiglia, questa famiglia deve avere il suo
capo. Mentre, nella famiglia naturale, il capo
indiscusso è il padre, nella famiglia del collegio
il capo dev'essere il Direttore. Forse nessuno
insistette tanto quanto Don Bosco perch~ il capo
dell'istituto fosse veramente padre, fatto. tutto
di bontà, di amorevolezza, di benevolenza acco-
gliente.
Orbene, dopo che il divin Redentore, neJla·
230

26.5 Page 255

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parabola del figliuol prodigo, ci ha rappresentato
in modo mirabile quale debba essere l'azione del .
padre della famiglia, non è più necessario cercare
altre fonti, per attingervi concetti o norme, e
per dipingere al vivo la sua missione veramente
fondamentale. Come infatti si rimane commossi
fino alle lacrime davanti alla longanime bontà
e festosa accoglienza· pel figlio traviato, non meno
inteneriti si resta al leggere, nella parabola evan-
g-elica, le dichiarazioni di amorevolezza, confi-
denza e generosità del padre verso il figliuolo
fedele, che rappresenta, grazie a Dio, la genera-
lità dei giovani affidat~ alle cure degli educa-
tori.
L'istituto di eclucç1.zione, ove il padre non fosse
tale, ove, .,, per spirito di regolamento od impo-
stazione educativa, il padre, anzichè trovarsi .ri-
vestito di paternità, apparisse quale rappresen-
tante del rigore, della disciplina, del castigo, un
tale istituto ·educativo rammenterebbe piuttosto
l'albergo, la caserma, financo a volte la pri-
gione, ma non mai la famiglia. ·Ecco perchè Don
Bosco si fa prern,ura di stabilire che il Direttore
della casa salesiana sia padre.
Nel primo articolo del Sistema. Preventioo,
egli vuole « che gli allievi abbiano sempre sopra
di loro l'occhio vigile del Direttore o degli assi-
stenti che, come padri amorosi, servano di guida
231
'

26.6 Page 256

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ad ogni evento, diano consigli o amorevolmente
corregga~o, che è quanto dire: mettere gli allievi
nella impossibilità di commettere mancanze ·» (Re-
golam., 88). Stabilito così il principio, Don Bosco
scende all'applicazione, dando queste norme ai
singoli Direttori: « Tu adunque va in nome del
Signore; va, non come superiore, ma come runico,
fratello e padre» (207). « Non mai dimenticare
che tu sei il padre di tutti e che devi fare in
modo di condurre tutti a Gesù » (208). Il Di-
rettore - continua Don Bosco - è un padre,
il quale non può che amare e compatire i suoi
figli» (209). « Egli sia costantemente qual padre
amoroso che desidera sapere tutto, per fare del
bene a tutti, del male a nessuno» (210). « Egli
deve essere come un padre in mezzo ai propri
figli, e adoperarsi in ogni maniera possibile per
insinuare nei giovani cuori l'amor di Dio, il ri-
spetto alle cose sacre, la frequenza ai Sacramenti,
filiale divozione a Maria SS. e tutto ciò che costi-
tuisce la vera pietà » (211).
b) REQUISITI DEL PADRE.
Come Padre, il Direttore deve essere sempre
guidato dallò spirito di carità, di pazienza, di
preghiera e di prudenza.
Ed an~itutto di carità. « La carità e la cor-
232

26.7 Page 257

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tesia - scriveva Don Bosco - siano le caratteristi-
che di un Direttore tanto verso gl'interni quanto
verso · gli esterni >> (212). « Nella posizione in cui
sono i nostri collegi, la vita dei soci è tutta per-
sonificata nel Superiore. Un suo sguardo, direi,
può consolarli; un suo sguardo rattristarli; bisogna
perciò che ciascuno di voi guardi di essere piolto
e molto affabile con tutti, e dimostri ad uno per
uno affezione speciale » (213). A un Direttore rac-
comandava: « Il tuo comando sia la carità » (214).
« Carità e dolcezza con ·tutti » (215). « Le virtù
che ti renderanno felice ·nel tempo- e nell'eternitfi.
sono l'umiltà e. la carità. Sii sempre l'amico, il
. padre dei nostri confratelli; aiutali in tutto quello
che puoi nelle cose spirituali e temporali, ma
sappi servirti di loro in tutto quello che può
giovare alla maggior gloria di Dio » (216). « Fai
in modo che tutti quelli cui parli, diventino tuoi
amici » (217). Il Direttore inoltre deve essere sol-
lecito dei bisogni materiali dei suoi dipendenti,
aver cura della loro salute e visitarli con fre-
quenza se ammalati (Regolam., 160). « Si faccia ·
economia in tutto, ma si faccia in modo che agli
ammalati nulla manchi » (218).
In secondo luogo il Direttore deve essere uo-
mo di pazienza. Ai Direttori l'anno 1880 dava
per strenna: « La pazienza di Giobbe » (219).
Il Direttore deve precedere gli altri nella
233

26.8 Page 258

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pietà, nella carità e nella pazienza; mostrarsi
costantemente amico, compagno e .fratello di tutti,
perciò sempre incoraggiare ciascuno nell'adempi-
mento dei propri doveri in modo di preghiera,
non mai di severo comando » (220) . .« Dev'essere
modello di pazienza e di carità coi suoi confra-
telli, che da lui dipendono » (221). ~< Niente ti tur-
bi - •raccomandava a Don Rua nei Ricordi con-
fidenziali. - Studia di farti amare prima di farti
temere. L~ carità e la pazienza ti accompagnino
costantemente nel comandare, nel correggere, e
fa' in modo che ognuno, dai tuoi fatti e dalle tue
parole, conosca che tu cerchi il bene delle anime.
Tollera.qualunque cosa quando trattasi d'impedj.re
il peccato. Le tue sollecitudini siano dirette al
bene spirituale, s.anitarìo, scientifico dei giovanetti
dalla Divina Provvidenza a te affidati » (222).
Ed insisteva: « Bisogna avere la pazienza p er
compagna indivisibile. Il Superiore, poi, oh!
quanto più ne avrà bisogno! . Perchè se esso sa
farla· esercitare agli altri, i sudditi possono dire:
- Noi siamo molti, esso è solo; noi esercitiamo
un po' di pazienza per ciascuno. ~Mail Superiore
resta solo contro tutti ·~ deve esercitare là pazien-
za con tutti» (223). E riguardo alla preghiera~
gli era cosa abituale, nelle visite alle case, chie-
dere al Diretto.re: « Preghi tu per i tuoi alun-
ni?» (224).
234

26.9 Page 259

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Finalmente il Direttore deve essere uomo di
prudenza. « Nelle cose di maggior importanza --
scriveva - fa' sempre breve elevazione di cuore
a Dio prima di deliberare. Quanto ti è fatta
qualche relazione, ascolta tutto, ma procura di
rischiarare bene i fatti prima di giudicare. Non
di rado certe cose a primo annunzio sembrano
travi e non sono- che paglie» (225).
Rico~deremo infine che per dirigere bene, Don
Bosco dava ancora questi tre suggerimenti: « 1) O-
perare tutto per la gloria di Dio e per la sah1 te
delle anime; 2) Far vedere ai soggetti, principal-
mente al principio dell'anno, che il bene delle
anime loro è l'unico nostro movente. Far questo
nelle scuole, nei refettori, nel correggere, nel pre-
miare e sempre; 3) Studiare i naturali e miglio-
rarli; non urtare mai, secondarli sempre; cdj-
ficare, non distruggere » (226).
e) lL DIRETTORE COME CENTRO DELL'AUTORITA.
E DELLA RESPONSABILITÀ.
Sede della paternità, il Direttore, nel pensiero
di Don Bosco, non cessa di essere, per altro, anche
principio e centro di autorità ne! collegio: .e Un
solo Dio, un solo Padrone: un solo superiore, una
sola congregazione» (227). L'11 marzo del 1869,
parlando della unità di ubbidienza che deve re-
235

26.10 Page 260

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gnare fra i soci, diceva: « In ogni corpo vi deve ·
essere una mente che regga i suoi movimenti, e
tanto più attivo ed operoso sarà il corpo, quanto
più le membra sono pronte ad ogni suo cenno.
Così nella nostra Società sarà necessariò che al-
cuno comandi e tutti gli altri obbediscano ~- E
soggiungeva: « Si abbia sempre presente che il Su-
periore è il rappresentante di Dio, e che chi ub-
bidisce a lui, ubbidisce a Dio medesimo. Che im-
porta che egli sia in molte cose inferiore a me?
Sarà più meritoria la mia sommissione » (2:28).
« Si insista perchè in ogni casa tutti facciano cen-
tro al Direttore... Guai quando in una casa si
·formano due centri! Sono come due cainpì, come
due bandiere, e, se non contrari, sal'.anno almeno
divisi. L'affezione èhe si mette in uno è a scapito
dell'altro. Tutta la confidenza·che un giovane pone
in chi cerca d'attirarlo a sè, è tolta a colui t:he
avrebbe diritto di possederla intera. La freddf zza
porta l'indifferenza, la minor stima ed anche un
principio di avversione; e poi un regno diviso sarà
desolato. Il Direttore procuri adunque che, nella
sua casa, non si romp~ l'unità » (229).
Le parole di Don Bosco sono d'importanza
somma: qui si tratta, non solamente del bene dei
soci, :tria anche di quello dei giovani, i quali pati-
rebbero un gran danno, nell<;t loro formazione,
ove mancasse quel coordinamento di lavoro, di
236

27 Pages 261-270

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27.1 Page 261

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norme e di direttive che Don Bosco prescrive e
che devono partire dalla mente e dalla volontà
d'uno solo, del primo responsabile, del Direttore.
Dalla superiorità sgorga il dovere della respon-
sabilità del Direttore, la quale si estende a tutto
l'andamento della casa. Il Direttore è il supe-
riore principale, che è responsabile di tutto quanto
avviene nell'Oratorio » (230). « Il Direttore è il
capo del collegio; a lui spetta il ricevere, il
licenziare gli alunni, ed è responsabile dei doveri,
della moralità di ciascun impiegato e degli alun-
ni del collegio » (231). Ricordiamo pertanto che
« ogni Direttore deve rendere conto a Dio del-
1'anima di ciascuno dei suoi confratelli, che, dallo
stesso Iddio furono collocati sotto la sua speciale
direzione. In qualcuno si troverà resistenza; ma
l'affetto paterno, la carità e la preghiera, vin-
cono 'i caratteri più difficili» (232). -
Queste considerazioni devono spingere tutti i
confratelli a formare un sol cuore ed un'anima
sola col Direttore, per aiutarlo a portare il peso
di una responsabilità non indifferente, affinchè
la sua opera di formazione sia agevolata, e non
trovi ostacoli proprio nella volontà di coloro che
sono i suoi naturali collaboratori.
237

27.2 Page 262

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d) UFFICI DEL DIRETTORE.
I) Dirigere.
Come capo del collegio, il Direttore deve saper
com andare.
Il 4 luglio 1884, volendo far rifiorire l'Oratorio
come ai tempi migliori, Don Bosco diceva: « Ma
è necessario che il Direttore comandi: che sappia
bene il suo regolamento e sappia bene il regola-
mento degli altri e tutto quello che debbono fare:
che tutto parta da un solo principio» (233).
Tuttavia anche nel comandare Don Bosco rac-
comandava prudenza e discrezione. « Procura di
non mai comandare cose superiori alle forze dei
subalterni. Nè mai si diano comandi ripugnan-ti;
anzi abbi massima cura di secondare le inclina-
zioni di ciascuno, affidando di preferenza le cose
che si conoscono di maggiore gradimento » (234).
« Nel comandare si usino sempre modi e parole
di carità e di mansùetudine. Le minacce, le ire,
tanto meno le violenze, siano sempre lungi dalle
tue parole e dalle tue azioni » (235). Questa sì
grande circospezione raccomandata da Don Bosco,
significa ch'egli vuole che i comandi del· Diret-
tore non siano già i comandi di un superiore, ma
quelli di un padre, cui d~ve corrispondere un'ub-
bidienza, non già di sudditi, ma di figli, in con-
formità al concetto che egli aveva della casa sa-
238

27.3 Page 263

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lesiana, la quale deve essere, più che collegio,
una seconda famiglia.
Il Direttore poi deve anche far osservare le Re~
gole, essendo egli il custode auto~izzato dello spi-
rito di Don Bosco, spirito di cui è imbevuta l'e-
ducazione che si dà ai nostri giovani. « Leggi,
- così egli ad un Direttore, - medita e pratica·
le nostre Regole. Ciò sia per te e per i tuoi» (236).
« Ogni cura, ogni fatica, per osservare· e far os-
servare le regole con cui ognuno si è consacrato
a Dio » (237). « Il Direttore tratti sovente e con
molta familiarità coi confratelli, insistendo sulla
necessità della uniforme osservanza delle Costi-
tuzioni, e, per quanto è possibile, ricordi anche
le parole testuali delle medesime » (238). Abbor-
risca come veleno le · modificazioni delle Regole.
L'esatta osservanza di esse è migliore di qualun-
que variazione. Il meglio è nemico del bene» (239).
« Lo spirito della Casa deve trasfondersi dal Ret-
tor Maggiore nei Direttori» (240). Ragion per
cui « ciò che avviene pel ·Rettor Maggiore riguar-
do a tutta la Società, bisogna che avvenga pel Di-
rettore in ciascuna casa. Esso deve fare una cosa
sola col Rettor Maggiore, e tutti i membri della
sua casa devono fare una cosa sola con lui. In
lui ancora devono essere come incarnate le Re-
gole. Non sia lui che figuri, ma la Regola. Tutti
sanno che la Regola è la volontà di Dio e che chi si
239

27.4 Page 264

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oppone alle Regole, si oppone al Superiòre e a Dio
si.esso...
·
'
« Un Direttore adunque tutte le volte che vuole
operare, prendere qualche misura o deliberazione,
si. metta sempre sotto lo scudo della Regola, e mai
operi di sua propria volontà o autorità.
« Si procuri inoltre di co"nservare la dipendenza
tra il Superiore e l'inferiore, e ciò spontaneamente
- e non coàcte (per forza) . I subalterni si impe-
gnino molto a circondare, aiutare, sostenere, difen-
dere il loro Direttore, a stargli fitti d'atforno, a fa-
re quasi una sola cosa con lui. Nulla facciano
senza dipendere da lui, perchè così facendo dipen-
dono, non da lui, ma dalla Regola » (241).
·
2) Consigliare e correggere.
Il Direttore, come capo responsabile della casa,
« deve esserè pronto ad accogliere con bontà que-
gli impiegati che a lui si dirigessero, e a dar ]oro
quei suggerimenti che possono tornare utili al man-
tenimento dell'ordine, e a, promuovere la gloria di
Dio .e il vantaggio spirituale delle anime. Colla dol-
cezza e colla esemplarità procuri di acquistarsi
la loro stima e benevolenza (242). Il Direttore non
differisca mai i buoni consigli ed i salutari avvisi
quando vi è occasione-·di darli » (243).
< Faccia veder che ha coi confratelli grande con-
240

27.5 Page 265

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fidenza; tratti ·con benevolenza gli affari che li
riguardano. Non faccia niai rimproveri, :iiè dia
mai severi avvisi in presenza altrui, ma procuri
di ciò far sempre in camera caritat.is, ossia dolce-
mente, strettamente in privato. Qualora i motivi
di -tali avvisi o rimproveri fossero pubblici, sarà
pure necessario di avvisare pubblicamente; ma,
tanto in Chiesa, quanto nelle conferenze speciali,
non si facciano mai allusioni personali. Gli av-
visi, i rimproveri, le allusioni fatte palesemente
offendono e non ottengono l'emendazione (244,).
Sia facile il Direttore a dimenticare i dispiaceri
e le offese personali, e, colla benevolenza e coi .ri-
, guardi, studi di vincere, o meglio, di correggere i
negligenti, i diffidenti ed i sospettosi. Vincere in
bono malum (vincere nel bene il male) » (245).
A un Direttore il Santo raccomandava: « Procu-
ra di vedere gli affari tuoi con gli occhi tuoi.
Quando taluno fa mancamenti o trascuratezze,
avvisalo prontamente senza attendere che siano
moltiplicati i mali » (246). E ad un altro: « Per tuo
ricordo particolare, ritieni: 1) Fare ogni sacrificio
per conservare la carità e l'unione dei confratelli;
2) Quando avrai da fare correzioni o da:re consigli
particolari non mai farlo in pubblico, ma sempre
inter te et ipsum solum; 3) Quando hai fatta una
correzione, dimenticare il fallo_ e dimostrare la
primiera benevolenza al colpevole» (24?).
241

27.6 Page 266

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Don Bosco insomma vuole che ·si faccia di
tutto per salvare la pate~nità del Direttore, nella
quale propriamente risiede tutta l'efficacia della
formazione impartita dagli educatori agli edu-
candi.
Perciò il.Direttore deve astenersi dal castigare.
Un punto della massima importanza per Don Bo-
sco è che « le parti odiose e le correzioni discipli-
nari siano da lui affidate ad altri » (Rego-
1
lam., 164). « I castighi - continua egli - ed i rim-
proveri appartengono all'ufficio del Prefetto. È un
momento perdere, e per sempre, la confidenza di
un giovane » (248), ma per riacquistarla, se . pnre
sarà possibile, ce ne vorrà!
« I Direttori non castighino, non rimproverino,
non minaccino mai i giovani. Essi colle viséere
piene di carità rappresentino la bontà di
Di9 » (249). Da. notarsi questa mirabile espressione
che mette in rilievo il gran concetto che Don Bosco
_aveva della paternità del Direttore, il quale è
chiamato a riprodurre in sè, in quanto è possi-
bile a umana creatura, la stessa pate:r;nità di Dio.
3) Vigilare.
Ma il dovere principale del Direttore è quello
di vigilare sull'andamento generale .della casa. Nel-
le Costituzioni e nei Regolamenti, che servono di
242

27.7 Page 267

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norma e di guida al Direttore e a tutti coloro che
son chiamati al nobile compito di formare le novel-
le generazioni, è detto che il Direttore (< ha l'obbli-
go di vegliare con paterna sollecitudirle sulla con-
dotta e formazione dei soci, e poi sull'accurata e-
ducazione degli alunni. Perciò non cerchi e, per
quanto può, non accetti occupazioni estranee al
suo ufficio, e non si assenti dalla casa per un tem-
po notevole senza necessità » (Regolam., 15?). Que-
ste raccomandazioni sono la sintesi di molte di-
lucida~ioni più e più volte date dallo stesso Don
Bosco ai Direttori per mostrare loro l'importanza
di tali doveri.
Il nostro Padre, insistendo sulla necessità che
ciascuno faccia la parte sua, a riguardo del Di-
rettore dice: « Suo unico· e vero ufficio è di sorve-
gliare sempre e di sorvegliare tutto e tutti » (250).
Un buon Direttore « osserva tutto; va da per tutto; _,,
parla con tutti; ha confidenza coi superiori su-
balterni » (251). « Deve vegliare sulla moralità dei
Salesiani e sopra gli allievi loro affidati; procurare -
qi ~hiamarli una volta al mese al rendiconto, e che
ognuno faccia l'esercizio della buona morte una
volta al mese. Age quod agis. Tutti gli altri affari
sono second;;J.ri, . dimenticando le cose eterne.
Deve inoltre occuparsi a perfezionare le cose, gli
affari nostri, le persone, e ad aiutarle quanto è pos-
sibile nelle pene e nelle malattie» {252). ~ Il piret-
243

27.8 Page 268

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tore procuri anche ogni giorno di visitare la casa;
veda l'andamento di tutto; passi nelle camere,
in cucina, nei refettori e in cantina; sappia tutto
quello che si fa. È questo il mezzo d'impedire che
non mettano mai radice i disordini» (253).
Riguardo ai . confratelli, il Direttore veda di
« assisterli, aiutarli, istruirli sul modo di adempie-
re i propri doveri, ma non' mai con parole aspre
od offensive » (254). « Per. quanto è possibile · il
Direttore si limiti ad osservare se le cose si fanno
dagli altri subalterni; ma egli non si tengà sop.ra
affari determinati; procuri predicatori, confessori,
professori, assistenti in numero sufficiente, e poi
esamini se ciascuno conosce le rispettive regole,
se le pratica e le fa praticare dai suoi dipen-
denti » (255).
Quindi il Direttore di ciascuna casa « abbia
pazienza e studi bene le persone, o meglio esamini
bene quanto valgano i confratelli che lavorano sot-
to di lui. Esiga quello di cui sono capaci e non di
più. ·È indispensabile che egli conosca il Regola-
mento che ogni confratello deve praticare nell'uf-
ficio affidatogli; la sua sollecitudine sia in modo
speciale rivolta alle relazioni morali dei maestri,
assistenti, fra di loro e cogli allievi loro affi-
dati » (256). « Egli deve ess,e,re istruito intorno ai
doveri tanto dei soci come congregati, quanto dei
soci addetti a qualche Jifficio. Non occorre che egli
244

27.9 Page 269

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lavori molto, ma vegli che ciascuno compia la
parte che lo riguarda. Le nostre case si possono
paragonare ad un giardino. Non fa bisogno che il
capo giardiniere lavori molto, basta che egli si
cerchi degli operai pratici, li istruisca intorno
all'orticoltura, li assista, li avvisi a suo tempo e
nelle cose più importanti si trovi eziandio presente
per giovare chi fosse imbarazzato nelle cose di
maggior momento. Questo giardiniere è il Diretto-
re: le tenere pianticelle sono gli allievi, tutto il
personale sono i coltivatori dipendenti dal pa-
drone, ossia dal Direttore che ha la responsabi-
lità delle azioni di tutti » {257).
« Il Direttore faccia il Direttore, cioè sappia fa-
re agire gli altri: invigili, disponga, ma non abbia
mai esso da mettere mano all'opera. Se non trova
individui di grande abilità nel far le cose, lasci
chi è di abilità mediocre; ma per la smania del me-
glio non si.metta lui a fare le cose. Egli deve invi-
gilare eh~ tutti facciano il proprio dovere, ma non
devé prendere nessuna parte particolare. Così
facendo, gli rimarrà tempo per eseguire ciò che io
credo di non aver mai abbastanza inculcato » (258).
Da tutto ciò facilmente si scorge che « l'essenza
dei doveri di un Direttore- come afferma Don Bo- '
sco - consiste .nel ripartire le cose a farsi, e poi
insistere perchè si facciano» (259). « L'abilità di
un superiore - ripeteva spesso Don Bosco :- non
245

27.10 Page 270

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consisté solo nel fare, ma anche nel saper far fare
agli altri» (260). « Qualora un Direttore non potes-
se fare ' altro e ottenesse che ciascuno eseguisca
bene la parte che gli è assegnata, farebbe già
molto » (261). « Ricòrdati, - ammoniva spesso -
che il Direttore non deve fare molto, ma adope-
rarsi che gli altri facciano, vegliando che ciascuno
compia i propri doveri » (262).
Di conseguenza, il Direttore, tutto intento a vi-
gilare paternamente, deve restare in casa più che
è possibile. Questo è vero amore ai propri figli.
Don Bosco insisteva: « Non allontanarti senza ne-
cessità, e in quei casi procura di provvedere all'or-
dine, alla moralità del collegio (263). Il Direttore
guadagnerà molto se non si allontanerà dalla casa
affidatagli, se non per ragionevoli e gravi motivj;
non mai si allontani senza avere prima stabilito
chi lo supplisca n elle cose che possono occorre-
re » (264).
4) Altri doveri del Direttore.
Quanto ai giovani e al personale esterno,
« egli, il Direttore, accetti e licenzi il personale
della casa e gli stessi allievi .con quelle condizioni
che giudicherà del caso» (265). Ricordi poi un se-
greto manifestato da Don Bosco a un Direttore:
< Passa coi giovani tutto il tempo possibile. Que-
246

28 Pages 271-280

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28.1 Page 271

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sto è il grande segreto che ti renderà padrone
del loro cuore» (266).
Riguardo ai Confratelli, « non dimentichi mai
il rendiconto mensile per quanto è possibile; ed in
quella occasione .ogni Direttore diventi l'amico, il
fratello, il padre dei suoi dipendenti. Dia a tutti
tempo e libertà di fare i loro riflessi, esprimere i
loro bisogni e le loro intenzioni. Egli poi dal canto
suo apra tutto il suo cuore senza mai far conoscere
rancore alcuno; neppure ricordare le mancanze
passate se non per darne paterni avvisi ·o richia-
mare caritatevolmente al dovere chi ne fosse ne-
gligente» (267). Tanta insistenza e tanta delica-
tezza nelle parole di Don Bosco, trovano la loro
spiegazione nel fatto che, nel rendiconto, si ve-
rifica l'incontro del padre col figlio, si attua lo
spirito di famiglia nella più dolce intimità e si
effettua la più efficace opera di .formazione e di
educazione nel clima della più serena apertura,
spontaneità e libertà. Proprio lì, nel rendiconto,
come nei colloqui privati coi giovani, il Diret-
tore realizza il più alto concetto che Don Bosco a-
veva dell'educatore e ne esercita nel modo più per-
fetto le funzioni: nel rendiconto è veramente padre
e guida delle anime dei suoi collaboratori ed edu-
èandi, nei quali può imprimere la forma che egli
vuole: nel rendiconto esplica la . sua paternità
nel modo più vasto e completo, secondo la triplice
247

28.2 Page 272

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caratteristica che fa del Direttore il vero unico edu-
catore in casa, essendo egli solo rivestito della
triplice paternità di Educatore, di Sacerdote
e di Direttore. Ragione per cui si può asserire
che il Direttore incarna nel modo più pieno e più
perfetto la pedagogia salesiana e quindi lo spi-
rito di Don Bosco: egli, - educatore, sacerdote e
capo di famiglia - è il vero rappresentante di
Don Bosco.
Ma il Direttore deve ancora, giusta il pensiero
del nostro Padre, «· radunare il Capitolo, e qualche
volta tutti gli insegnanti, per istudiare i mezzi che
ciascuno giudica opportuni al fine di rimediare
quanto è da rimediarsi » (268). « Soltanto lui ha
facoltà di fissare per ciascuno ·le proprie occupa-
zioni e ninno può introdurre variazioni nell'ora-·
rio o nella disciplina senza l'espresso di lui con-
senso » (269).
·
·Finalmente il Direttore ha l'obbligo di cu-
rare le vocazioni e la formazione d el personale.
« Colla tua esemplare maniera di vivere, - dice
ancora Don Bosco, - colla carità nel parlare,
nel comandare, nel sopportare i difetti altrui, si
guadagneranno molti alla Congregazione. Racco-
manda costantemente frequenza dei Sacramenti
della Confessione e della Comunione» (276). ~ Bi-
sogna che i Direttori più volte all'anno ·parlino di
vocazione. Non è mai il caso di suggerire ai giova-
248

28.3 Page 273

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ni: "fatevi preti o non fatevi preti!". Bisogna istru-
irli come vi siano due vie: gli uni debbono sal-
.
varsi .passando per l'una, gli altri passando per
l'altra; bisogna'raécomandar loro di pregare molto
il Signore per conoscere su quale delle due debbo-
no essi c_amminare... e si consiglino col confesso-
re » (271). « Ogni Casa ponga grande studio nel
prepararsi il personale di cui abbisogna. Deve es-
sere studio specialissimo dei Diret.tori il cercare
di formarselo bene, stando attenii in che cosa
sbagliano, dando norme opportune e opportuni
avvisi, spendendo anche molto tempo in sì neces-
saria occupazione. Così potremo avere quei soste-
gni che si desiderano » (2?2).
·
, Dato il progredire e i_l moltiplicarsi della So-
cietà Salesiana, alcune mansioni affidate prima al
Direttore spettano ork all'Ispettore. Tuttavia al
Direttore incombe pur sempre il dovere di formare
alla pratica della vita salesiana, quindi alla pra-
tica d el sistema preventivo, i giovani chierici e
coadiutori, ed in generale tutto il personale che è
alle sue dipendenze (Regolam., 53, 15?, 158). E
quanto più egli sarà diligente ed espèrto nel suo
ufficio di insegnare agli altri con l'esempio e con
la parola, tanto più gli altri saranno premurosi di
corrispondere al1e sue cure, e preparati alla mis-
sione di educare i fanciulli.
Osserviamo infine che Don Bosco non ignora-
249

28.4 Page 274

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va l'organizzazione di altri Istituti di educàzione,
dove erano nitidamente distinte la carica di Ret-
tore, - con la responsabilità generale e la cura
particolare del regime esteriore o disciplinare ~-
e quella di Direttore Spirituale per il regime in-
teriore delle anime. Tuttavia egli volle che il Di-
rettore della Casa Salesiana, pur conservando la
responsabilità di tutto, si occupasse particolar-
mente della direzione spirituale, sia dei confra-
telli che dei giovani, lasciando al Prefetto o Vice-
Direttore la cura immediata della disciplina este-
riore. Tale è il tipo di paternità spirituale, che
va senz'altro alle anime, e che Don Bosco voHe
attuato nei suoi Direttori in ordine ai loro di-
pendenti. Anzi, egli volle che ai Direttori fosse
affidata pure la direzione delle anime in foro sa-
cramentale: cosicchè i primi Direttori, secondo
una prassi allora ammessa, erano al tempo stesso
i principali confessori dei confratelli e dei gio-
vani. Più tardi la Chiesa giudicò opportuno mo-
dificare tale prassi. Resta però sempre vero che
i due uffici, di Direttore Spirituale e di Confes-
sore, non si possono nè confondere . insie~e, nè
tanto meno identificare.
250

28.5 Page 275

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2. I Collaboratori.
a) IL PREFETTO.
Al fianco del Direttore v1 e colui che porta il
nome di Prefetto, il. quale, nel p~nsiero di Do~
Bosco, non è il prefetto generalmente inteso, e
cioè un assistente incaricato di un determinato
numero o sezione di giovani. Il Prefetto, nelle case
salesiane, è una vera ~ geniale, anzi provviden-
ziale creazione di Don Bosco. Mentre ha cura del-
le cose di amministrazione, egli è al tempo stesso
il vicario del Direttore e lo rappresenta durante
le eventuali assenze. Ma soprattutto il Prefetto ha
l'incarico di allontanare dal Direttore qualsiasi
cosa che lo possa rendere .meno accetto ai supe-
riori e ai giovani. Perciò quando Sl tratta di certi
atti solenni disciplinari, di certe misure coercitive,
di certi avvisi che possono anche non riuscire pia-
cevoli, di tutte queste cose viene incaricato il Pre-
fetto, sempre con l'intento già indicato che il
Direttore rimanga costantemente padre (Rego-
lam., 174-185).
Visitando le case? Don Bosco non mancava di
fare questa raccomandazione al Prefetto: « Ricor-
da che anche in faccia agli alunni chi deve figu-
rare per primo nella casa è il Direttore, quindi
h~ règolati sempre come suo rappresentante» (273).
251

28.6 Page 276

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A Don Belmonte, che era Prefetto, ·Don Bo-
sco dava questi suggerimenti per disimpegnare
bene il suo ufficio: « Riuscirai: 1) col cercare la
gloria di Dio in quelfo che fai; fare del b ene a
chi puoi, del male a nessuno; 2) dipend-enza filiale
dal Direttore, studiando di secondare le sue mire,
coadiuvandolo nelle sue fatiche; 3) studia di con-
ciliare l'economia della casa col contento dei su-
balterni. Quanto è necessario, a tutti: ma intrepi-
do nell'opporti agli abusi e scialacqui » (2?4).
b) IL CATECHISTA.
Nella stessa sua funzione paterna, il Diret-
tore ha pure un cooperatore efficace: il Catechi-
sta. Non già il Catechista inteso nel senso che
debba dare lezioni di catechismo; ma perchè di-
rettamente incaricato di vegliare, sotto la guida
de] Direttore, sulla vita religiosa dei confratelli e
sulla condotta religiosa e morale degli alunni (Re-
golam., 186). A lui è pure dato speciale incarico
di assistere e guidare i Salesiani più giovani, bi-
sognosi d'indirizzo e d'assistenza. L'opera del Ca-
techista è un aiuto e un complemento praticamen-
.te n.ecessario all'opera pater~a del Direttore. In-
fatti egli deve ampiamente coadiuvarlo con l'i-
struire al più presto possibile i nuovi alunni in-
torno alle regole principali della casa; informarsi
252
/

28.7 Page 277

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se abbiamo già ricevuto la Cresima e la Prima
Co~unione, e, in caso negativo, provvedere perchè
siano pen preparati a questi Sacramenti e li rice-
vano non appena se ne avrà propizia occasione
(Regolam., 187). Egli deve pure conferire cogli al-
tri Superiori, maestri ed assistenti intorno alla
condotta relig~osa e morale degli alunni; per po-
terli opportunamente correggere e per prevenire
ogni disordine (Regolam., 188). A lui è affidata la .
cura, oltre che delle Compagnie Religiose, anche
della chiesa e del culto, intendendosi col Diretto-
re per l'orario delle funzioni stesse, per i cate-
chismi, e per la predicazione (Regolam., 189).
Il complemento più significativo, da parte del
Cate~chista, alla paternità e bontà del Direttòre, è
la vigilanza ~ulle condizioni sanitarie dei confra-
telli e alunni e sull'infermeria. E quando si am-
. malano gli alunni, non soltanto deve procurare
che siano tosto condotti in infermeria, avvertendo
al più presto il Direttore e provvedendo alla vi-
sita medica, ma trovarsi pure presente a detta vi-
sita, prender nota delle prescrizioni relative alle
cure, al vitto e riposo, e invigilare perchè ven-
gano osservate (Regolam., 190). Come si vede,
quest'incarico è tutto fatto di bontà e . paterni-
tà, e appunto per questo abbiamo detto che il
·Catechista, nel sistema di Don Bosco, è una spe-
cie di prolungamento della paternità del Diretto-
253

28.8 Page 278

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re, col quale naturalmente dev'essere in costante
contatto e pieno accordo.
Al Catechista Don Bosco rivolgeva questo mò-
nito nella circolare del 15 novembre 1873: « Il Ca-
techista si ricordi che lo spirito e il profitto mo-
rale delle nostre case dipende dal promuovere il
PiccolQ Clero, le Compagie dell'Immacolata Con-
cezione, del SS. Sacramento e di San Luigi. Ab-
bia cura che tutti, e specialmente i Coadiutori, ab-
biano comodità di frequentare la Confessione e la
Comunione. Se mai fra le persone applicate ai
lavori domestici àvvene alcuno. bisognoso d'istru-
zione, faccia in modo che nulla gli manchi per ri-
cevere la Comunione, la Cresima, servire la San-
ta Messa e simili. Parli, alquanto tempo prima,
delle Solennità da celebrarsi, e, con brevi ser-
moncini o con qualche esempio analogo, prepari
gli allievi con quel decoro e con quella · pompa
maggiore che si potrà » (275).
c)- IL CONSIGLIERE E GLI ALTRI SUPERIORI.
Quando invece si tratta delle scuole, dello stu-
dio, del refettorio, delle ricreéJ_zioni e di tutto ciò
che costituisce la parte propriamente detta di-
sciplinare, allora, a seconda delle case di studi
elementari o classici, di scuole professionali o di
scuole agricole, entrano in funzione i Consiglieri
254

28.9 Page 279

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chiamati rispettivamente Scolastico, Professionale,
Agricolo: i quali, s'intende, agiscono d'intelligen-
za col Direttore. Da essi dipende l'ordinaria di-
sciplina degli alunni.
Essi devono, in principio dell'anno e ogni qual
volta ne vedono l'opportunità, radunare il per-
sonale insegnante e gli assistenti, per trattare dei
mezzi più acconci a promuovere lo studio e il
profitto. Devono pure di quando in quando inter-
rogare sull'andamento della scuola e della disci-
plina, e, con carità, dare le opportune normè e
consigli ai maestri, specialmente se principianti
(Regolam., 191, 192, 193) .. Tocca ad essi far dare ai
nuovi alunni un posto nella sala di studio e prov-
vedere perchè siano -assegnati alla classe a cui
sono idonei. Non ne devono lasciare nessuno sen-
za occupazione, neppure temporaneamente (Re-
golam., 194). Tocca ai Consiglieri riunire ogni
mese i superiori, gl'insegnanti, i capi d'arte e gli
assistenti, per dare i voti di condotta e di lavoro
agli alunni (Regolam., 208).
Grazie a tali disposizioni, ognun vede che le
parti cosiddette odiose sono sempre fatte, in casi _
ordinari dal Consigliere Scolastico, Professionale,
Agricolo, e, in casi straordinari, dal Prefetto. An-
che questo per contribuire a che il Direttore possa
sempre presentarsi davanti agli alunni come il
paferfamilias, a,:ureolato di bontà e dolce paternità.
265

28.10 Page 280

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· Vi· sono poi i Maestri di scuola, i Maestri ,d'ar-
te, i Capi-laboratorio e gli Assistenti. Don Bosco
volle che i Superiori di qualsiasi categoria; i quali
debbono occuparsi dell'istruzione ed educazione
degli alunni, fossero forniti delle doti necessarie.
Scherzosamente , diceva di volere in tutti tre S, e
cioè Sanità, Scienza e Santità (276).
Per la preparazione del nostro personale vi è
un complesso di disposizioni speciali. La prima
formazione si compie negli aspirantati propria-
mente detti e nei collegi; la seconda, nel novizia-
to, la terza durante i tre anni di studi filosofici,
liceali o di perfezionamento professionale. Du-
rante la seconda e terza prova s'impartono spe-
ciali norme pedagogiche · e didattiche (Rego-
lam., 293, 322). Per consolidare poi la formazione
pedagogica, i nostri chierici, prima di recarsi a
compiere i loro studi teologici, che durano quat-
tro o cinque anni, vengono destinati ad esercitar-
si praticamente, come maestri o assistenti, duran-
te un triennio, nella vita ordinaria delle nostre
case (Regolam., 51-2).
A Don Bosco premeva soprattutto di assicu-
rarsi che· la moralità fosse ineccepibile e che il
soggetto mostrasse pure di avere le doti gidatti-
che sufficienti per compiere l'opera educativa. I
Maestri e i Professori li voleva ben preparati, e
perciò li mandava a prendere i titoli legali o
25_6

29 Pages 281-290

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29.1 Page 281

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nelle scuole normali o ·nelle università. Degli As-
sistenti parl~remo più avan._ti.
Osserveremo 'infine che Don Bosco era talmen-
te compenetrato della necessità che tutti i Sale-
siani della Casa fossero in grado di ben corri-
spondere all'alta loro missione, che scendeva ai
più minuti particolari; ed esigeva che anche coloro
i quali compiono uffici di diversa importanza,
- ·come il Portinaio, il Sacrestano, l'Infermiere, il
Provveditore, il Cuocò, il Guardarobiere, che, nel-
la. Casa Salesiana son tutti chiamati Superiori, -
fossero b en compresi di trovarsi in un istituto,
nel quak essi purè dovevano, con il loro buon
esempio e col loro lavoro, cooperare alla buona
formazione dei giovani. Altrettanto dicasi dei Fa-
migli, anche se destinati agli uffici più umili della
Casa.
3. Requisiti dell'educatore.
a) LA FIGURA IDEALE DELL'EDUCATORE
SECONDO DoN Bosco.
Don Bosco si preoccupava grandemente d ella
formazione di coloro che dovevano coadiuvarlo·
nell'opera sua educatrice, ed esigeva che avessero
_determinate doti e requisiti, - oltre la esempla-:
rità di vita religiosa e morale e la debita prepa-
257
9 (I)

29.2 Page 282

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razione, non soltanto pedagogica, ma anche cul-
turale, - per potersi conciliare la stima degli al-
lievi. E così voleva dolcezza di modi, senso di re-
sponsabilità, prudenza, fermezza e giustizia nel-
!'agire, moderazione nel castigare, generosità nel
perdonare.
Premuniva poi l'educatore contro la diffidenza
nell'efficacia della propria opera. L'anima del fan-
ciullo è materia relativamente facile al lavoro edu-
cativo! Essa non è come quella dell'uomo adulto,
il quale una volta diventato cattivo, difficilmente
si lascia piegare; ma è qual molle cera su cui fa-
cilmente s'imprime l'immagine che si vuole, e qual
vergine terreno in cui il seme si sviluppa e ere~
sce rigoglioso.
Don Bosco ricordava all'educatore non essere
egli solo a lavorare, aiutato com'è, efficacemente,
dalla grazia di Dio, la quale in larga misura è
concessa a coloro cui è stata affidata una parti-
lare missione. Questa grazia illumina, dirige, so.s
stiene, fortifica, dà ascendente sull'anima dei gio-
vani e li ren·de docili; essa feconda le fatiche del-
l'educatore, rimuove le difficoltà, e rende vani
gli sforzi che il nemico delle anime fa per distrug-
gerne l'opera di bene.
S'incontrano bensì caratteri difficili che sem-
brano refràttari a tutte le cure, a ogni sforzo del-
l'educatore; ma, persistendo a curarli con spirito
258

29.3 Page 283

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di sacrificio e pregando, spesso si riesce a tirare
al bene anche queste anime (Regolam., 99; 100, 21)).
Nel 1880 Don Bosco, parlando agli Ex-Allievi
Ecclesiastici, narrò la visita di un Capitano ex-
allievo, che alla distanza di 30 anni, ricordandosi
delle industrie con cui Don Bosco l'aveva più vol-
te portato da piccolo ai piedi del confessore, era
tornato da lui per fare nuovamente la confessione.
Indi proseguiva: « Miei cari figliuoli, se un sol-
, dato, fra tanti pericoli del suo mestiere, fra tante
dicerie che avrà udite, conserva non di menò la
memoria delle verità religiose apprese nella sua
giovinezza e, venuta la propizia occasione, doman-
da di confessarsi e si confessa, perchè mai ci
perderemo noi di coraggio e ci avviliremo, quando
nella cultura dei giovanetti non ci vedessimo
subito corrisposti? Seminiamo, e poi imitiamo il
contadino che aspetta con pazienza il tempo del
raccolto » (277).
a Insomma, Don Bosco premeva che l'edu-
catore . non si lasciasse mai prendere dallo scora'-
mento per parergli di non ricavar frutto dalle
sue fatiche. A suo tempo le sabbie fecondate, e
tanto più quanto maggiormente si abbia pregato
e sofferto, daranno esse pure i loro frutti. Bisogna
lavorare come l'agricoltore che semina nell'inver-
no, con la speranza di raccogliere poi nell'estate.
259

29.4 Page 284

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b) DOVERI DELL'EDUCATORE.
1) À mare i giovani.
Don Bosco aveva familiare questo detto: Dilì-
gite et diligèmini, .sed dilìgite animas 0ie:stras et
vestrorum. (Amate e sarete amati; amate però
-1·anima vostra e quella dei vostri) (278).
Con questo intendeva ricordare ai suoi collabo-
ratori che dovevano amare i giovani unicamente
coll'intento di cercare il loro bene spirituale e
temporale (Regolam., 103).
Nel pensiero di Don Bosco, « il Superiore deve
avere tre qualità speciali: essere pronto a per-
dQnare, tardo .- a punire, prontissimo a -dimen-
ticare. - Non ·deve far preferenze, - non badare
ad antipç1.tie; _;_ ma procurare sempre di diminui-
re la malevolenza ed aumentare la benevolen-
za» (279). Don Bosco insomma volerva che i Su-
periori facessero di sè un olocausto assoluto per
guadagnare se stessi e i loro soggetti a Dio (280);
perciò dovevano, « essere disposti a fare grandi sa-
crifici, nulla risp~rmiando, nulla trascurando di
quanto · può contribuire alla maggior gloria di
Dio, e alla salute delle anime», pqichè la carità
usata verso i giovani è il mezzo più acconcio per
far loro del bene (281).
260

29.5 Page 285

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.
2) Essere paziente.
L'amore verso i giovani deve anche essere, in
modo speciale, paziente, secondo le parole di San
Paolo: « La ,Carità è. longanime, benigna., soffre
ogni cosa, copre lutto e sostiene qualunque distur-
bo » (282). Don Bosco non si stancava di ripetere
che sulla carità e sulÌa pazienza è tutta appog-
'
giata .la pratica del sistema preventivo (Reg 1=la-
men., 91). E aggiungeva: « Anche quel maestro,
quell'assistente, potrebbero troncare ogni questio-
ne con mezzi sbrigativi o violenti; ma questo,
riteniamolo bene, se qualche volta tronca un di-
sordine, non fa mai del bene e non-serve mai a far
amare la virtù o a farla penetrare nel cuore di
nessuno. Ci sia il vero zelo, sì; si cerchi ogni mo-
do di far del bene, sì; ma sempre pacatamente,
con dolcezza, con pazienza... Costa? Lo so an-
ch'io che costa; ma la parola J pazienza deriva
da pati che vuol dire patire, tollerare, soffrire, far-
ci violenza. Se non càstasse fatica, non sarebbe
più pazienza. Ed è appunto perchè costa molta
fatica che io la raccomando tant<?, ed il Signore la
iuculca con tanta istanza nelle Sacre Scritture.:.
Impazientirsi? Non si ottiene che la cosa non fatta
sia fatta, e neppure non si corregge il suddito con
la furia » (283).
Poi ci vuole quella pazienza che è costanza,
261

29.6 Page 286

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perseveranza. « Vedete là un giardiniere quanta
cura mette per tirar su una pianticella; si direb,
· be fatica gettata al vento; ma esso sa che quella
pianticella col tempo verrà a rendergli molto,
e perciò non bada ·a fatiche. Comincerà a lavo-
rare e sudare per preparare il terreno, e qui sca-
va, là zappa, poi concima, poi sarchia, poi pianta,
e mette il seme. Poi, come se questo fosse poco,
quanta cura e attenzione nel badare che non si
calpesti il luogo dove fu seminato, perchè non
vengano uccelli e galline a mangiare la semente.
Quando la vede nascere, la guarda con compia-
cenza: - Oh! germoglia, ha gjà due foglie, tre...
- Poi pensa all'innesto, ed oh! con quanta cura
lo cerca dalla migliore pianta del suo giardino
e taglia il ramo, lo fascia, lo copre, procura che
il fr~ddo o l'umidità non lo faccia morire. Quando
poi la pianta cresce e volta o si piega da una
parte, subito cerca di mettervi un sostegno che
la faccia crescere diritta; o, se teme che il fusto
o tronco sia troppo debole e che il vento o la
bufera lo possano atterrare, gli pone accanto un
grosso palo, e lo lega e lo fascia, perchè non
abbia a succedere il temuto pericolo. Ma perchè,
o ~io giardiniere, · tanta cura per una pianta?
-- Perchè se non faccio così, essa non mi darà
frutti; se voglio averne molti e buoni, devo as•
solutamente fare così. - E purtroppo, notate,
262

29.7 Page 287

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malgrado tutto ciò, soventi volte muore ·l'innesto,
si perde la pianta; ma nella speranza di rifarsi
poi, si fan tante fatiche.
·
« Ancor noi, miei cari, siamo giardinieri, col-
tivatori, nella vigna del Signore. Se vogliamo che
il nostro lavoro renda, bisogna che mettiamo mol-
ta cura attorno alle pianticelle che abbiamo da
coltivare. Purtroppo, malgrado molte fatiche e
cure, l'innesto seccherà e la pianta andrà a male;
ma se queste cure si pongono davvero, nel maggior
numero dei casi la pianticella riesce a bene... Ca·
so mai non riuscisse, il Padrone della vigna ce ne
ricompenserà ugualmente, essendo tanto buono!
Tenetelo a mente, non valgono le furie, non val-
gono gli impeti istantanei; ci vuole la pazienza
continua, cioè costanza, perseveranza, fatica» (284).
/
3) Coltivare l'intesa reciproca.
Una cosa da Don Bosco molto desiderata· era
che ci fosse reciproca comprensione e intesa. < A-
matevi gli uni e gli altri; aiutate~i gli uni e gli
altri caritatevolmente~ e non succeda mai che al-
cuno tenga . astio contro il suo fratello e lo scre-
diti con parole sconvenienti » (285). 4: Questo è
l'amor fraterno. Ma a che grado dovrebbe esso
ascendere? Iddio Salvatore ce lo disse: Mandaitum
novum do vobis: ut diliga.tis invicem sicut dilexi
263

29.8 Page 288

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vos (286); amatevi a vicenda, nel modo, con quella
misura con cui io ho amato voi. Ma questo amo-
re, per essere come si richiede, deve essere tale,
che il bene di uno· sia il bene di tutti, e il male
di. uno sia il male di tutti» (287).
« I preti siano solidarii gli uni degli altri in
tutto ciò che spetta all'eterna salvezza loro pro-
pria e dei giovani del collegio (288) e per promuo-
vere insieme d'accordo le cose buone, l'iniziativa
venga da c_!ii si vuole (289). Qual è lo spirito che de-
ve animare questo corpo degli educatori salesiani?
Miei cari, è la carità. Ci sia carità nel tollerarci
e cor_reggerci gli uni gli altri; mai lagnarci l'u-
no dell'altro; carità nel sostenerci; carità spe-
cialmente nel mai sparlare dei membri del corpo.
Questa è una cosa essenzialissima alla nost,ra
Società; perchè se vogliamo fare del bene nel
mondo è d'uopo che siamo uniti fra noi e godia-
mo l'altrui riputazione... Difendiamoci a vicenda:
crediamo nostro l'onore ed il bene della Società;
ed abbiamo per fermo che non è buon membro
quello che non è disposto a sacrificare se stesso
per salvare il corpo. Ciascuno sia sempre pronto
a dividere il suo piacere col piacere degli altri,
ed anche sia disposto ad assumersi la parte di
dolore di un altro... » (290).
E arn; ora esortava : « Sosteniamoci molto l'un
l'altro. Compaia grande nelle Case l'accordo fra
264

29.9 Page 289

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i Superiori. Guai, quando si potesse dire dai su-
balterni: - I Superiori non sono in buona armo-
nia fra di loro; uno vuole e l'altro non vuole;
uno appoggia, l'altro combatte la stessa cosa. -
Sosteniamoci sempre a vicenda in faccia ai su-
balterni. Si usino anche mezzi termini per far
vedere che vogliamo tutti la stessa cosa, anche .
quando un subalterno si fosse già accorto del di-
sparere. Sosteniamoci pure col lodarci l'un l'altro,
dimostrando la grande stitna che ci portiamo scam-
bievolmente. Ogni collegio sostenga sempre mo-
ralmente le altre case; si parli sempre degli altri
collegi, dando loro lode come fra i migÌiori e i me-
glio ordinati » (291).
« Preghiamo gli uni per gli altri, affinchè non
avvengano defezioni nella moralità; facciamo il
proposito di volerci sempre aiutare a vicenda.
L'onore di uno sia l'onore di tutti, la difesa
di uno sia la difesa di tutti; tutti siano impe-
gnati per l'onore e la difesa della Congrega-
zione nella persona di ogni individuo, poichè
l'onore e il disonore non cade già sopra un
solo confratello, ' ma cade sopra tutti e sopra
l'intera Congregazione. Perciò adoperiamoci tut-
ti con zelo, affinchè questa nostra buona Ma-
dre non abbia a ricavare danno o veTgogna. Ap-
plichiamoci tutti a difenderla e ad onorarla» (292).
265

29.10 Page 290

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4) Pregare per i giop_ani.
Ma nisi Domi,nus aedificaverit domum, in va- ;
num laboraverunt qui aedificant eam (293) (Se il Si-
gnore non edifica la casa, si affaticano invano quei
che la edificano). Se si è soli nell'impresa, si farà
poco o nulla. Il Signore è quello che fa tutto. L'e-
.ducatore deve pregarLo af:finchè benedica l'opera
che egli spende attorno ai propri allievi. < L'educa-
zione è cosa di cuore, e dei cuori solo Dio è padro-
ne, e noi non potr:emo riuscire in cosa alcuna se
Dio non ce ne insegna l'arte e non ce ne dà i:i;i ma-
no le chiavi » (294).
All'inizio dell'anno scolastico Don Bosco rac-
comandava caldamente ai Superiori, ai maestri, e
ai confessori che pregassero ogni giorno per gli
alunni, per gli scolari, per i penitenti, dimostran-
do loro l'importanza di ottenere da DiQ gli aiuti
necessari alla buona riuscita·della loro missione: e,
se accadevano disordini in qualche collegio Q in
qualche scuola, se certi giovani riottosi non si
acconciavano alla disciplina, soleva domandare a
chi se ne lamentava: « Preghi tu per i tuoi giova-
ni? » (295).
~ Un Superiore - diceva - prima di delibera-
re, si metta alla presenza di Dio, esamini la sua co-
scienza, preghi perchè il Signore voglia illuminar-
lo e fargli vedere se quella disposizione che in-
266

30 Pages 291-300

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30.1 Page 291

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tende dare è per il bene dei suor soggetti, esa-
mini ponderatamente la cosa e poi parli secondo-
chè il Signor.e gli ispira» (296).
5) Operare con costan.~a
e con rettitudine d'intenzione.
L'opera dell'educazione richiede molta costanza.
~ Non istanchiamoci mai di fare del bene, e Dio
sarà con noi » (29?). « Ciò che si può fare oggi:
non rimandarlo a domani » (298). 4: Bisogna ope-
rare come se non si dovesse morire mai e vivere
come se si dovesse morire ogni giorno >{ (299).
Ma Don Bosco voleva che si lavorasse col pre-
ciso scopo di salvare le anime. « Salve, salvando,
sàlvati » (300): era il saluto che più spesso ri-
-volgeva ai suoi figli. Ed egli sembrava che non pen-
sasse ad altJro.
Quando scendeva in cortile il buon Padre to-
sto era circondato dagli alunni più anziani. I
nuovi si accalcavano dietro a costoro, perchè non
osavano avvicinarsi, a Don Bosco e farsi strada per
essere più vicini a lui. Egli allora li chiamava a sè,
e sotto voce, in santa confidenza, diceva ora all'uno
ora all'altro di essi: « Se ti farai buono, saremo
amici. - Don Bosco ti vuole bene er vuole aiutarti
a salvare l'anima tua. - Il Signore ti ha qui man-
dato perchè tu fossi sempre più buono e più virtuo-
267

30.2 Page 292

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so. - La _Madonna aspetta che le regali il cuore. -
Il Signore vuol fare di te un San Luigi! » (301).
Don Bosco assicurava che i giovani presi così,
sono contenti, aprono il loro cuore, incominciano
a far bene, diventano amici col Superiore e sono
guadagnati, perchè ripongono in lui piena confi-
denza. Il dire loro subito e chiaro senza ambagi
ciò che si vuole da loro per il bene dell'anima, dà
la vittoria sui cuori. Don Bosco nè trovò ben po-
..chi che resistessero a queste manier~. Egli ·asseriva
- che, all'entrata di: un giovane, se il Superiore non
dimostra amore per la sua eterna salute, se teme
di entrare a parlar prudentemente di cose spiri-
tuali, . se parlando dell'anima usa mezzi termini,
oppure parla in modo vago, ambiguo, di fa:rsi
onore, ubbidire, studiare, lavorare, non produce
alcun effetlto giovevole, lascia le cose come sono,
non si guadagna l'affezione; e, sbagliato quel pri-
mo passo, non è· tanto facile correggerlo. Questo
ammonimento era frutto di lunghissima esperien-
za. « Il giovane - insisteva - ama, più che altri
non creda, che si entri a parlargli dei suoi in-
teressi eterni, e capisce da ciò chi gli vuole e chi
non gli vuole veramente bene. Fatevi adunque ve-
dere interessati per la sua eterna salute » (302).
« Zelo per la religione e per il buon costume;
sacrificio, carità, dolcezza: ecco le virtù caratfte-
ristiche di cui d cv Lno r ~splendere i Salesian: » (303).
268

30.3 Page 293

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Ma la cosa più importante di tutte è la s·antità: ,
« O saleeiani santi, o non salesiani » (304). Ciò
equivaleva a dire: o santi educatori o non educa-
tori.
e) LA RICOMPENSA DELL'EDUCATORE.
Don Bosco vuole che i suoi educatori abbiano
sempre lo sguardo fisso alla ricompensa che il
Signore tiene loro preparata: « Oh sì! lavoriamo,
chè consolantissima ci arride la speranza del pre-
mio. Abbiamo la fortuna! di dover fare con un buon
Padrone! Notate come sono consolanti queste pa-
role: Quia super pàuca fuisti fidelis~ super multa ·
te constituam (poichè sei stato fedele nel poco, ti
darò autorità sul molto) (305). Noi meschini sap-
piamo far poco, .abbiamo poche forze, poca abi-
lità; non importa: in quel poco che possiamo,
siamo fedeli, e il Signore il premio cè lo darà
grande. Quando tu, o maestro, sei stanco, e vorresti
lasciare le tue occupazioni, attento! bada ad es-
sere fedele nel poco, se vuoi che il Signore ti co-
stituisca nel molto. Oh! un Direttore ha già avvi-
sato, detto, raccomandato, sarebbe lì lì pe;r lasciare
anche la pazienza, o piantar tutto che vada come
vuole, o fare qual~he sfuriat1a: attento a star fe-
dele nel poco, s vuol essere costituito nel mol-
to! » (306).
269

30.4 Page 294

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Scriveva al chierico Cartier il 1 novembre 1878:
<~Ritieni che in terra lavoriamo per il cielo. Là
saranno ricompensate degnamente le nostre fa-
tiche: al cielo, al cielo! » (307).
A chi entrava in Congregazione, massime se·
adulto, prometteva « pane, lavoro, paradiso» (308).
Nel 1869 durante gli Esercizi a Trofarello:
« Lavorate con fede, peranza e carità. Lavorate
con fede, aspirando al premio che ci aspetta in
cielo. Non fate le cose perchè il Superiore vi dica
un bravo! bene! Lavorate con speranza: quando
siamo stanchi, quando abbiamo delle tribolazioni,
alziamo gli occhi al cielo; gran mercede ci atten-
de in vita, in morte, nell'eternità; là il prell).io ci
aspetta. Lavorate con carità verso Dio. ·Egli solo
è degno di essere amato e servito, vero rimune-
ratore di ogni più piccola cosa che facciamo per
Lui> (309).
L"educatore dovrebbe consolarsi al pensiero
che, se Dio no~ lascia senza ricompensa un bic-
chier d-'acqua dafo in suo nome, certamente ri-
serba un premio incommensurabile a chi spende
tutta la sua vita a vantaggio dei piccoli nei
quali ama nascondersi: Tutte le volte che avete .
fatto qualche cosa a uno di questi minimi fra
i miei fratelli, l'avete fatto a me (310).
270

30.5 Page 295

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CAPITOLO III.
GLI EDUCANDI
1. Importanza della conoscenza dei giovani.
Don Bosco, appunto perchè mette come base
ed essenza del suo sistema educativo la carità
in tutte le sue più soavi manifestazioni, insiste
perchè i Salesiani educatori si facciano un dovere
di conoscere bene i giovani loro affidati.
Conscio della fondamentale importanza di que-
sto dovere, egli studiava assiduamente il carat-
tere, o, se meglio piace, la psicologia dei suoi ra-
gazzi, agevolato in questo da un naturale intuito,
da una disposizione innata a conoscére il cuore
e l'indole giovanile.
Ancor piccolino, quasi senza avvedersene, a-
veva preso a scrutare il carattere dei singoli suoi
compagni, e, fissando taluno in faccia, di leggieri
ne scorgeva i progetti del cuore. Fatto più gran-
dicello, la riflessione e i confronti lo resero sem-
pre più perspicace (311). Divenuto sacerdote e
271
'
.,

30.6 Page 296

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capo di una schiera di birichini, per poter co-
noscere maggiormente la loro indole, approfittava
di ogni occasione, e permetteva _loro di stlargli
continuamente ai fianchi (312).
Egli aveva la singolare virtù di cogliere a
prima vista il carattère di chiunque l'avvicinasse,
e, a volte, sotto un'apparenza di idiozia, scorgeva
un lampo d'ingegno. Del seguente fatto fu testi-
monio il Conte Balbo in casa propria. Uh giorno
accompagnano presso il Santo, nella speranza di
affidarglielo, un ragazzo quasi istupidito dall'e-
strema miseria. Don Bosco amorevolmente gli do-·
manda che ,cosa sa. Il ragazzo con risposte scon-
clusionate fa capire che non sa niente di nessu-
na cosa. Don Bosco replica: - . Sai almeno, gio-
care alla barra? - Gli occhi dell'infelice hanno
un baleno di compiacenza. Allora il sacerdote, con
l'aria di chi ha fatto un àcquisto prezioso, si
vo]ge agli astanti e dice seriamente: - Costui
fa per me. - E lo accetta. Passano p-arecchi an-
ni, quando al Conte Cesare Balbo viene annun-
ziata la visita di un Salesiano. Lo riceve e si
vede davanti un prete sconosciuto ma di nella
presenza, di conversazione vivace, pieno d'inge-
g·no. Questi dice: - Lei non mi conosce; io sono
quel ragazzo che, nelle tali e tali circostanze, fu
accettato da Don Bosco nella di Lei casa a Niz..
za (313).
272

30.7 Page 297

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/
Qui ci soyviene che il grande Pontefice Pio XI,
in una paterna conve~sazi0:ne, ci diceva che, gio-
vane prete, aveva raccomandato a Don Bosco
un povero giovanetto, il quale fu senz'altro ac.-
colto molto volentieri dal Santo. Però, dopo qual-
-che tempo, colto da forte nostalgia per la fami-
glia, il ragazzo fuggì dall'Oratorio. L'allora Don
Achille Ratti ne provò sommo dispiacere e si cre-
d.ette in dovere di chieder scusa a Don Bosco,
aggiungendo che quel giovane doveva essere zo-
tico e di poco. buon conto e che, per questo ap-
punto, rincr~sceva a lui maggiormente di averlo
raccomandato. Il Santo invece, con cordiale sor-
riso di grande bontà, gli rispose: « No, quel -gio-
vanetto ha dimostrato di non esser~ uno zotico,
perchè ha saputo trovare il modo di fuggire sen-
za che nessuno lo sorprendesse. Escludo poi che
sia un poco .di buono, perchè fuggì per un sen-
timento di amore verso la famiglia. Lo segua,
quel ragazzo; e vedrà che farà buona riuscita ».
E Pio XI concludeva: « Effettivamente quel gio-
vanetto fece ottima riuscita ».
Parimenti Don Bosco conobbe la buona in-
dole di Besucco Francesco al primo incontro. Il
piccolo, ricordando i benefizi del Prevosto dell'Ar-
gentera, suo padrino, piangeva di riconoscenza
verso il grande benefattore. E Don Bosco, al ve-
dere quel pianto, pronosticò: « Questo giovanetto,
273

30.8 Page 298

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mediante coltura, farà eccellente riuscita nella sua
morale educazione. È provato dalla esperienza
che la gratitudine nei fanciulli è per lo più pre-
sagio di un felice avvenire; al contrario coloro che
dimenticano con facilità i favori ricevuti e le sol-
lecitudini a loro vantaggio prodigate, rimangono
insensibili agli avvisi, ai consigli, alla religione,
e sono di educazione difficile, di riuscita incer-
ta » (314).
Di conseguenza il contegno e le parole di
Don Bosco si adattavano mirabilmente al carat-
tere dei singoli, che egli aveva cura di non vio-
lentare, ma di ri'spettare, pur cercando, secondo
i casi, di frenarli, di regolarli, e, insomma, di
svilupparli e migliorarli, procurando sempre di
ottenere ciò che era possibile, e non di più. Ecco,
ad esempio ciò che scriveva ad un alunno chie-
rico: « Avrei bisogno di farti cacciatore di anime.
Ma pel timore che rimanga da altri cacciato, ti
propongo soltanto di farti modello ai tuoi com-
pagni nel bene operare. Per altro sarà sempre
per te una fortuna grande quando potrai pro-
muovere qualche bene o impedire qualche male
fra i tuoi compagni» (315f.
Prova del come Don Bosco conosceva la psi-
cologia giovanile, sono varie descrizioni che egli
fece dello stato d'animo d'un giovane in disgra- ·
zia di Dio. Una volta, dando la buona notte ai
274

30.9 Page 299

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giovani dell'Oratorio, descrisse minutamente una
tempesta di mare da lui vista sulle coste della
Liguria. Prese quindi a fare un paragone ·tra l'a-
gitazione del mare in burrasca e l'agitazione della
coscienza del giovane in peccato, con tanta ric-
chezza di particolari, con sì fine penetrazione di
sentimento e con tanta vivacità e chiarezza, da
lasciare la persuasione che Don Bosco era un
grande conoscìtore degli uomini (oggi diremmo 1m
psicologo) oltrechè un grande educatore, e che,
nel campo educativo, dava la debita imporfanza
alla conoscenza dell'animo · degli alunni (,16).
D'altronde una delle basi del suo sistema edu-
cativo è appunto la ragione, la quale implica
la conoscenza e la comprensione del cuore, delle
esigenze e delle inelinazioni del giovane.
Per questo Don Bosco vivamente raccomanda-
va ai suoi collaboratori tale conoscenza, senza
la quale non è possibile suggerire ai giovani gli
opportuni rimedi per correggerli . e, tanto meno,
formarli. « Studiamo bene il loro carattere~ (31?)
diceva. « Il Superiore studi l'indole dei suoi sog-
getti, il loro carattere, le loro inclinazioni, le loro
abilità, i loro modi di pensare, per· sapete co-
mandare in maniera da rendere facile la ubbi-
dienza, ricordando che non sa comandare chi ·
non sa ubbidire» (318).
Da siffatta conoscenza degli alunni 'scaturi-
275

30.10 Page 300

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vano queste norme pratiche del nostro Padre:
< Con quelli che, permalosi, si offendono facil-
mente, siate ancor più benigni e pregate per essi.
Procurate in ogni modo di infondere loro il ri-
spetto verso i Superiori (319). No~ comandar
mai cose troppo difficili o ripugnanti. Quando,
per trarre qualcuno al bene, o guadagnar qualche
anima, servisse una immagine, un foglietto, un li-
bro, ecc., si doni volentieri~ (320).
2. Mezzi per conoscere i giovani.
Purtroppo non tutti gli educatori •si rendono
il dovuto conto ,della imprescindibile necessità
· della conoscenza dei giovani, e quindi non .sempre
adoperano i mezzi opportuni èhe a detta cono-
scenza conducono: tra i quali, certo, non deve
mancare, oggi specialmente, quello di valorizzare
i dati delle scienze anche psicologiche, con un
intelligente e ordinato studio de.Ila psicologia del
giovanetto.
Nel sistema di Don Bosco l'educatore ha molti
mezzi pratici per conoscere a fondo il suo alunno.
Dal fatto che tutti i Superiori, maestri, assistenti,
devono trovarsi possibilmente sempre coi giovani,
ne deriva come conseguenza una relativa facilità
di studiarne le tendenze, le passioni, i difetti. Ciò
praticherà il maestro nelle ore di scuola; ciò fa-
27.6

31 Pages 301-310

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31.1 Page 301

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ranno i diversi assistenti nelle ore di ricreazione
e di passeggio, durante le refezioni, nel teatrino,
nei passaggi da un luogo all'altro: insomma, do-
vunque si possa.
Vi sono poi le riunioni settimanali e mensili,
nelle quali i Superiori e gli assistenti, fatta ec-
cezione dei confessori, riferiscono circa i voti di
condotta meritata dagli alunni nei singoli posti,
dandone al tempo stesso le motivazioni. Da que-
ste notizie e da eventuali possibili discussioni
per chiarire meglio le cose, la conoscenza dei
singoli alunni diviene per tutti sempre più fon-
data e sicura, chiara ed esauriente. Sarebbe de-
plorevole che un educatore volesse dar subito ·un
giudizio ed enunciarlo come definitivo, solo per
aver dato un'occhiata a un alunno, per averlo
colto in flagrante per qualche mancanza, o per
averlo trattato poco e fugacemente: ciò porta in
pratica solo conseguenze penose, perchè chi è
corrivo a formulare giudizi, si espone al pericolo
di errare, e quindi di nuocere alla giustizia e
alla buona fama dell'alunno.
È vero che, per una conoscenza perfetta, sa-
rebbe necessaria una vera penetrazione nel cuore
dei _giovani, perchè troppe volte le apparenze in-
gannano, e sappiamo quanto sia difficile trovare
la via per entrare nell'intimo di un'anima. Ecco
perchè D~n Bosco nel suo sistema educativo vuole
277

31.2 Page 302

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un contatto quasi continuo con gli alunni, allo
scopo di studiarne, - attraverso le parole, i gesti,
gli scatti, e in particolare ponderando le diverse
mancanze, - ciò che dell'interno può apparire
al di fuori.
L'educatore per vocazione non può e non deve
dimenticare mai la necessità di questo contatto:
il quale contribuirà ad orien~are sempre meglio
ogni suo pensiero, ogni sua parola, ogni sua azio-
ne, e a sviluppare que1lo spirito di osservazione
per cui, seguendo i giovani dovunque essi siano,
si tien conto di qualunque cosa essi dicano o
facciano.
La _missione dell'educatore è tanto alta da esi-
gere che egli viva del continuo per gli altri e con
l'animo proteso verso i giovani: il che importa
pure un vigilare continuamente sopra se stesso,
intento a ripensare alle osservazioni fatte, ·a con-
frontarle, ad approfondirle, onde render sempre
più perfetta la conoscenza che egli ha dell'edu-
cando.
Ma, per arrivare a tanto, è necessario averne
fatta l'abitudine, la quale si acquista facendo de-
gli educandi la nostra preoccupazione continua,
un nostro libro vivente. Ed era appunto questa, co-
me abbiamo visto, la costante raccomandazione
di Don Bosco.
. Egli stesso poi asseriva che vi sono dei mo-
278

31.3 Page 303

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menti in cui la indole del giovanetto si manife-
sta più chiaramente, spontaneamente e quasi sen-
za ritegno: .come nella foga della ricreazione, nel
prendere cibo, durante le rappresentazioni tea-
trali, e quando uno crede di poter agire senza
essere osservato. Anche per questo motivo Don
Bosco dava tanto impulso al gioco, raccoman-
dando ai Superiori di prendervi parte. Durante
le ricreazioni il giovane è maggiormente espan-
sivo ed aperto, favorendo cosi dati più siçuri cir-
ca le sue energie fisiche e il suo carattere. Un gior-
no il Chierico Luigi Lasagna, già professore, gio-
cava coi suoi scolari alla « palla a pugno» (o
«pallone », come allora si diceva), in cui era va-
lentissimo. Don Bosco in quél mentre entrava in
cortile, e, dopo averlo qualche tempo osservato,
diss~ a Don ·Garino che gli era al fianco: « Vedi
Lasagna? Che buona stoffa per farne un Missi9-
nario! ». E diventò missionario e vescovo (321).
Notiamo in fine questa riflessione di Don Bo-
sco a Don Barberis: « Quando un giovanetto do-
manda sempre questo o quello, per istruirsi, a
chi lo può s~pere, costui fa bene. Invece ve ne
ha di quelli che stanno seinpre come tanti fàr-
fu (balordi); non domandano mai nulla. Per co-
storo questo non è buon segno » (322).
279

31.4 Page 304

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3. L'indole dei giovani.
Certi pedagogisti rendono talvolta essi stessi
più difficile il loro già arduo compito di studiosi
e di insegnanti, moltiplicando, sotto diversi punti
di vista, classifiche e sottoclassifiche dei caratteri
dei giovani. Basta leggere qualche testo· di tipo-
logia per persuadersene. Le intenzioni sono cer-
tamente buone; ma in tutte, le cose non bisogna
oltrepassare i limiti. Don Bosco, nel capitolo quin-
to dell'opuscolo sul sistema preventivo, dice, con
grande semplicità, che « i giovanetti sogliono ma-
nifestare uno di questi caratteri dive,rsi: indole
buona, ordinaria, difficile, cattiva ». Per parte
nostra, pur ammirando il non facile lavoro di
quanti si dedicano allo studio della caratterologia.,
pensiamo, che, per La maggior parte dei casi, ci
si possa limitare alle quattro categorie indicate
da Don Bosco, e alle norme pratiche da lui da-
teci in proposito.
Il Santo suggerisce che, quando noi ci trpviamo
dinanzi ~ giovani che hanno sortito da ~atura
un carattere ed un'indole buona, ci limitiamo
con essi a servirci della sorveglianza ordinaria e
generale, spiegando loro le regole e raccoman-
done l'osservanza.
La grande categoria, secondo Don Bosco, è
costituita da coloro che hanno carattere e' indole .
280

31.5 Page 305

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ordinaria, alquanto. volubile e proclive all'indiffe-
renza. Il nostro Padre dice che costoro hanno biso-
gno di brevi, ma frequenti raccomandazioni, àvvisi
e consigli. Bisogna incoraggiarli al lavoro, anche
cpn piccoli premi, e dimostrare di aver grande fi-
ducia in loro senza trascurarne la sorveglianza.
Don Bosco mette poi insieme la terza e quart-a
categoria, vale a dire, quella dei caratteri diffi-
cili e cattivi. A costoro vuoie che siano in modo
speciale rivolti gli sforzi e le sollecitudini. Egli
calcol~ il loro numero, uno su quindici. E vuole
che ogni superiore si adoperi per conoscerli, è a
tal fine s'informi della loro passata maniera di
vivere, si mostri loro amico, li lasci parlare mol-
to; ma egli parli poco ed i suoi discorsi siano
brevi esempi, massime, episodi e simili. Insiste
poi perchè non si perdano mai di vista, dando
tuttavia a divedere che non si ha diffidenza di
loro. Sopra di costoro i maestri e gli assistenti
devono sempre tenere lo sguardo, e, se si accor-
gono che taluno sia assente, lo devono tosto far
ricercar.e sotto apparenza di aver qualche cosa da
dirgli o manifestargli. Avverte poi che, se · a
costoro si dovesse fare un biasimo, uri avviso o
correzione, non si faccia mai in presenza dei com-
pagni. Si può, tuttavia approfittare di fatti, di
episodi avvenuti ad altri per tirarne lode o biasi-
mo sopra coloro di.cui si parla (Regolam., 105-110).
281

31.6 Page 306

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4. I giovani pericolosi.
Dopo aver considerato i vari caratteri in se
stessi, vediamoli ora alla luce dell'influsso che essi
possono esercitare sopra dei compagni. Don Bosco
in questo caso ci mette particolarmente in guar-
dia circa quei _giovani che egli chiama « peri-
colosi ».
« Per conoscere i giovani moralmente perico-
losi, - afferma il nostro Padre, - fin dal princi-
pio dell'anno io li distinguo in due classi; i cat-
tivi, cOTrotti di costumi, e quelli che abitualmente
si sottraggono all'osservanza della regole. E pri-
mieramente in quanto ai cattivi, dirò una cosa
che sembra impossibile, ma pure è così come io
afferm'o. Fra cinquecento alunni in un collegio
supponiamo ve ne sia uno solo guasto di costumi.
Ecco entrare un nuovo accettato, egli pure infetto
dal vizio. Questi due sono di paesi, di province,
anzi di stati dive;si; di classe, di camerata di-
stinte; non si sono mai conosciuti, mai visti; ep-
pure al secondo giorno di collegio, e talvolta an-
che dopo poche ore, voi li sc_orgete insieme nel
tempo della ricreazione. Sembra che un male-
fico istinto li spinga ad indovinare chi è tinto dalla
stessa loro pece, e che una calamita del demonio
li attiri a stringere amicizia. Il < dimmi con chi
vai e ti dirò chi sei», è un mezzo facilissimo per
282

31.7 Page 307

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scoprire le pecore rognose prima ancora che di-
venti-no lupi.
« Un'altra classe di allievi non si deve tenere
in casa. Quando a'vtete qualche giovanetto che pare
buono, ma è spensierato, si/ assenta facilmente dai
luoghi ove lo vuole la regola, lo tro:vate spesse vol:.:.
te solo negli angoli del cortile, su per le scale,
sui balconi, nei ripostigli, insomma nei luoghi
nascosti all'occhio del Superiore, temete sempre.
Non lasciatevi illudere da apparenza di timidezza,
di naturale solitario, di leggerezza o di ingenuità.
Costui o sa fingere bene o incontrerà imman-
cabilmente· chi lo guasterà. Ritenete che questi
individui sono pericolosissimi » (323).
Da tutto quanto disse e fece Don Bosco, balza
'sempre più evidente- questa conclusione: che non
è possibile nessun lavoro educativo senza uno
studio serio degli educandi; ·anzi, poichè l'educa-
tore, secondo il sistema preventivo, ha il dovere
di amare i giovani, e amarli a tal punto che essi
giungano a persuadersi di1 essere amati, per questo,
più che in ogni altro sistema, è -necessario. ed in-
sostituibile lo studio dell'alunno. Solo quando di
lui si conoscano le tendenze, le passioni, le incli-
na~ioni, i difetti, sarà possibile man mano correg-
gerlo, e così far toccare con mano all'educando
che si vU:ole solo e sempre il suo vero e massimo
bene.
283

31.8 Page 308

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Don Bosco insiste inoltre perchè, al disopra
della conoscenza di cui abbiamo parlato, l'edu-
catore possegga una conoscenza d'indole ancor
più alta e nobile, e cioè la conoscenzq sopranna-
turale dei giovani, che si devono considerare
~ delizie di Dio» e trattare « come si tratterebbé
Gesù st~sso ». Alla luce di questi princìpi, egli ve-
deva in ogni giovqne un'anima da salvare, e non
trascurava ogni più ardua fatica per salvar-
la (324). Riguardava tutti i giovani come un pre-·
zioso deposito confidatogli da Dio stesso, e, par-
lando di loro, soleva dire con santa allegrezza:
< Dio ci ha mandato, Dio ci manda, Dio ci man-
derà molti giovani. Teniamone conto. Oh! quanti
altri giovani ci manderà in avvenire il Signore,
se sapre~o corrispondere con sollecitudine alle sue
grazie! Mettiamoci davvero con ardore e sacri-
ficio per educarli e salvarli ». (325) . .
Solamente così l'educatore avrà per l'alunno il
rispetto dovutogli, ed il coraggio e -la forza per
superare tutte ,le difficoltà che porta con sè il
lavoro educativo. tra la gioventù.
284

31.9 Page 309

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SEZIONE IL
IL METODO
CAPITOLO IV.
LA DISCIPLINA
COME MEZZO GENERALE
DELL'EDUCAZIONE
Esaminando i principali elementi del sistema
preventivo di Don Bosco, abbiamo già avuto oc- ·
casione di dichiarare che non sono creazioni o
invenzioni sue, poichè di essi si servirono già altri
educatori, e in tutti i .tempi, ma che Don Bosco
seppe dar loro una forma, una tonalità, un'anima
tutta sua propria. Data appunto la marcata ap-
plicazione personale fattane dal_ santo Fonda-
tore e dai suoi, essi vengono a costituire in certo
modo le basi della metodologia educativa sale-
siana.
Non basta però avere buoni princìpi, id.ee chia-
re, concetti ben elaborati dell~ cose da farsi: ol-
285

31.10 Page 310

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tre alla possibilità di tradurre tutto c10 m pra-
tica, ci vuole quella tecnica, o meglio quella tatti-
ca speciale, e quello spirito che dànno vita e va-
lore al cosiddetto metodo. A volte ottimi principi
furono compromessi, e mezzi di non d,ubbia ef-
ficacia frustrati, perchè non si seppe applicarli o
non si indovinò il modo giusto di attuarli prati-
camente.
Ora se ciò avviene per tutte le operazioni
umane, nelle imprese dell'industria e dell'arte,
tanto più si avvera in questa eccelsa missione
dell'educatore, in quest'arte .delle arti, da cui di-
pende, non già un interesse materiale o artistico,
sia pur ,rilevante, ma il perfezi~namento della stes-
sa persona umana. L'educatore non lavora il legno,
il marmo, il ferro, ma bensì le menti e i cuori, la
volontà e l'animo dei suoi educandi: e per un'im-
presa sì alta e delicata occorre ricoprirsi le mani
di velluto.
·
Siccome l'educazione è l'arte più aderente alla
persona umana, e diretta specialmente all'intel-
ligenza e alla volontà, la sua metodologia deve
improntarsi e ispirarsi alle esigenze stesse di que-
ste menti e di queste volontà. In una parola i
mezzi dell'educazione devono essere sempre ca-
piti e accettati dagli educandi stessi.
Proprio in questa luce è bene vedere ed esa-
minare la metodologia educativa salesiana, co-
286

32 Pages 311-320

▲back to top

32.1 Page 311

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gliendone per dir così tutta l'anima: e proprio
in questa luce, secondo il pensiero e la pratica
di Don Bosco, bisogna interpretare anzitutto il
principio di autorità, che nell'ambiente educativo
mantiene in fiore la disciplina.
L'autorità educatrice, mentre fa sì che l'edu-
catore si rivesta di quella superiorità che è in-
dispensabile per l'esercizio della sua missione,
vuole inoltre che tale superiorità sia tutta e solo
in funzione del bene dell'educando. Si tratta infatti
di giungere a illuminare delle intelligenze, e s~
prattutto a muovere delle volontà: e un'autorità
che sia tutta esteriore e quasi meccanica non tro-
verà mai la chiave per aprire le porte dei cuori,
le quali sono spalancate.soltanto all'amore.
1. Amorevolezza e disciplina.
a) AUTORITÀ EDUCATRICE E PERCIÒ AMOREVOLE.
Veniamo ora al momento, che vorremmo dire
solenne e cruciale, in cui l'educatore salesiano,
imbevuto dei princìpi di Don Bosco e cosciente
apprezzatore dei mezzi educativi a sua disposizio-
ne, si accinge a metterli in pratica tra i giovani
affidati alle sue cure. Egli si trova preoccupato
nei riguardi della propria autorità; e forse è ten-
tato di farla valere e di difenderla con qualunque
287

32.2 Page 312

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mezzo anche violento. Ebbene, égli, alla s_cuola· e
sulle orme di Don Bosco, deve sap,er rivestirsi
di un'autorità amorevole, fino a lasciarsi compe"'
netrare e dominare interamente da essa. Solo
così egli mostrerà di possedere una vera e com-
pleta formazione salesiana: e, soprattutto, solo co-
sì egli potrà sperare, anzi assicurarsi, il risultato
positivo della sua azione educativa.
Infatti, ed è bene ripeterlo spesso, l'amorevolez-
za salesiana - legittima e purissima figlia della
carità cristiana - è quella virtù, quell'abito di
parlare, di sentire, di agire, più conforme alla
mentalità, alla sensibilità stessa deH'educando.
I moderni pedagog·isti affermano che nessuna
còndizione autorevole, nessuna manifestazione psi-
chica e morale della perso~a dell'educatore, meglio
1
si addice, più si conviene e. più fa presa sull'animo
giovanile degli educandi, che il modo di parlare,
il modo di sentir-e, il modo di fare, amorevoli. E
con questo riconoscimento dànno ragione a Don
Bosco, che volle a~segnare e stabilire come fon-
damento del suo sistema educativo, insieme alla
ragione e alla Religione, l'amo:revole~za.
Il nostro Padre Don Bosco, spaziando col suo
sguardo sopra tutta la storia dell'educazione, indi-
viduò qua~i intuitivamente questo fondamentQ,
e perciò, senza tante elucubrazioni e pretese scien-
tifiche, ha iniziato la spiegazione del suo pensiero
288

32.3 Page 313

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pedagogico con queste parole: « Due sono i siste-,
mi in ogni tempo usati nell'educazione della gio-
ventù: preventivo e repressivo». Ed egli si schie-
ra senz'altro decisamente dalla parte del sistema
preventivo, asserendo che quello repressivo potrà
forse essere utile per altri scopi, ma non per edu-
care i giovani. E non poteva essere diversamente.
Il Santo, ispirato sempre alla carità più perfetta
e sentita, non poteva non assegnare, come punfo
di raccordo tra l'azione dell'educatore .e la reazione
dell'educando, ossia come modo di fare e di agire
·
del primo sul secondo, se non questa stessa ca-
rità fatta amorevokzza.
'
·
E qui ci si consenta di indugiarci ancora un po-
co su questa, che è l'anima e il principio domi-
natore immediato del lavoro pedagogico salesiano.
È certo che l'amore, mentre è il più forte sen-
timento che domina il cuore umano, è anche per
l'uomo stesso cagione o della sua maggior gran-
dezza o della sua più degradante ahie-zi.one. È
assolutamente indispensabile saperlo santamente
intendere questo amore, rettamente indirizzare,
fortemente dominare. L'amore educativo è uno
dei sentimenti più delicati e più difficili, che non
tutti sanno apprezzare, dosare; orientare. Educati
alla scuola di Don Bosco, noi preferiamo chiamare
,subito questo amore col nome di carità. La parola
amore, troppe volte abusata e profanata, potrebbe
10 (I)
"
· 289

32.4 Page 314

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forse portare alla memoria ricordi che fanno arros-
sire l'uomo. La carità invece, sempre irradiata dalla
luce della Fede, non possiamo considerarla se
non redimita con l'aureola della dedizione e del
sacrificio. Appunto perchè Iddio ha voluto chia-
marsi carità, noi Lo andiamo a cercare ai piedi
della Croce, dove il Signore ha dato agli uomini
la più eccelsa prova del suo amore nel più grande
dei sacrifici. Gesù Cristo stesso dice che solo chi
dà la vita per colui che ama, dà la massima prova
dell'amore. L'educatore pertanto, appunto perchè
deve essere l'uomo del sacrificio, dovrà essere al
tempo stesso l'uomo della carità. « L'educatore,
- ha detto Don Bosc.o, - è un individuo consa-
crato al bene dei suoi allievi » (Regolam., 99). In
questo clima o meglio in quest'ambiente sopran-
naturale di Fede, di Carità, di Sacrificio, Don Bo-
sco forgiò l'amorevolezza salesiana.
Quest'ultima considerazione ci fa capire quale
sia il' suo carattere, la sua misura, il suo soggetto.
Il suò carattere o la sua nota costitutiva e for-
male è tutta basata sull'amore di Dio e del
prossimo. In forza di questo -principio, l'educatore,
nello svolgere l'opera sua, amerà i giovani pensan-
do di prestare ossequio e serv~zio a Dio. Amerà i
suoi giovani, perchè sono creature e immagini di
Dio· e, in essi, amerà i loro più grandi interessi,
che sono gl'interessi stessi di Dio, vale a dire,
290

32.5 Page 315

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l'anima, la perfezione cristiana, la salvezza eterna.
La misura, l'estensione, la profondità dell'a-
more educativo sarà dato dall'amore di Dio verso
l'uomo, che è senza misura. Solo così l'amore edu-
cativo ha saputo e saprà spingere l'educatore ai
più grandi sacrifici, rendendoglieli cari, facili, e
desiderati appunto perchè servono a meglio com-
piere la sua missione educatrice.
Ne deriva infine che anche l'oggetto di questo
amore non sarà ristretto e meschino, - come se si
trattasse di cose e d'interessi materiali o terreni, -
ma sarà sempre un oggetto di ordine spirituale,
soprannaturale, divino.
Tale è l'amorevolezza salesiana e la carità edu-
cativa di Don Bosco. Essa pervade così tutte le
manifestazioni, tutto il modo di pensare, cÌi sentire,
di fare dell'educatore salesiano nell'opera sua
verso i giovani.
b) LA MANCANZA DI AMOREVOLEZZA.
Due grandi pericoli minacciano purtroppo la
rettitudine, l'elevatezza, l'eccelsa purezza della ca-
rità. Sono due funeste ed opposte infiltrazioni
che, insinuandosi man mano nell'animo dell'edu-
catore, possono riuscire a incrinare e falsare il sen-
timento purissimo dell~amore educativo.
Una è l'infiltrazione di un sentimento che non
291

32.6 Page 316

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si sa bene se sia manifestazione di egoismo e di
superbia, oppure la triste risonanza al di fuori di
· un tempéramento e carattere eccessivamente forte,
violento, impetuoso, che dissecca le sorgenti stesse
dell'affetto e della arporevolezza. È il carattere
dell'educatore apatico, freddo, severo, portato quasi
in modo irresistibile alla violenza nel trattare i
·giovani. Freddezza e àpatia però che si manife-
stano con l'ambizione del dominio, con la preten-
sione dell'esagerata disciplina, con l'eccessiva 5e-
verità e con quegli scatti violenti, che purtroppo
non vanno spesse volte disgiunti da opposte passio-
ni. pure violente, che possono degenerare in tristi
conseguenze.
L'altra è la malsana infiltrazione della sen-
sualità, che emerge dai bassifondi ·della guasta na-
tura, cioè da quel fango di cui l'uomo è impastato,
e che, al dire dell'Apostolo, vorrebbe avere il so-
pravvento sullo spirito. È una funesta e alle volte
violenta simpatia, la quale, se non è prontamente
combattuta ed energicamente repressa, facilmente
trascina a ignobili cadute e a deplorevoli preva-
ricazioni.
Ambedue queste infiltrazioni guastano in un mo-
do o in un altro la delicatezza e la purezza della
·carità educativa, - e, in genere, quel santo ·equili-
brio che non deve andare mai disgiunto dalla ben
intesa amorevolezza. Si direbbe che l'educatore
292

32.7 Page 317

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è come colui che cammina sul crinale di una mon-'
tagna ed ha continuamente ai fianchi e sotto i suoi
occhi ripidi pendìi, che minacciano l'incolumìtà
dei suoi passi. Guai se svia, se perde l'equilibrio,
se sbanda da una o dall'altra parte!
Rimandando a luogo più opportuno la consi.:.
deraziori.e del secondo di questi pericol_i, soffer-
miamoci per ora sul primo, che consiste nell'amare
troppo poco. In questo caso, poichè viene a man-
care all'educatore la forza che deriva dalla ca-
rità, egli si trova esposto a lasciarsi trascinare da
antipatie, da sospetti, da pessimismi, da poco in-
teresse per il bene dei giovani; facilmente pensa
male di essi, ne parla poco bene, non si interessa
di far conoscere sufficientemente la legge, non fa
la correzione o la fa in modo sconveniente; e in-
. fine si lascia trascinare ad infliggere con troppa
facilità castighi persino avvilenti, dominato co-
m'è dal vizio contrario alla carità, vale a dir~.
dall'ira, dall'amor proprio che lo abbassa a scatti
di rabbia, a percosse, insomma a una condotta af-
fatto indegna di un educatore cristiano.
Per questo, prima di passare a trattare del1a
disciplina, parleremo brevemente di un mezzo che
serve in modo mirabile a far evitare l'indicata
deviazione pedagogica: è il gran mezzo dell'alle-
grii;i.
293

32.8 Page 318

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e) SERVIRE IL SIGNORE IN LETIZIA,
Nelle brevi pagine che dedica .alla trattazioae
del sistema preventivo, Don .Bosco parla della
« ampia libertà di saltare, correre, schiamazzare
a piacimento » che l'educafore salesiano deve la-
sciare agli allievi (Regolam., 93). Queste parole
rivelano il pensiero di Don Bosco, il quale voleva
che le sue Case risuonassero della voce giuliva de-
gli alunni come espressione della gioia e allegria
che inondava i loro cuori. Si direbbe che, per Don
Bosco, l'allegria costituisca come una· delle basi
del suo sistema. Nel suo pensiero l'allegria dà
lena ai giovani nello studio e nel lavoro, rendendo
loro dolce la pratica dei doveri religiosi, e_pia-
cevole la vita nell'istituto.
e: Vivete pure nella massim,a allegria - ri-
peteva, - - fate chiasso, correte, saltate, purchè
non facciate peccati » (326). Anzitutto egli badava
alla fonte della vera letizia, cioè alla grazia di Dio
e conseguentemente alla frequenza dei Santi Sa-
cramenti della Confessiorue e della Comunione, i
quali ridonano serenità e pace alla coscienza, to-
gliendo la sorgente, principale del malumore, cioè
il péccato. « Coscienza .monda· e pura, - soleva
dire, - ecco la vera pace nel servire il Signo-
re! »(327).
Nemico della taciturnità e dei nascondigli,
294:

32.9 Page 319

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amava che i giovani nelle ricreazioni si esercitas-
sero specialmente nei movimenti del corpo e nella
musìca, prendendovi parte assai volentieri egli
stesso, anche pèr disingannare quelli che, per, un
malinteso spirito o per scrupolo, se ne astenevano.
E affermava: « Io desidero vedere i miei giovani
a correre, a saltare allegramente nella ricreazione,
perchè così sono sicuro del fatto mio » (328).
« Riguardo ai giuochi, ~ diceva altra volta, - è da
ritenere che il giovane deve . stare contento, e
perciò bisogna svagarlo con giuochi. A tale effetto
noi non si trascura nulla; anzitutto la musica, e
poi gli esercizi fisici. Quando il giovane è stanco
di giocare, finisce spesso con l'andarsene a pregare
in cappella, che trova sempre aperta » (329).
Delle passeggiate (330), del teatrino e delle ac-
cademie (331), delle feste (332) e in generale di
tutte quelle risorse educative che servono a svagare
la mente dei giovani e a riempir loro il cuore di
gioia, e in ispecie dell'accademia a onore del Di-
rettore, per il suo valore altamente educativo, (333)
e anche del carnevale (334), voleva che si servis-
sero gli educatori per accrescere nei cuori dei
giovani la letizia e l'allégria. All'Oratorio si sa
per esperienza che queste feste, anzichè dissipare i
giovani, conciliano anzi l'applicazione allo studio,
sia perchè i Superiori sanno a tempo e luogo
allentare e stringere il freno, sia perchè l'allegria,
295

32.10 Page 320

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così ben condita di pietà, è composta e serena-
trice (.335).
Nulla sfuggiva al fine .senso pedagogico di Don
Bosco per rendere lieta la sita dei suoi giovani.
Perciò stabiliva che il trattamento a tavola fosse
buono, e che il vitto, pur essendo adatto alla con-
dizione sociale degli alunni, fosse sano, ben confe-
zionato-, vario. Speciale doveva essere il tratta-
mento a mensa nelle solennità ·e ricorrenze par-
. ticolari (336).
Così il buon Padre di tutto si serviva per far
toccar con mano ai giovani che il servire il Si-
gnore può e deve andare bellamente unito con l'o-
nesta allegria (33?).
d) COSTANTE ALL:E;GRIA DEL p ADRE.
E di questa àllegria egli dava un continuo ed
.eroico esempio. Fin ·da f a1i.ciullo aveva intravista
l'importanza di questo fattore, e, sotto la spinta
· d'un prepotente bisogno di viverla e di comuni-
carla, se n'era fatto ben presto apostolo arp.ente.
Ai Becchi ·divertiva i coetanei, esercitandosi
nell'arte del canto e del saltimbanco. Ma poichè
il divertimento costituiva, per lui, solamente un
mezzo per fare del bene alle anime, sul più bel-
lo del gioco, invitava gli spettatori alla recita _del
santo Rosario o ad ascoltare una lezione di cate- ·
296
.'

