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La Santa Sede
ESORTAZIONE APOSTOLICA
POST-SINODALE
CHRISTIFIDELES LAICI
DI SUA SANTITÀ
GIOVANNI PAOLO II
SU VOCAZIONE E MISSIONE DEI LAICI
NELLA CHIESA E NEL MONDO
Ai Vescovi
Ai sacerdoti e ai diaconi
Ai religiosi e alle religiose
A tutti i fedeli laici
INTRODUZIONE
1. I FEDELI LAICI (Christifideles laici), la cui « vocazione e missione nella Chiesa e nel mondo a
vent'anni dal Concilio Vaticano II » è stato l'argomento del Sinodo dei Vescovi del 1987,
appartengono a quel Popolo di Dio che è raffigurato dagli operai della vigna, dei quali parla il
Vangelo di Matteo: « Il regno dei cieli è simile a un padrone di casa che uscì all'alba per prendere
a giornata lavoratori per la sua vigna. Accordatosi con loro per un denaro al giorno, li mandò nella
sua vigna » (Mt 20, 1-2).
La parabola evangelica spalanca davanti al nostro sguardo l'immensa vigna del Signore e la
moltitudine di persone, uomini e donne, che da Lui sono chiamate e mandate perché in essa
abbiano a lavorare. La vigna è il mondo intero (cf. Mt 13, 38), che dev'essere trasformato secondo
il disegno di Dio in vista dell'avvento definitivo del Regno di Dio.
Andate anche voi nella mia vigna
2. « Uscito poi verso le nove del mattino, ne vide altri che stavano sulla piazza disoccupati e disse
loro: "andate anche voi nella mia vigna" » (Mt 20, 3-4).

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L'appello del Signore Gesù «Andate anche voi nella mia vigna » non cessa di risuonare da quel
lontano giorno nel corso della storia: è rivolto a ogni uomo che viene in questo mondo.
Ai nostri tempi, nella rinnovata effusione dello Spirito pentecostale avvenuta con il Concilio
Vaticano II, la Chiesa ha maturato una più viva coscienza della sua natura missionaria e ha
riascoltato la voce del suo Signore che la manda nel mondo come « sacramento universale di
salvezza »(1).
Andate anche voi. La chiamata non riguarda soltanto i Pastori, i sacerdoti, i religiosi e le religiose,
ma si estende a tutti: anche i fedeli laici sono personalmente chiamati dal Signore, dal quale
ricevono una missione per la Chiesa e per il mondo. Lo ricorda S. Gregorio Magno che,
predicando al popolo, così commenta la parabola degli operai della vigna: « Guardate al vostro
modo di vivere, fratelli carissimi, e verificate se siete già operai del Signore. Ciascuno valuti quello
che fa e consideri se lavora nella vigna del Signore »(2).
In particolare il Concilio, con il suo ricchissimo patrimonio dottrinale, spirituale e pastorale, ha
riservato pagine quanto mai splendide sulla natura, dignità, spiritualità, missione e responsabilità
dei fedeli laici. E i Padri conciliari, riecheggiando l'appello di Cristo, hanno chiamato tutti i fedeli
laici, uomini e donne, a lavorare nella sua vigna: «Il sacro Concilio scongiura nel Signore tutti i laici
a rispondere volentieri, con animo generoso e con cuore pronto, alla voce di Cristo, che in
quest'ora li invita con maggiore insistenza, e all'impulso dello Spirito Santo. In modo speciale i più
giovani sentano questo appello come rivolto a se stessi, e l'accolgano con slancio e magnanimità.
Il Signore stesso infatti ancora una volta per mezzo di questo Santo Sinodo invita tutti i laici ad
unirsi sempre più intimamente a Lui e, sentendo come proprio tutto ciò che è di Lui (cf. Fil 2, 5), si
associno alla sua missione salvifica; li manda ancora in ogni città e in ogni luogo dov'egli sta per
venire (cf. Lc 10, 1)»(3).
Andate anche voi nella mia vigna. Queste parole sono spiritualmente risuonate, ancora una volta,
durante la celebrazione del Sinodo dei Vescovi, tenutosi a Roma dal 1° al 30 ottobre 1987.
Ponendosi sui sentieri del Concilio e aprendosi alla luce delle esperienze personali e comunitarie
di tutta la Chiesa, i Padri, arricchiti dai Sinodi precedenti, hanno affrontato in modo specifico e
ampio l'argomento riguardante la vocazione e la missione dei laici nella Chiesa e nel mondo.
In questa Assemblea episcopale non è mancata una qualificata rappresentanza di fedeli laici,
uomini e donne, che hanno portato un contributo prezioso ai lavori del Sinodo, come è stato
pubblicamente riconosciuto nell'omelia di conclusione: «Ringraziamo per il fatto che nel corso del
Sinodo abbiamo potuto non solo gioire per la partecipazione dei laici (auditores e auditrices), ma
ancor di più perché lo svolgimento delle discussioni sinodali ci ha permesso di ascoltare la voce
degli invitati, i rappresentanti del laicato provenienti da tutte le parti del mondo, dai diversi Paesi, e
ci ha consentito di profittare delle loro esperienze, dei loro consigli, dei suggerimenti che
scaturiscono dal loro amore per la causa comune»(4).

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Con lo sguardo rivolto al dopo-Concilio i Padri sinodali hanno potuto costatare come lo Spirito
abbia continuato a ringiovanire la Chiesa, suscitando nuove energie di santità e di partecipazione
in tanti fedeli laici. Ciò è testimoniato, tra l'altro, dal nuovo stile di collaborazione tra sacerdoti,
religiosi e fedeli laici; dalla partecipazione attiva nella liturgia, nell'annuncio della Parola di Dio e
nella catechesi; dai molteplici servizi e compiti affidati ai fedeli laici e da essi assunti; dal rigoglioso
fiorire di gruppi, associazioni e movimenti di spiritualità e di impegno laicali; dalla partecipazione
più ampia e significativa delle donne nella vita della Chiesa e nello sviluppo della società.
Nello stesso tempo, il Sinodo ha rilevato come il cammino postconciliare dei fedeli laici non sia
stato esente da difficoltà e da pericoli. In particolare si possono ricordare due tentazioni alle quali
non sempre essi hanno saputo sottrarsi: la tentazione di riservare un interesse così forte ai servizi
e ai compiti ecclesiali, da giungere spesso a un pratico disimpegno nelle loro specifiche
responsabilità nel mondo professionale, sociale, economico, culturale e politico; e la tentazione di
legittimare l'indebita separazione tra la fede e la vita, tra l'accoglienza del Vangelo e l'azione
concreta nelle più diverse realtà temporali e terrene.
Nel corso dei suoi lavori il Sinodo ha fatto costante riferimento al Concilio Vaticano II, il cui
insegnamento sul laicato, a distanza di vent'anni, è apparso di sorprendente attualità e talvolta di
portata profetica: tale insegnamento è capace di illuminare e di guidare le risposte che oggi
devono essere date ai nuovi problemi. In realtà, la sfida che i Padri sinodali hanno accolto è stata
quella di individuare le strade concrete perché la splendida «teoria» sul laicato espressa dal
Concilio possa diventare un'autentica «prassi» ecclesiale. Alcuni problemi poi s'impongono per
una certa loro «novità», tanto da poterli chiamare postconciliari, almeno in senso cronologico: ad
essi i Padri sinodali hanno giustamente riservato una particolare attenzione nel corso della loro
discussione e riflessione. Tra questi problemi sono da ricordare quelli riguardanti i ministeri e i
servizi ecclesiali affidati o da affidarsi ai fedeli laici, la diffusione e la crescita di nuovi «movimenti»
accanto ad altre forme aggregative di laici, il posto e il ruolo della donna sia nella Chiesa che nella
società.
I Padri sinodali, al termine dei loro lavori, svolti con grande impegno, competenza e generosità, mi
hanno manifestato il desiderio e mi hanno rivolto la preghiera perché, a tempo opportuno, offrissi
alla Chiesa universale un documento conclusivo sui fedeli laici(5).
Questa Esortazione Apostolica post-sinodale intende valorizzare tutta quanta la ricchezza dei
lavori sinodali, dai Lineamenta all'Instrumentum laboris, dalla relazione introduttiva agli interventi
dei singoli vescovi e laici e alla relazione di sintesi dopo la discussione in aula, dalle discussioni e
relazioni dei «circoli minori» alle «proposizioni» e al Messaggio finale. Per questo il presente
documento non si pone a lato del Sinodo, ma ne costituisce la fedele e coerente espressione, è il
frutto d'un lavoro collegiale, al cui esito finale hanno apportato il loro contributo il Consiglio della
Segreteria Generale del Sinodo e la stessa Segreteria.

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Suscitare e alimentare una più decisa presa di coscienza del dono e della responsabilità che tutti i
fedeli laici, e ciascuno di essi in particolare, hanno nella comunione e nella missione della Chiesa
è lo scopo che l'Esortazione intende perseguire.
Le urgenze attuali del mondo: perché ve ne state qui tutto il giorno oziosi?
3. Il significato fondamentale di questo Sinodo, e quindi il frutto più prezioso da esso desiderato, è
l'ascolto da parte dei fedeli laici dell'appello di Cristo a lavorare nella sua vigna, a prendere parte
viva, consapevole e responsabile alla missione della Chiesa in quest'ora magnifica e drammatica
della storia, nell'imminenza del terzo millennio.
Situazioni nuove, sia ecclesiali sia sociali, economiche, politiche e culturali, reclamano oggi, con
una forza del tutto particolare, l'azione dei fedeli laici. Se il disimpegno è sempre stato
inaccettabile, il tempo presente lo rende ancora più colpevole. Non è lecito a nessuno rimanere in
ozio.
Riprendiamo la lettura della parabola evangelica: «Uscito ancora verso le cinque, ne vide altri che
se ne stavano là e disse loro: "Perché ve ne state qui tutto il giorno oziosi?". Gli risposero: "Perché
nessuno ci ha presi a giornata". Ed egli disse loro: "Andate anche voi nella mia vigna"» (Mt 20, 6-
7).
Non c'è posto per l'ozio, tanto è il lavoro che attende tutti nella vigna del Signore. Il «padrone di
casa» ripete con più forza il suo invito: «Andate anche voi nella mia vigna».
La voce del Signore risuona certamente nell'intimo dell'essere stesso d'ogni cristiano, che
mediante la fede e i sacramenti dell'iniziazione cristiana è configurato a Gesù Cristo, è inserito
come membro vivo nella Chiesa ed è soggetto attivo della sua missione di salvezza. La voce del
Signore passa però anche attraverso le vicende storiche della Chiesa e dell'umanità, come ci
ricorda il Concilio: «Il Popolo di Dio, mosso dalla fede, per cui crede di essere condotto dallo
Spirito del Signore, che riempie l'universo, cerca di discernere negli avvenimenti, nelle richieste e
nelle aspirazioni, cui prende parte insieme con gli altri uomini del nostro tempo, quali siano i veri
segni della presenza e del disegno di Dio. La fede infatti tutto rischiara di una luce nuova e svela
le intenzioni di Dio sulla vocazione integrale dell'uomo, e perciò guida l'intelligenza verso soluzioni
pienamente umane»(6).
E' necessario, allora, guardare in faccia questo nostro mondo, con i suoi valori e problemi, le sue
inquietudini e speranze, le sue conquiste e sconfitte: un mondo le cui situazioni economiche,
sociali, politiche e culturali presentano problemi e difficoltà più gravi rispetto a quello descritto dal
Concilio nella Costituzione pastorale Gaudium et spes(7). E' comunque questa la vigna, è questo
il campo nel quale i fedeli laici sono chiamati a vivere la loro missione. Gesù li vuole, come tutti i
suoi discepoli, sale della terra e luce del mondo (cf. Mt 5, 13-14). Ma qual è il volto attuale della

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«terra» e del «mondo», di cui i cristiani devono essere «sale» e «luce»?
E' assai grande la diversità delle situazioni e delle problematiche che oggi esistono nel mondo,
peraltro caratterizzate da una crescente accelerazione di mutamento. Per questo è del tutto
necessario guardarsi dalle generalizzazioni e dalle semplificazioni indebite. E' però possibile
rilevare alcune linee di tendenza che emergono nella società attuale. Come nel campo evangelico
insieme crescono la zizzania e il buon grano, così nella storia, teatro quotidiano di un esercizio
spesso contraddittorio della libertà umana, si trovano, accostati e talvolta profondamente
aggrovigliati tra loro, il male e il bene, l'ingiustizia e la giustizia, l'angoscia e la speranza.
Secolarismo e bisogno religioso
4. Come non pensare alla persistente diffusione dell'indifferentismo religioso e dell'ateismo nelle
sue più diverse forme, in particolare nella forma, oggi forse più diffusa, del secolarismo? Inebriato
dalle prodigiose conquiste di un inarrestabile sviluppo scientifico-tecnico e soprattutto affascinato
dalla più antica e sempre nuova tentazione, quella di voler diventare come Dio (cf. Gen 3, 5)
mediante l'uso d'una libertà senza limiti, l'uomo taglia le radici religiose che sono nel suo cuore:
dimentica Dio, lo ritiene senza significato per la propria esistenza, lo rifiuta ponendosi in
adorazione dei più diversi «idoli».
E' veramente grave il fenomeno attuale del secolarismo: non riguarda solo i singoli, ma in qualche
modo intere comunità, come già rilevava il Concilio: «Moltitudini crescenti praticamente si
staccano dalla religione»(8). Più volte io stesso ho ricordato il fenomeno della scristianizzazione
che colpisce i popoli cristiani di vecchia data e che reclama, senza alcuna dilazione, una nuova
evangelizzazione.
Eppure l'aspirazione e il bisogno religiosi non possono essere totalmente estinti. La coscienza di
ogni uomo, quando ha il coraggio di affrontare gli interrogativi più gravi dell'esistenza umana, in
particolare l'interrogativo sul senso del vivere, del soffrire e del morire, non può non fare propria la
parola di verità gridata da Sant'Agostino: «Tu ci hai fatto per te, o Signore, e il nostro cuore è
inquieto sino a quando non riposa in Te»(9). Così anche il mondo attuale testimonia, in forme
sempre più ampie e vive, l'apertura ad una visione spirituale e trascendente della vita, il risveglio
della ricerca religiosa, il ritorno al senso del sacro e alla preghiera, la richiesta di essere liberi
nell'invocare il Nome del Signore.
La persona umana: dignità calpestata ed esaltata
5. Pensiamo, inoltre, alle molteplici violazioni alle quali viene oggi sottoposta la persona umana.
Quando non è riconosciuto e amato nella sua dignità di immagine vivente di Dio (cf. Gen 1, 26),
l'essere umano è esposto alle più umilianti e aberranti forme di «strumentalizzazione», che lo
rendono miseramente schiavo del più forte. E «il più forte» può assumere i nomi più diversi:

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ideologia, potere economico, sistemi politici disumani, tecnocrazia scientifica, invadenza dei mass-
media. Di nuovo ci troviamo di fronte a moltitudini di persone, nostri fratelli e sorelle, i cui diritti
fondamentali sono violati, anche in seguito all'eccessiva tolleranza e persino alla palese ingiustizia
di certe leggi civili: il diritto alla vita e all'integrità, il diritto alla casa e al lavoro, il diritto alla famiglia
e alla procreazione responsabile, il diritto alla partecipazione alla vita pubblica e politica, il diritto
alla libertà di coscienza e di professione di fede religiosa.
Chi può contare i bambini non nati perché uccisi nel seno delle loro madri, i bambini abbandonati
e maltrattati dagli stessi genitori, i bambini che crescono senza affetto ed educazione? In alcuni
Paesi intere popolazioni sono sprovviste di casa e di lavoro, mancano dei mezzi assolutamente
indispensabili per condurre una vita degna di esseri umani e sono private persino del necessario
per la stessa sussistenza. Tremende sacche di povertà e di miseria, fisica e morale ad un tempo,
stanno oramai di casa ai margini delle grandi metropoli e colpiscono mortalmente interi gruppi
umani.
Ma la sacralità della persona non può essere annullata, quantunque essa troppo spesso venga
disprezzata e violata: avendo il suo incrollabile fondamento in Dio Creatore e Padre, la sacralità
della persona torna ad imporsi, sempre e di nuovo.
Di qui il diffondersi sempre più vasto e l'affermarsi sempre più forte del senso della dignità
personale di ogni essere umano. Una corrente benefica oramai percorre e pervade tutti i popoli
della terra, resi sempre più consapevoli della dignità dell'uomo: non è affatto una «cosa» o un
«oggetto» di cui servirsi, ma è sempre e solo un «soggetto», dotato di coscienza e di libertà,
chiamato a vivere responsabilmente nella società e nella storia, ordinato ai valori spirituali e
religiosi.
E stato detto che il nostro è il tempo degli «umanesimi»: alcuni, per la loro matrice atea e
secolaristica, finiscono paradossalmente per mortificare e annullare l'uomo; altri umanesimi invece
lo esaltano a tal punto da giungere a forme di vera e propria idolatria; altri, infine, riconoscono
secondo verità la grandezza e la miseria dell'uomo, manifestando, sostenendo e favorendo la sua
dignità totale.
Segno e frutto di queste correnti umanistiche è il crescente bisogno della partecipazione. E'
questa, indubbiamente, uno dei tratti distintivi dell'umanità attuale, un vero «segno dei tempi» che
viene maturando in diversi campi e in diverse direzioni: nel campo soprattutto delle donne e del
mondo giovanile, e nella direzione della vita non solo familiare e scolastica, ma anche culturale,
economica, sociale e politica. L'essere protagonisti, in qualche modo creatori di una nuova cultura
umanistica, è un'esigenza insieme universale e individuale(10).
Conflittualità e pace

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6. Non possiamo infine, non ricordare un altro fenomeno che contraddistingue l'attuale umanità:
forse come non mai nella sua storia, l'umanità è quotidianamente e profondamente colpita e
scardinata dalla conflittualità. E' questo un fenomeno pluriforme, che si distingue dal pluralismo
legittimo delle mentalità e delle iniziative, e si manifesta nell'infausto contrapporsi di persone,
gruppi, categorie, nazioni e blocchi di nazioni. E' una contrapposizione che assume forme di
violenza, di terrorismo, di guerra. Ancora una volta, ma con proporzioni enormemente ampliate,
diversi settori dell'umanità d'oggi, volendo dimostrare la loro «onnipotenza», rinnovano la stolta
esperienza della costruzione della «torre di Babele» (cf. Gen 11, 1-9), la quale però prolifera
confusione, lotta, disgregazione ed oppressione. La famiglia umana è così in se stessa
drammaticamente sconvolta e lacerata.
D'altra parte, del tutto insopprimibile è l'aspirazione dei singoli e dei popoli al bene inestimabile
della pace nella giustizia. La beatitudine evangelica: «Beati gli operatori di pace» (Mt 5, 9) trova
negli uomini del nostro tempo una nuova e significativa risonanza: per l'avvento della pace e della
giustizia popolazioni intere oggi vivono, soffrono e lavorano. La partecipazione di tante persone e
gruppi alla vita della società è la strada oggi sempre più percorsa perché da desiderio la pace
diventi realtà. Su questa strada incontriamo tanti fedeli laici generosamente impegnati nel campo
sociale e politico, nelle più varie forme sia istituzionali che di volontariato e di servizio agli ultimi.
Gesù Cristo, la speranza dell'umanità
7. Questo è l'immenso e travagliato campo che sta davanti agli operai mandati dal «padrone di
casa» a lavorare nella sua vigna.
In questo campo è presente e operante la Chiesa, noi tutti, pastori e fedeli, sacerdoti, religiosi e
laici. Le situazioni ora ricordate toccano profondamente la Chiesa: da esse è in parte
condizionata, non però schiacciata né tanto meno sopraffatta, perché lo Spirito Santo, che ne è
l'anima, la sostiene nella sua missione.
La Chiesa sa che tutti gli sforzi che l'umanità va compiendo per la comunione e la partecipazione,
nonostante ogni difficoltà, ritardo e contraddizione causati dai limiti umani, dal peccato e dal
Maligno, trovano piena risposta nell'intervento di Gesù Cristo, Redentore dell'uomo e del mondo.
La Chiesa sa di essere mandata da Lui come «segno e strumento dell'intima unione con Dio e
dell'unità di tutto il genere umano»(11).
Nonostante tutto, dunque, l'umanità può sperare, deve sperare: il Vangelo vivente e personale,
Gesù Cristo stesso, è la «notizia» nuova e apportatrice di gioia che la Chiesa ogni giorno
annuncia e testimonia a tutti gli uomini.
In questo annuncio e in questa testimonianza i fedeli laici hanno un posto originale e insostituibile:

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per mezzo loro la Chiesa di Cristo è resa presente nei più svariati settori del mondo, come segno
e fonte di speranza e di amore.
CAPITOLO I
IO SONO LA VITE, VOI I TRALCI
La dignità dei fedeli laici
nella Chiesa-Mistero
Il mistero della vigna
8. L'immagine della vigna viene usata dalla Bibbia in molti modi e con diversi significati: in
particolare, essa serve ad esprimere il mistero del Popolo di Dio. In questa prospettiva più
interiore i fedeli laici non sono semplicemente gli operai che lavorano nella vigna, ma sono parte
della vigna stessa: «Io sono la vite, voi i tralci» (Gv 15, 5),dice Gesù.
Già nell'Antico Testamento i profeti per indicare il popolo eletto ricorrono all'immagine della vigna.
Israele è la vigna di Dio, l'opera del Signore, la gioia del suo cuore: «Io ti avevo piantato come
vigna scelta» (Ger 2, 21); «Tua madre era come una vite piantata vicino alle acque. Era rigogliosa
e frondosa per l'abbondanza dell'acqua» (Ez 19, 10); «Il mio diletto possedeva una vigna sopra un
fertile colle. Egli l'aveva vangata e sgombrata dai sassi, e vi aveva piantato scelte viti (...)» (Is 5, 1-
2).
Gesù riprende il simbolo della vigna e se ne serve per rivelare alcuni aspetti del Regno di Dio: «Un
uomo piantò una vigna, vi pose attorno una siepe, scavò un torchio, costruì una torre, poi la diede
in affitto a dei vignaioli e se ne andò lontano» (Mc 12, 1; cf. Mt 21, 28 ss.).
L'evangelista Giovanni ci invita a scendere in profondità e ci introduce a scoprire il mistero della
vigna: essa è il simbolo e la figura non solo del Popolo di Dio, ma di Gesù stesso. Lui è il ceppo e
noi, i discepoli, siamo i tralci; Lui è la «vera vite», nella quale sono vitalmente inseriti i tralci (cf. Gv
15, 1 ss.).
Il Concilio Vaticano II, riferendo le varie immagini bibliche che illuminano il mistero della Chiesa,
ripropone l'immagine della vite e dei tralci: «Cristo è la vera vite, che dà vita e fecondità ai tralci,
cioè a noi, che per mezzo della Chiesa rimaniamo in Lui, e senza di Lui nulla possiamo fare (Gv
15, 1-5)»(12). La Chiesa stessa è, dunque, la vigna evangelica. E' mistero perché l'amore e la vita
del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo sono il dono assolutamente gratuito offerto a quanti sono
nati dall'acqua e dallo Spirito (cf. Gv 3, 5), chiamati a rivivere la comunione stessa di Dio e a
manifestarla e comunicarla nella storia (missione): «In quel giorno _ dice Gesù _ voi saprete che io
sono nel Padre e voi in me e io in voi» (Gv 14, 20).