33 Pages 321-330

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33.1 Page 321

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-,
.chismo · o la ripetizione della -predica del par-
roco.
Studente a Chieri, inéantava i ·condiscepoli con _
le sue facezie ed amene trovate, mostrando la sua
abilità nei giuochi di prestigio, senza per altro
perdere di vista il pensiero di Dio e l'invito alla
.'
frequenza dei SS. Sacramenti. Con la sua parola
s'impadroniva delle menti e dei cu~ri, traendoli do-
ve voleva (338). In breve tempo - giova ricordar-
lo - fra i condiscepoli, che spesso si recavano da
lu1 per il desiderio di farsi ripetere le lezioni di
scuola, di ricrearsi e di sentirlo parlare, fondò
la Società dell' allegri.a, nelle cui riunioni ciascuno
era obbligato a cercare quei libri~ introdurre quei
discorsi e tras}ulli che avessero potuto contribuire
a stare allegri, ed· era proibita ogni cosa che ca-
gionasse malinconia o fosse contro la legge di Dio.
Giovanni era alla loro testa, e di comune accordo
furono posti per base alla società' due articoli:
1) Ciascun membro della Società dell'Allegria de-
~ ve evitare ogni discorso, ogni azione che disdica .
ad un buon cristiano. 2) Esattezza nell'adempi-
mento dei doveri scolastici e· dei doveri religio-·
si (339).
1,,1 .
In seguito, la prima cosa che lo colpì entrando
nel Seminario, fu la meridiana del cortile, sovra
la quale stava scritto il verso: Af/lictis lentae,
cieleres g.a.udentibus horae (lente trascorrono le
297

33.2 Page 322

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_ore per chi è triste, fuggono invece per chi sta
in allegrezza). « Ecco, - disse all'amicò Garigliano,
- ecco il nostro programma: stiamo sempre alle-
gri e passerà presto il tempo » (340).
'Fedele al suo programm.a, era di una gaiezza
e di tale attràttiva nel raccontare storielle graziose
ai chterici, da ·non potersi immaginare. Per,ò d'in-
dole e di carattere serio qual era, anche nelle co-
se più ridicole, egli mai si vide ridere sganghe-
ratamente (341).
Divenuto Sacerdote, fra le massime che per
più di quarant'anni conservò nel Breviario, c'era
anche quèsta: Cognovi quod non esset melius nisi
laetari et f acere bene in vita sua (e riconobbi che
nòn c'è di meglio per l'uomo che gioire e far bene
nella sua vita) (342). Al Convitto Ecclesiastico,
nulla smise del suo fare allegro e gioviale, che
rendevalo principe in qualunque conversazione.
Però nei suoi scherzi e burle teneva sempre un
contegno calmo, sorridente, e composto, nè mai
dava in iscrosci di risa (343)."
Tale fu Don Bosco per tutta la sua vita, spar-
gendo intorno a sè gioia e ris_o, che ripetevano le
loro scaturigini nella santità della sua vita e nel
suo completo abbandono alla volontà di Dio. Così
nella povertà: quanto più era povero, tanto più
viva gli brillava in fronte una speciale allegrez-
za (344). E così ancora nelle malattie: durante
298

33.3 Page 323

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l'infermità del luglio 1862 appàriva talmente ar-
guto e spigliato, che bastava vedere lui in tale
stato conservare una faccia ognora ·allegra, per
sentirsi spinti ad abbracciare con pace i più gra-
vi pàtimenti (345). stato comprovato che, quan-
do era maggiore .la deficienza dei· mezzi o più
grandi le difficoltà e le tribolazioni, lo si scor-
geva più allegro del solito, tantochè nel vederlo
più frequente e spiritoso nel faceziare dicevano
i suoi figli: « Bisogna che Don Bo.sco siq.. ben nei
fastidi; giacchè si mostra così sorridente». In-
fatti esaminando le circostanze nelle quali si tro-
va" a allora, ed interrogandolo, venivano a sco-
prire i nuovi e gravi ostacoli che gli si paravano
davanti (346).
Il 15 agosto 1887 all'Oratorio si festeggiava
il compleanno di Don Bosco. Ma la giornata non
doveva passare s·enza una spina crudele. Una_
lettera gli comunicava una dolorosa decisione da
prendersi senza indugio. Don Bosco inviò Don
Cerruti a Roma per vedere se· era possibile siste-
mare le cose in modo diverso. Gli si disse che si
aspettava l'immediata esecuzione dell'ordine dato,
e così fu fatto. Noi potremmo forse :figurarci Don
Bosco afflitto da grave melanconia per un caso
tanto più doloroso quanto più inaspettato. Invece, _
uscendo di casa con il coadiutore Enria, questi,
al vederlo più giulivo del solito, disse con la con-
299

33.4 Page 324

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fidenza ispiratagli dalla grande bontà di lui: -
Oggi Don ~osco è più allegro del solito. - A.I
che il Santo rispose: - Eppure oggi ho ricevuto
il ·più forte dispiacere che abbia avuto in vita
mìa. - Dall'Alto gli ·veniva la calma serena che
non lo abbandonava mai in mezzo alle sue pene
fisiche e morali (347) ..
Nulla c'era in lui di austero.; il suo fare era
sempre disinvolto; anzi la sua amabilità gli gua-
dagnava i cuori, e il prestigio della sua santità
non cagionava diffidenze o ripugnanze nei mon-
dani. La sua conversazione poi era disinteressata.
Questo suo modo di fare gli apriva le porte di
tutte le case e lo rendeva accetto agli uomini di
princìpi anche diversi. Si può dire che Don Bo-
.!.sco fu una di quelle anime che dal Modello Di-
vino seppero trarre mirabile esempio della più
bella e serena vita umana. Il più bell'encomio
èhe di lui si possa.fare è il medesimo espresso sul
conto di S. Teresa dalla sorella di Francesco Bor-
gia: « Sia lodato Iddio che ci ha fatto conoscere
una santa, cui noi tutti possiamo imitare! Il te-
nore di sua vita non ha nulla di straordinario;
ella mangia, dorme e parla e ride come tutte le
altre senza affetrtazione e senza cerimonie, alla
buona; eppure ben si vede che ella è piena dello
spirito di Dio :P.
Anche durante le refezioni il . discorso di Don
300

33.5 Page 325

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Bosco era viYo; e interessava gli altri commen-
sali con la sua parola più di ogni altra faceta e
desiderata specialmente per i suoi racco~ti. So-:
brio e parco, era misuratissimo: non dissentiva
però dal porre in tavola -q_n gocciolo di quel vec-
- chio, quando c'era qualche invitato, per dimo-
strargli la soddisfazione di averlo commensa-
le (348).
e) SuA ALLEGRIA IN MEZZO Al GIOVANI.
Ma specialmente in mezzo ai giovani, ,la pre-
senza di Don Bosco, le sue parole, il suo sem-
biante, il suo inalterabile sorriso, erano un con-
tinuo riflesso, vorremmo dire, un vivente messag-
gio di quella gioia che fa nascere nel cuore il de-
siderio della bontà.
S'industriava anzitutto di · mettere in atto la
sua divisa: Servite Domino in laetitia. Timor di
Dio, lavoro e studio indefesso e, soprattutto co-
me èorona, la santa allegria: ecco la vita dell'Ora-
torio. E questo mirabile insieme rendeva il vivere
dei giovani in Valdocco, giocondo, entusiasta, e,
per la quasi totalità, ineffabilmente soave. Il cor-
tile, durante le ricreazioni, era battuto palmo a
palmo nelle corse sfrenate, e Don Bosco, che era
l'anima di quei divertimenti da lui voluti e pro-
mos~i. ne godeva co,n immenso piacere. I giova-:-
301

33.6 Page 326

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netti che sapevano come, tutte le volte che egli po-
teva, prendesse parte alle loro ricreazioni e con-
versazioni, tratto tratrto alzavano gli occhi alla
camera del buon Padre; e allorchè egli compariva
sul poggiolo, levavasi da ogni parte un grido di
contentezza. Buon numero di essi gli correva in-
contro ai piedi della scala per baciargli la
mano.
Pochi, noi crediamo, ci furono al mondo che
abbiano saputo attrarre talmente i fanciulli a sè,
e giovarsi di questa affezione pel loro bene. Don
Bosco in mezzo ai suoi figliuoli era . l'amabilità
stessa in persona. Mons. Cagliero, i chierici e gli
stessi giovani dicevano di lui: Apparuit benignitas
Salvato.ris nostri (Apparve la bontà del ' nostro
Salvatore) (349).
« Sta allegro » incominciava a dire Don Bosco
a qualcuno che gli si fosse presentato mesto e
fosco in viso. E queste due parole, pronunciate
da lui, producevano un magico effetto, dissipando
la tristezza, sicchè il giovane sentivasi pronto
e volenteroso al dovere (350).
Talora la mattina si vedeva passare nel corti-
le mentre i giovani facevano la colazione. Sorri-
dendo agli uni ed agli altri con motti amorevoli,
a un tratto simulava serietà e, diceva ad alcuno
che aveva_in mano la sua pagnotta: - Getta -via
quella pietra!. ~ E il giovane rispondeva adden-
302

33.7 Page 327

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tando là pagnotta e staccandone un bel boc-
cone (351).
A questa scuola ritrovò la serenità della vita
Michele Magone; si sviluppò, come. nel suo am-
biente naturale, la vocazione del Cagliero e di
tanti salesiani degli antichi tempi.
A questa scuola camminò rapidamente per la
via della perfezione l'angelico alunno, il Beato Do-
menico S~vio. La prima cosa infatti che Don Bosco
gli aveva suggerito per farsi santo, era stata quel-
la di stare allegro e di prendere parte alla ricrea-
zione coi compagni. E non andò a lungo, che,
profondamente compreso della efficacia dell'avver-
timent~ del Padre, divenne a sua volta apostolo
di allegria in mezzo ai condiscepoli. A Gavio Ca-
millo che l'aveva · interrogato sulla maniera ·di
farsi santo, rispondeva: « Sappi che noi qui fac-
ciamo consistere la santità nello stare molto al-
legri. Noi procureremo soltanto di evitar il pec-
cato, come un gran nemico che ci ruba la grazia
di Dio e la pace del cuore; procureremo di adem-
piere esattamente i nostri doveri, e frequentare
le cose di pietà. Comincia fin d'oggi a scriv~rti
per ricordo ; Servite Domino in laetitia: serviamo
il Signore in santa allegria (352).
Ecco qui il significato completo, che, per Don
Bosco, aveva la parola allegria. Nel suo pensiero
essa è uno strumento di santificazione: nel sen-
303

33.8 Page 328

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so che, accompagnando e . quasi ispirando l'esatto
adempimento dei propri doveri .e di tutte le azio- ·
. Ii.i della giornata, dà lena e coraggio per compiere,
momento per momento, con maggior facilità, pron-
tezza, fiducia e coraggio, la volontà di Dio: nel
che propriamente consiste la santità. Questa stes-
sa allegria Don Bosco insegnava alle Suore, de-
stinate esse pure alla educazione delle giovani.
Fin dagli inizi della loro fondazione diceva loro:
« Vi raccomando, santità, sanità, scienza e... al-
legria! » (353). E ne dava la ragione: « Il demonio
ha paura della gente allegra! » (354). Ed insegna-
va anche il modo di ridere: « Ridere e scherzare,
s~; ma con moderazione e senza .chiasso; (355).
Per conservare nell'Oratorio quest'atmosfera di
serenità che è la più bella espressione dello spi-
rito di famiglia e un bisogno prepotente del1'ani-.
mo giovanile, oltre ai mezzi sovraccennati, Don
Bosco ric~rreva a tutte le industrie per combat-
tere il vizio op.posto, la malinconia: causa, secon-
do lui, di tutti i mali, in special modo morali.
« Scrupoli e ·malinconia fuori di casa mia :i> ripe-
teva ·sovente con San Filippo Neri.
Egli soffriva assai nel vedere talvolta alcuni
dei nuovi venuti, stare solitari e coll'aspetto me-
lanconico: temeva per loro le insidie del nemico
dei bene. Allora li· chiamava a sè, rivolgeva loro
qtialche amorevole interrogazione, con particolare
· 304

33.9 Page 329

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,,
. interesse li presentava a qqalcuno dei migliori
allievi, facendogliene l'elogio e ·raccom~ndandogli
che trovasse il modo di ricreazione più gradito :
ai nuovi amici; e non si acquietava finchè non
· li aveva affezionati a sè, alla casa, avviati alle
loro occupazioni e principalmente alle pratiche
religiose (356).
Per lo stesso motivo diceva in una Buona Not-
te: « Quando qualche giovane viene di fuori ed
entra in questo collegio, ·al veder tanti giovani
resta sbalordito: l'allegria degli altri, gli aumenta
la malinconia di trovarsi solo, senza conoscere al-
cuno. Quando vi avviene di scorgere qualcuno
di questi tali, appressatevi a lui, usategli qual~
che cortesia, domandandogli di dove venga, che
scuola fa, se sa andare allo studio, al refettorio,
se conosce qualche giuoco. Basta talvolta uno di
questi amorevoli colloqui per infondere la gioia
nel nuovo venuto, farsene un amico, .e ·talvolta
fermarlo nel bel meglio che si studia di tornarse-
ne a casa » (35?).
Egli aveva anche un tratto squisito nel cercar
conforto agli afflitti per ~ma sventura in famiglia,
ai malaticci, agli accesi dall'ira per qualche liti-
gio, agli agitati da scrupoli, ,a coloro che volev&-
no andar via dall'Oratorio per dispiaceri che
dicevano sofferti, o per altro motivo. Appena erano
entrati nella stanza, egli cominciava a calmarli
305 ·

33.10 Page 330

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con un sorriso e dando loro uno di quegli sguardi
che andavano fino al cuore; poi con qualche le-
pidezza, che solamente lui sapeva dire in modo
appropriato, acquiétava in loro ogni passione e
li faceva sorridere; quindi li invitava a sedere
e ad esporgli quanto desideravano egli sapesse. Co-
me avev.ano finito, il suo avviso e consiglio la mag- _
gior delle volte riuscivano di consolazione a quei.
poveretti.
a Con altri concludeva il discorso con fare
regalo di una immagine, o medaglia, o libretto,
o croce od anche di un frutto; .e talvolta con un
atto di confidenza l'incaricava di una commissio-
ne da parte sua a qualche Superiore o compa-
gno (358).
.
Nell'aprile dél 1867, un giovane che si lascia-
va vincere dalla malinconia, essendo andato do-
po cena a baciargli la mano: - Oh! mio carol
- gli fece Don Bosco ed abbassò il capo vicino
a quello del giovane come in attesa che gli di-
cesse confidenzialmente qualche cosa. E il giova-
ne: - Che cosa vuole che le dica? Mi dica Lei
qualche cosa. - Ed Egli: - Tu hai dei fastidi,
sei malinconico, e vedendoti malinconico divento
mesto io pure.iInvece se tu sei allegro, lo sono an-
ch'io. Io vorrei che tu fossi sempre ·lieto, che rides-
si, che saltassi, per poterti fare felice in questo
mondo e nell'altro.
· 306

34 Pages 331-340

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34.1 Page 331

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A un giovane afflitto per bazzecole diceva:
Tu puoi contribuire molto a farmi stare allegro. -
Al medesimo che- il giorno dopo, finita la Messa,
gli baciava la mano, diceva sorridendo: - Corag-
gio, sta allegro! Dice San Filippo Neri che la ma-
linconia è l'ottavo peccato capitale (359).
La virtù consolatrice di Don Bosco era tal-
mente conosciuta e provata dagli alunni, che, 8e
loro sopravveniva qualche cosa da renderli meno
lieti, ricorrevano subito a Don Bosco, per otte-
ner~ un suo rassicurante sorriso (360).
Nè tralasciava d'insistere sovente sopra la sin-
cerit~ e la confidenza da usarsi coi Superiori nelle
cose dell'anima; ne descriveva i vantaggi, la chia-
mava chiave della pace interna, l'arma più ef-
ficace per cacciare la malinconia, il segreto più
sicuro per trovare la contentezza durante la vita
e in punto di morte e per giungere a gran perfe-
zione (361).
I chierici poi, i maestri, i capi d'art~, gli as-
sistenti e non pochi allievi, facendosi cacciatori
e pescatori di anime, sulle orme di Domenico
Savio., promuovevano la ricreazione e l'accalora-
vano per darvi importanza e allettarvi anche gli
inerti, affine di scuoterli dà.Ila noia e dalla tri-
ste-zza e per tal modo sviluppare la vita fisica
e morale: lieti di poter con quel mezzo conoscere
meglio i giovani, la loro indole, i loro difetti, e
307

34.2 Page 332

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cogliere l'opportunità di volgere loro una parola
buona (362).
-
Questo era l'ambiente dell'Oratorio ai tempi
di Don Bosco: e l'allegria contraddistingue ancor
oggi le case salesiane.
Un nostro illustre Ex-Allievo, così esaltava lo
spirito .di serena letizia del grande Padre della
Gioventù e dei suoi Istituti: « La sua azione si
può riassumere in questi princìpi: divertire per
istruire e assistere per ed_ucare: sollecitare ·1a cu-
riosità per fermare l'attenzione, provvedere ai
bisogni della vita ·per ricordare le promesse eter-
ne, ed in ogni modo rasserenare la mente· per
sgombrare il cuore, poichè prima di tutto la gio-
ventù deve essere lieta. Don Bosco sapeva che es-
sere lieti, è la condizione più che il modo di 3er-
vire a Dio: fin da studente a Chieri aveva fon-
dato una società dell'allegria, intuendo che spe-
cie nei giovani la tristezza è quasi sempre frutto
di cattivj pensieri. Egli volle che nella sua scuo-
la regnasse sovrana l'allegria, che riposa la mente
disponendola allo studio e _sgombra il cuore pre-
. parandolo alle preghiere: perchè dalla felicità
nasce la gratitudine, che è il principio dell'amore,
come la speranza è 1~ sostanza della fede.
« Egli -dimostrò che il maestro non deve solo
insegnare e vigilare, ma condividere la vita dei
giovani, mescolandosi ai loro giochi. _ai loro' .di-
308

34.3 Page 333

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scorsi, c10 che ne facilita ìl compito senza com-
il prometterne p~~stigio. Chi entra in una casa
di Don Bosco all'ora della ricreazione è sorpreso
di vedere che i· religiosi e i fanciulli si diverto-
no insieme, e la gioia è piena perchè nessuno vi
è estraneo.
« Giorni fa, camminando per una via silenziosa
· di Roma, pensavo al Santo e all;opera sua, quando
fui attratto dal gioioso vociare e mi sembrò di
riconoscere il clamore che si spandeva per tutte
le strade attorno al vecchio ricreatorio di Sant'An-
drea. ·Passava vicino ad un giardino chiuso fra
,
le case e presto mi accorsi che non erano bi mhi, ·
ma uccelli che gremivano gli alberi fin sulle cime
salutando in coro l'ultimo sole. Senza volerlo ave-
va trovato a che cosa paragonare la gioia dei fi-
gli del popolo nelle case che il Santo ha costruito
per loro » (363).
S'intende allora come i giovani, in un ambienfa~
simile, che è il loro ambiente, siano portati ad
osservare spontaneamente le norme disciplinari
senza bisogno di speciali provvedimenti.
.
2. La disciplina educativa.
a) LA DISCIPLINA ALL'ORATORIO DI VALDocco.
Esaminata quale sia l'autorità educativa sa-
lesiana, tutta vivificata dall'amorevolezza nell'am-
309

34.4 Page 334

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biente della serena letizia, dobbiamo ora vedere
come nella cornice di questa autorità la disciplina
prenda un aspetto tutto ·particolare.
Tal~ aspetto, prima che nelle prescrizioni re-
golamentari, lo tro~iamo concretato nella prassi
disciplinare dell'Oratorio, all'epoca di Don Bosco.
Nei primi tempi i giovani godevano moltissi-
ma libertà, vivendo come in famiglia. Ma di ma-
no in mano che sorgeva un bisogno o circostanze
speciali lo consigliavano, Don Bosco gradatamente,
onde evitare disordini, dava qualche disposizione
speciale suggerita dai fatti. E i giovani, ricono-
scendo la necessità di quelle nuove disposizionj,
vi si assoggettavano volentieri. Così a una a una,
a vari intervalli, furono stabilite le norme disci-
plinari che, sottoposte a molti anni di prova e
quindi a successive modificazioni e miglioramenti
dettati dallo studio e dalla esperienza, formarono
i Regolamenti per le Case Salesiane (364).
Il mantenimento della disciplina era incen-
trato in Don Bosco, nel quale s'imperniava e si
consolidava ogni forma di attività e di vita della
casa.
· Non si può certo disconoscere l'importanza,
la necessità e il valore intrinseco delle norme di-
sciplinari, le quali servono di guida in ogni eve-
nienza al maestro, all'assistente, all'educatore. Tut-
tavia è anche certo che la loro effiéacia estrin-
310

34.5 Page 335

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seca dipende in gran parte dal prestigio e dall'au-
torità della persona addetta alla disciplina. Per
questo Don Bosco fa osservare che in fatto di di-
sciplina, « il vero regolamento sta nell'attitudine
di chi insegna » (365). Vediamo le norme che egli
introdusse man mano nel suo metodo di disci-
plina e che poi suggellò nei vari Regolamenti.
Si sa che per ottenere ·la disciplin'a è indispen-
sabile nell'educatore una costante uguaglianza di
carattere e quel dominio dei propri nervi che pra-
ticamente si manifesta in una imperturbabile cal-
ma, la quale gli consente di rendersi conto di tutto
. quello che accade intorno a lui, e di appigliarsi
ai mezzi richiesti dalla situazione per dominarla.
Don Bosco raccomandava ai maestri ed Hgli
assistenti di non lasciarsi trascinare da qualsiasi
vento, cambiando a guisa dello stolto come la
luna. « Guai, - egli diceva, - se gli alunni, spe-
cie i più grandicelli, si vedessero obbligati a dirsi
in confidenza: - Aspettiamo che il maestro o
l'assistente abbiano un momento buono! » - Egli
poi personalmente era la stessa inalterabile tran-
quillità, sempre unita ad una prudente fermezza,
con ·la quale governava l,'Orato~io, anche in certi
momenti un po' . critici per la irrequieta spens~e-
ratezza di qualche giovane (366).
Nei suoi atti non scorgevasi nè violenza nè
debolezza. Pareva non si potesse adirare: tosto
311

34.6 Page 336

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che·· gli si accendeva il primo moto d'ira· ei lo
frenava sollecito: e, violentando· se stesso con
moderato sorriso, si raddolciva. Nello stesso tem-
po · però, ed anche questa era carità, dimostra-
vasi di una fortezza abituale, risoluta nell'eserci-
tare la virtù della giustizia, sostenendo i diritti
. della moralità e dell'ordine disciplinare. Scrlve-
va Mons. Cagliero: « Durante il mio chiericato,
un giovanetto semplice ed innocente e . mio ai1i-
tante di sacresti-a, era stato vittima di scandalo
da parte di un adulto. Don Bosco non appena lo
venne a sapere, ne sentì un estremo dolore, si
turbò e pianse in mia presenza. Quindi fu soJle-
cito a riparare l'innocenza tradita con paterna
d~lcezza; ma con pari fortezza procu~ò che fos-
se· subito allontanato il colpevole dall'Orato-
rio » (36?).
Le sue chiare e amorevoli parC>le lo · rendevano
tanto padrone dei cuori giovanili, da stabilire e
mantenere nell'Oratorio il regno dell'ordine e del-
la moralità (368). La stima, l'amore e il rispetto
che i giovani avevano per Don Bosco conservava-
no la disciplina nell'Oratorio, in ogni luogo e
in ogni tempo, e particolarmente il silenzio pre-
SCl'itto, cosa non facile ad osservarsi dalla viva-
cità di giovanetti, per lo .più orfani e vissuti in
mezzo alla strada (369).
Ciò sta a dimostrare ancora una volta il peso
·312

34.7 Page 337

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che ha nel campo disciplinare l'autorità di chi -
regge; se · questa _manca, da nessun regolamento
può essere supplita.
Tuttavia non bisogna dimenticare che anche
l'educatore meno dota.to, purchè animato da buona
volontà e sostenuto da un profondo senso di r.~-
spon~abilità, trova sempre nei Regolamenti uu
prezioso aiuto, se non si scosta per nessun motivo
dalle sperimentate norme ivi tracciate. Che anzi,
qualora metta tutta la sua attenzione e la sud
abilità nello studiare e sfruttare i segreti di quel-
le direttive, che da sole valgono a preservarlo <la
fatali errori e a indii;argli atteggiamenti e deci-
,
sioni da prendersi sia nei casi . ordinari che in
quelli più gravi, egli, giorno per giorno, migliora
la sua efficienza, si fa una preziosa esperienza,
impara l'arte del governo, raggiungendo quei sod-
disfacenti ed ottimi risultati di ·disciplina, che gli
consentiranno di esercitare le sue funzioni di edu-
catore con vero profitto degli allievi.
Della serena · ed ordinata vita dèll'Oratorio,
Don Bosco stesso fa questa testimonianza. Il 3
dicembre 1864 si era r ecato dal Ministro della
Guer:ra, per ringraziarlo della sua beneficenza e
per chiederne dell'altra. Sorridendo il MinistM
gli domàndò quanti giovani si trovassero all'Ora-
torio:
·
- Circa ottocento!
313

34.8 Page 338

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- ·Ma dunque vi saranno più di cinquanta
assistenti!
Ve ne sono invece pochissimi, ma bastano.
- Almeno la disciplina sarà rigorosa.
- Castighi stabiliti per le mancanze non ve
ne sono: e se si trattasse, ma raramente, di casti-
gare qualcuno, gli si dà quella punizione che pe]
momento può · stimarsi conveniente.
- Ma dunque saranno cacciati subito dalla
casa i colpevoli?
- Niente affatto. Se uno mancasse al buon
costume, in generale se ne· va da se stesso, per-
chè vede e si accorge coine sia incompatibile la
sua presenza nel Collegio. Del resto il sentimento
del dovere e dell'onore ha una gran forza sull'a-
nimo dei nostri ricoverati (3'70).
E qui viene in acconcio un fatto, che carat-
terizza assai bene il tratto e il metodo che usa-
va Don Bosco per ottenere la disciplina. Il 6
marzo 1858 il Santo era a Roma in visita all'Ospi-
zio di San Michele in Ripa. Mentre Don Bosco
si aggirava col Cardinale Tosti e col Direttore per
quegli immensi locali, si sentì zufolare e poi can-
tare. Ed ecco un giovanetto, che discendeva lo
scalone, e che ad uno svolto si trovò all'improv-
viso alla presenza del Cardinale, del Direttore e
di Don Bosco. Il canto gli morì in gola e stette col
berretto iJI mano e colla testa bassa. - È questo, --
314

34.9 Page 339

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dissegli il Direttore, -· il profitto degli avvisi e
delle lezioni che-vi sono date? Screan~ato che siete!
Andate al vostro laboratorio ed aspettatemi per
ricevere la meritata punizione. E Lei, Signor Don
Bosco, scusi.
- Che cosa? - replicò Don Bosco, mentre quel
giovane si era allontanato. - Io non ho nulla da
scusare, e non saprei in che abbia mancato quel
poveretto.
- E quel zufolare villano non le sembra una
irriverenza? '
- Involontaria però; e Lei, mio buon Signore,
sa meglio di me che San Filippo Neri era solito
dire ai giov.ani che frequentavano i suoi Oratori:
« State fermi, se potete! E se non potete, gri-
date, saltate, purchè non facciate peccati! » Io
pure esigo, in- determinati tempi della giornata, il
silenzio; ma non bado a certe piccole trasgressioni_
cagionate dalla irriflessione. Del resto lascio ai
miei figliuoli tutta la libertà di gridare e cantare
nel cortile, su e giù per le scale; soglio raccoman-
darmi soltanto che mi rispettino almeno le mura-
glie. Meglio un po' di rumore che un sìlenzio
rabl?ioso é sospettoso.
Don Bosco chiese quindi di andare a consolare
quel poveretto, che forse covava qualche risenti-
mento, nel suo laboratorio. ·Il Direttore aderì alla
richiesta. Come furono nel laboratorio, Don Bo-
315

34.10 Page 340

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sco chiamò a sè quel poveretto che, dispettoso ed
avvilito, cercava di nascondersi: - Amico, ho
una cosa da dirti. Vieni qua, chè il tuo buon Su-
. periore te lo permette.
Il giovane si avvicinò, e Don Bosco prose-
guì: - Ho accomodato tutto, sai; ma ad un patto,
che d'ora in avanti sii sempre buono e che siamo
amici. Prendi questa medaglia e per compenso
dirai un'Ave Maria alla Madonna per me! - ll
giovane vivamente commosso baciò la mano che
gli presentava la medaglia e disse: - Me la met-
ter'Ò al collo e la terrò sempre per sua memoria.
I compagni, ch'erano già al corrente del caso,
sorridevano e· salutavano Don Bosco, che attra-
versava quella vasta sala, mentre il Direttore fa-
ceva il proponimento di non più rimproverare al-
cuno tanto forte per un nonnulla; e ammirava
l'arte di Don Bosco per guadagnarsi i cuori (3?1).
Arte che, come ognuno vede, parte da una giu-
sta comprensione della natura del giovane, e ba-
sa la disciplina educativa sulla dolcezza dei modi,
tanto inculcata da San Francesco di Sales.
b) CONCETTO DI DoN Bosco SULLA DISCIPLINA.
Udiamo ora il Santo, che nella Circolare del 15 ·
novembre 1873, scrive: « Per disciplina non in-
tendo la correzione, il castigo, o la sferza, cose tra
316

35 Pages 341-350

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35.1 Page 341

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noi da non mai parlarne». Bastano queste sole
parole per vedere quale differenza quasi sostan-
ziale vi ·sia tra la disciplina intesa da tanti àutòr:i
e quella concepita da Don Bosco. Ed egli continua:
« Non intendo neppure per disciplina l'artificio o
maestria di una cosa qualunque; per disciplina io
intendo un modo 'di vivere conforme alla regole e .
costumanze dell'Istituto ». Ed eccoci al concetto
fondamentale da lui con tanta insistenza inculcato,
e cioè « che per ottenere buoni effetti dalla disci-
plina, prima di tutto, è necessario che le: regole
siano tutte e da tutti osservate », Egli vuole p~rciò
chè qu este regole siano costantemente rico:rd.a-te ai
giovani al,lo scopo che le abbiano presenti quando
dovranno agire. Passa quindi a fare un paragone
assai espressivo :· « Datemi una famiglia in cui sia-
no molti a raccogliere e uno solo a distruggere: noi
vedremo andare la famig1ia in rovina, e l'edificio
sfasciarsi .e ridursi ad un mucchio di macerie ».
Di qui la sua insistenza perchè tra tutti gli educa-
tori vi sia la più stretta unità di pensiero e di a zio-
ne, e che tutti si propongano di edificare, vale a di-
re di ricordare le regole e di farle amorevolmente
osservare: « Credetelo, miei cari, - sono sue pa-
. role - da questa osservanza dipende il profitto
mo-rale e scientifico degli allievi oppure la loro
rovina ». Infine viene a enumerare e indicare
singoli educatori incominciando dal Direttore, e
3Ì7

35.2 Page 342

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poi spiega come da tutti i Superiori e Assistenti
si debba procedere per ottenere concordemente
questa disciplina (3?2).
Così Don Bosco,. non contento di una discipli'."
na puramente materiale e meccanica, si sforzava
di dare ai suoi giovani una vera educazione e
quel genuino spirito di disciplina, che si basa an-
zitutto sulla convinzione della opportunità, ne-
cessità e importanza delle leggi disciplinari per
una vita ben regolata e ricca di virtù e di merit.i.
La sera del 9 luglio 18?5, nel ricordare la regoJa
del silenzio diceva loro: « Siate persuasi che, se
si insiste sulla osservanza di certe regole che pa-
iono da poco, ·ciò si fa solamente per il vostro
maggior bene. Senza che voi ve ne accorgiate, ese-
guendo tutti questi avvisi, che in fin · dei conti co-
stano p~i un piccolo sacrificio, vi troverete avan-
zati nelle virtù e più ricchi di meriti» (3?3). Non
quindi la disciplina per la disciplina, nè l'ordine
per l'ordine, ma l'una e l'altro per la virtù, per
un ideale di formazione individuale e sociale.
Com'è bello e interessante riscontrare che Don
Bosco non dà mai un avviso, un ordine ai suoi gio-
vani, senza ragionarli prima, specificandone il
perchè e il modo di praticarlo!
E non tralasciava di segnalare anche i danni
della indisciplinatezza: « Un giovane poltrone, iu-
disciplinato, sarà un giovane disgraziato, sarà un
318

35.3 Page 343

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giovane di peso ai suoi genitori, di peso ai suoi Su-
periori, sarà di peso a se stesso» (374).
e) IMPORTANZA DELLA DISCIPLINA.
Don Bosco afferma che « nella casa la disci-
plina è tutto (375). Essa educa la volontà, la fo1·-
tifica e nello stesso tempo la fa arrendevole e
disposta al bene » (376). « La disciplina, - dice al-
trove, - è il fondamento della moralità e dello stu-
dio.» (377) .
E infatti le regole di un Istituto indicano
agli all,evi la via che devono seguire per
raggiungere i loro ideali di scienza e di virtù;
li preservano dal male e dai pericoli the possono
incontrare; li premuniscono contro l'incostanza
e la leggerezfa, abituando la loro volontà a c_om-
piere il dovere nei .tempi assegnati. La legge, ad
esémpio, prescrive agli allievi di non allontanarsi
senza p·ermesso dal luogo dove sono riuniti i com-
pagni: così, trovandosi sotto gli occhi d ei Supe-
riori, evitano molte mancanze, ed anche gravi falli.
« L'ordine - diceva Don Bosco ai Direttori nel
1879 - impedis~e tanti mali » (378). E nel 1884,
dopo d 'aver richiamato a ciascuno la sua par.te di
responsabilità nella disciplina, diceva ai Capi-
tolari: « Non si guardi a spese, purchè vi sia tutto
il necessario per garantire l'ordine » (379).
319

35.4 Page 344

▲back to top
d) MEZZI PER OTTENERE LA DISCIPLINA. ·
La disciplina per Don Bosco era basata sulle
ordinate relazioni tra i membri della Casa: sem-
pre, s'intende, in quell'atmosfera di carità e dol-
cezza, che non permette venga a spegnersi lo spi-
rito di famiglia sotto lo specioso pretesto di uua
maggior disciplina.
_ 1) Rispetto al fanciullo.
In primo luogo, per ottenere buoni risultati
nella disciplina, il Santo Educatore richiamava
l'attenzione dei Superiori particolarmente sopra
il rispetto che si deve avere al fanciullo, alle per-
sone e cose che gli appartengono: poichè chi
vuol essere rispettato, deve anzitutto rispetta.re
gli altri.
Per questo egli non si stancava di raccomanda-
re di « non parlar male o scherzare sulle cose che
sono care ai giovan i, come sarebbe la patria, il
vestito, gli amici quando non son o cattivi; ·di non
burlare la nobiltà se sono nobili, nè la loro povertà
se s~mo miserabili; il loro poco ingegno, se sono
tardi nell'imparare; la fisionomia o difetti corpo-
.rali; di non permettere che i giovani prendano a
zimbello i loro compagni, e tanto più di guardarci
noi dal .farlo; nemmanco celiare sul nome di qual-:
320

35.5 Page 345

▲back to top
'
cheduno, · se avesse un significato ridicolo o am-
biguo. Niuno può immaginare come i .giovani re-
stino offesi da certe frasi e come nel cuore si
ricordino per molto tempo di ciò che essi chiama.:
no offesa. I parenti poi restano irritati, se venisse
loro rapportato dai figliuoli qualche frizzo detto
loro male a proposito. Il povero non è -meno al-
tero del ricco, anzi è più violento » (380).
« Insomma, - proseguiva Don Bosco. ·- trat-
tiamo i giovani, come tratteremmo Gesù Cristo
stesso, se fanciullo abitas.se in questo collegio.
Trattiamoli con amore ed essi ci ameranno, trat-
tiamoli con rispetto ed essi ci rispetteranno. Bi-
sogna che essi stessi ci riconoscano Superiori.
1, Se noi vorremo umiliarli con parole per la ra-
gione che siamo Superiori, ci renderemo ridico-
li » (381).
,
Altro punto sul quale voleva Don Bosco che
non si venisse mai meno alla carità è quello di ri-
cordare pubblicamente ad un alunno, per avvi-
lirlo, che non paga la pensione; quel poveretto
sarà forse un orfano, un diseredato dalla fortuna,
e, dell'umiliazione subìta, sarà capace di vendicar.:.
si anche con danno della Religione e in tarda
età (382). « Si tenga poi rigoroso segreto sul no-
me di chi avesse scoperta e svelata qualche gra-
ve mancanza avvenuta nella casa; ma si può avvi-'
sare la comunità che v'è chi osserva e può· rife-
3~1
11 (I)

35.6 Page 346

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rire » (383). Altrove raccomanda di < rispettare
la fama degli alunni, di non mortificarli ·in pub-
blico con certe espressioni e con èerti termini di-
sonorevoli. Senza offendere la regola e qu._ando non
vi è pericolo di scandali, difendiamo sempre in
faccia ai giovani un ·alunno accusato. E anche
quando è castigato procuriamo di compatirlo e
di fargli coraggio, mentre non lasceremo di fargli
vedere il suo torto. Allora sì che i giovani ci ame-
ranno. E impediamo che il castigato sia schernito
da altri. Si irrita, si ostina nel male chi è burl.a-
to » (384).
2) Non eccedere.
Sempre parlando di disciplina, bisogna far in
modo che essa non nuoccia allo spirito di famiglia:
perciò Don Bosco consigliava di non eccedere
nelle prescrizioni disciplinari e di non moltipli-
carle inutilmente. Alle volte alcune prescrizioni ·
non sono necessarie per ·ottenere il buon ordine,
Òppure non lo sono in quel grado che si -pretende
siano eseguite.: si vogliono certe inutili esteriorità
e non si pensa che l'ottimo è nemico del bene.
Gli eccessi, non solo ·non recano vantaggio alcuno,
ma riescono nocivi, perchè rendono pesante e odio-
sa ·la disciplina che gli allievi invece dovrebbero
amare.
322

35.7 Page 347

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La disciplina non dev'essere fine a se stessa,
ma soltanto un mezzo per ottenere l'ordine nella
misura necessaria: quando questo ci sia, nella
disciplina non si deve andare più oltre.
·
Si badi ancora a non voler pretendere tutto
sotto pena di castigo: e si ricordi che gli allievi,
con tu~to il buon volere, a motivo della-loro leg-
gerezza e sbadataggine, non possono av_-er sem-
pre presenti tutte le regole disciplinari (385).
3) Educare al rispetto verso i Superiori.
Giova inoltre, nello 'spirito di Don Bosco, for-
mare !'educando al rispetto verso l'autorità dei
Superiori, ben sapendo che da ciò dipende anche
il rispetto alle regole, che essi appunto hanno il
dovere di far osservare.
Per questo egli cercava di infondere nei gio-
vani un alto concetto della dignità dei Superiori,
facendo risaltare trattarsi dei rappresentanti di
Dio stesso: « Non è forse lo Spirito Santo che diee;
Oboedite praepositis vestris et subiacete eis (Ob-
bedite ai vostri superiori e state loro sogget-
ti)? (386). Non è forse Gesù Cristo che parlando
dei Superiori disse: Qui vos aJudit, me audit (Chi
ascolta voi, ascolta me)? (387). E quanti altri trat-
ti della Sacra Scrittura potrei ancora recarvi,
ma che per brevità non voglio ora ricordare. Se
323

35.8 Page 348

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adunque i Superiori credettero opportuno di ·sta-
.bilire ~na regoÌa, hanno il diritto di essere oh- ·
bediti; e voi lo stretto dovere di obbedire» (388).
Gettate così le basi dell'autorità dei Superiori,
Don Bosco, nel Regolamento per gli Allievi, de-
dica un intero capitolo a descrivere il contegno
che i giovani devono tenere verso i Superiori:
1) Il fondamento di ogni virtù in un gioTane
è'l'obbedienza ai suoi Superiori. Riconoscete, nella
loro volontà, quella di Dio, sottomettendovi loro
senza opposizione di sorta.
2) Persuadetevi che i vostri Superiori sentono
vivamente ,la grave obbligazione che li stringe A
promuovere nel miglior modo il vostro vantaggio
e che, nell'avvisarvi, comandarvi, correggervi,
non hanno altro di mira che il vostro bene. '
· 3) Onorateli ed amateli come quelli che ten-
gono il luogo di Dio e dei vostri parenti, e quando
loro obbedite pensate di ubbidire a Dio medesimo.
4) Sia la vostra ubbidienza pronta, rispetto-
sa ed allegra ad ogni loro comando, non facendo
osservazioni per esimervi da ciò che comandano.
· Ubbidite sebbene la cosa comandata non sia di
vos~ro gusto.
5) Aprite loro liberamente il vostro cuore con-
siderando in essi un padre · amorevole che desi-
dera ardentemente la vostra felicità..
6) Ascoltate con riconoscenza le loro correzioni,
' 324

35.9 Page 349

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e, se fosse necessario, ricevete con umiltà il ca-
stigo dei '7ostri falli, senza mostrare nè odio nè
disprezzo verso di loro.
?) G-tlardatevi bene dall'essere di quelli che,
mentre i vostri Superiori consumano le fatiche
per voi, censurano le loro disposizioni; sarebbe
questo un segno di massima ingratitudine.
8) Quando siete interrogati da un Superiore
sulla condotta di qualche vostro compagno, ri-
spondete nel modo che le cose sono a voi note,
specialmente quando si tratta di prevenire e
rimediare a qualche male; il tacere in queste
circostanze recherebbe danno a quel compagno,
e potrebbe essere· cagione di disordini a tutta la
casa » (389).
Come si vede Don Bosco, nel raccomandare ai
giovani il rispetto e l'ubbidienza ai Superiori,
non minaccia castighi, ma imparte regole ed ordini
sotto forma di preghiera, valendosi della persua-
sione.
Egli, per altro, parlando ai Superiori, ricordava
loro il dovere di esigere rispetto e ubbidienza da
.tutti i giovani indistintamente, anche dai grandi,
evitando di cadere nel grave disordine di essere
forti coi deboli e deboli coi forti. 4: Giusta severità
- inculcava Don Bosco. - Non si tollerino ri-
sposte insolenti e infrazioni alle regole, princi-
palmente nei grandi. La legge dev'essere uguale
325

35.10 Page 350

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per tutti, quindi certe mancanze sian sempre
punite. I riguardi speciali, Usati verso gli studenti
di rettorica gli anni scorsi, portarono amarissimi
frutti; il tollerare fece ' loro prendere baldan-
za » (390).
4) Bispetto reciproco tra i Superiori.
· Ma a nulla gioverebbero tante norme ed esor-
tazioni, se i Superiori, dimentichi della propria
dignità, non che dare l'esempio del rispetto che
si deve al Superiore, scendessero al livello dei
giovani, criticando le azioni e mettendo in mostra
i difetti dei propri colleghi. Perciò Don Bosco am-
monisce: « Tutti quelli che esercitano qualche au-
toritt se _vogliono essere ubbiditi e rispettati, fac-
ciano essi stessi altrettanto verso i loro rispettivi
Superiori » (391). E;,_ aggiungeva: « Non far mai con-
fidenze ai giovani · intorno alle cose della Casa,
manifestando qualche inconveniente. Non parlare
dei difetti di qualche nostro confratello; difetti ne
abbiamo tutti. In tutti i discorsi difendiamo ciò
che si può difendere; scusiamo dal lato buono ciò
che si può scusare; non manchiamo giammai d1
far notare le virtù dei nostri fratelli. Se si trat-
tasse della nostra fama, allora sapremmo diventar
eloquenti. Non ascoltare o prender parte alle
mormorazioni contro i Superiori. Non ridere m
326

36 Pages 351-360

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36.1 Page 351

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pubblico delle inurbanità di alcuno, non provocare
o ammettere accuse. di qualche giovane contro
qualche chierico, specialmente se si trattasse di of-
fese fatte a noi. Molto meno interrogare noi diret-
tamente, volere che si parli, promettere segreto,
o minacciar castigo... Se un fratello manca, av-
vertitelo in privato, e se non ne avete il coraggio
o temete offenderlo, ditelo al Direttore, il quale
adempirà con carità il suo ufficio. Formiamo un
cuor solo. Parlar sempre con lode dei nostri com-
pagni, perchè il biasimo di uno è biasimo di
tutti» (392).
La stima, che si deve dagli uni verso gli altri,
esclude in modo assoluto apprezzamenti men che
favorevoli nei riguardi dell'operato dei colleghi
in faccia ai giovani. « Nessun confratello - dice
Don Bosco, - si permetta parole di disprezzo
o di disapprovazione a carico di un altro confra-
tello, specialmente innanzi agli alunni; altrimenti
regnum divisum desolabitur (il regno diviso an-
drà in rovina) (393). Si coprano i difetti, si di-
fendano i Superiori; e non si prenda mai quel-
l'aria di popolarità che non frutta altro che di-
singanni » (394).
Ma per far osservare più facilmente i regola-
'
menti ai ragazzi occorre pure che i Superiori per
primi diano l'esempio di una esatta osservanza
delle proprie regole. A tal fine Don Bosco avverte
327

36.2 Page 352

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di « non prot~ggere le scappate dei giovani, non
celarle per un àmor proprio mal inteso o paura
di perderne la confidenza, o per la debolezza di
perdere la popolaritii. Guardarsi dal prendere
parte alle loro mancanze contro le regole con da-
re certi permessi..: In questo caso, oltre la disub-
bidie:g.za, tutta la responsabilità del male che ne
può venire: peserà su chi vuol fare di sua ·testa,
·e allora, non il Direttore, ma chi dà la licenza
ne renderà conto al tribunale di Dio.
« Il chierico, il prete deve essere il primo a ri-
spettare la regola, e l'essere Superiore non dispen-
sa affatto dalle regole non solo della Società, ma
del Collegio. Dicono i Teologi che il legislatore
è obbligato anch'esso alla legge fatta da lui per
ovviare allo scandalo che ne viene.
« Noi siamo obbligati per il voto di obbedienza.
Noi dobbiamo essere la personificazione della Re-
gola, e cento bei discorsi senza l'esempio valgono
nulla. Il giovane vedendo sottomesso chi è da pfù
di lui, si sottometterà volentieri; e non ascolte-
remmo certe ragioni: - Perchè sono Superiori
fanno come vogliono! - E non è la nostra vo-
lontà che noi Superi9ri dobbiamo fare, ma quel-
la della Regola. La Regola è superiore a tutti:
è la voce di Dio » (395).
Parlando poi della educazione fisica, vedremo
·che Don Bosco considerava il gioco, la musica, il ·
328

36.3 Page 353

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canto, il teatro, le passeggiate, come mezzi molto
indicati per .ottenere la disciplin~. · Con ciò egli
si proponeva di -conservare l'ordine in casa nel
modo più spontaneo e meno coercitivo, ben s_a-
pendo che, per indurre i giovani a fate la nostra
volontà, è necessario anzitutto mostrar di fare
la loro ~n quelle cose che sono legittime esigenze
della loro età.
329

36.4 Page 354

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APPENDICE AL CAPITOLO IV.
IL VILLAGGIO DEI RAGAZZI
Da qualche tempo si parla, un po' dapp~rtutto,
di Città o Villaggio dei ragazzi: ed è bene dedi-
care qualche parola a questo argomento.
Le cause che resero necessarie tali istituzioni
sono note. Da una parte il liberalismo e l'indu-
strialismo contribuirono ad affievolire la coesione .
familiare. D'altra parte le dottrine estremiste, al-
lontanando l'uomo da Dio e dal pensiero dei suoi
alti destini, lo piegarono miseramente verso la
terra, unica fonte ormai dei suoi godimenti e delle
sue speranze, impedendogli la vista del Cielo.
Il libero amore poi, il divorzio e la dissoluzione
sistematica della famiglia, accrebbero spavento-
samente il numero dei ragazzi derelitti e vagabon-
di. Le ultime guerre infine, con le orrende distru-
zioni di città e di vite,·buttarono sulle vie e sulle
piazze migliaia e migliaia di orfani e di giovani
disgraziati che, corrotti dall'ozio, dal vagabondag-
330

36.5 Page 355

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gio e ·dalle ·compagnie perverse, crearono un vero
pericolo sociale.
Davanti a questo triste spettacolo, oltre ai
Religiosi e alle Religiose consacrate per vocazione
agli orfani e ai derelitti, sorsero altre anime ge-
nerose, le quali, trovandosi sole per gl'immensi e
pressanti bisogni, idearono Città e Villaggi pei
fanciulli, con il nobile scopo di rendere meno
dolorose soprattutto le conseguenze delle guerre.
Sia lode ai cuori generosi che, con slancio e sa-
crificio, consacrano le loro energie a così degno
scopo.
Premesso ciò, è bene dare una risposta a colo-
ro che vorrebbero sapere se le sullodate organiz-
zazioni possano considerarsi come una nuova for-
ma o sistema di educazione e se effettivamente,
così come d'ordinario vengono presentate, rispon-
dano veramente ai fini dell'educazione, che è l'arte
di formare gli uomini.
Nell'esporre le nostre considerazioni non inten-
diamo alludere a questa ·o a quella istituzipne par-
ticolare, che potrebbe trovarsi scevra da ogni
difetto e fors'anche essere pedagogicamente per-
fetta ; ma consideriamo il tipo ideale del Villaggio
dei ragazzi, quale viene descritto secondo le norme
di certa moderna pedagogia, che largamente in-
dulge, come già abbiamo avuto occasione di notare,
ai canoni del naturalismo.
331

36.6 Page 356

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· Non ignoriamo che, grazie a Dio~ in vari isti-.
tuti del genere è in pieno fior~ la pedagogia catto-
lica e che la loro denominazione di Città ,O di Vil-
laggio sta a indicare piuttosto l'organizzazione
esterna, anzichè. una innovazione sostanziale nei
sani metodi tradizionali dell'educazione.
a) IL NOME.
Anzitutto pare meno giustificato il nome di
Città o Villaggio: esso, mentre si pone come in
antitesi al nomè di Famiglia, ci dà subito l'idea di
una organizzazione che scavalca quella familiare.
È risaputo che gli Istituti educativi ebbero fi-
nora la tendenza di ricopiare la vita del focolare
domestico, sia. pure in una grande varietà di pra-
tiche attuazioni. Questa nuova istituzione invece
trapianta subito il fanciullo nella vita civile: il
che non è immune da pericoli, specialmente in
quest'epoca· di infatuazione democratica.
Il nome di Città o Villagg-io perciò, in quanto
esprime una :r;ealtà diversa dalla famiglia, si oppo-
ne alle esigenze ambientali proprie del fanciullo,
il quale di sua natura reclama l'ambiente fami-
liare, bisognoso com'~, per la sua età, di affetto,
di aiuto e di autorità veramente paterna.
Finora gli Istituti educativi, pur esse;ndo consi-
derati come surrogati della famiglia, ne costituì-
332

36.7 Page 357

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vano però il prolungamento e una specie ·di pre-
. par:azi'one àlla vita sociale. Erano e sono sta-
dio intermedio tra la vita di famiglia e la vità di
società, con 1~ caratteristiche sia dell'una che del-
l'altra, çompatibili naturalmente con la vita di
collegio e con il grado reale di sviluppo raggiunto
dal fanciullo.
All'incontro l'organizzazione della Città o Vil-
laggio, trasporta il fanciullo direttamente nella vi-
ta di società: a meno che si voglia far consistere
l'ambiente familiare nel mettere i piccoli in con-
tatto cogli adulti, anche di sesso diverso: ciò sa-
rebbe quanto mai deplorevole.
Se si trattasse di vere famiglie adottive, la dif-
ferenza non sarebbe così stridente. Ma con la
semplice presenza di adulti, ai quali i più pic-
coli dovrebbero rivolgersi per cercare appoggio,
amore e guida, senza però che vi sia un padre
con la responsabilità e l'autorità che gli compe-
tono, lo spirito di famiglia è solamente fittizio..
E così la famiglia altro non è che Città o Villaggio.
Non c'è poi chi non veda quanto sia pericolo-
sa per la moralità, siffatta mescolanza dei piccoli
coi grandi, del tutto contraria ai princìpi di unn
sana pedagogia. È stato costatato infatti che là,
dove non predominano i vincoli del sangue, l'à-
more facilmente degenera, soprattutto in un am-
biente dove molti ragazzi; grandi e piccoli, gif
333
I

36.8 Page 358

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tarati e predisposti da cattivi precedenti, vivono
assieme, senza la debita separazione richiesta da)-
l'età e dallo sviluppo, e senza la debita assistenza.
E dove non ci sia moralità, non ci potrà mai essere
disciplina, ordine, educazione!
b) AUTOGOVERNO?
Ci si dice poi, anzi quasi se ne mena vanto, che
il Villaggio è prevalentemente organizzato in Re-
pubblica democratica e dotato di proprie leggi.
Ma chi comanda? Vi è un sindaco-ragazzo: un
ragazzo, dunque, che dirige. Vi è un giudice-ragaz-
zo: un ragazzo, dunque, che giudica.
Che pensare di questo autogoverno? O c'è o
non c'è.
Se c'è, vien subito da domandarsi come si possa
trovare o esigere, nel sindaco-ragazzo e nel giu-
dice-ragazzo, tanta saggezza e prudenza per go-
vernare, tanta consapevolezza delle proprie respon-
sabilità e del bene pubblico, tanta coscienza dei
problemi morali, intellettuali e spirituali inerenti
all'età dell'adolescente, ta:O:ta energia per impedire
o reprimere disordini, tanta esperienza e intuito
per risolvere le difficoltà a volte assai complesse
di un intero Villaggio. Un sindaco-ragazzo come
pure un giudice-ragazzo, siano pure coadiuvati
da coetanei, non hanno raggiunto ancora il per-
334

36.9 Page 359

▲back to top
.
fetto sviluppo dell'uomo; in essi la volontà e la
maturità di giudizio sono scarse assai, la cono-
scenza della vita e dei suoi problemi quasi nulla,
la virtù appena agli inizi! L'istituzione suppone
ciò che dovrebbe dare: l'educazione, la maturità·.
Il cercare di venir incontro al provvidenziale
istinto che spinge i fanciulli ad imitare i grandi.
non significa già che si debbano mettere nelle
condizioni di riprodurre le azioni specifiche dei
cittadini maggiorenni, ma semplicemente questo:
che gli educatori sono in dovere di presentare ad
essi dei modelli di uomini virtuosi e bennati, sia
in se stessi, sia nei personaggi principali della sto-
ria e della vita contemporanea.
Il fanciullo, lungi dal saper giudicare gli altri.
se non in quelle cose che sono proprie dei ragaz-
zi, sente il bisogno di essere illuminato e gover-
nato da chi ha su di lui autorità paterna o tuto-
ria: e còmpito della educazione è quello di seguire
la natU:ra umana del fanciullo nel suo graduale
sviluppo fisico, intellettuale e morale, per portar-
la allo stato dell'uomo perfetto, senza forzarla
col costringerla ad agire come i grandi. Per que-
sto motivo e sotto questo aspetto, l'organizzazione
del Villaggio dei ragazzi fa troppo violenza alla
natura.
Oppure questo governo non c'è, perchè di fat-
to governano le persone maggiori, qualunque man-
335

36.10 Page 360

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sio·ne esse occupino, e ·tra qualsiasi quinte esse
si nascondano. Ma allora sì tratta di una finzione,
per cui i ragazzi, per sistema, devono darsi a
quel divertimento chiamato « gioco dei grandi».
Abbiamo nominato le quinte: esse ci ricordano
la commedia.
Non c'è chi possa misurare la gravità delle
conseguenze di una organizzazione della vita so-
ciale, dove facilmente s'infiltrasse l'idea che la vita
sia passatempo.
A che cosa si riduce la tanto decantata educa-
zione al senso di responsabilità, dove non si tratta
1i una cosa seria, ma di una commedia? Dove
va la serietà della formazione sociale in una isti-
tuzione improntata a tanto artifizio e a tanta leg-
gerezza? Come non dovrebbe degenerare in liber-
tinaggio quella libertà che, in caso di manifesta-
zioni 'di disordine e d'immoralità, si trova davan-
ti alla tutela disciplinare, esercitata da un sm-
daco-ragazzo e da ~n giudice-ragazzo?
e) PRINCÌPI INFORMATIVJ.
I fautori delle Città o Villaggi dei ragazzi,
pi;1.rlano ancora di tre princìpi-base, che però
non hanno nessun motivo di presentare come
propri di tali organizzazioni: detti princìpi in-
fatti, intesi nel senso migliore e cristiano, stan-
· 336

37 Pages 361-370

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37.1 Page 361

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'I
no .alla base di ogni sistema di educazione e an-
che in modo particolare del sistema preventivo
di Don Bosco.
Ma ciò che maggiormente desta la nostra ·per-
plessità è la considerazione se questi princìpi ab..
biano o possano avere applicazione e successo in
un amhiente, che, di sua natura, neutralizza ogni
generoso sforzo, da parte degli educatori e degli
educandi, per migliorare l'individuo e la collet-
tività:- ambiente che manca di un organo diri-
gente e disciplinare adeguato.
·
Una secolare esperienza invece autorizza a dire
che i suddetti princìpi, - come del resto anche
le idee di libertà e di socialità che essi incarnano
e che l'istituzione del Villaggio ha pure la prete-
sa di appropriarsi, - sono sempre stati adottai.i
con felice successo, sebbene in diversa misura,
dalla scuola tradizionale, ed hanno avuto ed han-
no una piena affermazione ed attuazione nell'àm-
bito del sistema preventivo.
a) Si attribuisce al Villaggio il principio che
~ ogni fanciullo può diventare un uomo onesto>.
Orbene questo medesimo principio ha tale im-
portanza nella scuola cattolica, che su di esso
vien fondata l'economia della Redenzione: anzi,
proprio in questo vien confutata la scuola pro-
testante, la quale nega ogni fondo di bontà alla
natura dell'uomo, che essa dice intrinsecamente
337
.

37.2 Page 362

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corrotta dal peccato originale. Dal canto suo Don
Bosco, seguendo le norme di San Francesco di Sa-
les, nutre e vuolè che si nutra la massima fiducia
nel potere di r esipiscenza del fanciullo anche più
traviato, poichè non esiste, secondo il santo Edu-
catore, terreno così ingrato e sterile che non possa
portare buon frutto, quando sia ben coltivato, ado-
perando tutti i mezzi, umani e soprannaturali, che
il sistema preventivo mette a disposizione dell'e-
ducatore.
b) Pel Villaggio dei ragazzi si invoca pùre
il principio che « nessuno può educare il fanciullo
senza il suo concorso ». È naturale ; p erchè l'edu-
cazione, come abbiamo detto, è un lavoro a due.
Tale concorso in base al sistema preventivo non
s'impone, ma s'inculca in modo da risvegliare
nell'educando ciò che si vuole, mediante la ragione
e la persuasione, escludendo ogni sorta di inti-
midazione e gli stessi legger~ castighi.
Il sistema preventivo vuole pure che si dia
ampia libertà al fanciullo in tutte le fasi e in
tutti i settori della sua educazione, e specialmente
nelle cose di pietà. Si capisce che questa libertà
non può essere sconfinata, ma ha d ei limiti se-
gnati dalle leggi di Dio e della Chiesa e dalle
esigenze del bene comune. Di consegu enza il ra-
gazzo che desse pubblico scandalo e non volesse
emendarsene, verrebbe allontanato dall'istituto.
338

37.3 Page 363

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D'altra parte non solo è lecito, ma talvolta
è persin doveroso usare una dolce violenza nei
riguardi dell'educando, quando si ·tratta del suo
bene; poichè egli, a motivo della sua età, non
è ancora in grado di giudicare della importanza
di certi elementi educativi, di cui solamente più
tardi potrà misurare la portata. In tali casi la
speranza di sicuro successo salvaguarda la libertà
del fanciullo.
e) Finalmente al Villaggio si suol applicare
un terzo principio, secondo il quale « i fanciulli
sono i collaboratori più intimi della educazione
degli altri ragazzi ». Ciò, nella organizzazione del
Villaggio, sembra avere una maggiore applicazione
per il fatto che figurano loro, come se facessero
proprio tutto loro. In realtà tale educazione non
sarà mai così profonda ed efficace come quando
è impartita direttamente dagli educatori ed in
modo speciale dal Superiore in capo, ossia dal
padre che cfovrebbe avere in mano il cuore dei
fanciulli.
Nè la suddetta formazione è scevra di pericoli,
l
soprattutto quando dai più adulti si tentasse en-
trare coi pi1ccoli in cose intime e di coscienza:
e il pericolo sussiste di f~tto, per il delicato in-
carico loro affidato. A noi basta l'avervi anche
solo accenn to.
Anche ne 1 sistema preventivo il fanciullo, _oltre
339

37.4 Page 364

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che dare, pel suo personale profitto; il proprio
concorso all'azione dell'educatore, coopera poi ef-
ficacemente al bene comune e alla educazione dei
suoi compagni: e cioè mediante l'apostolato del
buon esempio, della parola e dell'esercizio di al-
cune piccole mansioni di fiducia; il quale eser-
cizio, mentre sviluppa in lui il senso della respon-
sabilità e l'abitudine alla vita sociale, non fo-
menta però lo spirito di orgoglio e di prepotenza,
e meno ancora la brama di dominio.
_Nel sistema preventivo le responsabilità mag-
. giori gravano sulle spalle degli educatori. Don
Bosco, 'iniziando l'opera degli Oratori Festivi do-
, vette, per forza di cose, vale~si della collaborazio-
ne dei giovani più grandi, sia per l'ordine in ca-
sa, sia per la scuola di catechismo; ma riservò
a sè la direzione dell'opera e il diritto di deci-
dere e di castigare. Non appena potè, affidò i
principali incarichi a educatori salesiani, lascian-
do ai giovani gli incarichi minori, cioè quei pesi
di responsabilità che essi possono portare nell'àm-
bito della casa e delle associazioni giovanili. Non
pertanto, egli era sempre presente a tutto e a
tutti, e gli adulti sapevano di essere sorvegliati
dallo sguardo di colui, cui nulla sfuggiva dell'an-
damento generale della casa.
Il primo fu un periodo di transizione. Don Bo-
sco infatti aveva già in mente di fondare una
340

37.5 Page 365

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.
Società di religiosi, ai quali tramandare : l'opera
dell'educazione giova:nile, dop~ averli 'formati nel-
la pr~tica del ·suo sistema. Pensiamo che anche
il Villaggio dei fJ1,nciulli, con le proprietà che
ora lo caratterizzano, sia una organizzazione
di transizione dal marasma della guerra alla nor-
malità della pace, finchè non gli sia data col tem-
po la possibilità di evolversi, di perfezionarsi e
di organizzarsi in un modo più consentaneo ai
fini della educazione. Creando l'ambiente di fa-
miglia, quale lo esige il sistema preventivo di
Don Bosco, si avrà il concorso e la collaborazio-
ne di tutti nell'ambiente della carità, che elimina
le distanze e stringe i cuori in quello del Padre,
che tutti vuol salvare e condurre a Dio.
In quest'ambiente familiare è favorito lo svi-
luppo del senso sociale del fanciullo, il quale
si espande liberamente nella serena letizia della
casa salesiana, senza bisogno di mettersi nella
condizione di fingersi cittadino maggiorenne in
una metaforica repubblica democratica.
In modo parallelo, spontaneo ed armonico si
sviluppa nel cuore dell'educando, - senza lo sbal-
zo di una innaturale anticipazione di cariche
,
civiche, riservate dalla legge stessa ai maggiori
di età, - il senso della responsabilità; potch~
in seno alla famiglia, tutti i membri naturalmente
.
si sentono impe'gnati al bene comune non_chè al
341

37.6 Page 366

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proprio individuale perfezionamento. Viceversa
questi fattori di libertà, socialità e responsabilità,
minacciano di essere compromessi nella artificiosa
atmosfera del Villaggio, ove i fanciulli, colpevoli
di qualche mancanza, sanno di dover sottostare
alla decisione e al castigo di uh ragazzo come
loro. E si avverta che il ragazzo-giudice applica
la pena stabilita da un codice assai discutibile
specialmente se si pensa a chi debba applicarlo,
senza che vi possa essere un'adeguata valutazione
della mancanza stessa, in quanto che egli è sprov-
visto della necessaria conoscenza, esperienza, pru-
denza e soprattutto della comprensi~ne di cui ab-
bisogna l'animo giovanile, che pecca più per spen-
sieratezza che non per malizia. ·Insomma c'è pro-
prio un vero pericolo di cadere nel sistema repres-
sivo: e già abbiamo visto che esso non è il siste-
ma pjù adatto alla educazione della gioventù.
In nessun modo poi è spiegabile come questo
nuovo movimento abbia la pretesa di sorgere
come una reazione alla scuola tradizionale, cui
rimprovera tal sorta di « formalismo-passivo » per-
meato da spirito di coercizione ai danni della li-
bertà dell'alunno, come pure un certo disagio so-
ciale in cui ver~ebbero a trovarsi gli educandi
a causa di un malinteso « paternalismo » dell'e-
. ducatore, che terrebbe in minorità la loro intel-
ligenza e il loro spirito, dominandoli con la paura.
342

37.7 Page 367

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Basta questo atteggiamento di recriminazioni
arbitrarie, oltre che di pericolose novità, per te-
nerci in guardia contro una tendenza pedagogica
che rinnega la tradizione e dimentica che il cri-
stianesimo, oltre ad aver trovato il giusto modo
di educare cristianamente i fanciulli, seppe for-
mare gli uomini più grandi. della storia.
Praticamente, in troppi casi, il nuovo movimen-
to, mentre osa render responsabile la Chiesa di
qualche deviazione educativa, imputabile non alla
sua dottrina ma a manchevolezze personali, pas-
sa all'estremo opposto sconfinando in dottrine
materialistiche.
Chi ben "considera le cose, deve invece con-
chiudere che, quello che di buono può avere que-
sto movimento, lo ha preso in prestito dalla tra-
dizione cattolica.
Quanto poi a menar vanto di aver introdotto
il metodo intuitivo per l'insegnamento del cate-
chismo nel Villaggio dei fanciulli, ci permettia-
mo di ricordare che esso non è nuovo nella tradi-
zione della Chiesa. Don Bosco lo praticò già un
secolo fa, e altri prima di lui.
Non si può invece app;ovare che in certe co-
munità di ragazzi siano messe al bando regole,
catechismi e formule a memoria. Ma di ciò diremo
m seguito più ampiamente.
Riassumendo, conchiuderemo che le Città o
343

37.8 Page 368

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Villaggi" dei ra_gazzi, secondo che q ti li abbiamo
descritti, costituiscono un insieme JJ he è in con-
trasto con la natura, o almeno pre~cjnde da essa.
La naÙira infatti non ci presenta i bambini che
si ·g·overnano da sè, :rp.a i figli che, nel seno della
famiglia, sono sottomessi all'autorità dei geni-
tori che li educano. Quando poi, come negli ec-
cìdi delìa guerra o di altri sconvolgixp.enti sociali,
venissero a mancare i genitori, la logica vuole che
si creino istituti che si avvicinino il più possibile
alla famiglia.
La Città o Villaggio dei ragazzi, oltre che es-
sere in contrasto con la natura, lo è con le tradi-
zioni di qualsiasi nazione èivile, clie, nell'educa-
zi~me, vuole rispettato il principio di una vera e
non effimera autorità nell'ambiente della libertà.
Tale istituzione è pure in contrasto con le tra-
dizioni delle leggi di Dio e della Chiesa, e pur
senza volerlo, di fatto snatura il fanciullo, met-
tendolo nella' condizione di fare ciò che non sa,
di dirigere senza esserne capace, di governare e
guidare mentre ha bisogno di essere governato e
guidato, esponendosi così a errori e ingiustizie,
che turbano e sovvertono la sua stessa coscienza.
Infine, come già si disse, o governa davvero il
fanciullo e allora si va alla rovina, o di fatto non
governa, e allora si educa la gioventù alla menzo4
gna e alla ipocrisia snaturandone il carattere.
344

37.9 Page 369

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Queste considerazioni ci autorizzano ad affer-
mare che dette nuove forme - come già avviene in
alcuni cosiddetti ·Villaggi diretti da zelanti sacer-
doti sotto la guida dei loro Vescovi - solo orien-
tandosi verso la tradizione pedagogica cristiana
potranno sussistere. Per parte nostra, pur lodando
ogni buona iniziativa, siamo persuasi di avere nel
sistema preventivo di Don Bosco una sorgente ine-
sausta di risorse pedagogiche applicabili ai biso-
gni di tutti i tempi, perchè tutto, nel sistema pre-
ventivo, poggia sulla carità, la quale è fonte di
ogni bene temporale ed eterno, poichè la carità è
da Dio, anzi Dio è carità (396).
345

37.10 Page 370

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CAPITOLO V.
L'ASSISTENZA
COME MEZZO FONDAMENTALE
DI DISCIPLINA
1. Concetto dell'assistenza.
Dai princ1p1 direttivi di un sistema pedago-
gico, rettamente impostati e chiaramente definiti,
sgorgano quasi necessariamente i relativi mezzi
dell'educazione. Anzi, non pochi sistemi educativi
ricevono la loro caratteristica, più che dai prin-
cìpi, dai mezzi che si adoperano: questi, mez.zi in-
. fatti riflettono la natura dei princìpi stessi. An-
che nel sistema di Don Bosco, dai princìpi che
abbiamo testè indicati, - princìpi che sgorgano
dall'essenza stessa del suo sistema, ed investono
e abbracciano tutto il problema educativo, - na-
scono come dalla loro naturale sorgente, i mezzi
da adoperarsi nella educazione.
346

38 Pages 371-380

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38.1 Page 371

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Si osservi però che i mezzi educativi, meritre
sono dettati dai princìpi pedagogici del sistema,
devono nat,uralmente conformarsi alla natura del-
la stessa azione educativa, la quale è opera emi-
nentemente conforme alla ragione e alla libera vo-
lontà.
Ne consegue che i mezzi educativi più impor-
tanti, e diremo indispensabili, saranno quelli che
agiséono più efficacemente - anche se non sem-
pre immediatamente - sulla ragione e sulla vo-
lontà dell'educando.
Pertanto, in una concezione retta e legittima
della pedagogia, i principali mezzi educativi sa-
ranno sempre la parola e l'azione: la parola, che
diverrà luce d'istruzione e calore di esortazione
nelle forme più diverse; l'azione, sia esemplar-
mente vissuta dallo stesso educatore, sia presen-
tata da lui nella persona di altri attraverso libri,
racconti e specialmente biografie. La saggezza
popolare e la tradizione hanno già fissato e va-
lutato la forza educativa di questi due mezzi nel
noto adagio verba movent, exempla trahunt: men-
tre le parole muovono gli animi e fanno presa
sulla ragione, gli esempi trascinano la volontà
all'emulazione, all'imitazione, ali'azione.
Don Bosco seppe servirsi in modo sapiente e
sagace di questi due mezzi: approfondì la ragio-
ne della loro forza e pensò che convenisse fon-
347

38.2 Page 372

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derli in un solo mezzo, del quale fece come la
base, il -perno, la caratteristicà del suo sistema
d'educazione, o meglio; della pratica della sua pe-
dagogia.
Questo mezzo fu l'assistenza. Essa infatti rac-
chiude in sè e attua allo stesso tempo l'istruzione
e l'esempio.
E avvertiamo subito che è ben lungi da noi an-
che solo la insinuazione che l'assistenza, ossia la
vigilanza ·e . la sorveglianza, s·ia una invenzione
di Don Bosco. Tutti gli educatori, da che mondo è
mondo, hanno adoperato questo mezzo. Soltanto
la forma, lo·spirito potè essere ed è stato effetti-
vamente diverso, come si deduce dalle stesse pa-
role che frequentemente furono usate nel linguag-
gio pedagogico: vigilante, sorvegliante, censore,
ispettore, ed anche prefetto. Queste parole in-
dicano generalmente la stessa carica, ma ne speci-
ficano il differente spirito e modo di praticarla e
attuarla.
Don Bosco la chiamò semplicemente assistenza,
e colui che la esercita, assistente: benchè questa
denominazione non fosse, generalmente, adoperata
nè allora nè poi in altri istituti di educazione.
Anzi, - come avviene ad esempio per le parole
salesiane coadiutor,e, e rendiconto, - ne resta per-
fino difficile la traduzione in .altre lingue. Il .mo-
tivo è__che, nelle diverse traduziòni, non - è tanto
:348

38.3 Page 373

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I
la parola che si vuol tradurre, quanto il finis-
simo e delicatissimo concetto che essa racchiude, e
nel quale sta ·appunto lo spirito, anzi tutta la
delicatezza dello spirito di Don Bosco, sempre
vivificato da opportuna praticità e da· squisita
carità.
Chi volesse trovare un'immagine o una frase
parallela che esprima l'azion~ 'dell'assistente se-
·condo Don Bosco, non dovrebbe certamente an-
darla a cercare nell'edilizia, o nelle cliniche me-
diche e chirurgiche, o nella milizia, nè altrove;
ma nella sacra intimità del focolare domestico ri-
scaldato dall'amore materno e dall'affetto pater-
no. Ivi noi troveremo raffigu~ata e attuata l'as-
sistenza salesiana nell'atteggiamento soave della
mamma presso la culla del suo :figliuolo: ivi sor-
prenderemo a~cora questa assis'tenza nello sguardo
vigile e, vorremmo dire, amorosamente inquieto del .
padre e della madre, che seguono dappertutto il
figliuolo dei loro cuore: ivi noi vedremo attuata
detta assistenza nella voce affettuosamente ri-
soluta di un avviso, di un consiglio, di uno stimolo. ·
Insomma, la forza dell'assistenza educativa, secon-
do Don Bosco, mentre è informata dalla più ar-
dente carità sopraririaturale, prende le mosse dai
genitori, di cui si fanno le veci, e si ispira a
quell'affetto materno e paterno, che rendé tanto
caro il focolare domestico.
349

38.4 Page 374

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2. Importanza dell'assistenza.
Le semplici considerazioni fatte, basterebbero
già a darci un'adeguata idea della importanza
somma dell'assistenza, che costituisce il primo do-
vere dell'educatore salesiano. Don Bosco era con-
vinto che le ,mancanze dei giovani derivano in
gran parte da difetti di sorveglianza. « Non dimen-
ticate mai - diceva - che i ragazzi mancano più
per vivacità che per malizia, più per non essere
ben assistiti che per cattiveria. Bisogna aver di essi
sollecita cura, assisterli attentamente, senza aver
l'aria di farlo e prendere anche parte ai loro giuo-
chi, tollerare i loro schiamazzi e le noie che arre-
cano, poichè eziandio il Divin Salvatore disse in
tali circostanze: Sinite parv.ulos venire ad me
(Lasciate che i bambini vengano a me) » (397).
< Vigilando si previene sufficientemente il male, e .
non c'è bisogno di reprimere » (398).
In un sogno avuto nella notte fra il 17 e il
18 gennaio 1883, sembrandogli di parlare con il
defunto Don Provera, gli disse: - Pei nostri gio-
vani, che cosa mi raccomandi?
- Per i nostri giovani si deve impiegare la-
voro e sorveglianza.
- Ed altro?
- Altro: sorveglianza e lavoro, la:voro e sor-
veglianza (399).
350

38.5 Page 375

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D'altronde, come abbiamo visto, l'assistenza è
il primo dovere che deriva dall'essenza stessa del
sistema preventivo, che è un'emanazione della ca-
rità. Perciò l'assistenza non deve conoscere ri-
lassamenti, per quanto i giovani possano parer
buoni. Non già che Don Bosco volesse che noi con-
siderassimo i giovani come cattivi. Egli dice sem-
plicemente: « Sorvegliamo coni.e se tutti fossero
cattivi, ma facciamo in modo che tutti credano che
noi li stimiamo bravissimi » (400). E cioè, non è che
si voglia mancare alla carità credendoli cattivi,
ma è la carità che ci fa pensare che essi potrebbe-
ro commettere il male, e perciò dobbiamo assisterli
in modo tale che essi non lo facciano (401).
Taluno potrà dire che l'assistente, se vuol com-
piere bene il suo dovere, dev'essere disposto a una
vita di vero sacrificio. proprio così; il Salesiano
che ha abbracciato la sua missione di educatore,
ha consapevolmente e generosamente fatto il sacri-
. ficio di tutto se stesso per la salvezza dei giovani
e delle anime. Perciò, sia l'assistente che il maestro,
devono essere pronti a rinunciare a studi od oc-
cupazioni geniali, pur di assistere i giovanetti e di
procurar loro una conveniente istruzione ed edu-
cazione nella scuola (402).
Dòn Bosco voleva ancora che la presenza del-
1'assistente tra gli allievi fosse senza dubbio fisi-
.ca, ma soprattutto fattiva ed operante. E i Rego-
351

38.6 Page 376

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lamenti ribadiscono: « La loro presenza fra gli a-
lunni non sia. soltanto materiale, ma efficacemente
educativa » (Regolam., ~10). Gli assistenti adunque
· devono attendere continuamente a istruire e con.si-
. gliai'e i giovani su ciò che devono fare o evitare:
animarli al dovere, riprendere i loro falli, correg-
gerne i difetti, provvedere quanto han di bisogno, .
trattenerli allegramente nelle ricreazioni, allonta-
na're ciò che può essere loro di pericolo corporale
o spirituale, metterli in guardia, specialmente
dagli inciampi che possono loro opporre i cattivi
.compagni.
3. L'assistenza come deve essere. ·
a) AssISTENZA POSITIVA.
Prima di svolgere l'importante argomento del-
. l'assistenza, sarà bene sgombrare il terreno da
un'obiezione che si potrebbe affacciare alla men-
te. Taluno infatti, quando ode ripetere che nel si-
stema educativo di Don Bosco l'assistenza esercita
una parte tanto preponderante, può essere mosso
a pensare: - Ma dunque, il ·sistema educativo
di Don Bosco è semplicemente negativo, esso cioè
si limita a far evitare _il male!
· La risposta non è difficile. Osserviamo anzitut-
to che per far evitare il male non basta un atteg-,
gianiento negativo; chè anzi talvolta si richiede
352

38.7 Page 377

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I
un atto ancor pm energico che per far praticare
il bène. Il male disgraziatamente è di una forza
tale che a volte travolge non solo i sensi, ma la
fantasia, l'intelligenia, la volontà. Ora sarebbe da
ingenui il credere che, contro un nemico, così
potente e attrezzato com'è speciaìment-e ai nostri
tempi in tutti i settori della vita, possa bastare,
per vincerlo, un atteggiamento passivo. Che anzi,
a un'attività che vorrebbe trascinare al male è as-
solutamente necessario opporre un'altra attività
che spinga al bene. Ed è già un bene, anzi un gran-
de bene ·e una grande forza positiva, quella che
sa suscitare la energia per saper resistere al male,
poichè questa resistenza è il frutto e il risultato
di ripetuti atti di virtù, di coraggio, di umiltà, di
ubbidienza, di studio, di sacrificio, e talora anche
di ·eroismo.
Solo la virtù può contrastare il vizio. Ora fu
già detto che Don Bosco non intendeva la virtù
nel senso di alcuni filosofi, sia antichi che moderni,
secondo i quali essa consisterebbe semplicemente ~
nella scienza o conoscenza del bene. No. La vir-
è soprattutto forza; la virtù è slancio; la virtù
è energia feconda. Senza dire che, del resto, anche
il solo fatto della resistenza al male è già un pri-
mo segno dimostrativo di un'attività vigorosa e
di una meravigliosa virtù.
,,
Ci preme tuttavia stabilire che non dev'essere
353
12 (I)

38.8 Page 378

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assolutamente considerato sotto un aspetto nega-
tivo il sistema pedagogico di Don Bosco: sistema
tutto vivificato dalla carità, che è essenzialmente
amore ed energia senza limiti. Giova infatti ricor-
dare che il Santo, nel compiere la sua missione,
s'ispirò al Vangelo e a San Francesco di Sales; e
come sapeva perfettamente dal linguaggio scrittu-
rale.che la carità è capace di tutto e giunge, nelle
:n,ianifestazioni della sua potenza, anche fino all'e-
roismo di dare la propria vita, così dal santo Patro-
no apprese che l'amabilità e la dolcezza sono un
miele che sgorga solo dai cuori più generosi ed
eroici.
La carità è davvero eminentemente positiva e
feconda. Abbia l'educatore un cuore ripieno di ca-
rità: e si vedrà allora come, alla luce e al calore
di questa fiamma, egli saprà trovare esuberanza
di mezzi, di accorgimenti, di abilità, di sacrifici, e
raggiungere tàli risultati educativi, da riempire
tutti di meraviglia.
No, non poteva presentarci per l'e·ducazione un
sistema semplicemente negativo quel Don Bosco,
che seppe moltiplicare in modo meraviglioso le sue
attività, rinovellandole a seconda delle circostanze
e dei bisogni dei suoi alunni, -spendendole sempre e
solo per dare agli educandi il vantaggio di una
formazione che li preparasse a essere domani
uomini onesti e apostoli del bene.
354

38.9 Page 379

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b) L'ASSISTENZA, OPERA DI AMORE.
Premesso questo chiarimento, ripetiamo che
l'assistenza è un atto d'amore. Chi ama veglia. ._
Si veglia su colui che si ama. La sorveglianza è
il miglior controllo di un amore degno e sincero;
poichè proprio la sorveglianza diventa preser-
vazione dal male attraverso manifestazioni ar-
denti di tenerezza. La madre, che veglia le lunghe
notti china sulla culla del suo bambino colpito
dal male, è e sarà sempre la manifestazione e l'e-
sempio più bello della bontà ed eroicità dell'assi-
stenza.
Ogni creatura umana ha al suo fianco un An-
gelo, custode invisibile: quando al fianco del fan-
ciullo noi vediamo un educatore che amorosamente
veglia su di lui, ben possiamo dire che l'assistenza
è opera angelica. Alla stessa guisa infatti che
l'Angelo deve ispirare, aiutare e difende!e la
creatura che da Dio gli è stata ·affidata, così l'as-
sistente salesiano deve restare al fianco dei suoi
alunni con lo stesso sentimento di amore ange-
lico, difendendoli con lo scudo della sua vigilanza
sotto gli sguardi di Dio che tutti ha redenti.
E qui si avverta che l'assistenza è richiesta dal-
le condizioni stesse dell'educando. Il fanciullo è
debole, e non deve mancare chi lo sorregga; è
inesperto e ignaro di tant-e cose, e guai se non aves-
355

38.10 Page 380

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se al fianco chi gli illumini i sentieri della vita.
Il ragazzo è esposto a mille pericoli: pericoli deri-
vanti dalle sue inclinazioni, dalle sue piccole pas- ·
sioni, dalle sue manchevolezze; pericoli da parte
del mondo che lo circonda, e lo circuisce; pericoli
tra gli stessi suoi compagni; pericoli pel dilagare
di letture oscene e di cinematografi perversi; peri-
coli per l'insidia diretta e la corruzione organizza-
ta. Chi lo salverà, se non un cuore che, ripieno di
squisita carità, non lo perda di vista e non lo
abbandoni mai, lo preservi e difenda, e lo ri-
conduca, se smarrito, sul buon sentiero? Il giova-
netto ha bisogno assoluto di aiuto fisico, intellet-
tuale, morale; ora questi aiuti - per preservarne
le forze fisiche, per accrescerne il tesor~ delle
cognizioni intellettuali, per irrobustirn:e la volontà
nell'esercizio della virtù, per formarne il carattere
a una vita coerente e veramente onesta, ~ gli
possono venire solo da un'assistenza amorosa, e
perciò vigile e costante.
Quest'assistenza poi si rende particolarmente
necessaria negli istituti di educazione. A un muc-
chio di materia infiammabile fu giustamente
paragonata una riunione di giovani. Nel collegio,
nella scuola, nel cortile, nei vari ambienti, non vi
sono solo i giovani buoni, ma altresì gli indifferenti,
e, troppe volte, i cattivi. Alcuni di essi hanno for-
se portato in col1egio il ricordo di lamentevoli
356

39 Pages 381-390

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39.1 Page 381

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scandali visti nel focolare domestico o appresi sul-
le piazze e per le strade, al contatto di compagni
pervertitori. Ora, che cosa ci vuole perchè que-
sta materia infiammabile di passioni, di perversi
esempi, diventi fiamma vorace? Basta una scintil-
la. Guai se manca chi possa a tempo allontanare
tale scintilla! Guai se la mancata assistenza cau-
sa la perdita dell'innocenza anc4e di un solo
fanciullo!
e) Ass1sTENZA SOLIDALE.
L'assistenza, per non venir meno al suo scopo,
che è, secondo Don Bosco, « mettere . gli allievi
nella impossibilità di commettere mancanze » (Re-
gdlam., 88) - dev'essere coordinata. Gli assistenti
che svolgono il loro lavoro educativo sui giovani
di uno stesso collegio, e spesso di una stessa classe,
devono aver presenti alla memoria i princìpi che
il nostro Padre fissò, il 27 marzo 1870, per regolare
i loro reciproci rapporti, e promuo:vere in tal modo
e quello spirito di solidarietà di attività armo-
nica, che è la prima condizione per allontanare
ogni sorta di mali da una casa di educazione.
« Ciascuno, - spiegava Don Bosco, - ha de-
gli obblighi da adempiere nella posizione in cui
si trova; e di questi obblighi o doveri, alèuni sono
di giustizia, altri sono di carità.
« I doveri di giustizia li ha ciascheduno in par-
357

39.2 Page 382

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),
ticolare per quell'ufficio che gli fu affidato; e
quindi nel suo ufficio ciascuno ha pieni poteri di
far eseguire le regole, ma coi mezzi leciti. Così,
per spiegarci con un esempio chiaro, un maestro
nella scuola, deve impartire l'istruzione per giu-
stizia. Può far alto e basso coi suoi allievi; deve
però ricordarsi di far le cose per carità e quindi
usar molta tolleranza. Ma non deve credere che
la sua autorità di maestro coi suoi allievi si esten-
da anche fuori di scuola. Fuori di scuola i gio-
vani d~ll'Oratorio per lui devono essere tutti egua-
li, a qualunque classe appartengano, perchè allo-
ra ha soltanto verso di essi 'uffici di carità da
adempiere, i quali non devono estendersi soltanto
ad alcuni, ma a tutti. Dico questo perchè vedo
che spesso un uffizio cozza coll'altro, quello di un
maestro con quello di un assistente, e quindi ne
nascono anche delle gelosie; e gli uffici non si
compiono più come si dovrebbero compiere. Acca-
de che un giovane commette una mancanza sot-
to la custodia di uno, e l'altro, cioè l'offeso, lo a-
spetta che sia sotto di lui per vendicarsi, e questo
non si può. Per ,esempio: neJ cortile vi sarà uno che
fa un'insolenza, e in tal caso il maestro non è
autorizzato di castigarlo nella scuola, ma se vuole,
da fratello, da padre, da amico, può avvisarlo.
Così anche uno non è autorizzato a proibire ai
suoi dipendenti .di andare or con l'uno or con
358

39.3 Page 383

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l'altro dei suoi compagni, se non è mosso da ca-
rità, ma dal suo capriccio » (403).
La sera· del Natale del 1876, tornando sull'ar-
gomento; diceva: « Un'altra cosa che _ho da rac-
comandarvi, si è di aiutarvi vicendevolmente nel
lavoro. Non dir mai: - Tocca a quell'altro, non
tocca a me. - Si vede talvolta qualche disordine
che si potrebbe e dovrebbe impedire; e manca
l'assistente. Non si stia indifferenti col pretesto
che noi non siamo incaricati della sorveglianza,
ma si dica invece: - Ora l'assistente sono io. -
Qualunque volta si possa i_mpedire un male anche ·
materiale, si faccia... Ma soprattutto badiamo a
impedire il male morale, i disordini di qualsi-
voglia sorta, sia tra i giovani che tra noi medesi-
mi. Colla sola concordia in·questo sì può progredi-
re, e rendere innocui i membri pericolosi. Si sa
che il tale ha un libro cattivo. Tu che vuoi es-
sere religioso, non solo non devi cooperare a te-
nerlo, a nasconderlo, ma cerca di averlo questo
libro, prendilo e brucialo. Se .ne possono impedire
·delle risse, delle combriccole, degli scanda-
li! » (404).
Insomma, alla base della parola di ·Don Bosco
c'è un profondo senso di responsabilità sociale e
-solidale, del quale devono sentirsi rivestiti tutti
gli assistenti, affinchè la loro vigilanza risulti ve-
ramente efficace.
' 359

39.4 Page 384

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In virtù di questo senso di responsabilità, il
Santo voleva si vigilasse, per evitare che s'intro-
ducessero nelle case, conie può avvenire in qual-
siasi famiglia, soggetti non sempre edificanti, o,
peggio ancora, pericolosi, deformanti e p erciò
nocivi all'opera costruttiva dell'educazione. Par-
ticolare vigilanza egli esigeva sulle visite di per-
sone adulte, sia in parlatorio che fuori; e sulle
stesse relazioni a volta indispensabili tra gli alun-
ni, i famigliari, gl'impiegati ed i servi. Purtroppo
non è unico il caso d'aver visto sciupati e distrutti
i frutti di una educazione accurata e soda dall'o-
pera subdola, dall'influsso maligno e diuturno,
anche di una sola persona di servizio. Ciò può
avvenire nella famiglia e negli istituti che la rap-
presentano, senza che i genitori o i responsabili
se ne accorgano, tanto l'opera è a volte diaboli-
camente sottile e penetrante. Il veleno lo ~i som-
_ministra a poco a poco, a piccole dosi, segretamen-
te, furtivamente; ma purtroppo le funeste conse-
guenze non tardano poi ad apparire. Certi mu-
,tamenti dei giovani in seno alla famiglia e negli
istituti, devono essere seguiti, studiati, ·per vedere
I
se sia ancora possibile arginare l'opera del maligno
pervertitore, il quale- seppe forse nascondersi per-
- sino sotto mentite spoglie di virtù e di santità:
.non è la prima volta che il diavolo sa camuffarsi
da monaco.
·
360

39.5 Page 385

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d) ALTRE . QU_ALITÀ DELL'ASSISTENZA,
L'assistenza dev'essere, essenzialmente e sem-
pre, l'occhio della carità. È evidente pertanto
che la prima sua dote sia quella di vigilare amo-
rosamente.
Don Bosco voleva esclusa dalle case salesiane
l'assistenza sospettosa, quasi poliziesca. No, la
casa salesiana non è un correzionale, e meno anco-
ra una . prigione o una caserma; perciò quanto
sappia di militarismo, d'indagine poliziesc·a, di
sospetti . a catena, deve esulare da essa. Il Santo
vide con pena che col moltiplicarsi degli alunni
nell'Oratorio, allo scopo di procedere con un certo
ordine nei passaggi da un luogo ad un altro, si
fossero stabilite le file: gli pareva che, con quel-
la misura, fosse stato sottratto qualche cosa allo
spirito di famiglia. Si rendeva conto che effetti-
vamente una massa ormai di cinquecento e più
allievi non poteva procedere come una mandra di
pecore; ma quella piccola coazione delle file gli
pareva un affievolimento di carità e di ·familiarità.
Per lo stesso motivo non voleva uggiosa l'assi-
stenza: vigilante sì, ma affettuosa; quindi non fat-
ta con l'occhio indagatore di chi quasi va alla cac-
cia di un disordine, oppure di chi si rende insop-
portabile con la sua intransigenza anche, a ri-
guardo di certe minime particolarità, sulle quali,
361

39.6 Page 386

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data l'indole dei ragazzi, la carità suggerisce di
chiudere un occhio e di agire con benigno compa-
timento.
Don Bosco dice a questo proposito che i giova-
ni bisogna « assisterli attentamente senza aver
l'aria di farlo», così pure « non far capire loro che
si sospetta, ma con prudenza sorvegliare senza
che se ne accorgano» (405). E veramente un su-
periore che fosse tenuto per sospettoso, sarebbe
causa di mormorazioni, irriterebbe i poco buoni,
rendendo diffidenti coloro che si regolano ben~.
D'altronde non è forse la carità a tener l'assi-
stente formo al suo posto? Dunque i pensieri,
gli sguardi, le azioni, eventualmente le parole, i
giudizi, tutto deve essere ispirato e guidato. dal-
l'amore.
Un'altra prerogativa dell'assistenza è che sia
universale. Don Bosco vuole in primo luogo che
sia universale come obbligo da parte di tutti i suoi
Salesiani: egli ripetutamente ha ricordato loro
questo primo ed essenziale dovere. Parlando del
sistema preventivo così si esprime: « Esso consi-
ste nel . far conoscere le prescrizioni e i regola-
menti di un istituto, e poi sorvegliare in guisa
che gli allievi abbiano sempre sopra di loro l'oc-
chio vigile del Direttore o degli assistenti, che co-
me padri amorosi parlino, servano di guida ad·
ogni evento, diano consi~li . e amorevolmente cor-
362

39.7 Page 387

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reggano; che è quanto dire, mettere gli allievi
~ella impossibilità di commettere mancanze» (Re-
golam., 88).
Ma l'assistenza dev'essere universale, cioè deve
' estendersi a tutti i giovani e a tutti i luoghi ov.e
essi si trovano. Per 'questo Don Bosco insiste pe:rchè
« gli allievi non siano mai soli; per quanto è pos-
sibile, gli assistenti li precedano nel sito dove de-
vonsi raccogliere; si trattengano con loro fino a
che siano da altri assistiti; non li lascino mai di-
soccupati » (Regolam., 92).
< Per carità, - diceva già ai primi giovani ca-
techisti, - raccomando di non lasciar mai soli
i giovani, ma di assisterli sempre, continuamente
e dovunque ». E per animarli spiegava loro quel
motto di sant'Agostino: Animam salvasti, animam
tuam praedestinasti (Hai salvato un'anima? hai
predestinato la tua) (406).
·
Premeva al nostro Padre che nessuno rimanesse
fuori della sorveglianza, e che perciò, qualora un
assistente o un maestro si fosse accorto che qual-
cuno degli alunni era assente, lo facesse tosto cer-
care (Regolam., 109). « Not~ndo poi l'assenza di
un alunno da qualunque luogo, - soggiungono i
nostri Regolamenti, - ne informino prontamente
chi di .ragione ». E ancora: « Se per qualche
ragione devono lasciare temporaneamente .il pro·
prio posto, ne chiedano licenza al Consigliere, e,
363

39.8 Page 388

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in ogni caso, non si allontanino finchè non siano
sostituiti » (Regolam., 212, 211).
Don Bosco giunge ad affermare che la vigilanza
assidua è essenziale quanto la preghiera e più an-
cora. Egli infatti ricorda ai suoi figli che la parte
più importante dei doveri affidati ai maestri e agli
assistenti sta nel trovarsi puntualmente nel luogo
dove si raccolgono i giovani per la chiesa, per lo
studio e il riposo, per la scuola e il laboratorio,
per la ricreazione e via dicendo. (40?). « Tuttì
quelli che esercitano qualche autorità nelle scuole,
_nei dormitori, in cucina, in portineria, in qualun-
que altra parte della casa, siano puntuali ai loro
doveri: pratichino le regole della Società, soprat-
tutto quelle religiose; ma si adoperino con la mas-
sima sollecitudine per impedire le mormorazioni
contr,o i Superiori, contro l'andamento della Casa,
e specialmente insistano, raccomandino e nulla
risparmino per impedire i cattivi discorsi> (408).
« Puntualità ed ·esattezza, - insiste ancora, -
nell'assistenza in chiesa, nella sala di studio, e
quando gli alunni vanno in fila, e in camerata, e
1
a passeggio e in ricreazione » (409). « A tutti poi
è caldamente raccomandato di comunicare al Di-
rettore tutte le cose che possono servire di norma
a promuovere il bene ed impedire l'offesa del Si-
gnore » (410).
Un'assistenza così universale, cioè totale e as-
364

39.9 Page 389

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soluta, può essere giudicata difficile o pressochè
impossibile, anche da. studiosi di pedagogia. Non
si sa capire come il Salesiano possa assistere tutti
e sempre e in ogni dove.
Ma l'assistente non è sempre solo: ha dei sup-
plenti. E la stessa assistenza, ove occorr·a, è· di-
stribuita tra i vari Confratelli. Ciò che Don Bo-
-Sco vuole si è che i giovani non siano mai so li nel-
lo studio, nel refettorio, nel dormitorio, nel cortile,
e via dicendo.
Alcuni pensano ~he essa sia sorgente di sogge-
zione, e qll'asi una menomazione della libertà degli
alunni, dando luogo forse a finzioni e financo a
deformazioni della loro personalità.
Costoro non hanno capito il_ pregio princi-
pale ed essenziale dell'assistenza salesiana, tutta
pervasa di carità. Ora la carità è ordinata, e
appunto per questo l'assistenza non dovrà at-
tuarsi per fotti allo stesso modo. Abbiamo già vi-
sto come Don Bosco, con la sua consueta semplici-
tà, avesse praticamente divisi i giovani in varie
categorie, per ognuna delle quali diede norme par-
ticolari. Perciò occhio su tutti, sì; ma sommin~-
strando a ciascuno quel grado di assistenza che
esige la sua indole, e sempre con carità.
Fatte queste premesse ascoltiamo Don Bosco
che parla agli assistenti: « Sorvegliate continua-
mente i giovani in qualunque luogo si trovino,
365

39.10 Page 390

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mettendoli quasi nell'impossihilità di fare il male;
in modo più attento la sera dopo cena, e così pre-
venire ..anche il menomo disordine. Il sabato sera o
la vigilia di qualche solennità, quando i giovani
escono dallo studio o dai laboratori, si vigili per-
chè non vadano e non si fermino per le scale, per i
corridoi e nei cortili, col pretesto di andarsi a
confessare; e si procuri che ognuno abbia con sè
il Giovane Provveduto per la preparazione e il
ringra ziamento della Confessione » (411). Scriveva
da Roma n el 1880 a Don Bologna: « In particolare
poi procura di distribuire gli uffizi ai singoli,
in modo che non , rimanga nè cosa, nè pers~n~t,
nè ragazzo, nè luogo, che non siano affidati a
qualcuno » (412). E Don Savio Angelo, scrivendo
nel settembre 1861 a Don Durando in nome di
Don Bosco, si esprimeva così: « Disse poi, per ciò .
che spetta a ciascuno dei soci che sono nell'Orato-
rio, doversi portare le cose al punto che in qua-
lunque posto o angolo della casa uno di essi si
trovi, si possa essere sicuri che tutto procede bene,
senza che vi sia pericolo di male: sia col mettere
gli altri in guardia colla loro presenza, e sia col-
l'impedire qualora si tentasse di commette.re disor-
dini. Disse ancora di esigere che .si manifestino a
lui o a chi lo rappresenta, gli alunni che si giudi-
cano non far per la casa in quanto a moralità è<l
8: religione specialmente » (413). In particolare
366

40 Pages 391-400

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40.1 Page 391

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poi Don Bosco inculcava: « Massima vigilanza af-
finchè i giovani interni non possano mai libera-
mente familiarizzare ~ogli esterni» (414).
L'assistenza così universalmente esercitata, de-
ve poi riflettersi, secondo il pensiero di Don Bo-
.
sco, nel giudizio che determina il voto di condotta;
in quanto esso deve essere, nei limiti del possibile,
la risultanza di tutte le aggravanti e di tutte le
eventuali attenuanti: « Gli assistenti tengano conto
di tutto per assegnare agli alunni i voti di con-
dotta. Di questi diano comunicazione settimanal-
mente al Consigliere, o, in sua asse~za, al Prefetto; ,
ma avvenendo cose gravi, ne facciano pronta rela-
zione » (Rego'lam., 213).
e) CosE DA EVITARSI DURANTE L'ASSISTENZA.
A Don Bosco stava massimam~nte a cuore che
si evitassero, nell'assistenza, certi inconvenienti,
i quali potrebbero tornare di danno agli allievi e
a coloro che assistono. Certi disordini accadono ap-
punto per mancanza di quella virtù della pruden-
za, della quale ogni buon educatore deve essere
fornito sempre, ma in modo speciale quando
assiste.
Anzitutto dice Don Bosco: « I chierici nelle
cose riguardanti la moralità non interroghino mai
i giovam, ma lascino al Direttore questa cura,
367

40.2 Page 392

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tanto più ·che la loro mancanza di esperienza
può essere cagione che impari la malizia chi an-
cora non la conosce» (415).
« Non si lodi :m,ai un giovane in presenza di
altri confratelli, perchè queste lodi son poi ri- -
petute e possono divenir causa di superbia e di
amicizie particolari (416). Non si parli mai con
loro, nè con persone di servizio, di qualche disor-
dine accaduto in un altro collegio; nè cogli alun-
ni di una classe di un disordine avvenuto in un'al-
tra » (417). Un edificio costruito sulle altrui ruil1e,
è destinato a rovinare anch'esso.
Gli assistenti poi « non facciano mai rimpro-
veri collettivi, e ricordino che i provvedimenti
disciplinari sono riservati al Prefetto o al Consi-
gliere » (Rego/a.m., 214). Il motivo viene spiegato
dallo stesso Don Bosco: « Così eviteranno odiosità,
e non faranno sbagli... Però le mancanze di
rispetto all'assistente siano punite con severi-
» (418). Infatti se l'autorHà dell'educatore vie-
ne messa in non cale, non c'è più sostegno per Ja
disciplina.
Don Bosco voleva si ricordasse che la carità
non conosce antipatie. Non basta non permettere
che il proprio cuore si faccia schiavo di simpatie;
in forza della stessa carità, bisogna evitare le
antipatie, le quali vengono subito conosciute non
solo da chi ne è vittima, ma anche dai compa-
368

40.3 Page 393

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\\_
gnì, e fanno sì che cada la disistima sull'educa-
tore e se ne perda la confidenza.
Altra cosa da evitare è il pessimismo. Qual-
che educatore, per carattere infelice, oppure per
'
stanéhezza o per malattia, prende l'abitudine di
veder tutto nero, mancando così a quanto esige
la più elementare carità. Don Bosco educò sem-
pre a un sereno ottimismo, fecondo di buoni pro-
positi sia negli educatori che negli allievi. L'otti-
mismo, pel Salesiano che vuole imitare Don Bosco,
deve costituire come una seconda natura. Allora
nel suo cuore non metterà radici lo scoraggia-
mento; al contrario sempre più crescerà in se stes-
so la fiducia e si renderà padrone dei cuori.
f) p ARTICOLARE VIGILANZA
SULLE LETTURE CAT fIVE.
1) I libri.
-Don Bosco voleva che si vigilasse soprattutto
sulle letture, e perciò si escludessero dalle case
salesiane libri, riviste, giornali, ·che in qualsiasi
modo potessero nuocere alla formazione degli
alunni. Sui libri egli ha scritto una b ellissima
pagina che ci pare doveroso ricordare: nessun
· commento potrebbe avere la forza persuasiva del-
le sue parole. Il 1 novembre 1884, quando Don'
369
'.

40.4 Page 394

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Bosco era giunto alla maturità, e, quasi vorrem-
mo dire, alla completezza del suo pensiero peda-
gogico, così seriveva a tutti ,i suoi collaboratori:
« Una gravissima cagione mi determina a i,cri-
vere questa lette.ra sul principio dell'anno scola-
stico. Voi sapete quanta affezione io nutra per
quelle anime che Gesù benedetto, Signor nostro,
nella Sua infinita bontà, volle affidarmi e, d'al-
tra parte, non dovete misconoscere quale respon-
sabilità pesa sugli educatori della gioventù e qua-
le strettissimo conto costoro dovranno rendere del-
la loro missione alla divina Giustizia.
« Ma questa responsabilità io debbo sostenerla
con voi indivisa, o miei carissimi figliuoli, e bramo
che si'a p er voi e per me origine, fonte, causa di
,gloria e di vita eterna. Perciò ho pensato di ri-
chiamare la vostra attenzione sopra un punto im-
portantissimo dal quale può dipendere la salute
dei nostri allievi. Parlo dei libri che si devono
togliere dalle mani dei nostri giovanetti e di quelli
che si debbono usare per le letture individuali o
per quelle fatte in comune.
« Le prime impressioni che ricevo110 le menti
vergini e i teneri cuori dei giovanetti durano tutto
il tempo della loro vita, e i libri oggigiorno sono
una delle cause principali di questo. La lettura
ha per essi una vivissima attrazione sollecitando
la loro smaniosa curiosità, e da questa dipende
3'W

40.5 Page 395

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moltissime· volte la scelta definitiva che fanno del
bene o del male. I nemici delle anime conoscono la
potenza di quest'arma e l'esperienza v'insegna
quanto sappiano scelleratamente adoperarla a dan-
no dell'innocenza. Stranezza di titoli, bellezza di
carta, nitidezza di caratteri, finezza d'incisioni,
modicità di prezzi, popolarità di stile, varietà
d'intrecci, fuoco di descrizioni, tutto è adoperato
con arte e prudenza diabolica. Quindi tocca a noi
opporre armi ad armi, strappare dalle mani dei
nostri giovani il veleno che l'empietà e l'immora-
_lità loro presenta: ai libri cattivi opporre libri
buoni. Guai a noi se dormissimo, mentre l'uomo ne-
mico veglia continuamente per seminare la ziz-
zania.
<< Perciò fin . dal principio dell'anno scolastico
si metta in pràtica ciò che le regole prescrivono;
si osservi cioè attentamente quali libri rechino con
sè i giovani nell'entrare nell'Istituto, destinando,
se fa d'uopo, una persona ad ispezionare bauli ed
involti.
« Oltre a ciò il Direttore di ogni casa imponga
ai giovani di far l'elenco coscienzioso di ogni
loro libro e di presentarlo al Superiore stesso.
Questa misura non sarà superflua, sia perchè si
potrà esaminare meglio se qualche libro rimase
inosservato, sia perchè, conservandosi questi elen-
chi, potranno in data circostanza servire pel'I rego-
371
'

40.6 Page 396

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la d'azione contro chi maliziosamente avesse ce-
lato qualche libro cattivo.
« Simile vigilanza .continui tutto l'anno, sia
comandando agli allievi di consegnare ogni libro
nuovo che acquistassero lungo il corso scolastico
o che fosse introdotto dai parenti, amici e condi-
scepoli esterni; sia osservando che, per ignoranza
o per malizia, non siano fatti avere ai giovani
pacchi involti in giornali pessimi, sia col fare
prudente perquisizione in studio, in camerah,
in iscuola.
·
« Le diligenze usate a questo fine non sono mai
troppe. Il professore, il capostudio, l'assistente,
osservino eziandio che cosa si legga in chiesa o in
ricreazione, in iscuola, nello studio. I vocabolari
non purgati sono pure da eliminarsi. Per tanti
giovani i libri cattivi sono il principio della ma-
lizia e delle insidie dei compagni cattivi. Un libro
cattivo è una peste che ammorba molti giovani.
Il Direttore stimi d'aver ottenuto una buona ven-
tura, quando riesce a togliere di mano a qualche al-
lievo uno di questi libri.
« Purtroppo i giovani possessori di questi si
prestano ben difficilmente all'obbedienza e ricor-
rono ad ogni astuzia per nasconderli. Il Direttore
deve lottare contro l'avarizia, la curiosità, la pau-
ra del castigo, il rispetto umano, le passioni sbri-
_gliate. Perciò io credo necessario conquistare il

40.7 Page 397

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cuore dei giovani persuadendoli colla dolcezza.
« Più volte all'anno, dal pulpito, alla sera: nelle
scuole, trattare l'argomento dei libri cattivi, far
vedere i danni che da questi derivano, persua-
dere i giovani che non si vuol altro fuorchè la '
salute delle loro anime, che noi, dopo Dio, amiamo
sopra ogni altra cosa. Non si usi rigore se non nel
caso che un giovane fosse di rovina agli altri. Se
uno consegnasse un libro ad anno avanzato, si
dissimuli anche . la passata disobbedienza, e si
accetti quel libro come un carissimo regalo. Tan-
to più che talora può essere il confessore che gli
ha prescritto simile consegna, e sarebbe impru-
denza cercare più in là. La conosciuta benignità
dei Superiori indurrebbe a:nche i compagni alla
- denuncia di chi nascondesse simili libri.
« Scoperto però un libro proibito dalla Chiesa
o immorale, si consegni subito alle fiamme. Si
. sono visti libri tolti ai giovani e conservati, riu-
scir di rovina a preti e a chierici. Così operando
io spero che i libri cattivi non entreranno mai nei
nostri collegi, ovvero, entrati, saranno presto di-
strutti.
« Ma, - continua il Santo, ~ oltre i libri cat-
tivi, è ·necessario tenere d'occhio certi altri libri,
i quali benchè buoni o indifferenti in sè, pure
possono riuscire di pericolo, perchè non convenien-
ti all'età, al luogo, agli studi, alle inclinazioni,
373

40.8 Page 398

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alle passioni nascenti, alla vocazione. Questi puré
si debbono eliminare. In quanto ai libri onesti
e ameni, se si pòtessero escludere, ne verrebbe gran
vantaggio per il profitto nello studio: i professori
regolando i compiti scolastici potranno misurare
agli aHievi il tempo. Essendo però oggigiorno
quasi irrefrenabile la smania di leggere, e anche
molti libri buoni scaldando troppo le passioni e le
immaginazioni, ho pensato, se il Signore mi dà
vita, di ordinare e stampare una collana di libri
ameni per la gioventù ».
Don Bosco, dopo aver parlato di libri che si
leggono in privato, passa a parlare delle letture
da farsi nei refettori e nella sala di studio: « Dirò
in primo luogo, che non si leggano mai libri se
prima non sono approvati dal Direttore, e siano
esclusi i romanzi di qualunque genere essi siano,
non usciti dalla nostra tipografia ». Indicati poi
alcuni libri che dovevano servire come di guida
e di modello, prosegue: « Riguardo alle letture
nelle camerate intendo di bandire assolutamente
ogni lettura divagante o amena, ma desidero siano
adottati libri che, con le loro impressioni sull'ani-
mo del giovanetto che sta per addormentarsi, sia-
no atti a renderlo più buono. Quindi sarà cosa
utilissima che si llsino in queste circostanze libri
allettevoli, ma d'argomento piuttosto sacro od
ascetico. Incomincerei dalle biografie dei nostri
374:

40.9 Page 399

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giovanetti Comollo, Savio, Besucco, ecc: continue-
rei con quei libretti delle Letture Cattoliche che
trattano di Religione; finirei con vite di Santi,
ma scegliendo le più attraenti ed opportune. Que-
ste letture, che ,5eguono il brevissimo discorso della
sera partito da un cuore che desidera la salute
delle anime, son certo che talora faranno più bene-
di quello che può fare un corso di esercizi spiri-
tuali».
Infine dava sapienti norme riguardanti le pub-
blicazioni dei Salesiani, raccomandando che fosse-
ro sempre ,messe nella luce migliore, specialmente
davanti ai giovani. E finiva così: « Miei cari figliuo-
li, ascoltate, ritenete, praticate questi miei avvi-
si » (419).
2) Giornali e riviste.
Ciò che si dice del libro, vale parimenti per
le riviste e giornali. Quelle sono più ricercate da-
gli allievi, o almeno imposte da certi regolamenti
scolastici governativi p-er gli educatori, per le
biblioteche circolanti e per le sale di lettura.
Noi immaginiamo, data la sensibilità morale e
la energia eduq_ativa di Don Bosco: quanta sarebbe
oggi la sua accortezza per impedire che simili
letture producano conseguenze funeste. _Sappiamo
quanto coraggio Don Bosco, e con lui i suoi figli,
375

40.10 Page 400

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e in particolare Don Cerruti, abbiano avuto nel
sacrificare l'aggiornamento dei giovani su certe
questioni e sulla conoscenza di determinate opere
e pagine letterarie di autori celebri. Essi seppe-
ro affrontare, anche nei licei e nelle università,
il pericolo di rappresaglie negli esami, pur di
rispettare l'integrità morale dei giovani. In que-
sta maniera immunizzarono le anime giovanili,
facendo in modo che non venisse come~chessia
intralciata, o, peggio, guastata del tutto in esse la
formazione morale e cristiana.
D'altronde è risaputo per lunga esperienza,
che la stessa formazione letteraria e scientifica
dei giovani molte volte suEisce detrimento, anzi-
chè avere vantaggio, dal frequente maneggio di
troppi libri, e soprattutto di giornali e anche di ri-
viste: fu detto giustamente che il giornale - e
lo si può ripetere di certe riviste, - è il maggior
nemico del lib:ro. « Tale lettura, - diceva Don Bo-
sco ai suoi preti e chierici, - toglie gran parte del
tempo agli studi severi, volge l'animo a molte co-
se inutili, e per certuni anche dannose, accende
le passioni politiche » (420).
I giovani generalmente non hanno il senso del-
la misura. Ma]J.ca loro soprattutto il giudizio per
una giusta e opportuna valutazione di ciò che può
esser loro conveniente o dannoso. La loro mente,
ancora. in formazione, si lascia più vivamente e
376

41 Pages 401-410

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41.1 Page 401

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profondamente impressionare da pagine e de~
scrizioni leggiere, futili, e anche nocive alla loro
incolumità morale, anzichè dal salutare influsso
di concetti, idee, giudizi formativi e costruttivi
della loro mentalità. Per Don Bosco, come abbiamo
visto, era questo un punto di grande importanza
e lo inculcò insistentemente ai suoi collaboratori
nell'opera educatrice.
L
4. Responsabilità degli assistenti.
In relazione a questo e a -tutti gli _altri aspetti
dell'assistenza, Don Bosco voleva che i suoi assi-
stenti fossero profondamente convinti della pro-
pria responsabilità. e: Essi, - dicono i Regolamen-
ti, - sono i più direttamente responsabili della
disciplina e della moralità» (Regolam., 210). Per-
_ciò non trascurino nessu~a piccolezza che possa
diventare causa di disordine. Tante volte sarà un
nonnulla che presto sparisce; ma alle volte da
piccoli princìpi si producono mali non lievi. e: Guai.
al prete o al chierico il quale, incaricato della vigi-
lanza, vede i disordini e non li. impedisce!... È un
gran male starsene quieti allorchè si conosce qual-
che disordine non impedendolo o non cercando
che lo impedisca chi di ragione » (421).
Di questa responsabilità degli assistenti Don
Bosco cercava di persuadere i giovani stessi. Nel-
377

41.2 Page 402

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la Buona Notte del 15 aprile 1877 parlò, tra l'al-
tro, così:
< Alcuni, pochi, pochissimi, si lamentano con-
tinuamente, e spargono il malcontento fra i com-
pagni, dicendo: - Non possiamo leggere un li-
bro di nostro gusto, senza aver sùbito chi ci in-
terrompa quella lettura; sempre gli occhi dei su-
periori addosso a noi in tutti ·i luoghi! - E altre
cose simili. Spensierati che sono! I vostri assisten-
ti sarebbero crudeli se non facessero così: questo
è il loro · dovere, questo richiede il vostro bene.
Gli assistenti avrebbero ben altro da fare, se si
contentassero del loro personale interesse; potreb-
bero stare tranquilli, se l'assistenza non fosse un
loro preciso dovere. Se ciò fanno è per impedire
il male; e ciò ridonda a vostro bene. Gli assistenti
dovranno inoltre rendere conto a Diq, se avranno
trascurato di assistere i loro giovani e se questi,
per ìoro negligenza, si fossero lasciati andare a
qualche colpa » (422). Già San Bernardo aveva
detto che sarebbe stato lieto di veder su di sè gli
occhi di mille pastori, che conducessero l'anima
sua a pingui pascoli e la difendessero dai lupi.
5. Don Bosco, assiste~t·e modello.
Don Bosco cercava d'infondere nei suoi figli
il senso dell'importanza e della responsabilità del-
378

41.3 Page 403

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l'assistenza, oltre che con le parole, pm ancora
con l'esempio, facendo loro concretamente vedere
con quale oculatez~a e preveggenza, decisione e
posatezza, delicatezz~ e fermezza, serenità e pru-
denza, dignità e comprensione, costanza e fiducia,
bisognava assistere.
Fin dai primordi del suo Oratorio, quando la
maggior parte dei ricoverati erano artigiani, col-
locati a lavoro nelle officine della città, era suo
costume di portarsi tutte le settimane or dall'uno
or dall'altro dei padroni di officina o di bottega,
per vedere coi propri occhi e per informarsi mi-
nutamente della· condotta e profitto nel m estiere
dei suoi giovani. Quando aveva buone notizie, per
1.ncoraggiarli regalava loro qualche coserella·. Li
raccomandava intanto con insistenza alla vigilan-
za dei capi, facendo loro capire che, se egli pro-
curava. che i giovani apprendisti fossero docili e
laboriosi, i padron:i dovevano altresì, dal canto
loro, aver cura di ben istruirli nel loro mestiere
e di tener lontano da essi ogni scandalo. Se qual-
cuno maltrattava i suoi giovanetti, ne prendeva
le difese volendo che fossero trattati bene e che
anche verso di loro, benchè piccoli, fosse rispet-
tata la virtù della giustizia. Se in un laboratorio
scorgeva pericoli pe~ l'anima o per il corpo, ri-
solutamente li cambiava di padrone. E del nuovo
padrone cercava sempre informazioni circa la
379

41.4 Page 404

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cond.otta morale, l'abilità nell'arte e la santi-
ficazione delle feste. Quando non poteva egli stes-
so far tali ispezioni, mandava altri di sua fiducia,
e, appena ebbe dei chierici, anche questi incaricò
di tale vigilanza. Còn lo stesso zelo continuava
ad assistere nelle officine i giovani esterni del-
l'Oratorio festivo, i quali, conservandosi buoni e
, laboriosi, formarono la propria felicità (423).
In casa poi vegliava sempre come sentinella
costante, ma prudente, al fine di prevenire il ma-
le e -vincerlo, qualora avesse gettato -qualche radi-
ce in essa. Nei primi vent'anni dell'Oratorio com-
pariva da per tutto, e talora quando era meno
aspettato: nelle camere, nei laboratori, nelle scuo-
le, n,ei refettori, nei luoghi meno osservati, e più
reconditi. Osservava anche le minime cose. Vo-
leva saper tutto e veder tutto. Un giorno due gio-
vani dopo pranzo si fermarono soli nel loro re-
fettorio per alcuni istanti, esaminando il libro
della lettura. Erano stimati buoni; nonostante,
ecco la voce amorevole di Don Bosco che li chia-
mava.
Altri si erano appartati da tutti per intratte-
nersi di qualche loro progetto, o preparando una
merenda o qualche gioco di quattrini, e Don Bo-
sco all'improvviso sopraggiunge.va: - Che cosa fate
qui? Andate in ricreazione coi vostri compagni.
Un allievo passeggiava tenendo per mano un
380

41.5 Page 405

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compagno o mettendogli un braccio sulla spalla.
Don Bosco gli si avvicinava e scherzando gli da-
va un colpo sul braccio o sulle dita, dicendo: -
Sapeie la regola di non mettervi le mani addos-
so? Giochi di mano, giochi da villano.
Un giorno vide un giovanetto che nel cortile
aveva intrecciato il suo braccio con quello di un
assistente, il quale lasciò fare. Egli attese che
quel chierico fosse solo, e chiamatolo a sè, lo am-
monì severamente.
Su questo punto Don Bosco era delicatissimo.
Iddio stesso premiava lo zelo del suo fedel Ser-
vo con illustrazioni straordinarie. In molti casi
la vigilanza di Don Bosco era inesplicabile e pa-
reva splendesse in lui una speciale virtù visiva.
Spesse volte, mentre era tutto occupato nello scri-
vere o nel pregare in chiesa, o intrattenendosi coi
giovani, o anche in tempo della refezione, a un
tratto chiamava a sè uno dei suoi anziani e d i-
cevagli segretamente: < Va' nella tale camera; vi
sono (e faceva i riomi) tre che, chiusa la porta,
leggono un giornale poco buono; dì loro che esca-
no subito ».
Altra volta ad un allievo giudizioso: « Corri
a dire all'assistente che nel tal luogo, dietro ai _
portici, vi sono alcuni nascosti! Che li faccia sal-
tar fuori ».
Poi, altre volte ancora, a qualche chierico:
381

41.6 Page 406

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« Ascendi in cima alle scale, troverai il tale e il
tale. Di' loro che Don Bosco sa tutto».
Quesi.i fatti si rinnovarono non di rado, e sem-
pre si verificava aver Don Bosco indovinato e
luoghi e persone e circostanze. Ma comunque egli
esercitasse l'ufficio dell'Angelo Custode, ne imi-
tava la paziente e discreta condotta. Per i pre-
testi più naturali del mondo che coonestavano
le sue apparizioni, per la sua bontà e semplicità,
per le continue .dimostrazioni di affetto e di sti-
ma verso tutti senza eccezione, per l'oblìo delle
mancanze scoperte e perdonate, non si destava nei
giovani nessuna diffidenza. Infatti bastava che
egli si presentasse in qualche luogo della casa
perchè corressero intorno a lui (424).
Agli inizi dell'Oratorio, quando mancavano i
chierici e Don Bosco era solo in mezzo a tanti
giovani, per aiutarli a conservarsi puri e buoni.
li faceva assistere colla inassima, ma prudente vi-
gilanza, in ogni luogo ed in ogni tempo, dai gio-
vani più virtuosi, mettendoli quasi nella impos-
sibilità- di fare mancamenti (425).
E voleva averli sempre sott'occhio i suoi gio-
vani (426). A volte, , fattili sedere intorno a sè,
li divertiva con giochi di prestigio, colla bacchetta
e simili. Ma questi giuochi e queste industrie non
lo distraevano dalla vigilanza su tutto il cortile.
ed .era espertissimo nel conoscere _le sue pecorelle.
382 '
_,

41.7 Page 407

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Perciò quando scorge-va in tempo di ricreazione
certi crocchi e poteva dubitare s'intrattenessero
in cose non convenienti o di mormorazione, ne
chiamava uno e dicevagli: « Ho bisogno di un
piacere da te; prendi la chiave della mia· camera,
cerca nello scaffale il tal libro e portamelo ». Il
giovane correva, ma talora il libro non si trovava,
e veniva la fine della ricreazione: Don Bosco, rin-
graziandolo, lo mandava a scuola (427).
Nei pomeriggi della Domenica egli stesso s'in-
teressava del divertimento, ed era sempre in mez-
zo ai giovani. Aggiravasi qua e là, si accostava
or all'uno or all'altro, e, senza che se ne avvedes-
se.ro, li interrogava per conoscerne l'indole ed i
bisogni. Parlava in confidenza all'orecchio a que-
sto e a quello. Fermavasi a consolare o a far
stare allegri con ·qualche lepidezza i malinco-
nici. · Egli _p~i ·era sempre lieto e sorridente, ma
nulla di quanto accadeva sfuggiva alla sua atten-
ta osservazione, ben sapendo di quali pericoli
potesse essere causa l'agglomeramento di giovani
di varia età, condizione e condotta. E noff·inter-
rompeva ' questa sua vigilanza neppur quando eb-
be chierici e preti as·sicÌui nell'assistenza, volendo
egli pel primo stabilire, col suo esempio, il me-
todo così importante di non lasciar mai giova-
ni da soli (428).
1
'"
Altre volte disponeva i giovani in fila, a due a
1,
~-
383

41.8 Page 408

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due, mettendosi in testa alla schiera, e poi in mar-
cia, e avanti. Egli intonava lo stornello piemonte-
se: un doi, polenta e coi (uno-due: polenta e ca-
voli); i giovani lo ripetevano centinaia di volte,
cadenzando il passo, battendo le mani ed i piedi
con tale fracasso sotto- i portici da far tremare la
terra. Ora si usciva all'aperto, ora si rientrava
tra le arcate. Ora si piegava a destra e ora a
sinistra; ora si montava le i scale da mia parte,-
si passava per un corridoio e si discendeva per
un'altra scala. E sempre battendo le mani e le-
vando la voce secondo l'esempio che- dava loro
Don Bosco. Infine stanchi, ma lieti, sentivano con
rincrescimento il suono del campanello che li chia-
mava alle proprie occupazioni. Questa passeggia-
ta ,teneva luogo di una pattuglia in perlustrazio-
ne (429).
Non poteva soffrire che alcuni durante la ri-
creazione stessero appartati da tutti gli altri com-
pagni; nè permetteva che vi fossero panche per
sedersi (430).
Nell'intento di porre un argine ai per1coli delle
vacanze, provvedeva a far sorvegliare i suoi gio-
vani dai loro parroci, inviando ad essi, per mezzo
dei giovani stessi, una lettera di raccomandazione
del tenore seguente:
« Raccomandiamo rispettosamente questo no-
st_ro allievo alla benevolenza -del suo signor Par-
384

41.9 Page 409

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dato e che niente affatto ricordava nell'atto del
fallo commesso, e che avrebbe per certo evitato,
se una voce amica l'avesse ammonito ». Invece,
- afferma Don Bosco, - « l'allievo preventiva-
mente avvisato non resta avvilito per le mancan~e
commesse, come avviene quando esse vengono
deferite al Superiore, nè mai si adira per la cor-
rezione fatta o per il castigo minacciato oppure
inflittÒ, perchè in essi vi è sempre un avviso ami-
chevole e preventivo che lo ragiona, e per lo
più riesce a guadagnare il cuore, cosicchè l'al·
lievo conosce la necessità del castigo, e quasi lo
desidera » (Regolam., 89, 2°, 1°).
D'altronde il far conoscer-e le regole da parte
dell'educatore serve ad accrescere la sua autori-
. tà. Gli alu.nni si persuadono che egli non opera
e a caso, meno ancora ·a capriccio, ma che, citan-
do le regole ed appoggiandosi ad esse, non esige
che l'osservanza di un mezzo, il quale serve a
renderli migliori. P er questo Don Bosco consiglia-
va di non dire ai giovani « Voglio così », ma in-
vece « L e r egole, o i regolamenti, esigono così ».
Per lo stesso motivo voleva che nessuno le modi-
ficasse arbitrariamente, ed esigeva che fossero os-
servate da ·tutti incominciando dal Direttore e
dagli altri Superiori.
~
417
l:a;:
14 (I)
V,

41.10 Page 410

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b) MEZZI PER J•'AR CONOSCERE LA LEGGE.
Per far conoscere le leggi d·ell'Istituto, Don
Bosco ordinava per l'inizio di ogni anno scolastico
la pubblica e · solenne lettura del Regolamento:
lettura che poi passò nella tradizione delle al-
tre case salesiane. In occasione infatti dell'aper-
. tura del collegio di Mirabello, Don Bosco, che ne
aveva redatto il ·regolamento, stabiliva che, sul -
principio dell'anno scolastico, seguendo l'usanza
dell'Oratorio, si leggesse detto regolamento ai gio-
vani del collegio, radunati nella sala di studio,
alla presenza di tutto il corpo insegnante e di-
rigente. Voleva alt_resì che non si omettessero g]i
articoli che riguardavano gli uffici e i doveri dei
singoli Superiori, compresi quelli dello stesso Di-
rettore, poichè i giovani dovevano riconoscere che
anche i Superiori erano soggetti al Regolamento
e facevano semplicemente il loro dovere, e -non ·
operavano ad arbitrio, quando esigevan~ obbe-
dienza, prendevano misure di sorveglianza, rim-
proveravano e anche, nella necessità, costringeva-.
no. Tale lettura doveva pure costituire gli a-
lunni testimoni della fedeltà dei Superiori ai loro
doveri, sicchè questi, come modelli, potessero dir
loro francamente: - Obbedisco, io, obbedite an-
che voi! (491).
In secondo luogo, se~pre per lo stesso motivo,
418

42 Pages 411-420

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42.1 Page 411

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Don Bosco ordinava una lettura settimanale dei
regolamenti. « Ogni settimana, in giorno determi-
nato, se ne spieghi qualche articolo » (Rego-
lam., 112). Si può scegliere il giorno in cui si leg-
.gono agli allievi i voti di condotta settimanali
nello studio o in altri luoghi (492).
Il 3 febbraio 1868 Don Bosco tenne una con-
-ferenza a tutti i Direttori ed esortò i preti ed i
chierici a essere i primi nell'osservanza delle re-
gole della casa e che tutti procurassero di aver-
ne un'esatta conoscenza. A tal fine raccomandò
al Direttore degli studi di trovar modo di leggere -
ogni settimana un tratto del regolamento ai preti,
ai chierici e ai giovani assieme radunati. Nuova-
mente rigettò la proposta, fatta da alcuno, di
nascondere ai giovani le regole a cui debbono
sottostare i chierici e i preti. « I giovani - disse --
avrebbero motivo di lagnarsi quando si vedessero
essi soli stretti da regole e da doveri. In pubblico
bisogna essere riservati nel parlare di fatti, quan-
do questi siano riprovevoli: ma parlar chiaro a
tutti in fatto di leggi » (493).
P:r;esentandosene l'occasione, Don Bosco spie-
gava qualche articolo dei Regolamenti anche nella
' Buona Notte, sicuro di promuovere, co~ la cono-
scenza, anche l'osservanza dei medesimi e il pro-
fitto morale degli allievi.
Volendo che i suoi allievi capissero bene i loro
419
.
.

42.2 Page 412

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doveri e la loro responsabilità, metteva in rilie-
vo le conseguenze morali della trascuratezza delle
leggi disciplinari.
La sera del 30 maggio 1865, dopo di aver
parlato di altre cose soggiunse: « Molti di voi do-
manderanno: - E dunque peccato trasgredire Je
regole della casa? - Pensai già seriamente a que-
sta questione e · vi rispondo assolutamente di sì.
Non vi dico sia grave o leggero: bisogna regolarsi
dalle circostanze; ma peccato lo è. Qualcheduno
mi dirà: - Ma nella legge di Dio non vi è che noi
dobbiamo ubbidire alle regole della casa! - Ascol-
tate: Vi è nei Comandamenti: - Onora il padre
e la madre! - Sapete che cosa vogliono dire
quelle parole: padre, madre? Comprendono Dll-
che chi ne fa le veci. Non sta anche scritto ~
nella Sacra Scrittura Oboedite praepositis vestris?
Se voi dovete ubbidire, è naturale che essi ab-
biano a comandare. Ecco l'origine delle regole
d'un Oratorio, ed ecco se siano obbligatorie sì
o no » (494).
Similmente a proposito di coloro, che nono-
stante le proibizioni del Regolamento si ost_inano
a ritenere danaro ·presso di sè, Don Bosco osser-
vava la sera del 30 marzo 1876: « Io non so come
costoro possano accostarsi tutti i giorni alla San-
tissima Eucaristia, e pregare con fiducia di con-
seguire ciò che do~andano.
420

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- Oh! Questo non è mica peccato!
- Ed io ripeto che non so come costoro si ac-
costino ai Sacramenti con una disubbidienza
così grave sulla coscienza. Io sono solito a dire /
che costoro è meglio che non ci vadano. Che frut-
to può ricavare dalla santa Comunione chi va
a ricevere Gesù quasi dicendogli: - lo voglio
continuare ad offendervi! - Infatti questo tener
denari è la radice dei disordini ordinari, che av-
vengono nelle passeggiate » (495).
Questa forma di parlare di Don Bosco era un
modo efficacissimo per far conoscere agli alun.ni
non solo i regolamenti, ma anche la relativa im-
portanza delle singole prescrizioni.
In tal modo Don Bosco mostrava ai giovani
la necessità di ·osservare le leggi dell'istituto non
per paura, nè per la stima degli uomini, ma ba-
sandosi unicamente sopra il timore di offendere
Dio.
2. L'amorevole correzione negli esempi ·
e nelle parole di Don Bosco.
Tutte le precauzioni indicate no~ bastano però
a impedire le mancanze; e, quando queste sono sta-
te commesse, ci vuole l'avviso e la correzione.
421

42.4 Page 414

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, a) CoME CORREGGEVA DoN Bosco.
I) Sua delicatezza.
Anche qui c1 e d'esempio il nostro ·santo Fon-
datore e Padre. Egli era delicatissimo di coscien-
za e si sforzava di tener lontana anche"ogni appa-
renza del male, cercando con una continua
amorevole assistenza, colla frequenza dei Sacra-
menti e con industrie senza numero, di allonta-
nare dai giovani, per quanto era possibile, ogni
pericolo di peccato ed ogni disordine -dalla Casa.
Egli aborriva tanto l'offesa fatta a Dio che si
sarebbe sàcrificato cento volte al giorno per im-
pedirne anche una sola: « Com'è possibile - e-
sclamava talora, - che una persona assennat~,
la quale creda in Dio, possa indursi ad offenderlo
gravemente? ». Se qualcuno avesse commesso qual-
che grave mancanza, · se ne rattristava quanto
non avrebbe fatto per qualsiasi altra disgrazia
accadutagli,. e, tutto addolorato, diceva ai colpe-
voli: « E perchè trattar così male Iddio, il quale
' ci vuol tanto bene? » E talora fu visto piangere.
Tutte le sue parole in privato e in pubblico ave-
vano il fine d'ispirare orrore per il peccato (496).
Nel suo zelo per la gloria di Dio e per il bene
delle anime, rivolgeva all'occorrenza i suoi paterni
ammonim~nti a tutti e a ciascuno. « Una domeni-
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42.5 Page 415

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ca sera, - narrò egli stesso, - vidi certo giovane
adulto maltrattare uno dei suoi compagni .. più
piccoli. A quell'atto io fremetti e dovetti farmi
grande violenza per non parlare. All'indomani
però, incontrando quel giovanotto, non tralasciai
di fargli un'amorevole correzione» (497).
Osservava attentamente la condotta dei suoi
futuri collaboratori, e li trattava con tanta amore-
volezza, che gli portavano vero affetto filiale, ri-
ponendo in lui ogni confidenza. Ed egli si affati-
cava a distruggere in loro ciò che poteva condurli
al peccato, e, per incoraggiarli a vincere i propri
difetti, diceva che non bisogna pretendere di
diventar santi in quattro giorni, perchè la perfe-
zione si acquista con fatica a poco a poco.
Quasi _ non passava giorno senza che desse
in particolare qualche consiglio. Usava gran pru-
denza nel compatire la suscettibilità dei vari ca-
ratteri, non prendendoli di fronte nel comandare,
e specialmente nella distribuzione degli impieghi.
Non mancava di correggerli al minimo' difetto
che in essi scoprisse, ma stava in grande atten-
zione a non disgustare nessuno. Il suo avviso non
era mai un rimprovero che irritasse, e tutti. inten-
devano come egli ciò facesse per amore del lo-
ro bene. Nell'inverno, un tale non compariva da
qualche mattina in chiesa ad ascoltare la santa
Messa, perchè si levava dal letto più tardi dell'ora
423

42.6 Page 416

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stabilita. In tempo di ricreazione, essendosi co-
stui avvicinato a Don Bosco, si sentì domandare:
- Oh! come sono contento di vederti: e come
stai di sanità?
- Benissimo, grazie a Dio.
- Tanto meglio! Credevo che· tu fossi amma-
lato: è qualche giorno che non ti vedeva prendere
parte al mattino alle oraziom m comune.
La lezione produsse il suo effetto e l'altro fu
più diligente (498).
Con garbo sapeva dire ciò che loro conveniva,
anche ai Sacerdoti. Un giorno, venendo a casa,
incontrò per via un suo giovane prete, il quale,
dopo aver discorso di molte cose, finì col criticare
il modo di predicare dell'Abate Barde ssono.
Don Bosco lo interruppe ·e gli domandò: -
:-- E tu hai già predicato?
Il pretino rispose di no. E Don Bosco:
- Ebbene, aspetta che tu abbia incominciato
a predicare, e poi se ti basta l'animo, criticherai
l'Abate Bardessono (499) .
Nè risparmiava i suoi rimproveri all'intera
Comunità.
Ora bisogna notare che la potenza mirabile di
Don Bosco stava in questo: egli aveva in mano il
cuore dei suoi giovani. Con una sua parola li
metteva nella più grande allegria, al modo stesso
che, con l'apparenza sola di un suo rimprovero,
424

42.7 Page 417

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li faceva cadere nella pm profonda tristezza.
Accadde adunque che i giovani, sentendo ancor
nelle ossa la dissipazione delle vacanze, una sera
dopo le orazioni non si prendevano tanta cura
di far silenzio appena ricevutone il segno. Don
Bosco era in cattedra, e, dopo aver atteso per
qualche momento, a un tratto esclamò con grande
pacatezza:
- Ma sapete che io non sono contento di
voi? - E li mandò a letto senza permettere che
gli baciassero la mano.
Era questo il castigo più forte e più temuto,
perchè il più sensibile che il buon Padre _potesse
infliggere ai suoi figliuoli, e non ci fu più bisogno
d'altro poichè, da quel giorno memorabile, Don
Bosco non aveva che a comparire perchè si po-
tesse anche udire volare una mosca (500).
Ma il suo zelo non andava mai disgiunto da
una estrema delicatezza nel correggere. A volte
si mostrava persino faceto nei suoi modi. Diceva
ad alcuno che aveva visto dissipato in chiesa al
tempo della predica:
Dimmi: hai tu mal di denti, poveretto?
- Io? No!
- Almeno mi sembrava che avessi male ai
denti. - Quindi gli spiegava, come intendesse dire
che masticava male la parola di Dio, che nòn la
gustava e che perciò non ne ricavava profitto.
425
..

42.8 Page 418

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Dicendo: « Poveretto, hai male al capo », in-
tendeva i capricci e le disubbidienze. Un motto
che aveva molto· familiare era questo: « Quaiid'è
che ti metti a far miracoli? » E simili frasi talora
diceva all'improvviso a chi stava pensoso e pareva
distratto badando ad altro, e a chi parlava som-
messo al compagno nel crocchio d'intorno.
A un giovane ·che, da alcuni mesi non si ac-
costava ai santi Sacramenti, un giorno disse:
- Ehi, l'amico! Non saresti disposto domani a
pranzare con me? - E, alla risposta affermativa,
soggiunse: - Bada che io pranzo domani mattina
alle sette e mezzo - alludendo alla Mensa Euca-
ristica durante la Santa Messa.
Era un caro spettacolo contemplare Don Bos~o
in mezzo a un numero di allievi, che egli, mentre
stava ragionando, passava in rivista ad uno ad
uno collo sguardo. E per tutti aveva poi un motto.
« Come stai? Sei buono? Sei proprio un angio-
letto? ». E chiusa la mano, sollevava l'indice ed
il mignolo, facendo le cornette. E i giovani, ri-
dendo, imitavano lo stesso gesto sopra la testa del
compagno che avevano dinanzi.
A un piccolo che appoggiava la testa al suo
braccio Don Bosco diceva: - ·Sta zitto! - Ad un
I
altro: - Ah, cattivello! - E lo minacciava scher-
zosamente col dito. Ad altri giovani: - Voglio
che siamo amici, ma davvero e non per burla.
426

42.9 Page 419

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- Dimmi: lo sei mio .9-mieo sincero? - Quindi
a taluno: - E quando ci vedremo? - E il giova-
ne intendeva che si trattava di cose dell'anima e
della vocazione.
Talora indirizzava un avviso a un giovanetto,
e poi, volgendosi improvvisamente ad un altro:
- Hai capito? (501).
Se chi parlava con lui pronunciava uno spro-
posito di grammatica, gli rincresceva che i presen-
ti facessero atto di critica o di scherno, e, rispon-
dendo a quel tale, faceva entrare nella sua r-ispo-
sta la parola errata, correggendola, senza fare
alcuna osservazione, sicchè l'uno e gli altri capi-
vano (502).
Nella primavera del 1879 Don Bosco si trovava
1~ a Lanzo. I convittori durante il passeggio avevano
trovato una nidiata di merli, che allevarono di
nascosto. Ma, pel cattivo -trattamento degli alle-
vatori, le povere bestiole ben presto soccombet-
tero. Morto l'ultimo uccelliri.o, i ragazzi s'accor-
darono .di dargli onorata sepoltura; e nel tempo
della ricreazione, fecero il trasporto scimiottando
' le cerimonie usate dalla Ch.iesa nei funerali.
Don Bosco da una finestra aveva seguito tutto
lo svolgersi della scena=· poi, durante lo studio,
mandò a chiamare colui che era stato il protago-
nista della birichinata. Con aspetto grave grave
gli fece capire la brutta cosa che aveva fatto,
427
.j
•·

42.10 Page 420

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una vera pròfanazione da non doversi ripete.re
mai più. Non appena quindi vide il bricconcello
tutto c.ompreso del proprio fallo, mutò registro.
Disse che perdonava a lui e agli altri, e nel
congedarlo gli regalò un pacco di caramelle, da
distribuire anche ai suoi complici. La lezione ci
voleva e ci fu; ma nel modo di impartirla c'era
tutta l'anima e il sistema educativo di Don
Bosco (503).
2) La parolina all'o-recchiÒ.
Ma il Santo aveva a sua disposizione altri
mezzi per impartire i suoi avvisi a chi ne avesse
bisogno. Le sue paroline all'orecchio, dette- anche
in tempo di ricreazione, sono rimaste· memorabili
per i loro meravigliosi effetti (504).
La parolina all'orecchio era come l'eco-della
parola di Dio: viva, efficace, e più taglient.e di
una spada a due tagli, e pe1J,etrante sino a divi-
dere l'anima e lo spiriJto, le giunture e le midoll~,
e scrutatrice dei sentimenti e dei pensieri del
cuore (505).
Don Bosco, con grande zelo e prudenza, reg-
gendo tutto col suo consiglio, informandosi di tut-
to, conoscendo ogni giovanetto tnterno ed esterno,
distinguendoli per nome e per carattere, sapeva
porgere con irresistibile ·amorevolezza un avviso
sempre adattato ai bisogni di ciascuno. Ma ciò

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43.1 Page 421

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che dava massima efficacia a tale parola, era che
tante volte questa indicava a un giovane cose se-
grete; solo a lui note, e sovente avvenimenti fu-
turi che lo riguardavano. Perciò i giovani le da-
vano la massima importanza.
Spesse volte interrogava: - Vuoi che ti dica
una parola? - Ovvero il giovane stesso chiedeva:
- Mi dica una parola! -,- Don Bosco all~ra gli
passava una mano sul capo e, curvandosi al suo
orecchio, gli parlava in segreto, coli'altra mano
facendo riparo alla sua bocca perchè nessuno po-
tesse udire.
Era . cosa degna d'esser vista il vario aspetto
che prendevano le fisionomie dei giovani in quel-
1'atto: ora sorridenti, ora seri; taluno veniva rosso
fino alla radice dei capelli, tal altro si metteva
a piangere; questi accennava un sì, l'altro un
no: questi si ritirava raccolto a pensare, da solo;
quegli gridava un grazie e correva poi a · giocare;
un altro andava in chiesa a fare una ~isita.
Ora era un consiglio, ora un'osservazione. un
eccitamento al bene, ed anche un rimprovero. Don
Bosco non soleva rimproverare aspramente, e mol-
to meno in pubblico. Mai faceva qmoscere di
aver poca stima di un g~ovane, ed anche coloro
che sentivano di non essere meritevoli di riguardi
sapevano che Don Bosco non li avrebbe in nes-
sun modo svergognati. Egli in tutta la vita non
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umiliò ·mai nessuno; eccettuato il caso in cui si
dovesse mettere riparo a uno scandalo da tutti
conosciuto. Di qui la fiducia e l'abbandono nel
Superiore della quasi totalità di costoro.
Queste paroline più comunemente suonavano
così : « Potresti farmi un fioretto alla Madonna?
studiare un po' meglio la· lez.ione? - Geisù ti a-·
spetta in chiesa per una visita. - Togliti quel-
l'abitudine di mettere le mani -addosso agli altri.
- Ti sei confessato bene? - Perchè non vai più
sovente alla Comunione? - Ah, quei compagni!
- Coraggio! Invoca Maria, ed Essa ti aiuterà!
- Se .tu potessi vedere lo stato della tua- anima!
· - Continua così: la Madonna è contenta di te!
- Ricordati bene: ci troveremo insieme in Para-
diso. - Procura di fare una buona confessione
e proverai una gran contentezza. - Qui faciunt
peccata hostes sunt animae s_.uae (coloro che pec-
cano, sono nemici della propria anima). - Re-
cita cinque Pater alle Piaghe di Gesù pel fine
di ottenere che niuno di .quelli che muoiono in
questo giorno vada all'inferno. - Aiutami a sal-
vare l'a,nima tua. - Allegri, un g'iorno staremo
insieme col Signore. - Sii obbediente e sarai san-
to. - Chiedi alla Madonna di non cader mai in
peccato in vita tua. - Puoi dormire tranquillo
questa notte? - E cento altre frasi di simil
genere, che variavano secondo il bisogno. Gli spet-
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43.3 Page 423

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tatori per lo più ne notavano l'immediato effetto.
Attesta Mons. Cagliero: « Sovente questa pa-
rola all'orecchio usciva come un'affocata giacula-
'
'toria con ardenti sospiri, e noi che gli eravamo
vicini ci sentivamo scaldati di amore per Dio e
per lui, che pur tant~ ci amava nel Signore. Tut-
to per il Signore e per la sua gloria! Era questo
il ritornello quotidiano che risuonò al mio orec-
chio migliaia di volte» (506).
3) Nella « Buona Notte».
Altro mezzo per fare le sue ammonizioni era
il sermoncino della sera, fatto sempre con gran-
de amorevolezza: rare volte rivestiva un tono al-
quanto S'evero, e, più raramente, in via eccezio-
nale, addirittura tragico.
· A màli estremi estremi rimedi, pensava il
Santo. Il suo unico fine e:ra la salute delle anime;
di qui la guerra al peccato a qualunque costo,
senza rispetti umani che lo trattenessero, senza
curarsi dei giudizi che certi prudenti avrebbero
potuto emettere sopra il suo modo di operare e
di parlare. Egli era mosso dalla Fede, e se, dopo
aver tentato ogni mezzo di correzione, certi gio-
vani apparivano incorreggibili, usciva più volte
con ardente zelo in tali ammonizioni che rima-
nevano memorande nella sua vita.
431

43.4 Page 424

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Memorabile fra tutte la Buona Notte deJ 15
settembre 1867.
Parecchi giovani non si regolavano bene; al-
cuni anzi erano di vero scandalo ai compagni.
Don Bosco voleva mettere rimedio al male e lo
fece, con insolita fermezza, dina.nzi all'intera co-
munità. Con la calma che è propria dei santi
anche nelle ore di gran pena, dopo d'aver ricor-
dato quanto il Divin .Salvatore aveva fatto per
le anime, le Sue terribili minacce contro gli scan-
dalosi, .parlò anche di ciò che egli stesso aveva
fatto e stava facendo per il bene dei giovanetti,
~he la Divina Provvidenza gli aveva affidato.
Poi passò a dire come nell'Oratorio ci fossero
dei giovani, i quali non solo non corrispondevano
alle sue fatiche e tenerezze, ma che si erano
henanche fatti ministri di Satana per trasci:o.are
anime all'inferno. E perchè i colpevoli non avesse-
ro a pensare di non essere conosciuti, il Santo pro-
nunciò lentamente e distintamente il nome di
sei giovani specificandone la colpevolezza. Scri-
ve il biografo che « la voce di Don Bosco era
calma, spiccata; e che, a<l' ogni nome, si udiva
un grido o un singhiozzo' che risuonava in mezzo
al cupo silenzio dei compagni ». Le parole di Don
I
.
Bosco, pronunciate in difesa dei diritti di Dio
e delle anime, furono di un'efficacia singolare.
Infatti al termine di quella impressionante
432

43.5 Page 425

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parlata, mentre' tutti si ritiravano, Don Bosco
non si allontanò come chi si sente offeso o sde-
gnato, ma si fermò sereno sotto i portici dove
pure erano rimasti i sei nominati. Di questi, al-
cuni presero le sue mani baciandole, altri si at-
taccarono alla sua veste. Il Santo li guardò e
una lagrima scorreva sulla sua guancia: poi disse
a ciascuno una parola confidenziale di conforto
e salì in camera.
Aggiungeremo che all'indomani Don Bosco
prese le misure che ritenne necessarie per l'inco-
lumità morale dei giovani e perchè l'Oratorio fos- ,.__
se, come sempre, arca di salvezza e palestra di
virtù per i suoi cari giovanetti (50?).
Talvolta la Buona Notte conteneva avvisi ge-
nerali, comunicatf con una certa solennità, come
soleva fare per l'anno nuovo, quando- a tutti i
giovani riuniti dava la cosiddetta Strenna: era,
questa, una massima morale e religiosa da pra-
ticarsi durante tutto l'anno. Per richiamarla alla
memoria, esigeva che fosse esposta in un "quadret-
to. E questa tradizione continua tuttora nelle
case Salesiane con buoni risultati.
Fin dai primi tempi Don Bosco aveva inco-
minciato a dare, sul finire dell'anno, una Stren-
na a tutti i suoi giovani in generale e un'altra
a ciascuno in particolare. La prima consisteva in
norme da seguire pel buon andamento dell'anno
433

43.6 Page 426

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che stava per incominciare, -ed era talora accom-
pagnata da previsioni o profezie di ciò che sa-
rebbe ~ccaduto. La seconda era una massima o
un consiglio, d ato confidenzialm_ente a voce o
per iscritto e adattato ai bisogni e alla condotta
di ciascuno. Queste Strenne caratteristiche col-
pivano la mente, rimanevano stàmpate in cuore,
e lungo l'anno, ricordate da Don Bosco, in mo-
mento opportuno ed in segreto, producevano mi-
rabili effetti (598).
Erano pure di carattere generale gli avv1s1
fatti stampare su appositi foglietti e distribuiti
ai giovani, a guisa di Ricordi per passare bene
le vacanze (509).
4) Nel cortile.
Don Bosco correggeva i giovani, quando se ne
porgeva il destro, anche durante i giochi in cortile.
Racconta Don Bonetti riferendosi al 1861:
« Generalmente dopo pranzo e dopo cena Don
Bosco trovavasi in ricreazione con noi. O r a in
piedi ed ora seduto sopra una tavola o anche
sul nudo' terreno, circondato sempre da una lar-
ga corona di giovani, egli ci deliziava raccon-
tandoci fatti ameni ed esempi edificanti. Tal-
volta volgeva una . parola d'incoraggiam_ento a
questo, che ne sapeva abbisognare; tal altra ne
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43.7 Page 427

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diceva una in confidenza nell'orecchio a quello;
onde, mutandosi ognora attorno a lui i giovani,
e succedendosi gli uni agli altri pel piacer~ di
stargli vicino, avveniva che quasi tutti in pochi
giorni ricevevano, come pulcini dall'amorevole
chioccia, una imbeccata, che loro dava e conser-
vava la vita. Altre volte faceya chiamare a sè
o andava egli stesso in cerca di ·taluno che cono-
sceva più o m eno bisognoso di esser scosso al
bene o allontanato dal male, e, a quattr'occhi
e con una bontà inarrivabile, dicevagli alcune
parole, che, nell'animo suo, facevano più effetto
che una muta di Spirituali Esercizi.
« E, siccome, dopo le ora~ioni della sera e
finito il breve sermoncino, i giovani si presenta-
vano a lui d'intorno per augurargli la buona not-
te, od esporgli un dubbio e chiedergli un con-·
siglio, così egli coglieva premurosamente il de-
stro, e diceva a questo o a quell'altro una pa-
rola confidenziale, che veniva custodita come un
tesoro e praticata con molta fedeltà »· (510).
Senza tralasciar di fare amorevoli rimprove-
ri a chi se li meritava, quando t emeva che fos-
sero ricevuti in mala parte, procurava che in-
sieme con quel permaloso si trovasse un compagno
di giudizio, talora preavvisato e talora no. A que-
sti rivolgeva la correzione, e così l'altro amico ri-
ceveva il fatto suo, intendeva il -suo obbligo sen-
435

43.8 Page 428

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z'accorgersi, almeno in quell'istante, dello stra-
tagemma.
Il buon effetto però non poteva mancare. Que-
gli, riflettendo, si accorgeva come Don Bosco
avesse ragione, e ritornava più tardi presso di
lui per chiedere scusa e promettere condotta e-
semplare (511).
Quando eravi qualche ruggine o dissenso ab-
bastanza accentuato tra due giovani dei più gran-
dicelli, e vedeva cosa difficile rimetterli in buona
armonia, allora correva al ripiego da lui chiamato
(: delle tre passeggiate ». Invitava il primo a fa-
re una passeggiata: quest'atto di amicizia calmava
quel _cuore alterato, mentre aveva agio di raccon-
tare tutta la storia dei torti che credeva gli fos-
sero stati fatti. Un altro giorno invitava il se-
condo a uscire a passeggio con lui e lasciava che
dicesse a carico del compagno tutto quello che
credeva. S'intende che con ragioni affabili cerca-
va dj dissipare i pregiudizi dell'uno e dell'altro,
senza però urtare i loro sentimenti.
Finalmente invitava.li tutti e due insieme ad
andare fuori con lui per un po' di svago. Sul
principio faceva;no qualche smorfia, ma senza
osare di rifi~tarsi. Silenziosi e incerti lo segui-
vano, e il buon Padre li rallegrava, li muoveva
al riso: quando si ritornava all'Oratorio, i due
erano ridivenuti amici (512).
436

43.9 Page 429

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Un'altra industria di Don Bosco era lo scrive-
re di quando in ·quando un bigliettino, facendolo
rimettere a chi voleva dare un consiglio. Alcuni
furono conservati: - Parla poco degli altri e
meno di te. - :Ama i tuoi doveri, se desideri
adempirli. - Sopporta volentieri i difetti altrui,
se vuoi che gli altri sopportino i tuòi. - Non cer-
care di scolparti dei tuoi difetti, cerca piuttosto
di emendartene. - Agli altri perdona tutto, a
te nulla. - Non tener amico chi soverchiamente
ti loda. - Dimentica i servizi prestati e non quel-
li ricevuti. - La salvaguardia più sicura contro
l'ira è tardare a sfogarla. - Non lodare un uo-
mo per la sua avvenenza: così dice lo Spirito San-
to (513).
5) Efficacia correttiva
dello sguardo di Don Bosco.
Iddio aveva concesso a Don Bosco il dono
della parola con tanta pienezza che tutto in lui,
sguardo, accento, movimento, avevà ragione di
linguaggio. Con l'occhio in modo speciale eserci-
tava simultaneamente le potenze della mente e
del cuore. Col suo s·guardo misurato, calmo, se-
reno, s'impossessava del pensiero altrui con at-
trazione irresistibile, e, con la stessa forza, quan-
do lo voleva, era egli stesso compreso. Spesso un

43.10 Page 430

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motto, un sorriso accompagnato dallo sguardo
fisso, valeva una domanda, una risposta, un in-
vito, un discorso intero.
« Tante volte Don Bosco guardava un giova-
ne in II1-0do così particolare, che i suoi occhi
dicevano ciò che il suo labbro in quel momento
non esprimeva, e gli faceva comprendere ciò che
deside:rava da lui. E il buon giovane, risponden-
dogli col labbro, stupiva di aver perfettamente
compreso il ragionamento intellettuale di Don
Bosco.
« Talvolta si trattava di cose che non avevano
nessuna relazione con ciò che prima era stato det-
to, oppure che si era in quell'istante visto od
operato; era una interrogazione che personalmen-
t~ non riguardava l'interrogato: un comando,
un avviso, un consiglio per la scuola, per la ri-
creazione od altro. E si intendeva benissi-
mo » (514).
Sovente Don Bosco, mentre conversava tran-
quillamente con altri, seguiva con lo sguardo un
giovane in qualunque parte egli andasse del cor-
tile e dei portici. Ma ad un .tratto lo sguardo di
quel ragazzo si incontrava con quello del nostro
Padre, e, legg~ndo in quell'occhio così limpido
un desiderio di parlargli, veniva a chiedergli che
che cosa volesse da lui. E Don Roseo glielo di-
ceva all'orecchio.
438

44 Pages 431-440

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44.1 Page 431

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Non di rado, mentre aveva dinanzi molti al•
· lievi, ne fissava uno o due, facendo con la mano
quasi visiera ai suoi occhi, come chi è contro lucé
e vuole veder meglio; pareva penetrasse nell'in-
timo del loro cuore. E infatti leggeva nel loro
sembiante qualche indizio di colpa e di rimorso.
Un suo leggero muover di capo allora bastava:
non vi era· più bisogno di altro accenno; restava
solo da stabilire il momento della confessione. ·
Don Bosco guardava ancora nel modo soprad-
detto, allorchè qualcuno gli faceva una promes-
sa che sapeva non sarebbe stata mantenuta, ov-
vero gli diceva cosa contraria alla verità. Ma
quell'atto esprimeva questa volta, e chiaramente,
un dubbio e un rimprovero, o una negazione,
ed era come l'esordio di un buon avviso.
In ricreazione, a chi ·aveva conosciuto come
troppo curioso nel voler sapere ciò che altri fa-
cesse o dicesse, o nell'ascoltare qualche facezia
o discorso non conveniente, egli coll'indice com-
primeva leggermente il lobo dell'orecchio sul pa~
diglione, in atte di sigillarlo. Se vedeva qualcuno
un po' libero negli sguardi, quasi scherzando,
gli toccava . I-e palpebre abbassandogliele come
per chiudergli gli occhi. A un altro poi, pren-
dendogli le due labbra col suo pollice ed indice,
gli chiudeva· la bocca, volendo così significare
che non s'aprisse per mormorare. Ciò faceva con
439