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Ora solo all'interno del mistero della Chiesa come mistero di comunione si rivela l'«identità» dei
fedeli laici, la loro originale dignità. E solo all'interno di questa dignità si possono definire la loro
vocazione e la loro missione nella Chiesa e nel mondo.
Chi sono i fedeli laici
9. I Padri sinodali hanno giustamente rilevato la necessità di individuare e di proporre una
descrizione positiva della vocazione e della missione dei fedeli laici, approfondendo lo studio della
dottrina del Concilio Vaticano II alla luce sia dei più recenti documenti del Magisterio sia
dell'esperienza della vita stessa della Chiesa guidata dallo Spirito Santo(13).
Nel dare risposta all'interrogativo «chi sono i fedeli laici», il Concilio, superando precedenti
interpretazioni prevalentemente negative, si è aperto ad una visione decisamente positiva e ha
manifestato il suo fondamentale intento nell'asserire la piena appartenenza dei fedeli laici alla
Chiesa e al suo mistero e il carattere peculiare della loro vocazione, che ha in modo speciale lo
scopo di «cercare il Regno di Dio trattando le cose temporali e ordinandole secondo Dio»(14).
«Col nome di laici _ così la Costituzione Lumen gentium li descrive _ si intendono qui tutti i fedeli
ad esclusione dei membri dell'ordine sacro e dello stato religioso sancito dalla Chiesa, i fedeli cioè,
che, dopo essere stati incorporati a Cristo col Battesimo e costituiti Popolo di Dio e, a loro modo,
resi partecipi dell'ufficio sacerdotale, profetico e regale di Cristo, per la loro parte compiono, nella
Chiesa e nel mondo, la missione propria di tutto il popolo cristiano»(15).
Già Pio XII diceva: «I fedeli, e più precisamente i laici, si trovano nella linea più avanzata della vita
della Chiesa; per loro la Chiesa è il principio vitale della società umana. Perciò essi, specialmente
essi, debbono avere una sempre più chiara consapevolezza, non soltanto di appartenere alla
Chiesa, ma di essere la Chiesa, vale a dire la comunità dei fedeli sulla terra sotto la condotta del
Capo comune, il Papa, e dei Vescovi in comunione con lui. Essisono la Chiesa(...)»(16).
Secondo l'immagine biblica della vigna, i fedeli laici, come tutti quanti i membri della Chiesa, sono
tralci radicati in Cristo, la vera vite, da Lui resi vivi e vivificanti.
L'inserimento in Cristo per mezzo della fede e dei sacramenti dell'iniziazione cristiana è la radice
prima che origina la nuova condizione del cristiano nel mistero della Chiesa, che costituisce la sua
più profonda «fisionomia», che sta alla base di tutte le vocazioni e del dinamismo della vita
cristiana dei fedeli laici: in Gesù Cristo, morto e risorto, il battezzato diventa una «creatura nuova»
(Gal 6, 15; 2 Cor 5, 17), una creatura purificata dal peccato e vivificata dalla grazia.
In tal modo, solo cogliendo la misteriosa ricchezza che Dio dona al cristiano nel santo Battesimo è
possibile delineare la «figura» del fedele laico.
Il battesimo e la novità cristiana

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10. Non è esagerato dire che l'intera esistenza del fedele laico ha lo scopo di portarlo a conoscere
la radicale novità cristiana che deriva dal Battesimo, sacramento della fede, perché possa viverne
gli impegni secondo la vocazione ricevuta da Dio. Per descrivere la «figura» del fedele laico
prendiamo ora in esplicita e più diretta considerazione, tra gli altri, questi tre fondamentali aspetti:
il Battesimo ci rigenera alla vita dei figli di Dio, ci unisce a Gesù Cristo e al suo Corpo che è la
Chiesa, ci unge nello Spirito Santo costituendoci templi spirituali.
Figli nel Figlio
11. Ricordiamo le parole di Gesù a Nicodemo: «In verità, in verità ti dico, se uno non nasce da
acqua e da Spirito, non può entrare nel regno di Dio» (Gv 3, 5). Il santo Battesimo è, dunque, una
nuova nascita, è una rigenerazione.
Proprio pensando a questo aspetto del dono battesimale l'apostolo Pietro prorompe nel canto:
«Sia benedetto Dio e Padre del Signore nostro Gesù Cristo; nella sua grande misericordia egli ci
ha rigenerati, mediante la risurrezione di Gesù Cristo dai morti, per una speranza viva, per una
eredità che non si corrompe, non si macchia e non marcisce» (1 Pt 1, 3-4). E chiama i cristiani
coloro che sono stati «rigenerati non da un seme corruttibile, ma immortale, cioè dalla parola di
Dio viva ed eterna» (1 Pt 1, 23).
Con il santo Battesimo diventiamo figli di Dio nell'Unigenito suo Figlio, Cristo Gesù. Uscendo dalle
acque del sacro fonte, ogni cristiano riascolta la voce che un giorno si è udita sulle rive del fiume
Giordano: «Tu sei il mio figlio prediletto, in te mi sono compiaciuto» (Lc 3, 22), e capisce che è
stato associato al Figlio prediletto, diventando figlio di adozione (cf. Gal 4, 4-7) e fratello di Cristo.
Si compie così nella storia di ciascuno l'eterno disegno del Padre: «quelli che egli da sempre ha
conosciuto li ha anche predestinati ad essere conformi all'immagine del Figlio suo, perché egli sia
il primogenito tra molti fratelli» (Rom 8, 29).
E' lo Spirito Santo che costituisce i battezzati in figli di Dio e nello stesso tempo membra del corpo
di Cristo. Lo ricorda Paolo ai cristiani di Corinto: «Noi tutti siamo stati battezzati in un solo Spirito
per formare un solo corpo» (1 Cor 12, 13), sicché l'apostolo può dire ai fedeli laici: «Ora voi siete
corpo di Cristo e sue membra, ciascuno per la sua parte» (1 Cor 12, 27);«Che voi siete figli ne è
prova il fatto che Dio ha mandato nei nostri cuori lo Spirito del suo Figlio» (Gal 4, 6; cf. Rom 8, 15-
16).
Un solo corpo in Cristo
12. Rigenerati come «figli nel Figlio», i battezzati sono inscindibilmente «membri di Cristo e
membri del corpo della Chiesa», come insegna il Concilio di Firenze(17).
Il Battesimo significa e produce un'incorporazione mistica ma reale al corpo crocifisso e glorioso di

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Gesù. Mediante il sacramento Gesù unisce il battezzato alla sua morte per unirlo alla sua
risurrezione (cf. Rom 6, 3-5), lo spoglia dell'«uomo vecchio» e lo riveste dell'«uomo nuovo», ossia
di Se stesso: «Quanti siete stati battezzati in Cristo _ proclama l'apostolo Paolo _ vi siete rivestiti di
Cristo» (Gal 3,27; cf. Ef 4, 22-24; Col 3, 9-10). Ne risulta che «noi, pur essendo molti, siamo un
solo corpo in Cristo» (Rom 12, 5).
Ritroviamo nelle parole di Paolo l'eco fedele dell'insegnamento di Gesù stesso, il quale ha rivelato
la misteriosa unità dei suoi discepoli con Lui e tra di loro, presentandola come immagine e
prolungamento di quell'arcana comunione che lega il Padre al Figlio e il Figlio al Padre nel vincolo
amoroso dello Spirito (cf. Gv 17, 21).
E' la stessa unità di cui Gesù parla con l'immagine della vite e dei tralci: «Io sono la vite, voi i
tralci» (Gv 15, 5), un'immagine che fa luce non solo sull'intimità profonda dei discepoli con Gesù
ma anche sulla comunione vitale dei discepoli tra loro: tutti tralci dell'unica Vite.
Templi vivi e santi dello Spirito
13. Con un'altra immagine, quella di un edificio, l'apostolo Pietro definisce i battezzati come
«pietre vive» fondate su Cristo, la «pietra angolare», e destinate alla «costruzione di un edificio
spirituale» (1 Pt 2, 5 ss). L'immagine ci introduce a un altro aspetto della novità battesimale, così
presentato dal Concilio Vaticano II: «Per la rigenerazione e l'unzione dello Spirito Santo i
battezzati vengono consacrati a formare una dimora spirituale»(18).
Lo Spirito Santo «unge» il battezzato, vi imprime il suo indelebile sigillo (cf. 2 Cor 1, 21-22), e lo
costituisce tempio spirituale, ossia lo riempie della santa presenza di Dio grazie all'unione e alla
conformazione a Gesù Cristo.
Con questa spirituale «unzione», il cristiano può, a suo modo, ripetere le parole di Gesù: «Lo
Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l'unzione, e mi ha mandato per
annunziare ai poveri un lieto messaggio, per proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la
vista; per rimettere in libertà gli oppressi, e predicare un anno di grazia del Signore» (Lc 4, 18-19;
cf. Is 61, 1-2). Così con l'effusione battesimale e cresimale il battezzato partecipa alla medesima
missione di Gesù il Cristo, il Messia Salvatore.
Partecipi dell'ufficio sacerdotale, profetico e regale di Gesù Cristo
14. Rivolgendosi ai battezzati come a «bambini appena nati», l'apostolo Pietro scrive:
«Stringendovi a lui, pietra viva, rigettata dagli uomini, ma scelta e preziosa davanti a Dio, anche
voi venite impiegati come pietre vive per la costruzione di un edificio spirituale, per un sacerdozio
santo, per offrire sacrifici spirituali graditi a Dio, per mezzo di Gesù Cristo (...). Ma voi siete la
stirpe eletta, il sacerdozio regale, la nazione santa, il popoio che Dio si è acquistato perché

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12
proclami le opere meravigliose di lui che vi ha chiamato dalle tenebre alla sua ammirabile luce
(...)» (1 Pt 2, 4-5. 9).
Ecco un nuovo aspetto della grazia e della dignità battesimale: i fedeli laici partecipano, per la loro
parte, al triplice ufficio _ sacerdotale, profetico e regale _ di Gesù Cristo. E questo un aspetto non
mai dimenticato dalla tradizione viva della Chiesa, come appare, ad esempio, dalla spiegazione
che del Salmo 26 offre Sant'Agostino. Scrive: «Davide fu unto re. A quel tempo si ungevano solo il
re e il sacerdote. In queste due persone era prefigurato il futuro unico re e sacerdote, Cristo (e
perciò "Cristo" viene da "crisma"). Non solo però è stato unto il nostro capo, ma siamo stati unti
anche noi, suo corpo (...). Perciò l'unzione spetta a tutti i cristiani, mentre al tempo dell'Antico
Testamento apparteneva a due sole persone. Appare chiaro che noi siamo il corpo di Cristo dal
fatto che siamo tutti unti e tutti in lui siamo cristi e Cristo, perché in certo modo la testa e il corpo
formano il Cristo nella sua integrità»(19).
Nella scia del Concilio Vaticano II(20), sin dall'inizio del mio servizio pastorale, ho inteso esaltare
la dignità sacerdotale, profetica e regale dell'intero Popolo di Dio dicendo: «Colui che è nato dalla
Vergine Maria, il Figlio del falegname _ come si riteneva _ il Figlio del Dio vivente, come ha
confessato Pietro, è venuto per fare di tutti noi "un regno di sacerdoti". Il Concilio Vaticano II ci ha
ricordato il mistero di questa potestà e il fatto che la missione di Cristo _ Sacerdote, Profeta-
Maestro, Re _ continua nella Chiesa. Tutti, tutto il Popolo di Dio è partecipe di questa triplice
missione»(21).
Con questa Esortazione i fedeli laici sono invitati ancora una volta a rileggere, a meditare e ad
assimilare con intelligenza e con amore il ricco e fecondo insegnamento del Concilio circa la loro
partecipazione al triplice ufficio di Cristo(22). Ecco ora in sintesi gli elementi essenziali di questo
insegnamento.
I fedeli laici sono partecipi dell'ufficio sacerdotale, per il quale Gesù ha offerto Se stesso sulla
Croce e continuamente si offre nella celebrazione eucaristica a gloria del Padre per la salvezza
dell'umanità. Incorporati a Gesù Cristo, i battezzati sono uniti a Lui e al suo sacrificio nell'offerta di
se stessi e di tutte le loro attività (cf. Rom 12, 1-2). Parlando dei fedeli laici il Concilio dice: «Tutte
le loro opere, le preghiere e le iniziative apostoliche, la vita coniugale e familiare, il lavoro
giornaliero, il sollievo spirituale e corporale, se sono compiute nello Spirito, e persino le molestie
della vita se sono sopportate con pazienza, diventano spirituali sacrifici graditi a Dio per Gesù
Cristo (cf. 1 Pt 2, 5), i quali nella celebrazione dell'Eucaristia sono piissimamente offerti al Padre
insieme all'oblazione del Corpo del Signore. Così anche i laici, operando santamente dappertutto
come adoratori, consacrano a Dio il mondo stesso»(23).
La partecipazione all'ufficio profetico di Cristo, «il quale e con la testimonianza della vita e con la
virtù della parola ha proclamato il Regno del Padre»(24), abilita e impegna i fedeli laici ad
accogliere nella fede il Vangelo e ad annunciarlo con la parola e con le opere non esitando a

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13
denunciare coraggiosamente il male. Uniti a Cristo, il «grande profeta» (Lc 7, 16), e costituiti nello
Spirito «testimoni» di Cristo Risorto, i fedeli laici sono resi partecipi sia del senso di fede
soprannaturale della Chiesa che «non può sbagliarsi nel credere» (25) sia della grazia della parola
(cf. At 2, 17-18; Ap 19, 10); sono altresì chiamati a far risplendere la novità e la forza del Vangelo
nella loro vita quotidiana, familiare e sociale, come pure ad esprimere, con pazienza e coraggio,
nelle contraddizioni dell'epoca presente la loro speranza nella gloria «anche attraverso le strutture
della vita secolare»(26).
Per la loro appartenenza a Cristo Signore e Re dell'universo i fedeli laici partecipano al suo ufficio
regale e sono da Lui chiamati al servizio del Regno di Dio e alla sua diffusione nella storia. Essi
vivono la regalità cristiana, anzitutto mediante il combattimento spirituale per vincere in se stessi il
regno del peccato (cf. Rom 6, 12), e poi mediante il dono di sé per servire, nella carità e nella
giustizia, Gesù stesso presente in tutti i suoi fratelli, soprattutto nei più piccoli (cf. Mt 25, 40).
Ma i fedeli laici sono chiamati in particolare a ridare alla creazione tutto il suo originario valore.
Nell'ordinare il creato al vero bene dell'uomo con un'attività sorretta dalla vita di grazia, essi
partecipano all'esercizio del potere con cui Gesù Risorto attrae a sé tutte le cose e le sottomette,
con Se stesso, al Padre, così che Dio sia tutto in tutti (cf. Gv 12, 32; 1 Cor 15, 28).
La partecipazione dei fedeli laici al triplice ufficio di Cristo Sacerdote, Profeta e Re trova la sua
radice prima nell'unzione del Battesimo, il suo sviluppo nella Confermazione e il suo compimento
e sostegno dinamico nell'Eucaristia. E una partecipazione donata ai singoli fedeli laici, ma in
quanto formano l'unico Corpo del Signore. Infatti, Gesù arricchisce dei suoi doni la Chiesa stessa,
quale suo Corpo e sua Sposa. In tal modo i singoli sono partecipi del triplice ufficio di Cristo in
quanto membra della Chiesa, come chiaramente insegna l'apostolo Pietro, che definisce i
battezzati come «la stirpe eletta, il sacerdozio regale, la nazione santa, il popolo che Dio si è
acquistato» (1 Pt 2, 9). Proprio perché deriva dalla comunione ecclesiale, la partecipazione dei
fedeli laici al triplice ufficio di Cristo esige d'essere vissuta e attuata nella comunione e per la
crescita della comunione stessa.
Scriveva Sant'Agostino: «Come chiamiamo tutti cristiani in forza del mistico crisma, così
chiamiamo tutti sacerdoti perché sono membra dell'unico sacerdote»(27).
I fedeli laici e l'indole secolare
15. La novità cristiana è il fondamento e il titolo dell'eguaglianza di tutti i battezzati in Cristo, di tutti
i membri del Popolo di Dio: «comune è la dignità dei membri per la loro rigenerazione in Cristo,
comune la grazia dei figli, comune la vocazione alla perfezione, una sola salvezza, una sola
speranza e indivisa carità»(28). In forza della comune dignità battesimale il fedele laico è
corresponsabile, insieme con i ministri ordinati e con i religiosi e le religiose, della missione della
Chiesa.

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14
Ma la comune dignità battesimale assume nel fedele laico una modalità che lo distingue, senza
però separarlo, dal presbitero, dal religioso e dalla religiosa. Il Concilio Vaticano II ha indicato
questa modalità nell'indole secolare: «L'indole secolare è propria e peculiare dei laici»(29).
Proprio per cogliere in modo completo, adeguato e specifico la condizione ecclesiale del fedele
laico è necessario approfondire la portata teologica dell'indole secolare alla luce del disegno
salvifico di Dio e del mistero della Chiesa.
Come diceva Paolo VI, la Chiesa «ha un'autentica dimensione secolare, inerente alla sua intima
natura e missione, la cui radice affonda nel mistero del Verbo Incarnato, e che è realizzata in
forme diverse per i suoi membri»(30).
La Chiesa, infatti, vive nel mondo anche se non è del mondo (cf. Gv 17, 16) ed è mandata a
continuare l'opera redentrice di Gesù Cristo, la quale «mentre per natura sua ha come fine la
salvezza degli uomini, abbraccia pure la instaurazione di tutto l'ordine temporale»(31).
Certamente tutti i membri della Chiesa sono partecipi della sua dimensione secolare; ma lo sono
in forme diverse. In particolare la partecipazione dei fedeli laici ha una sua modalità di attuazione
e di funzione che, secondo il Concilio, è loro «propria e peculiare»: tale modalità viene designata
con l'espressione «indole secolare»(32).
In realtà il Concilio descrive la condizione secolare dei fedeli laici indicandola, anzitutto, come il
luogo nel quale viene loro rivolta la chiamata di Dio: «Ivi sono da Dio chiamati»(33). Si tratta di un
«luogo» presentato in termini dinamici: i fedeli laici «vivono nel secolo, cioèimplicati in tutti e
singoli gli impieghi e gli affari del mondo e nelle ordinarie condizioni della vita familiare e sociale,
di cui la loro esistenza è come intessuta»(34). Essi sono persone che vivono la vita normale nel
mondo, studiano, lavorano, stabiliscono rapporti amicali, sociali, professionali, culturali, ecc. Il
Concilio considera la loro condizione non semplicemente come un dato esteriore e ambientale,
bensì come una realtà destinata a trovare in Gesù Cristo la pienezza del suo significato(35). Anzi
afferma che «lo stesso Verbo incarnato volle essere partecipe della convivenza umana (...)
Santificò le relazioni umane, innanzitutto quelle familiari, dalle quali traggono origine i rapporti
sociali, volontariamente sottomettendosi alle leggi della sua patria. Volle condurre la vita di un
lavoratore del suo tempo e della sua regione»(36).
Il «mondo» diventa così l'ambito e il mezzo della vocazione cristiana dei fedeli laici, perché esso
stesso è destinato a glorificare Dio Padre in Cristo. Il Concilio può allora indicare il senso proprio e
peculiare della vocazione divina rivolta ai fedeli laici. Non sono chiamati ad abbandonare la
posizione ch'essi hanno nel mondo. Il Battesimo non li toglie affatto dal mondo, come rileva
l'apostolo Paolo: «Ciascuno, fratelli, rimanga davanti a Dio in quella condizione in cui era quando
è stato chiamato» (1 Cor 7, 24); ma affida loro una vocazione che riguarda proprio la situazione
intramondana: i fedeli laici, infatti, «sono da Dio chiamati a contribuire, quasi dall'interno a modo di

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15
fermento, alla santificazione del mondo mediante l'esercizio della loro funzione propria e sotto la
guida dello spirito evangelico, e in questo modo a rendere visibile Cristo agli altri, principalmente
con la testimonianza della loro vita e con il fulgore della fede, della speranza e della carità»(37).
Così l'essere e l'agire nel mondo sono per i fedeli laici una realtà non solo antropologica e
sociologica, ma anche e specificamente teologica ed ecclesiale. Nella loro situazione
intramondana, infatti, Dio manifesta il suo disegno e comunica la particolare vocazione di «cercare
il Regno di Dio trattando le cose temporali e ordinandole secondo Dio»(38).
Proprio in questa prospettiva i Padri sinodali hanno detto: «L'indole secolare del fedele laico non è
quindi da definirsi soltanto in senso sociologico, ma soprattutto in senso teologico. La
caratteristica secolare va intesa alla luce dell'atto creativo e redentivo di Dio, che ha affidato il
mondo agli uomini e alle donne, perché essi partecipino all'opera della creazione, liberino la
creazione stessa dall'influsso del peccato e santifichino se stessi nel matrimonio o nella vita
celibe, nella famiglia, nella professione e nelle varie attività sociali»(39).
La condizione ecclesiale dei fedeli laici viene radicalmente definita dalla loro novità cristiana e
caratterizzata dalla loro indole secolare(40).
Le immagini evangeliche del sale, della luce e del lievito, pur riguardando indistintamente tutti i
discepoli di Gesù, trovano una specifica applicazione ai fedeli laici. Sono immagini
splendidamente significative, perché dicono non solo l'inserimento profondo e la partecipazione
piena dei fedeli laici nella terra, nel mondo, nella comunità umana; ma anche e soprattutto la
novità e l'originalità di un inserimento e di una partecipazione destinati alla diffusione del Vangelo
che salva.
Chiamati alla santità
16. La dignità dei fedeli laici ci si rivela in pienezza se consideriamo la prima e fondamentale
vocazione che il Padre in Gesù Cristo per mezzo dello Spirito rivolge a ciascuno di loro: la
vocazione alla santità, ossia alla perfezione della carità. Il santo è la testimonianza più splendida
della dignità conferita al discepolo di Cristo.
Sull'universale vocazione alla santità ha avuto parole luminosissime il Concilio Vaticano II. Si può
dire che proprio questa sia stata la consegna primaria affidata a tutti i figli e le figlie della Chiesa
da un Concilio voluto per il rinnovamento evangelico della vita cristiana(41). Questa consegna non
è una semplice esortazione morale, bensì un'insopprimibile esigenza del mistero della Chiesa:
essa è la Vigna scelta, per mezzo della quale i tralci vivono e crescono con la stessa linfa santa e
santificante di Cristo; è il Corpo mistico, le cui membra partecipano della stessa vita di santità del
Capo che è Cristo; è la Sposa amata dal Signore Gesù, che ha consegnato se stesso per
santificarla (cf. Ef 5, 25 ss.). Lo Spirito che santificò la natura umana di Gesù nel seno verginale di
Maria (cf. Lc 1, 35) è lo stesso Spirito che è dimorante e operante nella Chiesa al fine di

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16
comunicarle la santità del Figlio di Dio fatto uomo.
E' quanto mai urgente che oggi tutti i cristiani riprendano il cammino del rinnovamento evangelico,
accogliendo con generosità l'invito apostolico ad «essere santi in tutta la condotta» (1 Pt 1, 15). Il
Sinodo straordinario del 1985, a vent'anni dalla conclusione del Concilio, ha opportunamente
insistito su questa urgenza:
«Poiché la Chiesa in Cristo è mistero, deve essere considerata segno e strumento di santità (...). I
santi e le sante sempre sono stati fonte e origine di rinnovamento nelle più difficili circostanze in
tutta la storia della Chiesa. Oggi abbiamo grandissimo bisogno di santi, che dobbiamo implorare
da Dio con assiduità»(42).
Tutti nella Chiesa, proprio perché ne sono membri, ricevono e quindi condividono la comune
vocazione alla santità. A pieno titolo, senz'alcuna differenza dagli altri membri della Chiesa, ad
essa sono chiamati i fedeli laici: «Tutti i fedeli di qualsiasi stato o grado sono chiamati alla
pienezza della vita cristiana e alla perfezione della carità»(43); «Tutti i fedeli sono invitati e tenuti a
tendere alla santità e alla perfezione del proprio stato»(44).
La vocazione alla santità affonda le sue radici nel Battesimo e viene riproposta dagli altri
Sacramenti, principalmente dall'Eucaristia: rivestiti di Gesù Cristo e abbeverati dal suo Spirito, i
cristiani sono «santi» e sono, perciò, abilitati e impegnati a manifestare la santità del loro essere
nella santità di tutto il loro operare. L'apostolo Paolo non si stanca di ammonire tutti i cristiani
perché vivano «come si addice a santi» (Ef 5, 3).
La vita secondo lo Spirito, il cui frutto è la santificazione (cf. Rom 6, 22; Gal 5, 22), suscita ed
esige da tutti e da ciascun battezzato la sequela e l'imitazione di Gesù Cristo, nell'accoglienza
delle sue Beatitudini, nell'ascolto e nella meditazione della Parola di Dio, nella consapevole e
attiva partecipazione alla vita liturgica e sacramentale della Chiesa, nella preghiera individuale,
familiare e comunitaria, nella fame e nella sete di giustizia, nella pratica del comandamento
dell'amore in tutte le circostanze della vita e nel servizio ai fratelli, specialmente se piccoli, poveri e
sofferenti.
Santificarsi nel mondo
17. La vocazione dei fedeli laici alla santità comporta che la vita secondo lo Spirito si esprima in
modo peculiare nel loro inserimento nelle realtà temporali e nella loro partecipazione alle attività
terrene. E' ancora l'apostolo ad ammonirci: «Tutto quello che fate in parole ed opere, tutto si
compia nel nome del Signore Gesù, rendendo per mezzo di lui grazie a Dio Padre» (Col 3, 17).
Riferendo le parole dell'apostolo ai fedeli laici, il Concilio afferma categoricamente: «Né la cura
della famiglia né gli altri impegni secolari devono essere estranei all'orientamento spirituale della
vita»(45). A loro volta i Padri sinodali hanno detto: «L'unità della vita dei fedeli laici è di

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17
grandissima importanza: essi, infatti, debbono santificarsi nell'ordinaria vita professionale e
sociale. Perché possano rispondere alla loro vocazione, dunque, i fedeli laici debbono guardare
alle attività della vita quotidiana come occasione di unione con Dio e di compimento della sua
volontà, e anche di servizio agli altri uomini, portandoli alla comunione con Dio in Cristo»(46).
La vocazione alla santità dev'essere percepita e vissuta dai fedeli laici, prima che come obbligo
esigente e irrinunciabile, come segno luminoso dell'infinito amore del Padre che li ha rigenerati
alla sua vita di santità. Tale vocazione, allora, deve dirsi una componente essenziale e
inseparabile della nuova vita battesimale, e pertanto un elemento costitutivo della loro dignità.
Nello stesso tempo la vocazione alla santità è intimamente connessa con la missione e con la
responsabilità affidate ai fedeli laici nella Chiesa e nel mondo. Infatti, già la stessa santità vissuta,
che deriva dalla partecipazione alla vita di santità della Chiesa, rappresenta il primo e
fondamentale contributo all'edificazione della Chiesa stessa, quale «Comunione dei Santi». Agli
occhi illuminati dalla fede si spalanca uno scenario meraviglioso: quello di tantissimi fedeli laici,
uomini e donne, che proprio nella vita e nelle attività d'ogni giorno, spesso inosservati o addirittura
incompresi, sconosciuti ai grandi della terra ma guardati con amore dal Padre, sono gli operai
instancabili che lavorano nella vigna del Signore, sono gli artefici umili e grandi _ certo per la
potenza della grazia di Dio _ della crescita del Regno di Dio nella storia.
La santità, poi, deve dirsi un fondamentale presupposto e una condizione del tutto insostituibile
per il compiersi della missione di salvezza nella Chiesa. E' la santità della Chiesa la sorgente
segreta e la misura infallibile della sua operosità apostolica e del suo slancio missionario. Solo
nella misura in cui la Chiesa, Sposa di Cristo, si lascia amare da Lui e Lo riama, essa diventa
Madre feconda nello Spirito.
Riprendiamo di nuovo l'immagine biblica: lo sbocciare e l'espandersi dei tralci dipendono dal loro
inserimento nella vite. «Come il tralcio non può far frutto da se stesso se non rimane nella vite,
così anche voi se non rimanete in me. Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me e io in lui, fa
molto frutto, perché senza di me non potete far nulla» (Gv 15, 4-5).
E' naturale qui ricordare la solenne proclamazione di fedeli laici, uomini e donne, come beati e
santi, avvenuta durante il mese del Sinodo. L'intero Popolo di Dio, e i fedeli laici in particolare,
possono trovare ora nuovi modelli di santità e nuove testimonianze di virtù eroiche vissute nelle
condizioni comuni e ordinarie dell'esistenza umana. Come hanno detto i Padri sinodali: «Le
Chiese locali e soprattutto le cosiddette Chiese più giovani debbono riconoscere attentamente fra i
propri membri quegli uomini e quelle donne che hanno offerto in tali condizioni (le condizioni
quotidiane del mondo e lo stato coniugale) la testimonianza della santità e che possono essere di
esempio agli altri affinché, se si dia il caso, li propongano per la beatificazione e la
canonizzazione»(47).
Al termine di queste riflessioni, destinate a definire la condizione ecclesiale del fedele laico, ritorna