44.2 Page 432

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una delicatezza impareggiabile, senza pronuncia-
re parola; ma il suo sguardo spiegava tutto. Era-
no avvisi eloquentissimi e in'delebili (515).
6) Aspettava la calma.
Ma la prudenza di Don Bosco. nel fare la cor-
rezione si manifestava soprattutto nel fatto di
saper aspettare che l'ira scemasse e tornasse la
calma dello spirito: poi parlava.
Scriveva Don Ruffino nella sua Cronaca, al
1° Giugno 1864: « Don Bosco facile a dare ce.r-
te ragionevoli di~ense, ma non ammette in nes-
sun modo che a sua insaputa venga modificato
l'orario, trasgredito il Regolamento, o trascurata
qualche sua prescrizione, per tutela della mora-
lità. Non manca mai di avvertire o rimproverare
i trasgressori, ma ciò fa con grande calma, e si
tiene dalle rimostranze quando sente il suo a-
nimo agitato.
« Aveva pensato una notte intera sopra una
lettera di rimprovero, che voleva scrivere per
una mancanza commessa da qualcuno. Levatosi
al mattino, si mise a scriverla, ma poi disse:
- Io sono in collera; questo foglio non sarebbe
dettato da me, ma dallo sdegno; questo adunque
non sarebbe il momento da ciò! - Quindi lasciò
stare e si occupò d'altro. Più volte lungo il gio·r-
440

44.3 Page 433

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no sedette a tavolino per quel fine, ma di bel
nuovo l_o lasciava. Venne la sera, e non aveva
scritto nulla; -ma conobbe poi aver fatto bene a
non manifestare per lettera la sua indignazio-
ne» (516).
Qualche volta rimandava le correzioni a più
mesi, quando era persuaso che riuscirebbero più
efficaci e sarebbero meglio accolte. Ben inteso
che, quando si trattava di casi importanti,. le fa-
ceva subito, ma sempre con parole dolci e con
mansuetudine (517).
Sempre a motivo della delicatezza che lo di-
stingueva in tutto, era suo costume, quando
scorgeva che uno si turbava per un avviso un
po' serio, troncarlo e dare all'alunno una dimo-
strazione di affetto, per così levare da lui ogni
.
specie di amarezza (518).
7) Esortava a ricever bene le c01·rezioni.
Ma Don Bosco oltrechè dare le correzioni, in-
segnava anche il modo di riceverle. Diceva ai
.
gi9vani in una buona notte del 1858: « Una man-
canza sarà sempre mancanza, e quindi bisogna
correggersi. E poi non dimenticate che qui sper-
nit modica paulaiim dècidet (chi disprezza il
poco, andrà tra breve in rovina) » (519). Altra
volta: « Ringrazia sempre chi ti dà avvisi, e ri-
441 -

44.4 Page 434

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cevi le correziom m buona parte » (520). Nel
piccolo Regolamento per gli Allievi (c. VIII, 8)
è detto esplicitamente quale contegno d~bnano
avere i giovani verso i Superiori quando ricevo-
no da essi una correzione o un avviso: « Ascol-
tate con riconoscenza le loro correzioni, e, se
fosse n ecessario, ricevete con umiltà il castigo
dei vostri falli, senza mostrare nè odio nè di-
sprezzo verso di loro ».
b) CoME DoN Bosco INSEGNAVA A CORREGGERE.
Nel trattare di questo argomento delle cor-
rezioni, abbiamo premessa la prassi di Don Bo-
sco alle sue direttive, · sicuri che, alla luce dei
suoi esempi, anche le sue parole avrebbero ac-
quistato in chiarezza e forza di convinzione. Non
ci è parsa eccessiva la lunga esemplificazione,
perchè i fatti sovraccennati rispondono ad al-
trettante inanier_e con cui può essere fatta con-
venientemente la correzione.
I) La e.orrezione è un dovere per 'tutti.
Parlando del dovere di questa, Don Bosco di-
ce: « Quelli che trovansi in qualche ufficio o
prestano assistenza ai giovani che la Divina
Provvidenza ci affida; hanno tutti l'incarico di
442

44.5 Page 435

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dare avvisi e consigli a qualunque giovane della
Casa, ogni qualvolta vi è ragione di farlo, spe-
cialmente quando si tra~ta d'impedire l'offesa di
Dio » (Regolam., 102).
È proprio a proposito della correzione che Don
Bosco scrisse: « Il Sistema Preventivo rende amico
l'allievo, eh~ nell'assistente ravvisa un benefattore,
il quale lo avverte, vuole farlo buono, liberarlo
dai dispiaceri, dal castigo, dal disonore » (Rego!"'
lam., 89, 3°).
Quando alcun Superiore era incerto della buo-
na riuscita di un giovane, per accettarlo o con-
gedarlo, egli suggeriva di mettere in pratica la
gran massima di San Paolo: Omnia probate, quod
bonum est tenete (Tutto esaminate, ritenete il be-
ne) (521). E a ciò doveva condurre la vigilanza
e l'avviso opportuno (522). Don Bosco aveva la
certezza che, ordinariamente, con la riflessione,
aiutat~ dall'avviso e dal consiglio, si riducono
tutti i gio:vani a riconoscere i p:ropri mancamenti
e a correggerli (523).
Egli ripeteva spesso il noto adagio: Non regit
qui non c6rrigit (Non si regge, se non si corregge).
E ai Superiori richiamava alla memoria il detto
d'Isaia: Guai a me perchè ho taciuto! (524). Piut-
tosto che permettere l'offesa di Dio, preferiva che
i suoi educatori potessero parere talvolta inop-
portuni: « Lo star muti quando si vede _qualche di-
443

44.6 Page 436

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sordine, e non impedirlo, specialmente chi po-
trebbe e dovrebbe, questo è al tutto rendersi com-
plice del male degli altri » (525).
Perciò consigliava di usare frequentemente e
tempestivamente dell'avviso, perchè esso, in molti
casi, sostituisce ·i castighi: « Quando taluno fa
mancamenti o trascuratezze, avvisalo prontamente
senza attendere che siano moltipllcati i ma-
li » (526). Ed ancora·: « In generale, cioè tolto qual-
che raro caso, non si lascino mai moltiplicare gli
atti difettosi prima di fare una correzione. Si
parli subito schiettamente. Lodare chi si corregge
ed incoragg~are gli indolenti J) (527).
2) Correggere in privato.
« Eccettuati rarissimi casi, le correzioni, i casti-
ghi, non si diano mai in pubblico, ma privatamen-
te, lungi dai compagni >) (Regolam., 101, 3°) (528).
A tu per tu è facile ottenere che i giovani si pie-
ghino alla volontà del Superiore.
Insisteva su questo concetto: « Per correggere
con frutto non si deve mai far rimprovero in
presenza d'altri » (529). « Se dovrete dare 11:a. av-
vertimento, datelo da solo a solo, in segreto e con
la massima dolcezza» (530). E ancora: « Se ab-
biamo da rimproverare qualcuno, prendiamolo
in disparte, facciamogli vedere alle buone il suo
444

44.7 Page 437

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male, il suo disonore, il suo danno, l'offesa di Dio;
perchè, facendo noi altrimenti, egli abbasserà
il capo alle nostre dure parole, tremerà, ma cer-
cherà sempre di fuggirci; sarà poco il profitto
ottenuto con ammonimenti di simil fatta. Se
coglieremo in flagrante qualche stordito, allora,
al più al più prendiamolo per un braccio e con
animo risoluto diciamogli: - Vedi il m~l,e che fai?
pensa a quello che meriteresti, se io ti condu-
cessi dal Superiore. E allora? » .(531).
In secondo luogo Don Bosco raccomandava
prudenza e calma. Diceva: « I Superiori non si
adombrino mai per cose da nulla. Siano calmi,
temporeggino, aspettino, esaminino, prima di dare
importanza a questa o a quella cosa (532). Quan-
do· siete adirati o agitati astenetevi sempre dal
fare riprensioni o correzioiii, affiiichè i giovani
non credano éhe si agisca per passione; ma aspet-
tate anche qualche giorno, quando sia spento ogni
sdegno e ogni collera, o passata quella violenta
impressione. Così pure, quando si deve fare qual-
che correzione, riprensione od osservazione ad
un .giovane, si procuri di prenderlo sempre in
disparte, e non mai quando si trovi agitato ed
adirato: si aspetti che sia calmo e tranquillo;
allora si avvisi e infine si lasci sempre con qual-
che buona parola: per esempio, che d'ora in poi
volete essere suo amico, aiutarlo in tutto ciò che
445

44.8 Page 438

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potete, ecc. (533). Per lo più fare le correzioni
appena avvenuto un fallo è cosa pericolosa. L'in-
dividuo è riscaldato da quel pensiero; non prende-
rà in buona parte la correzione, e parrà anche che
noi lo facciamo per un po' di passione » (534).
In pedagogia è noto l'adagio: la passione non
ha diritto di correggere la passione.
Don Bosco suggeriva: « Pacatamente si av-
vis,i, si diano le norme opportune, si esorti, ed an·-
che quando è il caso di gridare un poco, si faccia,
ma si pensi un momento: - In questo caso San
Francesco di Sales come si diporterebhe? - Io
posso assicurarvi che, se faremo così, si otterrà
quanto disse lo Spirito Santo: --:- In patientia
vestra possidèbitis animas vestras (535). Quando
la correzione è fatta pacatamente, in quel senso
amoroso, come· si usa nei rendiconti, i colpevoli
vedono chiaramente il male che hanno commesso:
vedono il dovere del Superiore di porre sotto i lo-
ro occhi i difetti nei quali sono caduti, perchè se
ne émendino, e traggano profitto dalla correzio-
n e (536). Molte volte qualche correzione amiche-
vole produce nel cuore dei compagni e fratelli l'ef-
fetto di più prediche, ed avviene che si metta-
no a servir Dio, o per lo meno ad amar di più
la Religione, solo perchè trovano questa cortesia
di modi in chi sanno che pratica la Religio-
ne » (537).
446

44.9 Page 439

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3) Longaminità, fermezza
e imparzfrilità nella correzione.
Quante volte ripeteva il Festìna lente (Affrèt-
Jati lentamente) e quante volte ricordava pure
le parole dellél. Scrittura che dicono: L'impa-
ziente commetterà stoltezza (538). Ciascuno di
noi ascolti pertanto Don Bosco: « Nel dare avv1s1
o consigli procura sempre che l'avvisato parta
da te soddisfatto e tuo amico» (539).
Si procuri avere una grande longanimità prima
di fare una correzione, avvertendo però di evitare
anche in ciò qualsiasi eccesso. Infatti una longa-
nimità mal intesa può rendere audace il colpevole.
In certi casi poi è preferibile amputare la parte
andata in cancrena, af:finchè il male di un sol
membro non danneggi l'unità, la carità e la pace
di tutto il corpo.
Don Bosco amava la schiettezza, mai disgiun-
ta dalla prudenza e dalla più soave carità, e
perciò, quando era necessario, non temeva di
ripetere le celebri parole di Natan: Sei proprio
tu che hai commesso il fallo! (540).
La correzione però voleva che fosse circondata
da tutti quegli accorgimenti che servissero a
renderla più efficace.
« Si osservi bene - diceva - quale grado di
colpabilità si trovi nell'allieyo, e, dove basta l'am-
447

44.10 Page 440

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/
monizione, non si usi il rimprovero; e dove questo
si~ sufficiente, non si proceda più oltre » (541).·
Nel primo Regolamento dell'Oratorio festivo
il Santo fa al Catechista questa raccomandazione:
« Nel correggere od avvisare usi sempre parole che
incoraggiscano, ma non mai avviliscano. Lodi chi
lo _meTita, sia tardo a biasimare » (542). Tutti
poi Don Bosco esortava a usare la massima pru-
denza e · pazienza perchè l'allievo C:Omprendesse
il suo torto con la ragione e la Religione (Rego-
lam., 101, 3°). « Nessuno, mai e poi mai, dica ad un
ragazzo o ad altri ,che abbia disobbedito, o detto
qualche parola insolente, ò mancato in altra ma-
niera di rispetto: - Me la pagherai. - Questo
, linguaggio non è da cristiano » (543).
Le belle maniere nel correggere Don Bosco
le inculcava ai · Pacificatori ed agli lnvigilatori
dell'Oratorio festivo. Ecco le norme principali,
che riassumono tutto il pe:qsiero di Don Bosco:
« La carica dei Pacificatori consiste nell'impe-
dirè le risse, gli alterchi, le bestemmie e qualsiasi
cattivo discorso. Quando avvenissero simili man-
canze, che, grazie a Dio, tra di noi sono rarissine,
avvisino immediatamen.te il colpevole, e, con pa-
zienza e carità, facciano vedere come simili col-
p~ siano vietate rigorosamente dal Superiore,
contrarie alla buona educazione, e, quello che è
più, proibite dalla santa legge di Dio.. In caso di
448

45 Pages 441-450

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45.1 Page 441

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dover fare correzioni, abbiasi riguardo che siano
fatte in privato, e, per quanto è possibile, non mai
in presenza altrui, eccetto che questa fosse necessa-
ria per riparare un pubblico scandalo. Procurino
d'impedire con modi graziosi che alcuno esca in
tempo delle religiose funzioni» (544).
« Gli Invigilatori vedendo taluno ciarlare e
dormire lo correggano con le belle maniere, muo-
'vendosi il meno possibile dal loro posto, senza mai
percuotere alcuno, neppure per motivi gravi:
nemmeno sgridarlo con parole e con voce alta.
In casi gravi si condurrà il colpevole fuori della
c~iesa, e si farà la debita correzione» (545).
4) sàper dimenticare.
< Quando un allievo si mostra pentito di un
fallo ·commesso, siate facili a perdonargli, e per-
donate di cuore. Dimenticate tutto in questo· ca-
so » (546). Se si vuol ottenere molto dagli allievi,
non si deve mostrarsi offesi contro alcuno. Si cor-
reggano bensì i difetti, ma poi si dimentichi. Bi-
sogna mostrarsi sempre loro affezionati e far loro
conoscere che tutti gli sforzi dei ·Superiori sono
diretti a far del bene alle anime loro.
« Dimenticare e far dimenticare al colpevole
i tristi giorni dei suoi errori è arte suprema di
buon educatore » (547).
'
449
15 (I)

45.2 Page 442

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Non vi è chi non vegga la profonda sapienzn
educatrice racchiusa in queste parole di Don Bo-
sco, le quali effettivamente corrispondono a verità.
poichè il ragazzo ha bisogno della fiducia dell'e-
ducatore per sentirsi aiutato al bene. Per sua na-
tura egli è molto più sensibile alla bontà che alla
durezza; perciò si può essere sicuri della realtà
àel suo pentimento, e non c'è ragione di coltivare
sospetti sul suo conto, anche se si prevede che,
data la mobilità giovanile, ricadrà nel medesimo
fallo. Il ragazzo, grazie a Dio, è suscettibile di
continue riprese.
Aggiungeremo infine che l'amorevole corre-
zione, di cui abbiamo parlato, si deve usare an-
che coi discoli e cogli -scandalosi.
Il 3 febbraio 1886 Don Bosco teneva conferen-
za a tutti i Direttori. Richiesto di consiglio in-
torno al modo di correggere alcuni giovani di-
scoli, disse che il Superiore, chiamatili tutti in di-
~parte, esponessè loro amorevolmente la sua affli-
zione per la loro mala condotta, li animasse al
ravvedimento,. e, nello stesso tempo, li affidasse
alle cure del loro professore, il quale, spesso ri-
badendo il meàésimo chiodo, facesse di tutto per
ritrarli dalle loro cattive abitudini (548).
·Trattando della moralità degli educandi, ve-
dremo quale debba essere il contegno degli edu-
catori verso gli scandalosi. Per ora ci basti notare
450

45.3 Page 443

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r
che Don Bosco si giovava della correzione anche:
nei loro riguardi, persuaso che, nei casi non estre-
mamente gravi, la stes~a correzione può operare
delle salutari trasformazioni, purchè fatta come si
deve.
3. I castighi.
·a) L'AMOREVOLEZZA E I CASTIGHI.
· Ci pare di · non poter parlare a dovere dei
c:astighi se prima non torniamo a considerare quel-
la che è la caratteristica e l'an,ima dell'educazio-
ne salesiana, vale a dire l'amorevolezza.
Questo sistema - è bene riudirlo dal nostro
buon Padre - si appoggia tutto sopra la ragione,
la Religione, e sopra l'amorevolezza » (Rego-
lam., 89). Quest'ultima quindi, nel pensiero di
Don Bosco, è una delle basi del suo sistema edu-
cativo, anzi dovrebbe essere come .il distintivo del-
l'educatore salesiano: « Bisogna usare grande amo-
revolezza coi giovani - dice Don Bosco - e
trattarli bene. Questa bontà di tratto e que!3ta
amorevolezza siano il carattere di tutti i Superiori,
nessuno eccettuato. Fra tutti riusciranno ad atti-
rare uno, e basta uno p.er allontanare tutti. Oh!
quanto si affeziona un giovane quando si vede
ben trattato! Egli pone il suo cuore in mano ai Su-
periori» (549).
451
'

45.4 Page 444

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È innegabile che éon questa amorevolezza, che
potremmo chiamare paterna e materna, si con-
quista la confidenza dell'alunno, senza della qua-
le non è possibile una soda formazione.
« Per fare del bene - era solito ripetere
b~sogna avere un po' di coraggio, essere pronti
a soffrire qualunque mortificazione, non mortifi-
care mai nessuno, essere sempre .amorevole. Con
questo si~tema . gli effetti da me · ottenuti furono
veramente consolanti, anzi magnifici. Chiunque
oggi giorno potrebbe riuscire al pari di me,
purchè abbia disinvoltura e la dolcezza di San
Francesco di Sales » (550).
Umiltà e amorevolezza, ecco i requisiti di chi
vuol conquistare il cuore di Dio e degli uomini,
poichè « colui il quale è umile ed amorevole -
soggiunge Don Bosco - sarà sempre amato da
; · tutti, da Dio e dagli uomini. Beati i mansueti,
perchè possederanno la terra! » (551).
Viceversa quanto è deleteria per l'educazione
la mancanza della carità e dell'amorevolezza!
Anzitutto si va formando nell'animo dell'educato-
re una specie , di insensibilità e quasi di incom-
prensione, che non gli permette di valutare le esi-
genze più delicate dell'animo dei suoi alunni,
così aperto, quasi per natura, all'affetto e alla
riconoscenza. Abitua l'alunno a conforma~si in
modo opportunistico e superficiale alla volontà
452

45.5 Page 445

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del suo educatore, dimenticando invece che egli
dovrebbe osserv~re, per sentimento di dovere e
di moralità, ciò che è stabilito e comandafo. In
terzo· luogo resta scosso e quasi snaturato l'animo
dell'educando per le continue scariche di intimi-
dazioni, di minacce, di violenze da parte delredu-
catore. Soprattutto poi ritarda di molto, se pur.e
non impedisce del tutto, il vero effetto ,educativo,
·che si raggiunge presto con la persuasione amo-
revole e il ragionamento affettuoso.
Finalmente la mancanza di amorevolezza
e carità rende praticamente insolubile il problema
.della libertà e dell'autorità, turbando l'accordo e
l'armonia che dovrebbe esservi tra !'educando e
· l'educatoél'e. E questo fatto increscioso serve a
formare individui timidi, quasi abitualmente ~-
'
citati e spaventati, senza .iniziativa, ·senza perso-
nalità, disposti sempre ad assoggettarsi alla volon'." ·
tà altrui, pur di evitare minacce e castighi: op-
pure, per un senso di reazione, pronta o tardiv~,
li fa ribelli all'autorità, insofferenti di qualsiasi
giogo o imposizione altrui, quasi precocemente
anarchici, adoratori ostinati della propria volontà
per tanto tempo assoggettata indebitamente.
Precisamente per evitare anche questi mali
l'amorevolezza è necessaria all'educatore salesiano.
Ma su un punto così estremamente delicato, è bene
avere idee chiare onde servirsene rettamente.
453

45.6 Page 446

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L'amore in quanto si manifesta è pm propria-
mente bontà; e noi abbiamo detto che il sistema
di Don Bosco è la bontà adattata alle esigenze
dei giovani. Nell'ambiente salesiano simile bon-
tà viene chiamata comunemente amor~volezza,
quasi a significare la sfumatura più delicata del-
l'amore. Ed è un'amorevolezza così intesa che Don
Bosco esige dai suoi educatori, in tutti i loro
atteggiamenti, in mezzo ai giovani.
Certo è più facile all'educatore assumere un
contegno sostenuto e riservato con essi, anzichè mù-
strarsi amorevole come vuole Don Bosco. Tuttavia
il nostro Padre, guardando al bisogno che i gio-
vani hanno di sentirsi amati per entrare in con-
fidenza con l'educatore e lasciarsi da lui plasmare,
vuole nei suoi figli l'amorevolezza. E chi non è
amorevole coi giovani non può dirsi educatore
salesiano.
Se tale deve essere l'atteggiamento dell'educato-
re, come si potrà adunque parlare del castigo co-
me mezzo educativo?
Questo problema disciplinare affiora precisa-
mente quando si parla dell'amorevolezza, la qua-
le, per osservatori affrettati, potrebbe sembrare
senz'altro opposta a quegli atteggiamenti disci-
plinari che sfociano poi nei castighi.
·
Don Bosco ha affrontato il problema di questo
accostamento tra l'esigenza della carità e dell'amo-
454

45.7 Page 447

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revolezza e l'uso dei castig·hi. Infatti, dopo aver
parlato del suo sistema educativo ed insistito
per la pratica dell'amorevolezza, del tratto buono,
affabile, caritatevole sempre e dappertutto con .
gli educandi, ha sentito il bisogno di dedicare
uno dei cinque capitoli del suo Sistema Prepentivo,
e precisamente il quarto, al punto dei castighi.
Ora, chi ben consideri quanto abbiamo fin
qui detto circa l'amorevolezza cristiana impie-
gata come metodo, e cioè come modo di fare nel-
1'applicare i mezzi educativi salesiani, si rende-
rà ragione che questo sistema non è per se stesso
opposto alla correzione ·e al castigo: ma toglie
loro una forma avvilente, che si riflette nell'e-
ducando con opposizioni, irritazioni ed umilia-
zioni; anzi mira a prevenire il castigo stesso
e renderlo· più raro, e per un effetto quasi natu-
rale, arriva persino ad eliminarlo completamente.
Certo si può affermare che il castigo dimi-
nuisce a misura che aumenta la buona applica-
zione ·e l'efficienza del sistema preventivo, e si
arriva ad eliminarlo totalmente, quando il si-
stema raggiunge la pienezza della sua applica-
zione pratica. E la ragione di questo fenomeno
sta nella natura medesima del sistema, ossia nella
forza profondamente umana, morale, religiosa dei
suoi stessi elementi costitutivi: i quali, se ben
impiegati ed applicati, riescono a colpire l'animo
455

45.8 Page 448

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dei giovani nelle radici stesse · del loro pensare,
- del loro sentire, del loro agire.
Qui sta tutto il segreto, tutta la virtù del si-
stema preventivo. Per questo, quando esso abbia
raggiunto la sua to,tale applicazione pratica per-
vadendo il principio stesso della condotta dei gio-
- vani, questi vengono a trovarsi, come diceva Don
Bosco, « nella morale impossibilità di commettere
mancan,ze ». Ora, dove non vi sono mancanze,
non vi è posto per il castigo.
b) LA GRANDE CIRCOLARE SUI CASTIGHI.
Don Bosco il 29 gennaio 1883 indirizza~a a
tutti i Salesiani una lettera circolare, nella quale
indicava le norme da seguire nell'infliggere i ca-
stighi.
« Sovente e da varie parti - egli dice - mi
arrivano, ora domanda, ora anche preghiera, per-
, chè io voglia dare alcune regole ai Direttori, ai
Prefetti e ai Maestri, che servano loro di norma
nel difficile caso in cui si dovesse infliggere qual-
che castigo nelle nostre Case. Voi sapete in quali
tempi viviamo, e con quanta facilità una pic-
cola imprudenza potrebbe portare con sè gravis-
sime conseguenze. Nel desiderio pertanto di se-
condare la vostra domanda e di evitare a me ed
a voi dispiaceri non indifferenti, e, ~eglio an-
456

45.9 Page 449

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cora, per ottener il maggior bene possibile in
quei giovanetti che la Divina Provvidenza affi-
derà alla nostra cura, vi mando alcuni precetti
e consigli, che, se voi procurerete, come io spe-
ro, di praticare, vi aiuteranno assai nella santa
e difficile opera dell'educazione religiosa, morale
e scientifica.
« In generale il sistema che noi dobbiamo ado- ·
perare è quello chiamato preventivo·, il quàle con-
siste nel disporre in modo gli animi dei nostri al-
lievi, che, senza alcuna violenza esterna, debbano
piegarsi a fare il nostro volere. Con tale sistema
io intendo di dirvi che mezzi coercitivi non sono
mai da adoperarsi, ma sempre e soli quelli della
persuasione e della carità. Che se l'umana na-
tura, troppo inclinevole al male, ha talvolta bi-
sogno di essere costretta da severità, credo bene .
I
di proporvi alcuni mezzi, i quali io spero che,
con l'aiuto di Dio, ci condurranno a fine con- ,
solante.
« Anzitutto, se vogliamo farci vedere amici del .
vero bene dei nostri allievi _e obbligarli a fare il
loro dovere, bisogna che voi non dimentichiate mai
che rappresentate i genitori di questa cara gio-
ventù, che fu sempre il tenero oggetto delle mi'e
occupazioni, dei miei studi, del mio ministero
sacerdotale, e della nostra Congregazione Sale-:-
siana. Se perciò sarete veri padri dei vostri allie-
457
l-

45.10 Page 450

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..
vi, bisogna che voi ne abbiate anche il cuore,
e non veniate mai alla repressione o punizione
senza ragione e senza giustizia: e solo in modo
di chi in questa si adatta per forza e per compie:.
re un dovere '>.
E qui Don Bosco passa ad esporre quali sia-
-no i veri motivi che devono indurre alla repres-
sione, quali siano i castighi da adottarsi, e da chi ,
applicarsi.
I) Prima di punire si adoperino
tutti gli altri mezzi di correzione.
« 1) Non punite mai se non dopo aver esauriti
tutti gli altri mezzi.
·
« Quante volte, miei cari figliuoli, nella mia
lunga carriera ho dovuto persuadermi di questa
grande verità! È certo più facile irritarsi che pa-
zientare, minacciare un fanciullo che ·persuaderlo:
direi ancora che è più comodo alla nostra im-
pazienza e alla nostra superbia castigare quelli
che ci resistono: che correggerli col sopportarli
con fermezza e con benignità. La carità che vi
raccomando è quella che adoperava San Paolo
verso i fedeli di fresco convertiti alla Religione
del Signore, e che sovente lo faceva piangere l'!
supplicare quando se li vedeva meno docili e
corrispondenti _al suo zelo.
458

46 Pages 451-460

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46.1 Page 451

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« Perciò io raccomando a tutti i Direttori che
prima debbano adoperare la correzione paterna
verso i nostri cari figliuoli, e che questa sia fatta
in privato, o, come si suol dire in ca.mera ca.ritatis.
In pubblico non . si sgridi mai direttamente, se
non fosse per impedire lo scandalo o per riparar-
lo qualora fosse già dato.
« Se dopo la prima ammonizione non si vede
alcun profitto, se ne parli con un altro Superiore
che abbia sul colpevole qualche influenza, e poi
alla fine se ne parli col Signore. Io vorrei che i]
salesiano fosse sempre come Mosè, che si studia
di placare il ·Signore _giustamente indignato con-
tro il suo popolo d'Israele. Io ho veduto che rara-
mente giova un castigo improvyiso, e dato sen-
za aver prima cercato altri mezzi. Niuna cosa -
dice San Gregorio - può forzare un cuore, che
è come una cittadella inespugnabile, e che fa
d'uopo guadagnare con l'affetto e con la dolcezza.
Siate fermi nel volere il bene e nell'impedire il
male, ma sempre dolci e prudenti; siate poi per-
severanti e amabili, e vedrete che Dio vi renderà
padroni anche del cuore meno · docile.
« Lo so, questa è perfezione che s'incontra
non tanto di frequente nei maestri e negli assi-
stenti, spesso ancor giovani... Essi non vogliono pi-
gliare i fanciulli come converrebbe pigliarli;
non farebbero che castigare materialmente, e
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non riescono a nulla, o lasciano andare tutto a ma-
le, o colpiscono a torto ed a ragione.
« È per questo motivo che sovente vediamo il
male propagarsi, diffondersi il malcontento, an-
che in quelli che sono i migliori, e che il corret-
tore è reso impotente a qualunque bene. Devo
perciò anche ' qui portarvi di nuovo per esempio .
la mia propria esperienza. Ho sovente incontrato
certi animi così caparbi, così restii a ogni buona
insinuazione, che ~on mi lasciavano più nessuna
speranza di salute, e che ormai ve.devo la neces-
sità di ' prendere per loro rnisure severe, e che
furono piegati solamente· dalla carità.
« Alcune volte a noi sembra che quel fanciullo
non faccia profitto della nostra correzione, men-
tre invece sente nel suo cuore ottima disposi-
zione per secondarci, e che noi manderemmo a
male con un malinteso rigore e col pretendere
che il colpevole faccia subito grave ammenda del
suo fallo. Vi dirò prima di tutto che egli forse
non crede di aver tanto demeritato con quella
mancanza ch'egli commise più per leggerezza che
per malignità. Sovente chiamati a ·me alcuni di
questi piccoli riottosi, trattati con benevolenza,
e richiesti perchè si mostravano tanto indocili, ·
ne ebbi per risposta che lo facevano perchè era-
no presi di mira, co~e si suol dire, o persegui-
tati da questo o da quel Superiore.
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46.3 Page 453

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« lo poi, informandomi dello stato delle cose
con calma e senza preoccupazione, dovevo con-
vincermi che la colpa diminuiva di assai, e al-
cune volte scompariva quasi interamente. Per la
qual cosa, devo dirlo con qualche dolore, che
nella poca sommissione di questi tali, noi mede-
simi avevamo sempre una parte di colpa. Vidi
che sovente questi, che esigevano dai loro allievi
silenzio, castigo, esattezza ed ubbidienza pronta
e cieca, erano pur quelli che violavano le salu-
tari ammonizioni che io e gli altri Superiori do-
vevamo fare; e dovetti convincermi che i maestri
che nulla perdonano agli allievi, sogliono poi
perdonare tutto a se stessi.
« Adunque, se vogliamo saper comandare,
guardiamo di saper prima ubbidire, e cerchiamo
prima di farci amarr che temere. Quando poi
è necessaria la repressione e devesi mutare si-
stema, giacchè vi sono certe indoli che è forza do-
mare col rigore, bisogna saperlo fare in modo
che non compaia alcun seg{10 di passione ».
Ed ecco venire ·spontanea al buon Padre la
raccomandazione seconda.
2) Si aspetti il momento opportuno.
« 2) Procurate di scegliere nelle correzioni il
momento favorevoJe.
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« Ogni cosa a suo tempo, disse lo Spirito San-
to, ed io vi dico che, occorrendo una di queste
dolorose necessità, occorre pure una grande pru-
denza per saper cogliere il momento in cui essa
repressione sia salutare. lmperocchè le malattie
dell'anima domandano di essere trattate almeno
come quelle del .corpo. Nulla è più pericoloso
di un rimedio dato male a proposito o fuori
di tempo. Un medico saggio aspetta che l'infermù
sia in condizioni di sostenerlo, ed a tal fine a-
spetta l'istante favorevole. E noi potremo cono-
scerlo solo dall'esperienza perfezionata dalla
bontà del cuore. E prima di tutto aspettate che
siate padroni di voi medesimi; non lasciate . co-
noscere che voi operate per umore o per furia,
perchè allora ·perdereste la vostra ·autorità, ed
il castigo diventerebbe pernicioso.
« Si ricorda dai profani il famoso detto di
Socrate ad uno schiavo di cui non era contento: --
Se non fossi in collera, ti batterei. - Questi piccoli
osservatori, che sono i nostri allievi, vedono, per
poca o leggera che sia, la commozione del no-
stro volto o del tono della voce, e se è zelo del
nostro dovere o ardore della passione che ac-
cese in noi quel fuoco. Allora non occorre di
più per far perdere il frutto del castigo; essi, quan-
tunque giovanetti, sentono che non vi è che la
ragione che abbia diritto di correggerli.
462

46.5 Page 455

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« In secondo luogo non punite un ragazzo
nell'istante medesimo del suo fallo, per timore
che, non potendo ancora confessare la sua col-
pa, vincere la passione e sentire tutta l'importan-
za del castigo, non si inasprisca e non ne com-
metta di nuovi e 'di più gravi. Bisogna lasciar-
gli il tempo per riflettere, per rientrare in se
stesso, sentire tutto il suo torto e insieme la giu-
stizia e la necessità della punizione, e con ciò
metterlo in grado di trarne profitto.
« Mi ha fatto sempre pensare la condotta che
il Signore volle tenere con San Paolo, quando
questi era ancora spirans irae atque minarum ·
(in furia di minacce e di strage) contro i cristia-
ni, e mi parve di vedere la regola lasciata an-
che a noi quando incontriamo certi cuori rical--
citranti ai nostri voleri. Non subito il buon Gesù
]o atterra: ma dopo un lungo viaggio; ma do-
po aver potuto riflettere sulla sua missione; ma
lontano da quanti avrebbero potuto dargli in-
coraggiamenti a perseverare nella risoluzione di
perseguitare i cristiani. Là invece, sulle porte di
Damasco gli si manifesta in tutta la sua autorità
e potenza, e, con forza insieme e mansuetudine.
gli apre la mente perchè conosca il suo errore.
E fu appunto in quel momento che si cambiò
l'indole di Saulo e che da persecutore diventò
apostolo delle genti e vaso di elezione.
463
l

46.6 Page 456

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« Su questo divino esempio io vorrei che s1
formassero i miei cari Sa,lesiani, e che con la
pazienza illuminata e con la carità industriosa
attendessero nel nome di Dio quel momento op-
portuno per correggere i loro allievi».
3) Si eviti anche
l'appa'renzà della passionalità.
« 3) Togliete ogni idea che possa far credere
che si operi per passione.
« Difficilmente quando si castiga si conserva
·· quella calma che è necessaria per allontanare
ogni dubbio che si operi per far sentire la pro-
pria autorità o sfogare la propria ·passione. E
quanto più si fa con dispetto, tanto meno uno se
ne accorge. Il cuore di padre che noi dobbiamo
avere, condanna questo modo di fare. Riguar-
diamo .come nostri figli quelli sui quali abbiamo
da esercitare qualche potere. Mettiamoci quasi
a loro servizio, come Gesù venne ad ubbidire e
non a comandare; vergognandoci di ciò che potes-
se avier l'aria in noi di dominatori; e non domi-
niamoli che per servirli con maggior piacere.
« Così faceva Gesù con i suoi Apostoli, tol-
lerandoli nella loro . ignoranza e rozzezza, nella
loro poca fedeltà, e col trattare i peccatori con
una domestichezza e familiarità da produrre in
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46.7 Page 457

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alcuni lo stupo~, in· altri quasi lo scandalo, e in
molti la santa speranza· di ottenere il perdono da
Dio. Egli ci disse perciò d'imparare da Lui ad es-
sere mansueti ed umili di cuore. Dal momento che
sono i nostri figli, allontaniamo ogni collera quan-
do dobbiamo reprimere i loro falli, o almeno
moderiamola in guisa che sembri soffocata af-
fatto.
< Non agitazione nell'animo, no~ disprezzo ne-
gli occhi, non ingiuria sul labbro, ma' sentiamo
la compassione per il momento, la spieranza per
l'avvenire: ed allora sarete i ·veri padri e farc'te
una vera correzione.
« In certi momenti molto gravi giova pm una
raccomandazione a Dio, un atto di umiltà a Lui,
che una tempesta di parole, le quali, se da una
parte non producono che male in chi le senr.e,
dall'altra parte nessun vantaggio a chi le merita.
Ricordiamo il nostro Divin Redentore che perdo-
nò a quella città che non lo volle ricevere tra
le sue mura, malgrado le insinuazioni - per il
suo decoro umiliato - di quei due suoi zelanti
apostoli, che l'avrebbero veduto volentieri fulmi-
narla per giusto castigo.
« Lo Spirito Santo ci raccomanda questa cal-
ma con quelle sublimi parole di Davide: lrasc:i-
mini et nolite peccare. E se vediamo sovente
riuscire inutile l'opera nostra e non ricavare
465

46.8 Page 458

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dalla nostra fatica che triboli e spine, credete,
o miei cari, lo dobbiamo attribuire al difettoso
sistema di -disciplina.
« Noh credo opportuno di dirvi in largo come
Dio volle un giorno dare una solenne e pratica
lézione al suo profeta Elia, che aveva un non
so che di comune con alcuni di noi :riell'ardore
per la causa di Dio e nello zelo avventato pe.r
reprimere gli scandali che vedeva propagati nel-
la casa d'Israele. I vostri superiori ve la potran-
no riferire in disteso, come si legge nel libro
dei Re; io mi limito all'ultima espressione che
fa tanto al caso nostro, ed è: Non in commotio-
ne Dominus, e che Santa Teresa interpretava:
- Niente ti turbi.
« Il nostro caro e mansueto San Francesco di
Sales, voi lo sapete, aveva fatta una regola se-
vera a se stesso per cui la sua lingua non parle-
rebbe quando il cuore fosse agitato. Soleva cl i.re
infatti: - Temo di perdere in un quarto d'o.ra
quella poca dolcezza che ho procurato di accu-
mulare in vent'anni a stilla a stilla come 'la ru-
giada nel vaso del mio povero cuore. Un'ape im-
piega più mesi a ·fare un po' di miele... che un
uomo mangia in un boccone. E poi che serve
parlare a chi non intende? - Essendogli rim-
proverato di aver trattato con soverchia dolcez-
za un giovanetto che erasi reso colpevole con
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46.9 Page 459

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I
sua madre di grave mancanza, egli disse: - Que-
sto giovane non era capace di profittare de1le
mie ammonizi.oni, poichè la cattiva disposizione
del suo cuore lo aveva privato di ragione e di
. senno; un'aspra correzione non avrebbe servito
a lui e sarebbe stata a me di gran danno facen-
domi fare come coloro che si annegano, volendo
salvare gli altri. ~ Queste parole del nostI,'o dm-
mirando Patrono, mite e. sapiente educatore di
cuori, ve le ho volute sottolineare, perchè richia-
mino meglio e più la vostra attenzione, ed an-
che voi ve le possiate più facilmente imprimere
nella memoria.
« In certi casi può giovare il parlare, alla pre-
senza del colpevole, con altra persona, della di-
sgrazia di coloro che mancano di ragione e di onore
fino a farsi castigare: giova sospendere i segni
ordinari di . confidenza e di amicizia fino a che
non si vegga che egli ha bisogno di consolazione.
Il Signore mi consolò più volte con questo sem-
plice artifizio. La vergogna pubblica si riserbi
come ultimo rimedio.
« Alcune volte servitevi di altra persona au-
torevole che lo avvisi e gli dica ciò che non po-
tete, ma vorreste dirgli voi stessi: che lo guari-
sca dalla sua vergogna, lo disponga a tornare
a voi. Cercate colui col quale il ragazzo possa,
nella sua pena, aprire più liberamente il suo
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46.10 Page 460

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cuore, come forse non osa farè con voi, dubi-
tando o di non essere creduto, o, nel ·suo orgo-
glio, di non dover fare. Siano questi mezzi co.:.
me i discepoli che Gesù soleva mandare innanzi
a sè perchè Gli preparassero la via.
« Si faccia vedere che non si vuole altra sog-
gezione che quella ragionevole e necessaria. Pro-
curate di fare in modo che egli si condanni da
se medesimo e non rimanga altro a fare che
mitigare la pena da lui accettata.
« Un'ultima raccomandazione mi resta a farvi ,-
sempre su questo grave argomento. Quando v~i
avete ottenuto di guadagnare quest'animo infles-
sibile, vi prego che, non solo gli lasciate la spe-
ranza del vostro perdono, ma ancora quella che
egli possa, con una buona condotta, cancellare
la macchia a sè fatta con i ·suoi mancamenti ».
· 4) Si lasci sempre
la speranza del perdono.
« 4) Regolatevr in modo da lasciar la speranza ·
al colpevole che possa essere perdonato. ·
« 'Bisogna evitare l'affanno e il timore inspi-
rato dalla correzione e mettere una parola di con-
forto. · Dimenticare e far dimenticare i tristi gior-
ni dei suoi errori è arte suprema di buon educa-
tore. Alla Maddalena il buon Gesù non si legge
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47.1 Page 461

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che . abbia; ricordato i suoi traviamenti; come
pure con 'somma e paterna delicatezza fece con-
fessare e purgarsi San Pietro della sua debolezza.
« Anche il f?-nciullo vuol essere persuaso c~e
il suo Superiore ha buona speranza della s~a
emendazione, e così sentirsi di nuo~o messo dalla
sua mano caritatevole per la via della virtù. Si
otterrà più con uno sguardo di carità, con una.
parola di incoraggiamento che dia fiducia al
suo cuore, che con molti rimproveri, i quali non
fanno che inquietare e comprimere il suo vigore.
« Io ho veduto vere conversioni con questo si-
stema che in altro modo parevano assolutamente
impossibili. So che alcuni dei miei cari figliuoli
non hanno rossore di palesare che furono gua-
dagnati così alla nostra Congregazione, e perci.ò
a Dio.
« Tutti i giovanetti hanno i loro giorni peri-
colosi, e .voi pure li aveste! E guai se non ci
studieremo di aiutarli a passarli in fretta e senza
rimprovero. Alcune 'volte il solo far credere che
non si pe·nsa che l'abbiano fatto con malizia, ba-
sta per impedire che ricadano nel medesimo fal-
lo. Saranno colpevoli, ma desiderano che non
si credano tali. Fortunati noi se sapremo anche
servirci di questo mezzo per educare questi po-
veri cuori! Siate sicuri, o miei cari :figliuoli, che
quesfarte che sembra così facile e contraria · a
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buon effetto, renderà utile il vostro ministero e
vi guadagne.rà certi cuori che furono e sareb-
bero per molto tempo incapaci, nonchè di felice
riuscita, ma di buona speranza ».
5) Quali castiglil adoperare.
« 5) Quali castighi debbano adoperarsi e da
chi.
« Ma no:µ si dovranno usare mai dei castighi?
- So, o miei cari, che il Signore volle parago-
nare se stesso a una verga vigilante, . virga vigi-
la.ns, per trattenerci dal peccato anche pel ti-
more delle pene. Anche noi perciò possiamo e
dobbiamo imitare parcamente e sapientemente
la condotta che Dio volle tracciare a noi con que- .
sta efficace figura. Adoperiamo adunque questa
verga, ma sappiamolo fare con gentilezza e ca-
rità, affinchè il nostro castigo sia di natura da
rendere migliore.
« Ricordiamoci che la forza punisce il vizio,
ma non guarisce il vizioso.
« Non si coltiva la, pianta, curandola con a-
spra violenza e non si educa . perciò la volontà,
gravandola con giogo soverchio. Eccovi una se-
rie di castighi che soli io vorrei adoperati tra
n01.
« Uno dei mezzi più efficaci di repressione mo-
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47.3 Page 463

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rale è lo sguardo malcontento, severo e trjste
de,l Superiore, che fa vedere al colpevole, per
poco cuore che abbia, di essere in disgrazia, e
che lo può provocare al pentimento e all'emenda.
« Correzione privata e paterna. Non troppi
rimproveri, e fargli se:ntire il dispiacere dei pa-
renti e la speranza della ricompensa. Alla lun-
ga si sentirà costretto a dimostrare gratitudine
e perfino generosità.
·« Ricadendo egli, non siamo corti a carità. Si
passa ad avvertimenti più seri e recisi; cosi s1 po-
trà con giustizia fargli conoscere la differenza
della sua condotta con quella che si tiene ver-
so di lui; mostrandogli come egli ripaga tanta
accondiscendenza, tante cure, per salvarlo dal di-
sonore e dalla punizione. Non però espressioni
umilianti; si mostri di aver buona speranza di
lui, dichiarandoci pronti a dimenticare- tutto, dal
momento che egli avrà dati segni di condotta mi-
gliore.
« Nelle mancanze più gravi si può venire ai
seguenti castighi: pranzare in piedi a] suo po-
sto od a tavola a parte, pranzare diritto in mezzo
al refettorio, e per ultimo alla porta del refetto-
rio. Ma in tutti questi casi sia somministrato al
colpevole tutto quello che è dato alla mensa dei
compagni. Castigo grave è privarlo della ricrea-
zione; ma non metterlo mai al sole e alie intem-
471

47.4 Page 464

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perie· in modo che ne abbia a patire danno. Il
non ~nterrogarlo per un giorno nella .scuola può
essere castigo grave, ma non si lasci di più; · intan-
to si provochi altrimenti a far penitenza della
sua mancanza.
·« Ora, che vi dirò dei pensi? Un tal genere
di punizione è per isventura troppo frequente. Ho
voluto interrogare su questo proposito quello che
n~ dissero i più celebri educatori. V'ha chi lo
app-rova, e chi lo biasima comè inutile e peri-
colosa cosa tanto al maestro quanto al discepolo.
Io lascio però a voi libertà di fare, in questo, av-
visandovi che per il maestro è pericolo grande di
andare agli eccessi senza ~cun giovamento, e che ·
si dà ·all'alunno occasione di mormorare e- di tro:.
vare molta pietà per l'apparente persecuzione del
maestro.
« Il penso non riabilita nulla, ed è sempre una
pena ed una vergogna. So che qualcuno dei no-
stri confratelli soleva dar per pensi Io studio di
qualche brano di poesia sacra o profana e con tale
utile mezzo otteneva il fine della maggior atten-
zione e qualche profittò intellettuale. Allora si ve-
rificava che omnia cooperantur in bonum (tutto
coopera' a bene) a quelli che cercano Dio solo, la
sua gloria e la salute delle anime. Questo vostro
confratello convertiva coi pensi; ciò lo credo una
benedizione di Dio, e caso piuttosto unico che ra-
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47.5 Page 465

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ro; ma riusciva perchè si faceva vedere caritate-
vole.
« Ma non si venga mai a far uso del cosiddetto
camerino di riflessione.
«,Non c'è malanno in cui non possano preci-
pitare l'alunno, la rabbia e l'avvilimento che lo
assalgono in una punizione di tal naturà. Il de-
monio prende da questo castigo un impero violen-
tissimo sopra di lui e lo -spinge a gravi follìe~ qua-
si per vendicarsi di coluÌ che lo volle punire, e in
quel modo ».
A questo punto della sua Circolare il nostro
buon .Padre introduce una nota di questo tenore:
« (1) N el timore che in qualche collegfo per rara
eccezione e assoluta necessità si credesse di dover
usare il camerino, ecco le precauzioni che vorrei
adoperate:
« Il Catechista, o altro Superiore, vada soven-
te a visitare il povero colpevole, e con parole <li
carità ,e di compassione si cerchi di versare o]io
in quel cuore tanto esacerbato. Si compianga il ·
·suo stato e si industri a fargli capire come tutti
i Superiori siano dolenti di aver dovuto usare un .
castigo così estremo, e si capaciti a domandare
perdono, a fare atto di sottomissione, a chiedere
che si faccia di lui un'altra prova della sua emen-
dazione. Se pare che questo castigo produca il suo
effetto lo si levi anche P;1"ima del tempo, e si riu-
473

47.6 Page 466

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scirà a guadagnare sicuramente il suo cuore.
« Il castigo dev'essere un rimedio. Ora noi dob-
biamo aver fretta di lasciarlo, quando abbiamo
ottenuto il doppio scopo di allontanare il male e
di impedirne il ritorno. Riuscendo così a perdo-
nare, si ottiene anche l'effetto prezioso di cicatriz-
zare la piaga fatta al cuore del fanciullo; egli,
vedendo che non ha perduto la benevolenza del
suo Superiore, si rimette maggiormente al suo do-
vere ».
Fin qui la nota: Poi Don Bosco riprende:
« Nei castighi sù.mmentovati si- ebbero soltanto
di mira le mancanze contro la disciplina d el _Col-
legio, ma nei casi dolorosi che qualche allievo des-
se grave scandalo o commettesse offesa al Sig·nore,
allora egli sia condotto immediatamente dal Su-
periore, il quale nella sua prudenza prenderà
quelle efficaci misure che crederà opportune. Che
se poi uno si rendesse sordo a tutti questi savi
mezzi di emendazione e fosse di cattivo esempio
e scandalo, allora costui dev'essere allontanato
senza remissione, in guisa però che, per quanto è
possibile, si provveda al suo onore. Questo si ottie-
ne col consigliare il giovane st~sso a chiedere ai
parenti che lo tolgano, e consigliare direttamente
i parenti a cambiare collegio nella speranzd che
altrove il loro figliuolo faccia meglio. Quest'atto
di carità suole operare buoni •effetti in tutti i tem-
474

47.7 Page 467

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pi, e lascia anche, in certe penose occasioni, una
grata memoria nei parenti e negli alunni».
.6) À. chi spetta castigare.
« Finalmente mi resta ancora a dirvi da chi de-
ve partire l'ordine, il tempo e il modo di castign-
re. Questi dev'essere sempre il Direttore, senza
però che egli abbia a companire. È parte sua la
correzione privata, perchè egli più facilmente può
penetrare in certi cuori meno sensibili; parte sua,
la correzione generica e anche pubblica; ed è
anche parte ·sua l'applicazione del castigo, senza
che egli per via ordinaria la debba eseguire o in-
timare.
« Perciò vorrei che nessuno si arbitrasse di ca-
stigare senza previo consiglio od approvazione del
Direttor~, il quale solo determina il tempo, il mo-
do e la qualità del castigo. Nessuno si tolga da
questa autorevole di,pendenza, e non si cerchino
pretesti per eludere rla sua sorveglianza».
Qui Don Bosco introduce altra nota con la se-
guente avvertenza:
« (2) I maestri od assistenti non mettano mai
fuori di scuola alcun colpevole, ma, in caso di
mancanza, lo si faccia ·accompagnare dal Supe-
riore ».
Quindi prosegue:
475

47.8 Page 468

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« Non ci dev'essere scusa per fare eccezioni
da. questa regola della massima importanza. Sia-
mo obbedienti perciò a questa raccomandazione
che io vi lascio, e Dio vi benedirà e vi consolerà
per· la vostra virtù.
« Ricordatevi che l'educazione è cosa di cuore e
che Dio solo ne è il padrone, e noi non potremo
riuscire a cosa alcuna, se Dio non ce ne insegna
l'àrte e non ce ne dà in mano le chiavi. Procuria-
mo perciò in tutti i modi, ed anche con questa
umile ed intera dipendenza, di impadronirci di
questa fortezza, chiusa sempre al rigore ed al-
l'asprezza. Studiamod di farci amare, d'insinuare
il sentimento d el dovere e del santo timore di Dio,
e vedremo con mirabile facilità aprirsi le porte
di tanti cuori, e unirsi a noi per cantare le l9di
e le benedizioni di Colui che volle farsi nostro
modello, nostra via, nostro esempio in tutto,
ma particolarmente nell'educazione della gioven-
» (552).
e) ALTRE NORME DI DoN Bosco
RIGUARDO AI CASTIGHI.
Prima di passare in rassegna altre prescrizioni
di Don Bosco 5ui castighi, bisogna notare che egli,
nel compilare il primo Regolamento degli Orato-
ri Festivi, aveva sott'occhio anche i . programmi
476

47.9 Page 469

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'
che riguardavano. alcuni Oratori destinati per di-
scoli ricoverati in Ospizi, e :r'iei quali si radunava-
no anche giovani esterni di ' quella stessa classe.
Ma non gli garbava il sistema disciplinare loro im-
1
posto, la sorveglianza quasi poliziesca, benchè
fosse necessaria, e le coercizioni per obbligarli
alla frequenza. Questo sistema non poteva più sus-
sistere per l'opinione pubblica che gli si mostrava
contraria, e Don Bosco desiderava che 1 suoi alun-
ni facessero liberamente e per amore.
Perciò nel suo Regolamento, trattandosi ·di in-
subordinazione, mise per principio una grande tol-
leranza, · come abbiamo visto, ed ai castighi so·
. stituì l'ammonizione, cÒrdiale, insistente ed effica-
ce, stabilendo di allontanare dall'Oratorio sola-
mente coloro che offendevano gravemente il Si-
gnore collo scandalo, e di non ammettere registri
ufficiali che notassero le mancanze dei colpevoli
e degl'indifferenti nelle cose di pietà (553).
A questo principio s'ispirarono in seguito gli
altri Regolamenti, che, in fatto di castighi, non
fanno che ribadire le stesse raccomandazioni.
Le norme che ora verremo esponendo, riprodu-
·Cono in molti punti il pensiero e persino le parole
della grande Circolare sui castighi. Tali norme pe-
rò dette e ridette prima e dopo l'anno 1883, ci con.-
fermano sempre più le idee e le direttive di Do~
Bosco in fatto di punizioni.
477

47.10 Page 470

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, È anzitutto opportuna una parola circa il
cosiddetto « camerino di riflessione». Questo An.-
tipatico, e antipedagogic~ mezzo di castigo era
assai in uso negli altri istituti, quando Don Bosco
iniziò il suo lavoro educativo. Il pensiero del San.:.
to è chiaro e reciso: « Non si venga mai a far uso
del cosiddetto camerino di riflessione ». Egli stesso
ne mette in luce i danni e i pericoli. L'ultima con-
cessione per casi estremi, si vede chiaramente che
egli la fa a malincuore. Dalle cas·e Salesiane è as-
solutamente escluso, secondo il desiderio del nostro
Fondatore e Padre.
Riassumiamo ora alcune norme pratiche.
1) Anzichè dare castighi si ricorra possibil-
mente a mezzi pr,eventivi. -
Don' Bosco stabilisce questa regola generale:
« Dov'è possibile non si faccia mai uso dei casti-
ghi » (Regolam., 101). Diceva a un assistente: « Si
vis amari, est!o amaibilis (se vuoi essere amato, sii
amabile). Le prime impressioni nel cuore dei gio-
vani sono quelle dell'educazione. Per carità non si
irritino coi castighi e con maltrattamenti, perchè
non maledicano le vesti nere. È già troppo l'abhor-
rimento che hanno alcuni verso il prete » (554).
Si tratta qui di una ragione buona senz'altro, ma
accidentale, che va messa insieme a tutte le altre
già note e che rivedremo tra breve.
Tuttavia, nella sua .esperienza, Don Bosco non
478

48 Pages 471-480

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48.1 Page 471

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poteva misconoscere la necessità che v'è tal voHa
di castighi; per questo scrive: « Dove la necessi-
tà chiede repressione, si ritenga quanto segue.'> .
E comincia con fesporre i mezzi preventivi:
« L'educatore tra gli allievi cerchi di farsi
amare, se vuol farsi temere : in questo caso la sot-
trazione di benevolenza è un castigo che eccita
l'emulazione, dà coraggio e non. avvilisce mai. Pres-
so ai giovanetti è castigo quello che si fa servire
per castigo. Si è osservato che uno sguardo non
amorevole sopra taluni produce maggior effetto
che non farebbe uno schiaffo. La lode quando una
cosa è ben fatta, il biasimo quando vi è trascu-
ratezza, è già un gran premio od un castigo » (Re-
golam., 101, 1° e 2°) (555).
2) Non si castighi senza aver ben appura.io
i fatti.
In parecchie circostanze Don Bosco ritornò so-
pra questo punto, esortando a non prendere mai
alcuna misura nè pro nè contro di uno, senza aver
pazientemente ascoltato e ponderato le ragioni ad-
dotte da ambo le parti, senza aver prima rischia-
rato i fatti, o, come si suol dire, senza aver udito
'prima le due campane. « Spesso - scriveva a Don
Rua - ti saranno dette cose, che sembrano travi,
-e sono soltanto paglie » (556).
3) Nel castigare far in modo che l'allievo ri-
conosca il suo torto.
479

48.2 Page 472

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Quando poi si deve castigare, si usi massima
prudenza e pazienza per far sì che l'allievo ·com-
prenda il suo torto, e nello stesso tempo si faccia
intendere il vero dispiacere che si prova nel do-
verlo punire (Regolam., 101, 3°).
4) Mostrarsi caritatevole nel castigare.
« Castigare con giustizia e con carità: non far
mai· vedere rabbia; · altrimenti diranno che non è
la Regola, ma l'amor proprio offeso che si vuol
vendicare » ·(557). E in una istruzione da lui tenu-
., ta negli Esercizi Spirituali a Trofarello insisteva:
« Non mai che un castigo prenda aspetto di ven-
detta, o che si rinfacci, o anche solo s.i ricordi, a
qualcuno che ci abbia offesi in tempi trascorsi, la
sua mancanza, specialmente se fu perdonato. An-
zi state attenti a dimostrargli più amore di prima
e a dimenticare tutto » (558).
Quando si tratta del rispetto che si deve al fan-
ciullo, Don Bosco fa leva per lo più sul fondo
~mano dell'educatore, che deve essere uomo di
.buon senso anzitutto, e ben equilibrato. Perciò è
bene evita.re certi atteggiamenti puerili coi gio-
vani, perchè potrebbero ottenere l'effetto contrariò.
Diciamo questo perchè, a forza di vivere in mez-
zo ai giovani, un educatore non ancora ben for-
mato corre il rischio di mancare alla sua dignità
· di formatore dei suoi allievi, e di dimenticar:e che .
il Superiore non è un uomo qualsiasi, ma che è
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48.3 Page 473

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sempre responsabile di quello che dice e di quello
che fa.
Per questo Don Bosco stabilì che non fossero
ammessi nel rango degli educatori coloro che
non mostrano sufficiente criterio e gli stravaganti,
coloro cioè che per insufficienza di basi umane,
non potrebbero svolgere con frutto la missione del-
l'educatore (Regolam., 305).
5) I castighi siano pochi e di poca durafa e
gravità.
Fu detto che l'educatore, arriva al massimo del-
la sua efficienza quando giunge al minimo dei
castighi; d'altronde la severità non è buona se n0n
sa celarsi sotto l'amore. E poi il timo.re non può
mai essere a lungo maestro del dovere. Don Bosco
voleva che i castighi fossero pochi, di poca durata
- e di poca gravità (559) .
6) Castigar.e con giustizia.
' Vuole Don Bosco che il castigo sia giusto, e
perciò· ragionevole, graduale, proporzionato (560).
« Non si diano castighi gravi - egli dice ;_ per co-
se leggiere, perchè _un alunno che si crede castigato
a torto, ne conserv-eirà in cuore la memoria, e tal-
volta anche il desiderio di vendetta; e, non po-
tendo vendicarsi, imprecherà a quel maestro e a
quell'assistente. Si hanno degli esempi di simj,li
odii inveterati che fanno spavento » (561).
Quanto alla graduazione dei castighi, essa non
481
16 (I)

48.4 Page 474

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deve uscire dai limiti tracciati. Udiamo Don Bo-
sco: « Quando è assolutamente necessario castigal'e
per la prima volta, i puniti si facciano sfare in pie-
di' al loro posto in tempo di pranzo, ma colla pie-
tanza. Se ricadono nel fallo, si puniscano col farli
venire a pranzo in refettorio dopo gli altri. In
ultimo, se i primi castighi non bastano, si ponga-
no in una tavola a parte nel mezzo del refettorio.
La pietanza però sia l'ultima cosa a togliersi, e
,di rado. E in questo caso si dica in privato ai
giovani stessi che non se ne servano·, ma si metta
loro innanzi come a. tutti gli altri. In·generale ub-
bidiscono perchè intendono che il Superiore u~a
coii essi il riguardo di risparmiar loro una brutta
figura al cospetto di tutta la Comunità » (562).
,) Non si diano castighi generali.
« Non s'impongano mai castighi generali a una
classe, a una camerata, ma si procuri di scoprire
gli autori del disordine, -e, se fa d'uopo, si allonta-
nino dalla Casa: ma si separi la causà dei buoni
da quella dei cattivi, i quali son·sempre pochi, ac-
ciocchè, per questi pochi, non abbiano a soffrire
i molti. Ma nello stesso tempo si dica ai colpevoli
che hanno buona volontà, qualche parola di inco-
raggiamento, lasciando sempre luogo alla resipi-
scenza, perchè si rimettano sulla buona stra-
da (563).
8) L'applicazione dei castigh1, sia riservafa al
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48.5 Page 475

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Superiore .incaricato della disciplina, secondo le
direttive del Direttorre.
Gli assistenti e i maestri possono mmacciare
punizioni, ma l'applicazione di esse è riserv~1ta al
Consigliere Scolastico o al Prefetto dell'Istituto,
ai quali suole essere affidata la cura della discipli-
na. Non si permettano castighi a piacere del puni-
tore: sono un grave errore morale e didattico. E
neppure siano inflitti dagli interessati, ma da per-
sona neutrale che giudica imparzialmente e puni-
sce ad correptionem o ad exemplum (564).
Il Consigliere scolastico poi e il Prefetto si at-
tengano a ·1or volta fedelmente alle direttive del
Direttore, specialmente nei casi di maggior rilievo,
come già è stato detto. « Le trasgressioni o mancan-
ze di obbedienza in. camerata, in ricreazione, o in
chiesa, spetta al Prefetto punirle. Tocca al Pre-
fetto mantener la disciplina. Ne verranno due van-
taggi: che il chierico, non castigando, ma facendo
rapporto, non vi sarà pericolo o che castighi ingiu-
stamente o che la pena inflitta sia maggiore del-
la mancanza; e che non avrà da temere odiosità,
facendo il rapporto a sangue freddo e anche qual-
che minuto dopo. Persuadetevi che la vostra auto-
rità non avrà mai a scapitarne ed il Direttore è
risoluto che sia rispettata a qualunque costo» (565).
Ecco i vantaggi della correzione fatta secondo
le norme del nostro Padre:
483

48.6 Page 476

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« a) Si avrà la confidenza dei giovani. b) Au-
menteremo il numero delle vocazioni. e) Qtlélndo
escano, si avranno amici; se no, dei nemici. d) Non
diventeranno mai peggiori; o daranno buon esem-
pio o non lo daranno mai cattivo » (566).
Perciò, « quando un giovane, irritato da un ca-
stigo, dice: - Andrò dal Direttore - non si rad-
doppi il castigo, nè si adoperino le mani; ma gli
si dica: - Va' pure. - Il giovane non andrà, o, se
andrà, il torto sarà sempre suo. Neppure si dica
agli allievi: - Ciò che accade nella nostra scuola
o nelle passeggiate non v0glio che diciate ad al-
cuno, nemmeno al Direttore » (56?).
Per le stesse ragioni, « sia maestri sia assistenti
permettano al Direttore che usi del suo diritto di
modificare un castigo o anche perdonarlo. Il Di-
rettore si può supporre che almeno abbia tanto
giudizio quanto un altro, e non si può supporre
che faccia una cosa contraria all'autorità di un
maestro. È interesse del Direttore che resti salva
l'autorità dei suoi dipendenti; e quindi, se anche
sembri esteriormente che uno possa restarne of-
feso, non è così. Un perdono con'cesso è sempre se-
gno che il colpevole ha riconosciuto il suo errore,
che il giovane ha promesso di ripararlo, che gli
fu imposta un'ammenda onorevole, come domandar
scvsa e simili. .
« E poi,- continua Don Bosco - in certe cir-
484

48.7 Page 477

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còstanze vi prego anche notare ·che alcune volte
non si può agire altrimenti, se si considera che la
missione delicatissima del Direttore presenta tantt
spine e tante difficoltà, che non è cosa facile il
superarle, s/ non seguendo l'ispirazione del Si-
gnore e il gran principio della salute delle ani-
me. Se anche doveste sacrificare a questo gran
principio un po' del vostro onore, un po' della vo-
stra autorità, vi sembrerebbe forse sacrificio trop-
po grande? E se bisognasse dare la vita, fareste
qualche cosa di più del vostro dovere?
« Adunque lasciate al Direttore la libertà di
diriger.e: chè egli non sia obbligato, per vane su-
scettibilità, a indietreggiare, quando con qualche
perdono o qualche dolce parola, vedesse la possi-
bilità di salvare un'anima » (568).
9) Non percuotere assolut.amente.
Il sistema preventivo che cerca 'di tener lontano
gli stessi leggeri castighi, tanto più esclude ogni
castigo violento (Regolam., 89). Il percuotere in
qualunque modo, il mettere in ginocchio con po-
siziòne dolorosa, il tirare le orecchie e altri casti-
ghi simili si devono assolutamente evitare, perchè
sono pro,ibiti dalle leggi civili, irritano grand~-
mentè i giovani e avviliscono l'educatore (Rego-
lam., 101, 4°). « La legge punisce col carcere o colla
multa il maestro e l'assistente che dia un soJo
schiaffo allo ·scolaro » (569).
485

48.8 Page 478

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A chi era in pericolo di lasciarsi dominare dal-
la collera, Don Bosco ricordava che certe volte,
an~he tra i giovani, ve ne sono di quelli che hauno
il sangue caldo, e che quindi si rivoltano, e allora
si è nella avvilente condizione di stare a conten-
dere con grave scandalo e con grave perdita della
nostra autorità (570).
·
Il buon Padre ripetè altra volta: « Dev'essere
l'amore che attira i giovani a fare il bene per mez-
zo di una continua sorveglianza e direzione, non
già la punizione sistematica delle mancanze dopo
che queste siano state commesse. constatato che
questo· secondo metodo il più delle volte attira
sull'educatore l'odio del giovane fino che vi-
ve » (571).
« I giovanetti non dimenticano i castighi subìti,
e per lo più conservano amarezza con desiderio
di scuotere il giogo e anche di farne vendetta.
Sembra talora che non ci badino, ma chi tiene
dietro ai loro andamenti conosce che sono terri-
1
bili le reminiscenze della giov entù; e che dimenti-
cano facilmentr le punizioni dei genitori, ma assai
difficilmente quelle degli educator i. Vi sono fatti
di alcuni che in vecchiaia vendicarono· brutalmen-
te certi castighi toccati giustamente in tempo di
loro educazione » (Regolam., 89, 3°).
t Perciò - continua Don Bosco - riguardo ai
castighi, opportune ed importune si insista perchè
486

48.9 Page 479

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sia praticato il sistema preventivo » (572). A un
chierico che aveva preso un ragazzo per il col-
letto cacciandolo di scuola Don Bosco non ave-
va esitato a dire: « Chi mette le mani addosso si
pone dalla parte del torto » (573).
d) COME DoN Bosco C ASTIGAv A.
La prassi di Don Bosco nei castighi riflette fe-
delmente il suo pensiero.
1) In g{!nerale egli non castigava mai.
Il perugino Conte Carlo Conestabile della Stnf-
fa, scrivendo del sistema educativo di Don Bosco,
narrò questo fatto a lui occorso prima del 1878.
Un rgiorno, andato a visitare Don Bosco, lo trovò
allo scrittoio che percorreva una noterella recante
alcuni nomi. « Ecco qui - disse il Santo - al-
cuni dei miei bricconcelli, la cui condotta lascia
a desiderare ». Venne spontaneo al visitatore di do-
mandare qual punizione riserbasse loro. « Nessuna
punizione - rispose Don Bosco, - ma ecco quello
che farò. Costui per esempio (e gliene indicò il
nome) è il più bricconcello di tutti, sebbene sia
di buon cuore. Lo incontrerò durante la ricrea-
zione e gli chiederò notizie della sua ·salute. Egli
risponderà senza dubbio che sta bene. - Ma,' sei
proprio contento? - gli dirò allora. Egli resteri)
48'7

48.10 Page 480

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prima sorpreso, poi abbasserà gli occhi arrossen-
do. Io insisterò affettuosamente: - Eh, tu hai
qualche cosa che non va bene: se il corpo gode
buona salute, l'anima forse non è contenta!... È già
da molto tempo che non ti confessi? - Di a po-
chi minuti questo giovane s'arà al tribunale di pe-
nitenza, e sono quasi certo che non avrò più a do-
lermi di lui ».
Il Conte ascoltava in silenzio, incantato dalla
dolcezza di quel parlare. E qui comm.enta: 4: Ave-
te scoperto il segreto delle grandi opere, che q11e-
st'umile prete ha saputo condurre a compimen-
to» (574).
La mattina del 9 luglio 1860 le scuole dell'Ora··
torio subivano una perquisizione. Scrive il Maestro
Reano Giuseppe: 4: Entrò nella mia classe un si-
gnore della Questura e mi chiese quali castighi si
infliggessero ai discoli. Risposi: - Nessuno, nessu-
no affatto.
- Possibile! - esclamò quel signore.
- Possibilissimo - io risposi. - Il castigo
che adopero, secondo gli ordini ricevuti dal Su-
periore della casa, consiste nel distribuire in cer-
ti giorni della settimana ai giovani che si regola-
no bene, essendo essi tutti figli di gente po-
vera, alcuni buoni di pane da prendersi alla pa-
netteria Magra in Via Pellicciai, e ai discoli no n
concedo alcuno di questi buoni. Tale è l'unico ca-
488

49 Pages 481-490

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49.1 Page 481

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stigo che si usa in questa scuola (gli allievi erano
93, tutti esterni -e discoli). Don Bosco poi, per allet-
tarli a venire, prepara loro qualche premio, per
esempio oggètti di vestiario.
4: Quel signore allora si congedò, e p_arve che
nulla avesse da notare » (5'75).
. 2) Qualche rara volta castigava per impe-
dire o togliere qualche ·scandalo, o per dare una
lezione a chi non si curava di assistere bene i gio-
vani.
Don Bosco, secondo le testimonianz-e di anti-
chi alunni dell'Oratorio, non castigava mai, tranne
rarissime ·volte, allorchè si trattava di quaJche
giovane insolente ribelle, o bestemmiatore, o sor-
preso a fare discorsi immorali. E ciò in quei soli
casi nei quali, tolto lo scandalo, sarebbe stato fa-
tale p er l'anima di quell'incaut~ il cacciarlo dal-
l'Oratorio. Difficilmente i compagni si accorgeva-
no della punizione inflitta; ma, talora essendo pa-
lese, tutti parteggiavano per Don Bosco e diceva-
no: - Ha fatto bene! - E poi convenivano i col-
pevoli, perchè giammai accadeva che si lasciasse
guidare dall'amor proprio ferito (5'76).
3) Di regola non permetteva neppure ai su-
periori di castigare, disposto in caso contrario ad
esonerarli dall'ufficio. Nell'affidare la scuola di
prima ginnasiale al chierico Vacchina, ne dava la
seguente motivazione : « Vedi, tolgo la scùola al
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49.2 Page 482

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chierico P. perchè mena le mani ed è troppo ami- ·
co .del pensum. Figutati che dà a copiare trenta
volte le lezioni! Come devono fare quei poveri ra-
gazzi? Ogni qualvolta ti trovi imbrogliato, vieni
da me!» (577).
Avvisava anche i giovani di questa usanza del-
l'Oratorio, ma nello stesso tempo non faceva mi-
steri sopra la severità con la quale avrebbe pro-
ceduto contro i trasgressori del regolamento. Di-
ceva la sera del 20 marzo 1865 agli studenti, che
in quei giorni si erano comportati male dentro e
fuori del refettorio: « Per contentarvi, poichè vi
lamentate di certi assistenti, proibisco assolula-
mente agli assistenti di dare castighi; così nes-
suno avrà a Jamentarsi. Nella Casa non voglio
che si castighi nessuno; ma voglio che si faccia
rapporto a me, e, lo ripeto, ne obbligo in coscien-
za gli assistenti. Io poi, chiunque sia che manchi,
in qualunque modo manchi, lo rimanderò subito a
casa sua, perchè non posso tollerare l'indisciplina-
tezza nell'Oratorio. Don Bosco, buono, tollera tut-
to, ma quando si tratta dell'ordine è inflessibile.
Se si' trattasse di mancanze di convenienza o <.l'al-
tre cose che accadessero tra me e voi, vi passerei
sopra; ma, se si tratta di mancanza di rispetto agli
altri Superiori e il disordine è pubblico, allora
non vi è più bontà che tenga » (578).
Si mostrava esigente soprattutto con gli studen-
490

49.3 Page 483

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ti, poichè avevano una maggio_r èultura. Con gli
orfani e più derelitti tollerava maggiormente per
non metterli sopra una strada.
4) I suoi castighi, tutti e sempre ispirati a ca-
rità e dolcezza, venivano applicati secondo i prin-
cìpi della prudenza e della 'giustizia.
Riportiamo due testimonianze. Don- Savio A-
scanio. diceva: « Egli esercitava la· giu-stizia in gra-
··'
do em1nente, ma il suo zelo era ispirato a carità
e dolcezza, e la punizione veniva come seconda-
ria, cioè quando non bastavano i mezzi preventi-
vi a correggere un colpevole. Non lo si vedeva mai
inquieto quando doveva muovere rimproveri a
qualcheduno, e attendeva a farli sempre in priva-
to ». E Giuseppe Buzzetti: « lo non mi ricordo che
Don Bosco abbia mai corretto alcuno ingiusta-
mente. Quando ci correggeva, noi dovevamo subi-
to confessare: - Don Bosco ha ragione » (5?9}.
La prima punizione che dava era quella di mo-
strarsi un po' serio ai giovani restìi all'ubbidienza,
che avevano mancato scientemente a qualche nor-
ma del regolamento, o non curato un avviso o con-
siglio. E Don Bosco, ora non li faceva partecipi <li
certi segni di benevolenza che praticava verso i
più buoni, ora li privava di uno sguardo benevolo
e simulava di non vederli; o non permetteva che
gli baciassero la mano, ritirandola con pacatezza,
mentre sorridendo acconsentiva che gli altri gli
. 491
.
'

49.4 Page 484

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dessero quel segno di rispetto; o non rispondeva
quand~ si avvicinava.no per augurargli il buon
giorno e la buona notte. Talvolta li interrogava se
fosse vero che nqn gli volevano più bene. Se il fal-
lo era segreto, egli usava questo contegno in modo
che se ne avvedesse solo il colpevole. I giovani te-
mevano queste sue maniere come il più grave dei
castighi, eì molti ne provavano tanta pena da pro-
rompere in pianto per lunghe ore e talora dalla
sera fino all'alba.
Per questo per moltissimi dei suoi cari :figliuo-
li egli doveva usare· molta precauzione nel misu-
rare una parola di giusto rimprovero, poichè le
mancanze, che in apparenza talora sembrava.no
alquanti gravi, nell'intenzione del giovane e per la
sbadataggine dell'età, non erano avvertite cometa-
li, e quindi alcuni sembravano impazzire temendo
av,er dato causa di grave dolore a Don Bosco.
Nello stesso tempo egli usava una grande avver-
tenza continua per corrispondere agli atti di os-
sequio e di affetto degli alunni più buoni, poichè
una sua distrazione o dimenticanza faceva temere
ugualmente al giovanetto avergli recato qualche
dispiacere; benchè sentisse in sè di non aver com-
messo alcun fallo, pure rimaneva inquieto.
Quelli poi che avevano meritata tale lezione,
quasi tutti mutavano subitamente condotta. E,
non appena il colpevole e~a umiliato ed aveva pro-
402

49.5 Page 485

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messo sincera ammenda, Don Bosco restituivagli
subito la sua benevolenza esterna, gia.cchè l'inter-
na non la perde"V'a mai, che anzi era questa che lo
conduceva a diportarsi in tal modo a fine di mi-
gliorare e di allontanare il giovane dai pericoli
~m~
.
Se taluno mostravasi indifferente a queste pa-
terne riprensioni, e se era recidivo nelle sue man-
canze, Don Bosco non transigeva e lasciava che
fosse punito con qualche piccolo castigo: segreto,
se tale era stata la mancanza; pubblico e grave,
· benchè raramente, se la colpa richiedeva simile
misura per riparare al cattivo esempio. In questi
casi però non infliggeva egli stesso il castigo, ma
lasciava che ciò facessero i suoi dipendenti, riser-
vandosi .poi di mitigarlo per rendersi sempre più
padrone dei cuori e fare ad essi sempre maggior
bene. Ma voleva sempre escluse le percosse, le pri-
vazioni del cibo sufficiente, le punizioni umilianti
od irritanti, i rimp,roveri accompagnati da espres-
sioni ingiuriose. Voleva poi una grande benignità
nei modi. Egli diceva: « Non umiliarli i colpevoli,
ma procurare che si umiliino da se stessi » (580).
5) L'entità dei suoi castighi, sostanzialmente
leggera, era grave nell'apprezzamento degli allievi.
I castighi si ·riducevano alla sottrazione di una
parte del companatico per i p'oltroni, all'isolamen-
to in silenzio dai compagni nel luogo stesso della
493

49.6 Page 486

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ricreazione per - i disubbidienti, all'essere messo
fuori dal refettorio chi avesse saltato il muro di
cinta per uscire senza licenza, ma con la porzione
di pranzo. Queste punizioni, sebbene non molto
gravi, Don Bosco procurava che fossero tali nel-
l'apprezzamento dei giovani. Perciò con poco ot-
teneva molto (581).
6) ,Il cuore di Don Bosco nei castighi.
Tuttavia anche in questi casi, Don Bosco, quan-
do vedeva un allievo sincero nel riconoscersi col-,
pevole di un fallo del quale fosse accusato, ordi-
nariamente, dopo avergli dato gli avvisi opportu-
ni, .condonava il castigo, se i disordini non erano
stati assai notevoli. Faceva il contrario, se scopri-
va sotterfugi, tergiversazioni e menzogne. Ma dopo
la correzione, se il colpevole .si pentiva, egli diceva
~-.'empre una parola di conforto e dimenticava tut-
to. La stessa pratica raccomandava di fare ·a
chiunque esercitasse qualche autorità nella ·Ca-
sa (582).
7) Sapeva castigare anche l'intera comunità..
Finora abbiamo detto di punizioni, aile quali
erano assoggettati i singoli individui; ma, quando
si trattava di mancanze commesse da una intera
classe o anche da una gran parte della Comunità,
come faceva Don Bosco a richiamare tutti all'or-
dine e a castigare gli spensierati? Ci affrettiamo
a dire che, nell'Oratorio, mai accaddero sèene di-
494

49.7 Page 487

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sgustose come quelle che per insubordinazio~e si
lamentano talora in certi collegi. Erano fanciullag-
gini e nulla più, alle quali però era necessario
mettere r imedio, per la gran regola: Principìis ob-
sta (Op,poniti ai princìpi) (583).
· Don Bosco adunque ascoltava con attenzione le
lagnanze degli assistenti, investigava le cause che
essi esponevano di quel disturbo. Respingeva p erò
l'idea di un castigo generale, anche di una sola ca-
merata, p erchè ciò irrita, - diceva, __.: gli innocen-
ti, che si trovano sempre in questi casi in mezzo
ai colpevoli: e riserbava per sè la correzione. Si
trattava di molti voti scadenti, che indicavano
svogliatezza nello studio? poca osservanza del Re-
golamento, con la facilità di parlare nei luoghi
ove era prescritto il silenzio-?. mancanze rip etute
contro l'amor fraterno pe,r qualch e futile dissen-
sione? o anche noncuranza degli ammonimenti di
coloro che li sorvegliavano?
Ed ecco Don Bosco app igliarsi ad un mezzo
che sempre raggiunse il suo fi ne. Incomin ciare a
dimostrarsi freddo, preoccupato e di poche parole;
trovandosi in mezzo ai giovani, li privava del rac-
conto di qualche fatto straordinario, · che aveva
già promesso e che era aspettato con viva curiosi-
tà. Più di una volta, dopo le orazioni della sera,
montato in cattedra, invece di fare il solito ser-
moncino, volgeva attorno con serietà lo sguardo,
495

49.8 Page 488

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j
che aveva sempre una forza particolare sull'animo
dei giovanetti, e pronunciava queste sole parole:
- Non sono contento di voi! questa sera non vi
posso dire altro! - E discendeva dalla cattedra
nascondendo le mani nelle maniche della veste,
non permettendo che gli fossero baciate, e lenta-
mente si avvicinava ve~so ·la scala per la qua]e
salivasi in sua camera, senza più indirizzare paro-
la ad alcuno. Nella folla dei giovani qua e là si
udiva qualche singhiozzo represso, molte faccie
si vedev{lno rigate di lacrime e tutti andavano a
dormire meditabondi e pentiti, poichè per ess'i
offendere e disgustare Don Bosco era lo stesso che
offendere e disgustare il Signore. Questo bastava
per rimettere in casa un ordine perfetto, e ·quando
Don Bosco ricompariva, tutti sentivansi felici nel
rivederlo a sorridere (584).
8) Era ·poi rigoroso in certi casi.
Ma se Don Bosco era facile a dimenticare le
manc~nze dei ravveduti contro la disciplina, la ca-
rità, l'obbedienza e il rispetto ai Superiori, se rite-
neva ·e sopportava con pazienza qualcuno che
egli sapesse essere cattivo purchè non recasse dan-
no agli altri, adoperandosi alla su~ conversione;
era poi rigoroso verso di coloro che avessero ru-
bato, offeso gravemente la Religione o la carità
col loro modo di parlare o di operare. Non sa-
peva assolutamente tollerare l'offesa di Dio.
496

49.9 Page 489

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/
Tuttavia nella maggior parte dei casi non si ve-
niva a decisioni dolorose, poichè colui, che era sor-
do alla voce della coscienza, ai paterni avverti-
menti di Don Bosco e dei suoi collaboratori, chi
non sentiva la forza del biasimo immancabile dei
compagni, finiva per andarsene da sè. Allorchè
si trattava di soli sospetti, ma abbastanza ragione-
voli, non spaventavasi, e cercava di prevenire il
male che si temeva (585).
9) L'allontanamento dall'Oratorio.
Purtroppo talvolta tutti i mezzi di consiglio, di
correzione e anche di castigo, si mostravano inef-
ficaci davanti a nature ribelli e magari disgra-
ziatamente corrotte. E allora l'educatore si vede
obbligato a ricorrere all'ultimo castigo, che è
precisamente l'espulsione.
Abbiamo udito quante volte la voce di Don
Bosco si sia rivolta ai suoi collaboratori per dir
loro che compatissero la leggerezza e la troppa
vivacità (586); ma la stessa · voce risonava pure
solenne per dire: « Non si tolleri mai nè l'immo-
ralità, nè la bestemmia, nè il furto » (587).
Ci riserviamo di parlare in seguito del pro-
, cedimento che usava Don Bosco per allontanare
dall'Oratorio gli scandalosi. Per ora ci conten-
tiamo di accennare alla sua prassi rispetto agli
incorreggibili in fatto di disciplina, di applica-
zione allo studio e simili.
497

49.10 Page 490

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Si sa che egli giovavasi dei registri dei voti
di condotta e dei rapporti degli assistenti per
scoprire in modo sorprendente coloro che sapeva-
no nascondere la loro malizia agli occhi dei, Su-
periori. Ma, oltre il registro ufficiale della con-
dotta, teneva un registro particolare con tutti
i nomi dei giovani, e tutte le volte che udiva
qualche rapporto disonorevole, qualche mancan-
za leggera, ma di quelle che fanno stare all'erta
un uomo prudente, qualche serio sospetto sulla
condotta di un alunno, egli a fianco del nome
poneva uno dei segni convenzionali che lui solo
intendeva e che spec:ificavano le qualità del ma-
le imputato.
Talora in un me~e un nome solo poteva portare
dieci o quindici segni, e anche segni che indica-
vano tutti la stessa cosa. Don Bosco di quando in
quando dava una lettura attenta. a questo regi-
stro. Su cento giovani novanta non avevano nes-
sun segno, ma dieci o dodici portavano il loro
nome segnato più volte. Egli allora volgeva tutte
le sue cure a questi ultimi, indagava più minu-
tamente la loro condotta, ponevali sotto sorve-
glianza speciaÌe e li interrogava egli stesso, e
ben difficilmente il diavolo poteva nascondere la
,sua. coda e le sue amicizie.
Don Bosco raccomandava sovente ai suoi Diret-
tori questo sistema, assicurando che lo aveva tro-
498