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18
alla mente il celebre monito di San Leone Magno: «Agnosce, o Christiane, dignitatem tuam»(48).
E' lo stesso monito di San Massimo, vescovo di Torino, rivolto a quanti avevano ricevuto l'unzione
del santo Battesimo: «Considerate l'onore che vi è fatto in questo mistero!»(49). Tutti i battezzati
sono invitati a riascoltare le parole di Sant'Agostino: «Rallegriamoci e ringraziamo: siamo diventati
non solo cristiani, ma Cristo (...). Stupite e gioite: Cristo siamo diventati!»(50).
La dignità cristiana, fonte dell'eguaglianza di tutti i membri della Chiesa, garantisce e promuove lo
spirito di comunione e di fraternità, e, nello stesso tempo, diventa il segreto e la forza del
dinamismo apostolico e missionario dei fedeli laici. E' una dignità esigente, la dignità degli operai
chiamati dal Signore a lavorare nella sua vigna: «Grava su tutti i laici _ leggiamo nel Concilio _ il
glorioso peso di lavorare, perché il divino disegno di salvezza raggiunga ogni giorno di più tutti gli
uomini di tutti i tempi e di tutta la terra»(51).
CAPITOLO II
TUTTI TRALCI DELL'UNICA VITE
La partecipazione dei fedeli laici
alla vita della Chiesa-Comunione
Il mistero della Chiesa-Comunione
18. Riascoltiamo le parole di Gesù: «Io sono la vera vite e il Padre mio è il vignaiolo (...). Rimanete
in me e io in voi» (Gv 15, 1-4).
Con queste semplici parole ci viene rivelata la comunione misteriosa che vincola in unità il Signore
e i discepoli, Cristo e i battezzati: una comunione viva e vivificante, per la quale i cristiani non
appartengono a se stessi ma sono proprietà di Cristo, come i tralci inseriti nella vite.
La comunione dei cristiani con Gesù ha quale modello, fonte e meta la comunione stessa del
Figlio con il Padre nel dono dello Spirito Santo: uniti al Figlio nel vincolo amoroso dello Spirito, i
cristiani sono uniti al Padre.
Gesù continua: «Io sono la vite, voi i tralci» (Gv 15, 5). Dalla comunione dei cristiani con Cristo
scaturisce la comunione dei cristiani tra di loro: tutti sono tralci dell'unica Vite, che è Cristo. In
questa comunione fraterna il Signore Gesù indica il riflesso meraviglioso e la misteriosa
partecipazione all'intima vita d'amore del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Per questa
comunione Gesù prega: «Tutti siano una sola cosa. Come tu, Padre, sei in me e io in te, siano
anch'essi in noi una cosa sola, perché il mondo creda che tu mi hai mandato» (Gv 17, 21).
Tale comunione è il mistero stesso della Chiesa, come ci ricorda il Concilio Vaticano II, con la
celebre parola di San Cipriano: «La Chiesa universale si presenta come "un popolo adunato

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dall'unità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo"»(52). A questo mistero della Chiesa-
Comunione siamo abitualmente richiamati all'inizio della celebrazione eucaristica, allorquando il
sacerdote ci accoglie con il saluto dell'apostolo Paolo: «La grazia del Signore Gesù Cristo, l'amore
di Dio e la comunione dello Spirito Santo siano con tutti voi» (2 Cor 13, 13).
Dopo aver delineato la «figura» dei fedeli laici nella loro dignità dobbiamo ora riflettere sulla loro
missione e responsabilità nella Chiesa e nel mondo: ma queste si possono comprendere
adeguatamente solo nel contesto vivo della Chiesa-Comunione.
Il Concilio e l'ecclesiologia di comunione
19. E' questa l'idea centrale che di se stessa la Chiesa ha riproposto nel Concilio Vaticano II,
come ci ha ricordato il Sinodo straordinario del 1985, celebratosi a vent'anni dall'evento conciliare:
«L'ecclesiologia di comunione è l'idea centrale e fondamentale nei documenti del Concilio. La
koinonia-comunione, fondata sulla Sacra Scrittura, è tenuta in grande onore nella Chiesa antica e
nelle Chiese orientali fino ai nostri giorni. Perciò molto è stato fatto dal Concilio Vaticano II perché
la Chiesa come comunione fosse più chiaramente intesa e concretamente tradotta nella vita. Che
cosa significa la complessa parola "comunione"? Si tratta fondamentalmente della comunione con
Dio per mezzo di Gesù Cristo, nello Spirito Santo. Questa comunione si ha nella parola di Dio e
nei sacramenti. Il Battesimo è la porta ed il fondamento della comunione nella Chiesa. L'Eucaristia
è la fonte ed il culmine di tutta la vita cristiana (cf. LG, 11). La comunione del corpo eucaristico di
Cristo significa e produce, cioè edifica l'intima comunione di tutti i fedeli nel corpo di Cristo che è la
Chiesa (cf. 1 Cor 10, 16 s.)»(53).
All'indomani del Concilio così Paolo VI si rivolgeva ai fedeli: «La Chiesa è una comunione. Che
cosa vuol dire in questo caso: comunione? Noi vi rimandiamo al paragrafo del catechismo che
parla della sanctorum communionem, la comunione dei santi. Chiesa vuol dire comunione dei
santi. E comunione dei santi vuol dire una duplice partecipazione vitale: l'incorporazione dei
cristiani nella vita di Cristo, e la circolazione della medesima carità in tutta la compagine dei fedeli,
in questo mondo e nell'altro. Unione a Cristo ed in Cristo; e unione fra i cristiani, nella
Chiesa»(54).
Le immagini bibliche, con cui il Concilio ha voluto introdurci a contemplare il mistero della Chiesa,
pongono in luce la realtà della Chiesa-Comunione nella sua inscindibile dimensione di comunione
dei cristiani con Cristo e di comunione dei cristiani tra loro. Sono le immagini dell'ovile, del gregge,
della vite, dell'edificio spirituale, della città santa(55). Soprattutto è l'immagine del corpo
presentata dall'apostolo Paolo, la cui dottrina rifluisce fresca e attraente in numerose pagine del
Concilio(56). A sua volta il Concilio riprende dall'intera storia della salvezza e ripropone l'immagine
della Chiesa come Popolo di Dio: «Piacque a Dio di santificare e salvare gli uomini non
individualmente e senza alcun legame tra loro, ma volle costituire di loro un popolo, che lo
riconoscesse nella verità e santamente Lo servisse»(57). Già nelle sue primissime righe, la

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20
Costituzione Lumen gentium compendia in modo mirabile questa dottrina scrivendo: «La Chiesa è
in Cristo come sacramento, cioè segno e strumento dell'intima unione con Dio e dell'unità di tutto il
genere umano»(58).
La realtà della Chiesa-Comunione è, allora, parte integrante, anzi rappresenta il contenuto
centrale del «mistero», ossia del disegno divino della salvezza dell'umanità. Per questo la
comunione ecclesiale non può essere interpretata in modo adeguato se viene intesa come una
realtà semplicemente sociologica e psicologica. La Chiesa-Comunione è il popolo «nuovo», il
popolo «messianico», il popolo che «ha per Capo Cristo (...) per condizione la dignità e la libertà
dei figli di Dio (...) per legge il nuovo precetto di amare come lo stesso Cristo ci ha amati (...) per
fine il Regno di Dio (... ed è) costituito da Cristo in una comunione di vita, di carità e di verità»(59).
I vincoli che uniscono i membri del nuovo Popolo tra di loro _ e prima ancora con Cristo _ non
sono quelli della «carne» e del «sangue», bensì quelli dello spirito, più precisamente quelli dello
Spirito Santo, che tutti i battezzati ricevono (cf. Gl 3, 1).
Infatti, quello Spirito che dall'eternità vincola l'unica e indivisa Trinità, quello Spirito che «nella
pienezza del tempo» (Gal 4, 4) unisce indissolubilmente la carne umana al Figlio di Dio, quello
stesso e identico Spirito è nel corso delle generazioni cristiane la sorgente ininterrotta e
inesauribile della comunione nella e della Chiesa.
Una comunione organica: diversità e complementarietà
20. La comunione ecclesiale si configura, più precisamente, come una comunione «organica»,
analoga a quella di un corpo vivo e operante: essa, infatti, è caratterizzata dalla compresenza
della diversità e della complementarietà delle vocazioni e condizioni di vita, dei ministeri, dei
carismi e delle responsabilità. Grazie a questa diversità e complementarietà ogni fedele laico si
trova in relazione con tutto il corpo e ad esso offre il suo proprio contributo.
Sulla comunione organica del Corpo mistico di Cristo insiste in modo tutto particolare l'apostolo
Paolo, il cui ricco insegnamento possiamo riascoltare nella sintesi tracciata dal Concilio: Gesù
Cristo _ leggiamo nella Costituzione Lumen gentium _ «comunicando il suo Spirito, costituisce
misticamente come suo corpo i suoi fratelli, chiamati da tutte le genti. In quel corpo la vita di Cristo
si diffonde nei credenti (...). Come tutte le membra del corpo umano, anche se numerose, formano
un solo corpo, così i fedeli in Cristo (cf. 1 Cor 12, 12). Anche nell'edificazione del corpo di Cristo
vige la diversità delle membra e delle funzioni. Uno è lo Spirito, il quale per l'utilità della Chiesa
distribuisce i suoi vari doni con magnificenza proporzionata alla sua ricchezza e alle necessità dei
servizi (cf. 1 Cor 12, 1-11 ). Fra questi doni viene al primo posto la grazia degli Apostoli, alla cui
autorità lo stesso Spirito sottomette anche i carismatici (cf. 1 Cor 14). Ed è ancora lo Spirito stesso
che, con la sua forza e mediante l'intima connessione delle membra, produce e stimola la carità
tra i fedeli. E quindi se un membro soffre, soffrono con esso tutte le altre membra; se un membro
è onorato, ne gioiscono con esso tutte le altre membra (cf. 1 Cor 12, 26)»(60).

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21
E' sempre l'unico e identico Spirito il principio dinamico della varietà e dell'unità nella e della
Chiesa. Leggiamo di nuovo nella Costituzione Lumen gentium: «Perché poi ci rinnovassimo
continuamente in Lui (Cristo) (cf. Ef 4, 23), ci ha dato del suo Spirito, il quale, unico e identico nel
Capo e nelle membra, dà a tutto il corpo la vita, l'unità e il movimento, così che i santi Padri
poterono paragonare la sua funzione con quella che esercita il principio vitale, cioè l'anima, nel
corpo umano»(61). E in un altro testo, particolarmente denso e prezioso per cogliere l'«organicità»
propria della comunione ecclesiale anche nel suo aspetto di crescita incessante verso la perfetta
comunione, il Concilio scrive: «Lo Spirito dimora nella Chiesa e nei cuori dei fedeli come in un
tempio (cf. 1 Cor 3, 16; 6, 19) e in essi prega e rende testimonianza dell'adozione filiale (cf. Gal 4,
6; Rom 8, 15-16. 26). Egli guida la Chiesa verso tutta intera la verità (cf. Gv 16, 13), la unifica nella
comunione e nel servizio, la istruisce e dirige con diversi doni gerarchici e carismatici, la abbellisce
dei suoi frutti (cf. Ef 4, 11-12; 1 Cor 12, 4; Gal 5, 22). Con la forza del Vangelo fa ringiovanire la
Chiesa, continuamente la rinnova e la conduce alla perfetta unione con il suo Sposo. Poiché lo
Spirito e la Sposa dicono al Signore Gesù: Vieni! (cf. Ap 22, 17»(62).
La comunione ecclesiale è, dunque, un dono, un grande dono dello Spirito Santo, che i fedeli laici
sono chiamati ad accogliere con gratitudine e, nello stesso tempo, a vivere con profondo senso di
responsabilità. Ciò si attua concretamente mediante la loro partecipazione alla vita e alla missione
della Chiesa, al cui servizio i fedeli laici pongono i loro diversi e complementari ministeri e carismi.
Il fedele laico «non può mai chiudersi in se stesso, isolandosi spiritualmente dalla comunità, ma
deve vivere in un continuo scambio con gli altri, con un vivo senso di fraternità, nella gioia di una
uguale dignità e nell'impegno di far fruttificare insieme l'immenso tesoro ricevuto in eredità. Lo
Spirito del Signore dona a lui, come agli altri, molteplici carismi, lo invita a differenti ministeri e
incarichi, gli ricorda, come anche lo ricorda agli altri in rapporto con lui, che tutto ciò che lo
distingue non è un di più di dignità, ma una speciale e complementare abilitazione al servizio
(...).Così, i carismi, i ministeri, gli incarichi ed i servizi del Fedele Laico esistono nella comunione e
per la comunione. Sono ricchezze complementari a favore di tutti, sotto la saggia guida dei
Pastori»(63).
I ministeri e i carismi, doni dello Spirito alla Chiesa
21. Il Concilio Vaticano II presenta i ministeri e i carismi come doni dello Spirito Santo per
l'edificazione del Corpo di Cristo e per la sua missione di salvezza nel mondo(64). La Chiesa,
infatti, è diretta e guidata dallo Spirito che elargisce diversi doni gerarchici e carismatici a tutti i
battezzati chiamandoli ad essere, ciascuno a suo modo, attivi e corresponsabili.
Consideriamo ora i ministeri e i carismi in diretto riferimento ai fedeli laici e alla loro partecipazione
alla vita della Chiesa-Comunione.
Ministeri, uffici e funzioni

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I ministeri presenti e operanti nella Chiesa sono tutti, anche se in modalità diverse, una
partecipazione al ministero di Gesù Cristo, il buon Pastore che dà la vita per le sue pecore (cf. Gv
10, 11 ), il servo umile e totalmente sacrificato per la salvezza di tutti (cf. Mc 10, 45). Paolo è
oltremodo chiaro nel parlare della costituzione ministeriale delle Chiese apostoliche. Nella Prima
Lettera ai Corinzi scrive: «Alcuni Dio li ha posti nella Chiesa in primo luogo come apostoli, in
secondo luogo come profeti, in terzo luogo come maestri (...)» (1 Cor 12, 28). Nella Lettera agli
Efesini leggiamo: «A ciascuno di noi è stata data la grazia secondo la misura del dono di Cristo
(...). E' lui che ha dato da una parte gli apostoli, d'altra parte i profeti, gli evangelisti, i pastori e i
maestri, per rendere idonei i fratelli a compiere il ministero, al fine di edificare il corpo di Cristo,
finché arriviamo tutti all'unità della fede e della conoscenza del Figlio di Dio, allo stato di uomo
perfetto, nella misura che conviene alla piena maturità di Cristo» (Ef 4, 7. 11-13; cf. Rom 12, 4-8).
Come appare da questi e da altri testi del Nuovo Testamento, i ministeri, come pure i doni e i
compiti ecclesiali, sono molteplici e diversi.
I ministeri derivanti dall'Ordine
22. Nella Chiesa si trovano in primo luogo, i ministeri ordinati, ossia i ministeri che derivano dal
sacramento dell'Ordine. Il Signore Gesù, infatti, ha scelto e costituito gli Apostoli, seme del Popolo
della Nuova Alleanza e origine della sacra Gerarchia(65), affidando loro il mandato di fare
discepole tutte le genti (cf. Mt 28, 19), di formare e di reggere il popolo sacerdotale. La missione
degli Apostoli, che il Signore Gesù continua a trasmettere ai pastori del suo popolo, è un vero
servizio, significativamente chiamato nella Sacra Scrittura «diakonia», ossia servizio, ministero.
Nella ininterrotta successione apostolica i ministri ricevono il carisma dello Spirito Santo dal Cristo
Risorto mediante il sacramento dell'Ordine: ricevono così l'autorità e il potere sacro di agire «in
persona Christi Capitis» (nella persona di Cristo Capo)(66) per servire la Chiesa e per radunarla
nello Spirito Santo per mezzo del Vangelo e dei sacramenti.
I ministeri ordinati, prima ancora che per le persone che li ricevono, sono una grazia per l'intera
Chiesa. Essi esprimono e attuano una partecipazione al sacerdozio di Gesù Cristo che è diversa,
non solo per grado ma per essenza, dalla partecipazione donata con il Battesimo e con la
Confermazione a tutti i fedeli. D'altra parte il sacerdozio ministeriale, come ha ricordato il Concilio
Vaticano II, è essenzialmente finalizzato al sacerdozio regale di tutti i fedeli e ad esso
ordinato(67).
Per questo, per assicurare e per far crescere la comunione nella Chiesa, in particolare nell'ambito
dei diversi e complementari ministeri, i pastori devono riconoscere che il loro ministero è
radicalmente ordinato al servizio di tutto il Popolo di Dio (cf. Eb 5, 1), e, a loro volta, i fedeli laici
devono riconoscere che il sacerdozio ministeriale è del tutto necessario per la loro vita e per la
loro partecipazione alla missione nella Chiesa(68).
Ministeri, uffici e funzioni dei laici

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23. La missione salvifica della Chiesa nel mondo è attuata non solo dai ministri in virtù del
sacramento dell'Ordine ma anche da tutti i fedeli laici: questi, infatti, in virtù della loro condizione
battesimale e della loro specifica vocazione, nella misura a ciascuno propria, partecipano all'ufficio
sacerdotale, profetico e regale di Cristo.
I pastori, pertanto, devono riconoscere e promuovere i ministeri, gli uffici e le funzioni dei fedeli
laici, che hanno il loro fondamento sacramentale nel Battesimo e nella Confermazione, nonché,
per molti di loro, nel Matrimonio.
Quando poi la necessità o l'utilità della Chiesa lo esige, i pastori possono affidare ai fedeli laici,
secondo le norme stabilite dal diritto universale, alcuni compiti che sono connessi con il loro
proprio ministero di pastori ma che non esigono il carattere dell'Ordine. Il Codice di Diritto
Canonico scrive: «Ove le necessità della Chiesa lo suggeriscano, in mancanza di ministri, anche i
laici, pur senza essere lettori o accoliti, possono supplire alcuni dei loro uffici, cioè esercitare il
ministero della parola, presiedere alle preghiere liturgiche, amministrare il Battesimo e distribuire
la sacra Comunione, secondo le disposizioni del diritto»(69).L'esercizio però di questi compiti non
fa del fedele laico un pastore: in realtà non è il compito a costituire il ministero, bensì l'ordinazione
sacramentale. Solo il sacramento dell'Ordine attribuisce al ministero ordinato una peculiare
partecipazione all'ufficio di Cristo Capo e Pastore e al suo sacerdozio eterno(70). Il compito
esercitato in veste di supplente deriva la sua legittimazione immediatamente e formalmente dalla
deputazione ufficiale data dai pastori, e nella sua concreta attuazione è diretto dall'autorità
ecclesiastica(71).
La recente Assemblea del Sinodo ha presentato un ampio e significativo panorama della
situazione ecclesiale circa i ministeri, gli uffici e le funzioni dei battezzati. I Padri hanno vivamente
apprezzato l'apporto apostolico dei fedeli laici, uomini e donne, in favore dell'evangelizzazione,
della santificazione e dell'animazione cristiana delle realtà temporali, come pure la loro generosa
disponibilità alla supplenza in situazioni di emergenza e di croniche necessità(72).
In seguito al rinnovamento liturgico promosso dal Concilio, gli stessi fedeli laici hanno acquisito più
viva coscienza dei loro compiti nell'assemblea liturgica e nella sua preparazione, e si sono resi
ampiamente disponibili a svolgerli: la celebrazione liturgica, infatti, è un'azione sacra non soltanto
del clero, ma di tutta l'assemblea. E' naturale, pertanto, che i compiti non propri dei ministri ordinati
siano svolti dai fedeli laici(73). Il passaggio poi da un effettivo coinvolgimento dei fedeli laici
nell'azione liturgica a quello nell'annuncio della Parola di Dio e nella cura pastorale è stato
spontaneo(74).
Nella stessa Assemblea sinodale non sono mancati però, insieme a quelli positivi, giudizi critici
circa l'uso troppo indiscriminato del termine «ministero», la confusione e talvolta il livellamento tra
il sacerdozio comune e il sacerdozio ministeriale, la scarsa osservanza di certe leggi e norme
ecclesiastiche, l'interpretazione arbitraria del concetto di «supplenza», la tendenza alla

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«clericalizzazione» dei fedeli laici e il rischio di creare di fatto una struttura ecclesiale di servizio
parallela a quella fondata sul sacramento dell'Ordine.
Proprio per superare questi pericoli i Padri sinodali hanno insistito sulla necessità che siano
espresse con chiarezza, anche servendosi di una terminologia più precisa(75), l'unità di missione
della Chiesa, alla quale partecipano tutti i battezzati, ed insieme l'essenziale diversità di ministero
dei pastori, radicato nel sacramento dell'Ordine, rispetto agli altri ministeri, uffici e funzioni
ecclesiali, che sono radicati nei sacramenti del Battesimo e della Confermazione.
E' necessario allora, in primo luogo, che i pastori, nel riconoscere e nel conferire ai fedeli laici i vari
ministeri, uffici e funzioni, abbiano la massima cura di instruirli sulla radice battesimale di questi
compiti. E' necessario poi che i pastori siano vigilanti perché si eviti un facile ed abusivo ricorso a
presunte «situazioni di emergenza» o di «necessaria supplenza», là dove obiettivamente non
esistono o là dove è possibile ovviarvi con una programmazione pastorale più razionale.
I vari ministeri, uffici e funzioni che i fedeli laici possono legittimamente svolgere nella liturgia, nella
trasmissione della fede e nelle strutture pastorali della Chiesa, dovranno essere esercitati in
conformità alla loro specifica vocazione laicale, diversa da quella dei sacri ministri. In tal senso,
l'Esortazione Evangelii nuntiandi, che tanta e benefica parte ha avuto nello stimolare la
diversificata collaborazione dei fedeli laici alla vita e alla missione evangelizzatrice della Chiesa,
ricorda che «il campo proprio della loro attività evangelizzatrice è il mondo vasto e complicato
della politica, della realtà sociale, dell'economia; così pure della cultura, delle scienze e delle arti,
della vita internazionale, degli strumenti della comunicazione sociale; ed anche di altre realtà
particolarmente aperte all'evangelizzazione, quali l'amore, la famiglia, l'educazione dei bambini e
degli adolescenti, il lavoro professionale, la sofferenza. Più ci saranno laici penetrati di spirito
evangelico, responsabili di queste realtà ed esplicitamente impegnati in esse, competenti nel
promuoverle e consapevoli di dover sviluppare tutta la loro capacità cristiana spesso tenuta
nascosta e soffocata, tanto più queste realtà, senza nulla perdere né sacrificare del loro
coefficiente umano, ma manifestando una dimensione trascendente spesso sconosciuta, si
troveranno al servizio dell'edificazione del Regno di Dio, e quindi della salvezza in Gesù
Cristo»(76).
Durante i lavori del Sinodo i Padri hanno dedicato non poca attenzione al Lettorato e all'Accolitato.
Mentre in passato esistevano nella Chiesa Latina soltanto come tappe spirituali dell'itinerario verso
i ministeri ordinati, con il Motu proprio di Paolo VI Ministeria quaedam (15Agosto 1972) essi hanno
ricevuto una loro autonomia e stabilità, come pure una loro possibile destinazione agli stessi fedeli
laici, sia pure soltanto uomini. Nello stesso senso si è espresso il nuovo Codice di Diritto
Canonico(77). Ora i Padri sinodali hanno espresso il desiderio che «il Motu proprio "Ministeria
quaedam" sia rivisto, tenendo conto dell'uso delle Chiese locali e soprattutto indicando i criteri
secondo cui debbano essere scelti i destinatari di ciascun ministero»(78).

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In tal senso è stata costituita un'apposita Commissione non solo per rispondere a questo desiderio
espresso dai Padri sinodali, ma anche e ancor più per studiare in modo approfondito i diversi
problemi teologici, liturgici, giuridici e pastorali sollevati dall'attuale grande fioritura di ministeri
affidati ai fedeli laici.
In attesa che la Commissione concluda il suo studio, perché la prassi ecclesiale dei ministeri
affidati ai fedeli laici risulti ordinata e fruttuosa, dovranno essere fedelmente rispettati da tutte le
Chiese particolari i principi teologici sopra ricordati, in particolare la diversità essenziale tra il
sacerdozio ministeriale e il sacerdozio comune e, conseguentemente, la diversità tra i ministeri
derivanti dal sacramento dell'Ordine e i ministeri derivanti dai sacramenti del Battesimo e della
Confermazione.
I carismi
24. Lo Spirito Santo, mentre affida alla Chiesa-Comunione i diversi ministeri, l'arricchisce di altri
particolari doni e impulsi, chiamati carismi. Possono assumere le forme più diverse, sia come
espressione dell'assoluta libertà dello Spirito che li elargisce, sia come risposta alle esigenze
molteplici della storia della Chiesa. La descrizione e la classificazione che di questi doni fanno i
testi del Nuovo Testamento sono un segno della loro grande varietà: «E a ciascuno è data una
manifestazione particolare dello Spirito per l'utilità comune: a uno viene concesso dallo Spirito il
linguaggio della sapienza; a un altro invece, per mezzo dello stesso Spirito, il linguaggio di
scienza; a uno la fede per mezzo dello stesso Spirito; a un altro il dono di far guarigioni per mezzo
dell'unico Spirito; a uno il potere dei miracoli, a un altro il dono della profezia; a un altro il dono di
distinguere gli spiriti; a un altro le varietà delle lingue; a un altro infine l'interpretazione delle
lingue» (1 Cor 12, 7-10; cf. 1 Cor 12, 4-6. 28-31; Rom 12, 6-8; 1 Pt 4, 10-11).
Straordinari o semplici e umili, i carismi sono grazie dello Spirito Santo che hanno, direttamente o
indirettamente, un'utilità ecclesiale, ordinati come sono all'edificazione della Chiesa, al bene degli
uomini e alle necessità del mondo.
Anche ai nostri tempi non manca la fioritura di diversi carismi tra i fedeli laici, uomini e donne.
Sono dati alla persona singola, ma possono anche essere condivisi da altri e in tal modo vengono
continuati nel tempo come una preziosa e viva eredità, che genera una particolare affinità
spirituale tra le persone. Proprio in riferimento all'apostolato dei laici il Concilio Vaticano II scrive:
«Per l'esercizio di tale apostolato lo Spirito Santo, che opera la santificazione del Popolo di Dio per
mezzo del ministero e dei sacramenti, elargisce ai fedeli anche dei doni particolari (cf. 1 Cor 12,
7), "distribuendoli a ciascuno come vuole" (1 Cor 12, 11), affinché, "mettendo ciascuno a servizio
degli altri la grazia ricevuta", contribuiscano anch'essi, "come buoni dispensatori delle diverse
grazie ricevute da Dio" (1 Pt 4, 10), alla edificazione di tutto il corpo nella carità (cf. Ef 4, 16)»(79).
Nella logica dell'originaria donazione da cui sono scaturiti, i doni dello Spirito esigono che quanti li

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hanno ricevuti li esercitino per la crescita di tutta la Chiesa, come ci ricorda il Concilio(80).
I carismi vanno accolti con gratitudine: da parte di chi li riceve, ma anche da parte di tutti nella
Chiesa. Sono, infatti, una singolare ricchezza di grazia per la vitalità apostolica e per la santità
dell'intero Corpo di Cristo: purché siano doni che derivino veramente dallo Spirito e vengano
esercitati in piena conformità agli impulsi autentici dello Spirito. In tal senso si rende sempre
necessario il discernimento dei carismi. In realtà, come hanno detto i Padri sinodali, «l'azione dello
Spirito Santo, che soffia dove vuole, non è sempre facile da riconoscere e da accogliere.
Sappiamo che Dio agisce in tutti i fedeli cristiani e siamo coscienti dei benefici che vengono dai
carismi sia per i singoli sia per tutta la comunità cristiana. Tuttavia, siamo anche coscienti della
potenza del peccato e dei suoi sforzi per turbare e per confondere la vita dei fedeli e della
comunità»(81).
Per questo nessun carisma dispensa dal riferimento e dalla sottomissione ai Pastori della Chiesa.
Con chiare parole il Concilio scrive: «Il giudizio sulla loro (dei carismi) genuinità e sul loro esercizio
ordinato appartiene a quelli che presiedono nella Chiesa, ai quali spetta specialmente, non di
estinguere lo Spirito, ma di esaminare tutto e ritenere ciò che è buono (cf. 1 Tess 5, 12 e 19-
21)»(82), affinché tutti i carismi cooperino, nella loro diversità e complementarietà, al bene
comune(83).
La pertecipazione dei fedeli laici alla vita della Chiesa
25. I fedeli laici partecipano alla vita della Chiesa non solo mettendo in opera i loro compiti e
carismi, ma anche in molti altri modi.
Tale partecipazione trova la sua prima e necessaria espressione nella vita e missione delle
Chiese particolari, delle diocesi, nelle quali «è veramente presente e agisce la Chiesa di Cristo,
una, santa, cattolica e apostolica»(84).
Chiese particolari e Chiesa universale
Per un'adeguata partecipazione alla vita ecclesiale è del tutto urgente che i fedeli laici abbiano una
visione chiara e precisa della Chiesa particolare nel suo originale legame con la Chiesa
universale. La Chiesa particolare non nasce da una specie di frammentazione della Chiesa
universale, né la Chiesa universale viene costituita dalla semplice somma delle Chiese particolari;
ma un vivo, essenziale e costante vincolo le unisce tra loro, in quanto la Chiesa universale esiste
e si manifesta nelle Chiese particolari. Per questo il Concilio dice che le Chiese particolari sono
«formate a immagine della Chiesa universale, nelle quali e a partire dalle quali esiste la sola e
unica Chiesa cattolica»(85).
Lo stesso Concilio stimola con forza i fedeli laici a vivere operosamente la loro appartenenza alla

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Chiesa particolare, assumendo nello stesso tempo un respiro sempre più «cattolico»: «Coltivino
costantemente _ leggiamo nel Decreto sull'apostolato dei laici _ il senso della diocesi, di cui la
parrocchia è come una cellula, sempre pronti, all'invito del loro Pastore, ad unire anche le proprie
forze alle iniziative diocesane. Anzi, per venire incontro alle necessità delle città e delle zone
rurali, non limitino la loro propria cooperazione entro i confini della parrocchia o della diocesi, ma
procurino di allargarla all'ambito interparrocchiale, interdiocesano, nazionale o internazionale,
tanto più che il crescente spostamento delle popolazioni, lo sviluppo delle mutue relazioni e la
facilità delle comunicazioni non consentono più ad alcuna parte della società di rimanere chiusa in
se stessa. Così abbiano a cuore le necessità del Popolo di Dio sparso su tutta la terra»(86).
Il recente Sinodo ha chiesto, in tal senso, che si favorisca la creazione dei Cansigli Pastorali
diocesani, ai quali ricorrere secondo le opportunità. Si tratta, in realtà, della principale forma di
collaborazione e di dialogo, come pure di discernimento, a livello diocesano. La partecipazione dei
fedeli laici a questi Consigli potrà ampliare il ricorso alla consultazione e il principio della
collaborazione _ che in certi casi è anche di decisione _ verrà applicato in un modo più esteso e
forte(87).
La partecipazione dei fedeli laici nei Sinodi diocesani e nei Concili particolari, provinciali o plenari,
è prevista dal Codice di Diritto Canonico(88); essa potrà contribuire alla comunione e alla
missione ecclesiale della Chiesa particolare, sia nel suo proprio ambito sia in relazione con le altre
Chiese particolari della provincia ecclesiastica o della Conferenza Episcopale.
Le Conferenze Episcopali sono chiamate a valutare il modo più opportuno di sviluppare, a livello
nazionale o regionale, la consultazione e la collaborazione dei fedeli laici, uomini e donne: si
potranno così soppesare bene i problemi comuni e meglio si manifesterà la comunione ecclesiale
di tutti(89).
La parrocchia
26. La comunione ecclesiale, pur avendo sempre una dimensione universale, trova la sua
espressione più immediata e visibile nella parrocchia: essa è l'ultima localizzazione della Chiesa, è
in un certo senso la Chiesa stessa che vive in mezzo alle case dei suoi figli e delle sue figlie(90).
E' necessario che tutti riscopriamo, nella fede, il vero volto della parrocchia, ossia il «mistero»
stesso della Chiesa presente e operante in essa: anche se a volte povera di persone e di mezzi,
anche se altre volte dispersa su territori quanto mai vasti o quasi introvabile all'interno di popolosi
e caotici quartieri moderni, la parrocchia non è principalmente una struttura, un territorio, un
edificio; è piuttosto «la famiglia di Dio, come una fraternità animata dallo spirito d'unità»(91), è
«una casa di famiglia, fraterna ed accogliente»(92), è la «comunità di fedeli»(93). In definitiva, la
parrocchia è fondata su di una realtà teologica, perché essa è unacomunità eucaristica(94). Ciò
significa che essa è una comunità idonea a celebrare l'Eucaristia, nella quale stanno la radice viva

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del suo edificarsi e il vincolo sacramentale del suo essere in piena comunione con tutta la Chiesa.
Tale idoneità si radica nel fatto che la parrocchia è una comunità di fede e una comunità organica,
ossia costituita dai ministri ordinati e dagli altri cristiani, nella quale il parroco _ che rappresenta il
Vescovo diocesano(95) _ è il vincolo gerarchico con tutta la Chiesa particolare.
E' certamente immane il compito della Chiesa ai nostri giorni e ad assolverlo non può certo
bastare la parrocchia da sola. Per questo il Codice di Diritto Canonico prevede forme di
collaborazione tra parrocchie nell'ambito del territorio(96) e raccomanda al Vescovo la cura di tutte
le categorie di fedeli, anche di quelle che non sono raggiunte dalla cura pastorale ordinaria(97).
Infatti, molti luoghi e forme di presenza e di azione sono necessari per recare la parola e la grazia
del Vangelo nelle svariate condizioni di vita degli uomini d'oggi, e molte altre funzioni di
irradiazione religiosa e d'apostolato d'ambiente, nel campo culturale, sociale, educativo,
professionale, ecc., non possono avere come centro o punto di partenza la parrocchia. Eppure
anche oggi la parrocchia vive una nuova e promettente stagione. Come diceva Paolo VI, all'inizio
del suo pontificato, rivolgendosi al Clero romano: «Crediamo semplicemente che questa antica e
venerata struttura della parrocchia ha una missione indispensabile e di grande attualità; ad essa
spetta creare la prima comunità del popolo cristiano; ad essa iniziare e raccogliere il popolo nella
normale espressione della vita liturgica; ad essa conservare e ravvivare la fede nella gente d'oggi;
ad essa fornirle la scuola della dottrina salvatrice di Cristo; ad essa praticare nel sentimento e
nell'opera l'umile carità delle opere buone e fraterne»(98).
I Padri sinodali, dal canto loro, hanno attentamente considerato l'attuale situazione di molte
parrocchie, sollecitando un loro più deciso rinnovamento : «Molte parrocchie, sia in regioni
urbanizzate sia in territorio missionario, non possono funzionare con pienezza effettiva per la
mancanza di mezzi materiali o di uomini ordinati, o anche per l'eccessiva estensione geografica e
per la speciale condizione di alcuni cristiani (come, per esempio, gli esuli e gli emigranti). Perché
tutte queste parrocchie siano veramente comunità cristiane, le autorità locali devono favorire: a)
l'adattamento delle strutture parrocchiali con la flessibilità ampia concessa dal Diritto Canonico,
soprattutto promuovendo la partecipazione dei laici alle responsabilità pastorali; b) le piccole
comunità ecclesiali di base, dette anche comunità vive, dove i fedeli possano comunicarsi a
vicenda la Parola di Dio ed esprimersi nel servizio e nell'amore; queste comunità sono vere
espressioni della comunione ecclesiale e centri di evangelizzazione, in comunione con i loro
Pastori»(99). Per il rinnovamento delle parrocchie e per meglio assicurare la loro efficacia
operativa si devono favorire forme anche istituzionali di cooperazione tra le diverse parrocchie di
un medesimo territorio.
L'impegno apostolico nella parrocchia
27. E' necessario ora considerare più da vicino la comunione e la partecipazione dei fedeli laici
alla vita della parrocchia. In tal senso è da richiamarsi l'attenzione di tutti i fedeli laici, uomini e
donne, su di una parola tanto vera, significativa e stimolante del Concilio: «All'interno delle

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comunità della Chiesa _ leggiamo nel Decreto sull'apostolato dei laici _ la loro azione è talmente
necessaria che senza di essa lo stesso apostolato dei pastori non può per lo più raggiungere la
sua piena efficacia»(100). E', questa, un'affermazione radicale, che dev'essere evidentemente
intesa nella luce della «ecclesiologia di comunione»: essendo diversi e complementari, i ministeri
e i carismi sono tutti necessari alla crescita della Chiesa, ciascuno secondo la propria modalità.
I fedeli laici devono essere sempre più convinti del particolare significato che assume l'impegno
apostolico nella loro parrocchia. E' ancora il Concilio a rilevarlo autorevolmente: «La parrocchia
offre un luminoso esempio di apostolato comunitario, fondendo insieme tutte le differenze umane
che vi si trovano e inserendole nell'universalità della Chiesa. Si abituino i laici a lavorare nella
parrocchia intimamente uniti ai loro sacerdoti, ad esporre alla comunità della Chiesa i propri
problemi e quelli del mondo e le questioni che riguardano la salvezza degli uomini, perché siano
esaminati e risolti con il concorso di tutti; a dare, secondo le proprie possibilità, il loro contributo ad
ogni iniziativa apostolica e missionaria della propria famiglia ecclesiastica»(101).
L'accenno conciliare all'esame e alla risoluzione dei problemi pastorali «con il concorso di tutti»
deve trovare il suo adeguato e strutturato sviluppo nella valorizzazione più convinta, ampia e
decisa dei Consigli pastorali parrocchiali, sui quali hanno giustamente insistito i Padri
sinodali(102).
Nelle circostanze attuali i fedeli laici possono e devono fare moltissimo per la crescita di
un'autentica comunione ecclesiale all'interno delle loro parrocchie e per ridestare lo slancio
missionario verso i non credenti e verso gli stessi credenti che hanno abbandonato o affievolito la
pratica della vita cristiana.
Se la parrocchia è la Chiesa posta in mezzo alle case degli uomini, essa vive e opera
profondamente inserita nella società umana e intimamente solidale con le sue aspirazioni e i suoi
drammi. Spesso il contesto sociale, soprattutto in certi paesi e ambienti, è violentemente scosso
da forze di disgregazione e di disumanizzazione: l'uomo è smarrito e disorientato, ma nel cuore gli
rimane sempre più il desiderio di poter sperimentare e coltivare rapporti più fraterni e più umani La
risposta a tale desiderio può venire dalla parrocchia, quando questa, con la viva partecipazione
dei fedeli laici, rimane coerente alla sua originaria vocazione e missione: essere nel mondo
«luogo» della comunione dei credenti e insieme «segno» e «strumento» della vocazione di tutti
alla comunione; in una parola, essere la casa aperta a tutti e al servizio di tutti o, come amava dire
il Papa Giovanni XXIII, la fontana del villaggio alla quale tutti ricorrono per la loro sete.
Forme di partecipazione nella vita della Chiesa
28. I fedeli laici, unitamente ai sacerdoti, ai religiosi e alle religiose, formano l'unico Popolo di Dio e
Corpo di Cristo.

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L'essere «membri» della Chiesa nulla toglie al fatto che ciascun cristiano sia un essere «unico e
irripetibile», bensì garantisce e promuove il senso più profondo della sua unicità e irripetibilità, in
quanto fonte di varietà e di ricchezza per l'intera Chiesa. In tal senso Dio in Gesù Cristo chiama
ciascuno col proprio inconfondibile nome. L'appello del Signore: «Andate anche voi nella mia
vigna» si rivolge a ciascuno personalmente e suona: «Vieni anche tu nella mia vigna!».
Così ciascuno nella sua unicità e irripetibilità, con il suo essere e con il suo agire, si pone al
servizio della crescita della comunione ecclesiale, come peraltro singolarmente riceve e fa sua la
comune ricchezza di tutta la Chiesa. E' questa la «Comunione dei Santi», da noi professata nel
Credo: il bene di tutti diventa il bene di ciascuno e il bene di ciascuno diventa il bene di tutti. «Nella
santa Chiesa _ scrive San Gregorio Magno _ ognuno è sostegno degli altri e gli altri sono suo
sostegno»(103).
Forme personali di partecipazione
E' del tutto necessario che ciascun fedele laico abbia sempre viva coscienza di essere un
«membro della Chiesa», al quale è affidato un compito originale insostituibile e indelegabile, da
svolgere per il bene di tutti. In una simile prospettiva assume tutto il suo significato l'affermazione
conciliare circa l'assoluta necessità dell'apostolato della singola persona: «L'apostolato che i
singoli devono svolgere, sgorgando abbondantemente dalla fonte di una vita veramente cristiana
(cf. Gv 4, 14), è la prima forma e la condizione di ogni apostolato dei laici, anche di quello
associato, ed è insostituibile. A tale apostolato, sempre e dovunque proficuo, ma in certe
circostanze l'unico adatto e possibile, sono chiamati e obbligati tutti i laici, di qualsiasi condizione,
anche se manca loro l'occasione o la possibilità di collaborare nelle associazioni»(104).
Nell'apostolato personale ci sono grandi ricchezze che chiedono di essere scoperte per
un'intensificazione del dinamismo missionario di ciascun fedele laico. Con tale forma di apostolato,
l'irradiazione del Vangelo può farsi quanto mai capillare, giungendo a tanti luoghi e ambienti quanti
sono quelli legati alla vita quotidiana e concreta dei laici. Si tratta, inoltre, di un'irradiazione
costante, essendo legata alla continua coerenza della vita personale con la fede; come pure di
un'irradiazione particolarmente incisiva, perché, nella piena condivisione delle condizioni di vita,
del lavoro, delle difficoltà e speranze dei fratelli, i fedeli laici possono giungere al cuore dei loro
vicini o amici o colleghi, aprendolo all'orizzonte totale, al senso pieno dell'esistenza: la comunione
con Dio e tra gli uomini.
Forme aggregative di partecipazione
29. La comunione ecclesiale, già presente e operante nell'azione della singola persona, trova una
sua specifica espressione nell'operare associato dei fedeli laici, ossia nell'azione solidale da essi
svolta nel partecipare responsabilmente alla vita e alla missione della Chiesa.

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In questi ultimi tempi il fenomeno dell'aggregarsi dei laici tra loro è venuto ad assumere caratteri di
particolare varietà e vivacità. Se sempre nella storia della Chiesa l'aggregarsi dei fedeli ha
rappresentato in qualche modo una linea costante, come testimoniano sino ad oggi le varie
confraternite, i terzi ordini e i diversi sodalizi, esso ha però ricevuto uno speciale impulso nei tempi
moderni, che hanno visto il nascere e il diffondersi di molteplici forme aggregative: associazioni,
gruppi, comunità, movimenti. Possiamo parlare di una nuova stagione aggregativa dei fedeli laici.
Infatti, «accanto all'associazionismo tradizionale, e talvolta alle sue stesse radici, sono germogliati
movimenti e sodalizi nuovi, con fisionomia e finalità specifiche: tanta è la ricchezza e la versatilità
delle risorse che lo Spirito alimenta nel tessuto ecclesiale, e tanta è pure la capacità d'iniziativa e
la generosità del nostro laicato»(105).
Queste aggregazioni di laici si presentano spesso assai diverse le une dalle altre in vari aspetti,
come la configurazione esteriore, i cammini e metodi educativi, e i campi operativi. Trovano però
le linee di un'ampia e profonda convergenza nella finalità che le anima: quella di partecipare
responsabilmente alla missione della Chiesa di portare il Vangelo di Cristo come fonte di speranza
per l'uomo e di rinnovamento per la società.
L'aggregarsi dei fedeli laici per motivi spirituali e apostolici scaturisce da più fonti e corrisponde ad
esigenze diverse: esprime, infatti, la natura sociale della persona e obbedisce all'istanza di una più
vasta ed incisiva efficacia operativa. In realtà, l'incidenza «culturale», sorgente e stimolo ma anche
frutto e segno di ogni altra trasformazione dell'ambiente e della società, può realizzarsi solo con
l'opera non tanto dei singoli quanto di un «soggetto sociale», ossia di un gruppo, di una comunità,
di un'associazione, di un movimento. Ciò è particolarmente vero nel contesto della società
pluralistica e frantumata _ com'è quella attuale in tante parti del mondo _ e di fronte a problemi
divenuti enormemente complessi e difficili. D'altra parte, soprattutto in un mondo secolarizzato, le
varie forme aggregative possono rappresentare per tanti un aiuto prezioso per una vita cristiana
coerente alle esigenze del Vangelo e per un impegno missionario e apostolico.
Al di là di questi motivi, la ragione profonda che giustifica ed esige l'aggregarsi dei fedeli laici è di
ordine teologico: è una ragione ecclesiologica, come apertamente riconosce il Concilio Vaticano II
che indica nell'apostolato associato un «segno della comunione e dell'unità della Chiesa in
Cristo»(106).
E' un «segno» che deve manifestarsi nei rapporti di «comunione» sia all'interno che all'esterno
delle varie forme aggregative nel più ampio contesto della comunità cristiana. Proprio la ragione
ecclesiologica indicata spiega, da un lato il «diritto» di aggregazione proprio dei fedeli laici,
dall'altro lato la necessità di «criteri» di discernimento circa l'autenticità ecclesiale delle loro forme
aggregative.
E' anzitutto da riconoscersi la libertà associativa dei fedeli laici nella Chiesa. Tale libertà è un vero
e proprio diritto che non deriva da una specie di «concessione» dell'autorità, ma che scaturisce dal

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Battesimo, quale sacramento che chiama i fedeli laici a partecipare attivamente alla comunione e
alla missione della Chiesa. Al riguardo è del tutto chiaro il Concilio: «Salva la dovuta relazione con
l'autorità ecclesiastica, i laici hanno il diritto di creare e guidare associazioni e dare nome a quelle
fondate»(107). E il recente Codice testualmente afferma: «I fedeli hanno il diritto di fondare e di
dirigere liberamente associazioni che si propongano un fine di carità o di pietà, oppure
associazioni che si propongano l'incremento della vocazione cristiana nel mondo; hanno anche il
diritto di tenere riunioni per il raggiungimento comune di tali finalità»(108).
Si tratta di una libertà riconosciuta e garantita dall'autorità ecclesiastica e che dev'essere
esercitata sempre e solo nella comunione della Chiesa: in tal senso il diritto dei fedeli laici ad
aggregarsi è essenzialmente relativo alla vita di comunione e alla missione della Chiesa stessa.
Criteri di ecclesialità per le aggregazioni laicali
30. E' sempre nella prospettiva della comunione e della missione della Chiesa, e dunque non in
contrasto con la libertà associativa, che si comprende la necessità di criteri chiari e precisi di
discernimento e di riconoscimento delle aggregazioni laicali, detti anche «criteri di ecclesialità».
Come criteri fondamentali per il discernimento di ogni e qualsiasi aggregazione dei fedeli laici nella
Chiesa si possono considerare, in modo unitario, i seguenti:
-Il primato dato alla vocazione di ogni cristiano alla santità, manifestata «nei frutti della grazia che
lo Spirito produce nei fedeli»(109) come crescita verso la pienezza della vita cristiana e la
perfezione della carità(110). In tal senso ogni e qualsiasi aggregazione di fedeli laici è chiamata ad
essere sempre più strumento di santità nella Chiesa, favorendo e incoraggiando «una più intima
unità tra la vita pratica dei membri e la loro fede»(111).
-La responsabilità di confessare la fede cattolica, accogliendo e proclamando la verità su Cristo,
sulla Chiesa e sull'uomo in obbedienza al Magistero della Chiesa, che autenticamente la
interpreta. Per questo ogni aggregazione di fedeli laici dev'essere luogo di annuncio e di proposta
della fede e di educazione ad essa nel suo integrale contenuto.
-La testimonianza di una comunione salda e convinta, in relazione filiale con il Papa, perpetuo e
visibile centro dell'unità della Chiesa universale(112), e con il Vescovo «principio visibile e
fondamento dell'unità»(113) della Chiesa particolare, e nella «stima vicendevole fra tutte le forme
di apostolato nella Chiesa»(114).
La comunione con il Papa e con il Vescovo è chiamata ad esprimersi nella leale disponibilità ad
accogliere i loro insegnamenti dottrinali e orientamenti pastorali. La comunione ecclesiale esige,
inoltre, il riconoscimento della legittima pluralità delle forme aggregative dei fedeli laici nella
Chiesa e, nello stesso tempo, la disponibilità alla loro reciproca collaborazione.

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- La conformità e la partecipazione al fine apostolico della Chiesa, ossia «l'evangelizzazione e la
santificazione degli uomini e la formazione cristiana della loro coscienza, in modo che riescano a
permeare di spirito evangelico le varie comunità e i vari ambienti»(115).
In questa prospettiva, da tutte le forme aggregative di fedeli laici, e da ciascuna di esse, è richiesto
uno slancio missionario che le renda sempre più soggetti di una nuova evangelizzazione.
- L'impegno di una presenza nella società umana che, alla luce della dottrina sociale della Chiesa,
si ponga a servizio della dignità integrale dell'uomo.
In tal senso le aggregazioni dei fedeli laici devono diventare correnti vive di partecipazione e di
solidarietà per costruire condizioni più giuste e fraterne all'interno della società.
I criteri fondamentali ora esposti trovano la loro verifica nei frutti concreti che accompagnano la
vita e le opere delle diverse forme associative quali: il gusto rinnovato per la preghiera, la
contemplazione, la vita liturgica e sacramentale; l'animazione per il fiorire di vocazioni al
matrimonio cristiano, al sacerdozio ministeriale, alla vita consacrata; la disponibilità a partecipare
ai programmi e alle attività della Chiesa a livello sia locale sia nazionale o internazionale;
l'impegno catechetico e la capacità pedagogica nel formare i cristiani; l'impulso a una presenza
cristiana nei diversi ambienti della vita sociale e la creazione e animazione di opere caritative,
culturali e spirituali; lo spirito di distacco e di povertà evangelica per una più generosa carità verso
tutti; la conversione alla vita cristiana o il ritorno alla comunione di battezzati «lontani».
Il servizio dei Pastori per la comunione
31. I Pastori nella Chiesa, sia pure di fronte a possibili e comprensibili difficoltà di alcune forme
aggregative e all'imporsi di nuove forme, non possono rinunciare al servizio della loro autorità, non
solo per il bene della Chiesa, ma anche per il bene delle stesse aggregazioni laicali. In tal senso
devono accompagnare l'opera di discernimento con la guida e soprattutto con l'incoraggiamento
per una crescita delle aggregazioni dei fedeli laici nella comunione e nella missione della Chiesa.
E' oltremodo opportuno che alcune nuove associazioni e alcuni nuovi movimenti, per la loro
diffusione spesso nazionale o anche internazionale, abbiano a ricevere un riconoscimento
ufficiale, un'approvazione esplicita della competente autorità ecclesiastica. In questo senso già il
Concilio affermava: «L'apostolato dei laici ammette certo vari tipi di rapporti con la Gerarchia
secondo le diverse forme e oggetti dell'apostolato stesso (...). Alcune forme di apostolato dei laici
vengono in vari modi esplicitamente riconosciute dalla Gerarchia. L'autorità ecclesiastica, per le
esigenze del bene comune della Chiesa, fra le associazioni e iniziative apostoliche aventi un fine
immediatamente spirituale, può inoltre sceglierne in modo particolare e promuoverne alcune per le
quali assume una speciale responsabilità»(116).