50 Pages 491-500

▲back to top

50.1 Page 491

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,,
I
vato grandemente vantaggioso, anzi quasi infalli-
bile nei suoi responsi.
Col suo registro alla mano alla fine di ogni
anno scolastico, n el mese di giugno, provvedeva
.alla moralità per l'anno seguente. Faceva lo spo-
glio dei norrù di coloro che non erano più da
accettarsi, e, consegnandolo al Prefetto, lo inca-
ricava di farli rimanere a casa loro per l'anno
venturo. Notava pure i nomi di coloro da non
tenersi più fra gli studenti e che bisognava ap-
plicare a un mestiere, i nomi di quegli artigiani
che meritavano di passare tra gli studenti, e i
nomi di coloro che si potevano riaccettare, ma
solo per prova (588).
In certi casi poi il suo procedimento era ben
più rapido e severo: per esempio, quando si· trat-
tava di salvare l'autorità in faccia aì giovani,
persuaso com'era che, senza il debito risp €tto per
l'autorità, non è possibile la disciplina e per con-
seguenza la formazione.
Ecco a proposito, un fatto accaduto all'Orato-
rio nel marzo del 1865.
L'economo Don Savio non era ben visto da
cérti alunni pel suo rigore nel mantenere la di-
sciplina. Varie erano le sale dei refettori, e, un
giorno, mentre assisteva nel refettorio grande
,ove sedevano a mensa più di trecento alunn~.
un pez.zo · di pane venne a colpirlo nella schie-
499

50.2 Page 492

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na. Forse il proiettile era destinato a un compa-
gno. Don Savio, prudente, non fece atto di sde- .
gno, non si volse per osservare chi potesse es-
sere quello screanzato, e per allora nulla disse:
ma l'indomani, rinnovatosi lo stesso scherzo da
una mano ignota, ne parlò a Don Bosco. Appari-
va evidente che erasi voluto recare sfregio alla
sua persona, e alla sera Don Bosco rivolse alcu-
ne parole ai giovani, concludendo che chiunque
si fosse ancor reso colpevole di simile insulto
avrebbe dovuto allontanarsi immediatamente dal-
l'Oratorio.
Il giorno dopo gli alunni erano schierati sotto
I
i portici per andare a pranzo. L'economo stava
osservando che fosse mantenuto il silenzio e da-
va ·ordine per la mossa delle squadre, quand'ec-
. co un torso di cavolo colpirlo con impeto alla
berretta. Egli si volge rapidamente e distingue
il giovane Agostino che abbassa il braccio. Sen-
z'altro lo fa entrare in' una cameretta vicina e
conduce gli altri in refettorio. Il giovanetto, con-
fuso e piangente, protestava di aver voluto lancja-
re quel cavolo ad un compagno e di non aver
avuto mai l'intenzione di colpire l'economo. Era
egli molto vivace e talvolta sbadato; del resto
di ottima condotta e di buona riuscita negli stu-
di, nella sua classe di quinta ginnasiale. Per que-
sto motivo il professore che lo amava, e qualche
500

50.3 Page 493

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àltro insegnante ed assistente, pérsuasi della sua
innocenza, presero tosto le sue parti, e, fattolo
subito uscire da quella stanza, senza riflettere al-
l'affronto che .facevano a un loro Superiore, lo
condussero a pranzo, dichiarandosi pronti a so-
stenerlo con tutte le loro forze; e lo tennero con
sè tutto il rimanente del giorno, non senza am-
mirazione della Comunità. · Il cuore faceva velo
alla ragione, e in tempo di cena questi insegnan-
ti, che, per altri motivi l'avevano alquanto ama-
ra con l'economo, presero a biasimare altamente
il suo contegno in quella circostanza, poichè sen-
za udir ragione aveva punito un innocente. Cli
animi erano scaldati . e le parole poco misurate.
Don Bosco taceva, e, dopo le orazioni della sera,
annunciò che il mattino seguente il gio~ane A-
gostino sarebbe partito per il suo paese. Fu uno
scoppio di folgore.
I giovani si ritirarono nei dormitori, e restò
solo nel cortile e come sbalordito un picaolo croc-
chio di insegnanti, fra cui quelli che si erano
dichiarati contro l'econoino, e biasimavano le se-
vere disposizioni del Superiore. Mormorarono per
un pezzo, e finalmente un capo di laboratorio,
con impegno inconsiderato, concluse: « Uno di noi
vada da Don Bosco e gli dica francamente che,
se quel giovane non ottiene grazia, noi abban-
doneremo l'Oratorio.
501

50.4 Page 494

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- Non spingiamo la questione tanto avanti,
osservò il consigliere scolastico, che aveva udi-
to questa minaccia: - io salgo da Don Bosco e
spero ,che le cose si accomoderanno. - Erano le
dieci e mezzo, e, trovato Don Bosco ancora a ta-
volino, gli espose il malcontento di certi confra.-
telli, e pregò per un perdono immediato.
Don Bosco rispose: 4:: La mancanza è certa;
l'intenzione non la giudica altri che Dio. D'altra
parte il lanciare quel torso di cavolo costituisce
una infrazione alla Régola, sia perchè in quel
tempo era intimato il silenzio, sia perchè nelle
attuali circostanze un simile. atto poteva essere
causa di gravi disturbi, dopo i replicati avvisi.
Tuttavia, nonostante la gravità del fatto, io avrei
potuto trovare un ripiego per salvare il giovane
che realmente è buono; ma voi, prendendone le
difese, mi avete messo nell'impossibilità di in-
dietreggiare. Si sa dai chiérici e dai giovani che
voi avete preso partito contro Don Savio, e io
non permetterò mai che l'autorità sia costretta
a subire una simile pressione ».
Il Direttore ·degli studi :ritornò verso le un-
dici e un quarto fra i compagni, che l'aspetta-
vano con ansietà, e disse loro: - Don ·Bosco è
irremovibile.
Tutti ·si ritirarono nelle loro stanze pensando
a qual partito dovessero appigliarsi. E, per loro
502

50.5 Page 495

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fortuna, si appigliarono al migliore. Qualcuno dis-
se sottovoce, e fra questi Enrico Bonetti: - La-
sciare Don Bosco? Mai!
- Con Don Bosco fino alla morte! rispose
uno p er tutti; e così fu.
Sul far dell'alba Agostino partiva.
Calmata la passione e posta a tacere la cosa,
dopo qualche settimana Agostino, forse per con-
1siglio avuto, scrisse da casa sua una lettera a
Don Bosco, nella quale chiedevagli perdono del
fallo che, per sbadataggine e involontariamente,
aveva commesso. Don Savio, interrogato, inter-
cedette per lui, che, ritornato nell'Oratorio, vi
finì con lode gli studi.
Questo fatto fu per gli alunni una salutare
lezione, poichè videro che Don ·Bosco, trattandosi
dell;autorità, non badava a nessuno, e che anche
un alunno dei più buoni, e sostenuto dai più
influenti dell'Oratorio, non era riusçito a sot-
trarsi alle conseguenze di una disobbedien-
za (589).
Con questo significativo episodio diamo ter-
mine all'argomento della · correzione e dei casti-
ghi. Dio voglia che, quando dovessimo anche noi'
trovarci nella necessità di ricorrere a questi mez-
zi disciplinari, lo sappiamo fare con la mente
e col cuore di San Giovanni Bosco.
I
I
503
'
'

50.6 Page 496

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j
CAPITOLO VII.
LA SCUOLA
COME PALESTRA DI EDUOAZIONE
Premessa.
Dopo aver esaminata la disciplina e l'assisten-
za salesiana, come mezzi generali ed essenziali per
educare secondo il sistema di Don Bosco, passia-
mo ora a esaminare alcune categorie più partico-
lari di mezzi educativi, tra cui principalmente -
l'istruzione e l'esempio.
-
E li considereremo sempre alla luce della ca-
rità, nello spirito e nella foruna in cui Don Bosco
li ha escogitati e considerati, sia nella teoria che
nella pratica. Anzi, proprio sotto quest'ultimo
aspetto noi intendiamo esaminarli, quali risorse
pedagogiche specificatamente salesiane. Ripetere-
mo anche a questo proposito quello che abbia-
mo detto altrove, e cioè che dell'istruzione e del-
504

50.7 Page 497

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l'esempio si servono e si servirono tutti gli edu-
catori, ma che la specialità di Don Bosco preci-
samente consiste nell'averli concepiti e praticati
in quel modo suo .proprio, che ,tramandò poi ai
suoi figli nel Sistema . Preventivo.
1. Come Don Bosco usava
l'istruzione ai fini educativi.
. Ogni attività umana suppone la conoscenza.
In particolare poi la coscienza morale !?- religiosa
non può agire, e anzi neppur esistere, là dove
mancano le dovute cognizioni. Non si può volere
nè compiere il bene che non si conosce, poichè
la volontà dev'essere illuminata dall'intelletto.
Quindi l'educatore deve impegnarsi ad aiutare i
giovanetti ad arricchirsi di sane ed utili cogni-
zioni, specialmente morali e religiose. ,
Don Bosco praticò l'istruzione nei modi più
diversi, taluni generali, altri suoi proJ>ri e par-
ticolari. Anzitutto si servì dell'istruzione verbale,
personale, fatta in privato ed in pubblico. A que-
sta forma appa:dengono principalmeiite le predi-
che e istruzioni religiose tenute in chiesa; le con-
ferenze fatte ai giovani, a tutti insieme oppure
per gruppi, secondo l'età e le condizioni loro; e
le cosiddette Buone Notti o sermoncini della sera.
Molto dovremmo dire delle sue pr~diche od
505

50.8 Page 498

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istruzioni religiose. Le sue doti di predicare s6do,
e, al tempo stesso, semplice e popolare, e il fa-
scino della sua santità, facevano sì che le sue pre-
diche e le sue istruzioni fossero desiderate non
solo dai giovani, ma da ogni categoria di perso-
ne. Per ciò stesso erano innumerevoli le richieste
che gli venivano fatte da ogni parte perchè si re-
. casse in città o paesi a predicare missioni, eserci-
zi spirituali, panegirici ed istruzioni nio:r;ali. Egli
però, per quanto poteva, cercava di liberarsene,
perchè, come fu già detto, era profondamente
persuaso che la missione affidatagli da Dio era
specialmente quella di occupar~i della gioventù.
Che dire poi delle innumerevoli conferenze
fatte ai Salesiani e ·ai giovani? Il suo linguaggio
era sempre persuasivo, ricco di aneddoti. Soprat-
tutto sapeva, in ogni caso, dare ai different( g.rup-
pi quell'indirizzo, quelle norme, quei consigli pra-
tici, che maggiormente giovassero al bene loro.
Ma una parola speciale va detta sopra i ·ser-
moncini .della sera. Molto si è parlato· di questa
forma d'istruzione, che viene considerata come
una creazio~e geniale e caratteristica di Don Bo-
sco. Taluni pensano che l'origine della · Buona
Notfle di Don Bosco sia da ricercarsi nel primo
colloquio veramente materno che Mamma Mar-
gherita rivolse ai primi ricoverati, prima di man-
darli a· riposo: e certamente si tratta ·di una bel-
506

50.9 Page 499

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lissima manifestazione dello spirito di famiglia,
come vedremo. Altri vollero paragonare la Buo-
na Notte a una semplice predichetta religiosa ri-
volta ai giovani prima che vadano a prendere ri-
poso. Chi conosce l'indole e il signifi~ato intimo
della Buona Notte salesiana sa che essa è cosa
ben diversa da una predichetta, come pure da
semplici avvisi o ·ammonimenti_ dati dai Superiori
a collegiali in determinate occasioni.
Storicamente, lo stesso Don Bosco scrisse come
e perchè incominciò a darla nel 1848: « Non aven-
dosi ancora i laboratori nell'istituto, i .nostri al-
lievi andavano a lavorare e a scuola in Torino,
con grande scapito della moralità, perciocchè i
compagni che incontravano, i discorsi che udiva-
no, e quello che vedevano, facevano tornare fru-
straneo quanto loro si faceva e si diceva nell'O-
ratorio. Fu allora che ho cominciato a fare un bre-
vissimo sermoncino alla sera dopo le orazioni
collo scopo di espprre o confermare qualche ve-
rità che per avventura fosse stata contraddetta
nel corso della giornata» (590).
Nel suo discorsetto che durava da due a tre
minuti, esponeva ora un punto di dottrina, ora
. una verità morale, e ciò col mezzo di qualche
apologo, che i giovani ascoltavano col massimo
piacere. Soprattutto egli mirava a premunirli con-
tro .le insane opinioni del giorno, e .contro gli
507
.
I

50.10 Page 500

▲back to top
er.rori dei protestanti, che serpeggiavano per To-
rino. Talora per meglio attirare la lor·o attenzio-
ne e per scolpire più profondamente nell'animo
una buona massima, egli raccontava loro un fatto
edificante avvenuto nel giorno, o tolto dalla sto-
ria o dalla vita di un santo. Altre volte propo-
neva ùn quesito da risolvere., od una domanda
a cui dare adeguata risposta._ Per lo più egli la-
sciava alcuni giorni per rispondere. La risposta
facevasi sempre sopra un bigliettino port~nte il
nome e cognome dell'autore, ed un premiuccio
toccava a chi dava nel segno. In questa guisa fa-
ceva pensare, e intanto apriva la via a se stesso
a sviluppare le più utili verità, che non si di-
menticavano- più (591).
Pedagogicamente, la Buona Notte è l'espressio-
ne più significativa, eloquente e simpatica di quel-
lo spirito di famiglia che, come abbiamo visto,
è una delle più spiccate caratteristiche della vita
salesiana.
-La Buona Notte è il riflesso di una bontà p a-
terna soavissima. È il padre, che, quando vede
raccolti attorn~ a sè i suoi cari figliuoli, nel mo-
mento più tranquillo e suggestivo, al termine di
una giornata intensamente vissuta, rivolge loro,
prima ch'essi vadano a riposo, una parola affet-
tuosa in un'atmosfera di silenzio e di esuberante
spirito familiare.
508

51 Pages 501-510

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51.1 Page 501

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Appunto perchè essa è espressione dello spi-
rito di famiglia, il tema generalmente trattato ri-
guarda particolari avvenimenti del giorno, con -
un leggero commento che serva d'istruzione e ma-
gari di preparazione a ciò che dovrà farsi nel
dì seguente, ricavandone dall'esame dei fatti stes- ·
si, insegnamenti salutari, che incoraggiano gli a-
nimi; allora sì ben disposti, ad evitare disordini
e pericoli. Altre volte 'prende le mosse da fatti
già passati, ma dei quali si continua a parlare
dentro e fuori di Casa, fatti che meritano un ri-
lievo o un giudizio meglio ponderato, oppure una
rettifica o una messa a punto nel quadro d ella
vita, 'della storia e della moralità cristiana. Non
poche poi sono le Buone Notti che contengono
un'esortazione o un orientamento efficace su qual-
che punto della vita spirituale. Insomma la Buo-
na Notte è la parola paterna e autorevole del Di-
rettore, il quale deve essere considerato' non solo
come il buon padre di famiglia, ma l'educatore
per eccellenza della casa salesiana.
Può anche avvenire che talvolta argomento del-
la Buona Notte sia uri abuso, una mancanza, un
difetto morale. Il Direttore in questo caso, an-
zichè dare alla Buona Notte il tono di rimprovero,
saprà servirsi· di un esempio, di un apologo, co-
me sapientemente faceva appunto Don Bosco, al-
lo scopo di far capire le cose senza lasciare ama-
509

51.2 Page 502

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rezza nei cuori. Si avverta ·che questa è una del-
le caratteristiche della Buona Notte. I giovani so-
no sul punto di recarsi a prender riposo: può
anche darsi che, nel corso della giornata, alcuni
di essi siano stati turbati da insuccessi nella scuo-
la o nel lavoro, oppure siano cadu,ti in qualche
mancanza frutto della loro leggerezza. · Ora la
Buona Notte dev'essere come una rugiada soave
che scende sugli animi, la parola buona che a
tutti ridona la calma e la serenità.
Solo in rarissime occasioni e per motivi ec-
cezionali Don Bosco disse nel sermoncino della se-
ra il suo disgusto per qualche colpevole atteg-
giamento dei giovani o la sua riprovazione di
mancanze commesse. Ma anche allora la sua pa-
rola, grave e severa, .era vivifica_ta, da un sentimen-
to di affetto verso i giovani stessi, lasciando ca-
pire che quel suo rimprovero era per richiamarli
al dovere e non già per amareggiarne il cuore.
Sicchè i giovani ne rimanevano scossi: e quella
tanto inusitata severità, anzichè chiudere i loro
cuori, li apriva alla fiducia, al ravvedimento, al
desiderio di ottenere, con una condotta migliore, il
per·dono.
Affinchè poi la Buona Notte fosse veramente
paterna, e aderente alla vita dell'istituto, Don Bo-
sco lasciava queste norme: « Ogni sera, dopo ]e
ordinarie preghiere e prima che gli alunni vadano
510

51.3 Page 503

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a riposo, il Direttore, o chi per esso, indirizzi al-
cune affettuose parole in pubblico, dando qualche
avviso o consiglio intorno alle cose da farsi, o da
evitarsi, e studi di ricavare le massime da· fatti
avvenuti in -giornata nell'istituto o fuori; ma che
il suo sermone non oltrepassi mai due o tre minuti.
Questa è la chiave della·moralità, del buon anda-
mento della casa e -del buon successo dell'educa-
·zione » (Regolam., 96) (592). Moltissimo, se non
tutto, dipende da questo (593). si taglia la
radice dei disordini prima ancora che nasca-
no (594). In detto sermoncino, « poche parole: una
sola idea di maggiore importanza, ma che facci.a
imP,ressione, sicchè i giovani vadano a dormire
ben compresi della verità che è stata loro espo-
sta » (595). E il Direttore parli regolarmente lui
(596) ; non ceda· ad altri questo suo dovere, a meno
che non sia assolutamente impedito (59?).
Oltre all'istruzione impartita ·nei modi finora
indicati, vi sono anche gli avvisi dati agli alunni
in generale nello studio, nella chiesa, . nelle carne'"'.
rate, secondo le circostanze: avvisi comunicati,
a seconda dei casi, dal Prefetto, dal Catechista,
dal' Consigliere professionale, scolastico, agricolo,
~ volte anche dal Direttore, ma sempre in modo
paterno; e, più raramente, ·dagli Assistenti.·
Vi sono poi i colloqui privati. Qrtesti avven-
gono talvolta, e special~ente per i più grandicel-

51.4 Page 504

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/
li, a tu per .tu, nell'ufficio del Direttore. Son col-
loqui destinati a qualche paterna ammonizione,
ma non poche volte per aiutare il giovane a mi-
gliorarsi sempre più e ad orientarsi verso quella
mèta che costituirà poi la sua vocazione; All'O-
ratorio di Valdocco fu tradizione costante che nel
proprio ufficio, solo il Direttore tenesse colloqui
privati con i giovani: e anche il Prefetto, quando.
avesse dovuto intervenire. Invece il Catechista
generalmente chiamava gli alunni, ai quali cre-
deva necessario dire una buona parola, durante
la ricreazione, in cortile, o sotto i portici: altret-
.tanto faceva il Consigliere Scolastico, il quale
talvolta riceveva i giovani anche in una scuola
a porte aperte.
Tali colloqui privati, se talvolta dovevano a-
vere il tono della correzione, contenevano però
sempre anche una buona parola che istruiva l'a-
lunno sui doveri ed esortava a migliorare la pro-
pria condotta p_el bene suo, e a conforto della fa-
miglia e dei superiori. evidente che simili col-
loqui, vivificati dai sentimenti suindicati, abbiano
una forza formativa più grande sull'animo degli
educandi, perchè più particolarmente adatti alle
loro condizioni personali, al loro carattere, ai
loro difetti e passioni, e perciò direttamente inte-
ressanti la loro vita.
Abbiamo già accennato alle cosiddette « paro-
512
.,

51.5 Page 505

▲back to top
line all'orecchio :i> , che Don Bosco rivolgeva tal-
volta agli alunni in tempo di ricreazione. Qui
crediamo doveroso indicare che la loro efficacia,
così potente, doveva certamente derivare dai suoi
doni straordinari e dai carismi speciali con cui
Iddio aveva arricchito Don Bosco. Dette parole,
non solo manifestavano la pii:t tenera paternità,
ma mettevano in evidenza la santità di colui che
le proferiva. Perciò pensiamo che non tutti e non
sempre si sentiranno in animo di pienamente imi...
tare anche in questo il grande Educatore. Eppure
questo rappresenta una parte di quella « azione
diretta » sempre indispensabile nell'educazione e
di cui oggi si riconosce tanto l'importanza.
Dopo aver segnalato la forza educatrice della
parola di Don Bosco, viva e penetrante, è bene·
mettere in rilievo anche la singolare efficacia pe-
dagogica dei suoi scritti. L'istruzione in quest'ul-
timo caso ha spesso maggior valore e consistenza,.
giacchè le parole scritte hanno il vantaggio di
rimanere, · mentre quelle orali facilmente svani-
scono e si perdono.
Don Bosco si valse in maniera straordinaria.
della parola scritta.
E qui è doveroso ricordare i libri che egli
sapeva scegliere con accortezza e distribuire con
prudente zelo ai suoi giovani per la lettura pri--
vata, e per la lettura comune in chiesa, in dor-
513
17 (I)

51.6 Page 506

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,mitorio, in refettorio; i libri scelti e raccolti nelle
bibliotechine della casa; i libri, sopr~ttutto, scritti
da lui espressamente per loro: ed è universalmen-
te noto come egli avesse saputo divenire fecondo
compositore di libri e librettini per la gioventù, -
scritti con parola piana e alla portata di tutti,
attraenti e al tempo stesso con stile forbito e con
purezza di linguaggio.
Son poi innumerevoli gli altri scritti, foglietti,
·pagine, che contenevano avvisi, consigli e fio-
retti spirituali, dati ai giovani da praticare in
tridui, novene, mesi speciali. Affissi a volte in
quadretti esposti nei luoghi più frequentati, ri-
chiamavano la -nota e soavissima voce del Padre.
Altra categoria di scritti, dei quali si valse
genialmente Don Bosco, mosso soprattutto da pro-
fondo spirito educativo, sono le iscrizioni murali.
Molte di esse si possono vedere ancora oggi nel- _
l'Oratorio, nella parte più alta delle arcate dei
portici primitivi, oppure nelle camere o in altri
luoghi. Il santo giovanetto Domenico Savio, la
prima volta che entrò nella cameretta di Don
Bosco, rimase appunto profondamente colpito da
una di queste iscrizioni. Esse, anche durante le
ricreazioni, oppure in ·luoghi diversi, richiamavano
alla mente dei giovani un buon pensiero che po-
teva riuscire fecondo di riflessioni e propositi.
Che dire poi delle parole scritte da Don Bosco
514

51.7 Page 507

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nelle lettere· indirizzate ai suoi alunni, anche
quando si trovavano molto lontani? Anzitutto gli
alunni si persuadevano che Don Bosco veramente
li amava, perchè in lui era sempre vivo il loro
ricordo. Inoltre gli avvisi e consigli che loro dava
in quelle lettere rispondevano precisamente ai
loro bisogni fisici, intellettuali e morali, perchè
Don Bosco aveva sempre presente la loro forma-
zione e il loro bene. Le lettere poi indirizzate agli
alunni di diversi istituti racchiudevano veri tesori
di sapienza educativa. Quando verrà pubblicato ·
il voluminoso epistolario compilato a cura del no~
stro Don Ceria, tutti avranno _modo di persua-
dersi quanto fosse vivo, fecondo, incessante lo
zelo formativo di Don Bosco, e come il cuore del_
padre sapesse riversarsi in quello dei figli, fa-
cendone vibrare le fibre più delicate, per la co-
noscenza personale che egli aveva dei suoi alunni.
Non meno delle lettere, corrispondevano ai fi-
ni indicati. i bigliettini che Don Bosco scriveva
agli alunni, rispondendo brevemente a una con-
sultazione, sciogliendo un dubbio, esaminando una
richiesta. Erano biglietti brevi, insinuanti, per-
suasivi, scritti su puliti ritagli di carta. Talvolta
egli stesso si recava a collocarli sotto il guancia-
le degli alunni, affinchè essi lo potessero leggere
con più calma di spirito.
Gli alunni erano persuasi che quelle brevi pa-
515

51.8 Page 508

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role, contenessero o no illustrazioni celesti, erano
sempre l'espressione, non solo dell'autorità di Don
Bosco, ma soprattutto della sua grande santità
e immensa carità.
2. La scuola.
a) FUNZIONE EDUCATIVA DELLA SCUOLA.
Don Bosco era convinto che, tra i mezzi di edu-
cazione, la scuola è certamente uno dei più im-
portanti, essendo la più copiosa fonte dell'istru-
zione. Ma era pure persuaso che la scuola non
esaurisce per nulla tutta l'opera dell'educazione,
come sembrerebbe oggi ancora ad alcuni peda-
gogisti i quali sopravvalutano la potenza della
scuola, come se essa fosse la sorgente ·e il mezzo
più efficace di educazione. Fin dal secolo scorso
non mancarono uomini eminenti, come il Lacor-
daire ed altri, che minacciavano funeste conse-
guenze agli Stati nei quali l'istruzione fosse a
~capito dell'educazione.
L'istruzione infatti opera direttamente . sull'in-
telletto, mentre il lavoro ed~cativo agisce parti-
colarmente sulla volontà. L'istruzione farà degli
uomini colti, ma solo l'educazione può renderli
e conservarli onesti. L'istruzione è mezzo e condi-
zione dell'educazione, la quale è il fine. Un pro-
gresso intellettuale al quale non andasse paral-
516

51.9 Page 509

▲back to top
lelamente unito un progresso morale e religioso.-
resterebbe vano e diverrebbe fonte di orgoglio,
d'insubordinazione, di egoismo, fino a costituire
un vero pericolo p-er la società. Non mancò chi
a:ffer~asse che una istruzione non educatrice è
peggiore dell'ignoranza, e un semenzaio per le
carceri. Le ultime funestissime guer,re sono ve-
nute a dimostrarci che la scienza, con il suo im-
ponente progresso, non è capace di governare i
destini del mondo: solo l'educazione, la quale non
può essere mai disgiunta dalla moralità e dalla
Religione, renderà gli .uomini galantuomini.
Questa distinzione e subordinazione della
istruziohe all'educazione fu raccomandata sempre,
anche dopo la morte di Don Bosco, da coloro che
la appresero da lui e ne continuarono la missione.
Lasciò scritto Don Cerruti: «L'istruzione è via
alla educazione; quella si indirizza all'intelligen-
za ed ha ragione di mezzo; questa, alla volontà
ed ha ragione di fine. È dunque l'istruzione -
conclude - l'ausiliaria dell'educazione con cui
coopera in certo modo, o meglio, con cui deve
cooperare e preparar la via al conseguimento del
suo fine » (598).
Queste idee, i primi Sa1esiani le avevano ap-
prese alla scuola di Don Bosco, il quale mentre
ebbe, come si disse, in alta stima l'ìstruzione,
fu però sempre persuaso che essa a nulla giove-
517

51.10 Page 510

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.rebbe senza l'educazione, anzi l'ostacolerebbe. 4: I
parenti, - egli diceva, - affidano i loro figliuo-
li agli Istituti Religiosi con l'intenzione che sia-
no istruiti nella letteratura, nelle scienze, nelle ar-
ti e nei mestieri: ma il Signore ce li manda af-
finchè noi c'interessiamo delle loro anime ed essi
vi trovino via dell'eterna salute. Perciò tutto
il resto deve da noi considerarsi come mezzo; e
il nostro fine · supremo, farli buoni, salvarli eter-
nament~ » (599). I maestri pertanto « si ricordino
che la stuola non è che un mezzo per far del be-
ne. Essi sono come parroci nella parrocchia o mis-
sionari nel campo dell'apostolato. Quindi di quan-
do in quando devono far'.risaltare la verità cri-
stiana, parlare dei doveri verso Dio, dei Sac.rà..:
menti, della divozione alla Madonna; insomma le
loro lezioni siano cristiane, e siano franchi e amo-
rèvoli nell'esortare gli allievi ad essere buoni cri-
-stiani. questo il gran segreto per affezionarsi
la gioventù ed acquistarsi tutta la confidenza. .Chi
ha vergogna di esortare alla Pietà è indegno di
essere maestro, e i giovani lo disprezzano ed eg-li
non riuscirà che a. guastare i cuori che la Di-
vina Provvidenza gli ha affiqati » (600).
Don Bosco non negò mai· l'importanza che la
scuola occup'a nella vita del giovane. Ma egli la
intese e volle costantemente educativa, anche per
la forza stessa che l'idea ha sull'azione, e la co-
518

52 Pages 511-520

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52.1 Page 511

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noscenza sulla volontà. La scuola considerata sot-
to questa luce, partecipa della natura dei due
grandi mezzi di educazione, dei quali abbiamo
parlato: l'istruzione e l'esempio, la parola e l'a-
zione. Don Bosco, avendo sempre in vista tali
nobili sentimenti, seppe servirsi, personalmente
e per mezzo dei suoi collaboratori, della scuola
in tutti i rami dello scibile, pel bene degli alunni.
Parlando dei rami dello scibile, dobbiamo dire
che egli avrebbe voluto una scuola nella quale
non si studiassero troppe cose, ma si studiassero
bene e profondamente le . necessarie. Oggi si dà,
vorremmo dire, uno sv:iluppo esagerato· a ciò che
potrebbe piuttosto chiamarsi soddisfazione della
curiosità: è certo che, chi approfondisce poche
materie, riesce a conoscerle di più e a servirsene
meglio.
Soprattutto poi ripeteva che l'istruzione senza
la Religione non sarebbe mai riuscita formativa.
Nel suo Regolamento stabilisce che, una volta per
settimana, nella scuola di lingua latina, si faccia
una lezione sopra un testo latino di autore cri-
stiano _(Regolam., 206) (601). Il maestro inoltre,
egli dice, « dai classici sacri e profani avrà cura
di trarre le conseguenze morali quando l'oppor-
tunità della materia ne porge occasione, ·ma senza
ricercatezza » (602).
Nella tradizione salesiana una delle massime
519

52.2 Page 512

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più fedelmente praticate fu ed è quella di far
passare Iddio nel cuore d'ei giovani, non solo per
la porta della chiesa, ma anche per quella del-
la scuola e dell'officina (603). Era questa la mèta
che Don Bosco voleva si raggiungesse col lavoro
educativo: collocare Dio nel cuore dei giovani.
Don Cerruti, fedele continuatore delle tradi-
zioni di Don Bosco, ribadiva moltissimo questi
concetti, come pure insisteva sopra la lettura e la
spiegazione degli autori cristiani, indicandone an-
che diffusamente la modalità. Il suo prezioso Ri-
cordino Educativo Didattico merita di essere co-
nosciuto perchè serve a farci capire sempre me-
glio il pensiero di Don Bosco (604).
« Ogni insegnante, - diceva Don Bosco, -
non deve dimenticare che è un maestro cristia-
no » (605); perciò « la vigilia delle fes.fe, ne dia un
brevissimo annunzio colla esortazione alla Comu-
nione, sul finir della scuola del pomeriggio. Gran-
de è l'influenza che ha la parola del maestro su-
gli scolari, quando è d~ essi amato >> (606). I no-
stri Regolamenti espressamente raccomandano la
breve esortazione agli alunni, perchè celebrino de-
votamente le novene e le feste (Regolam., 206) (607).
Insomma, nel suo grande amore per la salvez-
_za dei giovani, Don Bosco voleva anzitutto la
scuola come strumento d'istruzione e di forma-
zione religiosa. Alla Religione infatti ~rano ri-
520

52.3 Page 513

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servate alcune ore del programma. D'altronde fu
questa la prima disciplina che egli insegnò nel suo
Oratorio e che oggi ancora, giusta il suo deside-
rio, conserva e deve conservare, nei nostri isti-
tuti, .il posto più importante e onorifico. E detta
scuola di Religione egli volle nei corsi elèmentare,
ginnasiale e liceale, ed anche per gli alunni ar-
tigiani e agricoltori. Nella storia della _Pedagogia,
almeno in Italia ed in Piemonte, egli è merite-
vole di menzione speciale per questa sua opera,
domenicale e quaresimale, a favore dei giovani
più poveri e derelitti e delle classi operaie.
Spiegando la strenna dell'anno centenario 1941,
abbiamo messo in chiara luce, e diffusamente,
l'opera svolta dal Santo per l'insegnamento ca-
techistico: riputiamo superfluo ripetere qui le co-
se ivi dette (608).
b) SCUOLA CRISTIANA.
H sistema educativo di Don Bosco si basa
sulla religione, oltre che sulla ragione e sull'a-
morevolezza. Orbene la religione esige che l'edu-
catore cerchi d'improntare ai princìpi del Vange-
lo l'istruzione che dà all'allievo. Pertanto, nel pen-
siero di Don Bosco, la scuola che non è cristiana,
deve consider~rsi anticristiana.
Parlare di scuola neutra è voler ingannar la
gente. In pratica si è visto ormai dappertutto, e
521

52.4 Page 514

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oggi è comprovato da tragiche esperienze, che la
neutralità altro non è che· menzogna e settari-
smo, m~ntre con ragione fu detto che la scienza
senza la religione è come un libro a cui sia sta-
to tolto il principio ed il fine.
Abbiamo visto come Don Bosco esigesse che
il pensiero religioso fosse fatto .presente ai ·gio-
vani, non .solo nella scuola di Catechismo, ma,
con prudenza, discrezione e sano accorgimento,
anche in tutte le altre materie. Non può un mae-
stro o professore salesiano insegnare la gramma-
tica, la lingua greca, la storia, le scienze natu-
rali e fisiche, come le insegnerebbe un professore
incredulo o indifferente. Ogni scienza racchiude
un sistema di verità, ogni verità deriva sem-
pre dalla Verità somma, che è Dio. L'abilità del
professore sta appunto nel saper risalire dalle
verità letterarie e scientifiche alla Fonte stessa del-
la verità,, per riceverne quella luce rischiaratri-
ce che forma e irrobustisce l'intelligenza.
I raggi dell'istruzione Don Bosco li voleva
convergenti tutti al nobile scopo di eccitare e
nutrire la pietà e, con essa, la moralità. Non deve
un figlio di Don Bosco, pur ripudiando come er-
rore la scuola neutra, farsi in certo modo prati-
camente fautore di essa, spogliando l'istruzione di
quella luce che, mentre impedisce l'atrofia del
cuore, favorisce la stessa scienza umana.
522

52.5 Page 515

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-e) L'AMBIENTE DELLA SCUOLA.
Essendo la scuola uno dei mezzi più importan-
ti di formazione e di educazione, l'impegno di cia-
scun Salesiano, di ciascuna '.Figlia di Maria Au-
siliatrice, dev'essere rivolto a perfezionare le pro-
prie scuole; a renderle possibilmente le: migliori,
le più attraenti, le meglio attrezzate, sia dal pun-
to di vista dell'ambiente scolastico, sia da quello
del personale insegnante.
Don Bosco desiderava camminare coi tempi.
Considerando le costruzioni da lui fatte in epo-
che diverse si scorge che in tutte vi era sem-
pre qualche progresso. Ai nostri giorni gli edi-
fici scolastici, e le aule in particolare, dopo
lungo studio ed esperienza, furono notevolmente
migliorate e rese sempre più adatte alle condizio-
ni di clima, di ventilazione, di tranquillità, di as-
senza di pericoli e di rumori. I miglioramenti sono
inoltre dovuti alle aumentate esigenze circa il nu-
mero degli allievi, la cubatura d'aria, le possibi-
lità d~ aerazione, di riscaldamento, di mobilio a-
datto ed igienico, specialmente per i banchi e i
deschetti. Così pure sono oggi assai più numerosi
i sussidi didattici, quali i quadri murali, i cartel-
loni, le bibliotechine, le proiezioni fisse e mobili,
la radio e via dicendo.
Don Bosco naturalmente si servì dei mez~i che
523

52.6 Page 516

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eranvi ai suoi tempi. Egli però, pur apprezzan-
do i progressi ambientali e sussidiari, era persua-
so che essi costituiscono come il corpo della scuo-
la. A lui p_remeva soprattutto quello che ne è l'a-
nima. E nel suo pensiero, l'an1ma della scuola è
l'educatore, il maestro, il professore ben formati,
dotati dei titoli necessari, e soprattutto forniti di
ricca attrezzatura non solo intellettuale e scien-
tifica, ma anche pedagogica .e didattica. Don Bo-
sco ricordava spesso ai suoi collaboratori che, se
dovevano esser sempre animati dalla più squisita
carità, dovevano al tempo stesso aver presente che
erano obbligati a impartire ai loro allievi istru-
zione ec;l educazione anche a titolo di giustizia.
Sapeva che le famiglie affid,avano a lui i loro fi-
gliuoli perchè li educasse con il suo sistema: così
si spiegano le sue in.sistenze mai interrotte ,per
illuminare, guidare, incoraggiare i suoi maestri
a compiere nel modo migliore la loro alta missio-
ne giusta le sue norme pedagogiche.
d) LA SCUOL_A IN AZIONE.
l) Don Bosco, maestro!modello.
Come Don Bosco fu catechista nato, così pos-
siamo dire che egli del maestro abbia avuto la
vocazione e le doti in grado eminente: zelo per
524

52.7 Page 517

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le anime dei giovanetti, purezza e santità di vi-
ta, memoria prodigiosa, ingegno perspicace, cul-
tura non comune, estro inventivo e spirito di ini-
ziativa. Ebbe poi, in rara misura, attitudine sor-
prendente a rendersi interessante, chiarezza e
semplicità di parola, abilità nel colpire i sensi e
l'immaginazione, inesauribile facilità nella crea-
zitme di esempi e similitudini, e poi il gran dono
di farsi amare. Scrive Don Lemoyne che « le sue
parole aHraenti, le sue maniere affettuose, tutto
candore e semplicità, lo rendevano padrone del
cuore degli scolari. Er<;t sempre una festa la sua
apparizione in una scuola » (609).
Giovane studente e poi seminarista a Chieri~
ripeteva le lezioni di scuola ai membri della So-
cietà dell'Allegria ed ai giovani che si recavano
a visitarlo tutti i giovedì in seminario; insegnò
i primi rudimenti di latino al sacrestano del d~o-
mo, spianandogli la via del sacerdozio: faceva da
ripetitore di latino e di greco specialmente du-
rante le vacanze, dopo i vari corsi di filosofia e
di teologia, con vera passione e bravura. Divenu-
to sacerdote e chiamato da Dio a fondare l'opera
degli Oratori festivi, istituì subito le scuole serali
per gli adulti e artigiani, attirando ben presto
col suo metodo d'insegnamento l'attenzione della
cittadinanza. Giova ricordare che la sua Storia
d'Italia, ed il Sistema Metrico Decimale furono
525

52.8 Page 518

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gioielli di pedagogia e di didattica. In seguito ·
diede a ogni genere di scuola quel potente im-
pulso che anima ancora adesso tutte le scuole sa-
le&iane.
Le caratteristiche del _suo insegnamento ri-
sultano dalla sua prassi e dalla esposizione delle
norme didattiche che egli impartiva, non solamen-
te per la scuola di Religione, ma per qualsiasi
altro insegnamento, incominciando dalla prepa-
e razione remota prossima alla scuola.
2) Preparazione remota.
Vedremo più diffusamente ciò che Don Bosco
fece per la preparazione remota dei suoi profes-
sori, dotandoli non solo dei titoli richiesti, ma
anche di scienza e p;atica didattica.
I titoli scolastici, oltrechè rappresentare un
riconoscimento ufficiale della scienza del mae-
stro e delle sue attitudini all'insegnamento, ser-
vono ad accrescere la stima per l'istituto da parte
delle autorità scolastiche, delle famiglie e degli
allievi.
Essendo presupposto indispensabile di ogni at-
tività scolastica la scienza dell'insegnante, questi
deve persuadersi che la sua competenza deve ri-
guardare anzitutto la materia propria del suo in-
segnamento, ma poi anche le materie accessorie,
526

52.9 Page 519

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direttamente o indirettamente con~esse con quel-
la principale.
A Don Bosco premeva inoltre che gli scolari
avessero quasi l'impressione che il loro maestro
sapesse di tutto e fosse sempre pronto a dare sod-
disfazione alle loro do~ande, in scuola o fuori di
essa. Gran parte dell'ascendente che egli godeva.
anch_e in ambienti colti era dovuto alla sua vasta
e profonda erudizione. Sugli inizi dell'Oratorio;
costretto a mandare i suoi giovani a scuola i:q cit.:.
tà, li seguiva, e durante le ore di scuola e durante
gli esami. Andava a visitare gli esaminatori, i
quali spontaneamente gli facevano vedere i lavori
dei suoi giovani. Don Bosco leggeva attentamente,
esaminava le correzioni, difendeva certe impro-
prietà che erano giudicate errori. Ciò faceva con
tanta competenza, da farsi ammirare da quei pro-
fessori, i quali esclamavano che mai si sarebbero
immaginati, in Don Bosco, tanta profondità e
varietà di cognizioni nella letteratura latina (610).
I giovani poi, durante le ricreazioni, gli fa-
cevano un mucchio di domande di indole scien-
tifica, corredandole con una infinità di perchè.
Don Bosco sapeva quasi sempre rispondere con
franchezza e con p·recisione. A questo modo essi
eransi formato un concetto altissimo della sua
scienza, che, nella loro ingenuità, consideravan,_o
quasi inarrivahile. E questo per Don Bosco era
527

52.10 Page 520

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un mezzo potente per imporsi paternamente a
tutti. Egli si era fatta una legge di non ignorare
veruna di quelle cognizioni che i suoi giovani pos-
sedevano, oppure che dovevano avere o avrebbero
necessariamente acquistate. Era un nuovo e con-
·tinuo studio, al quale solo poteva tt.endere chi
:aveva, come lui, una meravigliosa memoria (611).
A chi gli chiese una volta quali fossero le doti
necessarie a un Direttore per reggere bene un col-
legio, Don Bosco diede questa risposta: « È , ne-
cessario che un Direttore abbia piena influenza
sui giovani e per averla bisogna: 1) che sia sti-
mato santo; 2) che i giovani sappiano di essere
1
amati; 3) che sia reputato dotto · in ogni ramo di
scienza, specialmente in quelle cose che interes-
sano gli alunni. Se interrogato non sa rispondere,
dica al giovane: - Ora non ho tempo, domani
ti darò la risposta. - E bisogna che abbia pa-
zienza e si istruisca su quel punto per poter ri-
spondere con precisione » (612).
3) P1·eparazione prossima.
Dovendo ora penetrare più addentro nello spi-
rito della scuola, così come la concepiva Don Bo-
sco, notiamo che le molteplici :hormç, che qui ri-
riportiamo, sono tolte dai nostri Regolamenti
e daH'antico Regolamento per le scuole Eleme~-
528

53 Pages 521-530

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53.1 Page 521

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'
tari diurne e serali, che Don Bosco stesso era ve-
nuto elaborando a poco a poco in ben sedici anni
di esperienza, e che doveva' servire di norma
per le scuole di tutti i futuri Oratori Festi-
yj (613).
Per la preparazione prossima, egli raccoman-
da anzitutto che il maestro « procuri di an-
dare preparato sulla materia delle lezioni, poichè
ciò servirà molto per far comprendere le diffi-
coltà dei temi e la scuola tornerà dr minor fa-
tica allo stesso maestro » (614). Lo ricalcano an-
che i Regolamenti, i quali aggiungono: « Distri-
buisca la materia mese per mese » (Regolam., 206).
Don Bosco vuole inoltre che, al principio dell'an-
no, i maestri presentino al Direttore una somma-
ria distribuzione della materia da insegnare e
che, sopra l'esecuzione di tale programma, ci sia
controllo, mes.e per mese, allo scopo di vedere e
di notare quali siano le principali difficoltà in-
contrate dagli allievi. Questa preparazione de-
ve riferirsi, oltre che alla quantità della materia,
anche al modo di insegnarla tenuto conto del te-
sfo, dal programma, e delle condizioni degli alun-
ni: l'ordine e la precisione facilitano la com-
.prensione di qualsiasi argomento.
All'inizio dell'anno poi, detta preparazione de-
ve riguardare anche la scelta dei libri di testo,
nella quale va osservato quanto stabiliscono i Re-
529
I

53.2 Page 522

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golamenti: « Nella trattazione delle materie d'in-
segnamento e nella scelta dei libri di ·testo, pur
uniformandosi ai programmi prescritti dallo Sta-
to, si seguano, per quanto è possibile, i criteri,
i metodi e le indicazioni che suggerirà il Consi-
gliere Scolastico nella nostra Società. Si dia la
preferenza ai libri di testo di edizione salesiana
e, se questi mancano, si adottino altri tecnica-
mente ben -fatti e moralmente sicuri » (Rego-
lam., 136, 137). Fu già detto che, per salvaguar-
dare la moralità, Don Bosco esigeva che, nello
studio degli autori classici, tanto latini quanto i-
taliani, che fossero pericolosi per la fede e per
i costumi, si adoprassero sempr,e testi debitamen-
te purgati, compresi i vocabolari di qualsiasi lin-
gua usata dagli allievi (615). E insisteva che si
vegliasse sopra le letture dei cattivi libri, si rac-
comandassero e nominassero « gli autori che si
possono leggere e ritenere senza che la religione
e la moralità sieno compromesse » (616). Avver-
tiva inoltre i professori che si guardassero bene
dal citare autori cattivi, e specialmente dal far-
ne elogio in quanto alla lingua o ad altri pre-
gi (617).
Con questo Don Bosco voleva che la prepa-
razione alla scuola si estendesse anche alla scelta
dei libri di lettura, e più particolarmente a quelli
che si l~ggono in classe, i quali _debbono servire
530

53.3 Page 523

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a completare e integrare l'insegnamento della
scuola.
Concludendo, la preparazione prossima non
deve ·mancare mai. · Se si osserva bene, la lezione
più proficua è quella che è stata meglio prepara-
.ta. Essa deve essere tanto. più diligente, ·quanto
più alto è il soggetto che s_i vuol trattare o la ma-
teria che si vuol insegnare. Da un educatore od
insegnante cristiano si esige perciò la massima
· preparazione per l'insegnamento della Religione,
il quale è, senza dubbio, il più difficile, oltre che
il più importante, perchè si aggira nel campo
delle realtà soprannaturali.
Don Bosco faceva capire che sarebbe stata
vera presunzione, anzi ingiustizia, voler fare la
scuola senza la richiesta preparazione. La no-
stra scuola finirebbe per cadere nel disprezzo
degli scolari, i quali non ne caverebbero quel pro-
fitto che, nel mandarceli, si aspettan~ i loro ge-
nitori. Tutti coloro, pertanto, i quali prestano la
loro opera di insegnanti 'b.i nostri giovani, sentano
la responsabilità che pesa sulla loro coscienza,
davanti alle famiglie, davanti alla società, e da-
vanti ai loro stessi alunni, i quali, il più delle vol-
te, proprio nella scuola, gettano le basi del loro .
avvenire.
Non senza ragione, nel giorno dell'Esercizio
mensile di Buona Morte, i figli di Don Bosco
531

53.4 Page 524

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vengono invitati a riflettere sul modo col ·quale
si sono preparati alla scuola. Ricordiamoci spesso
che siamo una Congregazione di insegnanti, e di
insegnanti salesiani; e che, appunto per questo,
tante famiglie mandano a noi i lòro figliuoli, af-
finchè li educhiéµIlo in modo conforme all'alto
concetto che essi hanno della eduèazione impartita
secondo i dettami di Don Bosco.
4) Puntualità, <>r<line e pulizia.
I nostri Regolamenti, che conservano le tra-
dizioni di Don Bosco, stabiliscono: « Oltre i do-
veri annunciati agli articoli 136 e seguenti, i mae-
stri di scuola e capi d'arte hanno pure quelli di
essere puntuali a trovarsi nella scuola o labora-
torio al momento dell'entrata degli alunni per
farvi osservare l'ordine e il silenzio, di notificare
tosto al Consigliere i nomi degli assenti e di prov-
vedere alla necessaria assistenza qualora dovessero
allontanarsi per qualche motivo » (Regolam., 205).
« Siate i primi a trovarvi nella scuola e gli
ultimi ad uscire » raccomandava Don Bosco (618).
Il maestro poi, « tenga la decuria in ,modo dd
poterla presentare ogni giorno a chi ne facesse
do~~nda, e nel caso che qualche persona auto-
revole visitasse le scuole» (619). <( Tenga in ordine
i suoi registri » (Regolam., 206).
532

53.5 Page 525

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~ Raccomandi nettezza nei quaderni, regolarità
e perfezione nella calligrafia; pulitezza nei libri
e sulle pagine, che si .devono presentare al mae-
stro » (620). Insomma vegli a tutta possa perchè i
giovani si tengano puliti e facciano in modo che
il sudiciume sia bandito dalla scuola. Degno di
nota è pure questo consiglio di Don Bosco: <i: Al
principio dell'anno scolastico i maestri diano ai
giovani la traccia di una lettera da scriversi ai
parenti esprimendo il loro affetto, domandando
scusa delle mancanze fatte a casa, promettendo
di farsi buoni e di studiare. È questo un primo
segno della buona educazione che incominciano
a ricevere e praticare » (621).
5) La disciplina nella scuola.
Ma a poco gioverebbe l'osservanza delle norme
didattiche, se nella scuola poi la disciplina la-
sciasse a desiderare. Quanto insisteva Don Bosco
perchè essa fosse seria e prudente in classe, e
costantemente mantenuta dal principio al termine
della scuola! Udiamo il nostro Padre: « I maestri
sono responsabili di tutto ciò che avviene nella
scuola. Usino massima sorveglianza per iìnpedire
qualsiasi commercio fra interni ed esterni: pru-
denza somma nel distribuire i posti; solerzia gran-
de nello scoprire i segreti degli alunni,-onde im-
533

53.6 Page 526

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pedire perfin l'ombra di qualunque specie di im-
moralità (622). Si facciano tener sempre le mani
sul banco; non si lascino mai soli; e quando uno
ha finito la lezione, se chi deve succedere non è
pronto, abbia pazienza e non abbandoni la clas-
se » (623).
« Niuna parzialità! (624). Si dimostri grande
stima ed affezione per tutti gli allievi (625). Non
si usino preferenze nemmeno coi più buoni. Prin-
cipalmente fuori di scuola, si· trattino tutti egual-
mente (626). I maestri amino tutti egualmente i
loro allievi; incoraggino tutti, non disprezzino
nessuno » (627).
Gran cautela nelle lodi. « I migliori della
scuola si insuperbiscono se sono lodati e certi in-
gegni piccoli si avviliscono, e non potendo rag-
giungere i primi, odiano il maestro dicendo che
non li cura troppo. A costoro piuttosto un po' di
elogio modtrato » (628).
« Niuna animosità. Avvisi e biasimi se è il
caso; ma perdoni facilmente (629). Soprattutto poi
gli insegnanti non si permettano espressioni in-
sultanti o di rimprovero a tutti gli allievi. Queste
riprensioni generali sono un grave errore che se-
mina il malè: e scoraggiscono i volenterosi. Non
minaccino mai di rimandare un allievo negli esa
mi o alla fine dell'anno: questa minaccia scoraggia
troppo, e se il giovane non fosse promosso, dirà
534

53.7 Page 527

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sempre, per iscusarsi, che era una vendetta del
maestro (630). Dovendo prendere deliberazioni
di grave importanza, intorno a qualche allievo, ne
p~rli prima col Direttore (631)·. Il maestro pro-
curi di non adirarsi mai quando è obbligato a
puniu l'inerzia e la baldanza di qualche alunno;
farà in mòdo che l'allievo conosca voler egli ca-
stigare unicamente il vizio (632). Non mandi mai
fuori di scuola i ragazzi negligenti e tolleri molto
le loro dissipazioni (633). Eviti più che sia possi-
bile di ricorrere a provvedimenti disciplinari, e,
se non ne può fare a meno, non mandi gli alunni
fuori di scuola o di laboratorio. Nei casi più gravi
faccia chiamare il Consigliere o accompagnare
da lui l'alunno » (Regolam., 20?) (634).
Quando poi un allievo fosse mandato dal mae-
stro al Consigliere od al Prefetto, Don Bosco
lascia capire che il maestro deve essere ben di- .
sposto a riaccettarlo, dopo aver fatto al giovane
le debite ammonizion( (635). I castighi siano in-
flitti nella scuola. Ma si ritenga che è rigorosa-
mente proibito di ·dare schiaffi, battiture, o per-
cuotere come che sia, gli allievi (636). I maestri
fuori della scuola non esercitino alcuna autorità
sui loro allievi e si limitino ai consigli, avvisi,
o aJ. più · alle correzioni che permette e suggeri-
sce la carità ben intesa » (63?)).
Era pure desiderio di Don Bosco che i mae-
535

53.8 Page 528

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stri, per rendere pm efficace la loro azione for-
mativa sugli allievi, la continuassero fuori di
scuola, stando il più possibile in mezzo a loro
specialmente in chiesa e nella ricreazione » (638).
6) La spiegazione .
Nel pensiero di Don Bosco, gli elementi prin-
cipali d'una buona lezione sono la spiegazione,
l'interrogazione e l'assegnazione dei lavori con la
susseguente relativa correzione.
Quanto alla spiegazione, osserviamo subito che
le direttive di Don Bosco collimano col pensiero
di San Tommaso, e cioè della tradizione cattolica.
L'Aquinate insegna che per acquistare la
scienza vi sono due vie: quella individuale del-
1'autodidatta che si sforza d'imparél!I'e da sè; e
quella dottrinale che· si percorre attraverso l'in-
segnamento. Quest'ultima risparmia tempo e fa-
tica, ma vuole essa pure il concorso dell'alunno,
mediante l'attenzione e lo sforzo delle PFOprie fa-
coltà. Ed è pure uno dei niodi più comuni e con-
facenti alla natura sociale dell'uomo.
Lo stesso Angelico Dottore stabilisce il princi-
pio che ogni scienza nasce col concorso delle pre-
cedenti cognizioni. Donde la necessità per l'in-
segnante di seguire nel suo insegnamento la stessa
legge, portando gradatamente lo scolaro da ciò
536

53.9 Page 529

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che già conosce a ciò che ancora non conosce,
cioè alla scienza.
In base a tale principio, il Santo Dottore fissa
due leggi fondamentali, le quali noi vediamo con
sorpresa presentarsi da qualche pedagogista come
frutto di moderni studi, mentre i cattolici le hanno
sempre attinte alle fonti degli antichi autori cri-
stiani. Se questi autori, e specialmente San Tom-
maso, fossero più conosciuti, vi sarebbe maggior
correttezza in simili apprezzamenti, e si evite-
rebbero altezzose· pretese.
La prima legge è quella del metodo induttivo.
L'insegnante deve anzitutto portare lo scolaro da
ciò che sa a ciò che ancora non conosce, presen-
tandogli a tal fine aiuti e sussidi, come immagi-
ni sensibili, similitudini, contrapposizioni, esempi:
cose insomma allo scolaro già note, mediante
le quali la di lui intelligenza possa pervenire alla
conoscenza di cose non ancora conosciute.
La seconda è la legge del metodo deduttivo.
L'insegnante passa a rafforzare l'intelletto dello
scolaro, proponendogli una serie ben ordinata di
princìpi e di rispettive conclusioni, facilitandogli
in tal maniera la comprensione della verità.
Così San Tommaso ci delinea in sostanza i
metodi tradiziònali dell'insegnamento (639).
E qui crediamo opportuno aggiungere ·alcune
considerazioni già da noi fatte parlando della scuo-
537

53.10 Page 530

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la di Catechismo, ma applicabili a qualsiasi ge-
nere di insegnamento.
-Bisogna evitare anzitutto di confondere ciò
che è forma o semplice modo di procede~e nel-
1'esporre una verità conosciuta, con quello ·che è
il vero metodo di ricerca della verità: invero,
nè il modo di esporre la dottrina per mez~o di
oggetti o di altri sussidi intuitivi, nè la pura for-
ma dialogata o socratica dell'insegnamento posso-
no scambiarsi con un vero metodo di studio, nep-
pure se mascherate col pomposo nome di metodo
attivo, oggettivo o qual si voglia altro.
I mètodi che l'uomo segue nel cercare e rag-
giungere la verità sono, come si disse, essenzial-
mente due: induttivo e deduttivo. Preferiamo
questa denominazione all'altra di metodo anali-
tico e sintetico, che, pur non essendo erronea,
si presta a confusioni, pel fatto che i termini ana-
lisi e sintesi sono usati sì, tanto _in. :filosofia quan-
to nelle scienze sperimentali, ma in senso com-
pletamente diverso.
Orbene, se noi partiamo dai fatti partico-
lari per arrivare a una legge universale, o dalle
cose dei sensi ci eleviamo a quelle della ragione,
ecco che ci serviamo del metodo induttivo. Quan-
do invece da un principio, da una verità, da una
legge universale, già conosciuta o universalmente
ammessa, noi scendiamo ·a pratiche appli~azioni o
538

54 Pages 531-540

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54.1 Page 531

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a stabilire nuove '-verità, che da quel princ1p10 o
da quella verità generale derivan-o come conse-
guenze o corollari, allora ci serviamo del metodo
deduttivo.
7) Il metodo induttivo.
Per quanto questi due metodi si completino a
vicenda e siano usati ,con maggior o minor pre-
. valenz·a a seconda di particolar(esigenze, tuttavia,
in generale,.quando si tratta di insegnare ai gio-
vani, ·nei quali l'intelligenza non ha ancora rag-
giunto il debito sviluppo ed è perciò meno atta
al ragionamento e all'analisi, è preferibile il me-
todo induttivo. Partendo da nozioni e cognizioni
di ordine inferiore, si arriva più facilmente a
~onquistare e penetrare verità di ordine superiore,
le quali abbiano con le prime qualche relazione
o analogia.
Oggi molti scrittori di pedagogia sono unani-
mi nell'affermare cl:ie, in generale, la vi~ da se-
guire nell'insegnamento è quella che s'ispira al
metodo induttivo, adattato, nelle applicazioni o nel ·
modo, alle diverse età e categorie dei giovani.
E così una buona metodologia vuole che - per
usare didatticamente il metodo induttivo - si
parta in certo modo ·dal basso verso l'alto, dalle
cose visibili per giungere alle invisibili, da ciò
539

54.2 Page 532

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che è concreto e sensibile, per arrivare alle co-
gnizioni astratte e della sola ragione, quasi tra-
sformando gli oggetti e le immagini mater~ali in
idee. La regola delle regole, secondo il già citato
San Tommaso, è quella di ridurre ad visa (alle
cose già viste), mediante esemplificazioni, simili-
tudini, contrapposizioni, parabole, apologhi, ana-
logie, e simili.
Per questo, dovendo insegnare ai fanciulli o
a persone meno atte al ragionamento, si fa spe-
ciale uso, non solo dell'oggetto e della persona
reale, ma anche di quadri, disegni, immagini che
li rapprese:i;itino; non solo si ricorre al fatto sto-
ricamente avvenuto, ma molte volte si crea il fat-
to immaginario o fittizio. Si tratta insomma di col-
pire particolarmente il senso della vista con og-
getti o pitture a colori vivi e attraenti; il senso
dell'udito con una conversazione chiara, facile,
interessante; l'immaginazione con descrizioni ani-
mate, scultorie, impressionanti.
La sana metodologia moderna infine inculca
che gli oggetti e i fatti siano attinti in primo
luogo dall'ambiente fisico, sociale, religioso e sto-
rico in cui si vive, e precisamente nella cornice
delle arti, delle scienze, della letteratura, della
storia e della religione della propria nazione e re-
gione e in seguito anche degli altri popoli; di mo-
do che- secondo quello che era già il pensiero
540

54.3 Page 533

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di San Tommaso l'insegnante studiando l'a-
nimo e l'ambiente dell'alunno, vi scopra e vi ec-
citi nozioni o sentimenti, cui egli possa riallac-
ciare ciò che vuol insegnare.
Di più, da un'attenta lettura del Vangelo, , ap...
pare chiaro che appunto questo era il metodo
generalmente seguito da Nostro Signore parlan-
do alle turbe e a gente poco avvezza a ragionare.
Egli procedeva con essa come coi fanciulli, cer-
cando di colpirne perfettamente i , sensi e l'im-
maginazione, per rischiararne l'intelligenza. Egli,
che volle chiamarsi e fu veramente il Maestro,
con mirabile arte, si serviva dei sussidi didatti-
ci offertigli da tutta la natura, dalla più umile
alla più eccelsa.
Traeva insegnamenti dagli oggetti inanimati,
sia naturali (come il sole, la luna, la pietra) sia
artificiali (come là casa, il tempie:>, il sale). A vol-
te ' ricorreva alla natura animata, non solo ve-
getale (come l'erba, il giglio, il grano di senapa,
1a zizzania) ma anche animale (come i passeri,
le colombe, i serpenti, le pecore, il lupo) scolpen-
do così le immagini nella fantasia degli uditori.
Circondò di segni sensibili persino l'istituzione dei
Sacramenti e il compimento di miracoli (come al-
le nozze di Cana e nella guarigione del cieco di
Betsaida). Mostrava pure la sua inarrivabile arte
didascalica nello sfruttare le manifestazioni della
541

54.4 Page 534

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vita famigliare e sociale (come la n,ascita, l'educa-
zione, Fagricoltura, le arti e la pesca) e nel ri-
chiamare sia le vicende storiche del popolo d 'lsra::-
ele, sia i fatti e le scenette che accadevano sotto
i suoi occhi (come l'obolo della vedova e le abitu-
dini degli Scribi e dei Farisei).
Era poi insuperabile nella creazione di para-
bole e di fatti, che oltre a incidere profondamente
l'idea nella mente, scuotevano le coscienze, e su-
scitavano i più vivi e svariati sentimenti nel cuo-
re. E sempre, e ovunque, adoperava un linguag-
gio chiaro, facile, accessibile a tutti, rendendolo
più efficace col variare del gesto e del tono del-
la voce.
Non è a stupire quindi se, con le meraviglio-
se attrattive del suo insegnamento, trascinasse in
modo irresistibile dietro a sè le turbe, che a una
voce proclamavano che nessun ·uomo mai aveva
parlato così. Neppure dobbiamo stupirci se non
pochi apostoli e missionari, insegnando le stesse
verità con lo stesso metodo, favoriti spesso da
identici carismi, siano riusciti a diffondere e ra-
dicare il Cristiianesimo su tutta quanta la terra.
Ora questo procedimento, sia come metodo che
come forma, non solo è utile per la esposizione
della dottrina relig~o~a, ma giova anche mirabil-
mente a qualsiasi genere di insegnamento. Infatti,
tanto per le lettere quanto per le scienze, è facile,
542

54.5 Page 535

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· da una propos1z10ne o da un'operazione o da un
esperimento, -ricavare e far intendere agli alunni
la relativa regola o definizione o legge.
8) Il metòdo deduttivo.
Pur ammettendo i grandi vantaggi del metodo
induttivo, specialmente quando si tratti d'insegna-
re alla gioventù, tuttavia è riconosciuto da tutti
che a volte giova anche il metodo deduttivo, col
quale si parte da una verità, in cui sono come
polarizzate tutte le idee che da essa derivano, e
si giunge a tutte queste stesse idee particolari.
·Mentre col metodo induttivo si forniscono piut-
tosto gli elementi del sapere, invece col metodo
dedu.ttivo . si presentano verità e princìpi, d eri-
vandone altre idee e subordinando queste fra di
loro secondo i diversi rapporti di logica dipen-
denza.
Senza ordine nelle idee vano sarebbe il cono-
scere, poichè quello che conta, e fa i'a scienza, è
proprio il sapere ordinato. D'altra parte è nec es-
sario irrobustire nell'alunno le facoltà di giudi-
care e di ragionare, appunto formando in lui
l'abitudine al riflettere e al discorrere ordinata-
mente sulle cose apprese. Anche la memoria trae
gran vantaggio dall'ordine in cui i concetti e i
fatti vengono esposti.
543

54.6 Page 536

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Didatticamente, il metodo deduttivo si usa di
preferenza nell'esporre verità già conosciute o che
sono facilmente accessibili senza bisogno di ri-
correre all'esempio. Si usa in particolare per rias-
sumere in breve una spiegazione e per · mettere
in evidenza un nesso logico o una r elazione tra
causa ed effetto. Si usa pure per abituare l'alun-
no a trovare da sè le relazioni fra ciò che im-
para e ciò che ha imparato; a collegare una le-
zione, una regola, una materia con un'altra; a con-
frontare un trattato, un fatto, un avvenimento
o periodo storico; con un altro. Infine detto meto-
do si ·usa per applicare, come dicevamo, una legge
o una verità universale ai casi particolari, ovve-
ro per ricavarne altre leggi o verità particolari.
Esso può avere naturalmente una maggiore ap-
plicazione cogli alunni dei corsi superiori, i quali
hanno già una certa abitudine al ragionamento
astratto.
Queste considerazioni ci permettono di capire
fin d'ora l'importanza e la saggezza di quella
norma che Dpn Bosco dava ai suoi collaboratori:
far parlare molto, in cqnversazione e nella stes-
sa scuola, gli alunni, al fine di abituarli non sola-
mente a pensare e a parlare con idee giuste ·e
con espressioni corrette, ma anche a riflettere con
ordine, connessione ed equilibrio.
544

54.7 Page 537

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9) Dott dell'insegntiimento.
Anzitutto Don Bosco voleva che l'insegnamento
fosse semplice, facile, aderente al testo sul quale
gli alunni devono studiare. « Vorrei, - egli dice,
- che le spiegazioni fossero attaccate al testo,
spiegandone bene le parole. Andare nelle regioni
elevate mi sembra un battere l'aria». Poi · sog-
giunge: « E non si critichino i testi. Ci ·vuol poco
a metterli in discredito innanzi ai giovani; quan-
do poi questi ne abbiano perduta la stima, non li
studiano più. Si può aggiungere quello che man-
ca, dettandolo, ma critiche, no, mai :i) (640) .
. In secondo luogo Don Bosco voleva che l'in-
segnamento fosse chiaro: dote che presuppone il
pieno possesso della materia che si deve spiegare,
e quindi un'accurata preparazione sia riguardo
alla scelta delle parole e dei concetti sia all'ordine
delle' idee.
La chiarezza esclude le impostazioni difficili,
l'artificiosità della fortna, l'affettazione e la ri-
cercatezza dei termini, la complessità dei pensieri.
E noi sappiamo quali sforzi abbia fatto Don Bo-
sco per conseguire la chiarezza dell'espressione,
eliminando dal suo linguaggio tutto ciò che la
mamma o il portinaio del _Convitto, entrambi il-
letterati, non riuscivano a comprendere. , Esor-
tava a risparmiare ai giovanetti eccessivi sforzi
545
18 (I)

54.8 Page 538

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di mente dicendo: < Non si entri in materia dif-
ficile, nè si mettano in campo questioni che non
si sappiano risolvere chiaramente e con popola-
rità (641). I giovani non capiscono certe ragioni,
e perciò o cadono nell'errore o si scandalizza-
no» (642). E qui bisogna ritenere che, quando
Don Bosco inculca ai maestri di tenere un di-
scorso semplice e chiaro, non esclude affatto ]a
correttezza, la precisione, la varietà e la ricchezza
del linguaggio, sempre che tutto ciò sia propor-
zionato alle esigenze della scuola e degli alunni.
Egli ·del resto diede prove non dubbie di quanto
ci tenesse alla .proprietà e purezza della lingua.
Per essere chiari consigliava di procedere gra-
datamente e ordinatamente nello svolgimento del
programma, ins·egnando una cosa per volta, per-
chè i fanciulli difficilmente teng.ono dietro a un
ragionamento prolungato, senza stancarsi ·e senza
distrarsi. Voleva che gli insegnanti non precipitas-
sero, ma si preoccupassero di essere seguiti da tut-
ta la scolaresca, anche dagli ultimi. Suggeriva di
premettere a ogni argomento la ripetizione di
quelle nozioni elementari, che i giovani dovrebbe-
ro bensì conoscere, ma che molte volte hanno già
dimenticato. Egli poi era convinto che alla chia-
rezza delle idee molto contribuisce il frequente
ricorso a esempi pratici, come pure a buoni sus-
sidi didattici.
546

54.9 Page 539

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In terzo luogo voleva che l'insegnamento fos-
se ben coordinato secondo la maggiore o mino-
re importanza delle materie, al vertice delle qua-
li poneva la scuola di Religione. Nei programmi
scolastici generalmente sono fissati i limiti di tem-
po e di estensione che si debbono dedicare al-
l'insegnamento di ciascuna materia, in vista ap-
punto dello scopo che si prefigge . ogni scuola.
Le materie risultano così le une subordinate alle
altre, di modo che le principali sono tenute nel
debito conto senza che vengano trascurate le se-
condarie. Ma al maestro resta un largo margine
di responsabilità, sia nell'applicazione di tale pro-
gramma, sia nella sua integrazione, qualora fosse
deficiente in taluni punti importanti o, peggio,
non conforme ai princìpi del Cristianesimo. Que-
sto compito nelle scuole salesiane è oggi ancora
facilitato dal Direttore Generale degli Studi, il ,
quale, sempre appoggiato alle norme tradizionali
lasciate da Don Bosco, dà speciali direttive per le
diverse scuole e i singoli insegnamenti. Particolare
1·ilievo merita, al riguardo, il - fascicolo Nonne e
Programmi per la formazione del personale sale-
siano (643).
In quarto luogo Don Bosco voleva che i mae-
stri sapessero adattarsi all'età e alle condizioni
dei giovani.
« I professori - diceva . - abbiano pazienza e
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54.10 Page 540

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cerchi:Qo di abbassarsi molto, si abbassino fino alla
capacità degli alunni: non. pretendano di fare
continue e sublimi dissertazioni: non dissertaré
bisogna, ma spiegare alla lettera il trattato» (644).
I nostri professori più anziani, formati alla
scuola di Don Bosco, - ci è caro ricordarlo, -
u~avano appunto fare nella scuola una spiegazio-
. ~e proporzionata alla capacità di noi alunni, sia
riguardo alla materia che al modo di presentarla.
A tal fine ogni lezione cominciava con uno sche-
ma, che presentava l'argomento: e detto schema
venil a svolto nelle sue parti e nel suo complesso,
con parole semplici, chiare e convincenti. Natural-
mente si avevano sempre presenti le leggi fon-
damentali della pedagogia e della didattica. La
raccomandazione tante volte fatta da Don Bosco
di non trascurare gli ultimi era religiosamente
osservata. Così pure quella di studiare diligente-
mente gli alunni per conoscerne le rispettive doti
e inclinazioni, badando se fossero di memoria fa-
cile, pronta, fedele, tenace; se fossero inclini a1la
riflessione e capaci di seguire un ragionamento;
se trovassero facile o difficile combinare insieme
le nozioni ricevute, ed esporle con proprietà; se,
per ultimò, fossero in grado di formarsi dei giu-
dizi sensati sulle cose: e così il loro insegnamento
riusciva veramente adatto alla nostra: capacità.
Sapevano inoltre abilmente sfruttare il naturale
548

55 Pages 541-550

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55.1 Page 541

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desiderio dei giovani di conoscere, e poichè questi
vanno piuttm~to alla caccia di molte notizie senza
curarsi di approfondirle," e~si, mentre ci forni-
vano quegli elementi di cultura che erano com-
patibili con la nostra età e richiesti dai program-
mi, nel contempo si sforzavano, con frequenti ri-
chiami, di abituarci alla riflessione per rendere
maturo il nostro giudizio e più agevole l'acquisto
della scienza. Ciò facevano specialmente ricor-
rendo, ·secondo l'opportunità, a ricapitolazioni,
riassunti, specchietti: curavano insomma lo svi-
luppo armonico della nostra mente.
Don Bosco voleva infine che l'insegnamento
fosse attraente. Non bisogna dimenticare il peso
e la forza, che, come in ogni altro campo, così nel-
l'insegnamento, ha l'attrattiva, che è l'arte di
. rendere caro e quasi giocondo l'insegnamento agli
alunni. La si chiama arte, benchè si tratti il più
delle volte di una dote di natura, che costituisce
come una vera vocazione alla scuola: dote su-
scettibile di sempre maggior perfezionè, poichè,
facendo scuola e intensificando lo studio, l'inse-
gnante si affina giorno per giorno.
Don Bosco possedeva questa dote in grado emi-
nente. Egli aveva il dono di rendere interessante
ed attraente anche la materia più astrusa, ser-
ven~osi di un linguaggio che rispondeva ai gu-
sti ed alle esigenze degli alunni, sempre ricco -di
549

55.2 Page 542

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~ned.doti, esempi, parabole, ed opportunamente
anche di oneste lepidezze,- che egli attingeva alle
fonti più disparate della storia e della letteratura
religiosa e profana. Era d'avviso però di non
_esagerare in queste disgressioni: « Non perdersi
in dissertazioni, - egli diceva, - e neanche in
esempi. Si tratta di istruire i giovani. Non la-
sciamoci prend·ere dalla vanità di farci lodare,
perchè diciamo belle. cose. Il Signore ci doman-
derà conto se abbiamo istruiti i giovani e non se
li abbiamo dilettati~ (645).
Noi ricordiamo che i nostri antichi professori,
fedeli alle tradizioni lasciate da Don Bosco, pro-
curavano di farci sentire l'utilità di quello che
imparavamo; variavano poi le occupazioni sco-
stiche ìn modo che noi trovassimo una specie di
sollievo e di riposo passando da un'occupazione
all'altra. Sapevano inoltre rendere serena e lieta
la scuola, sia per _quella semplicità e spirito di
famiglia che ne costituiva l'ambiente e il carat-
tere, sia per quell'ottimismo e sana comprensione
con cui secondo l'opportunità passavano sopra
a cert_e esuberanze giovanili, frutto più di viva-
cità che di malizia. In ciò ricalcavano le orme del
Padre che permeava tutto, anche l'ambiente della
scuola, di quella letizia che ispira fiducia, co-
raggio e forza pe.r vincere ogni sorta di diffi-
coltà.
550

55.3 Page 543

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Pe; riuscire interessanti, cercavano inoltre di
essere - dove era possibile - pratici, mediante
l'uso dei sussidi didattici, che figuravano in pic-
cole e a volte notevole collezioni di minerali, ve-
getali e plastici che non di rado essi stessi, vi-
vamente interessati al bene degli scolari, aveva-
no allestito, raccogliendo materiale· dalla zona
e regione in cui si trovava ubicata la scuola. Una
bibliotechina di libri di consultazione o di lettu-
ra, coronava talvolta questo repertorio didattico,
oggi tanto apprezzato. Quando mancavanÒ gli
oggetti reali, s'industriavano disegnando o fabbri-
cando solidi e figure con pezzi di legno o di
cartoncino. In molti casi si servivano della lava-
gna, vero tesoro delle scuole, povere.
Procuravano infine che la scuola fosse vivace.
Questa dote, come del resto anche le altre, era
frutto della loro diligente preparazione pros-
sima, giacchè difficilmente la vivacità si ottiene
senza un'intensiva riflessione sulla materia che
si deve insegnare. Essa dipende anche dall'amore
che si ha per la scuola, dallo spirito di cui l'in-
segnante sa informare ogni sua parola e dall'in-
teress·e che si porta al progresso degli alunni. Una
buona dizione generalmente serviva essa pure a
mantenere viva la· scuola. Oggi ancora, passati
gli ottant'anni, ricordiamo come i nostri profes-
sori, alla scuola di Don Bosco, avevano imparato,
551

55.4 Page 544

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con l'arte della parola e di una buona dizione.
e modulazione della voce, a vivificare il discorso
e a,tener desta l'attenzione degli allievi. Era tra-
dizione di quei cari insegnanti il parlar chiaro
e pacato, come voleva Don Bosco, evitando sia
l'eccesso della parola stracca che distrae e annoia
e sia ancor più quel parlare vorticoso che riesce
inafferrabile dalla maggior parte degli scolari. Ar-
ticolare bene le sillabe e le parole, parlare ada-
gio con senso, con dolcezza e modestia, ecco le
norme che essi avevano appreso alla scuola di
Don Bosco per rendere interessante e fruttuoso
il loro insegnamento.
Don Bosco ~iassumeva in certo modo gl'inse-
gnamenti or ora sommariaménte ricordati, quan-
do dava ai maestri delle prime classi elementari
questi preziosi suggerimenti: < Sul principio del-
l'anno scolastico rendete dilettevole la scuola, tra-
lasciando le teorie dell'aritmetica e della gramma-
tica. Quanto all'aritmetica, interrogando, fate ri-
petere qualche operazione a memoria, proponen-
dola talora sotto forma di raccontino. Per la gram-
matica fate prqnunziare dai vostri alunni pro-
posizioni semplici. Dite loro ad esempio: < Dio...!
ditemi un attributo di Dio... - Vi risponderanno:
- Eterno! - Dunque Dio è eterno! - Così 'in- .
segnerete loro praticamente a fare le proposi-
zioni. Poi andate avanti nelle proposizioni com-
552

55.5 Page 545

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poste, e spiegate benè che cosa è il soggetto, che
c;osa l'attributo, e via via; e i vostri alunni im~
pareranno a fare bene i periodi. In fine assegna-
te loro una piccola composizione, un· racconto,
una letterina, che voi avete già in qualche libro:
Quando vi consegnano i còmpiti leggetili tutti
con attenzione e correggeteli; poi dettate il testo
e fatelo studiare a memoria » (646).
1O) L'interrogazione.
Perchè la scuola fosse viva e interessa~te, Don
Bosco la voleva soprattutto animata da interroga-
zioni e conversazioni continue, finita la spiega-
zione. Nell'antico Regolamento egli prescrive: « Il
maestro interroghi tutti senza distinzione e con
frequenza » (64?). E insisteva: « Sono di parere
che s'interroghi molto e molto, e, se è possibile,
non si lasci passar giorno senza 'interrogare tutti.
Da ciò si trarrebbero vantaggi incalco.labili. In-
vece sento che qualche professore entra in classe,
interroga uno o due, e poi senz'altro fa la spiega-
zione. Questo metodo non lo vorrei nemmeno nel-
l'Università. Interrogare, interrogare molto, inter-
rogare moltissimo; quanto più si fanno parlare gli
scolari, tanto più il profitto aumenta » (648).
Ecco come Don Cerruti, Direttore Generale
degli Studi, raccomandava a1 Direttori, questi.

55.6 Page 546

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pensiero di Don Bosco: e: Per via ordinaria i gio-:
vani imparano più con l'esercizio che fanno ri-
spondendo alle interrogazioni loro fatte, od espo-
nendo essi, che dalle troppe parole del maestro.
Il miglior insegnante è quello che parla poco e
interroga molto. Per questi motivi' non sarà mai
troppo inculcare l'usanza di riandare al termine
della settimana per le materie principali, al ter-
mine del mese per le materie accessorie, quel che
si è fatto e studiato durante la settimana e il mese.
Quel po' di tempo, che apparentemente si perde
in questa interrogazione, si acquista realmente in
intensità e sodezza. La riflessione e la memoria
debbono aiutarsi a vicenda ·nella educazione in-
tellettuale dell'alunno :i> (649).
In particolare poi Don Bosco vu~le che i mae-
stri « compatiscano i più ignoranti della classe,
abbiano grande cura di essi, li interroghino so-
vente, e, se occorre, parlino con chi di dovere
perchè siano aiutati fuori di scuola» · (650). Egli
torna con frequenza sul medesimo concetto, mo-
strando quanto gli stiano a cuore i più deboli, i
quali, a volte, sono oggetto di dileggio da parte
dei compagni e di abbandono da parte dei pro-
fessori (651).
Ne dava anche la .ragione: ~ Generalmente i
professori tendono a compiacersi degli allievi che
primeggiano per studio e ingegno e, spiegando,
554

55.7 Page 547

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mirano solo ad essi. Quando i p_rimi della classe
hanno capito bene, sono pienamente soddisfatti
e così proseguono sino alla fine dell'anno. Invece
con chi è corto di mente o poco avanti nello stu-
dio, si adirano e finiscono con lasciarli in un can-
tone senza più curarsi di loro. All'incontro, - egli
aggiungeva, __:_ sono di parere affatto opposto. Cre-
do che sia dovere di ogni professore tener d 'oc-
chio ì più meschini della classe, interrogarli più
spesso degli altri, fermarsi per• loro più a lungo
nelle spiegazioni, e ripetere, e ripetere; finchè nori
abbiano capito, adattare i compiti e le lezioni alla
loro capacità. Se l'insegnante tien~ il metodo con-
trario a questo, non fa scuola agli scolari, ma ad
alcuni degli scolari » .(652).
Queste sapienti tradizioni sono ancora vive
nelle nostre Case. Ci sia. permesso ricordare an-
cora i nostri antichi professori, i quali avevano
imparato, alla scuola di Don Bosco, che nulla giova
tanto agli alunni quanto rispondere alle sagge
interrogazioni del maestro. Il più delle volte in-
fatti nÒn sono sufficienti le sue spiegazioni: si
fa perciò necessaria l'interrogazione, affinchè egli ·
si renda conto se l'alunno ha capito, nè passi -0ltre
prima di essersi assicurato che tutti abbiano com- /
preso. ~n secondo luogo l'allievo troppe volte nel-
la scuola è distratto, anche se apparentemente sem-
bri prestare attenzione: in questi casi l'interroga-
555
..

55.8 Page 548

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zione diventa una specie di svegliarino. Inoltre
Iion è facile al fanciullo . afferrare subito il senso
delle cose, specialmente nuove, che gli vengono
dette; e può accadere che, a causa dei pochi vo-
caboli che possiede, spesso capisca una cosa per
l'altra. Quando invece è obbligato a rispondere, e
a rispondere con il ristretto frasario del suo vo-
.cabolario, compie uno sforzo utilissimo alla for- ·
mazione dell'intelligenza e della memoria.
Si può anche usare dell'interrogazione per aiu-
tare gli alunni a ricavare delle conseguenze, delle
applicazioni e delle nozioni da ciò che hanno
appreso. 1È questo il metodo detto socratico, per-
chè adoperato con molta arte da Socrate coi suoi
discepoli. Come metodo d'interrogazione è forse
il migliore, perchè parte da ·ciò che gli alunni
sanno e, a mezzo di domande e di considerazioni,
H induce a riflettere e a trovare, da loro stessi,
la verità: verità che, per essere stata una loro
conquista, rimane indelebile nella loro mente.
Questo metodo però richiede arte e prep~razione
da parte del maestro, e tutti sanno che l'arte
d'interrogare bene non è tanto facile.
· Anzitutto il maestro, af:finchè sia desta l'at-
tenzione di tutti gli scolari, deve evitare di fare
la domanda per uno solo, ma per tutta la scolare-
sca, acciocchè non avvenga che, badando egli al
singolo, gli altri si credano dispensati dal tenersi
556

55.9 Page 549

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preparati a rispondere e si ·distraggano, perdendo
il frutto dell'interrogazione.
Le domande naturalmente non debbono essere
ingannevoli nè nascondere tranelli, ma fatte in mo-
do piano e tale da condurre l'alunno verso il vero
·è giusto punto. Insomma dal maestro si richiede
molta attenzione nel formulare la domanda, per-
. chè sia ben messo in chiaro l'oggetto dell'interro-
gazione: inoltre le domande devono essere tal-
mente connesse e coordinate fra loro da .agevolare
possibilmente la risposta.
Siccome poi il ragazzo corre facilmente alle
analogie, troppe volte dice, sia pure involonta-
riamente, delle stranezze. ·I fanciulli inoltre non
hanno l'esercizio del linguaggio, e perciò a volte
rispondono, senza rendersene conto, una cosa per
l'altra. Il maestro quindi non deve stupirsi, nè
tanto meno scoraggiarsi, se non ottiene le deside-
rate risposte. necessario che la mente degli al-
lievi si abitui all'utilissima ginnastica di afferrare
il pensiero, di trovare la risposta e di esporla con
parole convenienti e con frasi complete.
Noi .ricordiamo che queste precisamente era-
no le norme seguite dai nostri maestri, formati
'I
... .alla scuola di San Giovanni Bosco. Entrati nell'au-
la. si era tutti intenti a ripassare la lezione che
veniva richiesta talvolta dal maestro stesso e
altre dai decurioni e vicedecurioni. Assegnati i
557
.