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Tra le diverse forme apostoliche dei laici che hanno un particolare rapporto con la Gerarchia i
Padri sinodali hanno esplicitamente ricordato vari movimenti e associazioni di Azione Cattolica, in
cui «i laici si associano liberamente in forma organica e stabile, sotto la spinta dello Spirito Santo,
nella comunione con il Vescovo e con i sacerdoti, per poter servire, nel modo proprio della loro
vocazione, con un particolare metodo, all'incremento di tutta la comunità cristiana, ai progetti
pastorali e all'animazione evangelica di tutti gli ambiti della vita, con fedeltà e operosità»(117).
Il Pontificio Consiglio per i Laici è incaricato di preparare un elenco delle associazioni che ricevono
l'approvazione ufficiale della Santa Sede e di definire, insieme al Segretariato per l'Unione dei
Cristiani, le condizioni in base alle quali può essere approvata un'associazione ecumenica in cui la
maggioranza sia cattolica e una minoranza non cattolica, stabilendo anche in quali casi non si può
dare un giudizio positivo(118).
Tutti, Pastori e fedeli, siamo obbligati a favorire e ad alimentare di continuo vincoli e rapporti
fraterni di stima, di cordialità, di collaborazione tra le varie forme aggregative di laici. Solo così la
ricchezza dei doni e dei carismi che il Signore ci offre può portare il suo fecondo e ordinato
contributo all'edificazione della casa comune: «Per la solidale edificazione della casa comune è
necessario, inoltre, che sia deposto ogni spirito di antagonismo e di contesa, e che si gareggi
piuttosto nello stimarsi a vicenda (cf. Rom 12, 10), nel prevenirsi reciprocamente nell'affetto e nella
volontà di collaborazione, con la pazienza, la lungimiranza, la disponibilità al sacrificio che ciò
potrà talvolta comportare»(119).
Ritorniamo ancora una volta alle parole di Gesù: «Io sono la vite, voi i tralci» (Gv 15, 5), per
rendere grazie a Dio del grande dono della comunione ecclesiale, riflesso nel tempo dell'eterna e
ineffabile comunione d'amore di Dio Uno e Trino. La coscienza del dono si deve accompagnare ad
un forte senso di responsabilità: è, infatti, un dono che, come il talento evangelico, esige d'essere
trafficato in una vita di crescente comunione.
Essere responsabili del dono della comunione significa, anzitutto, essere impegnati a vincere ogni
tentazione di divisione e di contrapposizione, che insidia la vita e l'impegno apostolico dei cristiani.
Il grido di dolore e di sconcerto dell'apostolo Paolo: «Mi riferisco al fatto che ciascuno di voi dice:
"Io sono di Paolo", "Io invece sono di Apollo", "E io di Cefa", "E io di Cristo!". Cristo è stato forse
diviso?» (1 Cor 1, 12-13 ) continua a suonare come rimprovero per le «lacerazioni del Corpo di
Cristo». Risuonino, invece, come appello persuasivo queste altre parole dell'apostolo: «Vi esorto,
fratelli, per il nome del Signore nostro Gesù Cristo, ad essere unanimi nel parlare, perché non vi
siano divisioni tra voi, ma siate in perfetta unione di pensiero e d'intenti» (1 Cor 1, 10).
Così la vita di comunione ecclesiale diventa un segno per il mondo e una forza attrattiva che
conduce a credere in Cristo: «Come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch'essi in noi una cosa
sola, perché il mondo creda che tu mi hai mandato» (Gv 17, 21). In tal modo la comunione si apre
alla missione, si fa essa stessa missione.

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CAPITOLO III
VI HO COSTITUITI PERCHÉ ANDIATE E PORTIATE FRUTTO
La corresponsabilità dei fedeli laici nella Chiesa-Missione
Comunione missionaria
32. Riprendiamo l'immagine biblica della vite e dei tralci. Essa ci apre, in modo immediato e
naturale, alla considerazione della fecondità e della vita. Radicati e vivificati dalla vite, i tralci sono
chiamati a portare frutto: «Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me e io in lui fa molto frutto»
(Gv 15, 5). Portare frutto è un'esigenza essenziale della vita cristiana ed ecclesiale. Chi non porta
frutto non rimane nella comunione: «Ogni tralcio che in me non porta frutto, (il Padre mio) lo
toglie» (Gv 15, 2).
La comunione con Gesù, dalla quale deriva la comunione dei cristiani tra loro, è condizione
assolutamente indispensabile per portare frutto: «Senza di me non potete far nulla» (Gv 15, 5). E
la comunione con gli altri è il frutto più bello che i tralci possono dare: essa, infatti, è dono di Cristo
e del suo Spirito.
Ora la comunione genera comunione, e si configura essenzialmente come comunione
missionaria. Gesù, infatti, dice ai suoi discepoli: «Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi
ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga» (Gv 15, 16).
La comunione e la missione sono profondamente congiunte tra loro, si compenetrano e si
implicano mutuamente, al punto che la comunione rappresenta la sorgente e insieme il frutto della
missione: la comunione è missionaria e la missione è per la comunione. E' sempre l'unico e
identico Spirito colui che convoca e unisce la Chiesa e colui che la manda a predicare il Vangelo
«fino agli estremi confini della terra» (At 1, 8). Da parte sua, la Chiesa sa che la comunione,
ricevuta in dono, ha una destinazione universale. Così la Chiesa si sente debitrice all'umanità
intera e a ciascun uomo del dono ricevuto dallo Spirito che effonde nei cuori dei credenti la carità
di Gesù Cristo, prodigiosa forza di coesione interna ed insieme di espansione esterna. La
missione della Chiesa deriva dalla sua stessa natura, così come Cristo l'ha voluta: quella di
«segno e strumento (...) di unità di tutto il genere umano»(120). Tale missione ha lo scopo di far
conoscere e di far vivere a tutti la «nuova» comunione che nel Figlio di Dio fatto uomo è entrata
nella storia del mondo. In tal senso la testimonianza dell'evangelista Giovanni definisce oramai in
modo irrevocabile il termine beatificante al quale punta l'intera missione della Chiesa: «Quello che
abbiamo veduto e udito, noi lo annunciamo anche a voi, perché anche voi siate in comunione con
noi. La nostra comunione è col Padre e col Figlio suo Gesù Cristo» (1 Gv 1, 3).
Ora nel contesto della missione della Chiesa il Signore affida ai fedeli laici, in comunione con tutti
gli altri membri del Popolo di Dio, una grande parte di responsabilità. Ne erano pienamente

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consapevoli i Padri del Concilio Vaticano II: «I sacri Pastori, infatti, sanno benissimo quanto
contribuiscano i laici al bene di tutta la Chiesa. Sanno di non essere stati istituiti da Cristo per
assumersi da soli tutta la missione della salvezza che la Chiesa ha ricevuto nei confronti del
mondo, ma che il loro magnifico incarico è di pascere i fedeli e di riconoscere i loro servizi e i loro
carismi, in modo che tutti concordemente cooperino, nella loro misura, all'opera comune»(121). La
loro consapevolezza è ritornata poi, con rinnovata chiarezza e con vigore accresciuto, in tutti i
lavori del Sinodo.
Annunciare il Vangelo
33. I fedeli laici, proprio perché membri della Chiesa, hanno la vocazione e la missione di essere
annunciatori del Vangelo: per quest'opera sono abilitati e impegnati dai sacramenti dell'iniziazione
cristiana e dai doni dello Spirito Santo.
Leggiamo in un testo limpido e denso del Concilio Vaticano II: «In quanto partecipi dell'ufficio di
Cristo sacerdote, profeta e re, i laici hanno la loro parte attiva nella vita e nell'azione della Chiesa
(...). Nutriti dell'attiva partecipazione alla vita liturgica della propria comunità, partecipano con
sollecitudine alle opere apostoliche della medesima; conducono alla Chiesa gli uomini che forse
ne vivono lontani; cooperano con dedizione nel comunicare la parola di Dio, specialmente
mediante l'insegnamento del catechismo; mettendo a disposizione la loro competenza rendono
più efficace la cura delle anime ed anche l'amministrazione dei beni della Chiesa»(122).
Ora è nell' evangelizzazione che si concentra e si dispiega l'intera missione della Chiesa, il cui
cammino storico si snoda sotto la grazia e il comando di Gesù Cristo: «Andate in tutto il mondo e
predicate il Vangelo ad ogni creatura» (Mc 16, 15); «Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla
fine del mondo» (Mt 28, 20). «Evangelizzare _ scrive Paolo VI _ è la grazia e la vocazione propria
della Chiesa, la sua identità più profonda»(123).
Dall'evangelizzazione la Chiesa viene costruita e plasmata come comunità di fede: più
precisamente, come comunità di una fede confessata nell'adesione alla Parola di Dio, celebrata
nei sacramenti, vissuta nella carità, quale anima dell'esistenza morale cristiana. Infatti, la «buona
novella» tende a suscitare nel cuore e nella vita dell'uomo la conversione e l'adesione personale a
Gesù Cristo Salvatore e Signore; dispone al Battesimo e all'Eucaristia e si consolida nel proposito
e nella realizzazione della vita nuova secondo lo Spirito.
Certamente l'imperativo di Gesù: «Andate e predicate il Vangelo» mantiene sempre vivo il suo
valore ed è carico di un'urgenza intramontabile. Tuttavia la situazione attuale, non solo del mondo
ma anche di tante parti della Chiesa, esige assolutamente che la parola di Cristo riceva
un'obbedienza più pronta e generosa. Ogni discepolo è chiamato in prima persona; nessun
discepolo può sottrarsi nel dare la sua propria risposta: «Guai a me, se non predicassi il Vangelo!»
(1 Cor 9, 16).

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L'ora è venuta per intraprendere una nuova evangelizzazione
34. Interi paesi e nazioni, dove la religione e la vita cristiana erano un tempo quanto mai fiorenti e
capaci di dar origine a comunità di fede viva e operosa, sono ora messi a dura prova, e talvolta
sono persino radicalmente trasformati, dal continuo diffondersi dell'indifferentismo, del secolarismo
e dell'ateismo. Si tratta, in particolare, dei paesi e delle nazioni del cosiddetto Primo Mondo, nel
quale il benessere economico e il consumismo, anche se frammisti a paurose situazioni di povertà
e di miseria, ispirano e sostengono una vita vissuta «come se Dio non esistesse». Ora
l'indifferenza religiosa e la totale insignificanza pratica di Dio per i problemi anche gravi della vita
non sono meno preoccupanti ed eversivi rispetto all'ateismo dichiarato. E anche la fede cristiana,
se pure sopravvive in alcune sue manifestazioni tradizionali e ritualistiche, tende ad essere
sradicata dai momenti più significativi dell'esistenza, quali sono i momenti del nascere, del soffrire
e del morire. Di qui l'imporsi di interrogativi e di enigmi formidabili che, rimanendo senza risposta,
espongono l'uomo contemporaneo alla delusione sconsolata o alla tentazione di eliminare la
stessa vita umana che quei problemi pone.
In altre regioni o nazioni, invece, si conservano tuttora molto vive tradizioni di pietà e di religiosità
popolare cristiana; ma questo patrimonio morale e spirituale rischia oggi d'essere disperso sotto
l'impatto di molteplici processi, tra i quali emergono la secolarizzazione e la diffusione delle sette.
Solo una nuova evangelizzazione può assicurare la crescita di una fede limpida e profonda,
capace di fare di queste tradizioni una forza di autentica libertà.
Certamente urge dovunque rifare il tessuto cristiano della società umana. Ma la condizione è che
si rifaccia il tessuto cristiano delle stesse comunità ecclesiali che vivono in questi paesi e in queste
nazioni.
Ora i fedeli laici, in forza della loro partecipazione all'ufficio profetico di Cristo, sono pienamente
coinvolti in questo compito della Chiesa. Ad essi tocca, in particolare, testimoniare come la fede
cristiana costituisca l'unica risposta pienamente valida, più o meno coscientemente da tutti
percepita e invocata, dei problemi e delle speranze che la vita pone ad ogni uomo e ad ogni
società. Ciò sarà possibile se i fedeli laici sapranno superare in se stessi la frattura tra il Vangelo e
la vita, ricomponendo nella loro quotidiana attività in famiglia, sul lavoro e nella società, l'unità
d'una vita che nel Vangelo trova ispirazione e forza per realizzarsi in pienezza.
A tutti gli uomini contemporanei ripeto, ancora una volta, il grido appassionato con il quale ho
iniziato il mio servizio pastorale: «Non abbiate paura! Aprite, anzi, spalancate le porte a Cristo!
Alla Sua salvatrice potestà aprite i confini degli Stati, i sistemi economici come quelli politici, i vasti
campi di cultura, di civiltà, di sviluppo. Non abbiate paura! Cristo sa "cosa è dentro l'uomo". Solo
Lui lo sa! Oggi così spesso l'uomo non sa cosa si porta dentro, nel profondo del suo animo, del
suo cuore. Così spesso è in certo del senso della sua vita su questa terra. E' invaso dal dubbio
che si tramuta in disperazione. Permettete, quindi _ vi prego, vi imploro con umiltà e con fiducia _

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permettete a Cristo di parlare all'uomo. Solo Lui ha parole di vita, sì! di vita eterna»(124).
Spalancare le porte a Cristo, accoglierlo nello spazio della propria umanità non è affatto una
minaccia per l'uomo, bensì è l'unica strada da percorrere se si vuole riconoscere l'uomo nell'intera
sua verità ed esaltarlo nei suoi valori.
Sarà la sintesi vitale che i fedeli laici sapranno operare tra il Vangelo e i doveri quotidiani della vita
la più splendida e convincente testimonianza che, non la paura, ma la ricerca e l'adesione a Cristo
sono il fattore determinante perché l'uomo viva e cresca, e perché si costituiscano nuovi modi di
vivere più conformi alla dignità umana.
L'uomo è amato da Dio! E' questo il semplicissimo e sconvolgente annuncio del quale la Chiesa è
debitrice all'uomo. La parola e la vita di ciascun cristiano possono e devono far risuonare questo
annuncio: Dio ti ama, Cristo è venuto per te, per te Cristo è «Via, Verità, Vita!» (Gv 14, 6).
Questa nuova evangelizzazione, rivolta non solo alle singole persone ma anche ad intere fasce di
popolazioni nelle loro varie situazioni, ambienti e culture, è destinata alla formazione dicomunità
ecclesiali mature, nelle quali cioè la fede sprigioni e realizzi tutto il suo originario significato di
adesione alla persona di Cristo e al suo Vangelo, di incontro e di comunione sacramentale con
Lui, di esistenza vissuta nella carità e nel servizio.
I fedeli laici hanno la loro parte da compiere nella formazione di simili comunità ecclesiali, non solo
con una partecipazione attiva e responsabile nella vita comunitaria, e pertanto con la loro
insostituibile testimonianza, ma anche con lo slancio e l'azione missionaria verso quanti ancora
non credono o non vivono più la fede ricevuta con il Battesimo.
In rapporto alle nuove generazioni un contributo prezioso, quanto mai necessario, deve essere
offerto dai fedeli laici con una sistematica opera di catechesi. I Padri sinodali hanno accolto con
gratitudine il lavoro dei catechisti, riconoscendo che essi «hanno un compito di grande peso
nell'animazione delle comunità ecclesiali»(125). Certamente i genitori cristiani sono i primi e
insostituibili catechisti dei loro figli, a ciò abilitati dal sacramento del Matrimonio; nello stesso
tempo però dobbiamo essere tutti coscienti del «diritto» che ogni battezzato ha di venire istruito,
educato, accompagnato nella fede e nella vita cristiana.
Andate in tutto il mondo
35. La Chiesa, mentre avverte e vive l'urgenza attuale di una nuova evangelizzazione, non può
sottrarsi alla missione permanente di portare il Vangelo a quanti _ e sono milioni e milioni di
uomini e di donne _ ancora non conoscono Cristo Redentore dell'uomo. E' questo il compito più
specificamente missionario che Gesù ha affidato e quotidianamente riaffida alla sua Chiesa.

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L'opera dei fedeli laici, che peraltro non è mai mancata in questo ambito, si rivela oggi sempre più
necessaria e preziosa. In realtà, il comando del Signore «Andate in tutto il mondo» continua a
trovare molti laici generosi, pronti a lasciare il loro ambiente di vita, il loro lavoro, la loro regione o
patria per recarsi, almeno per un determinato tempo, in zone di missione. Anche coppie di sposi
cristiani, a imitazione di Aquila e Priscilla (cf. At 18; Rom 16, 3 s), vanno offrendo una confortante
testimonianza di amore appassionato a Cristo e alla Chiesa mediante la loro presenza operosa
nelle terre di missione. Autentica presenza missionaria è anche quella di coloro che, vivendo per
vari motivi in paesi o ambienti dove la Chiesa non è ancora stabilita, testimoniano la loro fede.
Ma il problema missionario si presenta attualmente alla Chiesa con un'ampiezza e con una gravità
tali che solo un'assunzione veramente solidale di responsabilità da parte di tutti i membri della
Chiesa, sia come singoli sia come comunità, può far sperare in una risposta più efficace.
L'invito che il Concilio Vaticano II ha rivolto alle Chiese particolari conserva tutto il suo valore, anzi
esige oggi un'accoglienza più generalizzata e più decisa: «La Chiesa particolare, dovendo
rappresentare nel modo più perfetto la Chiesa universale, abbia la piena coscienza di essere
inviata anche a coloro che non credono in Cristo»(126).
La Chiesa deve fare oggi un grande passo in avanti nella sua evangelizzazione, deve entrare in
una nuova tappa storica del suo dinamismo missionario. In un mondo che con il crollare delle
distanze si fa sempre più piccolo, le comunità ecclesiali devono collegarsi tra loro, scambiarsi
energie e mezzi, impegnarsi insieme nell'unica e comune missione di annunciare e di vivere il
Vangelo. «Le Chiese cosiddette più giovani _ hanno detto i Padri sinodali _ abbisognano della
forza di quelle antiche, mentre queste hanno bisogno della testimonianza e della spinta delle più
giovani, in modo che le singole Chiese attingano dalle ricchezze delle altre Chiese»(127).
In questa nuova tappa, la formazione non solo del clero locale ma anche di un laicato maturo e
responsabile si pone nelle giovani Chiese come elemento essenziale e irrinunciabile della
plantatio Ecclesiae(128). In tal modo le stesse comunità evangelizzate si slanciano verso nuove
contrade del mondo per rispondere anch'esse alla missione di annunciare e testimoniare il
Vangelo di Cristo.
I fedeli laici, con l'esempio della loro vita e con la propria azione, possono favorire il miglioramento
dei rapporti tra i seguaci delle diverse religioni, come hanno opportunamente rilevato i Padri
sinodali: «Oggi la Chiesa vive dappertutto in mezzo a uomini di religioni diverse (...). Tutti i fedeli,
specialmente i laici che vivono in mezzo ai popoli di altre religioni, sia nelle regioni di origine, sia in
terre di emigrazione, debbono essere per costoro un segno del Signore e della sua Chiesa, in
modo adatto alle circostanze di vita di ciascun luogo. Il dialogo tra le religioni ha un'importanza
preminente perché conduce all'amore e al rispetto reciproco, elimina, o almeno diminuisce, i
pregiudizi tra i seguaci delle diverse religioni e promuove l'unità e l'amicizia tra i popoli»(129).

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Per l'evangelizzazione del mondo occorrono, anzitutto, gli evangelizzatori. Per questo tutti, a
cominciare dalle famiglie cristiane, dobbiamo sentire la responsabilità di favorire il sorgere e il
maturare di vocazioni specificamente missionarie, sia sacerdotali e religiose sia laicali, ricorrendo
ad ogni mezzo opportuno, senza mai trascurare il mezzo privilegiato della preghiera, secondo la
parola stessa del Signore Gesù: «La messe è molta, ma gli operai sono pochi! Pregate dunque il
padrone della messe che mandi operai nella sua messe!» (Mt 9, 37-38).
Vivere il Vangelo servendo la persona e la società
36. Accogliendo e annunciando il Vangelo nella forza dello Spirito la Chiesa diviene comunità
evangelizzata ed evangelizzante e proprio per questo si fa serva degli uomini. In essa i fedeli laici
partecipano alla missione di servire la persona e la società. Certamente la Chiesa ha come
supremo fine il Regno di Dio, del quale «costituisce in terra il germe e l'inizio»(130), ed è quindi
totalmente consacrata alla glorificazione del Padre. Ma il Regno è fonte di liberazione piena e di
salvezza totale per gli uomini: con questi, allora, la Chiesa cammina e vive, realmente e
intimamente solidale con la loro storia.
Avendo ricevuto l'incarico di manifestare al mondo il mistero di Dio che splende in Cristo Gesù, al
tempo stesso la Chiesa svela l'uomo all'uomo, gli fa noto il senso della sua esistenza, lo apre alla
verità intera su di sé e sul suo destino(131). In questa prospettiva la Chiesa è chiamata, in forza
della sua stessa missione evangelizatrice, a servire l'uomo. Tale servizio si radica primariamente
nel fatto prodigioso e sconvolgente che «con l'incarnazione il Figlio di Dio si è unito in certo modo
a ogni uomo»(132).
Per questo l'uomo «è la prima strada che la Chiesa deve percorrere nel compimento della sua
missione: egli è la prima fondamentale via della Chiesa, via tracciata da Cristo stesso, via che
immutabilmente passa attraverso il mistero dell'Incarnazione e della Redenzione»(133).
Proprio in questo senso si è espresso, ripetutamente e con singolare chiarezza e forza, il Concilio
Vaticano II nei suoi diversi documenti. Rileggiamo un testo particolarmente illuminante della
Costituzione Gaudium et spes: «La Chiesa, certo, perseguendo il suo proprio fine di salvezza, non
solo comunica all'uomo la vita divina, ma anche diffonde la sua luce con ripercussione, in qualche
modo, su tutto il mondo, soprattutto per il fatto che risana ed eleva la dignità della persona umana,
consolida la compagine dell'umana società, e immette nel lavoro quotidiano degli uomini un più
profondo senso e significato. Così la Chiesa, con i singoli suoi membri e con tutta intera la sua
comunità, crede di poter contribuire molto a rendere più umana la famiglia degli uomini e la sua
storia»(134).
In questo contributo alla famiglia degli uomini, del quale è responsabile l'intera Chiesa, un posto
particolare compete ai fedeli laici, in ragione della loro «indole secolare», che li impegna, con
modalità proprie e insostituibili, nell'animazione cristiana dell'ordine temporale.