55.10 Page 550

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voti, il maestro, con poche ma chiare parole, spie-
gava la nuova lezione. Subito dopo si susseguiva-
no le interrogazioni: tutti dovevano sempre esse-
re preparati a rispond·ere, e il professore si ri-
servava di fissare chi dovesse dare la risposta.
Questa interrogazione diveniva come una masti-
cazione e digestione delle idee che erano state
presentate e che così più facilmente venivano
assimilate e ricordate.
I nostri professori poi facevano gran conto
delle interrogazioni giudiziose degli allievi, poichè
vi scoprivano quanto e come gli alunni avevano
inteso; anzi, in conseguenza~a volte si inducevano
a indirizzare il loro insegnamento sopra un nuo4
vo punto o ad appigliarsi con più.vantaggio a un
nuovo procedimento.
Concluderemo con la preziosa e memoranda
letterina, scritta il 9 aprile 1875 da San Giovanni
Bosco al giovane professore di filosofia nell'Orato-
rio di Valdocco. Essa sarà se~pre assai cai:a
e utile a tutti i maestri e professori salesiani.
< Carissimo Bertello, io andrò facendo quello
che posso per risvegliare amore allo studio tra
i tuoi allievi; ma tu fa' quanto puoi per coo-
perarvi.
1) Considerali come tuoi fr~telli: amorevo-
lezza, compatimento, riguardo, ecco le chiavi del
loro cuore.
558

56 Pages 551-560

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56.1 Page 551

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2) Farli soltanto studiare quello che possono
e non di più. Far leggere e capire il testo del libro
senza digressioni.
3) Interrogarli molto sovente, invitarli ad
esporre, a leggere; a leggere, ad esporre.
4) Sempre incor{lggiare, non mai umiliare;
lodare quando si può senza mai disprezzare, a me-
no di dar segno di dispiacere quando è per cà-
stigo.
Prova mettere ciò in pratica, e poi fammi la
risposta. Io pregherò per te e pei tuoi e credimi
in G. C. Aff.mo amico Sac. Gio. Bosco~ (653).
'
11) Assegnazione d~i lavori.
la terza fase importante della lezione. Don
Bosco dice: « Almeno una voltà al mese, il maestro
.dia il lavoro di prova, e dopo averlo corretto, ne
dia le pagine al Direttore~ (654). Presentemente,
in vista del notevole sviluppo delle Case, che as-
sorbe le attività del Direttore, i nostri Regola-
menti, pur facendo la stessa raccomandazione,
esortano a consegnare i compiti mensili corretti
.
al Consigliere Scolastico (Regolam., 206).
Don Bosco voleva che ogni maestro assegnasse
lavori in misura conveniente e fruttuosa< evitando
però l'usanza di alcuni che davano lavori unica-
mente per tenere i discepoli occupati durante lo
559

56.2 Page 552

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studio e poi non li guardavano nemanco: meglio
ass·egnare lezioni a memoria, esercitazioni, spec-
chi e sunti su cui interrogare in scqola.
« Per occupare poi convenientemente gli alunni
d'ingegno più svegliato si assegnino compiti e le,.
zioni di supererogazione, premiandoli con punti
di diligenza. Piuttosto che trascurare i più tardi,
·si dispensino da cose accessorie; ma le materie ·
principali si adattino interamente a loro » (655).
Così pure, « quando un giovane, prima indolente
o cattivo, -incomincia a farsi buono e non riesce
a fare tutto il SllO lavoro e a portare la lezione,
si tolleri, s'incoraggi, si aiuti» (656).
Don Bosco voleva che i maestri presentassero
all'inizio dell'anno al Direttore una raccolta di
lavori. e di esercizi graduali. Don Cerruti, Diret-
tore Generale degli Studi, così si faceva eco delle
idee e tradizioni di Don Bosco a questo riguardo:
« Un'altra cosa raccomando ed è che ogni in-
segnante si faccia una raccolta di temi con la
traduzi~ne corrispondente, adattati ai bisogni
della propria classe. Questi temi poi siano gra-
duati (chè la graduazione e la convenienza sono
le prime leggi dell'insegnamento), e versino sopra
le cose spiegate o nella settimana o nel mese o
nel ·bimestre, sicchè il lavoro di prova così setti-
manale, come mensile o bimestrale, inchiuda re-
gole spiegate e dia in certo qual modo la misura
560

56.3 Page 553

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del profitto fatto in quel pe~iodo di tempo dal-
1'allie;vo. È vero che vi sono testi stampati a
questo scopo e nel programma stesso ne troverete
· proposti alcuni utilissimi·. Ma · questo non basta;
'
ogni istituto, anzi ogni classe ha condizioni, bi-
sogni particolari, e perciò particolare a quell'I-
stituto, a quella classe, dev'essere il rimedio da
adoperare ».
·
« Quello che dico dei temi di versione e di re-
troversione, si dica dei temi di componimento
che devono pure essere ben scelti, graduati, sic-
chè i giovani svolgano entro l'anno con gli sva-
riati argomenti i diversi generi letterari, assegnati
alle singole classi.
< La ragione di questi lavori va ricercata nel
fatto che, senza l'esercizio pratico, l'alunno non
coopera al magistero dell'insegnante.
4: Non basta spiegar le regole, ci vogliono eser-
cizi, e questi devono essere continui, graduati,
variati; nè solo mediante i compiti per casa, m~
con esercizi in classe, oralmente. e per iscritto.
Le regole medesime vanno chiarite con esempi
frequentissimi, ed impresse nella memoria degli
alunni con ripetizioni molte, così da assicµrare
di essere ben intesi » (657).
Una forma di co9perazione degli alunni alla
scuola sono i riassunti e gli esercizi a memoria.
Gli uni presentano una grande utilità per lo
. 561
------~------------- --'------------~

56.4 Page 554

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sviluppo della riflessione, in quanto mettono
l'allievo nella nec.essità di distinguerè ciò che è
necessario e principale da ciò che è secondario
ed accessorio; gli · altri, quando il quantitativo
sia grandemente aumentato, favo"I"iscono lo svilup.:
po della memoria. A questa, in base alle nostre
tradizioni scolastiche, si deve dare una grande
importanza. « La memoria poi dev'essere colti-
vata; l'eliminarla o lasciarla intorpidire nell'opc-'
ra educativa è andare contro la natura e nuoce
grandemente al profitto intellettuale e morale della
gioventù, chè... non fa scienza, - sanza lo rite-
nere, a1ver inteso » (658).
Don Bosco deplorava che si lasciasse intristi-
re nell'ozio « una delle più importanti facoltà u-
mane qual è la . memoria ». Questo difetto riesce
particolarmente funesto nell'educazione della gio-
ventù, « la quale, in un'età, in cui la memoria
suol essere particolarmente potente, ha bisogno
grandissimo di farsi un corredo di cognizioni,
quanto_ più possibilmente abbondante, non solo
per la scuola, ma per la vita» (659).
Noi . ricordiamo con riconoscenza che i nostri
maestri, ancor vivente Don Bosco, ci davano com-
piti ben appropriati ~alla portata della classe, e
soprattutto eminentemente educativi e ' formativi
del carattere, eliminando t~mi di lor natura troppo
leggeri o sentimentali, troppo astratti 0 fantastici.
562

56.5 Page 555

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Essi però si facevano un dovere di non stra-
caricare di lavoro gli allievi, e di non abbondare
eccessivamente in una materia con danno delle
altre. Similmente non ci assegnavano mai da stu-
diare a memoria un passo che non fosse stato ben
spiegato prima o che superasse la capacità media
degli allievi.
12) Correzione dei lavori.
Don Bosco voleva che 'i maestri manifestassero
praticamente il loro interessamento in favore de-
gli allievi correggendo con cura i lavori assegnati.
« Il maestro - diceva, - corregga accuratamente
i compiti »: e ciò restò fissato nei nostri Regola-
menti (Regolam., 206).
In classe, i maestri « leggano per turno qual-
che lavoro di ognuno» diceva ancora Don Bo-
sco (660). E Don Cerruti riguardo ai temi d'ita-
liano, suggerisce questo particolare: « Gioverà
pure nelle scuole elementari e nelle prime ginna-
siali, esaminato e corretto un componimento, pre-
sentare qualche volta agli alunni un modello di
svolgimento corrispondente, e questo farlo stu-
diare a memoria per modo che si provvedano
di un corredo sufficiente e svariato di generi epi-
stolari, narrativi, descrittivi, ecc. » (661).
Noi ricordiamo ancora il lavoro snervante dei
563

56.6 Page 556

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nostri maestri e professori nel correggere i compiti
settimanali, quindicinali e mensili. Essi conside-
ravano come grave l'obbligo della correzione dei
lavori, e così pure ogni altro ufficio della scuola,
Erano convinti che « un insegnante restìo al la-
voro didattico preparatorio, disordinato nelle le-
zioni, rifuggente dalla fatica di scegliere conve-
nientemente temi adatti ai s~oi scolari e del cor-
reggere coscienziosamente i compiti, cercante
non il bene reale della classe, ma bensì che que-
sta faccia, come suol dirsi, figura, potrà forsè,
per lì, con audace verbosità e con colpevole in-
dulgenza, acquistarsi qualche popolarità momen-
tanea, vana e menzognera: ma i suoi scolari sa-
ranno i primi, e, presto, a deplorare il danno pa-
tito e non certamente a benedire la memoria di
lui » (662).
Dalle correzioni dei nostri lavori, noi riusci-
v~mo a capire la pazienza, la diligenza, e l'abili-
tà dei nostri maestri. Correggevano essi i compiti
settimanali a tutti; normalmente anche gli altri
lavori più frequenti, pu·rchè la classe non fosse
eccessivamente numerosa; in questo caso facevano
in modo che gli allievi avessero corretto dall'in-
segnante uno ogni due compiti presentati. Con
segni diversi correggevano i diversi errori di dici-
tura, coerenza, grammatica, forma, ortografia,
punteggiatura od altro. Usavano matita o inchio-
564

56.7 Page 557

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stro colorato, segnando gli errori gravi con una
croce e le imperfezioni con linee: gli errori di or-
tografia con una linea:- verticale, gli errori di sal- ·
· to con uno zero tagliato, gli altri piccoli errori
con una linea inclinata. Spesso segnavano i com-
ponimenti · con osservazioni marginali. Di regola
p"erò non specificavano come l'errore andava cor-
retto, se non in via .eccezionale, per costringere
in tal modo la diligenza e l'intelligenza dello scola-
ro ad eseguire la correzione di propria testa. Le
correzioni venivanQ poi fatte in comune nella
scuola per dar modo agli allievi di ripassare le re-
gole di sintassi, d'ortografia, di punteggiatura ecc.
Talvolta mettevano al termine della pagina,
a conclusione, ora una parola di lode, altra volta
di incoraggiamento, e sempre di bontà per ani-
marci a far meglio. Non rifuggivano dal mostrar-
si severi nell'esigere, specialmente cogli indolenti,.
riflettendo che era dover loro provvedere al bene
degli allievi, anzichè ce~ere ai capricci e al~a pi-
grizia.
Ossequenti alle prescrizioni dei Regolamenti,
consegnavano periodicamente i lavori di provi;\\
settimanali, quindicinali o mensili, al Consigliere
Scolastico o al Direttore, dando così loro l'occasio-
ne d'intervenire nella ·scuola, per farsi un'idea
del suo andamento e per dire all'occorrenza la
parola opportuna.
565
..

56.8 Page 558

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13) I voti.
Ricordiamo che erano attesissimi i,. voti per i
temi di italiano, di latino e di greco, che si ap-
plicavano secondo i criteri tradizionali. A questo
proposito bisogna osservare che la rag_ione del
voto, il quale normalmente si esprime mediante
un numero o mediante un giudizio, sta nella sua
attitudine a far conoscere se c'è o non c'è del pro-
gresso, e più ancora nella necessità che sente l'a-
lunno di confrontare il suo giudizio con quello
più mat~ro dell'insegnante; senza dire del peso
che il voto avrà negli esami e in _relazione alla
scelta dello stato 0 all.'orientamento professionale.
Il voto quindi era, in linea di massima, giu-
sto e imparziale; il che non impediva che gli in-
segnanti dessero talvolta i cosiddetti voti di inco-
raggiamento, quando l'alunno avesse bisogno .. di
questo stimolo per progredire negli studi.
Don Bosco .dava pure questa norma generale:
< Non fate entrare nel voto di condotta scolastica,
i diportamenti dei vqstri allievi nella ricreazio-
ne» (663), e, soggiungiamo per analogia, negli al-
tri ambienti che n.on siano la scuola.
14) Lo studio del latlno.
Ognuno sa quanta importanza desse Don Bosco
allo studio delle ling~e: « Data l'occasione e la
566

56.9 Page 559

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possibilità, - diceva ai giovani una sera del 1876,
- non trascurate lo studio delle lingue. Ogni lin-
gua imparata fa cadere una barriera tra noi e
milioni e milioni di nostri fratelli di altre na-
zioni, e ci rende atti a fare del bene ad alcuni e
talora anche ad un gran numero di essi» (664).
È mirabile la sua abilità o meglio il suo zelo per
orientare sempre ogni attività intelléttuale ver-
so l'educazione morale.
·Ma in modo del tutto particolare gli premeva
che i giovani imparassero la lingua latina, repu-
tandola non solò eccellente strumento di cultura
classica, ma anche un gran mezzo per favorire
le vocazioni. « Si coltivi con cura speciale la lin-
gua latina, che è la lingua della Chiesa e si cer-
chi di farla apprezzare ed amare dai giovani
come elemento precipuo di cultura. Non deve
perciò mancare la lettura in classe degli autori
cristiani~ (Regolam., 138).
A Don Rua, verso la fine del 1851, dava que-
sto consiglio: « Vuoi imparare bene la lingua la-
tina? Traduci prima in italiano un tratto di au-
tore classico; quindi senza più vedere il testo, vol-
ta in latino la tua traduzione, ed in ultimo con-
fronta col testo la tua composizione latina. Con
questo esercizio, fatto tutti i giorni per un mese,
ti assicuro che intenderai moltissime difficoltà
senza aver bisogno del vocabolario» (665).
567

56.10 Page 560

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Per promuovere lo studio di questa lingua _die-
de anche impulso alla recita di commedie in lin-
gua latina, dirette con molta abilità dal profes-
sore Don Francesia, che preparava ogni volta un
biglietto d'invito ai benefattori, pur esso vergato
in latino. Sono rimaste celebri all'Oratorio le rap-
presentazioni, più volte ripetute, di Minerval, A-
learia, opere del distinto Gesuita P. Palumbo, e
di Phasmatonicès, parola greca che vuol dire
« vincitore delle larve e degli spettri », opera del
celebre Mons. Rossini Vescovo di Pozzuoli, chiaro
per le sue produzioni latine (666).
Se ne interessavano persino i giornali. Il 16
maggio 1867 era stata rappresentata la commedia
Deceptores decepti. « L'Unità Cattolica » del 19
mag·gio, .dopo aver accennaJo ai tre Vescovi ed ai
professori dell'Università, dei Licei e dei Ginnasi
, che erano stati presenti, commentava: « Tutti re-
starono meravigliati del modo con cui questi vi-
spi ed intelligenti giovani seppero fare la loro
parte. Quesfesercizio, che vien rinnovato varie
·volte nell'anno da quei bravi giovani, è somma-
mente proficuo per ogni lato; e sarebbe un bel-
l'esempio da imitarsi in tutti gli Istituti di edu-
cazione » (667).
Tali rappresentazioni e più ancora il brillante
esito degli esami, facevano conoscere a tutti come
fossero coltivati gli studi classici nel ginnasio del-
568

57 Pages 561-570

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57.1 Page 561

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l'Oratorio, ed è perciò che a quando a quando ·si
si facevano preghiere a Don Bosco perchè ac-
cettasse la direzione di qualche collegio muni-
cipale.
Don Bosco, con gli accennati trattenimenti, si
proponeva di .esercitare gli allievi nella pronun-
zia, nella lettura e intelligeiiza di questa antica
e maestosa lingua di Roma e della Chiesa, e di
mostrare che la Religione è tutt'altro che nemic~
della scienza e delle lettere (668). La tradizione
dei drammi latini durò nelle Case Salesiane fi-
no a pochi arini dopo la morte di Don Bo-
sco (669), e qua e là si perpetua tuttora.
Fu così che Don Bosco, il quale scrivie·va un
latino « forbito e semplice», come ebbe a dire
lo stesso Sommo Pontefice Leone XIII, si circondò
di uno stuolo di distinti latinisti, fra i quali non
possiamo tacere il già citato Don Francesia, me-
ritamente qualificato dal foglio liberale Stella d'I-
talia come un « latinista provetto, quali in Ita-
lia. pochi rimangono ancora », e inoltre, per ci-
tarne solamente alcuni tra gli scomparsi, Don Du-
rando, Don Garino, Don Tempini, Don Sisto Co-
lombo, studioso esimio degli autori latini cristiani.
È poi risaputo che uno studio serio del latino
deve muovere i passi dalla propria lingua na-
zionale, accuratamente an'alizzata nella sua forma
e ~el suo contenuto. ·
569

57.2 Page 562

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Vengono perciò molto a proposito qui le parole
scritte da Don Bosco a uno studente nel 188'7:
~ Mi dici che hai già studiata la lingua italiana;
ma ora tu devi seriamente studiare questa lin-
gua: ortografia, vocaholi, sentimenti, esposizione,
ecco quello che devi ancora meditare » (6'70).
E Don Cerruti, •commentando e perpetuando
il pensiero di Don Bosco, così scriveva: « Sia mol-
to coltivato lo studio della grammatica senza cui
è impossibile l'apprendimento pieno e sicuro di
una lingua. Or questo studio deve incominciare
ad esser · fatto con particolarissima cura nelle
scuole elementari dove si pongono le prime soli-
de basi dell'insegnamento della lingua: italiana.
Certo i professori di ginnasio non devono trascu-
rarlo. Non solo le prescrizioni del programma
gover-nativo, ma la ragione stessa vuole che essi
continuino con ardore l'insegnamento teorico e
pratico della lingua italiana. Ma l'opera loro non
potrà ess~re coronata da un esito pienamente fe-
lice, se gli alunni non vi saranno conveniente-
mente preparati dai maestri delle scuole prima-
rie » (671).
« Or quel che è detto dei maestri elementari
rispetto all'insegnamento della grammatica italia-
na, va applicato ai professori del Ginnasio In-
feriore riguardo all'insegnamento della gra:tnma-
tica latina. Sono le tre prime classi ginnasiali
570

57.3 Page 563

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quelle dove il' giovane si forma alla conoscenza e
all'uso della lingua latina. Come nell'ordine mora-
le, l'uomo riesce per lo più quale fu formato nei
suoi primi anni di vita, così nell'ordine intellet-
tuale riesce più o meno valente in latino nel Li-:-
ceo e all'Università, secondo che avrà ricevuto
maggiore o minore istruzione grammaticale nel
Ginnasio Inferiore» (6?2).
15) Per le vacanze.
Ma le preoccupazioni scolastiche di Don Bo-
sco si estendevano anche al tempo delle vacanze
sia per gli alunni che per gli insegnanti, non so-
lo per una finalità di ordine morale, ma ancora
per i grandi vantaggi scolastici che ne derivano
spendendo quei giorni utilmente.
Nel luglio del 18?5 rivolgeva ai professori que-
ste parole: « Non dimenticate qualche occupazio-
ne: io desidererei che ci fosse un po' di scuola,
nella quale i più ~eboli nella lingua latina po-
tessero fare qualche p·rogresso: ma cose seniplici,
facili; senza lunghe spiegazioni e solamente osser-
vazioni grammaticali. Esercitarli a leggere bene...
Un'altra ·cosa che sembra da nulla ed è di som-
ma importanza, si è l'insegnare a scrivere una
bella lettera... Per insegnare queste cose mi sem-
bra molto opportuno il tempo delle vacanze: poi-
571

57.4 Page 564

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chè- sono studi che non riescon·o troppo gravosi
ed arrecano ·una · utilità pratica grandissima. · Si
· potrebbe anche dare qualche lezione di francese
a coloro che hanno fatto molto progresso negli
.studi . lungo l'anno. In quanto à quelli che sono
_debolucci nel latino, ci vuole pazienza. Per lo più
sono quelli che vorrebbero meno scU<;>\\a, oppure
si credono di sapere quanto gli altri e non si
degnano por mente a quelle regole che essi chia-
mano piccolezze; e cercano cose più sublimi, e ·
finiscono con non imparare nè l'una cosa nè l'al-
tra. Tuttavia mi par bene che si faccia così, af-
finchè per pa:rte nostra si procuri di dare maggior
istruzione a coloro che ne hanno bisogno » (673).
Trovava poi egli stesso il tempo di occupare i
suoi giovani addestrandoli a scrivere lettere, per-
chè riteneva che il comporle convenientemente
n~n è cosa delle più facili. Nello stesso tempo
esortavali a cercare nei loro scritti la semplicità
dello stile: ma li avvertiva che questa semplicità
_doveva essere frutto di lunghi studi sui classici;
e loro ne proponeva alcuni perchè attentamente
li meditassero. Ripeteva loro l'avviso, a lui dato
da Silvio Pellico, di tener sempre sopra il ·tavo-
lino il vocabolario e di usarlo continuamente sen-
za stancarsi, nei dubbi circa il significato di una
parola o circa il valore di una frase e per evitare
inesattezze e gallicismi: assicurava che così avreb-
572

57.5 Page 565

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bero_acquistato nello SGrivere una chiarezza invi-
diabile (6?4).
Simili esortazioni faceva di frequente ai giova-
ni in vacanza. Il 24 agosto 18?? diceva loro: « Per
queste vacanze desidererei darvi un consiglio sul
modo di passarle bene. A tutti rimane sempre
qualche materia che non si è potuto studiare ab-
bastanza lungo l'anno: in questo tempo si procu-
ri di ripassarla con maggior attenzione. Vi sono
certe lezioni che non si mandarono troppo fedel-
mente a memoria, tante altre che non si intesero
in ogni loro parte, tanti trattati nei quali si fece
riuscita mediocre, e se ora più non si guardano,
si finirà con uno zero. Tutto ciò si può accomoda-,
re tanto bene in tempo di vacanza. Si ripassi quel ·
poco di latino e quel poco di italiano, si rivedano
gli autori latini per abilitarsi a capirli ».
Neila stessa circostanza raccomandava le buo-
ne letture: « Notate ancora che per imparare è ·
necessario leggere, leggere libri molto utili, e tan-
te volte questa cosa lungo l'anno non si può fa-
re. Si faccia adesso perchè ora non siete stretti
da quella lezione, da quei lavori che prima vi da-
vano da fare. Così non perderete il tempo, Ricor-
datevi di quelr-avviso dello Spirito Santo, di non
perdere neppure un minuto di tempo » (6?5) . .
573

57.6 Page 566

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16) Fuori di scuola.
Ed ecco quasi a coronamento di quanto fu
detto circa la scuola, qualche altra raccomanda-
zione del nostro Fondatore.
« Son proibite ai maestri le visite ai parenti
dei giovani. Venendo qualche parente a doman-
dare informazioni di un allievo, si dia soddisfa-
zione, ma ciò si faccia in cortile o nel parlatorio,
e non nella scuola » (676).
« Per l'onomastico degli insegnanti o per qua-
lunque altra festa in loro onore, non si permetta
agli ahmni alcun regalo, ma solo, come segno di
gratitudine, la lettura di qualche componimento
al termine della scuola, previa intesa col Diretto-
re » (Regolam., 209). Questa disposizion e dei Re- ,
golamenti, pur nelle limitazioni appositamente in-
trodotte per impedire abusi e disordini, lia una
ragione profondamente pedagogica: i giovani in-
fatti sentono il biscfgno di manifestare al maestro
la loro riconoscenza per le fatiche prodigate a
loro vantaggio; e l'educatore deve stimolare e svi-
luppare in essi i migliori sentimenti del cuore.
All'Oratorio, ancor vivente Don B.osco, si face-
vano queste festicciole in classe sia dagli studenti
che dagli artigiani, in occasione dell'onomastico
dell'insegnante, il quale era considerato come rap-
presentante di Don Bosco in mezzo ai suoi alun-
574

57.7 Page 567

▲back to top
ni. Una serena giocondità, che allontanava dagli
animi degli allievi qualsiasi nube passata, era la
caratteristica di quelle brevi manifestazioni, cui
talvolta interveniva personalmente Don Bosco. La
Comunione collettiva degli scolari era al centro
della manifestazione.
I nostri Regolamenti, ov'è fissato il pensiero di
Do~ Bos<:o, richiamano ancora la nostra attenzio-
ne sopra alcune disposizioni tradizionali. « Si dia-
no regolarmente gli esami nei tempi stabiliti ·e
con maggior solennità quello semestrale » (Rego-
lam., 140). « Al termine dell'anno scolastico si ten-
ga un saggio finale con declamazione, canto e mu-
sica, e distribuzione dei premi » (Regolam., 142):
e ciò non solo per stimolare lo spirito di emula-
zione tra gli allievi, ma anche per assecondare lo
spirito di famiglia che, dopo un anno di studio
e di lavoro, e nell'imminenza della separazione a
motivo delle vacanze, invita superiori e giovani
a godere della festa dei premi, allo stesso modo,
diremmo, che un lieto e riposato convito corona la
fine della mietitura e della ve~demmia.
Tutte queste cose, ' da noi vissute ben oltre set-
tant'anni fa, le stiamo rievocando con un senso
affettuosamente nostalgico; e ricordando i cari
professori e superiori che le praticavano, ammi-
riamo sempre più, e con accresciuta riconoscenza,
il loro grande lavorìo, negli ultimi mesi o nelle
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ultime settimane dell'anno scolastico, per prepa-
rarci bene agli esami finali, affinchè potessimo
conseguire con. ottima riuscita i migliori diplomi.
I felici risultati degli ·esami, mentre provvede-·
vano agli interessi famigliari, sociali e civili degli
alunni, attiravano verso l'Istituto la stima delle
Autorità scolastiche e l'affluenza dei giovani. Tut-
. to ciò, dopo il Premio sperato dalla Bontà 'Divina,
' era la miglior ricompensa alle fatiche e ai sacri-
fici dei nostri amati insegnanti. ·
e) CoME PROMUOVERE
L'APPLICAZIONE ALLO STUDIO.
1) All'Oratorio si studiatJa.
Con quanta cura i giovani rispondessero alle
esortazioni di Don Bosco, si deduce dai brillanti
risultati da loro conseguiti agli esami pubblici, de-
stando spesso st~p~re tra gli esaminatori, non sem-
pre bene informatj circa la serietà con la quale
si facevano gli studi all'Oratorio.
Nei primi tempi Don ·Bosco, benchè mandasse
i giovani in città alla scuola di Don Picco e di
Bonzanino, procurava che il mattino o la sera a-
vessero in casa ripetizioni di italiano, latino, arit-
metica, storia: ripetizioni che talora succedevansi
l'una all'altra, essendo i giovani divisi in varie
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classi secondo la loro capacità. Nello stesso tempo
li esortava a non isgomentarsi innanzi alle dif-
ficoltà degli studi e di altre miserie della vita, di-
cendo: < Se sapeste quanti stenti .ho sofferto per
riùscire ·chierico! Ho sempre avuto bisogno di tut-
to e di tutti per andare avanti » (677). E l'amore
allo studio, per le· sue esortazioni, diveniva una
vera smania di im.parare. Don Bosco però sapeva
temperarla, allo stesso modo che equilibrava i di-
vertimenti e le pratiche di pietà. Così gli alunni
dell'Oratorio distinguevansi per abilità e virtù.
Nel 1864 Don Bosco, per la prima volta, pre-
sentò tre suoi giovani agli esami statali di licenza
liceale. Nonostante gli schiarimenti avuti, la com-
missione, prevenuta contro gli studi dell'Oratorio,
respinse la composizione latina dell'alunno Rinau-
do, per essere troppo ben fatta: non poteva averla
fatta lui. Dietro istanza di Don Bosco; fu ammes-
so agli orali, ma prima dovette rifare ivi stesso 1a
composizione lati,na, che riuscì migliore·della pri-
ma, onde fu promosso a pieni voti. Altri e poi
altri dell'Oratorio, negli an;ni seguenti, si presen-
tarono per gli stessi esami ai licei di Torino, de-
stando l'ammirazione degli esaminatori.
Oltre a ciò Don Bosco,. benchè l'esame di li-
cenza ginnasiale non fosse necessario, mandava,
sul finire dell'anno scolastico, i più distinti dei
suoi studenti a subire l'esame di Rettorica · nei
577
19 (I)

57.10 Page 570

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pubblici Ginnasi, dove essi riportarono sempre
splend.ide promozioni. Quando poi tale esamt f ti
imposto dalla legge, tutti gli anni i giovani del-
l'Oratorio si presentavano in numero di trenta,
'-quaranta e più agli esaminatori governativi, e riu-
scivano non di rado i primi.
Un distinto Direttore di Ginnasio governativo,
pieno di entusiasmo per la riuscita dei giovani
alunni dell'Oratorio, ripetè molte volte a Don Du-
rando · non potersi immaginare il vantaggio im-
menso che avevano causato i giovani dell'Orato-
rio agli alunni delle scuole pubbliche, col destar-
ne l'emulazione e col non lasciarsi superare nella
votazione (678).
Non meno lusinghieri erano già stati i risultati
dei primi Salesiani che si erano presentati agli
esami per l'Università.
Il 6 luglio 1863 quattro maestri dell'Oratorio,
i chierici Cerruti e Durando, i sacerdoti France-
sia e Anf~ssi, s~irono l'esame di ammissjone alla
facoltà di Lettere. Essi aprirono una nuova via
,ai confratelli esponendosi, per amo~e di Don Bo-
sco e della Congregazione, a fatiche non in-
differenti. Eravi però gran diffidenza negli am-
·bienti dell'Università: tanto che si costituirono
,due commi~sioni appositamente per loro. L'esame
riuscì splendidissimo.
Il famoso pedagogista Abate Giovanni Anto~io
578

58 Pages 571-580

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58.1 Page 571

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\\
Rayneri, che presiedeva una .delle comm1ss1oni e-
saminatrici, visto nell'aula il -Prof. Vallauri, la-
sciò il suo seggio e gli andò vicino. Il Vallauri,
creduto troppo ligio a Don Bosco, non aveva po-
tuto esaminare. E il Rayneri pieno di vivacità:
- Ditemi, professore, ditemi, che voto debbo dare
agli insegnanti di Don Bosco?
~ - Oh! Non li avete esaminati voi?
- Il busillis è che sanno, sapete, sanno!
- Lo dite a me? Sono i migliori del mio corso.
Tutti e quattro ottennero i pieni' voti assoluti,
e Francesia e Cerruti ebbero anche la lode.
Nell'uscire dall'aula, li accolse un'ovazione da
parte dei loro numerosi compagni studenti.
Il Prof. Prieri, Preside clella F~coltà della ~e-
conda commissione, entusiasmato a.ella bellis&i-
ma prova, uscì dall'aula con uno degli esaminati
dicendogli: - Oh! sì che da Don Bosco si studia!
Ma vedete, credetemi, non tutti i nemici vostri so-
no solamente all'Università. Ne avete anche altro-
ve... e potentissimi. - Intanto passava colà il
poeta Prati. « Giovanni, - gli disse il professor
Prieri, - venite qui, sentitemi. un peccato che-
stamattina non vi siate trovato all'Università; a-
vreste presenziato al bellissimo esame di questo
signore. Sappiate che da .Don Bosco si stud:a,, e
si studia davvero» (679).
Prima di por termine a- quest'argomento ci pa-
57!!
'

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re doveroso dire che, grazie alla solida impalcatu-
ra didattica e al potente impulso dato da Don
Bosco agli studi, le sue ·scuole fiorirono e si molti-
plicarono in un crescendo continuo, raccogliendo
fiumane di giovani, desiderosi d'imparare la scien-
za, l'arte e la virtù alla scuola del grande e santo
Educatore.
E ciò viene ad attestare ancora una volta quan-
ta importanza Don Bosco dava alla formazione in-
tellettuale della gioventù, sempre orientata al be-
ne delle loro anime, e ci persuade ognor più della
bontà e della efficacia dell'indirizzo. da lui dato
alle sue scuole per ottenere una soda educazione
intellettual~ e morale dei suoi allievi.
Non possiamo pertanto che far nostre le parole
di Don Cerruti: < Ogni giorno che passa, mi per-
suado ognor più della necessità, che per noi è do-
vere, di stare attaccatissimi, mordicus, agli inse-
gnamenti di. Don Boscò, anche in fatto di istru-
zione e di .educazione, e da .questi insegnamenti
non dipartirci mai; neppure d'un punto, ncc
transversum quidem unguem/ Lungi da noi i no-
vatori » (680).
2) Esortazioni agli studenti.
Con quanto interesse e con qu~to amore Don
Bosco seguisse i giovani studenti nei loro studi, lo
provano le frequenti esortazioni che rivolgeva lo-
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58.3 Page 573

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ro per animarli a un'applicazione sempre maggio-
re. Lo scopo, l'importanza e la maniera di studia-
re, erano i temi preferiti delle sue conversazioni,
delle sue Buone Notti, ed anche della sua corri-
spondenza.
.
Scriveva a Don Vespignani il 22 agosto 1880:
« Dirai agli studenti ed ai nostri ascritti che io
attendo grandi cose· da loro. Moralità, umiltà, stu-
dio: ecco il loro programma » (681). E ai giovani
di Lanzo: ( Siete in collegio per farvi un corredò
di cognizioni con éui potervi a suo tempo guada-
gnare il pane della vita» (682). Ai giovani dell'O-
ratorio: « Guardate di imparare quelle cose di cui
non avrete a pentirvi quando sarete vecchi» (683).
Ricordava un giorno al chierico Francesia
questa massima di San Francesco di .Sales: < Vuoi
imparare? Studia da te con molto impegno. Vuoi
imparare molto? Cerca chi ti istruisca. Vuoi impa-
rare moltissimo? Mettiti a far scuola di ciò che
vai studiando». E la splendida riuscita dei mae-
stri di Don Bosco dimostrò la verità di questo
assioma (684).
Mentre però inculcava la scienza, raccomanda-
va ancor più virtù. ( Agli studenti io auguro -
diceva - che possano imparare la scienza profa-
na, senza dimenticare la scienza dei Santi (685).
Procurino nella scienza terrena di cercare la scien-
za del cielo, la virtù, e metterla in pratica> (686).
581

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3) Nove mezzi per studiare con profitto.
Son rimaste memorande nove Buone Notti che,
alla fine del 1864, Don Bosco diede agli studenti
dell'Oratorio proponendo e spiegando nove mezzi
per trarre profitto dagli studi.
Udiamoli dalla bocca dello stesso nostro Pa-
dre. sempre utile bere alla fonte del pensiero
genuino del grande Educatore.
PRIMO MEZZO: ~ Voglio suggerirvi, o m1e1 cari
.figliuoli, alcuni mezzi per riuscire bene nello stu-
dio e ve ne dirò uno ·per sera. Primo mezzo per
studiare bene è il timore di Dio. lnitium sapien-
tiae ti1TWF-i)ominil Volete divenir dotti veramente
e fare grande p-rofitto nelle scuole? · Temete il Si-
gnore, guardatevi bene dall'offenderlo, perchè in
malevolam a:nimam non introibit sa.pientia, nec
habitabit in corpore subdifo peccatis. La sapienza
degli uomini deriva da quella di Dio. E poi che
piacere volete che provi nello studio chi ha il
cuore agitato dalle passioni? Come volete che uno ·
superi le difficoltà che si incontrano nelle scuole,
senza l'aiuto di Dio? Omnis sapientia a. Domino
Deo est. Un solo peccato mortale fa ingiuria così
grande a Dio, che tutti gli angeli e gli uomini in-
sieme non potrebbero ripararla. E Dio dovrà aiu-
tare negli studi coloro che gli fanno un insulto
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58.5 Page 575

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così grave? Uomini veramente dotti non furono
mai coloro che offendevano il Signore. Guardate
San Tommaso, San Francesco di Sales.. L'esperien-
za insegna continuamente che coloro i quali ap-
profittano nello studio sono quelli che stanno lon-
'tano dal peccato. Vi sono è vero certi malvagi i
quali risplendono ora per ingegno e, sapere. Ma
forse in altri tempi · si meritarono dal Signore
con la buona condotta e con opere buone questo
gran dono del quale poi abusarono. Del resto la
massima parte di costoro non hanno· vera sapien-
za; hanno la mente piena di errori che insegnano
agli altri. Che se a qualcuno poi dei cattivi il Si-
gnore ha permesso profitto nella scienza, benchè
sia suo nemico, ciò tornerà a maggior castigo e
maggior maledizione avendone abusato}) (687).
SECONDO MEZZO: « Secondo mezzo per ben
studiare è non perdere mai un briciol di tempo.
I1 tempo, miei cari :figliuoli, è prezioso. Fili, con-
serva 'tempusl ·Il tempo-che si deve dare allo stu-
dio, darglielo tutto. Non cercare mai pretesti per
sfuggire la scuola. È doloroso vedere giovani che
vanno cercando pret~sti di malattie, o di licenze
carpite ai Superiori, per non adempiere a questo
loro dovere.
< Non leggere in tempo di studio o di scuola
libri che ~on hanno a far nulla colle materie sco-
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lastiche. Frenare la fantasia. Vedete quel giovane
che sembra attento al suo libro? Credete che··stu-
di? Oibò! Ha la mente distante mille miglia. Ve-
dete, ei sorride: gli sembra di essere in ricreazione
a giocare alla trottola; e pensa alla vittoria che ha
conseguito sul compagno. Quell'altro pensa alle
castagne ed _al salame che ha nel cassone. L'altro
ha quel progetto, per esempio di comperare quel
libro, di riuscire in ' quella gherminella, di far
quello scherzo, di. andare a quella scampagnata.
Non parlo di quei giovani che pensano ad offen-
dere Dio, perchè spero che qui nell'Oratorio non
ve ne siano. Studiamo dunque e non perdiamo ·
il tempo :i> (688).
A questa Buona Notte di Doit Bosco, circa il
buon uso del tempo, ci permettiamo di aggiungere
che, in uno schema di proposte per il 1° Capitolo
Generale del 1877, Don Bosco aveva scritto anche
questa raccomandazione: 4'.: Si abbia la massima
cura che gli allievi non passino il tempo in ozio,
ma anche che non istudino più di quello che ognu-
no può. Il maestro non isforzi a progredire coloro
che sono di scarso ingegno: gli allievi siano aiu-
tati nelle rispettive classi ». In seguito a questo,
· e sempre per fomentare il profitto negli studi col
1r buon uso del tempo, il nostro Padre suggeriva
an,cora quattro cose: la precisione dell'orario;
2) l'osservanza della disciplina; 3) le passeggiate a
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58.7 Page 577

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suo tempo, senza fermate, e non troppo lunghe;
4) non troppe vacanze, e queste pure condite con·
studi di gradimento (689).
TERZO MEZZO: ( Terzo mezzo per riuscire nel-
lo studio: abituarsi a non passare da uno all'altro
capo di qualsivoglia scienza, da una all'altra re-
gola della grammatica, da uno ad altro argomento,
se prima non si ha bene inteso ciò che antecede.
Quindi mandate a memoria quanto andate stu-
diando. Disse bene Cicerone: Tantum scimus,
quantum memoriae mandamus. Ogni giorno stu-
diate in modo che resti fissa n ella mente la lezione
o il tratto di autore classico che il maestro vi as-
segna da recitare. Ogni giorno, io dico: perchè se
oggi trascurate d'imparare, domani per mettervi
a posto dovrete raddoppiare la fatica. Chi trascu-
rasse di usare questa diligenza per una settimana
dovrà rimediare alla deficienza di sette lezioni,
notando che il suo compito 'da fare, giornaliero, è
tale da occup·arlo tutto il giorno. per non usare
q'uesta diligenza, che non pochi hanno molte lacu-
ne nella mente; molte cose non hanno intese bene;
e, negli ultimi mesi dell'anno scolastico, si ammaz-
zano per studiare, col timore di essere rimandati.
Chi invece fu sempre diligente, possiede con si-
curezza il tesoro delle sue cognizioni, e il giorno
dell'esame non reca a lui nessun fastidio » (690).
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Qu.ARTO MEZZO: « Quarto mezzo per hen stu-
diare: mangiare a tempo debito. Più ne uccide la
gola che la spada. Volete istruirvi? Noll, vivete per
mangiare; mangiate per vivere. Al mattino e alla
merenda mantenetevi leggeri. Non mangiate acre-
papancia. Se avete qualche buon boccone messo
in serbo nel vostro baule, non lasciatevi tirare dal-
la -gola, non mangiatelo tutto in una volta, in mo-
do da scoppiarne; conservatene un po' per i gior-
ni seguenti e così non vi farà male. Non crediate
già che io ve lo dica per mio interesse: no davve-
ro; perchè l'esperienza mostra che se mangiate
una pagnotta di meno a colazione, ne mangerete
poi più di tre a pranzo. Chi va in iscuola o istu-
dio collo stomaco troppo pieno ben presto resta
colla testa grave, indisposto, svogliato, combatte
inutilmente il sonno e fa nulla, perchè nulla o qua-
si nulla capisce non potendo applicarsi. Se poi fa
uno sforzo ,per applicarsi, peggio che peggio. So-
vraggiunge il mal di capo, non si fa più nulla per
qualche giorno, ed alcune volte si guadagna una
forte indigestione )) (691).
QUINTO MEZZO: « Quinto mezzo per ben stu-
diare: la compagnia dei giovani studiosi. que-
sto il mezzo più adatto per fare un gran profitto
nello studio. Quando siete in ricreazione avvici-
natevi ai chierici o ai compagni più istruiti, e do-
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mandate loro qualche nozione di geografia, qual-
che spiegazione su certe frasi di autori classici, o
su qualche regola della grammatica, o su qualche
punto di storia. Parlando fra voi sovente di cose
riguardanti i lavori, le lezioni, i componimenti, le
traduzioni-, oh quanto profitto farete! A passeggio
eziandio intrattenetevi in simili ragionamenti e la-
sciate la compagnia di certi fannulloni e scempia-
ti, che addirittura farebbero perdere, non che ac-
quistare la scienza. I discorsi inutili o frivoli gio-
vano a nulla e non servono che a dissipare le
menti e a raffreddare i cuori. Dice il Savio: Se
vuoi diventare sapiente, pratica i sapienti » (692).
SESTO MEZZO: « Sesto mezzo è la ricreazione
ordinata. La -ricreazione fatela intera, perchè ri-
creandovi prenderete nuove forze per studiare me-
glio, quando verrà l'ora della scuola. Non cambia-
te l'ora della ricreazione in ora di studio, perchè
poi, quando dovrete studiare nel tempo fissato dal-
la regola, avrete la mente stanca e farete poco
profitto. Guardatevi poi dalla ricreazione smodata
ed eccessiva. Vi sono alcuni che, nell'ora della ri-
creazione, corrono su e giù con tale furia, che non
sembra mica che facciano ricreazione, si direbbe
piuttosto che si ammazzino. Urtano e cacciano
a terra i compagni, si rompono il naso, si pestano
le membra, fanno a pugni così per passatempo;
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e poi quando è finita la ricreazione, tutti sudati,
trafelati, e stanchi vanno a studio: ma sì... la
testa è ancora in rivoluzione ed ha bisogno di
di riposo; e tanto sono nel gioco che ci pensano
anche nella scuola. Non parlo di quelli ~he urla-
no ·in modo da aver male al capo per tutto il gior-
no. Noto anche quei giovani che, passeggiando o
facendo crocchio, parlano di passeggiate, feste,
merende, pranzi, vacanze con. tale entusiasmo, che
poi in iscuola non hanno altro per la testa.
~ Di coloro poi che in ricreazione tengono di-
scorsi cattivi, dirò solo che, dove non si trova il
timore di Dio, è impossibiìe un profitto vero. Dun-
que anche in ricreazione siate regolati. Non vi
dico già che non giuochiate alla trottola, a barra
rotta, ecc. ecc.; saltate pure, divertitevi, ma guar-
datevi dMli eccessi. Ancor io, quando non ho da
intrattenermi colle persone che mi vengono a cer-
care, faccio ricreazione, mi sollazzo con voialtri,
facezio, rido, ma non mi rompo mica il collo per
'divertimento. Dunque sesto mezzo per studiare
con profitto è una ricreazione bene ordinata» (693).
E qui aggiungiamo che, in altra circostanza,
dopo di aver esortato i giovani a essere diligenti
nei lavori scolastici, soggiungeva: < Non intendo
per altro che vi occupiate dal mattino a sera sen-
za nessun sollievo, perchè io vi voglio bene e vi
concedo volentieri e in gran -numero tutti quei di-
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59.1 Page 581

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vertimenti nei quali non vi è peccato. Tuttavia
non posso fare a meno che raccomandarvi tutti
quei trastulli che, mentre servono di ricreazione
cagionandovi diletto, possono recarvi qualche uti-
lità. Tali sono lo studio della storia, della geogra~
fia, e delle arti meccaniche e liberali, il canto, il
suono, il disegno, ed altri ·studi e lavori domesti-:
ci, i quali, ricreando, possono procurarvi cogni-
zioni utili e oneste, e contentare i vostri parenti
e i vostri Superiori )) (694).
SETTIMO MEZZO: « Il settimo mezzo per ben
studiare è questo: Vincere le difficoltà che s'in-
contrano nello studio· degli autori. Quando incon-
trate difficoltà, non dovete avvilirvi. Che cosa siete
venuti a fare qui all'Oratorio? A studiare. Dunque
è naturale ehe bisogna imparare quello che non sa-
pete. E imparare quello che non si sa, indica sforzo
di mente più o meno, ~econdo il maggior o minore
ingegno. Quindi coraggio; non bisogna la.sciar l'o-
a pera metà. Non fanno bene coloro che, incontran-
do una difficoltà, la saltano, dicendo: - Questo non
lo capisco, - e passano ad altro; ~on bisogna
passar oltre, finchè la difficoltà non sia vinta e
superata. E per ottenere questo, primieramente
ricorrete a Gesù e a Maria con qualche divota
giaculatoria e vedrete che le difficoltà spariran-
no. Non dimenticatelo mai, miei cari figliuoli; è
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questo il mezzo più efficace per vincere ogni dif-
ficoltà nello studio, perchè solo Dio è il donatore
e padre della scienza e la dà a chi vuole e l:ome
vuole. A Maria SS. voi lo dite ogni giorno nelle
litanie: Sedes sapientiae, ora pro nobis. Essa è
la sede della sapienza. Rivolgetevi poi ai maestri,
agli assistenti: essi si faranno premura di aiutarvi
e vi daranno tutte quelle nozioni e spiegazioni del-
le quali avrete bisogno. Vi dirò ancora di più:
non solo sforzatevi e siate costanti nel vincere
le diff1coltà, ma godetene, quando ne incontrate,
perchè queste accrescono l'ingegno e fanno pro-
vare una dolce soddisfazione quando riusciamo ad
intendere. Che vanto vi è nell'imparare ciò che
facilmente si capisce? Aggiungete ancora che ciò
che s'impara con fatica non si scancella mai più
dalla mente » (695).
A questo proposito il nostro Padre disse altra
. volta: « Non perdiamoci di coraggio se troviamo
difficoltà. San Girolamo ci è esempio di costanza
per lo studio delle Sacre Scritture. Egli si era pre-
so l'inc~rico di tradurre la Bibbia dall'Ebraico in
Latino e a tal fine si era ritirato in una spelonca.
Dopo aver speso molto tempo in tale studio, non
poteva riuscire a sciogliere moltissime difficoltà.
Prese pertanto la deliberazione di sospender quel
lavoro. Ma un bel giorno uscito dalla caverna vide
una roccia nella quale era scavata una buca. Si
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59.3 Page 583

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fermò a c~nsiderare come. si era potuto produrre
quella buca, e venne a conoscere che era stata
fatta, con l'andar del tempo, dal cadere, sullo stes·
so punto, di continue gocce d'acqua, da uno stil-
licidio. E disse tra sè: - Chi sa che questo non
sia un avviso di Dio perchè non mi perda d'ani-
mo, ma prosegua nel mio intento. Se una goccia
d'acqua potè col tempo forare questa pietra, po-
trò io pure trar profitto dal mio studio colla co-
stanza. - E continuò, prese lezioni da un dottis-
simo Rabbino e compì la sua magnifica impresa
con vantaggio incalcolabile di tutta la cristiani-
tà. Gutta cavai lapidem! » (696).
OTTAVO MEZZO: « Ottavo mezzo per studiare con
profitto si è: occuparsi esclusivamente di cose ri-
guardanti il nostro studio. Pluribus intentus minor
est ad singula sensus. Non si acquista mai alcuna
scienza sfiorando nello stesso tempo molti libri. In-
terrogato San Tommaso d'Aquino come avesse fatto
per riuscire così dotto, rispose: - Col leggere un
sol libro.
'
~ Bisogna che ci fissiamo in mente che gli stu-
di estranei alle nostre scuole devono essere messi
da parte. Se uno che studia la lingua latina vo-
lesse nello stesso tempo studiare l'inglese e il fran-
cese, quale lingua saprebbe alla fine dell'anno? il
programma della scuola di latinità è già tale da
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59.4 Page 584

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preoccupare un ingegno svegliato per tµtto il tem-
po delle scuole. Vi sono dei giovani -che leggono
molto, ma non s'avvedono che tanto leggere non
fa altro che imbrogliare la loro mente. Molti vi
sono che leggono poeti, racconti, storie, prose clas-
siche non prescritte; cose buone, se volete, ma in-
tanto lasciano troppo da parte il loro dovere tra-
scurando di acquistare le cognizioni necessarie.
« Ma come passare il tempo - voi direte -
quando è fatto il lavoro, è studiata la lezione? -
Quando avrete fatto il vostro dovere, se vi resta
ancora qualche ora di tempo libero, ripassate. le
spiegazioni degli autori già fatti, ritornate su certe
regole di grammatica, che vi sono sfuggite, leggete
una facciata del libro ·di testo prescritto, ma leg-
·getela con attenzione. Insomma non perdete il
tempo con leggere le gesta di Guerrin Meschino,
la vita di Gianduja, o quella di Bertol~o.
« Dandovi però questi consigli, non disconosco.
l'importanza ed i· vantaggi di moderate e giudi-
ziose letture; ma è necessario che nel leggere te-
niate queste due regole: 1) Non si leggano altri
libri, finchè non si siano compiuti i doveri di scuo-
la. 2) Non si leggano prima di avere chiesto consi-
·glio al proprio inaestro e ad ~tri capaci di darlo,
affinchè non vi avvenga di leggere libri inutilt
oppure libri che, oltre l'essere inutili, siano scrit-
ti in lingua cattiva, ovvero libri che siano riprove-
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59.5 Page 585

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voli e· che ·vi guastino la mente ed il çuore con
insinuarvi cattive massime » -(697).
NONO MEZZO: « Continuando a parlare dei mez-
zi per studiare oggi vi dirò il principale: Ricorrere
sempre alla protezione di Maria SS. Maria è ·sede
della sapienza; quindi ayanti di studiare la lezione,
prima di incominciare la spiegazione degli auto-
ri, prima di fare la composizione, non dimentié~a-
tevi mai di dire un'Ave alla Santa Vergine e poi
soggiungete: Sedes Sapientia.e, ora pro no-
bis » (698).
4) I.ndustr~e di Don Bos.co per ottenere
lo studio e la buona condotta.
Per promuovere e incoraggiare l'applicazione
allo studio e la buona condotta dei giovani, Don
Bosco aveva escogitato vari accorgimenti, tutti di-
retti a suscitare lo spirito di emulazione, che è
una leva potente sul cuore dei ragazzi.
È notevole anzitutto il suo personale interes-
samento, che non si limitava a dare norme
agli altri: il lavoro principale, per la conserva-
zione dell'ordine in casa, lo riservava a sè. Egli
facevasi consegnare dagli assistenti e dai maesf.ri
la lista dei voti settimanali e mensili di ciascun
alunno, sia di studio, che di lavoro e condotta. Tan-
te erano le liste quanti erano i maestri, compresi
593

59.6 Page 586

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quelli delle scuole serali, i capicamera, i capila-
boratorio. Ogni lista portava la firma dell'inse-
gnante. Le prime liste che si conserva~o risalgouo
all'anno 1857-58. In margine a queste si leggono
delle osservazioni (699).
Quando, per motivi' speciali, doveva assentarsi
lungo tempo dall'Oratorio, di lontano si faceva
dare notizie particolareggiate dai maestri delle
singole classi, per iscritto; ed egli rispondeva in
modo da acuire il desiderio di fare sempre più
e sempre meglio (700). Da Roma i\\ 12 marzo 1875
scriveva a Don Rua: « Di' ' agli studenti e ad alt_ri
cui riguarda, che mi tornò carissimo il regalo fat-
tomi di un optime generale di condotta. Oggi alle
11 vado all'udienza dal Santo Padre e fra le altre
voglio dargli questa notizia e chiedergli una spe-
ciale benedizione eh.e parta dal Capo e vada fino
agli ultimi. Il piacere poi sarà raddoppiato, se
quest0 regalo sarà anche rinnovato nella seconda
settimana » (701 ).
·
Intanto gli alunni, sapendo che i loro Yoti
passavano sotto gli occhi di Don Bosco, e vedendo
che tutte le domeniche venivano a lui consegnati'
quelli dello studio in comune, davano a ques ti
v~ti la massima importanza: tanto più che erano
assegnati con certo qual rigore, tenendosi per mas-
sima che, quegli che era mantenuto dalla' carità,
doveva essfrne degn_o.
594

59.7 Page 587

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Don Bosco, saputo il voto che il giovane avev3,
ottenuto in scuola, lo confrontava con quello del-,
lo studio e talvolta trovava che il maestro e capo-
studio non erano dello stesso parere. Perciò dei
voti scadenti non dava subito giudiz10. Faceva a
tal fine salire gli interessati un dopo l'altro in sua
camera in giorni diversi e dava loro alcune pagi-
ne da studiare a memoria, oppure una piccola
composizione da scrivere: quindi li interrogava.
Questi era scusato dal tardo ingegno, sicchè :,ten-
tava a tener dietro alle lezioni. In quello scopriva
una portentosa memoria, che però si riduceva a
ritenere le cose senza riflettere. L'altro aveva po-
ca memoria ma giusto criterio. E dava a ciascuno
le norme per occupare e con profitto il tempo.
Quindi avvisava i chierici, che vedendo di
9:,uelli distratti o che dormicchiavano, li avvici--
nassero amorevolmente e sottovoce chiedessero loro
se avessero inteso ciò che studiavano, se trovas-
sero difficoltà nel compito; e _che aggiungessero:
-:- Sei contento che t'aiuti? - A questo modo
taluni, che sul principio parevano inetti allo stu-
dio, fecero bella riuscita. Pochi erano gli studenti
meritevoli di rimprovero. Nessuno mai potrà i.m-
maginarsi la smania che in quei tempi vi era <li
studiare. Se i giovani andavano in refettorio, tene-
van-o aperto acçanto a sè il libro; accorciavano il
tempo di ricreazione per ritirarsi in un angolo a
595

59.8 Page 588

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ripassare la lezione; di notte cercavano di ayer un
posto accanto al lume onde vegliare allo studio
quanto più tempo era possibile. Ci volevano avvisi
continui · per impedire abusi dannosi alla sani-
(?02).
Oltre al suo personale interessamento, Don Bo-
sco non tralasciava di vigilare attentamente i gio-
vani ovunque fossero, a fine di rendersi conto coj _
propri occhi della loro condotta. Con frequenza
andava nello studio ed entrava nei laboratori. Mai
che accadesse la più piccola infrazione alle regole,
senza che egli subito se ne avvedesse e ci rimedias-
se con prontezza. Conferiva soventè con gli altri
Superiori, informandosi del comportamento dei
giovani e dando sempre norme pe'r il buon an-
damento della disciplina (?03). Questo continuo
scambio di idee e di osservazioni, mentre incorag-
giava coloro che dovevano stare in mezzo agli
educandi, teneva al corrente di ogni cosa il Su-
periore (?04).
Giovavano poi moltissimo le cqnferenze che i
Superiori dell'Oratorio tenevano ogni domenica
dalle sei e mezzo pomeridiane alle sette e mezzo.
Questa era la ruota maestra per far andare avanti
le cose a dovere. In tali conferenze, formate dai
membri del capitolo locale e presiedute da Don
Rua, i capitolari subivano una specie di mutuo
esame sulla diligenza che mettevano nell'invigila-
596

59.9 Page 589

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re, ognuno entro la sfera della propria azione. Così
tornava agevole prevenire disordini e rimediare a
quelli avvenuti. .I Superiori poi si intendevano fra
loro per operare con lo stesso metodo e con lo stes-
so spirito; così tutti rimanevano informati di
quanto fosse accaduto. In fine, mediante i consi-
gli suggeriti dai più provetti, si aveva una vera
scuola di prudenza, massime nell'andare adagio
a prendere deliberazioni quando le cose fossero
un po' dubbie. Negli affari di maggior importanza
la parola decisiva si riservava sempre a Don Bo-
sco (?05).
Privatamente Don Bosco teneva sempre a por-
tata cli _mano un quaderno speciale, che consigliò
anche a Don Rua nel mandarlo ad aprire il Col-
legio di Mirabello: il quaderno dell'esperienza. In
esso aveva cura di registrare tutti gli inconvenienti,
i disordini, gli sbagli, a mano a mano che occorre-
vano nelle scuole, nelle camerate, nel passeggio,
nelle relazioni tra giovani e giovanÌ, tra Superiori
e inferiori, tra i Superiori stessi, nei r·apporti del
collegio coi parenti dei giovani, colle persone
estranee, colle autorità scolastiche o civili o ec-
clesiastiche. Notava le disposizioni che si vedeva-
no necessarie per ovviare a molti sconcerti acca-
duti nelle feste straordinarie: e via discorrendo.
Teneva pure conto dei motivi di cambiamento d'o-
rario o di funzioni o di vacanze o di scuola in cer-
597

59.10 Page 590

▲back to top
te circostanze; leggeva a quando a quando e stu-
diava le proprie note; e specialmente, ricorrendo
uguali circostanze, riandava qu'anto altra volta
erasi ·fatto, per regolare con prudenti misure ogni
cosa, e gli errori nei quali si era incorsi e la ma-
mera di rimediarvi (706).
5) Emulazione e incoraggiamento.
Abbiamo già detto che Don Bosco cercava di
destare lo spirito di emulazione dei giovani: ve-
~.
diamo orp. i principali mezzi, di cui l'esperto
Educatore sapeva servirsi.
1) Com. piccole cariche. Don Bosco ciò fa-
ceva, oltre che per interessare molti al bene dei
giovani e per una maggiore vfgilanza, anche per
dare, come premio meritato, un segno di speciale
confidenza. Certe indoli intraprendenti, lusingate
da quella preminenza sui compagni, si affeziona-
vano sempre più all'istituto (?07).
2) Con lodi e con biasimi. Spesso nelle Buo-
ne Notti lodava i giovani diligenti e biasimava
o rimproverava i negligenti; e con altrettanta fre-
quenza, dopo aver messo a confronto gli uni co-
gli altri, faceva risaltare la stima che si aveva
dei buoni e la poca considerazione in cui stavano
i cattivi (708). Altre volte segnalava in pubblico
la buona riuscita fatta da antichi alunni nella so-
598

60 Pages 591-600

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60.1 Page 591

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cietà, l'onore e la stima in cui erano tenuti fuori
nel mondo i giovani dell'Oratorio, sicuro di in-
durre i suoi ascoltatori a mettersi d'impegno per
emulare gli antichi e conservare all'Oratorio la
considerazione in cui era tenuto (?09). Non man-
cava talora di sottolinear~ i progressi già ottenuti,
allo scopo di raggiungere un miglioramento gene-
rale (?10).
3) Con segni di particolare distinzione alla
sua mensa. Ogni domenica comparivano a pran-
zo dai Superiori, per turno, i giovani che avevano
ottenuto i migliori voti di condotta; prima quelli
di ciascuna classe degli ,studenti, e successiva-
mente gli artigiani di ogni labor-atorio. A questo
modo, su per giù tre volte all'anno, ogni classe e
ogni laboratorio era rappresentato nel refettorio
dei Superiori.
Nel giovedì Santo, a tredici, scelti fra gli ot-
timi, lavava i piedi alla funzione della sera e poi
li conduceva a cenare con sè: cortesia che era gra-
dita moltissimo (?11).
·
Ciò serviva a incoraggiare al bene non solo le
singole ,classi, ma tutti i giovani in generale. Il
buon Padre godeva assai nel vedere- questi alunni,
li desiderava, e sostenne questa costumanza anche
quando, da parte di certi metodisti, sorse qualche
contrarietà. Egli ·riteneva cosa di gran momento
che i giovani più distinti avessero occasione di av-
599

60.2 Page 592

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v1cmarsi ai Superiori, e avrebbe voluto che que-
sto premio si desse loro più volte all'anno. Grande
era l'utile per gli alunni premiati. Immancabil-
mente, finito il pranzo, passavano a salutare Don
Bosco, ed egli diceva a ciascuno una parola che .
produceva sempre gran bene. Talvolta, con una
frase che sembrava detta a caso, egli faceva inten-
dere il genere, di vita che un alunno doveva ab-
bracciare; tal altra contribuiva a far germoglia-
re una vocazione o ad assicurarla o anche µ. com-
pirla. In certe occasioni egH donava a ciascuno
una pasta dolce.
In attesa di questo premio i giovani ne parla-
vano molti giorni prima con un gran desiderio,
vi facevano sopra i loro commenti, e tutti ricor-
davano per anni interi la fortuna di aver pran-
I•
zato con Don Bosco· (712). _
Dal 1869 gli alunni di quinta ginnasiale che
più si segnalavano per tstudio e condotta, sede-
vano ogni domenica alla. mensa dei Superiori (713).
4) Con la solenn~ premiazione in occasione
della festa di San Francesco di Sales. A stimolo
ed anche a guiderdone di buona condotta, D,on
Bosco stabiliva, - e iniziava così una lodevole
pratica, che rimase in vigore per molti anni, - ,
che fossero premiati i giovani reputati migliori
per comune votazione dei compagni. La distribu-
zione dei premi a studenti e artigiani si faceva
600

60.3 Page 593

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per lo più alla sera della festa d.i San Francesco
di Sales. La settimana prima ciascun giovane scri-
veva il nome di un dato numero di compagni,
che, a suo giudizio, erano di più specchiata con-
dotta religiosa e morale, e consegnava la lista a
Don Bosco. Tra i votanti non poteva esservi pre-
cedente accordo, e non si spiegava il motivo del
proprio voto. I Superiori non s'immischiavano,
neppure col- consiglio: tale votazione era perfetta-
mente libera. Don Bosco ne faceva lo spoglio ed
i sei, otto, dieci, od anche più giovani, che aveva-
no ricevuto un maggior numero di voti, venivano
proclamati in quella sera e premiati con qualche
libro alla presenza di tutti i Superiori e i giovani
dell'Oratorio. È degno di rilievo il fatto che il giu-
dizio dato dai compagni riusciva ogni volta così
giusto ed assennato, che migliore non sarebbe riu-
scitò quello dei Superiori medesimi: nessuno infat-
ti è più atto a conoscerci, di colui che ci frequen-
ta, ci tratta familiarmente, e intanto senza che noi ·
ce ne accorgiamo, osserva le azioni e le parole
nostre. Detta premiazione, dopo tre soli mesi dal-
1'entrata dei giovani nell'Oratorio, non era solo
cli grande incitamento ai buoni, ma anche un av-
viso e una rivelazione per quelli che non avevano
avuto alcun suff;ragio (?14).
Don Bosco stesso ne dava giorni prima l'an-
nunzio (?15). E procurava che il premio, anche se
601

60.4 Page 594

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non di prezzo eccessivo, fosse assai ben presenta-
bile. Egli soleva dire: « I giovani stimano le cose
secondo hanno imparato a giudicarle. Non è il
molto, ma il dato di cuore, anche a poco a poco, e
in tempo opportuno, che (orna loro gradito ». Ed
egli col suo fare e coll~ sua parola incantevole,
tutto rendeva bello ed amabile (716).
5) Con la. solenne premiazione di fine d'anno.
Si svolgeva con grande solennità alla presenza dei
parenti. Don Bosco, nel 1859, ne dava il preavviso
ai suoi .giovani con queste parole: « Sono contento
nel vedere che i voti dello studio sono buoni, per-
chè se i voti sono buoni vuol dire che si studia, e
se si studia, ciò indica due cose. La prima che voi
vi farete onore, la seconda che siete bravi figliuoli. ·
In quest'anno adunque vi farete onore, e hon solo
potrete essere promossi tutti all'esame finale, ma
ancora essere tutti premiati. Ma voi direte: - Co-
me fare ad ~ssere tutti premiati? I premi si dànno ,
solo ad alcuni, altrimenti Don Bosco dovrebbe fare
bancarotta a provvedere premi per tutti noi. -
Ma io vi rispondo che non si daranno solamente
ad alcuni, ma a tutti quelli che se lo saran meri-
tato. Se tutti lo meriteranno, lo avranno tutti. E
nel giorno finale de.11'anno inviteremo i parenti,
i parroci, i sindaci, gli amici, e che bel trionfo
sarà allora per chi avrà studiato!... Ma, l'aver
ottenuto buoni voti, ho detto indicare eziandio
602

60.5 Page 595

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che voi siete buoni, perchè il mezzo principale
c.he stimola allo studio è la pietà... Coraggio dun-
que! Quelli che o:ttennero l'opti.,;,_e continuino a
meritarlo sempre: quelli che ottennero un voto
di sufficienza, m·a inferiore all'optime, prendano
animo e dicano a se stessi: Se questo e quello ha
preso l'optime, perchè non potrò averlo anch'io?
Non voglio essere inferiore agli altri » (717).
6) Con la lettura settimanale dei voti di con-
dotta. Don Bosco aveva prescritto che ogni set-
timana si desse a ciascun alunno il voto di con-
dotta, di studio e di lavoro, ed egli stesso s_i reca-
va a leggere pubblicamente i voti la domenica se-
ra, incoraggiando i diligenti ed ammonendo i ne-
gligenti (718). Scrisse il Teologo Ballesio: « Su più
che duecento studenti era raro un medie, raris-
simo nn male, che veniva accolto con un senso di
generale disapprovazione. Giusto e temuto casti-
go! La grandissima maggioranza riportava sem-
pre optime o fere optime. Ed a questo ardore
sostenuto dalla religiosa educazione si devono le
palme poi mietute dagli studenti, vuoi all'Uni-
versità vuoi al Seminario, ed il continuo progre-
dire e perfezionarsi dei laboratori della sezione
artigiana » (719).
7) Con accademie e con gare. Nei primi
tempi dell'Oratorio Don Bosco, da solo, ideava,
preparava accademie e specie di gare. catechisti-
603
,-

60.6 Page 596

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che per innamorare sempre pm 1 suoi giovani alla
Dottrina Cristiana; e addestrandoli in quegli eser-
cizi con interrogazioni e spiegazioni, prometteva
premi e somministrava tutti quegli incoraggia-
menti che riconosceva più desiderati (?20).
8) Con buone informazioni ai parenti. Nelle
visite alle Case diceva ai Direttori: « Vuoi che ti
suggerisca un premio molto gradito agli alunni?
Di' talora ad un bravo giovanetto: - Sono con-
tento di te, e lo scriverò ai tuoi parenti! - Ve-
, drai quale effetto produrranno queste parole nei
cuori ben fatti » (?21).
9) Con belle passeggiate. Quando egli ave-
va stabilito di concedere una passeggiata spe-
ciale o dare altro simile divertimento ai giovani,
indettava un prete, il quale ~ metà del discorso
della sera, lo interrompeva, chiedendogli se non
gli sembrasse conveniente conc~dere ai giovanetti
quello spasso. Don Bosco faceva qualche obie-
zione ed osservazione, dimostrandosi esitante a
concedere. L'altro insisteva.- I giovani natural-
mente prendevano interesse vivissimo ad una· di-
sputa che speravano riuscisse a loro favore, e fi-
nalmente Don Bosco concedeva. Questi dialoghi
servivano per ottener certe promesse di migliore
condotta, manifestare certi disordini da rime-
diare, rimproverare certe mancanze contro la re-
g·ola, ma sen~a offendere nessuno, con maniere fe- -
604

60.7 Page 597

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stive, e con sicurezza di ottenere un grande mi-
glioramento. Con ciò si tenevano le menti dei gio-
vani occupate, e talora per più settimane, nel
pensiero di ciò che era stato annunziato, e quindi
era questo l'argomento dei loro discorsi, ne scri-
vevano a casa, sospiravano il giorno aspettato,
formavano i loro allegri progetti e ne restavano
quindi escluse dal loro cuore le fantasie, che
avrebbero potuto recar danno all'anima. Per lo
stesso motivo promoveva, ed annunciava colle de-
scrizioni più seducenti, ora feste religiose, ora ac-
cademie, o teatrini o lotterie. Talvolta raccontava
avvenimenti pòrtentosi, descriveva sogni di una
.
bellezza incomparabile o palesava i grandiosi pro-
getti che andava meditando (722).
10) Con riduzioni di pensione. Don Bosco
possedeva in sommo grado _l'arte di prevenire.
Ecco per esempio un rimedio preventivo semplice
ed efficace, che salta agli occhi di chi --$foglia
gli antichi registri delle pensioni. Don Bosco era
sempre disposto ad accettare orfani o giovanetti
abbandonati. Per gli altri la pensione era mode-
stissima. Egli però era di avviso che non si dove-
vano favorire con riduzioni coloro che non ne
avessero bisogno, con scapito di altri veramente
bisognosi. Specialmente poi per i nuovi usava ac-
corgimenti speciali allo scopo di conservarli o
renderli buoni. La pensione andava, per chi pote-
605

60.8 Page 598

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va dare qualcosa, da un mm1mo di lire . 5 a un
massimo di 24. Orbene Don Bosco stabiliva che_
i] primo trimestre fosse, ad esempio, di lire cin-
que mensili, aggiungendo che, secondo la condotta
delJ'alunno vi sarebbe poi stata una riduzione
progressiva, fino a gratis in tutto: questo sistema
produceva salutarissimi effetti. I nuovi venuti.
nella speranza del beneficio, stavano attenti a fa-
re il loro dovere; i genitori o chi per essi, che non ·
di rado si toglievano il pane dalla bocca per met-
tere insieme le poche lire mensili, premevano sul
ragazzo, perchè si comportasse in guisa da meri-
tare la grazia. Frattanto in tre mesi di sforzi e
di regolarità, i novellini si abituavano all'ordine,
allo studio e alla pietà, la qual cosa diventava in
seguito la loro salvezza (?23).
11) Talora con pubbliche minacce ai negli-
genti. La sera, pér esempio, del 26 gennaio 18?5,
così parlava ai giovani, dopo un preambolo:
« Quelli poi che prendono voti scadenti, bisogna .
anche che sappiano come saranno tollerati per
un po' di tempo; ma poi non più... Con altri si
. tollera un po' di più e si lascia andare alquanto
più avanti per vedere se si ravvede; ma voi sa-
pete quello che dice il proverbio: la secchia va
tanto al pozzo, che al fine vi lascia le doghe; cioè
che una cosa unita all'altra fa una cosa grossa.
Taluno si lascerà andar fino alla fine dell-'anuo,
606

60.9 Page 599

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ma a questo punto compaiono le marachelle uni-
te insieme, si dà un voto scadente e poi, lungo lè
vacanze, gli si deve mandare un bigliettino a ca~a
dicendogli che si fermi pure a fare le vacanze
lunghe, perchè nell'Oratorio non c'è più posto
per riceverlo. Così purtroppo si dovette fare an-
che quest'anno... Sappiatelo che i voti si conser-
vano e, anche dopo tanti anni, servono ancora
di testimonianza in favore o contro di voi » (724).
E la sera del 19 marzo del 1865 replicava ai
giovani che avevano subìto gli esami ~emestrali:
«uso nel nostro Oratorio che tutti coloro i qua-
li sono beneficati dalla Casa, quand'anche otte-
nessero sei punti su dieci, sono rimessi ai parenti;
·perchè sono indegni dei favori della Casa quelli
che, neila Casa stessa, non si diportano veramen-
te bene. Notate che nella votazione si tiene conto
di tutto. Si tiene conto del contegno in Chiesa,
in refettorio, nello studi.o, nella scuola, ,. onde co-
loro che si credono di avere un dieci, avranno ap-
pena un sei o un otto, e coloro che credono di
avere ottenuto l'approvazione degli esaminat ori,
troveranno che furono rimandati. La colpa di
questo è tutta loro, perchè vennero avvisati ab-
bastanza in tempo » (725).
12) Finalmente con l'espulsione stessa dal
collegio, quando non bastavano gli avvisi e le mi-
nacce. Il provvedimento era una buona lezione
607

60.10 Page 600

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per tutti: per lo più sortiva l'effetto di far rin-
savire gli· scapestrati. Ma di quèsto si è già detto
prima, trattando l'argomento dei castighi.
Frattanto va notato che Don Bosco, in base al
suo sistema che si appoggia anche sopra la ragione,
non era alieno dal far sapere agli alunni il motivo
dei loro voti scadenti, sia perchè avessero modo
di correggersi, sia anche in vista d'una eventuale
espulsione, affinchè il giovane espulso non addu-
cesse la scusa di non essere stato a suo tempo
preavvisato. Nella conferenza di febbraio del 18?2,
presieduta da Don Rua, qualcuno si doman<lò
se fosse il caso di dir sempre ai giovani la ragio-
ne quando si dànno voti scadenti. Si conchiuse :
esser bene che i giovani sappiano il motivo dei
loro voti scadenti; ma i giovani debbono doman-
darlo con rispetto, e non mai in presenza altrui;
e si conosca che lo domandano per potersi emen-
dare. In tal caso, l'assistente può dirlo. Non con--
viene lo dica quando domandano con arroganza
o in presenza d'altri; ma può rispondere con to-
no grave: - ·Te lo dirò poi. - Oppure: - Vai
dal Su eriore, che ti dirà tÙtto (726).
Gli effetti di questo sapiente sistema di disci-
plina ci sono segnalati in gran parte da Don Bo-
netti, uno tra i più esimi Salesiani, forbito scrit-
tore, e autore dei Cinque lustri dell'Oratorio e
di altri scritti. Egli attesta che « era sì grande in
608

61 Pages 601-610

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61.1 Page 601

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tutti l'impegno di tenere una buona condotta mo-
rale religiosa, -che alla fine della settimana, quan-
do leggevansi pubblicamente i voti da ognuno
riportati dai propri maestri -e assistenti, accadeva
raramente di udire un nove, poichè tutti merita-
vano dieci, vale a dire niuno dava motivo al più
lieve lamento nè per la pietà, nè per lo studio, ·nè
per la scuola, nè per il dormitorio, nè per la
ricreazione e via dicendo. Il nove, ossia il suffragio
indicante una condotta solamente quasi ottima,
era in tanta disistima, che quando un giovane
allievo, più ·per leggerezza che per cattiveria lo
aveva ricevuto, ne piangeva dirottamente, e per
ol'dinario non ne riceveva più in tutto l'an-
no » (727).
609
20 (I)

61.2 Page 602

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CAPITOLO VIII.
L'ESEMPLARITA,
FATTORE SUPREMO ' DI EDUCAZIONE
1. Necessità del buon esempio.
Nel sistema educativo di Don Bosco, come del
resto in ogni altro sistema, ebbe ed ha larga parte
il grande mezzo pedagogico dell'esempio.
L'esempio ha sempre efficacia maggiore della
parola: questa chiarisce, avvisa, persuade e sti-
mola; ma generalmente resta limitata alla sfera
della ragione e praticamente inoperosa, se non
viene appoggiata e integr_ata dalla forza del buon
esempio. Quando invece l'educando vede che il
suo educatore, non solo parla ma agisce, e non
solo insegna ma eseguisce, allora sente una forza
più immediata e potente che preme in certo mo-
do la sua volontà, e questa si trova per tal modo
·maggiormente incoraggiata a decidersi al bene e
spinta a imitare _la virtù e l'ardimento.
610

61.3 Page 603

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Non è necessario dimostrare quanta sia la po-
tenza, a volte irresistibile, dell'esempio nella vita
dei giovani e nella loro esuberante attività. L'e-
ducatore sa per esperienza che il giovane, nel suò
periodo di formazione, ha una sensibilità straor-
dinaria, quasi invincibile, per imitare ciò che ve-
de fare: e questo avviene, non solo negli Istitu-
ti di educazione, ma anche negli ambienti socia-
li, persino in quelli più ·elevati e autorevoli. Gio-
vani e non più giovani cercano di imitare il tono
della voce, il modo di parlare, i gesti delle per-
sone che esercitano qualche ascendente sopra di
essi, soprattutto poi quando si fosse stabilita una
corrente di simpatia. Tutto ciò non è altro che ]a
potenza meravigliosa dell'azione che influisce su
di essi.
a) VALORE EDUCATIVO DELL'ESEMPIO
NEL PENSIERO E NELLA PAROLA DI DoN Bosco.
Don Bosco che, a contatto costante della gio-
ventù fin dai suoi primi anni, si era persuaso
della potente efficacia dell'esempiÒ, si valse di
questo grande mezzo_educativo, sforzandosi di
portarlo al grado massimo d'influsso, di stimolo,
di potenza formativa.
·
Dava egli stesso ai suoi giovani il primo e-
sempio di azione e di vita virtuosa, fuor di
611

61.4 Page 604

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dubbio che la sua attività straordinaria, la sua
pietà così commovente, il suo profondo senso di
onestà, di carità tanto nobile ed umana, faceva-
no'un'impressione da potersi chiamare decisiva
sui giovani che lo circondavano. Egli era il mo-
dello vivente ·dell'uomo compìto, del cristiano
perfetto, del -religioso esemplare, del sacerdote
santo. L'aureola di alta SP.iritualità da cui era
circonfuso, e che brillava in tutte le sue azioni,
era già per se stessa una forza assai potente d'e-
ducazione. Questo affermano concordemente tutti
coloro che hanno _avuto, come chi scrive, la somma
ventura di vederlo, d'udirlo, d'ammirare la sua san-
tità.
Mamma Margherita sul letto di morte gli a ve-
va detto: « L'insegnamento più efficace è fare quel-
lo che si comanda agli altri » (728). Questa sapien-
. tissima massima certamente la buona Mamma
gliel'aveva ripetuta più e più volte durante la sua
vita, trovando in lui una rispondenza piena e
perfetta fin dall'infanzia. Non altrimenti si spie-
ga quest'affermazione d1 un suo intimo confidente:
«La virtù andava in lui crescendo con l'età. Fin
da quando era ancor fanciullo, vedendolo in chie-
sa, avevo ammir<;tto il suo contegno edificante e
la div.ozione con la quale pregava, e il suo riser-
bo nell'evitare quanto poteva ·1a compagnia dellè
pe~sone di ·altro sesso. Si distingueva fra tutti
612
,'

61.5 Page 605

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suoi coetanei per morigeratezza e bontà di ca-
rattere... Le madri dei dintorni animavano i, loro
fanciulli a frequentare la stia compagnia, J.1lh
quale l'esperienza dimostrava evidentemente co-
me ritornassero sempre migliori » (?29).
E tale fu da studente e da seminarista a Chie-
ri. Divenuto Sacerdote e Capo d'una moltitudine
di ragazzi, era, per essi, spinta efficacissima al
bene il suo sublime esempio. Egli precedeva tutti
nell'adempimento dei doveri, nella pratica dei
consigli evangelici, nel zelare la gloria di Dio 'in
tutto. Il salesiano Don Dalmazzo 'Francesco lasciò
scritto: « Noto un apprezzamento fatto da molti
dei miei confratelli e da me stesso, che, colla fre-
quenza e familiarità intima del Servo di Dio, al
contrario di quello che avviene ordinariamente con
gli a.Itri uomini, ·si scorgeva sempre in lui qual-
che nuova virtù o q~~lche cosa in generale da
ammirare, a cui prima non si poneva mente. Nel
periodo di circa 30 anni, in cui l'ho avvicinalo,
debbo ingenuamente confessare che, non solo non
ho trovato in lui cosa da biasimarsi, ma che anzi
dovetti in ogp.i te~po ammirare la pratica di
ogni virtù cristiana, in modo tale che fui costret-
-to a persuadermi, ·ae visu et audit.u, essere vero
q_uanto la fama diceva di lui: - un santo» (?30).
Per dare il buon esempio, di tanto in tanto si
recava a ·studiare coi giovani nella sala comune
613

61.6 Page 606

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(2'31), o a pregare in cappella. L'esempio era uno
dei mezzi con cui egli accendeva nei giovani lo
spirito di preghiera.
Dal 1846 al 1871, cioè fin che potè; egli fu as-
siduo nel recitare tutte le sere le orazioni colla
comunità. Il giovane Luigi Bussi diceva un giorno
sottovoce a un compagno, mentre gli alliev~ si ra-
dunavano: « Perchè Don Bosco quando si trova m
casa viene sempre a dire le orazioni con noi?» In-
tanto si dava principio alle preghiere, e, come
furono terminate, Don Bosco salì in cattedra, par- ,
lò, e quando discese, Bussi gli si avvicinò dicendo-
gli: « Don Bosco, mi_ dica una parola!» E Don
Bosco gli sussurrò all'orecchio: 4: Si dicono le ora-
zioni insieme cogli altri pel buon esempio! h . Il
giovane strabiliò, essendo certo che Don Bosco uon
poteva averlo udito (2'32).
Una seconda categori,a di esempi personali
era costituita dall'azione e dalla vita edificante
dei primi ausiliari di Don Bosco. Egli se li volie
formare direttamente, anche a costo d'immensi
sacrifici, affi.nchè quei suoi primi aiutanti fossero
veramente in tutto conformi alle sue norme, al suo
sistema, alla sua mente, al suo cuore. Fu duro
quel lavoro per lui, ma utilissimo. Gli stessi pr~-
mi insuccessi giovarono a far sì che la forma-
zione di essi fosse, dalle esperienze fatte, resa più
_sicura ed efficace. Ecco perchè incarnavano di
614

61.7 Page 607

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fatto, in modo evidente e palpabile, le sue di-
rettive morali, le sue norme educatrici, in gran
parte le sue stesse virtù, e quella forma di vita
che egli insegnava, inculcava, .e voleva praticata
dai suoi alunni. Con accortezza e sensibilità di
educatore eminente volle che i suoi primi aiu-
tanti si formassero nell'ambiente stesso degli alun-
ni, vivendo in intimo contatto con essi, seguendoli
nel corso della giornata per conoscerli sempre me-
glio, e, conoscendoli, guidàJ,li, correggerli, formarli.
Trovandosi sempre in mezzo ai giovani, in Chie-
sa, in istudio, nei cortili, dappertutto, essi doveva-
no essere i primi nell'osservanza del Regolamento,
i primi nell'adempimento esatto dei doveri, i pri-
mi in tutto e dappertutto, costituendo così l'e-
sempio vivente e la regola sicura di ciò che gli
altri dovevano fare.
Altra norma profondamente educativa, da 1UI
praticata, fu quella di coltivare, qual solerte giar-
diniere, delle pianticelle speciali nel giardino vi-
vente del suo Oratorio. In tal modo egli aveva
sempre a sua disposizione un gruppo di giovani
da lui stesso formati nel modo più accurato, p :i.ù
avanzati degli altri nella via della virtù e dell'a-
dempimento dei propri doveri. Sapeva che poteva
fare pieno assegnamento su di essi, e perciò dava
loro norme speciali perchè si mescolassero come
buon fermento in mezzo ai compagni: assegna-
6Ì5

61.8 Page 608

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va loro posti _pm m vista, ed anche di qualche
responsabilità, perchè illuminassero colla luce delle
loro buone azioni i propri compagni. È noto come
egli, quando accettava qualche nuovo alunno nel
suo Oratorio e desiderava che modificasse pronta-
mente la sua condotta, con abilità e prudenza gli
metteva al fianco, quale angelo custode, uno di .
questi·suoi giovani più fidati, affinchè servisse al
nuovo arrivato di guida, d'istruzione, di vero ami-
co. L'esempio, reso in tal modo più accessibile, più
comune, per trattarsi di -un compagno che si avvi.-
cina a un altro suo compagno, non solo non per-
deva nulla della sua forza, ma si direbbe che fa-
cesse maggior presa ed esercitasse un influsso più
tangibile, e fosse accettato più volentieri. Anche
in questo risplende il fine tatto e la prudenza som-
mamente educativa di Don Bosco.
si Ma gli esempi, nella vita dell'Oratorio,
avevano quasi scolpiti nella storia delle Vite di
alunni dell'Oratorio stesso. Gli educandi avevano
così agio d'impararli dalle pagine luminose dei li-
.
b:rci. che loro venivano presentati ed anche dal rac-
conto di episodi eq.ificanti. Questa forma educa-
tiva è assai attraente, quando siano accuratamen-
te scelti i fatti e gli episodi, e ne sia reso interes-
sante il loro racconto.Tutti sanno quanto i giovani
siano avidi d'udire quelle che essi chiamano « sto-
rielle, aneddoti, racconti, esempi». Malgrado la
616
'
.