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41
Promuovere la dignità della persona
37. Riscoprire e far riscoprire la dignità inviolabile di ogni persona umana costituisce un compito
essenziale, anzi, in un certo senso, il compito centrale e unificante del servizio che la Chiesa e, in
essa, i fedeli laici sono chiamati a rendere alla famiglia degli uomini.
Tra tutte le creature terrene, solo l'uomo è «persona», soggetto cosciente e libero e, proprio per
questo, «centro e vertice» di tutto quanto esiste sulla terra(135).
La dignità personale è il bene più prezioso che l'uomo possiede, grazie al quale egli trascende in
valore tutto il mondo materiale. La parola di Gesù: «Che giova all'uomo guadagnare il mondo
intero, se poi perde la propria anima?» (Mc 8, 36) implica una luminosa e stimolante affermazione
antropologica: l'uomo vale non per quello che «ha» _ possedesse pure il mondo intero! _ , quanto
per quello che «è». Contano non tanto i beni del mondo, quanto il bene della persona, il bene che
è la persona stessa.
La dignità della persona manifesta tutto il suo fulgore quando se ne considerano l'origine e la
destinazione: creato da Dio a sua immagine e somiglianza e redento dal sangue preziosissimo di
Cristo, l'uomo è chiamato ad essere «figlio nel Figlio» e tempio vivo dello Spirito, ed è destinato
all'eterna vita di comunione beatificante con Dio. Per questo ogni violazione della dignità
personale dell'essere umano grida vendetta al cospetto di Dio e si configura come offesa al
Creatore dell'uomo.
In forza della sua dignità personale l'essere umano è sempre un valore in sé e per sé, e come tale
esige d'essere considerato e trattato, mai invece può essere considerato e trattato come un
oggetto utilizzabile, uno strumento, una cosa.
La dignità personale costituisce il fondamento dell'eguaglianza di tutti gli uomini tra loro. Di qui
l'assoluta inaccettabilità di tutte le più svariate forme di discriminazione che, purtroppo, continuano
a dividere e a umiliare la famiglia umana, da quelle razziali ed economiche a quelle sociali e
culturali, da quelle politiche a quelle geografiche, ecc. Ogni discriminazione costituisce
un'ingiustizia del tutto intollerabile, non tanto per le tensioni e per i conflitti ch'essa può generare
nel tessuto sociale, quanto per il disonore inferto alla dignità della persona: non solo alla dignità di
chi è vittima dell'ingiustizia, ma ancor più di chi quell'ingiustizia compie.
Fondamento dell'uguaglianza di tutti gli uomini tra loro, la dignità personale è anche il fondamento
della partecipazione e della solidarietà degli uomini tra loro: il dialogo e la comunione si radicano
ultimamente su ciò che gli uomini «sono», prima e più ancora che su quanto essi «hanno».
La dignità personale è proprietà indistruttibile di ogni essere umano. E' fondamentale avvertire
tutta la forza dirompente di questa affermazione, che si basa sull'unicità e sull'irripetibilità di ogni

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persona. Ne deriva che l'individuo è assolutamente irriducibile a tutto ciò che lo vorrebbe
schiacciare e annullare nell'anonimato della collettività, dell'istituzione, della struttura, del sistema.
La persona, nella sua individualità, non è un numero, non è un anello d'una catena, né un
ingranaggio di un sistema. L'affermazione più radicale ed esaltante del valore di ogni essere
umano è stata fatta dal Figlio di Dio nel suo incarnarsi nel seno d'una donna. Anche di questo
continua a parlarci il Natale cristiano(136).
Venerare l'inviolabile diritto alla vita
38. Il riconoscimento effettivo della dignità personale di ogni essere umano esige il rispetto, la
difesa e la promozione dei diritti della persona umana. Si tratta di diritti naturali, universali e
inviolabili: nessuno, né il singolo, né il gruppo, né l'autorità, né lo Stato, li può modificare né tanto
meno li può eliminare, perché tali diritti provengono da Dio stesso.
Ora l'inviolabilità della persona, riflesso dell'assoluta inviolabilità di Dio stesso, trova la sua prima e
fondamentale espressione nell'inviolabilità della vita umana. E' del tutto falso e illusorio il comune
discorso, che peraltro giustamente viene fatto, sui diritti umani _ come ad esempio sul diritto alla
salute, alla casa, al lavoro, alla famiglia e alla cultura _ se non si difende con la massima
risolutezza il diritto alla vita, quale diritto primo e fontale, condizione per tutti gli altri diritti della
persona.
La Chiesa non si è mai data per vinta di fronte a tutte le violazioni che il diritto alla vita, proprio di
ogni essere umano, ha ricevuto e continua a ricevere sia dai singoli sia dalle stesse autorità.
Titolare di tale diritto è l'essere umano in ogni fase del suo sviluppo, dal concepimento sino alla
morte naturale; e in ogni sua condizione, sia essa di salute o di malattia, di perfezione o di
handicap, di ricchezza o di miseria. Il Concilio Vaticano II proclama apertamente: «Tutto ciò che è
contro la vita stessa, come ogni specie di omicidio, il genocidio, l'aborto, l'eutanasia e lo stesso
suicidio volontario; tutto ciò che viola l'integrità della persona umana, come le mutilazioni, le
torture inflitte al corpo e alla mente, gli sforzi per violentare l'intimo dello spirito; tutto ciò che
offende la dignità umana, come le condizioni infraumane di vita, le incarcerazioni arbitrarie, le
deportazioni, la schiavitù, la prostituzione, il mercato delle donne e dei giovani, o ancora le
ignominiose condizioni di lavoro con le quali i lavoratori sono trattati come semplici strumenti di
guadagno, e non come persone libere e responsabili; tutte queste cose, e altre simili, sono
certamente vergognose e, mentre guastano la civiltà umana, ancor più inquinano coloro che così
si comportano, che non quelli che le subiscono; e ledono grandemente l'onore del Creatore»(137).
Ora se di tutti sono la missione e la responsabilità di riconoscere la dignità personale di ogni
essere umano e di difenderne il diritto alla vita, alcuni fedeli laici vi sono chiamati ad un titolo
particolare: tali sono i genitori, gli educatori, gli operatori della salute, e quanti detengono il potere
economico e politico.

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Nell'accoglienza amorosa e generosa di ogni vita umana, soprattutto se debole o malata, la
Chiesa vive oggi un momento fondamentale della sua missione, tanto più necessaria quanto più
dominante si è fatta una «cultura di morte». Infatti «la Chiesa fermamente crede che la vita
umana, anche se debole e sofferente, è sempre uno splendido dono del Dio della bontà. Contro il
pessimismo e l'egoismo, che oscurano il mondo, la Chiesa sta dalla parte della vita: e in ciascuna
vita umana sa scoprire lo splendore di quel "Sì", di quell' "Amen", che è Cristo stesso (cf. 2 Cor 1,
19; Ap 3, 14). Al "no" che invade e affligge il mondo, contrappone questo vivente "Sì", difendendo
in tal modo l'uomo e il mondo da quanti insidiano e mortificano la vita»(138). Tocca ai fedeli laici,
che più direttamente o per vocazione o per professione sono coinvolti nell'accoglienza della vita,
rendere concreto ed efficace il «sì» della Chiesa alla vita umana.
Sulle frontiere della vita umana possibilità e responsabilità nuove si sono oggi spalancate con
l'enorme sviluppo delle scienze biologiche e mediche, unitamente al sorprendente potere
tecnologico: l'uomo, infatti, è in grado oggi non solo di «osservare», ma anche di «manipolare» la
vita umana nello stesso suo inizio e nei suoi primi stadi di sviluppo.
La coscienza morale dell'umanità non può rimanere estranea o indifferente di fronte ai passi
giganteschi compiuti da una potenza tecnologica che acquista un dominio sempre più vasto e
profondo sui dinamismi che presiedono alla procreazione e alle prime fasi dello sviluppo della vita
umana. Forse non mai come oggi e in questo campo la sapienza si dimostra l'unica àncora di
salvezza, perché l'uomo nella ricerca scientifica e in quella applicata possa agire sempre con
intelligenza e con amore, ossia rispettando, anzi venerando l'inviolabile dignità personale di ogni
essere umano, sin dal primo istante della sua esistenza. Ciò avviene quando con mezzi leciti, la
scienza e la tecnica si impegnano nella difesa della vita e nella cura della malattia sin dagli inizi,
rifiutando invece _ per la dignità stessa della ricerca _ interventi che risultano alterativi del
patrimonio genetico dell'individuo e della generazione umana(139).
I fedeli laici, a vario titolo e a diverso livello impegnati nella scienza e nella tecnica, come pure
nell'ambito medico, sociale, legislativo ed economico devono coraggiosamente accettare le
«sfide» poste dai nuovi problemi della bioetica. Come hanno detto i Padri sinodali, «i cristiani
debbono esercitare la loro responsabilità come padroni della scienza e della tecnologia, non come
servi di essa (...). Nella prospettiva di quelle «sfide» morali, che stanno per essere provocate dalla
nuova e immensa potenza tecnologica e che mettono in pericolo non solo i diritti fondamentali
degli uomini, ma la stessa essenza biologica della specie umana, è della massima importanza che
i laici cristiani _ con l'aiuto di tutta la Chiesa _ si prendano a carico di richiamare la cultura ai
principi di un autentico umanesimo, affinché la promozione e la difesa dei diritti dell'uomo possano
trovare fondamento dinamico e sicuro nella stessa sua essenza, quella essenza che la
predicazione evangelica ha rivelato agli uomini»(140).
Urge oggi, da parte di tutti, la massima vigilanza di fronte al fenomeno della concentrazione del
potere, e in primo luogo di quello tecnologico. Tale concentrazione, infatti, tende a manipolare non

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solo l'essenza biologica ma anche i contenuti della stessa coscienza degli uomini e i loro modelli
di vita, aggravando in tal modo la discriminazione e l'emarginazione di interi popoli.
Liberi di invocare il Nome del Signore
39. Il rispetto della dignità personale, che comporta la difesa e la promozione dei diritti umani,
esige il riconoscimento della dimensione religiosa dell'uomo. Non è, questa, un'esigenza
semplicemente «confessionale», bensì un'esigenza che trova la sua radice inestirpabile nella
realtà stessa dell'uomo. Il rapporto con Dio, infatti, è elemento costitutivo dello stesso «essere» ed
«esistere» dell'uomo: è in Dio che noi «viviamo, ci muoviamo ed esistiamo» (At 17, 28). Se non
tutti credono a tale verità, quanti ne sono convinti hanno il diritto di essere rispettati nella loro fede
e nelle scelte di vita, individuale e comunitaria, che da essa derivano. E' questo il diritto alla libertà
di coscienza e alla libertà religiosa, il cui riconoscimento effettivo è tra i beni più alti e tra i doveri
più gravi di ogni popolo che voglia veramente assicurare il bene della persona e della società: «La
libertà religiosa, esigenza insopprimibile della dignità di ogni uomo, è una pietra angolare
dell'edificio dei diritti umani e, pertanto, è un fattore insostituibile del bene delle persone e di tutta
la società, così come della propria realizzazione di ciascuno. Ne consegue che la libertà dei
singoli e delle comunità di professare e di praticare la propria religione è un elemento essenziale
della pacifica convivenza degli uomini (...): Il diritto civile e sociale alla libertà religiosa, in quanto
attinge la sfera più intima dello spirito, si rivela punto di riferimento e, in certo modo, diviene
misura degli altri diritti fondamentali»(141).
Il Sinodo non ha dimenticato i tanti fratelIi e sorelle che ancora non godono di tale diritto e che
devono affrontare disagi, emarginazioni, sofferenze, persecuzioni, e talvolta la morte a causa della
confessione della fede. Nella maggioranza sono fratelli e sorelle del laicato cristiano. L'annuncio
del Vangelo e la testimonianza cristiana della vita nella sofferenza e nel martirio costituiscono
l'apice dell'apostolato dei discepoli di Cristo, così come l'amore al Signore Gesù sino al dono della
propria vita costituisce una sorgente di fecondità straordinaria per l'edificazione della Chiesa. La
mistica vite testimonia così la sua rigogliosità, come rilevava Sant'Agostino: «Ma quella vite,
com'era stato preannunciato dai Profeti e dallo stesso Signore, che diffondeva in tutto il mondo i
suoi tralci fruttuosi, tanto più diveniva rigogliosa quanto più era irrigata dal molto sangue dei
martiri»(142).
La Chiesa tutta è profondamente grata per questo esempio e per questo dono: da questi suoi figli
essa trae motivo per rinnovare il suo slancio di vita santa e apostolica. In tal senso i Padri sinodali
hanno ritenuto loro speciale dovere «ringraziare quei laici i quali vivono come instancabili
testimoni della fede, in fedele unione con la Sede Apostolica, nonostante le restrizioni della libertà
e la privazione dei ministri sacri. Essi si giocano tutto, perfino la vita. I laici in questo modo danno
testimonianza di una proprietà essenziale della Chiesa: la Chiesa di Dio nasce dalla grazia di Dio
e ciò si manifesta nel modo più sublime nel martirio»(143).

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Quanto abbiamo sinora detto sul rispetto della dignità personale e sul riconoscimento dei diritti
umani riguarda senza dubbio la responsabilità di ciascun cristiano, di ciascun uomo. Ma dobbiamo
immediatamente rilevare come tale problema rivesta oggi una dimensione mondiale: è, infatti, una
questione che investe oramai interi gruppi umani, anzi interi popoli che sono violentemente vilipesi
nei loro fondamentali diritti. Di qui quelle forme di disuguaglianza dello sviluppo tra i diversi Mondi
che nella recente Enciclica Sollicitudo rei socialis sono state apertamente denunciate.
Il rispetto della persona umana va oltre la esigenza di una morale individuale e si pone come
criterio basilare, quasi pilastro fondamentale, per la strutturazione della società stessa, essendo la
società finalizzata interamente alla persona.
Così, intimamente congiunta alla responsabilità di servire la persona, si pone la responsabilità di
servire la società, quale compito generale di quella animazione cristiana dell'ordine temporale alla
quale i fedeli laici sono chiamati secondo loro proprie e specifiche modalità.
La famiglia, primo spazio per l'impegno sociale
40. La persona umana ha una nativa e strutturale dimensione sociale in quanto è chiamata
dall'intimo di sé alla comunione con gli altri e alla donazione agli altri: «Dio, che ha cura paterna di
tutti, ha voluto che gli uomini formassero una sola famiglia e si trattassero tra loro con animo di
fratelli»(144). E così la società, frutto e segno della socialità dell'uomo, rivela la sua piena verità
nell'essere una comunità di persone.
Si dà interdipendenza e reciprocità tra persona e società: tutto ciò che viene compiuto a favore
della persona è anche un servizio reso alla società, e tutto ciò che viene compiuto a favore della
società si risolve a beneficio della persona. Per questo l'impegno apostolico dei fedeli laici
nell'ordine temporale riveste sempre e in modo inscindibile il significato del servizio all'uomo
singolo nella sua unicità e irripetibilità e il significato del servizio a tutti gli uomini.
Ora la prima e originaria espressione della dimensione sociale della persona è la coppia e la
famiglia: «Ma Dio non creò l'uomo lasciandolo solo: fin da principio "uomo e donna li creò" (Gen 1,
27) e la loro unione costituisce la prima forma di comunione di persone»(145). Gesù si è
preoccupato di restituire alla coppia l'intera sua dignità e alla famiglia la saldezza sua propria (cf.
Mt 19, 3-9); San Paolo ha mostrato il rapporto profondo del matrimonio con il mistero di Cristo e
della Chiesa (cf. Ef 5, 22-6, 4; Col 3, 18-21; 1 Pt 3, 1-7).
La coppia e la famiglia costituiscono il primo spazio per l'impegno sociale dei fedeli laici. E' un
impegno che può essere assolto adeguatamente solo nella convinzione del valore unico e
insostituibile della famiglia per lo sviluppo della società e della stessa Chiesa.
Culla della vita e dell'amore, nella quale l'uomo «nasce» e «cresce», la famiglia è la cellula

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fondamentale della società. A questa comunità è da riservarsi una privilegiata sollecitudine,
soprattutto ogniqualvolta l'egoismo umano, le campagne antinataliste, le politiche totalitarie, ma
anche le situazioni di povertà e di miseria fisica, culturale e morale, nonché la mentalità edonistica
e consumistica fanno disseccare le sorgenti della vita, mentre le ideologie e i diversi sistemi,
insieme a forme di disinteresse e di disamore, attentano alla funzione educativa propria della
famiglia.
Urge così un'opera vasta, profonda e sistematica, sostenuta non solo dalla cultura ma anche dai
mezzi economici e dagli strumenti legislativi, destinata ad assicurare alla famiglia il suo compito di
essere il luogo primario della «umanizzazione» della persona e della società.
L'impegno apostolico dei fedeli laici è anzitutto quello di rendere la famiglia cosciente della sua
identità di primo nucleo sociale di base e del suo originale ruolo nella società, perché divenga
essa stessa sempre più protagonista attiva e responsabile della propria crescita e della propria
partecipazione alla vita sociale. In tal modo la famiglia potrà e dovrà esigere da tutti, a cominciare
dalle autorità pubbliche, il rispetto di quei diritti che, salvando la famiglia, salvano la società
stessa.
Quanto è scritto nell'Esortazione Familiaris consortio circa la partecipazione allo sviluppo della
società(146) e quanto la Santa Sede, su invito del Sinodo dei Vescovi del 1980, ha formulato con
la «Carta dei Diritti della Famiglia» rappresentano un programma operativo completo e organico
per tutti quei fedeli laici che, a diverso titolo, sono interessati alla promozione dei valori e delle
esigenze della famiglia: un programma la cui realizzazione è da urgere con tanta maggior
tempestività e decisione quanto più gravi si fanno le minacce alla stabilità e alla fecondità della
famiglia e quanto più pesante e sistematico si fa il tentativo di emarginare la famiglia e di
vanificarne il peso sociale.
Come l'esperienza attesta, la civiltà e la saldezza dei popoli dipendono soprattutto dalla qualità
umana delle loro famiglie. Per questo l'impegno apostolico verso la famiglia acquista un
incomparabile valore sociale. La Chiesa, da parte sua, ne è profondamente convinta, ben
sapendo che «l'avvenire dell'umanità passa attraverso la famiglia»(147).
La carità anima e sostegno della solidarietà
41. Il servizio alla società si esprime e si realizza in diversissime modalità: da quelle libere e
informali a quelle istituzionali, dall'aiuto dato ai singoli a quello rivolto a vari gruppi e comunità di
persone.
Tutta la Chiesa come tale è direttamente chiamata al servizio della carità: «La santa Chiesa, come
nelle sue origini unendo l'agape con la Cena Eucaristica si manifestava tutta unita nel vincolo della
carità attorno a Cristo, così, in ogni tempo, si riconosce da questo contrassegno della carità e,

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mentre gode delle iniziative altrui, rivendica le opere di carità come suo dovere e diritto
inalienabile. Perciò la misericordia verso i poveri e gli infermi come pure le cosiddette opere
caritative e di mutuo aiuto, destinate ad alleviare le necessità umane di ogni genere, sono tenute
dalla Chiesa in particolare onore»(148). La carità verso il prossimo, nelle forme antiche e sempre
nuove delle opere di misericordia corporale e spirituale, rappresenta il contenuto più immediato,
comune e abituale di quell'animazione cristiana dell'ordine temporale che costituisce l'impegno
specifico dei fedeli laici.
Con la carità verso il prossimo i fedeli laici vivono e manifestano la loro partecipazione alla regalità
di Gesù Cristo, al potere cioè del Figlio dell'uomo che «non è venuto per essere servito, ma per
servire» (Mc 10, 45): essi vivono e manifestano tale regalità nel modo più semplice, possibile a
tutti e sempre, ed insieme nel modo più esaltante, perché la carità è il più alto dono che lo Spirito
offre per l'edificazione della Chiesa (cf. 1 Cor 13, 13) e per il bene dell'umanità. La carità, infatti,
anima e sostiene un'operosa solidarietà attenta alla totalità dei bisogni dell'essere umano.
Una simile carità, attuata non solo dai singoli ma anche in modo solidale dai gruppi e dalle
comunità, è e sarà sempre necessaria: niente e nessuno la può e la potrà sostituire, neppure le
molteplici istituzioni e iniziative pubbliche, che pure si sforzano di dare risposta ai bisogni _ spesso
oggi così gravi e diffusi _ d'una popolazione. Paradossalmente tale carità si fa più necessaria
quanto più le istituzioni, diventando complesse nell'organizzazione e pretendendo di gestire ogni
spazio disponibile, finiscono per essere rovinate dal funzionalismo impersonale, dall'esagerata
burocrazia, dagli ingiusti interessi privati, dal disimpegno facile e generalizzato.
Proprio in questo contesto continuano a sorgere e a diffondersi, in particolare nelle società
organizzate, varie forme di volontariato che si esprimono in una molteplicità di servizi e di opere.
Se vissuto nella sua verità di servizio disinteressato al bene delle persone, specialmente le più
bisognose e le più dimenticate dagli stessi servizi sociali, il volontariato deve dirsi una espressione
importante di apostolato, nel quale i fedeli laici, uomini e donne, hanno un ruolo di primo piano.
Tutti destinatari e protagonisti della politica
42. La carità che ama e serve la persona non può mai essere disgiunta dalla giustizia: e l'una e
l'altra, ciascuna a suo modo, esigono il pieno riconoscimento effettivo dei diritti della persona, alla
quale è ordinata la società con tutte le sue strutture ed istituzioni(149).
Per animare cristianamente l'ordine temporale, nel senso detto di servire la persona e la società, i
fedeli laici non possono affatto abdicare alla partecipazione alla «politica», ossia alla molteplice e
varia azione economica, sociale, legislativa, amministrativa e culturale, destinata a promuovere
organicamente e istituzionalmente il bene comune. Come ripetutamente hanno affermato i Padri
sinodali, tutti e ciascuno hanno diritto e dovere di partecipare alla politica, sia pure con diversità e
complementarietà di forme, livelli, compiti e responsabilità. Le accuse di arrivismo, di idolatria del

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potere, di egoismo e di corruzione che non infrequentemente vengono rivolte agli uomini del
governo, del parlamento, della classe dominante, del partito politico; come pure l'opinione non
poco diffusa che la politica sia un luogo di necessario pericolo morale, non giustificano
minimamente né lo scetticismo né l'assenteismo dei cristiani per la cosa pubblica.
E', invece, quanto mai significativa la parola del Concilio Vaticano II: «La Chiesa stima degna di
lode e di considerazione l'opera di coloro che per servire gli uomini si dedicano al bene della cosa
pubblica e assumono il peso delle relative responsabilità»(150).
Una politica per la persona e per la società trova il suo criterio basilare nel perseguimento del
bene comune, come bene di tutti gli uomini e di tutto l'uomo, bene offerto e garantito alla libera e
responsabile accoglienza delle persone, sia singole che associate: «La comunità politica _
leggiamo nella Costituzione Gaudium et spes _ esiste proprio in funzione di quel bene comune,
nel quale essa trova piena giustificazione e significato e dal quale ricava il suo ordinamento
giuridico, originario e proprio. Il bene comune si concreta nell'insieme di quelle condizioni della vita
sociale, con le quali gli uomini, le famiglie e le associazioni possono ottenere il conseguimento più
pieno della propria perfezione»(151).
Inoltre, una politica per la persona e per la società trova la sua linea costante di cammino nella
difesa e nella promozione della giustizia, intesa come «virtù» alla quale tutti devono essere
educati e come «forza» morale che sostiene l'impegno a favorire i diritti e i doveri di tutti e di
ciascuno, sulla base della dignità personale dell'essere umano.
Nell'esercizio del potere politico è fondamentale lo spirito di servizio, che solo, unitamente alla
necessaria competenza ed efficienza, può rendere «trasparente» o «pulita» l'attività degli uomini
politici, come del resto la gente giustamente esige. Ciò sollecita la lotta aperta e il deciso
superamento di alcune tentazioni, quali il ricorso alla slealtà e alla menzogna, lo sperpero del
pubblico denaro per il tornaconto di alcuni pochi e con intenti clientelari, l'uso di mezzi equivoci o
illeciti per conquistare, mantenere e aumentare ad ogni costo il potere.
I fedeli laici impegnati nella politica devono certamente rispettare l'autonomia rettamente intesa
delle realtà terrene, così come leggiamo nella Costituzione Gaudium et spes: «E' di grande
importanza, soprattutto in una società pluralistica, che si abbia una giusta visione dei rapporti tra
la comunità politica e la Chiesa e che si faccia una chiara distinzione tra le azioni che i fedeli,
individualmente o in gruppo, compiono in proprio nome, come cittadini, guidati dalla coscienza
cristiana, e le azioni che essi compiono in nome della Chiesa in comunione con i loro pastori. La
Chiesa, che, in ragione del suo ufficio e della sua competenza, in nessuna maniera si confonde
con la comunità politica e non è legata ad alcun sistema politico, è insieme il segno e la
salvaguardia del carattere trascendente della persona umana»(152). Nello stessotempo _ e
questo è sentito oggi come urgenza e responsabilità _ i fedeli laici devono testimoniare quei valori
umani ed evangelici che sono intimamente connessi con l'attività politica stessa, come la libertà e

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la giustizia, la solidarietà, la dedizione fedele e disinteressata al bene di tutti, lo stile semplice di
vita, l'amore preferenziale per i poveri e gli ultimi. Ciò esige che i fedeli laici siano sempre più
animati da una reale partecipazione alla vita della Chiesa e illuminati dalla sua dottrina sociale. In
questo potranno essere accompagnati e aiutati dalla vicinanza delle comunità cristiane e dei loro
Pastori(153).
Stile e mezzo per il realizzarsi d'una politica che intenda mirare al vero sviluppo umano è la
solidarietà: questa sollecita la partecipazione attiva e responsabile di tutti alla vita politica, dai
singoli cittadini ai gruppi vari, dai sindacati ai partiti: insieme, tutti e ciascuno, siamo destinatari e
protagonisti della politica. In questo ambito, come ho scritto nell'Enciclica Sollicitudo rei socialis, la
solidarietà «non è un sentimento di vaga compassione o di superficiale intenerimento per i mali di
tante persone, vicine o lontane. Al contrario, è la determinazione ferma e perseverante di
impegnarsi per il bene comune:ossia per il bene di tutti e di ciascuno, perché tutti siamo
veramente responsabili di tutti»(154).
La solidarietà politica esige oggi d'attuarsi secondo un orizzonte che, superando la singola
nazione o il singolo blocco di nazioni, si configura come propriamente continentale e mondiale.
Il frutto dell'attività politica solidale, da tutti tanto desiderato ma pur sempre tanto immaturo, è la
pace. I fedeli laici non possono rimanere indifferenti, estranei e pigri di fronte a tutto ciò che è
negazione e compromissione della pace: violenza e guerra, tortura e terrorismo, campi di
concentramento, militarizzazione della politica, corsa agli armamenti, minaccia nucleare. Al
contrario, come discepoli di Gesù Cristo «Principe della pace» (Is 9, 5) e «Nostra Pace» (Ef 2, 14),
i fedeli laici devono assumersi il compito di essere «operatori di pace» (Mt 5, 9), sia mediante la
conversione del «cuore», sia mediante l'azione a favore della verità, della libertà, della giustizia e
della carità, che della pace sono gli irrinunciabili fondamenti(155).
Collaborando con tutti coloro che cercano veramente la pace e servendosi degli specifici
organismi e istituzioni nazionali e internazionali, i fedeli laici devono promuovere un'opera
educativa capillare destinata a sconfiggere l'imperante cultura dell'egoismo, dell'odio, della
vendetta e dell'inimicizia e a sviluppare la cultura della solidarietà ad ogni livello. Tale solidarietà,
infatti, «è via alla pace e insieme allo sviluppo»(156). In questa prospettiva i Padri sinodali hanno
invitato i cristiani a rifiutare forme inaccettabili di violenza, a promuovere atteggiamenti di dialogo e
di pace e ad impegnarsi per instaurare un ordine sociale e internazionale giusto(157).
Porre l'uomo al centro della vita economico-sociale
43. Il servizio alla società da parte dei fedeli laici trova un suo momento essenziale nella questione
economico-sociale, la cui chiave è data dall'organizzazione del lavoro.
La gravità attuale di tali problemi, colta nel panorama dello sviluppo e secondo la proposta di

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soluzione da parte della dottrina sociale della Chiesa, è stata ricordata recentemente nell'Enciclica
Sollicitudo rei socialis, alla quale desidero caldamente rimandare tutti, in particolare i fedeli laici.
Tra i caposaldi della dottrina sociale della Chiesa sta il principio della destinazione universale dei
beni: i beni della terra sono, nel disegno di Dio, offerti a tutti gli uomini e a ciascun uomo come
mezzo per lo sviluppo d'una vita autenticamente umana. Al servizio di questa destinazione si pone
la proprietà privata, la quale _ proprio per questo _ possiede un'intrinseca funzione sociale.
Concretamente il lavoro dell'uomo e della donna rappresenta lo strumento più comune e più
immediato per lo sviluppo della vita economica, strumento che insieme costituisce un diritto e un
dovere d'ogni uomo.
Tutto questo rientra in modo particolare nella missione dei fedeli laici. Il fine e il criterio della loro
presenza e della loro azione sono formulati in termini generali dal Concilio Vaticano II: «Anche
nella vita economico-sociale sono da onorare e da promuovere la dignità e l'integrale vocazione
della persona umana come pure il bene dell'intera società. L'uomo infatti è l'autore, il centro e il
fine di tutta la vita economico-sociale»(158).
Nel contesto delle sconvolgenti trasformazioni in atto nel mondo dell'economia e del lavoro, i fedeli
laici siano impegnati in prima fila a risolvere i gravissimi problemi della crescente disoccupazione,
a battersi per il superamento più tempestivo di numerose ingiustizie che derivano da distorte
organizzazioni del lavoro, a far diventare il luogo di lavoro una comunità di persone rispettate nella
loro soggettività e nel loro diritto alla partecipazione, a sviluppare nuove solidarietà tra coloro che
partecipano al lavoro comune, a suscitare nuove forme di imprenditorialità e a rivedere i sistemi di
commercio, di finanza e di scambi tecnologici.
A tal fine i fedeli laici devono compiere il loro lavoro con competenza professionale, con onestà
umana, con spirito cristiano, come via della propria santificazione(159), secondo l'esplicito invito
del Concilio: «Con il lavoro, l'uomo ordinariamente provvede alla vita propria e dei suoi familiari,
comunica con gli altri e rende servizio agli uomini suoi fratelli, può praticare una vera carità e
collaborare con la propria attività al completarsi della divina creazione. Ancor più: sappiamo che,
offrendo a Dio il proprio lavoro, l'uomo si associa all'opera stessa redentiva di Cristo, il quale ha
conferito al lavoro una elevatissima dignità, lavorando con le proprie mani a Nazareth»(160).
In rapporto alla vita economico-sociale e al lavoro si pone oggi, in modo sempre più acuto, la
questione cosiddetta «ecologica». Certamente l'uomo ha da Dio stesso il compito di «dominare»
le cose create e di «coltivare il giardino» del mondo; ma è un compito, questo, che l'uomo deve
assolvere nel rispetto dell'immagine divina ricevuta, e quindi con intelligenza e con amore: egli
deve sentirsi responsabile dei doni che Dio gli ha elargito e continuamente gli elargisce. L'uomo
ha fra le mani un dono che deve passare _ e, se possibile, persino migliorato _ alle generazioni
future, anch'esse destinatarie dei doni del Signore: «Il dominio accordato dal Creatore all'uomo
(...) non è un potere assoluto, né si può parlare di libertà di "usare e abusare", o di disporre delle

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cose come meglio aggrada. La limitazione imposta dallo stesso Creatore fin dal principio, ed
espressa simbolicamente con la proibizione di "mangiare il frutto dell'albero" (cf. Gen 2, 16-17),
mostra con sufficiente chiarezza che, nei confronti della natura visibile (...), siamo sottomessi a
leggi non solo biologiche, ma anche morali, che non si possono impunemente trasgredire. Una
giusta concezione dello sviluppo non può prescindere da queste considerazioni _ relative all'uso
degli elementi della natura, alla rinnovabilità delle risorse e alle conseguenze di una
industrializzazione disordinata _, le quali ripropongono alla nostra coscienza la dimensione
morale, che deve distinguere lo sviluppo»(161).
Evangelizzare la cultura e le culture dell'uomo
44. Il servizio alla persona e alla società umana si esprime e si attua attraverso la creazione e la
trasmissione della cultura, che, specialmente ai nostri giorni, costituisce uno dei più gravi compiti
della convivenza umana e dell'evoluzione sociale. Alla luce del Concilio, intendiamo per «cultura»
tutti quei «mezzi con i quali l'uomo affina ed esplica le molteplici sue doti di anima e di corpo;
procura di ridurre in suo potere il cosmo stesso con la conoscenza e il lavoro; rende più umana la
vita sociale sia nella famiglia che in tutta la società civile, mediante il progresso del costume e
delle istituzioni; infine, con l'andare del tempo, esprime, comunica e conserva nelle sue opere le
grandi esperienze e aspirazioni spirituali, affinché possano servire al progresso di molti, anzi di
tutto il genere umano»(162). In questo senso, la cultura deve ritenersi come il bene comune di
ciascun popolo, l'espressione della sua dignità, libertà e creatività; la testimonianza del suo
cammino storico. In particolare, solo all'interno e tramite la cultura la fede cristiana diventa storica
e creatrice di storia.
Di fronte allo sviluppo di una cultura che si configura dissociata non solo dalla fede cristiana, ma
persino dagli stessi valori umani(163); come pure di fronte ad una certa cultura scientifica e
tecnologica impotente nel dare risposta alla pressante domanda di verità e di bene che brucia nel
cuore degli uomini, la Chiesa è pienamente consapevole dell'urgenza pastorale che alla cultura
venga riservata un'attenzione del tutto speciale.
Per questo la Chiesa sollecita i fedeli laici ad essere presenti, all'insegna del coraggio e della
creatività intellettuale, nei posti privilegiati della cultura, quali sono il mondo della scuola e
dell'università, gli ambienti della ricerca scientifica e tecnica, i luoghi della creazione artistica e
della riflessione umanistica. Tale presenza è destinata non solo al riconoscimento e all'eventuale
purificazione degli elementi della cultura esistente criticamente vagliati, ma anche alla loro
elevazione mediante le originali ricchezze del Vangelo e della fede cristiana. Quanto il Concilio
Vaticano II scrive circa il rapporto tra il Vangelo e la cultura rappresenta un fatto storico costante
ed insieme un ideale operativo di singolare attualità e urgenza; è un programma impegnativo
consegnato alla responsabilità pastorale dell'intera Chiesa e in essa alla responsabilità specifica
dei fedeli laici: «La buona novella di Cristo rinnova continuamente la vita e la cultura dell'uomo
decaduto, combatte e rimuove gli errori e i mali, derivanti dalla sempre minacciosa seduzione del

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peccato. Continuamente purifica ed eleva la moralità dei popoli (...). In tal modo la Chiesa,
compiendo la sua missione, già con questo stesso fatto stimola e dà il suo contributo alla cultura
umana e civile e, mediante la sua azione, anche liturgica, educa l'uomo alla libertà interiore»(164).
Meritano di essere qui riascoltate alcune espressioni particolarmente significative della
Esortazione Evangelii nuntiandi di Paolo VI:
«La Chiesa evangelizza allorquando, in virtù della sola potenza divina del Messaggio che essa
proclama (cf. Rom 1, 16; 1 Cor 1, 18; 2, 4), cerca di convertire la coscienza personale e insieme
collettiva degli uomini, l'attività nella quale essi sono impegnati, la vita e l'ambiente concreto loro
propri. Strati dell'umanità che si trasformano: per la Chiesa non si tratta soltanto di predicare il
Vangelo in fasce geografiche sempre più vaste o a popolazioni sempre più estese, ma anche di
raggiungere e quasi sconvolgere mediante la forza del Vangelo i criteri di giudizio, i valori
determinanti, i punti d'interesse, le linee di pensiero, le fonti ispiratrici e i modelli di vita
dell'umanità, che sono in contrasto con la Parola di Dio e col disegno della salvezza. Si potrebbe
esprimere tutto ciò dicendo così: occorre evangelizzare _ non in maniera decorativa, a
somiglianza di vernice superficiale, ma in modo vitale, in profondità e fino alle radici _ la cultura e
le culture dell'uomo (...). La rottura tra Vangelo e cultura è senza dubbio il dramma della nostra
epoca, come lo fu anche di altre. Occorre quindi fare tutti gli sforzi in vista di una generosa
evangelizzazione della cultura, più esattamente delle culture»(165).
La via attualmente privilegiata per la creazione e per la trasmissione della cultura sono gli
strumenti della comunicazione sociale(166). Anche il mondo dei mass-media, in seguito
all'accelerato sviluppo innovativo e all'influsso insieme planetario e capillare sulla formazione della
mentalità e del costume, rappresenta una nuova frontiera della missione della Chiesa. In
particolare, la responsabilità professionale dei fedeli laici in questo campo, esercitata sia a titolo
personale sia mediante iniziative ed istituzioni comunitarie, esige di essere riconosciuta in tutto il
suo valore e sostenuta con più adeguate risorse materiali, intellettuali e pastorali.
Nell'impiego e nella recezione degli strumenti di comunicazione urgono sia un'opera educativa al
senso critico, animato dalla passione per la verità, sia un'opera di difesa della libertà, del rispetto
alla dignità personale, dell'elevazione dell'autentica cultura dei popoli, mediante il rifiuto fermo e
coraggioso di ogni forma di monopolizzazione e di manipolazione.
Né a quest'opera di difesa si ferma la responsabilità pastorale dei fedeli laici: su tutte le strade del
mondo, anche su quelle maestre della stampa, del cinema, della radio, della televisione e del
teatro, dev'essere annunciato il Vangelo che salva.
CAPITOLO IV
GLI OPERAI DELLA VIGNA DEL SIGNORE

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Buoni amministratori della multiforme grazia di Dio
La varietà delle vocazioni
45. Secondo la parabola evangelica, il «padrone di casa» chiama gli operai alla sua vigna nelle
diverse ore della giornata: alcuni all'alba, altri verso le nove del mattino, altri ancora verso
mezzogiorno e le tre, gli ultimi verso le cinque (cf. Mt 20, 1 ss.). Nel commento a questa pagina
del Vangelo, San Gregorio Magno interpreta le ore diverse della chiamata rapportandole alle età
della vita: «E' possibile applicare la diversità delle ore _ egli scrive _ alle diverse età dell'uomo. Il
mattino può certo rappresentare, in questa nostra interpretazione, la fanciullezza. L'ora terza, poi,
si può intendere come l'adolescenza: il sole si muove verso l'alto del cielo, cioè cresce l'ardore
dell'età. La sesta ora è la giovinezza: il sole sta come nel mezzo del cielo, ossia in quest'età si
rafforza la pienezza del vigore. L'anzianità rappresenta l'ora nona, perché come il sole declina dal
suo alto asse così quest'età comincia a perdere l'ardore della giovinezza. L'undicesima ora è l'età
di quelli molto avanzati negli anni (...). Gli operai sono, dunque, chiamati alla vigna in diverse ore,
come per dire che alla vita santa uno è condotto durante la fanciullezza, un altro nella giovinezza,
un altro nell'anzianità e un altro nell'età più avanzata»(167).
Possiamo riprendere ed estendere il commento di San Gregorio Magno in rapporto alla
straordinaria varietà di presenze nella Chiesa, tutte e ciascuna chiamate a lavorare per l'avvento
del Regno di Dio secondo la diversità di vocazioni e situazioni, carismi e ministeri. E' una varietà
legata non solo all'età, ma anche alla differenza di sesso e alla diversità delle doti, come pure alle
vocazioni e alle condizioni di vita; è una varietà che rende più viva e concreta la ricchezza della
Chiesa.
Giovani, bambini, anziani
I giovani, speranza della Chiesa
46. Il Sinodo ha voluto riservare un'attenzione particolare ai giovani. E giustamente. In tanti paesi
del mondo, essi rappresentano la metà dell'intera popolazione e, spesso, la metà numerica dello
stesso Popolo di Dio che in quei paesi vive.
Già sotto questo aspetto i giovani costituiscono una forza eccezionale e sono una grande sfida per
l'avvenire della Chiesa. Nei giovani, infatti, la Chiesa legge il suo camminare verso il futuro che
l'attende e trova l'immagine e il richiamo di quella lieta giovinezza di cui lo Spirito di Cristo
costantemente l'arricchisce. In questo senso il Concilio ha definito i giovani «speranza della
Chiesa»(168).
Nella lettera scritta ai giovani e alle giovani del mondo, il 31 marzo 1985, leggiamo: «La Chiesa
guarda i giovani; anzi, la Chiesa in modo speciale guarda se stessa nei giovani, in voi tutti ed

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insieme in ciascuna e in ciascuno di voi. Così è stato sin dall'inizio, dai tempi apostolici. Le parole
di san Giovanni nella sua Prima Lettera possono essere una particolare testimonianza: "Scrivo a
voi, giovani, perché avete vinto il maligno. Ho scritto a voi, figlioli, perché avete conosciuto il Padre
(...). Ho scritto a voi, giovani, perché siete forti, e la parola di Dio dimora in voi" (1 Gv 2, 13 ss.)
(...). Nella nostra generazione, al termine del secondo Millennio dopo Cristo, anche la Chiesa
guarda se stessa nei giovani»(169).
I giovani non devono essere considerati semplicemente come l'oggetto della sollecitudine
pastorale della Chiesa: sono di fatto, e devono venire incoraggiati ad esserlo, soggetti attivi,
protagonisti dell'evangelizzazione e artefici del rinnovamento sociale(170). La giovinezza è il
tempo di una scoperta particolarmente intensa del proprio «io» e del proprio «progetto di vita», è il
tempo di una crescita che deve avvenire «in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini»
(Lc 2, 52).
Come hanno detto i Padri sinodali, «la sensibilità dei giovani percepisce profondamente i valori
della giustizia, della non violenza e della pace. Il loro cuore è aperto alla fraternità, alla amicizia e
alla solidarietà. Sono mobilitati al massimo per le cause che riguardano la qualità della vita e la
conservazione della natura. Ma essi sono anche carichi di inquietudini, di delusioni, di angosce e
paure del mondo, oltre che delle tentazioni proprie del loro stato»(171).
La Chiesa deve rivivere l'amore di predilezione che Gesù ha testimoniato al giovane del Vangelo:
«Gesù, fissatolo, lo amò» (Mc 10, 21). Per questo la Chiesa non si stanca di annunciare Gesù
Cristo, di proclamare il suo Vangelo come l'unica e sovrabbondante risposta alle più radicali
aspirazioni dei giovani, come la proposta forte ed esaltante di una sequela personale («vieni e
seguimi» [Mc 10, 21]), che comporta la condivisione all'amore filiale di Gesù per il Padre e la
partecipazione alla sua missione di salvezza per l'umanità.
La Chiesa ha tante cose da dire ai giovani, e i giovani hanno tante cose da dire alla Chiesa.
Questo reciproco dialogo, da attuarsi con grande cordialità, chiarezza e coraggio, favorirà
l'incontro e lo scambio tra le generazioni, e sarà fonte di ricchezza e di giovinezza per la Chiesa e
per la società civile. Nel suo messaggio ai giovani il Concilio dice: «La Chiesa vi guarda con
fiducia e con amore (...). Essa è la vera giovinezza del mondo (...), guardatela e troverete in lei il
volto di Cristo»(172).
I bambini e il regno dei cieli
47. I bambini sono certamente il termine dell'amore delicato e generoso del Signore Gesù: ad essi
riserva la sua benedizione e ancor più assicura il regno dei cieli (cf. Mt 19, 13-15; Mc 10, 14). In
particolare Gesù esalta il ruolo attivo che i piccoli hanno nel Regno di Dio: sono il simbolo
eloquente e la splendida immagine di quelle condizioni morali e spirituali che sono essenziali per
entrare nel Regno di Dio e per viverne la logica di totale affidamento al Signore: «In verità vi dico:

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se non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli. Perché
chiunque diventerà piccolo come questo bambino, sarà il più grande nel regno dei cieli. E chi
accoglie anche uno solo di questi bambini in nome mio accoglie me» (Mt 18, 3-5; cf. Lc 9, 48).
I bambini ci ricordano che la fecondità missionaria della Chiesa ha la sua radice vivificante non nei
mezzi e nei meriti umani, ma nel dono assolutamente gratuito di Dio. La vita di innocenza e di
grazia dei bambini, come pure le sofferenze loro ingiustamente inflitte, ottengono, in virtù della
Croce di Cristo, uno spirituale arricchimento per loro e per l'intera Chiesa: di questo tutti dobbiamo
prendere più viva e grata coscienza.
Si deve riconoscere, inoltre, che anche nell'età dell'infanzia e della fanciullezza sono aperte
preziose possibilità operative sia per l'edificazione della Chiesa che per l'umanizzazione della
società. Quanto il Concilio dice della presenza benefica e costruttiva dei figli all'interno della
famiglia «chiesa domestica»: «I figli, come membra vive della famiglia, contribuiscono pure a loro
modo alla santificazione dei genitori»(173) dev'essere ripetuto dei bambini in rapporto alla Chiesa
particolare e universale. Lo rilevava già Jean Gerson, teologo ed educatore del xv secolo, per il
quale «i fanciulli e gli adolescenti non sono certo una parte trascurabile della Chiesa»(174).
Gli anziani e il dono della sapienza
48. Alle persone anziane, spesso ingiustamente ritenute inutili se non addirittura d'insopportabile
peso, ricordo che la Chiesa chiede e attende che esse abbiano a continuare la loro missione
apostolica e missionaria, non solo possibile e doverosa anche a quest'età, ma da questa stessa
età resa in qualche modo specifica e originale.
La Bibbia ama presentare l'anziano come il simbolo della persona ricca di sapienza e di timore di
Dio (cf. Sir 25, 4-6). In questo senso il «dono» dell'anziano potrebbe qualificarsi come quello di
essere, nella Chiesa e nella società, il testimone della tradizione di fede (cf. Sal 44, 2; Es 12, 26-
27), il maestro di vita (cf. Sir 6, 34; 8, 11-12), l'operatore di carità.
Ora l'aumentato numero di persone anziane in diversi paesi del mondo e la cessazione anticipata
dell'attività professionale e lavorativa aprono uno spazio nuovo al compito apostolico degli anziani:
è un compito da assumersi superando con decisione la tentazione di rifugiarsi nostalgicamente in
un passato che non ritorna più o di rifuggire da un impegno presente per le difficoltà incontrate in
un mondo dalle continue novità; e prendendo sempre più chiara coscienza che il proprio ruolo
nella Chiesa e nella società non conosce affatto soste dovute all'età, bensì conosce solo modi
nuovi. Come dice il salmista: «Nella vecchiaia daranno ancora frutti, saranno vegeti e rigogliosi,
per annunziare quanto è retto il Signore» (Sal 92, 15-16). Ripeto quanto ho detto durante la
celebrazione del Giubileo degli Anziani: «L'ingresso nella terza età è da considerarsi un privilegio:
non solo perché non tutti hanno la fortuna di raggiungere questo traguardo, ma anche e
soprattutto perché questo è il periodo delle possibilità concrete di riconsiderare meglio il passato,

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di conoscere e di vivere più profondamente il mistero pasquale, di divenire esempio nella Chiesa a
tutto il Popolo di Dio (...). Nonostante la complessità dei vostri problemi da risolvere, le forze che
progressivamente si affievoliscono, e malgrado le insufficienze delle organizzazioni sociali, i ritardi
della legislazione ufficiale, le incomprensioni di una società egoistica, voi non siete né dovete
sentirvi ai margini della vita della Chiesa, elementi passivi di un mondo in eccesso di movimento,
ma soggetti attivi di un periodo umanamente e spiritualmente fecondo dell'esistenza umana. Avete
ancora una missione da compiere, un contributo da dare. Secondo il progetto divino ogni singolo
essere umano è una vita in crescita, dalla prima scintilla dell'esistenza fino all'ultimo respiro»(175).
Donne e uomini
49. I Padri sinodali hanno riservato una speciale attenzione alla condizione e al ruolo della donna,
secondo un duplice intento: riconoscere e invitare a riconoscere, da parte di tutti ed ancora una
volta, l'indispensabile contributo della donna all'edificazione della Chiesa e allo sviluppo della
società; operare, inoltre, un'analisi più specifica circa la partecipazione della donna alla vita e alla
missione della Chiesa.
Riferendosi a Giovanni XXIII, che vide nella coscienza femminile della propria dignità e
nell'ingresso delle donne nella vita pubblica un segno dei nostri tempi(176), i Padri del Sinodo
hanno affermato ripetutamente e fortemente, di fronte alle forme più varie di discriminazioni e di
emarginazioni alle quali soggiace la donna a motivo del suo semplice essere donna, l'urgenza di
difendere e di promuovere la dignità personale della donna, e quindi la sua eguaglianza con
l'uomo.
Se di tutti nella Chiesa e nella società è questo compito, lo è in particolare delle donne, che si
devono sentire impegnate come protagoniste in prima linea. C'è ancora tanto sforzo da compiere,
in più parti del mondo e in diversi ambiti, perché sia distrutta quella ingiusta e deleteria mentalità
che considera l'essere umano come una cosa, come un oggetto di compra-vendita, come uno
strumento dell'interesse egoistico o del solo piacere, tanto più che di tale mentalità la prima vittima
è proprio la donna stessa. Al contrario, solo l'aperto riconoscimento della dignità personale della
donna costituisce il primo passo da compiere per promuoverne la piena partecipazione sia alla
vita ecclesiale che a quella sociale e pubblica. Si deve dare risposta più ampia e decisiva alla
richiesta fatta dall'Esortazione Familiaris consortio circa le molteplici discriminazioni delle quali le
donne sono vittime: «che da parte di tutti si svolga un'azione pastorale specifica più vigorosa e
incisiva, affinché esse siano definitivamente vinte, così da giungere alla stima piena dell'immagine
di Dio che risplende in tutti gli esseri umani, nessuno escluso»(177). Nella stessa linea i Padri
sinodali hanno affermato: «La Chiesa, come espressione della sua missione, deve opporsi con
fermezza contro tutte le forme di discriminazione e di abuso delle donne»(178). E ancora: «La
dignità della donna, gravemente ferita nell'opinione pubblica, dev'essere ricuperata per mezzo
dell'effettivo rispetto dei diritti della persona umana e per mezzo della pratica della dottrina della
Chiesa»(179).

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In particolare, circa la partecipazione attiva e responsabile alla vita e alla missione della Chiesa, è
da rilevarsi come già il Concilio Vaticano II sia stato oltre modo esplicito nel sollecitarla: «Poiché ai
nostri giorni le donne prendono sempre più parte attiva in tutta la vita della società, è di grande
importanza una loro più larga partecipazione anche nei vari campi dell'apostolato della
Chiesa»(180).
La coscienza che la donna, con i doni e i compiti propri, ha una sua specifica vocazione è andata
crescendo e approfondendosi nel periodo post-conciliare, ritrovando la sua ispirazione più
originale nel Vangelo e nella storia della Chiesa. Per il credente, infatti, il Vangelo, ossia la parola
e l'esempio di Gesù Cristo, rimane il punto di riferimento necessario e decisivo: ed è quanto mai
fecondo ed innovativo anche per l'attuale momento storico.
Pur non chiamate all'apostolato proprio dei Dodici, e quindi al sacerdozio ministeriale, molte donne
accompagnano Gesù nel suo ministero e assistono il gruppo degli Apostoli (cf. Lc 8, 2-3); sono
presenti sotto la Croce (cf. Lc 23, 49); assistono alla sepoltura di Gesù (cf. Lc 23, 55) e il mattino
di Pasqua ricevono e trasmettono l'annuncio della risurrezione (cf. Lc 24, 1-10); pregano con gli
Apostoli nel Cenacolo nell'attesa della Pentecoste (cf. At 1, 14).
Nella scia del Vangelo, la Chiesa delle origini si distacca dalla cultura del tempo e chiama la
donna a compiti connessi con l'evangelizzazione. Nelle sue Lettere l'apostolo Paolo ricorda, anche
per nome, numerose donne per le loro varie funzioni all'interno e al servizio delle prime comunità
ecclesiali (cf. Rom 16, 1-15; Fil 4, 2-3; Col 4, 15 e 1 Cor 11, 5; 1 Tim 5, 16). «Se la testimonianza
degli Apostoli fonda la Chiesa _ ha detto Paolo VI _, quella delle donne contribuisce grandemente
a nutrire la fede delle comunità cristiane»(181).
E come alle origini, così nello sviluppo successivo la Chiesa ha sempre conosciuto, anche se in
differenti modi e con accentuazioni diverse, donne che hanno esercitato un ruolo talvolta decisivo
e svolto compiti di valore considerevole per la Chiesa stessa. E' una storia d'immensa operosità, il
più delle volte umile e nascosta ma non per questo meno decisiva per la crescita e per la santità
della Chiesa. E' necessario che questa storia sia continuata, anzi che si allarghi e si intensifichi di
fronte all'accresciuta e universalizzata consapevolezza della dignità personale della donna e della
sua vocazione, nonché di fronte all'urgenza di una «nuova evangelizzazione» e di una maggiore
«umanizzazione» delle relazioni sociali.
Raccogliendo la consegna del Concilio Vaticano II, nella quale si specchia il messaggio del
Vangelo e della storia della Chiesa, i Padri del Sinodo hanno formulato, tra le altre, questa precisa
«raccomandazione»: «E' necessario che la Chiesa, per la sua vita e la sua missione, riconosca
tutti i doni delle donne e degli uomini e li traduca in pratica»(182). E ancora: «Questo Sinodo
proclama che la Chiesa esige il riconoscimento e l'utilizzazione di tutti questi doni, esperienze e
attitudini degli uomini e delle donne perché la sua missione risulti più efficace (cf. Congregazione
per la Dottrina della Fede, Instructio de libertate christiana et liberatione, 72)»(183).