61.9 Page 609

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]oro leggerezza innata, sono capaci di rimanere a
bocca aperta, pendenti dalle labbra del Superiore
che narra, anche per lungo tempo. pur Hoto
che le scene, le fughe, gli intrecci di un racconto
non scompaiono così rapidamente dalla loro me-
1
moria e dalla loro fantasia. E poichè i giovani
sono come istintivamente portati all'imitazione,
anche senza rendersene conto, a poco a poco dan-
no forma nella loro mente e ·soprattutto nella lo-
ro condotta alle cose udite e rimaste impresse nel-
1'animo loro.
~
Don Bosco seppe servirsi in modo mirabile
di questi mezzi educativi. Dotato di memoria pro-
digiosa, e inoltre facile narratore, egli, fin dai
primi anni dellà sua infanzia, aveva saputo ri-
petere, con grazia e forza incisiva, le cose udite
nelle prediche e nei discorsi, e ciò in .modo così
mir.abile _da costituire una delle pagine più com-
moventi ed espressive della sua vita. Più tardi,
a Chieri, tra i suoi compagni, e poi tra i semi-.
naristi, continuò la magnifica missione compiuta
fin dall'infanzia. I giovani lo attorniavano con
affetto e non si saziavano di udire dalla sua v·o-
ce esempi, fatti, storielle, che egli fin d'allora
sapeva scegliere con accortezza di educatore, allo
scopo di rendere migliori i suoi ascoltatori.
Divenuto sacerdote, egli estese la cerchia della
sua influenza sugli alunni e sulla gioventù in ge-
617

61.10 Page 610

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nerale, mediante il racconto stampato che veniva
assai diffuso attraverso la collana delle Letturé
Cattoliche. Nelle piccole agiografie e nei rac-
conti edificanti giganteggia la sua anima di edu-
catore: aveva una 'dote del tutto eccezionale per
combinare le circostanze e i più piccoli partico-
lari della sua narrazione, in guisa che apparisse
sempre più chiaro e bello il trionfo della virtù
sopra il vizio. Anchè nei racconti storici, egli,
senza allontanarsi punto dalla realtà, sapeva pre-
sentare in modo così attraente gli atti virtuosi
praticati dal suo protagonista, da dar loro un
valore tutto speciale mediante riflessioni, frasi e
incoraggiamenti destinati a muovere soprattutto la
volontà.
Tra questi gioielli biografici, scritti con verità
storica e profondo senso pedagogico, tutti ricor-
diamo ed ammiriamo le note biografie dei giova-
ni Savio Domenico, Magone Michele, Comollo Lui-
gi, Besucco Francesco, Colle Luigi, che, appunto
per l'alto loro valore morale e pedagogico, costi-
tuiranno sempre una delle più utili letture per
i giovani.
Avremo occasione di parlare più avanti del
teatro sotto un altro punto di vista; ma qui è
bene far risaltare che, per Don Bosco, le rappre-
sentazioni teatrali dovevano essere come una raf-
figurazione plastica di esempi e di fatti edificanti.
618

62 Pages 611-620

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62.1 Page 611

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Ai suoi tempi il teatro corruttore costituiva gia
1
una terribile piaga, come è òra per noi, olt:re il
teatro, anche il cinematografo. Egli vedendo, col
1 cuore straziato, la gioventù trascinata alla per-
dizione, invece di smarrirsi in "'."ani lamenti, si
accinse subito a un lavoro pratico che valse al-
meno in parte a contrastare il male, e servì an-
che ad altri di stimolo per cooperare al risana-
mento della società. Le collane drammatiche e li-
riche che, pubblicate dai Salesiani in tutto il
mondo, vogliono essere un omaggio reso allo zelo
educativo di Don Bosco, sono una continuazione
del lavoro da lui così sapientemente iniziato.
Sempre a proposito di buon esempio, ricor-
diamo ancora che Don Bosco costantemente rac~
comandava di edificare con gli esempi (733) e di
essere sale e luce (734). Diceva il 31 dicembre
1871: « Siete tutti maestri; chi non lo è di scienze,
lo deve essere di moralità: quindi non avvenga
mai che s'inculchi negli altri la pratica di una
virtù, l'adempimento di un dovere, senza che
siate i P.rimi a praticarlo. Il Divin Maestro coepit
facere et docere (incominciò a fare e poi a inse-
gnare). Non dovrebbe avverarsi mai che un giova-
ne vi superi nella virtù, perchè sarebbe cosa ver-
gognosa per lo stato di perfezione che avete ab-
bracciato. E quale sarà la chiave del buon esem-
pio per noi? Sono le Regole della Congregazione
619

62.2 Page 612

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e specialmente l'obbedienza. , Datemi uno osser-
vante delle regole ed ubbidiente, e lo vedrete mo-
dello in tutto (735). L'educatore dev~essere la per-
sonificazione della regola: cento bei discorsi sen-
za l'esempio valgono nulla. Il giovane, vedendo
sottomessi quelli che sono più di lui, si sottomette-
rà volentieri, e non potrà mai dire: - Perchè
sono Superiori, fanno come vogliono (736). La
nostra Società ha per fine .la santità di quanti
la compongono e la salvezza delle anime con l'e-
sercizio della carità. Qualunque ufficio abbiano i
Salésiani debbono insegnare la via della virtù;
quindi è sempre meglio un maestro anche da poco
. che uno ben preparato nella scienza, ma non esem-
plare; perchè chi non facesse quello che insegna,
si sentirebbe dir da tutti: - Cura te stesso! (737).
Il miglior mezzo per salvare la nostra anima e
l'altrui è di cominciare col perfezionare noi stessi
mediante l'esempio >; (738).
Oltre l'importanza del buon esempio, Don Bo-
sèo ne· mostrava la grande utilità, in relazione
al bene dei confratelli e degli educandi: « Una cosa
che si può fare anche da tutti, ed è di massima
utilità ed un vero lavoro nella vigna del Signore,
si è il dare buon esempio. Oh, quanto bene si
può fare a questo modo! Buon esempio colle pa-
role, incoraggiando gli altri al bene, dando avvisi,
buoni consigli... Oh, se proprio si vedesse in noi
620

62.3 Page 613

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questa luce l Se tutti restassero edificati dalle
nostre parole ed ·opere! Se ci fosse quella carità
infiammata che ci fa tenere in non cale ogni cosa,
purchè possiamo fare del bene ai nostri fratelli;
se ci fosse proprio quella castità perfetta che
fa riportar vittoria su tutti gli altri vizi; se ci fosse -
proprio quella mansuetudine che ci attira il cuore
degli altri; oh, io credo che tutto il mon do r este-
rebbe attirato nelle nostre reti! (?39). Finchè cor-
risponderemo alle sue grazie col lavoro, colla
moralità, col buon esempio, il Signore si servirà
di noi, e voi vi stupirete che si sia potuto far tan-
to e che possiate far tanto (740). Il lavoro, 1a
buona e severa condotta dei nostri confratelli,
guadagnano, e, per così dire, trascinano, i loro al-
lievi a seguirne gli esempi (?41) . I giovanetti
fanno presso a poco come le scimmie. Se vedono
altri a fare il bene, lo fanno pure essi; se il
male, lo imitano ancor più" prèsto. Di qui la gran-
de necessità di mettere sotto ai loro occhi esempi
edificanti, allontanandoli le mille miglia dagli
scandali » (?42).
Donde l'insistente raccomandazione del buon
esempio a tutti i suoi collaboratori. Con lettera
del 24 settembre 1885, così scriveva al Direttore
dell'ospizio e collegio di Paysandù: «Praebe te-
ipsum exemplum bonorum operum: procura che
questo buon esempio risplenda nella regina delle
621

62.4 Page 614

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virtù » (743). Ai sacerdoti: « Noi siamo il sale del-
la terra e la luce del mondo, e comportiamoci
in modo che si verifichino le parole ·del Salva-
tore, cioè che gli uomini veggano le nostre opere
buone e glorifichino il Padre nostro che è nei
cieli » (744). E in una circolare: « Si procuri,
a costo di qualunque sacrificio, che la nostra So- ·
cietà Salesiana abbia sacerdoti che siano sa,fo, col-
la pietà e ·colla scienza per indirizzare le anime
al bene ed alla virtù, e luce col buon esempio »
(745).
Agli ascritti: « Ai chiericandi io dico che l'a-
bito non fa il monaco. Dobbiamo essere lux
mundi ovvero lucerna ardens in domo Dei, per-
chè un chierico viene osservato da mille e mille,
e guai' se non risplende. E fra le cose di cui dob-
biamo risplendere, credetelo pure, è la virtù della
modestia » (746).
Il buon esempio lo inculcava in modo partico-
lare a quei chierici, ai quali erano affidate al-
cune mansioni educative: « ~ chierici insegnino ai
giovani il rispetto ai Superiori con la loro riveren-
za esteriore, col saluto e colla confidenza » (747).
La sera .del 31 dicembre 1858 dava loro per ri-
cordo: « Buon esempio, ricordando sempre di es-
sere lumen Christi » (748). Ancora ammoniva:
« Nessuno dei maestri o assistenti critichi il vitto
e le disposizioni dei Superiori in faccia ai giovani,
622

62.5 Page 615

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perchè anche questi imparerebbero presto a mor-
morare, e dalla mormorazione viene l'immoralità;
quindi la rovina delle anime: e allora qual con-
'
to da rendere a Dio! E poi, che esempio darem-
mo di ubbidienza, di carità, di mortificazione!? »
(?49). E voleva che nessuno mostrasse il suo di-
saccordo col Superiore o con parole o con · atti
esteriori. Rimproverava poi grandemente chi aves-
se osato dire a un allievo: - E che importa a me
del Direttore? - oppure: - Se i Superiori non
vogliono castigarti, te la faccio vedere io! - Ov-
vero: - Piuttosto vado via di qui! - « Tutto que-
sto scandalizza i giovani » (?50).
Verso la fine del 1858 rivolgeva questa esorta-
zione ai chierici' e a quanti erano incaricati del-
1'assistenza: « Ciò che desidero con tutto il cuore,
ciò che vi raccomando, si è che voi mettiate in
pratica quello che fu tante volte raccomandato
da San Paolo, anzi, che Dio stesso raccomandò
a Mosè mentre scendeva dal monte: Siate modelli.
Siate veri modelli a tutti i figli dell'Oratorio. Voi
)
dovete essere come false-righe, sulla cui traccia
devono scrivere e camminare tutti gli altri fi-
gliuoli. Perciò dovete regolarvi -in modo che gli
altri, specchiandosi in voi, possano restare edi-
ficati. Dovete procurare, non solo di giovare altrui
con i consigli, ma colle opere, con l'esempio. Che
vale che voi raccomandiate agli altri che fre-
623

62.6 Page 616

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quentino i santi Sacramenti, se vedono che voi
li frequentate poco? Se invece vi vedono accostar-
vi devotamente ai santi Sacramenti, se vi vedono
composti e modesti in chiesa, oh, allora sì che dal
vostro esempio potranno attingere onde alimenta-
re le anime loro; Se poi, per cattiva sorte, udissero
un chierico fare discorsi non troppo modesti~ la-
sciarsi sfuggire qualche paroletta che sia alcun
poco oltraggiosa -della bella virtù della purità,
ahimè, ahimè! Che danno! che scandalo! ». E
dopo aver citato San Giovanni Crisostomo, che
paragona il ministro del Signore a una pianta,
continuava: « TaJi siamo noi! I popoli volgono a
noi gli occhi e aspettano frutti buoni, e, se non
vedono alcun frutto, oh quale scandalo ne pren-
deranno! ». Ricordava pure questo paragone di
Sant'Ambrogio: « La luna non splende di luce sua
propria, ma la piglia dal sole, se ne serve per
sè, quindi la .dona alla terra. Così siamo :noi:
noi del nostro non abbiamo niente; ma dobbiamo
ricevere dal sommo Iddio, dal Sole di Giustizia,
quella divina parola che illumina le menti, e,
dopo essercene serviti per nostra santificazione,
dobbiamo spargerla per illuminare tutti gli uomini,
i quali aspettano di essere da noi indirizzati sulla
via del Cielo ». Paragonava poi, seguendo Sant'A-
gostino, i suoi chierici ai giovani romani giunti
all'età d'indossare la toga: « Sotto quest'abito, -
624

62.7 Page 617

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conchiudeva - noi dobbiamo portare quelle virtù,
che merita un abito così divino. Fàcciamo tutto
quello che ci vien dato per far del bene alle ani-
me. Intorno a voi vi sono molti giovani che vi
tengono d'occhio continuamente. Adoperatevi con
tutto il vostro potere, per bene indirizzarli, col
buon esempio, colle parole, c~n i consigli, cogli
avvertimenti caritatevoH. » (151).
Raccomandava infine il buon esempio ai con-
fratelli coadiutori: « Dovendo venire in aiuto in
opere grandi e delicate, dovete procurarvi molte
virtù, e, dovendo presiedere ad altri, dovete pri-
ma di tutto dare voi buon esempio. Bisogna che
dove si trova uno di voi, si sia certi che là vi
sarà l'ordine, la moralità, il bene. Guai p erò se
il sale divenisse fatuo » ('752). Don Cerruti, fedele
interprete delle tradizioni lasciateci dal Padre,
raccomandando ai maestri soprattutto l'esemplari-
tà di vita per influire salutarmente sulla forma-
zione degli alunni, usava quasi le stesse parole
di Don Bosco (753).
In tal modo il nostro Santo Fondatore, coi
suoi esempi, con quelli dei suoi collaboratori,
con le sue istruzioni e norme, arricchì in modo
straordinario il tesoro del suo sistema educativo,
fornendo ai giovani, con profondo tatto pedagogi-
co, quei mezzi che dovevano contribuire a una
loro forte struttura formativa.
625

62.8 Page 618

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b) L'ESEMPIO, COEFFICIENTE DI MORALITÀ.
Se l'esempio occupa, nel pensiero di Don Bo-
sco, uno dei primissimi posti come mezzo efficacis-
simo di educazione, ciò vale in modo del tutto
particolare per ciò che riguarda l'esempio di una
vita d'illibata purezza, che dev'essere come una
luce che continuamente si riverberi dall'educatore
sull' educando.
Don Bosco che, come vedremo, tanto disse e
tanto fece per conservare nei suoi giovani l'inte-
grità dei costumi, e che giunse a identificare la
vita di perfetta purezza con la vita di santità, si
1
preoccupò in modo speciale che i suoi figli pos-
sedessero integro e immacolato questo inestimabi-
le tesoro per poterlo poi comunicare e coltivare
nelle anime dei giovani a loro affidati.
A questo proposito nel 18?4 scrisse da Roma
una lettera ai Salesiani dell'Oratorio; essa sctrà
sempre uno dei documenti più autorevoli per ma-
nifestare quanto stesse a cuore a Don Bosco che
i suoi :figliuoli, per compiere l'opera educatrice,
studiassero di rivestirsi di angelica purezza.
L'intonazione della lettera è solenne: « Mentre
tratto cose di nostra Congregazione in questa cit-
tà eterna, citta consacrata dal sangue dei due
Principi degli Apo~toli, Pietro e Paolo, dopo aver
pregato nella santa Messa, invocati i lumi dello
626

62.9 Page 619

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Spirito Santo, chiesta una speciale benedizione al
Supremo Gerarca della Chiesa, vi scrivo sopra
uno dei più importanti argomenti: del modo di
promuovere e conser_vare la moralità fra i giova-
netti che la divina Provvidenza si compiace di
affidarci. Per non trattare questa materia trop-
po brevemente credo bene dividerla in due parti:
i) Necessità della moralità nei soci salesiani;
2) mezzi per diffonderla e sostenerla nei nostri
allievi.
~ Si può pertanto stabilire come principio in-
variabile che la moralità degli allievi dipende
da chi li ammaestra, li assiste, li dirige. Chi non
ha, non può dare, dice il proverbio. Un sacco
vuoto non può dar frumento, nè un fiasco pieno
di feccia può mettere buon vino. Laonde prima
di proporci maestri agli altri, è indispensabile
che noi po~sediamo quello che agli altri voglia-
mo insegnare.
« Sono chiare le parole del divino Maestro: -
Voi - Egli dice - siete la luce del ~ondo: que-
sta luce, ossia il buon esempio, deve risplendere
in faccia a tutti gli uomini, affinchè, vedendosi
da tutti le opere vostre buone, siano in certo mo-
do tratti anch'essi a seguirle e così a glorificare
il Padre comune che è nei cieli.
« San Girolamo dice che sarebbe un cattivo
medico colui il quale volesse guarire gli altri e
627

62.10 Page 620

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non · fosse capace di guarire se stesso. Gli sareb-
be certamente risposto con le parole del Vangelo:
- Medice, cura te ipsum! (Medico, cura te stesso).
Se pertanto noi vogliamo promuovere la -moralità
e la virtù nei nostri allievi, dobbiamo possederla
noi, praticarla noi, e farla risplendere nelle nostre
opere, nei nostri discorsi, nè mai pretendere dai
nostri dipendenti ~he esercitino un atto di vir-
tù da noi trascurato. Difatti, come potremo pre-
tendere che gli allievi siano esemplari e religiosi,
se in noi vedono negligenza nelle cose di chiesa,
nella levata, nelle meditazioni, nell'accostarci al-
la Confessione, alla Comunione, o nel celebrare
la Santa Messa? Come -può pretendere ubbidien-
za quel Direttore, quel maestro, quell'assistente,
mentre essi, per frivoli pretesti, si esimono dalle
l0ro obbligazioni e, per lo più senza permesso, esco-
no di casa e si occupano in cose che non han-
no alcuna relazione con i propri doveri? Come
ottenere dagli altri carità, pazienza, rispetto, se
chi comanda va in furia con tutti, percuote, cen-
sura le disposizioni dei Superiori, critica gli ora-
ri, e gli stessi trattamenti di tavola e chi ne ha
la cura? Noi siamo certamente tutti d'accordo nel
dire a costoro: « Medie-e, cura te ipsum ».
E qui, dopo aver riferito alcuni esempi a con-
ferma delle sue asserzioni, aggiungeva: « Dunque,
o cari figli, se vogliamo promuovere il buon co-
628

63 Pages 621-630

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63.1 Page 621

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stume nelle nostre case, dobbiamo esserne maestri
col nostro buon esempio. Proporre ad altri una
cosa buona, mentre noi facciamo il contràrio, è
come colui che, nella oscurità della notte, volesse
far lume con una lucerna spenta, oppure volesse
trar vino da un vaso vuoto. Anzi, parmi che si
possa paragonare a chi cercasse di condire gli ali-
menti e.on sostanze velenose ; perciocchè, in simil
guisa, non solo non si promuove il buon costume,
ma si dà occasione di far male, si dà scandalo.
Ed allora noi diventiamo miserabile sale infatua-
to, sale guasto che ad altrQ più non serve che ad
essere gittato nella sp'azzatura: Vos estis sal ierrae,
- ci dice Gesù Cristo, - quod si sal evanuerit
in quo salietur? .Ad nihil valei ultra, nisi ut mit-
tatur foras et conculcetur ab hominibus (Voi sie-
te, il sale della terra. Ora se il sale diventa insi-
pido, con che gli si renderà il suo sapore? Non
è più buono ad altro che a essere buttato via e
calpestato dalla gènte).
« La voce pubblica spesso lan1enta fatti i~mo·
rali succeduti con rovina· dei costumi e scandali
orribili, È un male grande, un disastro; ed io
prego il Signore a far in modo che le nostre ca-
se siano tutte chiuse prima che ' in esse succedano
somiglianti disgrazie.
« Non voglio peraltro nascondere che viviamo
in tempi calamitosi; il mondo attuale è come ce
629

63.2 Page 622

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lo descrive la Scrittura: Tutto il mondo sta sotto
il maligno. Esso tutto vuole vedere, tutto giudi-
care. Oltre poi ai giudizi perversi che fa delle
cose di Dio, spesso ingrandisce le cose, spessis-
simo ne inventa a danno altrui. Ma se per avven-
tura riesce ad appoggiare il suo giudizio sopra
la realtà, immaginatevi che rumore, che strombaz-
zare'!... Tuttavia se con animo imparziale cerchia-
mo la cagione di questi mali, per lo più troviamo
che il sal~ divenne infatuato, che la lucerna fu
spenta; cioè che la cessazione di santità in chi co-
mandava diè cagione ai disastri avvenuti nei lo-
ro dipendenti.
~ Oh, castità, castità! tu sei una grande virtù!
Fino a tanto che tu risplenderai tra noi, vale a
dire, finchè i figli di San Francesco di Sales ti
pregieranno, praticando la ritiratezza, la mode-
stia, la temperanza e quanto abbiamo con voto
promesso a Dio, sempre tra noi avrà posto glo-
rioso la moralità; e la santità: dei costumi, come
fiaccola ardente, risplenderà in tutte le case che
da noi dipendono. Se Dio mi darà vita, spero fra
non molto potervi scrivere ·intorno ad alcune in-
dustrie, che a me paiono poter giovare efficace-
mente a promuovere e conservare il buon costume
tra i nostri allievi » (754).
Con queste ultime parole Don Bosco annun-
ciava la seconda parte, che però sfortunatamente
630

63.3 Page 623

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I
r
non potè scrivere, oppresso com'era da mille oc-
cupazioni e cure. Egli tuttavia vi supplì abbon-
dantemente con le sue conferenze, parlate, Buo-
ne Notti, lettere e .consigli.
2. La moralità degli educatori.
Parlando dell'amorevolezza, abbiamo visto che
Don Bosco voleva che i giovani, non ·solo fossero
amati, ma lo fossero in modo da rendersi conto
essi stessi d'essere amati. ~La carità, lo abqiamo
ripetuto, è soprannaturale; ma in certo qual mo-
do, per rendersi palese ai giovanetti, dovrebbe
quasi apparire naturale nelle sue manifestazioni.
Ed è- qui soprattutto dove l'educatore può tro-
vare i maggiori pericoli per la sua moralità. È
questo il motivo per cui Don Bosco voleva che i ,
Salesiani vedessero nei loro alunni, non solo ur~a
cosa sacra, ma l'immagine di Gesù stesso. La gran-
de riverenza dovuta al giovane, appunto perchè
sull~ sua fronte splende un raggio della divinità,
esige che l'educatore gli stia innanzi con religioso
rispetto e con sentimenti angelici. Guai, se nelle
anime giovanili, che sono come ànfore finissime
uscite dalle mani di Dio, si versasse un liquido
malefico che le corrompesse! Il motto scelto da
Don Bosco _era costante ammonimento ai suoi col-
laboratori nell'opera educativa: « Dammi anime,
631

63.4 Page 624

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o Signore! ». L'amore che non educa è corrut-
tore. Indegno poi e bugiardo sarebbe l'affetto, che
tentasse ad azioni grossolane e ignobili. Perciò
Don Bosco insisteva che, nel giovane, non si amas-
se l'abilità, le g·razie, le esteriori fattezze, il corpo,
ma l'anima: e le anime non devono mai essere pro-
fanate, ma condotte a Dio.
Non è chi non veda gli effetti disastrosi di un
amore che non fosse puro e santo. Anzitutto l'edu-
catore p erderebbe la visione esatta dell'opera edu-
catrice e delle vere mete da raggiungere, volendo
in certo modo far convergere a sè quei sentimenti
e affetti dell'educando, che egli stesso dovrebbe
aiutar a dirigere verso Dio. Posto poi sulla brut-
ta china del falso affetto, perderebbe pure il con-
trollo dei suoi atti, il senso della giustizia, l'equi-
librio della prudenza, e snaturerebbe il suo stesso
carattere, esponendosi a continue finzioni, acco-
modamenti, raggiri, ipocrisie ed inganni per ce-
lare, o giustificare davanti agli occhi degli altri,
il suo peccaminoso modo di agire e di procedere.
Finirebbe insomma col perdere ogni sua autorità
di · fronte all'educando, il quale spegnerebbe in
sè ogni fiducia e rispetto verso il suo istitutore,
costatandone ad ogni passo le bugie, le tergiver-
sazioni, le capitolazioni. Infelice quell'alunno che
venisse così a trovarsi fuori del retto sentiero del-
la cristiana educazione! Ai primi dubbi sottentre-
632

63.5 Page 625

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rebbe la mestizia, e poi gli si accenderebbe in
cuore un od.io cupo e sinistro verso colui che,
invece di guidarlo alla vera mèta, vorrebbe piom-
barlo nel fango.
A tutto ciò si aggiunga il disonore, il discredi-
to per la stessa opera educativa e più ancora per
il sistema o l'istituzione a cui appartengono si-
mili disgraziati, indegni del nome .di educatori,
contro i quali le leggi divine e umane, che stanno
a difesa dell'innocenza del fanciullo, pronunciano
il tremendo guai! a minaccia di severi castighi tem-
porali · ed eterni.
Queste considerazioni ci fanno capire quanto
fosse giusta e doverosa l'insistenza mai interrotta
di Don Bosco per salvare la moralità.
Abbiam<? già visto quanto sia grave il pericolo
di snaturare l'essenza del sistema preventivo e
di sminuirne l'efficacia, quando manchi l'amorevo-
lezza che ne costituisce l'anima:
Un altro pericolo, però, s.i profila in questo
campo, e in senso contrario; ed è appunto quèHo
di cui stiamo parlando: guai, s'e la carità verso
i giovani si dovesse trasformare in un affetto tor-
bido e ·sregolato! Verrebbe allora compromessa la
moralità e, snaturato il sistema preventivo, l'o-
pera di educazione sarebbe destinata al fallimento.
Don Bosco soleva ripetere questa frase: « La mora-
lità! Ecco quello che soprattutto importa! », (?55).
633

63.6 Page 626

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a) CoME NE PARLAv A DoN Bosco.
Profondamente convinto che, senza la mora-
lità, un educatore non può compiere la sua mis-
sione, e corre rischio di provocare le maggiori
rovine in sè e negli altri, Don Bosco non si stan-
cò mai di insistere presso i suoi figli su questo
punto:
« La cosa più importante nelle nostre case
si· è di promuovere, ottenere ed assicurare la mo-
ralità sia nei soci, sia nei giovani. Assicurato
questo, assicurato tutto; mancando questo, manca
tutto (756). Cosa della massima importanza per
le nostre case è cercare ogni mezzo per ottenere,
promuovere, propagare, assicurare l_a moralità.
Finèhè in faccia ~l pubblico, senza eccezione, esse
avranno questa buona fama, affluiranno sempre
i giovani, noi saremo tenuti come educatori ec-
cellenti, e i nostri collegi fioriranno in ogni ma-
niera. Dal momento che mancasse questo, man-
cherebbe tutto. Non già procurare di render fio-
rente la moralità per il solo fine di avere la fidu-
cia delle famiglie: noi il nostro fine lo abbiamo
più sublime: ma anche di questa fiducia, ·di que-
sta benevolenza noi abbiamo bisogno, e perciò in
ogni modo procuriamo di ottenerla» (757). E an-
cora: « Per riuscirvi non si risparmi n~ personale,
nè lavoro, nè fatica, nè spesa (758). Ah! se le '
634

63.7 Page 627

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case salesiane non dovessero ·essere quali bisogna ..
che siano, io amerei meglio che cessassero di esi-
stere ». Ciò diceva rispetto alla moralità (759).
N e1la impossibilità di a:ddurre per isteso tutti
i preziosi insegnamenti del nostro buon Padre
su questo importante argomento, accenniamo sol-
tanto ad alcune conferenze fatte dal Santo, negli
ultimi vent'anni della stia vita, agli educatori Sa-
lesiani che egli stesso si era formati: la Congre-
gazione allora aveva già la sua fisionomia parti-
colare, ed egli si adoperava a consolidarne le basi
sia religiose e morali, sia pedagogiche, fissando e
chiarendo le particolari caratteristiche del suo
spirito.
Si registrano anzitutto le due istruzioni sui
mezzi negativi e positivi riguardo alla castità, du-
rante il primo corso di esercizi spirituali a Tro-
farello nel 1869 (760).
Agli ascritti parlò della castità il 16 giugno
1873, elencando tre mezzi principali (761).
Degli esercizi spirituali del 1875 a Trofarello
si conserva solo una istruzione, purtroppo in-
completa, sui mezzi negativi, ossia « sulle quat-
tro fughe (762).
All'inizio del 1876 fece una conferenza sul te-
ma della castità ai chierici, sia novizi che pro-:
fessi, insistendo sopra l'osservanza religiosa (763).
Il 30 ottobre dello stesso anno 1876 fece un'al.:.
635

63.8 Page 628

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. tra conferenza molto importante sul tem.'a della
vocazione, in cui, venendo a parlare dei voti re-
ligiosi, trattò anche dei mezzi per conservare la
virtù della castità (764).
Un'altra notevole conferenza, sopra tre mez-
zi negativi e due positivi, è quella del giorno
dell'Ascensione del 1878 (765).
A meglio comprendere il pensiero di Don Bo-
sco gioverà ricordare che egli in queste parlate
s'indirizzava a un uditorio il più delle volte compo-
sto di professi, di ascritti e anche di aspiranti.
Ciò serve a spiegare certi suoi accenni, che par- .
rebbero esulare da un ambiente strettamente sa-
cerdotale. ·
E poichè si trattava di religiQsi ed educatori
insieme, o di coloro che si preparavano a divenir
tali, Don Bosco, nel trattare della castità, non per-
deva mai di vista entrambi gli aspetti: quello re-
ligioso-morale e quello pedagogico.
E qui aggiungiamo che non sarebbe stato sem-
plice, in molti casi, staccare l'un elemento daU'al-
tro, senza pericolo di compromettere l'unità e l'or-
ganicità della formazione che Don Bosco dava ai
suoi figli.
Per lui non esisteva difatti una formazione
pedagogica separata da quella religiosa-morale·,
quasicchè il Salesiano, in mezzo _ai giovani, po-
tesse o dovesse . vivere la vita dell'educatore, e,
636

63.9 Page 629

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lontano da essi, la vita del monaco. Allo stesso
modo che nel religioso non esiste che una perso-
na, una vita e un fine principale, quello della pro-
pria santificazione; così, per Don Bosco, non vi
poteva essere che una formazione, in cui l'ele-
mento pedagogico fosse subordinato a ' quello re-
ligioso-morale e, tutti e due, al raggiungimento
della propria perfezione.
Il religioso infatti deve tendere anzitutto alla
perfezione, davanti alla quale la sua stessa missio-
-ne di educatore non rappresenta che un mezzo per
conseguirla.
Ecco perchè nel pensiero del nostro Fondatore
e Padre l'insieme dei mezzi religiosi è fondamen-
tale, soprattutto in fatto di moralità. Il Santo
sapeva benissimo che, senza di essi, sarebbero
destinati a crollare i mezzi strettamente pedago- .
gici, poichè questi non bastano e, senza l'aiuto
della Grazia e della Regola, falliscono al loro
scopo.
b) IMPORTANZA DELLA VIRTÙ DELLA CASTITÀ
PER L'EDUCATORE SALESIANO.
Ma se è somma l'importanza della moralità
in relazione alle case di .educazione in genere, ·ciò
vale specialmente per l'educatore religioso, giac-
chè « la castità, - osserva Don Bosco, - è neces_.
637

63.10 Page 630

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saria a tutti, ma specialmente a chi si dedica al
bene della gioventù » (766).
Nel suo pensiero poi questa virtù dev'essere la
nostra caratteristica: « Ciò che deve distinguerci
fra gli altri - diceva il 4 giugno del 1876 alla
presenza di 1?O confratelli - ciò che deve es-
sere il carattere della nostra Congregazione, è la
virtù della castità, che tutti ci sforziamo di pos-
sedere perfettamente e sempre, e di inculcada
e di piantarla nel cuore altrui. Per me credo di
poter applicare a questa virtù ciò che si legge
nella Bibbia: Venerunt mihi omnia bona pariier
cum illa (Mi vennero con essa tutti i beni insie-
me) (?67). Se vi è questa, vi sarà ogni altra vir-
tù; essa le attira tutte. Se non vi .è questa, tutte
le altre vanno disperse: è come se non ci fos se-
ro. Essa deve essere il pe:r:no di tutte le nostre
azioni. Teniamolo altamente scolpito nelle nostre
menti; affatichiamoci in ogni modo per dare buon
esempio ai nostri giovani; ma che non succeda
in tutta la nostra vita che un giovane abbia da
prendere scandalo da uno della Congregazione.
Giammai avvenga che un Salesiano perda questa
virtù della modestia e che sia, in essa, d'inciam-
po agli altri con le parole, con gli scritti, coi libri,
con le azioni. Nei tempi in cui siamo, fa· bisogno
in noi d1 una modestia a tutta prova e di una gran-
de castità » (768).
638

64 Pages 631-640

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64.1 Page 631

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La castità, ripeteva, è la gemma, la perla
più preziosa, in special modo per un Sacerdote,
e quindi per un chierico, che ha consacrata la
sua vita, la sua verginità tutta al Signore (769).
Con questa virtù il religioso ottiene il suo scopo
di essere tutto consacrato a Dio (??O). Ma guai
·a chi la perde. La carità, la castità, l'umiltà so-
no tre regine che vanno sempre insieme: una non
può esistere, senza le altre. Fintantochè uno è ca-
sto, ha sempre viva fede, ferma speranza e ar-
dente carità; ma, quando si abbandona al vizio,
incomincia a dubitare delle verità della fede. L'in-
credulità, l'eresia non ebbero e non hanno altro
principio ·» (771).
Gli premeva di radicare profondamente in tut-
ti questo concetto: « Ciò che deve distinguere la
·nostra Società è la castità, come la povertà con-
traddistingue i figli di San Francesco d;Assisi e
l'ubbidienza i figli di Sant'Ignazio » (772). Aven-
do la Congregazione Salesiana una missione di
purezza, non può prescindere da questa virtù nei
suoi membri. « Non si dimentichi mai di custo-
dire gelosamente la moralità, - inculcava nel feb-
braio 1877 in occasione della conferenza annuale
di San Francesco di Sales. - L~ gloria della no-
stra Congregazione consiste nella moralità. Sa-
rebbe una sventura, si offuscherebbe questa glo-
ria, qualora i Salesiani degenerassero. Il Signore
639

64.2 Page 632

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. ,-
disperderebbe, dissiperebbe la Congregazione, se
noi venissimo meno nella castità. È questa un
balsamo da spargersi fr~ tutti i popoli, da pro-
muoversi in tutti gli individui: essa è il centro
d'ogni -virtù » (7?3).
Don Rua, interpretando fedelmente il pensiero
del Padre, aveva· detto la stessa cosa nel 1866 ai Di-
rettori convenuti per la conferenza annuale, chia-
mando la virtù angelica « la nostra gloria e la
nostra corona » (7?4). E Don Bosco, il 6 luglio
18?5, parlando di coloro che sarebbero di aggra-
vio alla Congregazione, diceva: «_Sono coloro che
non osservano fino allo scrupolo la virtù della ca-
stità, senza la quale uno solo può essere cagione
di rovina alla Congregazione intera » (775).
I1 14 gennaio 18?7 ebbe una udienza speciale
dal Santo Padre Pio IX. Richiamando alla mente
le parole udite in quella circostanza, ne parte-
cipava la lieta notizia ai Direttori il 6 febbraio
dello stesso anno: « Il Santo Padre mi disse che
se vogliamo far sempre fiorire le nostre istituzioni,
badiamo d'introdurre fra noi e di propagare fra
i nostri giovani queste tre cose: 1) lo spirito di
pietà, 2) lo spirito di moralità, 3) lo spirito di
economia » (7?6). Ricordava poi a tutti le parole
del Sommo Pontefice, dette quasi con accento pro-
fetico: « Ma io vi dico in nome di Dio, che se
· voi corrisponderete al divino aiuto cdl vostro
640

64.3 Page 633

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/
buon esempio, . se voi promuoverete lo spirito di
pietà, se voi promuoverete lo spirito di moralità
e specialmente quello di castità, se questo spirito
rimarrà in voi, avrete coadiutori, cooperatori, mi-
nistri zelanti, vedrete centuplicarsi le vocazioni
re]igiose, sia per voi, per la vostra Congregazione,
conie per gli altri ordini religiosi ,ed anche per le
diocesi, che non mancheranno di buoni ministri, i
quali faranno molto bene... E vi predìco, e voi
scrivetelo ai vostri figliuoli, che la Congregazione
fiorirà sempre di coadiutori e di coop'eratori, in-
fino a tanto che cercherà di promuovere lo spiri-
to di pietà e di religione, ma specialmente cli
moralità e castità » (?77).
Nel pensiero di Don Bosco adunque castità
ci è necessaria, perchè è la nostra caratteristica, la
base e il centro . di tutte le virtù dell'educazio-
ne, il perno di tutte le nostre azioni, la gloria
della nostra Congregazione, la ragione della effi-
cacia del nostro lavoro educati-yo, e perciò va
custodita gelosamente.
e) LA SCELTA DEGLI EDUCATORI.
Da quanto si è detto fin qui si comprende fa-
cilmente come Don Bosco dovesse rivolgere le sue
cure più oculate e premurose alla scelta degli
educatori, affinchè essi corrispondessero al model-
641
21 (I)

64.4 Page 634

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fo che egli se ne era traccia~o e fossero sicura ga-
ranzia di moralità tra i giovani. ·
Questo fu il primo problema che egli dovette
affrontare agli inizi della sua opera: e lo risol- .
se in un modo veramente geniale.
Abbiamo già notato un fatto, forse unico nella
pedagogia: ed è che Don Bosco, quando si trat-
di scegliersi e formarsi cooperatori per lo svol-
gimento dell'Opera sua, nòn li cercò tra le per-
sone adulte, ma tra gli stessi suoi allievi, che egli
dapprima accuratamente selezionò, poi andò man
mano formando sotto il suo sguardo, non curan-
dosi degli insuccessi, ma preoccupandosi che colo-
ro, che egli andava formando, fossero ver amente
degni della· eccelsa missione alla quale intendeva
destinarli. La tradizione di Don Bosco si è per-
petuata nella sua famiglia religiosa, ed oggi an-
cora si segue lo stésso criterio: dare cioè la pre-
ferenza ai giovani, formandoli man mano nello
spirito salesiano.. Son poche, e vorremmo dire
rarissime le eccezioni di Salesiani entrati adulti-
nella Congregazione di Don Bos·co.
Ora, sappiamo bene che i nostri giovani aspi-
ranti sono oggetto di una formazione accuratis-
sima e di una selezione diligente durante molti
anni, a cominciare dal corso ginnasiale o pro-
fessionale o agricolo, e più tardi nel noviziato.
Jn seguito, - durante il perfezio:qamento profes-
642

64.5 Page 635

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sionale o agricolo, se coadiutori; o durante il tri-
ennio filosofico e liceale, se chierici, - vengono
studiati e valutati, sia circa la moralità, sia circa
le doti pedagogiche e didattiche. Specialmente
durante il tirocinio pratico la selezione diviene
più rigorosa, prima degli studi teologici e del.
sacerdozio.
I criteri, che determinano questa prolungata e
rigorosa selezione, sono assai noti a tutti i figli
di Dori Bosco. Giova qui riassumerli.
Don Bosco stesso, nelle Costituzioni, pone i
princìpi basilari da non mai dimenticarsi. Inco-
mincia con le memorande parole:
« Chi spende la vita a pro dei giovani abban-
donati deve certamente fare tutti gli sforzi per
arricchirsi di ogni virtù; ma la virtù che si deve
sommamente coltivare e sempre avere dinanzi
agli occhi, virtù angelica, virtù più di tutte ca-
ra al Figliuolo di Dio, è la virtù della castità »
(Costit., 34). E poi, con tono solenne e reciso, con-
tinua: « Chi non ha fondata sµer.anza di poter
conservare, col divino aiuto, la virtù della casti-
tà, nelle parole, nelle• opere e nei pensieri, non
professi in questa società; perchè sovente si trove-
rebbe in pericolo » (Costit., 35)~ A questa ragione
d'indole petsonale ne aggiunge un'altra d'indole
pedagogica, ed è questa: « Le parole, gli sguardi
anche indifferenti sono talvolta mal interpretati
643

64.6 Page 636

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dai g1ovani che furono già vittima delle umane
passioni. Perciò si dovrà usare la massima cau-
tela nel discorrere o trattare con essi, qualunque
sia la loro età e condizione » (Costit., 36). Vi è
poi una terza· ragione che chiameremo di aposto-
lato. Essa fu così espressa, in una riunione del
Capitolo Superiore, da Don Cagliero: « La Con-
gregazione non è fatta per chi venisse a piangere
i suoi p eccati; per questo vi sono ordini contem-
plativi. Noi dobbiamo ricevere chi . si trova in
grado di slanciarsi in mezzo al mondo per lavo-
rare alla salute delle anime ». Don Bosco' presel?te,
lasciò dire ed approvò (778).
Sulla necessità di selezionare i futuri educa-
tori salesiani, nello schema di proposte da lui
redatto per il Primo Capitolo Generale, scrisse:
« La moralità è il fondamento e la conservazione
degli Istituti Religiosi. Non basta che questa sia
palese esternamente, ma deve essere preventiva;
vale a ·dire che preceda l'entrata in Congrega-
zione ». E continuava specificando i criteri per
l'accettazione degli aspiranti e per l'ammissione
degli ascritti: « Prima di accettare un aspirante
si prendano informazioni da fonte sicura sulla
sua ·condotta morale antecedente; si transiga sul-
la scienza, sull'interesse materiale, ma si usi rigore
intorno alle doti morali: nè mai si accetti un in-
dividuo, il qua.le per ragione d'immoralità sia sta-
644

64.7 Page 637

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to espulso da qualche collegiò, seminario o isti-
tufo educativo. Gli àscritti che, nell'anno di pro-
va, mettono in dubbio questa dote importante,
non siano ammessi alla professione religiosa. Anzi
è meglio seguire l'usanza di altre corporazioni
religiose, che rimandano il novizio appena vi è in-
dizio che la moralità non sia ben. fondata » (?'79).
Gli attuali Regolamenti, fedeli interpreti del·
pensiero di Don Bosco, sono espliciti: « Nel deli-
berare dell'ammissione ai voti s'abbia per norma
di escludere i troppo malinconici, i non sicuri
in fatto di moralità, inoltre... i propensi alle ami-
cizie sensibili, alla poltroneria e alla golosità, qua-
lora durante l'anno di noviziato non avessero
saputo vittoriosamente combattere queste loro in-
clinazioni » ( Regolam., 305).
Risulta evidente che Don Bosco voleva la
più ampia sicurezza circa questa materia, fino
a éspr1mersi cosi: « Di regola ordinaria non si
deve mai transiger.e sulla moralità. Qualora la
moralità sia dubbia, è meglio non accettare che
introdurre in casa un individuo dubbiamente im-
morale. In quanto alla dissipazione, alla poca
educazione, al poco studio si può transigere.
Punto cardinale la moralità. L'esperienza ci mo-
stra che ~un segno dell'immoralità è il fuggir e i .
Superiori » (?80).
Dava pure quest'altra importante norma:. < Si
645

64.8 Page 638

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usi grande attenzione di non mai accettare nes-
suno tra i Soci, tanto meno per lo stato ecclesia-
stico, se non vi è morale certezza che sia conser-
vata l'angelica virtù » (781).
Durante una seduta del Terzo Capitolo Gene-
rale, Don Bosco spiegò, con un'immagine, l'ac-
curatezza che bisogna usare peT allontanare da
noi i soggetti pericolosi: « Converrebbe fare co-
me ho veduto che u·n tale faceva col grano. Una
volta vedevo vagliare il grano e molte persone
erano in questo occupate. - Voglio imparare an-
ch'io a vagliare il grano, - dissi. - Ebbene - mi
si rispose, - faccia cosi come facciamo noi. --
Vi era uno che teneva un ~acco e versava il
grano nel crivello. Scotendosi il crivello, cascà-
vano di sotto tanta terra e tante pietruzze, che io
credeva bell'e finita l'operazione. Ma quel grano
si passava poi in un secondo crivello, ed ecco ca-
dere altrettanto loglio. Allora cr~detti che bastas-
se; eppure no; un terzo crivello scartò ~ncora
materie eterogenee. - Ma ora basterà, - feci
io; - altrimenti è un perder tempo. - No, veda,
osservi bene. Questo frumento non è pµrgato;
questi grane lli che sembrano abbastanza buoni,
se fa bene attenzione, scoprirà che sono guasti.
Non si può vagliare col solo crivello, ma bisogna
avere pazienza e con le proprie mani, levar via
,tutti questi granelli, che guasterebbero la futura
646

64.9 Page 639

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messe. - Ecco, quello che bisogna fare per con-
servare la moralità... Tutti debbono procurare
questa purga secondo le proprie forze ». Riferen-
dosi poi agli aspiranti per il saçerdozi.o, avvertì
tutti in confidenza che non si accettasse mai per
lo stato ecclesiastico nessuno che avesse avuto la
disgrazia di essere stato in luoghi infamati ('782).
Don Bosco insegnava anche in che modo si
dovessero prendere le informazioni: « Trattandosi
;
di giovani che vogliono entrare come ascritti nel-
.
la Congregazione Salesiana, e specialmente se
come chierici, si venga a parlare in tutta confiden-
za della moralità. Si dica loro: - Sei contento che
ti faccia una domanda? - Risponderà di sì. -
Dimmi: come hai trattato la moralità quest'anno?
in opere e in p ensieri? è molto tempo che ti sei
corretto? - Ovvero: - molto, tempo che hai
questa abitudine? - Che se uno fosse stato sem-
pre imbrattato fino agli ultimi giorni, è certo che
bisogna dissuaderlo dell'andare avanti, a meno
che non vi siano .indizi forti di vocazione e in lui
11 si manifesti volontà risoluta di appigliarsi ai
mezzi necessari per riuscire. Stare attenti pe·rò
e andare adagio nell'interrogare i timidi: aiùtarli
con carità, ma guardare bene con chi si aprono,
perchè non si commettano imp ~udenze. Si può
incominciare così: - Se vuoi che ti dia un con-
siglio intorno alla tua vocazione, permettimi che
647

64.10 Page 640

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ti domandi: come va la tua moralità? - Que-
sta domanda bisogna farla sempre in simile esa-
me » ('783).
d) MEZZI PER LA MORALITÀ DEGLI EDUCATORI.
Don Bosco non si limitava a raccomp.n<lare ai
suoi figli la pratica della moralità e a vigilare
per allontanare coloro che noll' dessero sufficiente
garànzia· su qursto punto: egli ricordava e il-
lustrava spesso ·i mezzi, usando i quali si sareb-
bero potuti conservare puri.
Tali mezzi Don Bosco distribuiva in due cate·-
gorie: mezzi negativi e mezzi positivi.
I) Mezzi negativi.
I. Dignitoso riserbo.
Dice Don Bosco: « I mezzi negativi si possono
tutti compendiare in quella regoÌa che diede San-
t'Agostino: Apprehen&e fugam , si vis refe1rre vic-
toriam (Se vuoi vincere, impara a fuggire). Per
combattere gli altri vizi bisogna prenderli di
fronte: questo invece lo vincono i poltroni, dice San
Filippo, cioè chi (ugge. Mezzi negativi si chia-
mano quelli che ci 'indicano che cosa si deve evi-
tare, che cosa si deve fuggire, perchè noi non ci
648

65 Pages 641-650

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65.1 Page 641

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troviamo pm m pericolo di perderla » (784). Pra-
ticamente « i mezzi negativi sono la fuga delle oc-
casioni » (785). Essi si riferiscono alle cautele ·da
usare nei rapporti coi giovani, con gli altri, e col
nostro corpo: per questo si dicono anche esterni.
Anzitutto coi giovani:
« Custodia del cuore preservandolo- dalle affe-
zioni smodate » (786). Il secondo capo del Sistema
Preventi~o dice testualmente così: « I maestri, i
capi d'arte, gli assistenti devono essere di moralità
conosciuta ». Essi, dice Don Bosco, « studino di
evitare come la peste ogni sorta di affezioni o
amicizie particolari con gli allievi, e si ricordino
che il traviamento di uno solo può compromettere
un Istituto educativo » (Regolam., 92).
La ragione per cui Don Bosco mette in guardia
contro tali amicizie è che i giovani « hanno delle
attrattive che si fanno .amare » (787). Perciò « non
amicizie particolari con .un giovane più che con
un ~ltro, specialmente con i più avvenenti. Nep-
pure nessuno si dimost!i più amico di questo che
di quello » (788).
« Ma non si potrà essere più larghi, non essere
tanto ritenuti? - si domanda Don Bosco. E poi
risponde: - No; gli è come chi si trovi sul pen-
dio di un precipizio: scendendo pian piano pel
pendio a cogliere un fiore sull'orlo del precipizio
può darsi che rimonti ancor su; ma quanto peri-
649

65.2 Page 642

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colo non gli scivoli :un piede, non gli prenda un
capogiro! Raccomandiamoci a San Luigi! » (789).
« Sia pure uno superiore, sia pure attempato,
non importa: non c'è età nè santità passata che
valga contro le insidie di questo nemico. Anzi,
quanto più l'età è avanzata, tanto più è raffina-
ta ~1a malizia. Anche quel posto che si occupa
vicino a quel tale può essere pericoloso » (790).
·Nella istruzione tenuta durante gli esercizi
spirituali del 1875 a Trofarello, Don · Bosco jm-
magina di dover rispondere ' ancora ad un'obie-
zione: « Io raccomando sempre di stare in mezzo
ai giovani, e ora dico di fuggirli? Intendiamoci
bene. Si deve stare con loro, in mezzo a loro, ma
non mai da soli a soli, non mai con uno più che
con un- altro. Diciamo francamente: la rovina del-
le Congregazioni religiose addette alla istruzione
della gioventù deve attribuirsi a ciò... Io sono
venuto fino all'età di 50 anni senza c_onoscere
questo pericolo, e purtroppo ho, dopo di allora,
dovuto .convincermi che questo gravissimo pericolo·
c'è e non solo c'è, ma è instante , e tale da metter-
ci molto in guardia » (791).
Don Bosco era convinto che tali amicizie ri-
vestono una particolare malizia, perchè, oltre ad
essere dannose per colui che le coltiva, sono an-
che un fattore antieducativo. Infatti l'educatore
che si lascia avvincere da siffatti lacci è portato a
650

65.3 Page 643

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curare soltanto la formazione di quell'uno o di
quei pochi, trascurando gli altri. Anzi, trasci-
nato dal suo egoismo, col pretesto di meglio edu-
care il suo protetto, lo sforma, compromettendo
il di lui avvenire con malintese concessioni.
Ecco perchè raccomandava di amare tutti
egualmente e di andare con tutti volentieri. « Si
metta in pratica quel detto di San Girolamo:
aut nullos aut omnes pariter dilige (Amar tutti
egualmente, o nessuno). I Direttori invigilino su
questo » (?92). Disse altra volta: « Usciti di re-
fettorio, è tempo di ricreazione. Vi imbattete
in un vostro a~ico o scolaro, e vi mettete a pas-
seggiare con lui; sta bene. Ma se ne viene un altro,
poi · un secondo, poi altri ancora, costoro siano
sempre trattati alla pari del primo. Non già, se
siete in compagnia di uno il quale prediligete,
anche perchè più studioso, più buono, trattare gli
altri diversamente da lui: ma si dev'essere pa-
dre comune, maestro comune in tutto e per tut-
ti » (?93). « Mi piace tanto quel che vedo già
praticarsi assai e che desidero vada tanto esten-
dendosi; cioè uscendo di refettorio, di chiesa, ecc.
associarsi col primo giovane che ci si presenta
senza distinzione di età o di scuola, trattenersi
con loro sopra un po' di tutto. Ma chi è costui?
N~n lo so. Che fa? Non lo so. Che vuol fare?
Non lo so. Con tutto ciò associarsi insieme» (?94).
651

65.4 Page 644

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Per prevenire il pericolo di tali amicizie, Don
Bosco proibiva assolutamente di mettere in qual-
siasi modo le mani addo~sò ai giovani. Nelle con-
ferenze, dopo di aver elencato i mezzi spirituali
rappresentati dalle pratiche di pietà, soggiunge-
va: « Ciò sta bene, ma non è tutto: bisogna ri-
correre ai rimedi per prevenire le cadute: non
mettere le mani addosso, non andare a braccetto,
non mettere le mani sul collo » (795) : « astenersi
dai baci, dal prenderli per mano, dal metter loro
le mani sulla faccia, accarezzarli, comunque sia,
con maniere affettuose. Fuggire le strette di mano;
quest'ultima cosa però è tollèrabile per uno che
vada o venga da casa, e si permette » (796). Guar-
darsi insomma assolutamente « dal .permettersi
atto o parola, che possa destare in loro una cat-
tiva immaginazione, un affetto sensibile » (797).
« Per lo più questo riesce pericoloso, sebbene mol-
te volte non vi appaia niente di male; ma, ora nel
chierico, ora nel giovane, ora in entrambi, ora in
chi vede, può, se ·non altro, ingenerare cattivi
pensieri, fantasie, immaginazioni » (798). Dopo
aver detto altra volta che « tutte queste cose non
sono subito colpa », soggiunge: « ma dànno, se
non altro, motivo ai maligni di parlare e di inter-
pretare male quelle azioni, le quali sono certa-
mente pericolose per 1'anima e per la virtù della
modestia » (799).
652

65.5 Page 645

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Insisteva anche perchè dai confessori si usasse
nel trattare coi giovani un grande -riserbo: mai
di ordinario confessare in luogo appartato ·senza
testimoni; mai avvicinar troppo la p ersona; mai
carezze sdolcinate di nessun genere e per nessun
pretesto. L~ parola esprimente un vero desiderio
per la salute dell'anima era quella che doveva
aprire i cuori (800).
Nell'esortare i chierici a' prendersi cura affet-
tuosa dei giovani recava loro l'esempio di Nostro
Signor Gesù Cristo. .Teme~do tuttavia che taluno
non sapesse giovarsene in bene, non citava in
pubblico, per intero e senza commenti, quei brani
del Vangelo ove si dice che il Divin Maestro st.rin-
.geva al seno i fanciulli, « perchè, - soggiungeva,
- ciò che Dio faceva, non potevano farlo essi,
senza pericolo » (801).
Sempre allo scopo di prevenire o di ,stroncare
siffatti rapporti speciali coi ·giovani, Don Bosco
_insisteva: « Non mai regalucci particolari special-
mente ad uno più avvenente di un'altro » (802).
I regali d'immagini, di commestibili, di altro ai
giovani, son pericolosissimi, quando .fatti così
per simpatia e privatamente. Si possono dar pic-
coli premi nella scuola a chi studiò di più, a chi
fu più buono per un dato tempo; a chi fece me-
glio il tal lavoro; questo sì, si può fare ad in-
coraggiamento dei giovani, ma altro no (803). Si
653

65.6 Page 646

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comincia con regalucci, croci, 1mmagm1; poi ven-
gono i -buoni consigli; e poi... e poi avanti! » (804).
Per lo stesso motivo « mai scrivere loro lettere
troppo affettuose» (805). Se sapeste come questo
.sicriversi letterine sdolcinate guastò già tanti, e
-come si dissero, anche solo di quest'anno, sciocchez-
ze e bambolaggini tali... Lettere che girarono per le
mani di più, e poi caddero nelle mie » (806). E
aggiungeva: « Mai dare occhiate troppo espressi-
ve. La giovéntù è un'arma pericolosissima del de-
monio contro le perso11-e consacrate a Dio » (807). ,
Don Bosco inoltre esigeva che « ogni .tratteni-
mento, coi:iversazione si facesse alla ·presenza di
tutti, e per nessun pretesto mai in luoghi appar-
tati (808): mai . intrattenersi da soli, e molto meno
nella propria stanza, quaJ.unque sia il mof.i-
vo » (809).
Sempre allo scopo di impedire l'eccessiva fa-
miliarità dei giovani cogli educatori, Don Bosco
-vuole che « in scuola, in studio, in ricreazione,
il maestro o l'assistente non permetta agli alunni
di accostarglisi troppo... non si trattenga da solo a
solo con alcuno ·di essi in luogo chiuso o apparta-
to,. nemmeno per le necessarie correzioni o avvisi »
(Regolam., 3?) (810).
« Inoltre nessuno prenda commissioni per
comperare in città oggetti, libri, commestibili
per altri: nessuno riceva d enari dai giovani pe'r
654

65.7 Page 647

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custodirli; e, come i giovani, anche voi conse-
gnate il denaro che possedete al prefeUo » (811) ~
Ricordiamo ancora questo monito del Padre,
col quale egli intendeva mettere in guardia con-
tro ogni manifestazione di particolare sensibilità:
« Non lusingarsi delle passate vittorie, perchè si
vince una, due, tre volte, ma poi la quarta si
cade. Àpprehende fugam, si vis r,e.ferre vicforiam.
(Impara a fuggire se vuoi vincere). Non si creda~
perchè siamo già avanzati in età, di essere sicuri;
niente affatto; poichè, chi più forte di Sanso~1e,
chi più santo di Davide, . chi più sapiente di Sa-
lomone? Eppure, malgrado tante virtù, caddero
miseramente. Non dime~tichiamo che habemus
thesaurum in vasis fictilibus (Abbiamo questo te-
soro in vasi di creta) » (812).
IL Come trattare le varie persone.
In generale Don Bosco raccoma,;ndava ét.i suoi
preti ed ai suoi chierici che si guardassero da ,,gni
minima cosa, benchè lecita, ma che potesse in
qualche modo essere occasione dr scandalo agli
altri (813). Esigeva che in ogni loro gesto, scritto,
parola, nulla vi fosse che, anche da lungi, met-
tesse in dubbio la loro virtù (814). Perciò voleva
anzitutto sbandite, come già si disse, le amicizie
particolari: « Io dico che dobbiamo anche fuggire
655

65.8 Page 648

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la familiarità con le .persone di ugual sesso, e pri-
ma di tutto, tra voi medesimi confratelli, mai ami-
cizie tenere (815); non mettere le mani addosso
o battere per ridere i confratelli. Certe scene che
si castigherebbero nei giovani, dite voi se stanno
bene fra · chierici » (816).
Interpellato il 31 luglio 1860 sulla costumanza
di baciarsi a vicenda in certe circostanze, rispon-
deva:
1) Quando si tratta del padre e della madre
o di .qualcuno che si diporta verso di noi con
affetto paterno, riceviamo e restituiamo il bacio.
2) Baciamo quando vi è un'utilità e conve-
nienza, come quando si potrebbe con questo atto
spegnere un odio, o non dimostrarsi avversi. esclu-
dendo però sempre le persone di diverso sesso.
3) Quando fosse una persona amica _che da
molto tempo non abbiamo più vista. Del resto tutti
quelli che reggono comunità, e attendono all'educa-
zione della gioventù, proibiscono di mettersi le ma-
ni _addosso, il baciarsi, il ·toccarsi la mano, eccetto
che sia in occasione di un addio per lungo ving-
gio, oppure di rivedersi dopo una prolungata
assenza » (817).
A Don Bosco premeva assai _eh.e si ,1vessero
i massimi riguardi nel trattare con persone di ses-
so diverso. In una seduta del Terzo Capitolo G ene-
rale tenuto a Valsalice, raccomandava per prima
656

65.9 Page 649

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(
cosa « di chiudere la casa ad ogni donna. Nessuna
I
donna dorma in casa. Questo si prenda in seri a
considerazione'> (818). Ciò tanto lo preoccupava
che l'anno dopo,- 1'11 settembre 1884, diceva reci-
samente in Capitolo: « Desidero che, a qualunque
costo, si faccia in modo che nessuna persona di
•altro sesso, per nessun motivo, abbia occupaziooi
od abitazione nell'interno delle nostre Case. Si ve-
gli severamente su questo punto. Una donna, sia
pur madre o sorella di un Salesiano, è sempre
donna. Non verranno inconvenienti da quelle che
ora vi sono, tutte persone veramente stimabili,
ma dal principio del tenerle in casa, che a poco a
poco si stabilirà, se ora non si mette una regola di
esclusione. Bisogna pensare ai nostri posteri, per-
chè abbiano una norma assoluta alla quale at-
tenersi. Si osservi anche. con diligenza quello che
sta scritto nelle Deliberazioni riguardo alle nostre
suore, e si ubbidisca strettamente a quanto si è
stabilito » (819).
Quanto al contegno da tenere con persone di
altro sesso, dava queste norme ispirate al più
rigoroso riserbo: « In quanto alle occasioni peri-
colose, vi dirò di .evitare di stare da soli con per-
sone d 'altro sesso. Dovendo trattare con esse, sia-
te più . brevi che potete e, dato sul principio uno
sguardo indifferente, parlate ~on la faccia volta
da un lato, volgendo gli occhi qua e là senza
657

65.10 Page 650

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afEettazione » (820). « Non fissare gli sguardi in
volto alle persone di diverso sesso e neppure a
quei giovani che fossero più avvenenti. La stes-
sa precauzione si usi nel fa,re il catechismo alle
ragazze o ai ragazzi. Trattare con riserbo coi fa-
miliari e con affettuosa riverenza la propria ma-
dre» (821).
Sul modo di regolarsi con le suore diceva:
< Nel trattare affari materiali, i religiosi e le reli-
gios½ non siano mai soli, ma procurino di esse:ee
sempre assistiti, o che almeno siano da altri ve-
duti. Nunquam solus cum sola loquatur » (822).
Sempre a scopo di mantenere illibata la pu-
rezza che ci è necessaria per educare i nostri gio-
vani·, raccomandava ancora di .fuggire le conve1·-
sazioni secolaresche. « Oh, come son rare, - Escla-
mava, - quelle conversazioni in cui per nulla
neppur ~i alluda a cose di questo genere!... Fra le
conversazioni, quelle che paiono più p,ericolosc,
sono gli inviti a pranzo, specialmente a noz-
ze » (823).
Voleva che si limitassero anche le visite ai pa-
renti: « Ecco un chierico che si reca a casa dei
suoi genit9ri. Si dirà: - Oh, non c'è nessn~ pe-
rieolo. - Eppure, ecco, bisognerà che vada a
trovare la cognata, la zia, la cugina. Si incontra-
no donne prudenti; ma non tutte lo sono... Il
demonio è furbo, ha studiato beh bene la logica
658

66 Pages 651-660

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66.1 Page 651

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e sa a meraviglia far l'astrazione. Toglie la paro-
la sorella e lascia solo la parola donna; toglie
la parola religiosa, parente, e lascia la parola ra-
gazza; toglie la parola bambina, giovanetta, e
resta la parola zitella; e, se non si cade, almeno
ci si mette in pericolo; e se il pericolo non c'è
H presente, aspetta a vedere come saranno j tuoi
pensieri quando tu sarai solo » (824). Perciò << nes-
suno vada mai a casa sua o dei parenti, o di ami- .
ci o di conoscenti, se non per l'interesse della
Congregazione o p,er esercitare un atto di carHà.
Per qualsiasi pretesto non si accettino mai inviti
a festini di nozze o ad altri pranzi secolareschi
di qualunque genere siano. Per quanto è possi-
bile non si viaggi mai di festa, e mai con persone
di sesso diverso. Nel convoglio non si stia in ozio,
m a si dica il Breviario, si reciti la corona ,!ella
Madonna o si legga qualche buon libro ,> (825}.
Quanto alle visite che si ricevono, manifesta-
va le sue intenzioni così: « Si usi pure in quest.o
cortesia: si ricevano·e si diano i saluti, si domandi-
no nuove di questo e di quello; vedete, qui c'è que-
sto, qui c'è quello. Si sta uri momento, e poi: --
Là, ora ho qualche cosa di premura che mi ~1tten-
dc; statemi allegri. - Ma il fermarsi a lungo, il
conversar prolisso, il condurre a vedere qua e là,'
queste sono cose che cominciano ad essere peri-
colose. Nè si dica che i visitatori resteranno offe-
659

66.2 Page 652

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si... Sebbene a prima vista sembri scorfesia il non
secondarli in tutto, quando vedono che questo è
per osservare l'ordine e che, quando si tratta
d'ordine, non si transige, ne restano sorpresi e se
ne vanno ben contenti » (826).
A nessuno sfuggirà certamente l'importanza di
queste raccomandazioni anche nel campo' pcrla-
_-gogico. Don Bosco infatti parlava a r eligiosi eh 'e-
rano educatori. Ora l'educatore non può sve-
stirsi della sua personalità o della sua mission e,
neanche quando è fuori del suo ambiente educil-
tivo; egli deve mantenersi sempre e dovunque in
efficienza per il compito che ha da svolgere. A
tal punto che il Salesiano, che contravvie ne alle
cose indicate, oltre a venir meno alla r,egola, viene
nieno anche alla sua missione educativa, per il ri-
schio, in cui si mette, di rendersi inabile alla sua
alta funzione.
III. Fuga delle occasioni e tentazioni.
Parlando ai suoi figli, Don Bosco richiamava
la loro attenzione sulla necessità di « fuggire le
cose piccole, le piccole occasioni e tentazioni. Si
vis magnus esse a minimo incipe. Primcipiis .obsta .
(Se vuoi esser grande, incomincia, dalle cose più
piccole, dice Sant'Agostino. Attenzione agli inizi).
Mei.terci subito in guardia quando siamo tentati;
,
660

66.3 Page 653

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dar mano a far qualche cosa... Appena incomin-
- eia la tentazione è facile la vittoria; ma se si sta
alquanto in mora a combattere, questa diventa
difficile: perchè tanto si diviene più deboli, quan-
to il nemico acquista di forza... Qui amai Dernn,
nihil negligit. (Nulla trascura chi ama Dio). E
intanto portar gran rispetto a noi stessi, cammi-
nare modestamente per le strade, sedere, conve.r -
sare, scherzare, ricrearsi ecc., in modo che il no-
stro contegno rispecchi la bella virtù » (82?).
Sempre in tema di vigilanza sulle piccole co-
se, nella conferenza tenuta ai - chierici all'inizio
del 18?6 sulla castità, faceva notare: « Una r f',..-
gola che ho sempre raccomandato, raccomando
e raccomanderò sempre è questa: che alla sera
dette le orazioni, facciate il possibile per non trc.ù-
tenervi a parlare con qualche compagno. Dopo le ·
orazioni si vada subito a letto. Chi ha l'obbLgo
di fare qualche passo di più nel dormitorio p .:>r
assistere, lo faccia, ma con riservatezza. Caso mai
in quella camerata si avesse un compagno assi-
si-ente, non fermarsi mai a far chiacchiere.
« Peggio ancora l'andar a dar la buona notte
ad un giovane o ad un . altr@ chierico; perchè una
parola tira l'altra e la cosa va in lungo; e p oi,
il chiacchierare in tempo di camera dopo le ora-
zioni, oltre all'essere vietato dalle regole dell'O- .
raiorio, è giudicato da tutti cosa pericolosa.
661
.
I.

66.4 Page 654

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~ Adunque uniformità in tutto è specialmente
nel riposo. Mi ricordo che Virgilio, nel suo quar-
to libro delle Georgiche, dice che le api, giunto
un dato tempo, si mettono tutte a lavorarè e ad
un altro momento fisso, tutte incominciano a ri-
posarsi. Così si esprime: Omnibus una quies, l.abor
omnibus unus. È necessario che questa regola si
osservi fedelmente. Qui non si potrebbe dire -t ut-
to quello che si dovrebbe, ma quello che pos~o
dirvi e che debbo dire, si è che una grun parte
dei recenti disordini sono avvenuti pe.r alcmti., i
quali, non curando questa regola, andavano a
chiacchierare alla sera con altri, dando scanda]o
ai giovani stessi. Altri invitavano il compagno a
bere nella propria cella: e ciò è cosa assoluta-
mente proibita. Ciascheduno deve stare nella pro·
pria cella, nè si deve muovere d'un passo per an-
dare nella cella d'un altro, se non in caso di .som-
Dl3. necessità » (828).
« Inoltre alcuni, che sono tardi nell'andar~ a
leito alla sera, sono eziandio tardi nel levarsi al
mattino... Eh! miei cari, quando si fa così, si dà
al corpo più di quello che conviene... Sicut equus
et mulus: come il cavallo o l'asino e il mulo. Se
noi diamo al corpo soverchio nutrimento, intestar-
disce e recalcitra: incrassatus, impinguatus, re-
calcitravit... Non vi è solamente il demonio me-
rjdiano che assalta coloro quali vogìi~no ripu-·
662

66.5 Page 655

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sare dopo pranzo, ma vi è anche il demonio mat-
tutino del quale parla il libro di Tobia. Questo
demonio distoglie eziandio l'animo dalle preghie-
re... Quindi non partecipano alle pratiche di pietà
che si fanno dagli altri: e da ciò una perdita gra-
Yissi,.ma per grazie non ricevute da Dio; Di più...
porg·ono occasione al demonio di tentarli. Ed a
queste tentazioni un poltrone saprà resistere? po-
trà tenersi su nella castità? Eh, vi assicuro che è
dssai difficile; o per lo meno, se resiste, io vi dico
che ci vuole un miracolo della grazia del Signore,·
che impedisca la caduta nel peccato » (829).
Parlando poi della cosiddetta siesta, o riposo
a letto dopo pranzo, diceva: « Per me la tt;ngo
una delle cose più pericolose per la moralità, e
~ono di parere che il tener quest'abitudine e con-.
servar bene la moralità sia cosa difficilissima,
per non dir.e impossibile. Credo che se i Direttori
di case conoscessero quanto questo riesca .esiziale,
si contenterebbero piuttosto di chiudere il collegio,
che introdurre tale abitudine. È dunque ·da vietare
ai nostri confratelli ed ai giovani di riposare un
poco nel dopomezzodì? Se avviene che, special-
mPni.e d'estate, uno resti soprappreso dal sonnò
nel pomeriggio, dovrà sforzarsi a non lasciarsi
vincere da quella tendenza? No; avvenendo che,
mentre si lavora o si studia, il sonno ci sorprenda,
ognuno assecondi pure questo bisogno e dorma
663

66.6 Page 656

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uii momento, adagiandosi sulla sedia o posando
il ·capo sulla scrivania; ma nessuno si ponga a let-
to per conciliarselo il sonno; poichè io credo che
sia pr,ecisamente questo il daemonium meridia-
1tum, da cui siamo avvisati di guardarci, come
tanto p ericoloso per le anime » (830).
In fine Don Bosco raccomanda la mortific a-
zione di tutti i sensi. Anzitutto « custodia degli oc-
chi. Chiudere le finestre, p er cui entra il demonio
a rubarci questa virtù. Sono i due occhi, dei quali
dobbiamo frenare la curiosità, perchè quel che
si vede, se è illecito, lascia un'impressione cattiva:
Pepigi foedus cum . oculis meis ut ne cogitarem
quidem de virgine (Un patto io conchiusi con gli
occhi miei, di n eppur p ensare ad altra p erso-
na) (831). Non mai legg.er e libri immorali, roma~1-
zi, commedie, racconti sentimentali, o profani. Que-
sti ultimi faranno eccezione per coloro che sono
obbligati a studiarli o ad insegnarli. Vi sono tanti
libri buoni ed ~struttivi in ogni genere di scienza
da l.eggersp (832). I giornali, i libri cattivi, i
('Ompagni ed i discorsi non riservati in famiglia,
sono spesso cagione funesta della perdita delle
vocazioni · e non di rado sono sventuratamente il
guasto e il traviamento di coloro stessi che han-
no già fatto la ·scelta dello· stato » (833).
E poi « custodia della lingua. No{ specialmente
che abbiamo a trattar coi giovani: una parola
664

66.7 Page 657

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equivoca può ba.stare a cr_eare mali immensi nel-
l'anima loro » (834).
In terzo luogo: « custodia delle orecchie. Non
ascoltare discorsi cattivi; adoperarsi anche perchè
non ne ascoltino le orecchie altrui (835). Un male
incalcolabile avviene dall'aver udito qualche di-
scorso o anche solo qualche parola malizio-
sa » (836).
In quarto luogo: « custodia del gusto: in vi'no
luxuria (nel vino vi è la dissolutezza) (83?). « Hoc
g_enus daemoniorum non eiicitur nisi in ieiunio et
oratione (Dem;ni siffatti non si scacciano se non
con ]a preghiera e col digiun~). Attenti; non cre-
diate già che io voglia dirvi che questi difetti ·
non si vincano altrimenti che col digiuno prolun-
gato, tutt'altro! Io non vi dico che digiuniate; pe-
rò un.a cosa che vi raccomando si è la temperanza.
Guardatevi spècialmente dal vino... Scrivete ben
bene nel vostro cuore, che vino e castità non van-
no mai d'accordo insieme (838). Ciascuno si dia
sollecitudine per eliminare ogni refezione fuori dei
pasti regolari, come merende ecc. » (839).
Altra volta Don Bosco per la conservazione
della moralità comandò che nessun.o si prepa-
rasse in camera il caffè colla macchinetta (840).
Nella istruzione tenuta ai confratelli riuniti a
Trofarello nel 1869, richiamava l'attenzione so-
pra la qualità d ei cibi e delle bevande: <i: Non si
665

66.8 Page 658

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mangino cose forti, piccanti, ricercate, di diffi-
cile digestione, troppo abbondanti o troppo gu-
stose come sarebbero le paste dolci, le confetture.
Non si bevano vini squisiti o liquori inebrianti, e
tanto più se con intemperanza, perchè facendo
in questo modo è un doppio miracolo se consèr-
vasi la bella virtù. Se non fosse altro, si dà in
pensieri o desideri illeciti deliberatamente, con
pericolo di azioni abbomineyoli. Alla sera non star
del tutto digiuni: ma più ci t erremo leggeri nel
mangiare, più _saremo sicuri. Aggiungo di far
mortificazioni, non solo col non procurarci cibi
che ci fanno gola, ma col frenar.e questi desideri.
Siamo contenti di quello che la Provvidenza ci
somministra » (841).
Nel 1880 disapprovava la consuetudine di pren-
dere bagni alla spiaggia: « Voglio distruggere la
smania di andare ai bagni, quando questi non sia-
no ordinati dai medici. Vi sono di coloro che ci
vanno contro le prescrizioni dei Superiori. Il pe-
ricolo è maggiore per i chierici » (842).
Il pensiero di Don Bosco è chiaro: e tutti i suoi
figli, ne siamo certi, sapranno cooperare perchè
le sue direttive rimangano in ogni tempo vive e
operanti per tutelar.e sempre meglio la moralità
tra gli educatori Salesiani (843).
666

66.9 Page 659

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2) Mezzi positivi.
Finora abbiamo ricordato mezzi e precauzioni
d'indole piuttosto esteriore e fisica, riguardanti
cioè la disciplina dei propri atti in relazione ai
giovani, agli altri e al proprio corpo.
Ma, l'educatore, come uomo, deve, nel suo in-
terno, lottare senza posa contro gli assalti delle
tentazioni e l'insorgere delle passioni. Inoltre, tro-
vandosi sempre in mezzo ai giovani, - i quali,
come abbiamo udito da Don Bosco, a~endo delle
attrattive che si fanno amare, possono costituire
un'arma pericolosissima nelle mani del demonio
contro le persone consacrate a Dio, - ha bisogno
di essere sorretto anche da altri mezzi, che valga-
no ad assicurargli la conservazione di quella mo-
ralità intima, dalla quale, come da suo principio,
deriva la moralità esteriore.
Don Bosco ne indica parecchi di questi mez-
zi, che però possono ridursi fondamentalmente
a due: esatto adempimento delle Regole e fedel-
tà alle pratiche di pietà.
Questi mezzi, che servono egregiamente a for-
tificare la volontà, a innalzare meni.e e cuore alle
cose celesti e a mortificare .le passioni che vorreb-
bero trascinare al basso, sono bensì mezzi religio-
si-morali; ma lo sono pure in senso pedagogico,
poichè la moralità, se hen coltivata nel proprio

66.10 Page 660

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intimo, non potrà non manifestarsi davanti agli
altri, dentro e fuori dell'Istituto; e soprattutto
nei rapporti coi giovani da educare.
Nell'esatta osservanza delle Regole, che i Su-
periori hanno il dovere di far praticare e che rias-
sumono in sè tutti gli altri mezzi, consiste, per
Don Bosco, la prima garanzia di moralità indi-
viduale e collettiva, privata e pubblica. Nella in-
troduzione alle Costituzioni afferma decisamente:
~ Trionfante di ogni vizio, e fedele custode della
castità, è l'osservanza esatta delle nostre sante Re-
gole, specialmente dei voti e delle pratiche di
pietà ».
.,
La cosa è evidente. Don Bosco non volle scri-
vere le Regole per formare uomini dedicati alla
contemplazione o alla penitenza, ma bensì per
, plasmare dei religiosi educatori. assolutamente
logico pertanto che la fedele osservanza di esse
sia il _loro primo e costante dovere.
Così il nostro Padre iniziava una sua confe-
renza nel 1876: « Comincio dal dire che non poco
gioverà alla conservazione della virtù della ca-
stità l'esatta osservanza dei propri doveri. Non vo-
glio già con questo nome intendere lo studio, le
assistenze, il catechismo e tutti gli altri uffizi
particolari di ciascuno, ma sibbene che si faccia
quant·o richiedono le prescrizioni ddle Regole:
che cioè vi sia puntualità in tutto. Puntualità
668

67 Pages 661-670

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67.1 Page 661

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nel venire al pranzo, nell'andare in chiesa e a ri-
pos~ » (844). Altra volta insisteva: « Si osservino
bene le Regole della Congregazione. La loro osser-
vanza ci condurrà sicuramente ad ottenere il no-
stro scopo » (845): vale a dire, la santificazion e
propria e la salvezza dei giovani mediante la
loro cristiana educazione.
Venendo ora al secondo mezzo suindicato, e
cioè alla fedeltà nelle pratiche di pietà, ricor-
deremo anzitutto che, al dire di Don Bosco, « p er
preghiera s'intende tutto ciò che solleva i no-
stri affetti a Dio » (846): dalla meditazione d el
mattino alle preg~iere della sera. «1È necessaria
l'orazione per vincere le tentazioni. Dice il Sa-
vio che capì che n·on poteva essere casto, se non
mercè l'aiuto di Dio; e che a nulla valgono i
nostri sforzi, nisi Dominus custodierit -civiiatem
,,.
(se il Signore non custodisce la città). Il nostro
cuore è come una cittadellai i sensi, altrettanti
nemici » (84?).
Insiste poi Don Bosco: « Non contentiamoci
di intervenire sempre alle , ordinarie pratiche di
pietà e di prendervi parte nel miglior modo ·possi-
bile, ma raccomandiamoci ancora sovente lungo
il giorno al Signore ed a Maria SS. Invochiamo
Maria _colla giaculatoria Auxilium Christiano-
rum ora pro nobis, che in moltissimi casi è tro-
vata efficacissima. E così conserveremo la virtù
"669.

67.2 Page 662

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della castità, la madre di tutte le virtù, la virtù
angelica » (848).
Don Bosco ricordava pure che le nostre Re-
gole stabiliscono la frequenza ai Santi Sacra-
menti (849) e che con tale frequenza è in stret-
tissimo rapporto la moralità. Riguardo alla Co-
munione, suggerisce di chiedere sempre come
la grazia più grande, quella di conservare la
bella virtù: « Domandandola con tanta insistenza
mentre abbiamo in noi Gesù Sacramentato, quasi
mi pare di poter dire che il Corpo di Gesù, che
il Sangue di Gesu, si incorpora in noi, si mescola
col nostro sangue e nulla di disordinato potrà in
noi accadere (850). Chi non potesse comunicarsi
tutti i giorni sacramentalmente, non lasci mai di
fare la Comunione spirituale e la inculchi ad
altri » (851).
« In quanto alla Confessione, chi ha la coscien-
za tranquilla può aspettare fino agli otto od
-anche quindici giorni'; ma chi fosse tentato, può
anche andare più sovente lungo la settimana. Co-
sì darebbe un colpo risoluto al tentatore con
grande vantaggio dell'anima sua. Si confessi delle
cose spinose, anche ·dubbie; delle cose piccole e
delle circostanze, pe~ avere un consiglio sicuro.
Abbiamo necessità di una guida » (852).
« La frequente Confessione e Comunione e la
regolare vigilanza di chi deve assistere, saranno
670

67.3 Page 663

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grandi mezzi preventivi. Possono succedere disor-
dini, ma sempre riparabili » (853).
Dopo aver così ricordato, valendoci delle pa-
role di Don Bosco, i due mezzi principali per
la custodia della castità, riassumi~mo ·il fin qui
detto con il memorando articolo 38 delle Costitu-
zioni: « Per custodire con la massima diligenza ·
la virtù della castità, si devono usare special-
mente questi mezzi: accostarsi santamente e con
frequenza ai Sacramenti della Confessione e della
Comunione; praticare fedelmente i consigli del
confessore; fuggire l'ozio; frenare e moderare
tutti i sensi del corpo; fare frequenti visite a
Gesù Sacramentato; rivolgere spesso giac,ùatorie
a Maria Santissima, a San Giuseppe suo castis-
simo sposo, a San Francesco di Sales e a San Lui-
gi Gonzaga, che sono i principali patroni di que-
sta Società ».
e) lL PRIMO RESPONSABILE DELLA MORALITÀ.
Don Bosco era cost_antemente preoccupato di
far sentire a tutti i Superiori il senso e il peso
della responsabilità, specialmente :O:ei riguardi del-
la moralità. Ma egli ne interessa soprattutto e
più direttamente il Direttore, il quale per essere
il Capo della Casa, è il primo responsabile dj
671

67.4 Page 664

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far eseguire le Regole ed i Regolamenti, e per-
c10 il primo responsabile della moralità.
« I Direttori, - diceva, - essendo i respon-
sabili davanti al pubblico, facciano tutti i loro
sforzi affinchè sia conservata la moralità. I mezzi
sono le Regole e le Deliberazioni, le quali devo-
no essere osservate da loro e dai loro dipendenti.
Ma per questo è necessario che si conoscano. Per-
tanto nelle due conferenze mensili si procuri di
farle conoscere (854). Nell'una si dia lettura e
spiegazione delle Regole; nell'altra si tratti qual-
che punto morale. Queste conferenze non si omet-
tano mai. Se il Direttore qualche volta non la
potesse fare, vi supplisca con una lettura spiri-
tuale: ma almeno questo poco ci sia sem-
pre » (855).
« Non si richiedono conferenze dotte; basta che
si leggano le Regole e poi si aggiunga una breve
esortazione e spiegazione. Una delle cose fonda-
mentali, che dev'essere maggiormente inculcata, è
la moralità. Se possiamo fare i~ ·modo che dopo
cena si vada . a riposo, è un gran guadagno pn
la moralità. Quel tempo è il tempo dei complotti.
Così, che vi sia silenzio assoluto dalla sera al
mattino, è. un guadagno grande. Dicasi j} me-
desimo delle relazioni epistolari con gli estern;.
Ricordare ai confratelli che, mancando contro la
moralità, compromettono la casa e . la Congre-
672

67.5 Page 665

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I.
gazione in faccia a Dio non solo, ma anche in
faccia al mondo. In faccia a Dio si perde l'ani-
ma, in faccia al mondo l'onore.
« Nemo repent:e fit · summus, nemo repente ·fit
ma.lus (Nessuno all'improvviso diventa sommo,
nessuno all'improvviso diventa cattivo). Qnindi
badare ai princìpi, per impedire il male grande
in seguito. Lo dice l'esperienza. Se taluno ha
messo negli imbrogli il Direttore e la Casa, co-
minciò a lasciare la meditazione, le pratiche di
pietà; poi ci fu qualche giornale, qualche amici-
zia particolare. Disordini, insomma.
- « Quindi si ricordino i Direttori, che sono re-
sponsabili della moralità propria, dei confratelli
e dei giovani. Questi sono piccoli e non parlano;
ma· trovandosi poi coi parenti, dicono e aumenta-
. no, se occorre, con detrimento della stima e della
gloria di Dio }> (856).
In secondo luogo il Direttore ha il dovere di
vigilare sulla moralità. A lui, nei Ricordi Con-
fidenziali, fa queste raccomandazioni: « Rispetto
agli assistenti e ai capi-dormitorio: accorgendoti
che taluno · di essi contragga amicizia particolare
con qualche allievo, oppure che l'ufficio affidatogli
o la moralità di lui sia in pericolo, con tutta pru-
denza lo cangerai d'impiego; che se continua il
pericolo ne darai tosto avviso al tuo Superiore >> .
« Alle persone di servizio sia stabilito per ca-
673
22 (I)

67.6 Page 666

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po un coadiu"tore di p~obità conosciuta, che vegli
sui l~ro lavori e sulla loro moralità, affinchè no.o
succedano furti nè facciansi cattivi discorsi. Egli
si adoperi costantemente :Per impedire che alcmio
si assuma commissioni, affari riguardanti i p a-
·renti od altri esterni, chiunque siano >> (857).
Ai Direttori Don Bosco ricordava infine i Ren-
diconti mensili: « Ciò che poi ritengo come la
chiave di ogni ordine e di ogni moralità, il mezzo
con cui il Direttore può avere in mano la chiave
cli tutto, si è che si ricevano puntualmente i ren-
diconti mensili. Non si lascino mai per qualsiasi
motivo e si facciano posatament-e e con impegno.
Ogni Direttore si ricordi di domandare sempre
questi due punti: - Primo: nel tuo ufficio trovi
· qualche cosa che ti sia proprio contraria e che
possa impedire la tua perseveranza nella voca-
zione? Secondo:' a te consta qualche cosa che pos-
sa .farsi o impedirsi per togliere qualche disordine
o qualche scandalo in casa? - Per lo più i confra-
telli parlano e scoprono cose, alle quali noi non pen-
seremmo mai e che essi molte volte credono che noi
_le sappiamo già o che le teniamo in. poco conto.
« Quando dai rendiconti si conosce qualche co-
sa di male o fonte di disordine in' alcuno dei con-
fratelli, se ne tenga nota, e, venendo il iurno . di
quel tale, si faccian-o interrogazioni allu:,ive, o
si domandi apertamente questo o quello secondo
674

67.7 Page 667

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i casi,. Si pone così riparo ad incon;,,.enienti ~nche
gravi senza che nessuno resti offeso, e si avvi-
sano individui di certi difetti, che .talora s~nz a
che essi se ne accorgano, recano disordini o danni
o scan.dali » (858).
« In questi rendiconti ciascuno apra intera-
.mente il suo cuore al Superiore, ma si aggiri spe-
cialmente sulle cose esterne (859). Venendo a no~
tizia che nella casa sia imputata cosa o fatto
biasimevole, specialmente se fossero cose che po- ·
tessero anche solo interpretarsi contro la santa
legge di Dio, se ne dia rispettosamente comunica-
zione al Superiore. Esso saprà usare Ja dovuta
prudenza a fine di promuovere il bene e d'iII?-~
pedire il male » (860).
« Con questi rendiconti e con ogni altro mezzo,
gioverà immensamente a ottenere la moralità,
l'impedire in modo assoluto quelle merenduole
che fanno in compagnia i giovani e i chierici: ov-
vero giovani, chierici e maestri insieme. Questo
bisogna a tutti i costi proibirlo e impedirlo. Nei
giovani eccita il desiderio di rubare e li mette
in vere tentazioni; fa venir loro la voglia di scri-
vere a casa per· avere ghiottonerie, li invìta a na-
scondersi e a cercare· luoghi appartati; ed anchr
ai chierici e maestri è di vera occasione per con-
dursi giovani in camera: tutte cose di grande pe-
ricolo » (861).
. 675

67.8 Page 668

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f) lL MODELLO DELL'EDUCATORE SALESIANO.
Abbiamo visto con quale e quanta insistenza
Don ·Bosco, ~i suoi collabor~tori nell'opera educa-
tiva, raccomandava il buon esempio: « La mora-
lità tra . gli allievi - egli asserisce - progre-
disce in proporzione che essa risplende nei Sa-
lesiani. I giovanetti rivivono quello che loro si dà;
e i Salesiani non potranno mai dare agli alir,.
quello che essi non possedessero. Siano ben con-
siderate queste parole e i Direttori ne facciano
tema delle loro conferenze » (862).
Noi possiamo aggiungere che i Salesiani, pc:r
rendere efficace il loro buon esempio, nou hanno
che da modellare le loro azioni circa la moralità
su quelle del Padre, che è e sarà sempre il più
perfetto loro modello. Di lui testimoniò il Card.
Cagliero: « Le virtù morali e specialmente la ca-
stità, ne adornarono e santificarono siffattdmente
la vita esteriore, da parerci non solo di un Santo,
ma di un angelo; tanto fu angelica la modestia
del suo corpo, il candore dell'anima · sua e l:1
purezza del suo cuore (863). Io sono persuaso,
per le intime attinenze avute sempre con lui,
che egli sia vissuto e morto in castità vergina-
/
le » (864). Don Rua dichiara solennemente: « Si
può dire anche di lui ciò che si dice del no-
stro Divin Salvatore, che, accusato in tante guise
676

67.9 Page 669

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dai suoi nemici, non si osò intaccarlo sulla ca-
stità. Di modo che devesi concludere che in un
modo eroico consér questa· virtù in tutto il cor-
so della sua vita » (865). E il suo segretario Don
Berto: « Io gli sono stato d'attorno, l'ho servito
per oltre vent'anni e posso affermare che la virtù
della modestia negli sguardi, nelle parole, nei
tratti fu da lui portata al più sublime grado di
perfezione. Il segreto che egli adoperò ·per rag-
giungere questa perfezione, fu la continua occu-
pazione di mente, l'eccessiva fatica di giorno e di
notte, ed una calma ìmpertu;rbabile. Da lui si dif-
fondeva un'influenza vivificante. Io stesso posso
. dire che, stando vicino a lui, la sua presenza ,al-
lontanava da me ogni pensiero--inolesto » (866).
Al tempo stesso il santo Educatore insegnava
ai suoi figli con il suo esempio quale doveva es-
sere il loro tratto coi giovani.
La virtù della purità era come una soprav-
veste che lo copriva da capo a piedi; e quindi i
giov.ani volentieri lo avvicinavano ~ gli avevano
illimitata confide~za, conoscendo come egli fosse
innocente e puro (867). Con essi poi, dichiarava
Don Rua nel processo informativo, « usava tuti:i
i riguardi per evitare ogni cosa che potesse es-
sere di qualche pericolo » (868).
· Colpiva la modestia con cui Don Bosco trat-
tava , i giovanetti: modestia mai disgiunta dalla
677

67.10 Page 670

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più grande affabilità. Egli non usava mai con
loro quelle familiarità, che pure non disdicono
a un prete in mezzo ai fanciulli. Ordinariamente,_
nel discorrere, teneva gli occhi bassi, benchè gli
alunni si accorgessero da qualche lampo come
egli avesse un occhio finissimo e scrutatore (869).
· Don Giacomelli affermava: « Cogli stessi suoi
alunni, sebbene lo amassero tanto ed egli li ri-
cambiasse di amore paterno, tenne sempre un
contegno riservato e dignitoso, e non si permise
mai sdolcinature di nessuna fatta, come sarebbe
il baciarli od abbraéciarli. Tutt'al più, per dimo-
strare la sua contentezza per la buona ..!ondotta,
metteva loro per un istante la mano sulla spi1lla
o sul capo, o leggermente p 2rcuotevali sulla guan-
cia accompagnando sempre questa carezza co11 un
salutare ammonimento » (8?0).
<< E in queste carezze che usava con noi, ·-
scrisse il Teologo Reviglio, - vi era un non so
che ·cli puro, di così castigato, di così paterno,
che pareva infonderci lo spirito della sua ca-;tità,
a segno che noi ci sentivamo rapiti e maggid'l.·-
mente risoluti a praticare la bella virtù. Da notar-
si però che quando un alunno andava a par1argli
solo in camera, lo trattava con un riserbo ancor
maggiore; benchè ~empre affettuoso nelle parole,
non si permetteva nessuno dei segni sopraddetti,
benchè minimi, cli familiarità » (8?1).
678

68 Pages 671-680

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68.1 Page 671

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Pur .nei clamori del cortile, Don Bosco sapeva
conserv.are la sua dignità. Attesta il Can. Balle-
sio: « Sempre in mezzo ai giovani, circondato
da loro e tirato alle volte dai medesimi da una
parte e dall'altra, nelle ricreazioni, e nt>i giuochi
. di mano e di c·orsa, dimostrava una semplice,
disinvolta. e pudicissim.a sveltezza... Lasciavasi
baciar la mano, e di quest'atto servivasi p er in-
trattenere qualche giovane a cui avesse da indj-
rizzare qualche ammonimento o incoraggiamento.
Ma sia allora che poi, usciti i giovani dall'Orato-
rio, ed anche i sacerdoti, gli baciavano volentie-
ri la mano, e · questo lo facevano per un misto
di stima· e di profonda riverenza come se bacias-
sero una reliquia~ (8?2).
« Quando eravamo intorno a lui, - ricorda un
antico allievo, - la stessa sua presenza aveva
tanta attrattiva per la virtù della purità che non
si era neppur più capaci ad avere un pensiero
men che onesto; e questa stessa impressjonc la
sentivano pure i miei compagni » (8?3).
U:q. giovane gli manifestò come fosse tormenta-
to da pensieri cattivi, e Don Bosco gli diss~ sot-
tovoce: ·· « Non temere: sta solamente vicino a
me ». Altre volte ripeteva a chi si trovava in
simile ,modo angustiato: « Non temere: (:u tti que- ·
e sti pensieri immaginazioni, non sono peccato.
Sta solo attento alle ·opere. Ai . pensieri non ba-
679

68.2 Page 672

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darci più di quello che vi badaresti se fossero
mosche che ronzassero alle tue orecchie o al ru-
more di un vespaio. Queste cose provengono dal-
la tua immaginazione molto apprensiva, ma ver-
rà tempo che, ·con un solo atto della volontà, po-
trai scacciarli e non daranno più molestia )> (874).
Potremmo ingrandire assai questo magnifico
serto di testimonianze in lode della purità del
nostro Santo Fondatore, dalla cui vergìpità era
circonfuso il suo aspetto e la sua persona come
di una luce più che umana. .E come la luce non
può tollerare la vicinanza dell'ombra, così la
sua purezza liliale non poteva sopport:-ue la pre-
senza di coloro che erano affetti dal vizio opposto.
Egli aveva, si direbbe, un fiutd speciale per co-
noscerli. Una sera, si trovavano attorno a Don
Bosco Don Rua e altri Superiori. Il discorso cad-
de su certi mali morali, causa precipua della ro-
vina di tanti giovani. Don Bosco, dopo aver ascol-
tato, così esprimevasi: ~ Certi mali il difficile è
conoscerli per poterli curare. Tuttavia il Signore
usa una grande misericordia verso i nostri giovani.
Io, quando mi trovo in mezzo a loro, vi fosse an-
che uno solo immodesto, me ne accorgo per un
fetore insopportabile che tramanda; e se si av-
vicina e mi vien dato di vedere il suo ·volto, sono
sicuro di non sbagliare nel mio giudizio » (875).
Gli è per questo che certi giovani, per tema
680

68.3 Page 673

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che egli leggesse loro in fronte, si tenevano lon-
tani: E se per qualche ragione, o perchè chiamati,
dovevano andare al suo cospetto, scoprendosi per
riverenza il capo, solevano tenere il berretto in.:.
nanzi alla fronte o facevano scendere su di essa
i capelli, come se ciò bastasse a nascondere L-t
propria coscienza~
Ciò accadeva specialmente all'inizio dell'anno
scolastico, quando gli alunni, ritornati dalle va-
canze, non avevano ancora aggiustati i conti con
Dio. Sicchè, giungendo Don Bosco in cortile, si
sentiva come un volo d'uccelli, un fuggi fuggi,
e rimanev·ano con lui solo i buoni che per for-
tuna erano molti. Fuggivano quelli che avevano
la coscienza sporca: - Perchè, dicevano, Don
Bosco ci fissa gli occhi in fronte e legge tutto (876).
San Filippo conosceva costoro dall'odore; Don
Bosco anchè dalla vista (877).
Così il nostro Padre con quel- suo atteggiamen-
to prudente, candido e santo, fin dal principio
del suo apostolato e poi fino al suo ultimo respi-
ro, infuse sempre amore per la purità nei giova-
netti. Sebbene questi fossero un'accolta di gen-
te diversa e di ogni condizione e paese, ne furono
'
così compresi, e la tenevano in tale pregio, çhe lo
splendore di così bella virtù spiccava in partico-
lar modo nella maggior parte di essi. Si rivelava
nelle loro parole, nello sguardo, nel contegno
681

68.4 Page 674

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della loro persona. indicibile l'orrore che aveva-
no per il peccato. Di qui quel fondo di pietà
cara, soda e vera, che era la caratteristica dell'O-
ratorio (8?8).
Testificò il teologo Reviglio: « Si può asserire
con giuramento che, nell'Oratorio, regnava tale
ambiente di purezza che aveva dello straordi-
nario » (8?9). E ·10 prova pure la màgnifica fio-
ritura di vocazioni che sbocciavano in sì olezzante
giardino. Don Bosco stesso nel 18?8 affermava
conversando con Don Barberis: « Disse bene ierì
Don Cagliero: - Oh, quanti giovani abbiamo che
potrebbero benissimo fare ricreazione · con San
Luigi! - Sì, quanti vi sono che conservarono l'inno-
cenza battesimale e che, qui nell'Oratorio, seb-
bene nell'età più pericolosa, continuano a conser-
varla! Quanti, e sono i. più, già vinti parecchie
volte dal demonio, appena venuti qui hanno .
cambiato vita! Sembra proprio che entrino in
un'altra atmosfera: dimenticano affatto le vecchie
cattive inclinazioni e passano anni e anni in modo
da poter dire con tutta verità che non hanno fa·tto
nemmeno un peccato veniale deliberato! Questo.
ci deve consolare: questo è che mi ha spinto
sempre ad estenderci mo1to: perchè pare proprio
che, dove la Congregazione pianta le tende, ivi.
abbondi . la grazia del Signore » (880).
Queste ultime parole deJ nostro Padre sono
682

68.5 Page 675

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un monit0 e un incoraggiamento per le Case Sa-
lesiane di tutti i paesi, in tutti i climi e sotto tutti
i cieli.
g) SANTITÀ È PUREZZA.
Don Bosco, qué!,ndo parla a religiosi educatori
e tratta in particohi.re della virtù angelica, non
nasconde la · sua preoccupazione di venire su-
bito alla pratica. Ridotto per lo più l'elogio della
bella virtù a due o tre pennellate appena, scen-
de subitò sul terreno dei mezzi concreti: e qui,
scartati quelli straordinari o non confacenti alla
missione dell'educatore, propone quelli che meglio
si adattano alla condizione e alle esigenze deU'a- ·
postolato educativo.
Tuttavia noi possiamo e dobbiai:no dire che
t~tte le sue industrie pratiche a difesa della mo-
ralità ·nascono da una radice ancor più intima
e profonda: assicurare cioè ai suoi :figli, con il
]>ossesso della purità, la conquista della santità.
Egli è convinto che la purezza sia la virtù .che
p orta il Salesiano alle alte vette della santificazio-
ne. Ecco le sue testuali parole: , « Quanto sia ne-
cessaria questa virtù l'abbiamo da San Paolo:
H aec voluntas Dei, sancti-/icatio vestra: (Questa
è la volontà di Dio, la santificazione vostra). Spie- .
gando poi èome dev'essere questa santificazione,
683
\\

68.6 Page 676

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(l'Apostolo) dimostra che è il mostrarci puri come
lo fu Gesù Cristo » (881). Don Bosco viene pra-
ticamente a dimostrare l'assioma che tante volte
ebbe a ripetere: « Il Salesiano puro è un Sale-
siano santo » (882).
'
·Alla luce di questo fondamentale concetto, si
comprendono sempre meglio anche le altre espres-
sioni, che ricorrono tutte le v~lte . che Don Bosco
parla di questo argomento, e che noi abbiamo solo
in parte ricordate. Udiamolo ancora ne~ proemio
alle Costituzioni: « La virtù sommamente neces-
saria, virtù grande, virtù angelica, èui ·fanno co-
rona tutte le altre, è la virtù della castità. Chi
possiede questa virtù può applicarsi le parole
dello Spirito Santo: E mi vennero i71<sieme con lei
tutti i beni. Il Signore assicm::a che coloro, i qu,ali
posseggono questo inestimabile tesoro, anche nel-
la vita mortale diventano simili agli Angeli del
Cielo »~ Non meno esplicito fu il nostro Padre
in un'istruzione tenuta a Lanzo nel 1875: « Io cre-
do bene di venire oggi a parlarvi di una virtù,
che, secondo me, è la base di tutto, che ·deve ser-
vire di fondamento pratico di tutto l'edificio reli-
gioso, di quella virtù che, per . la sua preziosità,
vien chiamata la virtù angelica. Io i:ton so se dica
·uno sproposito; ma son di parere che chi la possiede
è sicuro di avere tutte le altre; e chi no, può ben
possederne alcun'altra: ma tutte restano offusca-
684

68.7 Page 677

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te e, senza questa, ben presto spariranno» (883)".
Don Bosco pertanto, non solo afferma che il
.Salesiano puro è un Salesiano santo, ma assicu-
ra che con la purezza vengono 'tutti i beni: e
spiega quali siano questi beni, allorchè asserisce
che la pu~ezza è la virtù cui fanno corona tutte
le altre. Con essa si è dunque sicuri di essere
santi.
,,,
Don Bosco stesso però ammonisce che la bella
virtù è continuamente esposta al.pericolo di per-
dersi, se non si prendono le debite cautele. Per
questo egli vuole che l'educatore Salesiano si ser-
va di tutti i mezzi da lui indicati per trionfare
d elle cattive inclinazioni e vivere abitualmente in
u~·atmosfera di purezza. Ora chi non vede che
ciò richiede vita così· virtuosa e santa, da esigere
quasi una volontà disposta all'eroismo?
Nel 1847 il nostro Padre udì, durante il sogno
del pergolato di rose, queste parole: « Sappi che
la via da te percorsa tra le rose significa la cura
che tu hai da prenderti della gioventù: tu vi
devi camminare con le scarpe della mortifica-
zione. Le spine per terra rappresentano le affe-
zioni sensibili, le simpatie o antipatie umane,
che distraggono l'educatore dal vero fine, lo feri-
sccmo, lo .arrestano nella sua missione, gìi impe-
discono di procedere e raccogliere corone per
la vita eterna. Le rose sono simbolo della cc1rità
685
/

68.8 Page 678

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a rdent.e, c,he deve distinguère te e 1u tti i tuoi
coadiutori. Le altre spine significano gli ostacoli,
i patimenti, i dispiaceri che vi toccheranno. Ma
non ·vi perdete di coraggio. Colla carità e colla
mortificazione, tutto supererete e giungerete alle
rose senza spine » (884) ~
Limitando le ·nostre riflessioni alle spine che,
· lungo h~tto il pergolato, tappezzavano il suolo,
rileviamo che esse erano le più .pungenti: tanto
che costrinsero Don Bosco a retrocedere fino al-
l'ini~io .del doloroso cammino per rimettersi le
scarpe, di cui aveva creduto di poter far senza.
Quelle medesime spine, nonchè le altre che si
occultavano tra le rose da tutti, i lati del pergo-
lato, .fecero indietreggiare per sempre lo stuolo
dei suoi primi seguaci, ma non riuscirono a vin-
cere il coraggio dei giovani del secondo ·gruppo,
che seguirono animosamente Don Bosco fino alle
soglie di un edifizio monumentale, ov'era una
sala tutta adorna e cosparsa di soavissime rose
senza spine.
Segno evidente che ci voleva dell'eroismo per
calpestare quelle spine penetrantissime, per trion-
fare cioè delle affezioni sensibili e praticare fino
alla perfezione la virtù della purità. Ci volèva
.i:O:somma l'esercizio eroico della carità e della
mortificazione.
. Sì, la · virtù della castità, mediante !',esercizio
686

68.9 Page 679

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eroico della mortificazione e della carità, porterà
l'educatore Salesiano fino alla vetta ·della santità.
Questa è la mèta che addita Don Bosco a tutti i
membri della Famiglia Salesiana. Egli ci vuole
casti, perchè ci vuole santi: « O Salesiani santi,
o non Salesiani » (885).
QuaÌe incitamento! quale onore! ma al tem-
po stesso, ripetiamolo, quale responsabilità!
687

68.10 Page 680

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\\
CAPITOLO IX.
IL SISTEMA PREVENTIVO,
SISTEMA DI SANTITÀ
Dando ora uno sguardo complessivo alla me-
ravigliosa struttura del sistema preventivo, quale
ci siamo sforzati di delineare, ci sentiamo pieni
di profonda ammirazione verso il nostro santo
Fondatore e Padre, che ha saputo modellare un
sistema pedagogico, ·il quale, di sua natura, esige
dagli educandi e prima ancora dagli educatori,
un eroico e costante anelito di virtù e di santità.
Don Bosco non visse che per educare cristia-
namente e così santificare i giovani.
A nove anni ha la prima illustrazione sopran-
naturale sulla natura specifica della sua miss:one:
salvare le anime dei fanciulli.
Inizia il suo apostolato, studia, diventa sa-
cerdote, fonda l'Opera degli Oratori, lavora e s1 ,
688

69 Pages 681-690

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69.1 Page 681

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sacrifica per un solo scopo· strappare le anime
dei giovani al pericolo della dannazione eterna.
Come se non bastasse, vuol completare,
estendere e perpetuare quest'opera di salvezza,
fondando due famiglie religiose e una pia Unio-
ne tra i fedeli cristiani. Ai Salesiani, alle Figlie
di Maria Ausiliatrfoe e ai Cooperatori Salesiani
fissa per programma: Anime! Da mihi animas.
Ed ecco che, per salvare tanta povera gio-
ventù, illuminato dall'Alto, forma per sè e pei
suoi uno strumento, che è il · più adatto ed effi-
cace: il sistema preventivo. Questo sistema di
educazione non ha altro scopo che mettere i gio-
vani nella morale impossibilità di commettere
il peccato, che è la morte dell'anima. A questo
fine sono subordinate e coordinate tutte le altre
attività e risorse, che costituiscono il magnifico
complesso dell'opera educativa di San Giovanni.
Bosco.
Salvare l'anima: era la prima e l'ultima pa-
rola che il nostro Padre rivolgeva ai giovani del-
l'Oratorio: « Quando un giovane entra nella Ca-
sa, - diceva, - il mio cuore esulta, perchè io
vedo in esso un'anima da salvare (886). Questo
è :non solo il principale, ma l'unico motivo per
cui venni qui all'Oratorio (887). Tutto io darei
per guadagnare il cuore dei giovani e così poterli
regalare al Signore ;i) (888).
689

69.2 Page 682

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E della importanza capitale che· ha la salvez-
za dell'anima, egli voleva .persuasi i giovani stes-
si: « Ho da dirvi una cosa di molta importanza,
e questa si è che mi aiutiate in una impresa,
in un àffare, il quale mi sta tanto a cuore: quello
di salvare le anime vostre (889). Dobbiamo mette-
re anche noi nel centro di ogni pensiero ed ope-
ra la salvezza dell'anima nostra, pronti a sacri-
ficare l'onore, la roba, la vita stessa, purchè si
salvi. l'anima » (890).
Don Bosco poi mir~va a salva.re le anime gfo-
vanili, .non comunque, ma lancia;ndole per la
via della virtù e della santità. Con u.na soda istru-
zione religiosa e la frequenza ai Santi Sacramenti
- cose essenziali per la pratica del· suo sistema
preventivo - il Santo procurava che i suoi gio-
vani vivessero in collegio, e in seguito anche nel
mo_ndo,- in continua ascesa verso la santità.
In una predica del 1862, dopo aver .descritto
le astuzie usate da Sant'Atanasio per sfuggire
alle insidie dei persecutori, finiva col dire: « San-
ti di questa sorte vorrei che vi faceste tutti voi.
Sì, miei cari, cercate sul serio di farvi santi°; ma
di quei santi che, quando si tratta di far del bene,
sanno cercarne i mezzi, non temono la perse-
cuzione, non risparmiano le fatiche: santi astuti,
che .cercano prudentemente tutti i modi per rm-
scire nel loro intento » (891).
690 .

69.3 Page 683

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Noi conosciamo i mezzi di santità che -sugge- .
riva ai giovani: mezzi caratteristici per loro
· semplicità, praticità ed efficacia: mezzi che pri-
, ma ancora aveva già proposto ai maestri e agli
assistenti.
Un ,giorno li ridusse egli stesso a imo solo:
l'ubbidienza. Aveva fatto a un chierico la seguente
domanda: « Quale credi che sia il mezzo più fa-
cile a noi per farci santi? » Gliene furono espo-
sti parecchi, ma egli, dopo aver udito in silenzio
senza interrompere, disse: « il seguente: rico-
noscere la. volontà di Dio in quella dei · nostri
Superiori, in tutto ciò che ci comandano, e in tutto
quello che ci accade lungo la vita. Alcune volte
ci .pare proprio che le cose non debbano essere così.
Allora è tempo di farci coraggio e dire a noi stes-
si: - Mi fu detto così, perciò andiamo avanti. -
Altre volte ci sentiamo oppressi da qualche cala-
mità od angustia di corpo e di spirito: non ci
perdiamo di coraggio, confortiamoci col dolce pen-
siero che tutto è ordinato da quel pietoso nostro
Padre che è nei cieli e per nostro b ene; a Lui tut-_
to offriamo, noi e le cose nostre. Questo è il mez-
zo più acconcio per arrivare con somma facilità
alla più alta perfezione. Vi sarà p er esempio chi
vuole fare penitenza, digiunare; il Superiore lo
consiglia a ciò non fare: ebbene, ubbidiamo, che
così sarenio sicuri di fare la volontà di Dio e sa-
691

69.4 Page 684

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liremo un gradino sulla scala della santità » (892).
Altra volta ribadiva lo stesso concetto: << Voglia-
mo essere sempre allegri? Siamo ubbidienti. Vo-
gliamo essere certi della perseveranza nella vo-.
cazione? Siamo sempre ubbidienti. Vogliamo an-
dare molto in alto nella santità e nel Paradiso?
Siamo fedeli ad , ubbidire anche nelle piccole
còse » (893). E nel Regolamento per gli Allievi
(capo VIII, art. 1) riassume tutto con queste pa-
role: « Il fondamento di ogni virtù in un gio-
vane è l'ubbidienza ai suoi Superiori. L'ubbi-
dienza genera e conserva tutte le altre ·virtù.
Se pertanto volete acquistare la virtù, cominciate
dall'ubbidienza ai vostri Superiori, sottometten-
dovi loro senza opposizione di sorta, come fare-
ste a Dio ».
Orbene, l'ubbidienza è a tutti possibile: a tut-
ti perciò è possibile arrivare alla perfezione del~a
virtù e della santità. E nell'Oratorio erano sem-
pre in grandissimo numero i giovanetti dei quali
si poteva affermare senza pericolo di smentita che
fossero tanti San Luigi per candore di animo e
innocenza di costumi; anzi, in alcuni di essi la
vita interiore si sviluppava anche con fenomeni
di arcane illuminazioni (894).
Ora poi possiamo aggiungere, a incoraggia-
mento nostro e dei nostri allievi, che la Chiesa
stessa ha dato il collaudo supremo e la sanzione
692

69.5 Page 685

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eccelsa al sistema preventivò di Don Bosco, e in
particolare alla capacità che esso ha di formnr
anime veramente cristiane e di plasmarr dei san-
ti. Infatti il Deereto cosiddetto del Tufo, autoriz-
zante cioè a procedere alla Beatificazione, pel
nostro angelico Domenico Savio incominciava con
queste significative espressioni:
« Che il metodo di -educazione introdotto da
San Giovanni Bosco sia ottimo, lo si deduce con
evidenza dai _frutti che raccolse egli medesimo,
e da quelli che ancor oggi raccoglie in tutfo il
mondo l'Istituto _da lui fondato. Il Santo, ricco
di sapienza e prudenza, infiammato di amore
fervente per Dio e pel prossimo, e specialmente
per la gioventù, scrutando con soprannaturale
intuito l'indole naturale di ciascuno, portò i suoi
giovanetti alla vita cristiana; anzi, ne condusse
alcuni, è in brevissimo tempo, fino alla vetta del-
la perfezione. Tra questi primeggiò di gran lun-
ga il Venerabile 1)omenico Savio èhe, nello spa-
zio di soli tre anni, con tale Maestro e Guida per-
venne ancor giovanetto a un grado eroico di vir-
». Fin qui il sullodato Decreto (895).
Oh, il sistema preventivo! È questa la ragion
d'essere di noi, educatori Salesiani: questo, il
programma del nostro lavoro: questa, la garan-
zia della nostra perseveranza e perpetuità.
Noi, come religiosi, riusciremo a santificarci,
693

69.6 Page 686

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solo e quando, come educat<;>ri, ci sforzeremo di
-f~r buo~i. e santi i nostri giovani.
Tale il senso e il fine della Società Salesiana,
secondo l'articolo primo delle Costituzioni: < I
soci, mentre si . sforzano di acquistare la perfe-
zione cristiana, eserciteranno ogni opera di ca-
rità spirituale e corporàle vers9 i giovani, spe-
cialmente i più poveri ». La missione di educatori
adunque non rappresenta per noi che il mezzo
di santificazione: ma la santificazione è alla sua
volta legata a quell'ampiezza di carità ·spirituale
e corporale, che anima tutto quanto il sistema
preventivo.
Sforziamoci pertanto, noi fortunati membri
della Famiglia Salesiana, di praticare esattamente
questo sistema nel nostro lavoro e1ucativo: e .con
la nostra vita laboriosa, esemplare e santa, oltre
che ottenere frutti copiosi di salvezza e di san-
tità, coopereremo a mettere in -sempre più chiara
-luce la figura e il sistema stesso pedagogico di
Don Bosco Educatore, nostro grande Padre e
Maestro.
Fine del I Volume.

69.7 Page 687

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NOTE
Spiegazione delle sigle
À. C. S. - Atti del Capitolo Superiore della Società Salesiana.
A. P. S. - Appunti di Pedagogia Sacra, esposti agli Ascdtti
della Pia Società di San Francesco di Sales dal Sac. Giulio
Barberia. Torino, Litografia Salesiana, 1897.
B. S. - Bollettino Salesiano.
M. B. - Memorie Biografiche di San Giovanni Bosco, in
19 volumi. A cura di Don G. B. Lemo,yne, Don A . .A.madei
e Don E. Ceria.
M. O. - Memorie dell'Oratorio di San Francesco di Sales,
scritte da San Giovanni Bosco. A cura del Sac. E. Ceria,
Torino, S.E.I., 1946.
R. E. D. - Un Ricordino Educativo Didattico d~l Sac. Fr.
Cerruti, Torino, S.A.I.D. Buona Stampa, 1910.
(1) M. B., I, 191.
(2) M. B., I, 358; ·M. O.,
p. 37, 62, 96.
(3) M. O., p. 80.
(4) M. B'., I, 143.
(5) M. B., I, 49.
(6) M. O., p. -44.
(7) M. O., p. 69-70.
(8) M. O:, p. 96.
(9) M. B., XVIII, 126.
(10) M. B., XVIII, 127.
(11) M. B., VI, 895.
(12) M. B., XVII, 85.
(13) M. B., XIX, 156~
(14) M. B., VI, 148.
(15) À. c. s., xxx (1950),
n. 157, p. 14.
(16) M. B., XVIII, 770.
(17) M. B., XVI, 248.
(18) M. B., III, 605.
(19) M. B., XVl, 238.
(20) M. B., VII, 871.
695

69.8 Page 688

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(21) M. B., XVI, 235.
(52) M. B., XV, 500.
(22) M. B., VI, 858.
(53) B.S., lugl. 1883, _p. 104.
(23) M. B., IV, 736.
(54) M. B., XIV, 132-33.
(24) Sac. G. Bosco, Il Gio- (55) M. B., XIV, 544.
vane Provveduto, I, 4.
(56) M. B., XII, 617-18.
(25) M. B., XII, 583-4.
(57) B'. S., genn. 1886, p. 3.
(26) M. B., XIII, 629.
(58) B. S., genn. 1883, p. 4.
(27) B. S., genn. 1880, p. 3.
(59) M. B., VI, 637-8.
(28) M. B., XIII, 180-1.
(60) M. B., III, 293.
(29) M. B., XV, 149.
(61) B. S., genn. 1887, p. 5.
(30) M. B., XVI, 245.
(62) M. B., III, 27.
(31) M. B., XIII, 609.
(63) A. P. S., p. 3.
(32) M. B., XVI, 245.
(64) A. P. S., p. 3.
'
(33) M. B., V, 613-14.
(65) A. P. S., p. 4.
(34) M. B., XIV, 485.
(66) A. P. S., p. 8.
(35) M. B., XVI, 66.
(67) A. P. S., p. 4.
(36) M. B., XVI, 67.
(68) Sac. FR. CERRUTI, Storia
(37) M. B., V, 59-60.
della Pedagogia in Italia,
(38) M. B., XVI, 235.
Torino, Salesiana, 1883, In·
(39) M. B., XV, 159-60.
trod., p. 3.
(40) B. S., sett. 1882, p. 147.
(69) Sac. D. VOTA, Pedagogia,
(41) Sac. G. Bosco, La forza
Torino, Litogr. Sales., p. 3.
della Buona Educazione, (70) A. P. S., p. 7.
c. III e IV.
(71) Estote ergo vos perfecti,
(42) M. B., X, 586.
sicut et Pater veste:r; cae-
(43).M. B., XII, 76.
lestis perfectus est (Matth.,
(44) M. B., XVII, 465.
V, 48).
(45) Sac. G. Bosco, Vita di
Luigi Colle, c. II,
(72) M. B., V, 367.
(73) M. B., VI, 104; VII, 233,
(46) M. B., XIV, 206-7.
292; VIII, 165.
(47) B. S., apr. 1882, p. 71.
(74) M. B., III, 115-16.
(48) Sac. G. Bosco, La forza (75) Cfr. Regolamenti della So-
della Buona Educazione,
cietà Salesiana, 1924: Re·
c. XIV.
golam. per le Case, P. II, .
(49) Ivi.
Sez. II, art. 112 seg.,
(50) Thr., III, 27; M.B., III,
A. P. S., P. I -IV, p. 54 seg.
605-6.
.
(51) M. B., XIV, 133.
(76) Sac. BART. FASCIE, Del
metodo educativo di Don
696
·- .
'
'

69.9 Page 689

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Bosco, Torino, S.E.I., 1921,
p. 26.
(77) PIO XI, Enc. Divini illius
Magistri, 31 dic. 1929.
(78) M. B., XIX, 274.
(79) Sive ergo manducatis, si-
ve bibitis, sive aliud quid
quid facitis, omnia in glo-
riam Dei facite (1 Cor.,
X, 31).
(80) San TOMMASO, Summa
Theol, Suppl., III, q. 41, a. 1
(81) San TOMMASO, II De
Verit., a. 2; I De Verit.,
a. 1; Contra Gent., I, 43.
(82) San TOMMASO, De Ma-
lo, I, 5.
(83) I-II, q. 109, a. 2-4.
(84) San TOMMASO, De Verit.,
18, 4; Comm. in Poster.
Analyt., II, lect. 1.
(85) Contra Gent., I, 29; II,
16, 52, 56; III, 3; De
Pot., III, 1, 6, 8.
(86) Contra Gent., I, 49; II,
16, 23, 45, 46; III, 8; De
Pot., I, 3.
(87) M. B., IV, 542-3; 735-55;
544-52.
(88) M. B., XIII, 112.
(89) M. B., XIII, 114.
(90) M. B., XIII, 114.
(91) M. B., V, 50-5.
(92) M. B., XIII, 557-8.
(93) .M. B., VII, 761-3.
(94) Prov., XIII, 24.
(95) M. B ., VII, 503.
(96) M. B., XIII, 553-7.
(97) M. B., XIV, 3-21.
(98) M. B., XVI, 209.
(99) M. B., XVII, 197.
(100) Cfr. Jo., X, 10.
(101) Cfr. Rom., VI, 4.
(102) Cfr. I Cor., V, 7.
(103) Cfr. II Cor., V, 17.
(104) Cfr. Eph., IV, 15.
(105) Cfr. I Cor., XII, 27.
(106) Cfr. Gal., II, 20.
(107) Cfr. Col., III, 4.
(108) Cfr. Col., III, 3.
(109) Cfr. Act., XVII, 28.
(110) Cfr. II Petr., I, 4.
(111) Cfr. I Cor., VI, 20.
(112) Cfr. I Jo., IV, 8, 16.
(113) Cfr. Lùc., XII, 49.
(114) Cfr. Matth., XXIII, 37.
(115) Cfr. Matth., XI, 28.
(116) II-II, q. 184, a. 2 et 1.
(117) M. B., II, 253-4.
(118) Sac. Euo. CERIA, La
Vita Religiosa, c. VI, 2°,
par. 2.
(119) Sac. G. BARBERIS, Vita
di San Francesco di Sales,
Torino, S.E.I., 1919, vol. II,
p. 205-6.
(120) Ivi, p. 232.
(121) Ivi, p. 232.
(122) Positio super Introduc·
tione Causae Joannis Bo-
sco Sacerdotis, X, 98, p. 511.
(123) Sac. P. ALBERA, Circo-
lari, p. 336, 342, 389.
(124) M. B., I, 123-6.
(125) M. B., II, 154.
(126) M. B., II, 153.
697

69.10 Page 690

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I
(127) M: B. ; II, 5,06.
(128) M _. B., III, 91, nota ta-.
(129) M. B., VII, 523 •6.
(130) M. B., xviI, 111. ,,,
(131) M . B., XVII, 111.
(132) M. B., XVII, 111.
(133) M. B., VI, 381.
(134) J Oor., XIII, 4, 7.
(135) M. B., IV, 553; XIV,
514.
(136) M. B., XVII, 628.
(137) M. B., II, 256.
(138) M. B., IX, 712.
(139) M ; B., XII, 106-7.
,(140) M. B., XV, 20.
(141) M. B., IX, 356-7.
(142) M. B., VII, 403,·4.
(143) M. B., IV, 557.
(144) M. B., I, 413.
(145) M. B ., I, 406.
(146) M. B., II, 256.
(147) M. B., IV, 113.
(148) M. B., III, 585.
(149) M. B., II, 532.
(150) M. B., V, 737.
(151) M. B., III, 361; V, 538.
(152) M. B., IV, 335.
(153) JJ,;I. B., III, 165.
(154) M. B., V, 166.
(155) M. B., III, 147.
(156) M. B., XVII, 482.
(157) M. B., VII, 291.
(158) Sac. G. Bosco, Il <Jio.
vane Pr()1)'1)eduto, Prer.
(159) M. 'E., I~I, 162.
(160) M. B., II, 45.
(161) Ut filios Dei, qui erant
dispersi, congregaret in u-
num _(Jo,, XI, 52). ·cfr. -
M. B., II, 75.
(162) M. B., VII, 484.
(163) M. B., XVII, 108-14.
(164) M. B., I, 406.
(165) M. B., I, 518.
(166) M. B., II, 254.
(167) M. B., VI, 890-1.
(168) M ."B., XVI, 394.
(169) M. B., III, 381.
(170) M. B., III, 382-4.
(171) M. B., III, 115-16.
(172) M. B., IV, 288.
(173) M. B., IV, 14.
(174) J Jo., IV, 16, 8.
(17°5) M. B., XVII, 93.
(176) M. B., I, 425.
(177) M. B., V, 917; VI, 320-1.
(178) M. 'E., VIII, 750
(179) M. B., VI, 445.
(180) M. B., IX, 69-70.
(181) M. B., VI, 320-1.
(182) M. B., XI, 228. .
(183) M. B., VIII, 419-20.
(184) M. B., VIII, 982.
(185) M. B.~ II, 70-5.
(186) M. B., V, 89"5-6.
(187) M. B., V, 917-18.
(188) Sac. G. Bosco, Mwhele
Magone, c. I.
(189) Sac. G. VESPIGNANI, Un
anno alla. scuola del BeatQ
Don Bosco (1876-1877), S.
Benigno Canav., 1930, c.
XI, p. 67-9.
(190) M. B., VI, 382·3,
(191) M. B., VI, 438.
(192) M. B., VI-, 444.
:698
F
'

70 Pages 691-700

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70.1 Page 691

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(193) M. B., VI, 386.
(194) M. B., VI, 445.
(195) M. B., III, 91, nota ia.
(196) M~ B., IX, 713.
.(197) M,. B., VIII, . 49.0.
(198) M . B., VIII, 490.
(199) M. B., I, 309.
(200) M. B., I, 309.
(201-) M. B., II, 93.
{20i) M. B., IX, 741.
(203) M. B., IV, 456.
(204) M. B., III, 114.
(205) M. B., VIII, 478·80.
(206) M. B., III, 116-17.
(207) M. B., XIII, 723.
(208) M. B., XIII, 716.
(209) M. B., X, 1094.
(210) M. B., X, 1192.
(211) M. B., III, 98.
(212) M. B., VII, 526.
(213) M. B., XII, 86. .
(214) M. B., XIII, 723.
(2-15) M. B., XV, 683.
(216) M. B., XVII, 63p.
(217) M. B., X, 1039,
(218) M. B., X, 1046,
(219) M. B., XIV, 383.
(220) M. B., III, 9~.
(221) M, B., XVII, 26~. ·
(222) M. B., X, 1041.
(223) M. B., XII, 455.
()324·) M. B., X, 10~4.
(225) M. B., VIII, 445.
(226) M. B., X, 1041.
(227) M. B., X, l0JH.
(228) M. B., IX, 575.
(229) M. B., XIV, 4~.
(230) M. B., III, 98.
(231) M. B., VII, 863.
(232) M. B .. X, 1078.
(233) M. B., XVII, 189.
(234) M. B., X, 1046.
(235) M. B., X, 1046•
(236) M. B., XIII, 723.
(237) M. B.·, XIV, 124.
(238) M. B., XVI-I, 267. ·
(2S9) M. B., X, 1045.
(240) M. B., X, 1094.
(2_41) M. B., XII, 81.
(242) M. B.; III, 96.
(243) M. B., X, 1038.
(244) M. B., XV-II, 266.
(245) Rom., XII, 21; M. B.,
XVII, 267.
(246) M, B., xvII; 630.
(247) M. B., XIII, 880.
(248) M. B., X, 1094-5.
(249) M. B., X, 1094.
(250) M. B., XVII, 191.
(251) M. B., IX, 384-5.
(252) M. B., XII-, 493.
(253) M. B., XV, 144; XIII,
258.
(254) M. B., XVII, 266.
(255) M. B., XVII, 191.
(2·56) M. B., XVII, 260-1.
(257) M. B., X, 1102.
(258) M. B., XIII, 258.
(259) M. B., XIII, 118.
(260) M. B., XVI, 420.
(261) M. B., XIV, _44.
(262) M. B., X, 1052.
(263) M. B., X, 1051,
. (264) M. B., X, ll_02.
(265) M. B., XVII, 19_1.
(266) ]V. B., X, 1043.
699

70.2 Page 692

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(267) M. B., XVII, 266.
(268) M. B., X, 1052.
(269) M. B., VII, 863.
(270) M. B., XVII, 630.
(271) M. B., XIV, 44.
(272) M. B.', XI, 352.
(273) M. B., X, 1022.
(274) M. B., IX, 721.
(275) M. B., X, 1103.
(276) M. B., XIII, 29, 40, 856
876; VI, 409; XII, 242;
XV, 346.
(277) M. B., XIV, 514.
(278) M. B.,.XV, 183.
(279) M. B., VIII, 446.
(280) M. B., XIV, 124.
(281) M. B., III, 95.
(282) Charitas patiens est, be-
nigna est... omnia suffert,
omnia sperat, omnia su-
stinet (I Cor., XIII, 4, 7).
(283) M. B., XII, 456.
(284) M. B., XII, 457.
(285) M. B., XVII, 296.
(286) Jo., XIII, 34; XV, 12.
(287) M. B., XII, 630.
(288) M. B., X, 1038.
(289) M. B., XII, 631.
(290) M. B., IX, 574.
(291) M. B., XI, 353.
(292) M. B., XIII, 303-4.
(293) Ps., CXXVI, 1.
(294) M. B., XVI, 447.
(295) M. B., VIII, 980.
(296) M. B., XII, 146.
(297) M. B., XV, 176.
(298) M. B., VII, 484.
(299) M. B., VII, 484.
(300) M. B., X, 821.
(301) M. B., VI, 385 e 405;
X, 9, 1044.
(302) M. B., VI, 385-6.
(303) M. B., XVI, 453.
(304) M. B., X, 1078.
(305) MaUh., XXV, 21.
(306) M. B., XII, 458.
(307) M. B., XIII, 870.
(308) M. B., XII, 598.
(309) M. B., IX, 712-13.
(310) .A.men dico vobis, quam-
diu fecistis uni ex his fra-
tribus meis minimis, mihi
fecistis (Matth., XXV, 40).
(311) M. B., I, 136.
(312) M. B., III, 362.
(313) M. B., X, 373.
(314) Sac. G. Bosco, Francesco
Besucco, c. XVI.
(315) M. B., IX, 736.
(316) M. B., XII, 132-3.
(317) M. B., IX, 357.
(318) M. B., IX, 713.
(319) M. B., IX, 357.
(320) M. B., IX, 713.
(321) M. B., IX, 372.
(322) M. B., XII, 263.
(323) M. B., VI, 392-3.
(324) M. B., IX, 316.
(325) M. B., VI, 382.
(326) M. B., III, 6,08 e 586.
(327) M. B.,XVII,113;II,384.
(328) M. B., VI, 4.
(329) M. B., XVI, 168.
(330) M. B., II, 384; IV, 117;
VI, 272, 743; VII, 272, 531,
752.
700

70.3 Page 693

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I
(331) M. B., VI, 22, 2.43.
sidente dell'Associaziono
(332) M. B., III, 138. .
Nazionale dei Mutilati, nel•
(333) M. B., XI, 226; VIÌI,
la Commemorazione Civile
(151; IX, 886.
di D. Bosco a Milano, dopo
( 334) M. B., III, 179-80.
la Canonizzazione; M. B.,
(335) M. B., XII, 356-7.
XIX, 355-6.
(336) M. B., IX, 813, 815.
(364) M. B., IV, 339.
(337) M. B., II, 384.
(365) M. B., XI, 151.
(338) M. B., I, 343.
(366) M. B., VIII, 348.
(339) M. B., I, 261.
(367) M. B., VI, 306.
(340) M. B., I, 374.
(368) M. B., VIII, 39.
(341) M. B., I, 387.
(369) M. B., VII, 556.
(342) Eccle., III, 12; M. B., II, (370) M. B., VII, 812.
524.
(371) M. B., V:, 845-6.
(343) M. B., II, 99.
(372) M. B., X, 1101-2.
(344) M. B., V, 673.
(373) M. B., XI, 253.
(345) M. B., VII, 223.
(374) M. B., VII, 599.
(346) M. B., IV, 251.
(375) M. B., VIII, 77.
(347) M. B., XVIII, 376.
(376) L. O., c. II.
(348) M. B., VIII, 302-3.
(377) M. B., X, 1101.
(349) Tit., III, 4.
(378) M. B., XIV, 44.
(350) M. B., VI, 400-1.
(379) M. B,, XVIII, 188.
(351) M. B., III, 586.
(380) M. B., XIV, 846.
(352) Sac. G. Bosco, Domenico (381) M. B., XIV, 846-7.
Savio, c. XVIII.
(382) M. B., XIV, 849.
(353) M. B., X, 648.
(383) M. B., X, 1021·22.
(354) M. B., X, 648.
(384) M. B., XIV, 849-50.
(355) M. B., X, 616.
(385) M. B., V, 845. Cfr. Re-
(356) M. B., VI, 387.
golam: , 89, 2°.
(357) M. B., X, 1034.
(386) Hebr., XIII, 17.
(358) M. B., VI, 440-1.
(387) Luc., X, 16.
(359) M. B., VIII, 751.
(388) M. B., XII, 146.
(360) M. B., VI, 425.
(389) M. B., IV, 749.
"
(361) M. B., IV, 554.
(390) M. B., XIV, 848.
(362) M. B., VI, 814-15.
(391) M. B., XIII, 248.
(363) Carlo Delcroix, Grande (392) M. B., XIV, 844-5.
Mutilato di guerra, già De- · (393) Matth., XII,. 25.
putato al Parlamento e Pre- (394) M. B., X, 1019.
701
'

70.4 Page 694

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(395) M. B., XIV, 849.
(396) Charitas ex Deo · est..•
Deus charitas est (I Jo.,
IV, 7, 8).
.(397) Mare., X, 14; M; B.,
IV, 553.
(3~8) M. B., XVI, 168.
(399) M. B., XVI, 16.
(400) .M. B., XIV, .849; X,
1022.
(401) M. B., XIV, 841.
(402) M. B., XVII, 387.
(403) M. B., IX, 840.
(404) M. B., XII, 806.
(405) M. B., IV, 553; XIV,
849.
(406) M. B., IV, 384.
(407) M. B., X, 1042; IX, 460.
(408) M. B., X, 1103.
(409) M. B., X, 1019.
(4Ì0) M. IJ., X, 1103.
(411) M. B., VI, 390-1.
(412) M. B., XIV, 444.
(413) M. B., VI, 1004.
(414) M. B., XVII, 468.
(415) M. B., XIV, 842.
(416) M. B., X, 1022.
(l17) M. B., X, 1021.
(418) M. B., X, 1021.
(419) M. B., XVII, 197-200_.
(420) M. B.1 III, 488-9.
(421) M. B., XII, 49.
(422) M. B., XIII, 421.
(423) M. B., III, 356-7.
(424) M. B., VI, 71-2.
·(425) M. B., III, 592.
(426) M. B., III, 534.
(427) M. B., VI, 435.
(428) M. B., III, 119.,
(429) M. B., VI, 403.
(430) M. B., VII, 50.
(431) M. B., V, 507.
(432) M. B., XII, 397.
(433) M. B., VI,. 449, 70.
(434).M. B., XI, 203.
(435) M. B., VI, 306-7.
(4~6) M. B., VIII, 85.
(437) M. B., III, . 111, nota
l", 3.
(438) M. B., X, 1019.
(439) M. B., VI, 173.
(440) M. B., VI, 69.
(441) Regolamento per le Case,
1920, . art. 551; M. B.,
III, 100.
(442) M. B., VI, 991.
(443) M. B., XII, 446.
(444) M. B., III, 111.
(445) M. B., XIII, :875.
(446) M. B., III, 99.
(447) M. B., X, 1022.
(448) M. B., X, 1019.
(449) M. B., XIV, 839.
(450) M. B., VII, 556; XI,
221.
(451) R'1golame;,,_to per le Case,
1920, art. 544.
(452) M. B., V, 672; VII, 837.
(453) M. B., XVII, 199.
(454) M. B., XIII, 267.
(455) M. B., XI, 25.
(456) M. B., IX, 576.
(457) M. B., XIV, 840.
H58) M. B., VI, 402.
(459) M. B., X, 1020.
(460) M. B., XIV, 840.
702

70.5 Page 695

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(4.61) M. B., XIV, 840.
(498) M. B., III, 614-16.
(462) M. B., XIV, 840.
(499) M. B., VIII, 752.
(463) M, B., Ili, 177.
(500) M. B., VI, 303.
(464) M. B., VI, 773.
(501) M. B., VI, 412-13.
(465) M. B., IX, 576.
(502) M; B., VI, 2t2.
/
(466) Regolamento per le Case, (503) M. B., XIV, 357.
1920, art. 819, 820; 825=.
(504i M. B., VI,414;X,1043-4.
, (467) M. B., X, 1020.
(505) Vivus est enim sermo
· (468) M. B., XIV, 838.
Dei , et efficax, et penetrà-
(469) M. B., XIV, 838.
bilior . omni gladio ancipiti;
(470) M. B., X, 1103.
et pertingens usque ad di-
(471) M. B., X, 1020.
visionem a:niinae ac spiritus,
(472) M. B., VII, 854.
compagum quoque ac me-
(473) M. B., XI, 355; X, 1119.
du1Jarum, et discretor cogi-
(474) M. B., IV, 339, 405.
tationum et ·intentionum
(475) M. B., X, 1020.
cordis (Hebr., IV, 12).
(476) M. B., X, 38.
(506) M. B., VI, 414-20.
(477) M. B., XIII, 84.
(507) M. B., VIII, 949-51.
(478) M. 13., V, Ù4·5.
(508) M. B., III, 617.
(479) M. B., IX, 708.
(509) M. B., X, 1031.
(480) M. B., X, 1177.
(510) M. B., VI, 813, 406-11.
(481) M. B., XI, 583.
(511) M. B., VI, 439-40.
(482) M. B., IX, 707.
(512) M. B., VI, 441-2.
(483) M. B., XIII, 86.
(513) M. B., III, 616-17; VI,
(484) M. B., X, 1119.
442.
(485) M. B., XI, 355; X i 1119. (514) M. B., VI, 421. .
(486) M. B., IX, 403.
(515) M. B., VI, 420-22.
(487) M. B., X, 1020.
(516) M. B., VII, 672.
(488) M. B., XIII, 272.
(517) M. B., III, 616.
(489) M. B., X, 1043.
(5-18) M. B., VI, 304.
(490) M. É., XVI, 440.
(519) Eccli., XIX, 1; , M. B.
(491) M. B., VII, 520.
VI, 100.
(492) M. B., VI, 390.
(520) M. B., XI, 17; VII, 509.
(493) M. B., IX, 68.
(521) I Thess., V, 21.
(494) M. B., VIII, 132.
(495) M. B., XII, 145.
(496) M. Ji., III, 587.
(522) M. B., IV, 554.
(523) M. B., IV, 553-4.
(524) Vae mihi, quia ¼cui
(497) M. B., III, 114.
(Is., VI, 5).
703

70.6 Page 696

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•. ..
' (525) M. B., XII, 44.
(557) M. B., XIV, 850.
(526) M. B., XVII, 630.
(558) M. B., IX, 357.•
(527) M. B., VII, 508-9.
(559) M_. ]!., IV, 562,
(528) M. B., III, 105; XVI, (560) M. B., XIV, 850.
440.
(561) M. B., VI, 392.
(529) M. B., II, 154; XI, 17. (562) M. B., IV, 562.
(530) M. B., VII, 508.
(563) M. B., VI, 392.
(531) M. B., VI, 890-1.
(564) Regolamento per le Case,
(532) M. B., X, 1018.
1920, . art. 543, 531, 486.
(533) M. B., VI, 391.
(565) M. B., XIV, 850.
(534) M. B., XI, 346.
(566) M. B., XVI, 417.
(535) Lite,, XXI, 19; M. B., (567) M. B., XIV, 845.'
XII, 457.
(536) M. B., XI, 346.
(568) M. B., XIV, 846.
(569) M. B., XIV, 850.
(537) M. B., XII, 627.
(570) M. B., IX, 840.
(538) Impatiens operabitur (571) M. B., XIII, 292.
stultitiam (Prov., XI:V, 17). (572) M. B., XVI, 417.
(539) M. B., XI, 17.
(540) Tu es ille vir (II Reg,.
(573) M. B., XIII, 830.
(574) lvf. B., XIII, 114.
XII, 7).
(575) M. B., VI, 610-11.
(541) M. B., IV, 552.
(576) M. B., III, 115.
(542) M. B., III, 104.
(577) M. B., XIII, 826.
(543) M. B., VI, 391-2.
(578) M. B., VIII, 77.
(544) M. B., III, 104-5.
(579) M. B., IV, 559.
(545) M. B., III, 102.
(580) M. B., IV, 561.
(546) M. B., VI, 391.
(581) M. B., IV, 562.
(547) M. B., XVI, 444.
(582) M. B., IV, 562-3.
(548) M. B., IX, 67.
(583) M. B., IV, 564.
(549) M. B., XII, 88.
(584) M. B., IV, _565.
(550) M. B., III, 52.
(585) M. B., IV, 566.
(551) M. B., VI, 102.
(586) M. B., V, 166; XVII,
(552) M. B.·, XVI, 439 seg.
367; IV, 341.
(553) M. B., III, 89.
(587) M. B., VI, 391; VIII,
(554) M. B., X, 1022.
40 e 43; XII, 58L
(555) M. B., VII, 762, 274; (588) M. B., VI, 397.
VI, 303; XVI, 445.
(589) M. B., VIII, 81-4.
.
(556) M. B., VII, 524;X, Hl 25, (590) M. O., 205.
1047; IV, 566.
(591) M. B., IV, 12.
704

70.7 Page 697

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(592) M. B., IV, 288.
(593) M. B., XVII, 190.
(594) M. B., XI, 222.
(595) M. B., VI, 94.
(596) M. B., X, 1024.
(597) M. B., VI, 94. .
(598) R. E. D., 13·14.
(599) M. B., YI, 68.
(600) M. B., X, 1018-19_-
(601) M. B., XI, 25 e 429.
(602) M. B., VII, 856.
(603) M. B., VI, 815.
(604) R. E. D., 29 seg.
(605) M. B., X, 1103.
(606)]M. B., VI, 390.
(607) M. B., VII, 525; X, 1042.
(608) Cfr. Sac. P. RIOALDONE,
Oratorio Festivo, Oatechis'rrw,
Formazione Religio.~a, .Col-
lana • Formazione Salesia-
na •, L. D. C., 1941.
(609) M. B., II, 349.
(610) M. B., IV, 672.
(611) M. B., III, 128.
(612) M. B., VI, 302.
(613) M. B., VII, 54-5 e 855-6.
(614) M. B., VÌI, 855.
(615) M. B., XI, 433.
(616) M. B., VII, 856.
(617) M. B., V, 496.
(618) M. B., VI. 390; X, 1103.
(619) M. B.; VII, 856.
(620) M. B., VII, 856.
(621) M. B;, XIV, 842.
(622) M. B., XIV, 841.
(623) M. B., X, 1021.
(624) M. B., VII, 855.
(625) M. B., VII, 855.
(626) M. B., XIV, 841.
(627) M. B., X, 1103.
(628) M. B., XIV, 847.
(629) M. B.,.VII, 855.
(630) M. B., XIV, 841.
(631) M_. B., VII, 856.
(632) M. B., XIV, 841.
(633) M. B., VI, ·390.
(634) M. B., X, 1042.
(635) M. B., X, 1021.
(636) M. B., VII, 855.
(637) M. B., X, 1042.
·(638) M. B., X, 1020; XIV,
840.
(639) I," q. 117, a. 1.
(640) M. B., XI, 218; XIV,
838.
(641) M. B., III, 103.
(642) M. B., XIV, 838.
(643) A. O. S., XXVI (1946)
n. 138 bis.
(644) M. B., XI, 291.
(64q) M. B., XIV, 838.
(646) M. B., X, 1023.
(647) M. B., VII, 855.
(648) M. B., XI, 218.
(649) Sac. FR. CERRUTI, Cir-.
colare, 15 ottobre 1894.
(650) M. B., X, 1103.
(651) M. B., VII, 855; X, 1038;
VI, 390.
(652) M. B., XI, 217-18.
(653) M. B., XI, 291-2.
(654) M. B., VII, 856.
(655) M. B., XI, 218.
(656) M. B., XIV, 841.
(657) Sac. FR. CERRUTI, Cir-
colare, 15, ottobre 1894.
705
23 (I)

70.8 Page 698

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(658) Paradiso, c. 5, vv. 41-2;
Sac. FR. CERRUTI, Circolare,
15 ottobre 1894.
(659) Sac. RENATO Z10 010TT1,
Don Francesca qerruti, To•
rino, S.E:I., pag. 288. ·
(660) M. ·B., X, 1042.
(661) Sac. FR. CERRUTI, Cir-
colare, 15 ottobre 1894.
(662) R. E. D., p . 16-17.
(663) M. B., ·vI, 290.
(664) M. B., II, 279.
(665) M. B., VI, 294.
(666) M. B ., VI, 884 e 958;
VII, 666; VIII, 419.
(667) M. B., VIII, 782-3.
(668) M. B., IX, 282-3:
(669) M. B., XIV, 547.
(670) M. B., XV, 678.
·(671) Sac. FR. CERRUTI, Cir-
colare, 15 ottobre 1894.
(672) Sac. FR. CERRUTI, Cir-
colare, 15 ottobre 1894.
(673) M. B ., XI, 295.
(674) M. B., IV, 634.
(675) M. B., XIII, 432.
· (676) M. B., VII, 856.
(677) M. B., V, 397-8.
(678) M. B., VII, 514-16.
(679) M. B., VII; 464.
(680) Sac. FR. CERRUTI, Cir-
colare, 16 agosto 1910.
(681) M. B., XIV, 644.
(682) M. B ., XI, 15.
(683) M. B ., VII, 581.
(684) M. B., V, 361.
(685) M. B., VI, 1071.
(686) M. B., VI, 363.
(687) M. B., VII, ~17.
(688) M. B., VII, 817 . .
(689) M. B., XIII, 246.
(690) M. B., VII, 818.
(691) M. B., VII, 818.
92) M. B., VII, 818.
(693) M ~B., VII, 822:
(694) M h3., III, 176.
(695) M. B., VII, 825.
(696) M. B., IX, 401.
(697) M. B., VII, 828.
(698) M. B., VII, 837.
(699) M. B., VI, 393.
(700) M. B., VI, 394.
(701) M. B., XI, 125. .
(702) M. B., VI, 395-6.
(703) M. B., IV, 553;
(704) M. B., VI, 395.
(705) M. B., XI, 459.
(706) M. B., VII, 523.
(707) M. B., III, 95.
(708) 1)1. B., XI, 232; VIII,
941.
(709) M. B., XIII, 90.
(710) M ~B., XVI, 45.
· (711) M. B., VI, 437.
(712) M. B., IX, 742.
(713) M. B., XII, 137.
,(714) M. B., III, 357; ·v, n.
(715) M. B., VIII, 19.
(716) M. B., III, 143.
(717) M. B., VI, 352.
(718) M. B:, IV, 553.
(719, M. B., V, 755.
(720) M. B., II, 557.
(721) M. B., X, 1024.
(722) M. B., VI, 97.
(723) M. B., XI, 222.
,706
\\

70.9 Page 699

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(724) M. B., XI, 459.
(725) M . B., VIII, 76.
(726) M. B., X, 317.
(727) M. B., VI, 813.
(728) M. B., V, 562.
(729) M. B., I, 210-11.
(730) M. B., VI, 816.
(731) M. B., VII, -'> 56.
(732) M. B., VIII, 226.
(733) M. B., IX, 357.
(734) M. B., IX, 1038.
(735) M. B., X, 1037.
(736) M. B., XIV, 849; IX,
68-70.
(737) M. B., X, 821.
(738) M. B., X, 1086.
(739) M. B., XII, 626.
(7 40) M. B., XII, 83.
(741) M. B., XVII, 262.
(7 42) M. B., IV~ 117.
(743) M. B., XVII, 61?,
'744) M. B., V, 654.
(745) M. B., X, 1096.
(7 46) M. B. , IX, 403.
(747) M. B., X, 1018.
(748) M. B., VI, 115.
(749) M. B., X, 1019.
(750) M. B. , XIV, 845. .
(751) M. B., VI, 69·70.
(752) M. B., XVI, 313.
(753) R. E. D., p. 16; M. B.,
VIII, 1910.
(754) M. B., X, 1104.
(755) M. B., V, 485.
(756) M. B., X, 1118; XI,
241.
(757) M. B., XI, 353-4.
(758) M. B., XVII, 185.
(759) M. B., XV, 487• .
(760) M. B., IX, 705-10.
(761) M. B., X, 1089.
(762) M. B., XI, 581-3.
(763) M. B., XII, 15-23.
(764) M. B., XII, 564.
(765) M. B., XIII, 799.
(766) M. B., IX, 706.
(767) Sap., VII, 11.
(768) M. B., XII, 224.
(769) M. B., XII, 15.
(770) M. B., XIII, 799.
(771) M. B., IX, 706.
(772) Sac. G. B. LEMOYNE,
~ Vita di San GiO'Vanni Bo-
sco, vol. II, p. 210.
(773) M. B., XIII, 83.
(774) M. B.,' VIII, 298.
(775) M'. B., XI, 299.
(776) M. B., XIII, 69.
(777) M. B., XIII, 82.
(778) M. B., XIII, 808.
(779) M. B., XIII, 247.
(780) M. B., XVII, 367.
(78:Ì) M. B., XVII, 262.
(782) M. B., XVI, 415-16.
(783) M. B,, XVII, -659.
(784) M. B., XI, 581.
(785) M. B., IX, 706.
(786) M. B., X, 1089.
(787) M. B., IX, 707.
(788) M. B., XI, 583.
(789) M. B., X, 1089-90.
(790) M. B., XIII, 85.
(791) M. B., XI, 583.
(792 M. F/., XI, 356.
(793) M. B., XII, 2-2.
(794) M. B., XI, 583.
. 707

70.10 Page 700

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I'·
(795) M. B., IX, 403.
(831) Job, XXXI, 1;· M. B.,
(796) M. B., IX, 707.
IX, 706; X, 1089.
(797) M. B.; I:X., 707, . 355, (832) M. B., IX, 706.
922; XI, 583.
(833) M. B., XVII, 262.
(798) M. B., XI, 356.
(834) M. B., X, 1089.
(799) M. B., IX, 403.
(835) M. B., X, 1089.
(800) M. B., III, 466.
(836) M. B., IX, 706.
(801) M. B_., V, 166.
(837) M. B., X, 1089.
(802) M. B., IX, 403.
1,
(803) M. B., XI, 583.
(838) M. B., XII, 20•21.·
(839) IJ!. B., X, 1119.
(804) M. B., XIII, 86.
(840) M. Ii., VII, 85.
(805) M. B., IX, 922.
(841) M. B., IX, 707.
(806) M. B., XI, 583.
(842) M. B., XIV, 551.
.(807) M. B., IX, 922.
(843) Sac. P. RIOALDONE, I
(808) M. B., V, 165.
(809) M. B., IX, 922.
Voti, Castità, Collana • For-
mazione Salesiana •, L.D.C.
(810) M. B., X, 1042.
p. 68-72.
($11) M. B., IX, 403.
(844) M. B., XII, 15-16.
(812) II Oor., IV, 7; M. K, (845) M. B., XI, 354.
IX, 708.
(846) M. B., IX, 708.
(813) M. B., VII, 85.
(847) M. B,, X, 1089.
(814) M. B., V, 165.
(848) M. B., XIII, 805.
(815) M. B., XI, 583.
(849) M. B., XIII, 804.
(816) M. B., XIV, 845.
(850) M. B., XII; 565.
(817) M. B., VI, 704. ..
(851) M. B., IX, 710.
(818) M. B., XVI, 414.
(852) M. B., IX, 710. ,
(819) M. B., XVII, 377. .
(853) M. B., XIII, 85.
(820) M. B., IX, 707.
(854) M. B., XVI, 416.
(821) M. B., IX, 706.
(855) M. l;J., XI, 354; X, 1118.
(822) M. B., XVII, 269.
(856) M. B., XVI, 416-17.
(823) M. B '. , XI, 581-2.
(857) M. B., X, 1042-3.
(824) M. )3., XI, 581.
(858) M. B., XI, 354-5.
(825) M. B., VII, 85. .
(859) M. B., X, 1118. .
(826) M. B;, XI, 582.
(860) M. B., XVII, 268.
(827) M. j]., IX, 710.
(861) M. B., XI,. 355.
(828) M. B., XII, 17.
(862) M. B., XIII, 247.
(829) M. EJ., XII, 18-19.
(863) M. B., X, 35.
(830) M •.B., XIII, 279.
(864) M. B., III, 591.
708

71 Pages 701-710

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71.1 Page 701

▲back to top
(865) M. B., V, 158.
(866) M. B., VII, 81.
(867) M. B., V, 167.
(868) M. B., X, 36.
(869) M. B.,-IX, 387.
(870) M. B., III, 591.
(871) M. B., V, 168.
(872) M. B., V, 167.
(873) M. B., V, 168.
(874) M. B., VII, 554.
(875) M. B., VI, 464.
(876) M. "B., VI, 464.
(877) M. B., VII, 556.
- (878) M._B., V, 169.
(879) M. B., V, 164.
(880) M. B., XIII, 888.
(881) M. B., V, 1089• .
(882) Sac. P. RICALDONE,-:'."I
Voti, Castità,, p. 7.
(883) M. B., XI, 581.
(884) M. B., III, 35.
(885) M. B., X, 1078.
(886) M. B., VIII, 40.
(887) M. B.,\\rtI, 504.
(888) M. B., VII, 250.
(889) M. B., VII, 504.
0
(890) M. B., VIÌI, 927.
(891) M. B., XII, 281.
(892) M. B., .VII, 249.
(893) M. B., XIII, 210.
(894) M. B., V, 725.
(895) A. a. s., xxx (1950),
n. 161, p. 15.
709 "

71.2 Page 702

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71.3 Page 703

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INDICE
PREFAZIONE •. •.•..•• •.... . . . . . . . . . . . . . • Pag-. v
INDICE GENERALE _ . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
XI
INTRODUZIONE. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . >>
1
1. Brevi cenni sull,a preparazione di Don
Bosco all' apostol,ato educativo . . . . . . . . . >>
3
2. Don Bosco educatore e pedagogista . . . . .
23
a) Doverosa chiarificazione............
25
b) La scienza pedagogica di Don Bosco
30
e) Don Bosco scrittore di materie peda-
. gogiche ..... . .,. . . . . . . . . . . . . . . . . . .
37
d) Il << sistema educativo >> di Don Bosco >> 53
e) Particolare responsabilità della Fami-
glia Salesiana .. '. . . . . . . . . . . . . . . . . . >> 54
PARTE PRIMA
DON BOSCO
DI FRONTE AL PROBLEMA EDUCATIVO
CAPITOLO PRIMO - Don Bosco Apostolo
dell'educazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ~ 63
711

71.4 Page 704

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I. Importanza. e necessità dell,a Educazione .Pag. 36
2. Il triste quadro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . t 72-
S. Miserando stato delle fanciulle ....-: . . . . >> 74
4:. Le cause . . . . . . . . . . . . . . : .... -. . . . . . . . . » 75
5. Dovere dei genitori ................ ; . . . >> 78
6. La missione dei Cooperatori . . . . . . . . . . .
81
7. Ardore di Don Bosco per l'educazion~
della gioventù ....·.............. -. . . . .
86
CAPITOLO SECONDO - Il concetto di educa-
zione secondo Don Bosco .... .: . . . . . . .
88
1. Una domanda legittima ..............·
88
2. Il primo professore di << Pedagogia Sacra >>
90
3. La definizione di Educazione data da
Don Bosco . ·. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 96
4. Brevi considerazioni sulla definizione di
Don Bosco . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
98
5. Formazione integrale . . . . . . . . . . . . . . . . >>' 104
6. Il concetto di Educazione secondo San
Tommaso ..... -................ ·.....
112
a) L'anima è signora del corpo . . . . . . . >> 114
b) Il primato della volontà . . . . . . . . . . .
115
c) Dio e la pedagogia ...... ·......... : .
116
d) Natura e grazia........... .. ......
117
e) Il procedimento educativo ......... ' » 118
/):Educatore ed educando . . . . . . . . . . . .
120
712

71.5 Page 705

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'
P.A,BTE SECONDA
IL SISTEMA PREVENTIVO
Premessa
Pag. 125
SEZIONE PRIMA
Elementi fondamentali dell'educazione
CAPITOLO PRIMO - Il sistema . . . . . . . . . . . . . .
129
I. L'opuscolo sul Sistema Preventivo . . . .
129
2. Specificazioni del pensiero di Don Bosco
sul suo sistema . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
132
a) Alcune. conversazioni di Don Bosco t 133
1) Col ministro Rattazzi, 133
2) Col Prefetto di Torino, 138
3) Col Maestro Bodrato, 141
b) Una Buona Notte sul Sistema Pre-
ventivo ..................... _·. . . .
é) Altri accenni del santo Educatore. . .
3. Il principio informatore del Sistema
Preventivo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
a) Il fondament<! dell'amore ......... .
>> 143
» 146
148
)} 148
1) L'educazione opera di amore, 149
2) L'amore essenza della vita cristiana, 149
3) San Francesco di Sales, Santo dell'amo-
re, 153
4) Don Bosco e la sua missione d'amore, Hl7
713

71.6 Page 706

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b) L'amore, anima del Sistema Pre-
ventivo .......................... Pag. 162
1) Il Sistema. Preventivo nel pensiero di Don
Bosco, 162
2) L'amore nel Sistema Preventivo, 166 .
3) Come Don Bosco amava i suoi giovani, 17 4
4) Una lettera di Don Bosco, 181
e) Le manifestazioni della carità ....
190
1) La dolcezza, 190
2) La confidenza, 197
I. Sua utilità, 197
;II. Come avvicinare i giovani: esempi di Don
Bosco, 201
·
A. All'inizio df)lla sua missione, 201
B. Don Bosco in Trastevere, 209
C. Don Bosco in Piazza del Popolo, 210
D. Don Bosco e Michele Magone, 212
E. • Vadai alla pompa! », 216
III. Mezzi per guadagnare la confidenza, 219
A. Le udienze particolari, 219
B. Le buone maniere, 222
CAPITOLO SECONDO - Gli educatori
1. Il Direttore come Padre . . . . . . . . . . . . . .
a) Vita di famiglia . . . . . . . . . . . . . . . . . .
b) Requisiti del Padre . . . . . . . . . . . . . .
e) Il Direttore come centro dell'autorità
e della responsabilità . . . . . . . . . . . .
d) Uffici del Direttore . . . . : . . . . . . . . . .
1) Dirigere, 23·3
2) Consiglia.re e correggere, 240
3) Vigµare, 242
() Altri doveri del Direttore, 246
)) 229
230
» 230
>> 232
>> 235
238
714

71.7 Page 707

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2. I collaboratori ..................... . Pag. 251
a) Il Prefetto ...................... . » 251
b) Il Catechista ................... . >) 252
c) Il Consigliere e gli altri Superiori .. )) 254
3. Requisiti dell'educatore ............. . » 257
a) La figura ideale dell'educatore secon-
do Don Bosco ................... . )) 257
b) Doveri dell'educatore
>) 260
1) Amare i giovani, 260
2) Essere paziente, 261
3) Coltivare l'intesa. reciproca, 263
4) Pregare per i giovani, 266
5) Operare con costanza e con rettitudine d'in-
tenzione, 267
4. La ricompensa dell'educatore . . . . . . . . . .
269
CAPITOLO TERZO - Gli educandi . . . . . . . .
271
1. I m'f>()rtanza della conoscenza dei giovani
271
2. Mezzi per conoscere i giovani . . . . . . . .
276
3. L'indole dei giovani . . . . . . . . . . . . . . . .
280
4. I giovani pericolosi . . . . . . . . . . . . . . . . . . >> 282
SEZIONE SECONDA
Il metodo
CAPITOLO QUARTO - La disciplina come
mezzo generale di educazione . . . . . . >> 285
1. Amorevolezza e disciplina . . . . . . . . . . . . » 285
a) Autorità educatrice e perciò amorevole
285
715

71.8 Page 708

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b) La mancanza di amorevolezza ... . '.Pag. 291
e) Servire il Signore in letizia ....... . >) 294 ·
d) Costante allegria del Padre .... , .
296
e) Sua allegria in mezzo ai giovani ·... . )) 301
2. Da disciplina educativa ............. . >) 309
a) La disciplina all''Oratorio di Valdocco >) 309
b) Concetto di Don·Bosco sulla disciplina
316
c) Importanza della disciplina ....... .
319
d) Mezzi per ottenere la disciplina
320
1) Rispetto al fanciullo, 320
2) Non eccedere, 322
3) Educare al rispetto verso i Superiori, 323
() Rispetto reciproco tra i Superiori, 326
APPENDICE AL CAPITOLO QUARTO - Una
esperienza disciplinare moderna: « Il
villaggio dei ragazzi>> . . . . . . . . . . . . . . .
330
a) Il nome .... ·.... ...... ·.............
332
b) Autogoverno? . . . . . . . . . . . . . . ... . . . .
334
e) Princìpi informativi ..... : . . . . . . . . .
336
CAPI,TOLO QUÌNTO_- L'assistenza come mez-
zo fondrunentale di disciplina . . . . . . . .
346
I. Concetto dell'assistenza . . . . . . . . . . . . . . .
346
2. Importanza dell'assistenza . . . . . . . . . . . . >> 351
3. J;;'assistenza come deve ess~re. ; .... .- ; . . . >> 352
a) Assistenza positiva ..._............ .
b) L'assistenza, opera di amore . . . . . . . .
e) Assistenza solidale . . . . . . . . . . . . . . . .
>> 352
355
» 357
716

71.9 Page 709

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d) -:AJtre qualità dell'assistenza ...-..... Pag. 361
ef Cose da evitarsi durante l'assistenza .• >> _3Q7
f) Particolare vigilanza sl.ille letture ·cat·-
369
tive •............ ..................
369
1) I libri, 369
2') Giornali e riviste, 375
3. Rèsponsabilita degli assistenti ....... .
· 4. Don Bosco assistente modello ......... ·.
5. L'assistenza negli ambienti partioclari .
377
» 378
388
a) In Cl;ti~sa ....................... .
b) Nello studio ..................... .
e) Nei laboratori e nei reparti agricoli .
d) Nel refettorio ................... .
e) In ricreazione ............... _- ... .
f) Durante il passeggio e nelle file .. . .
g) In portineria .................... .
h) In dormitorio ...... . ... _. .... ·.... .
i) Nell'infermeria ........... ......... .
389
>> 393
)) ' 397
I) 401
» 403
>> 406
>> 408
» 409
>> 414
CAPITOLO SESTO- - Correzio~e e castighi
415
l. La funzione educativa dell~ legge· . . . .
416
a) Far conoscere la legge ..... ; ... : ..
416
b) Mezzi per far conoscere la legge : . . . >> 418
2. L'amorevole correzione negli esempi e nelle
parole _di Don Bosco . . . . . . . . . . . . . . . .
a) Come correggeva Don _Bosco . . . . . .
421 ·
422
1) Sua delicatezza, 442
2) La parolina all'orecchio, 428
3) Nella Buona Notte, 431
717

71.10 Page 710

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4) Nel cortile, 434
5) Efficacia correttiva dello sguardo di Don
Bosco, 437
6) Aspettava la calma, 440
7) Insegnava a ricevere le correzioni, 441
b) Come Don Bosco insegnava a cor- '
reggerEp
Pag. 442
1) La correzione è un dovere per tutti, H2
2) Correggere in privato, 444
3) Longanimità, fermezza e imparzialità nella
correzione,. 44 7
4) S11_:per dimenticare, 449
3. I castighi ..... '. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
451
a) L'amorevolezza e i castighi . . . . . . . .
451
b) La grande Circolare sui castighi . . . .
456
1) Prima di punire si adoperino ttitti gli altri
mezzi di correzione, 458
2) Si aspetti il momento opportuno, 461
3) Si eviti anche l'apparenza della passionali-
tà, 464
4) Si lasci sempre la-Qperanza del perdono, 4,68
5) Quali castighi adoperare, 470
6) A chi spetta castigare, 475
e) Altre norme di Don Bosco riguardo ai.
castighi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
476
d) Come Don Bosco castigava . . . . . . . . .
487
CAPITOLO SETTIMO - La scuola come pa-
lestra di . educazione ......... ·. . . . . . .
504
Premessa
504

72 Pages 711-720

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72.1 Page 711

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I. Come Don Bosco usava l'istruzione ai fini
educativi .. . .......... ·. . . . . . . . . . . . . Pag. 505
2. La scuola . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
516.
a) Funzione educativa della scuola ... .
516
b) Scuola cri~t iana .......... .. .... . .
521
e) L 'ambiente della scuola . . . . . . . . . .
523
d) La scuola in azione , .. . ........... .
524
1) Don Bosco maestro modello, 52!
2) Preparazione remota, 526
3) Preparazione prossima, 528
4) Puntualità, ordine, pulizia, 532
5) La disciplina nella scuola, 533
6) La spiegazione, 536
7) Il metodo induttivo, 539
8) Il metodo deduttivo, 5!3
9) Doti dell'insegnamento, 545
I O) L'interrogazione, 553
11) Assegnazione dei lavori, 559
12) Correzione dei lavori, 563 ·
13) I voti, 566
14) Lo studio del latino, 566
15) Per le vacanze, 5 71
16) Fuori di scuola, 574
e) Come promuovere l'applicazione allo
studio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . >> 576
1) All'Oratorio si studiava, 576
2) Esortazione agli studenti, 580
3) Nove mezzi per studiare con profitto, 582
4) Industrie di Don Bosco per ottenere lo
studio e la buona condotta, 593
5) Emulazione e incoraggiamento, 598
719

72.2 Page 712

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CAPITOLO OTTAVO - L'e~emplarità, fattore
supremo di edùeazione ........ '. ..... Pag. 610
1. Necessità del buon esempio .........·.. . t 610
a) Valore educativo dell'esenipio nel pen-
siero e nella pratica di Don Bosco
· b) L'esempio, coefficiente di moralità .
611 ,
>) 626
2. La moralità degli educatori ..... ·. . . . .
631
a) Come ne parlava Don Bosco . . . . . .
634
b) Importanza della virtù della castità
per l'educatore salesiano . . . . . . . .
637
e) La scelta degli edùcatori .......... · >> 641
d) Mezzi per la moralità degli educatori
648
1) Mezzi negativi, 648
I. Dignitoso riserbo, 648
II. Come trattare le varie persone, 655
III. Fuga delle occasioni e tentazioni, 660
2) Mezzi positivi, 667
e) Il primo responsabile della moralità
671
/) Il modello dell'educator~ salesiano . .
676
· g) Santità è Purezza . .. . . . . . . . . . . . . . . >> 683
CAPITOLO NONO - Il Sisteilla Preventivo,
sistema ·di santità . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
688

72.3 Page 713

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·-1

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