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Fondamenti antropologici e teologici
50. La condizione per assicurare la giusta presenza della donna nella Chiesa e nella società è una
considerazione più penetrante e accurata dei fondamenti antropologici della condizione maschile
e femminile, destinata a precisare l'identità personale propria della donna nel suo rapporto di
diversità e di reciproca complementarietà con l'uomo, non solo per quanto riguarda i ruoli da
tenere e le funzioni da svolgere, ma anche e più profondamente per quanto riguarda la sua
struttura e il suo significato personale. I Padri sinodali hanno sentito vivamente questa esigenza
affermando che «i fondamenti antropologici e teologici hanno bisogno di studi approfonditi per la
risoluzione dei problemi relativi al vero significato e alla dignità di ambedue i sessi»(184).
Impegnandosi nella riflessione sui fondamenti antropologici e teologici della condizione femminile,
la Chiesa si rende presente nel processo storico dei vari movimenti di promozione della donna e,
scendendo alle radici stesse dell'essere personale della donna, vi apporta il suo contributo più
prezioso. Ma prima e più ancora la Chiesa intende, in tal modo, obbedire a Dio che, creando
l'uomo «a sua immagine», «maschio e femmina li creò» (Gen 1, 27); così come intende accogliere
la chiamata di Dio a conoscere, ad ammirare e a vivere il suo disegno. E' un disegno che «al
principio» è stato indelebilmente impresso nello stesso essere della persona umana _ uomo e
donna _ e, pertanto, nelle sue strutture significative e nei suoi profondi dinamismi. Proprio questo
disegno, sapientissimo e amoroso, chiede di essere esplorato in tutta la ricchezza del suo
contenuto: è la ricchezza che dal «principio» si è venuta poi progressivamente manifestando e
attuando lungo l'intera storia della salvezza, ed è culminata nella «pienezza del tempo»,
allorquando «Dio mandò il suo Figlio, nato da donna» (Gal 4, 4). Quella «pienezza» continua nella
storia: la lettura del disegno di Dio sulla donna è incessantemente operata e da operarsi nella fede
della Chiesa, anche grazie alla vita vissuta di tante donne cristiane. Senza dimenticare l'aiuto che
può venire dalle diverse scienze umane e dalle varie culture: queste, grazie ad un illuminato
discernimento, potranno aiutare a cogliere e a precisare i valori e le esigenze che appartengono
all'essenza perenne della donna e quelli legati all'evolversi storico delle culture stesse. Come ci
ricorda il Concilio Vaticano II, «la Chiesa afferma che al di sotto di tutti i mutamenti ci sono molte
cose che non cambiano: esse trovano il loro ultimo fondamento in Cristo, che è sempre lo stesso:
ieri, oggi e nei secoli (cf. Ebr 13, 8)»(185).
Sui fondamenti antropologici e teologici della dignità personale della donna si sofferma la Lettera
Apostolica sulla dignità e sulla vocazione della donna. Il documento, che riprende, prosegue e
specifica le riflessioni della catechesi del mercoledì dedicata per lungo tempo alla «teologia del
corpo», vuole essere insieme l'adempimento di una promessa fatta nell'Enciclica Redemptoris
Mater(186) e la risposta alla richiesta dei Padri sinodali.
La lettura della Lettera Mulieris dignitatem, anche per il suo carattere di meditazione
biblicoteologica, potrà stimolare tutti, uomini e donne, e in particolare i cultori delle scienze umane
e delle discipline teologiche, a proseguire nello studio critico così da approfondire sempre meglio,

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sulla base della dignità personale dell'uomo e della donna e della loro reciproca relazione, i valori
ed i doni specifici della femminilità e della mascolinità, non solo nell'ambito del vivere sociale ma
anche e soprattutto in quello dell'esistenza cristiana ed ecclesiale.
La meditazione sui fondamenti antropologici e teologici della donna deve illuminare e guidare la
risposta cristiana alla domanda così frequente, e talvolta così acuta, circa lo «spazio» che la
donna può e deve avere nella Chiesa e nella società.
Dalla parola e dall'atteggiamento di Cristo, che sono normativi per la Chiesa, risulta con grande
chiarezza che nessuna discriminazione esiste sul piano del rapporto con Cristo, nel quale «non c'è
più uomo né donna, poiché tutti voi siete uno in Cristo Gesù» (Gal 3, 28) e sul piano della
partecipazione alla vita e alla santità della Chiesa, come splendidamente attesta la profezia di
Gioele realizzatasi con la Pentecoste: «Io effonderò il mio spirito sopra ogni uomo e diverranno
profeti i vostri figli e le vostre figlie» (Gl 3, 1; cf. At 2, 17 ss.). Come si legge nella Lettera
Apostolica sulla dignità e sulla vocazione della donna, «tutt'e due _ la donna come l'uomo _ (...)
sono suscettibili in eguale misura dell'elargizione della verità divina e dell'amore nello Spirito
Santo. Ambedue accolgono le sue "visite" salvifiche e santificanti»(187).
Missione nella Chiesa e nel mondo
51. Circa poi la partecipazione alla missione apostolica della Chiesa, non c'è dubbio che, in forza
del Battesimo e della Cresima, la donna _ come l'uomo _ è resa partecipe del triplice ufficio di
Gesù Cristo Sacerdote, Profeta, Re, e quindi è abilitata e impegnata all'apostolato fondamentale
della Chiesa: l'evangelizzazione. D'altre parte, proprio nel compimento di questo apostolato, la
donna è chiamata a mettere in opera i suoi «doni» propri: anzitutto, il dono che è la sua stessa
dignità personale, mediante la parola e la testimonianza di vita; i doni, poi, connessi con la sua
vocazione femminile.
Nella partecipazione alla vita e alla missione della Chiesa la donna non può ricevere il sacramento
dell'Ordine e, pertanto, non può compiere le funzioni proprie del sacerdozio ministeriale. E' questa
una disposizione che la Chiesa ha sempre ritrovato nella precisa volontà, totalmente libera e
sovrana, di Gesù Cristo che ha chiamato solo uomini come suoi apostoli(188); una disposizione
che può trovare luce nel rapporto tra Cristo Sposo e la Chiesa Sposa(189). Siamo nell'ambito
della funzione, non della dignità e della santità. Si deve, in realtà, affermare: «Anche se la Chiesa
possiede una struttura "gerarchica", tuttavia tale struttura è totalmente ordinata alla santità delle
membra di Cristo»(190).
Ma, come già diceva Paolo VI, se «noi non possiamo cambiare il comportamento di nostro
Signore né la chiamata da Lui rivolta alle donne, però dobbiamo riconoscere e promuovere il ruolo
delle donne nella missione evangelizzatrice e nella vita della comunità cristiana»(191).

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60
E' del tutto necessario passare dal riconoscimento teorico della presenza attiva e responsabile
della donna nella Chiesa alla realizzazione pratica. E in questo preciso senso deve leggersi la
presente Esortazione che si rivolge ai fedeli laici, con la deliberata e ripetuta specificazione
«uomini e donne». Inoltre il nuovo Codice di Diritto Canonico contiene molteplici disposizioni sulla
partecipazione della donna alla vita e alla missione della Chiesa: sono disposizioni che esigono
d'essere più comunemente conosciute e, sia pure secondo le diverse sensibilità culturali e
opportunità pastorali, attuate con maggiore tempestività e risoluzione.
Si pensi, ad esempio, alla partecipazione delle donne ai Consigli pastorali diocesani e parrocchiali,
come pure ai Sinodi diocesani e ai Concili particolari. In questo senso i Padri sinodali hanno
scritto: «Le donne partecipino alla vita della Chiesa senza alcuna discriminazione, anche nelle
consultazioni e nell'elaborazione di decisioni»(192). E ancora: «Le donne, le quali hanno già una
grande importanza nella trasmissione della fede e nel prestare servizi di ogni genere nella vita
della Chiesa, devono essere associate alla preparazione dei documenti pastorali e delle iniziative
missionarie e devono essere riconosciute come cooperatrici della missione della Chiesa nella
famiglia, nella professione e nella comunità civile»(193).
Nell'ambito più specifico dell'evangelizzazione e della catechesi è da promuovere con più forza il
compito particolare che la donna ha nella trasmissione della fede, non solo nella famiglia ma
anche nei più diversi luoghi educativi e, in termini più ampi, in tutto ciò che riguarda l'accoglienza
della Parola di Dio, la sua comprensione e la sua comunicazione, anche mediante lo studio, la
ricerca e la docenza teologica.
Mentre adempirà il suo impegno di evangelizzazione, la donna sentirà più vivo il bisogno di essere
evangelizzata. Così, con gli occhi illuminati dalla fede (cf. Ef 1, 18), la donna potrà distinguere ciò
che veramente risponde alla sua dignità personale e alla sua vocazione da tutto ciò che, magari
sotto il pretesto di questa «dignità» e nel nome della «libertà» e del «progresso», fa sì che la
donna non serva al consolidamento dei veri valori ma, al contrario, diventi responsabile del
degrado morale delle persone, degli ambienti e della società. Operare un simile «discernimento» è
un'urgenza storica indilazionabile e, nello stesso tempo, è una possibilità e un'esigenza che
derivano dalla partecipazione all'ufficio profetico di Cristo e della sua Chiesa da parte della donna
cristiana. Il «discernimento», di cui parla più volte l'apostolo Paolo, non è solo valutazione delle
realtà e degli avvenimenti alla luce della fede; è anche decisione concreta e impegno operativo,
non solo nell'ambito della Chiesa ma anche in quello della società umana.
Si può dire che tutti i problemi del mondo contemporaneo, di cui già parlava la seconda parte della
Costituzione conciliare Gaudium et spes e che il tempo non ha affatto né risolto né attutito, devono
vedere le donne presenti e impegnate, e precisamente con il loro contributo tipico e insostituibile.
In particolare, due grandi compiti affidati alla donna meritano di essere riproposti all'attenzione di
tutti.

7 Pages 61-70

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Il compito, anzitutto, di dare piena dignità alla vita matrimoniale e alla maternità. Nuove possibilità
si aprono oggi alla donna per una comprensione più profonda e per una realizzazione più ricca dei
valori umani e cristiani implicati nella vita coniugale e nell'esperienza della maternità: l'uomo
stesso _ il marito e il padre _ può superare forme di assenteismo o di presenza episodica e
parziale, anzi può coinvolgersi in nuove e significative relazioni di comunione interpersonale,
proprio grazie all'intervento intelligente, amorevole e decisivo della donna.
Il compito, poi, di assicurare la dimensione morale della cultura, la dimensione cioè di una cultura
degna dell'uomo, della sua vita personale e sociale. Il Concilio Vaticano II sembra collegare la
dimensione morale della cultura con la partecipazione dei laici alla missione regale di Cristo: «I
laici, anche mettendo in comune la loro forza, risanino le istituzioni e le condizioni di vita del
mondo, se ve ne sono che spingono i costumi al peccato, così che tutte siano rese conformi alle
norme della giustizia e, anziché ostacolare, favoriscano l'esercizio delle virtù. Così agendo
impregneranno di valore morale la cultura e i lavori dell'uomo»(194).
Man mano che la donna partecipa attivamente e responsabilmente alla funzione delle istituzioni,
dalle quali dipende la salvaguardia del primato dovuto ai valori umani nella vita delle comunità
politiche, le parole del Concilio ora citate indicano un importante campo d'apostolato della donna:
in tutte le dimensioni della vita di queste comunità, dalla dimensione socio-economica a quella
socio-politica, devono essere rispettate e promosse la dignità personale della donna e la sua
specifica vocazione: nell'ambito non solo individuale ma anche comunitario, non solo in forme
lasciate alla libertà responsabile delle persone ma anche in forme garantite da leggi civili giuste.
«Non è bene che l'uomo sia solo: gli voglio fare un aiuto a lui simile» (Gen 2, 18). Alla donna Dio
Creatore ha affidato l'uomo. Certo, l'uomo è stato affidato ad ogni uomo, ma in modo particolare
alla donna, perché proprio la donna sembra avere una specifica sensibilità, grazie alla speciale
esperienza della sua maternità, per l'uomo e per tutto ciò che costituisce il suo vero bene, a
cominciare dal fondamentale valore della vita. Quanto grandi sono le possibilità e le responsabilità
della donna in questo campo, in un tempo nel quale lo sviluppo della scienza e della tecnica non è
sempre ispirato e misurato dalla vera sapienza, con l'inevitabile rischio di «disumanizzare» la vita
umana, soprattutto quando essa esigerebbe amore più intenso e più generosa accoglienza.
La partecipazione della donna alla vita della Chiesa e della società, mediante i suoi doni,
costituisce insieme la strada necessaria per la sua realizzazione personale _ sulla quale oggi
giustamente tanto si insiste _ e il contributo originale della donna all'arricchimento della comunione
ecclesiale e al dinamismo apostolico del Popolo di Dio.
In questa prospettiva si deve considerare la presenza anche dell'uomo, insieme alla donna.
Compresenza e collaborazione degli uomini e delle donne

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52. Non è mancata nell'aula sinodale la voce di quanti hanno espresso il timore che un'eccessiva
insistenza portata sulla condizione e sul ruolo delle donne potesse sfociare in un'inaccettabile
dimenticanza: quella, appunto, riguardante gli uomini. In realtà diverse situazioni ecclesiali devono
lamentare l'assenza o la troppo scarsa presenza degli uomini, una parte dei quali abdica alle
proprie responsabilità ecclesiali, lasciando che siano assolte soltanto dalle donne: così, ad
esempio, la partecipazione alla preghiera liturgica in Chiesa, l'educazione e in particolare la
catechesi ai propri figli e ad altri fanciulli, la presenza ad incontri religiosi e culturali, la
collaborazione ad iniziative caritative e missionarie.
E' allora da urgere pastoralmente la presenza coordinata degli uomini e delle donne perché sia
resa più completa, armonica e ricca la partecipazione dei fedeli laici alla missione salvifica della
Chiesa.
La ragione fondamentale che esige e spiega la compresenza e la collaborazione degli uomini e
delle donne non è solo, come ora si è rilevato, la maggiore significatività ed efficacia dell'azione
pastorale della Chiesa; né, tanto meno, il semplice dato sociologico di una convivenza umana che
è naturalmente fatta di uomini e di donne. E', piuttosto, il disegno originario del Creatore che dal
«principio» ha voluto l'essere umano come «unità dei due», ha voluto l'uomo e la donna come
prima comunità di persone, radice di ogni altra comunità, e, nello stesso tempo, come «segno» di
quella comunione interpersonale d'amore che costituisce la misteriosa vita intima di Dio Uno e
Trino.
Proprio per questo il modo più comune e capillare, e nello stesso tempo fondamentale, per
assicurare questa presenza coordinata e armonica di uomini e di donne nella vita e nella missione
della Chiesa, è l'esercizio dei compiti e delle responsabilità della coppia e della famiglia cristiana,
nel quale traspare e si comunica la varietà delle diverse forme di amore e di vita: la forma
coniugale, paterna e materna, filiale e fraterna. Leggiamo nell'Esortazione Familiaris consortio:
«Se la famiglia cristiana è comunità, i cui vincoli sono rinnovati da Cristo mediante la fede e i
sacramenti, la sua partecipazione alla missione della Chiesa deve avvenire secondo una modalità
comunitaria: insieme, dunque i coniugi in quanto coppia, i genitori e i figli in quanto famiglia,
devono vivere il loro servizio alla Chiesa e al mondo (...). La famiglia cristiana, poi, edifica il Regno
di Dio nella storia mediante quelle stesse realtà quotidiane che riguardano e contraddistinguono la
sua condizione di vita: è allora nell'amore coniugale e familiare _ vissuto nella sua straordinaria
ricchezza di valori ed esigenze di totalità, unicità, fedeltà e fecondità _ che si esprime e si realizza
la partecipazione della famiglia cristiana alla missione profetica, sacerdotale e regale di Gesù
Cristo e della sua Chiesa»(195).
Situandosi in questa prospettiva, i Padri sinodali hanno ricordato il significato che il sacramento
del Matrimonio deve assumere nella Chiesa e nella società per illuminare e ispirare tutte le
relazioni tra l'uomo e la donna. In tal senso hanno ribadito «l'urgente necessità che ciascun
cristiano viva e annunci il messaggio di speranza contenuto nella relazione tra l'uomo e la donna Il

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sacramento del Matrimonio, che consacra questa relazione nella sua forma coniugale e la rivela
come segno della relazione di Cristo con la sua Chiesa, contiene un insegnamento di grande
importanza per la vita della Chiesa; questo insegnamento deve arrivare per mezzo della Chiesa al
mondo di oggi; tutte le relazioni tra l'uomo e la donna debbono ispirarsi a questo spirito. La Chiesa
deve utilizzare queste ricchezze ancora più pienamente»(196). Gli stessi Padri hanno giustamente
rilevato che «la stima della verginità e il rispetto della maternità debbono ambedue essere
ricuperate»(197): ancora una volta per lo sviluppo di vocazioni diverse e complementari nel
contesto vivo della comunione ecclesiale e al servizio della sua continua crescita.
Malati e sofferenti
53. L'uomo è chiamato alla gioia ma fa quotidiana esperienza di tantissime forme di sofferenza e
di dolore. Agli uomini e alle donne colpiti dalle più varie forme di sofferenza e di dolore i Padri
sinodali si sono rivolti nel loro finale Messaggio con queste parole: «Voi abbandonati ed
emarginati dalla nostra società consumistica; voi malati, handicappati, poveri, affamati, emigranti,
profughi, prigionieri, disoccupati, anziani, bambini abbandonati e persone sole; voi, vittime della
guerra e di ogni violenza emananti dalla nostra società permissiva. La Chiesa partecipa alla vostra
sofferenza conducente al Signore, che vi associa alla sua Passione redentrice e vi fa vivere alla
luce della sua Redenzione. Contiamo su di voi per insegnare al mondo intero che cosa è l'amore.
Faremo tutto il possibile perché troviate il posto di cui avete diritto nella società e nella
Chiesa»(198).
Nel contesto di un mondo sconfinato come quello della sofferenza umana, rivolgiamo ora
l'attenzione a quanti sono colpiti dalla malattia nelle sue diverse forme: i malati, infatti, sono
l'espressione più frequente e più comune del soffrire umano.
A tutti e a ciascuno è rivolto l'appello del Signore: anche i malati sono mandati come operai nella
sua vigna. Il peso, che affatica le membra del corpo e scuote la serenità dell'anima, lungi dal
distoglierli dal lavorare nella vigna, li chiama a vivere la loro vocazione umana e cristiana ed a
partecipare alla crescita del Regno di Dio in modalità nuove, anche più preziose. Le parole
dell'apostolo Paolo devono divenire il loro programma e, prima ancora, sono luce che fa splendere
ai loro occhi il significato di grazia della loro stessa situazione: «Completo quello che manca ai
patimenti di Cristo nella mia carne, in favore del suo corpo, che è la Chiesa» (Col 1, 24). Proprio
facendo questa scoperta, l'apostolo è approdato alla gioia: «Perciò sono lieto delle sofferenze che
sopporto per voi» (Col 1, 24). Similmente molti malati possono diventare portatori della «gioia
dello Spirito Santo in molte tribolazioni» (1 Tess 1, 6) ed essere testimoni della Risurrezione di
Gesù. Come ha espresso un handicappato nel suo intervento in aula sinodale, «è di grande
importanza porre in luce il fatto che i cristiani che vivono in situazioni di malattia, di dolore e di
vecchiaia, non sono invitati da Dio soltanto ad unire il proprio dolore con la Passione di Cristo, ma
anche ad accogliere già ora in se stessi e a trasmettere agli altri la forza del rinnovamento e la
gioia di Cristo risuscitato (cf. 2 Cor 4, 10-11; 1 Pt 4, 13; Rm 8, 18 ss.)»(199). Da parte sua _ come

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si legge nella Lettera Apostolica Salvifici doloris _ «la Chiesa, che nasce dal mistero della
redenzione nella Croce di Cristo, è tenuta a cercare l'incontro con l'uomo in modo particolare sulla
via della sofferenza. In un tale incontro l'uomo "diventa la via della Chiesa", ed è, questa, una delle
vie più importanti»(200). Ora l'uomo sofferente è via della Chiesa perché egli è, anzitutto, via di
Cristo stesso, il buon Samaritano che «non passa oltre», ma «ne ha compassione, si fa vicino (...)
gli fascia le ferite (...) si prende cura di lui» (Lc 10, 32-34).
La comunità cristiana ha ritrascritto, di secolo in secolo nell'immensa moltitudine delle persone
malate e sofferenti, la parabola evangelica del buon Samaritano, rivelando e comunicando l'amore
di guarigione e di consolazione di Gesù Cristo. Ciò è avvenuto mediante la testimonianza della
vita religiosa consacrata al servizio degli ammalati e mediante l'infaticabile impegno di tutti gli
operatori sanitari. Oggi, anche negli stessi ospedali e case di cura cattolici si fa sempre più
numerosa, e talvolta anche totale ed esclusiva, la presenza dei fedeli laici, uomini e donne: proprio
loro, medici, infermieri, altri operatori della salute, volontari, sono chiamati ad essere l'immagine
viva di Cristo e della sua Chiesa nell'amore verso i malati e i sofferenti.
Azione pastorale rinnovata
54. E' necessario che questa preziosissima eredità, che la Chiesa ha ricevuto da Gesù Cristo
«medico di carne e di spirito»(201), non solo non venga mai meno, ma sia sempre più valorizzata
e arricchita attraverso una ripresa e un rilancio deciso di un'azione pastorale per e con i malati e i
sofferenti. Dev'essere un'azione capace di sostenere e di promuovere attenzione, vicinanza,
presenza, ascolto, dialogo, condivisione e aiuto concreto verso l'uomo nei momenti nei quali, a
causa della malattia e della sofferenza, sono messe a dura prova non solo la sua fiducia nella vita
ma anche la sua stessa fede in Dio e nel suo amore di Padre. Questo rilancio pastorale ha la sua
espressione più significativa nella celebrazione sacramentale con e per gli ammalati, come
fortezza nel dolore e nella debolezza, come speranza nella disperazione, come luogo d'incontro e
di festa.
Uno dei fondamentali obiettivi di questa rinnovata e intensificata azione pastorale, che non può
non coinvolgere e in modo coordinato tutte le componenti della comunità ecclesiale, è di
considerare il malato, il portatore di handicap, il sofferente non semplicemente come termine
dell'amore e del servizio della Chiesa, bensì come soggetto attivo e responsabile dell'opera di
evangelizzazione e di salvezza. In questa prospettiva la Chiesa ha una buona novella da far
risuonare all'interno di società e di culture che, avendo smarrito il senso del soffrire umano,
«censurano» ogni discorso su tale dura realtà della vita. E la buona novella sta nell'annuncio che il
soffrire può avere anche un significato positivo per l'uomo e per la stessa società, chiamato com'è
a divenire una forma di partecipazione alla sofferenza salvifica di Cristo e alla sua gioia di risorto,
e pertanto una forza di santificazione e di edificazione della Chiesa.
L'annuncio di questa buona novella diventa credibile allorquando non risuona semplicemente sulle

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labbra, ma passa attraverso la testimonianza della vita, sia di tutti coloro che curano con amore i
malati, gli handicappati e i sofferenti, sia di questi stessi, resi sempre più coscienti e responsabili
del loro posto e del loro compito nella Chiesa e per la Chiesa.
Di grande utilità perché «la civiltà dell'amore» possa fiorire e fruttificare nell'immenso mondo del
dolore umano, potrà essere la rinnovata meditazione della Lettera Apostolica Salvifici doloris, di
cui ricordiamo ora le righe conclusive: «Occorre pertanto, che sotto la Croce del Calvario
idealmente convengano tutti i sofferenti che credono in Cristo e, particolarmente, coloro che
soffrono a causa della loro fede in lui Crocifisso e Risorto, affinché l'offerta delle loro sofferenze
affretti il compimento della preghiera dello stesso Salvatore per l'unità di tutti (cf. Gv 17, 11. 21-
22). Là pure convengano gli uomini di buona volontà, perché sulla Croce sta il "Redentore
dell'uomo", l'Uomo dei dolori, che in sé ha assunto le sofferenze fisiche e morali degli uomini di
tutti i tempi, affinché nell'amore possano trovare il senso salvifico del loro dolore e risposte valide
a tutti i loro interrogativi. Insieme con Maria, Madre di Cristo, che stava sotto la Croce (cf. Gv 19,
25), ci fermiamo accanto a tutte le croci dell'uomo d'oggi (...). E chiediamo a tutti voi, che soffrite,
di sostenerci. Proprio a voi, che siete deboli, chiediamo che diventiate una sorgente di forza per la
Chiesa e per l'umanità. Nel terribile combattimento tra le forze del bene e del male, di cui ci offre
spettacolo il nostro mondo contemporaneo, vinca la vostra sofferenza in unione con la Croce di
Cristo!»(202).
Stati di vita e vocazioni
55. Operai della vigna sono tutti i membri del Popolo di Dio: i sacerdoti, i religiosi e le religiose, i
fedeli laici, tutti ad un tempo oggetto e soggetto della comunione della Chiesa e della
partecipazione alla sua missione di salvezza. Tutti e ciascuno lavoriamo nell'unica e comune vigna
del Signore con carismi e con ministeri diversi e complementari.
Già sul piano dell'essere, prima ancora che su quello dell'agire, i cristiani sono tralci dell'unica
feconda vite che è Cristo, sono membra vive dell'unico Corpo del Signore edificato nella forza
dello Spirito. Sul piano dell'essere: non significa solo mediante la vita di grazia e di santità, che è
la prima e più rigogliosa sorgente della fecondità apostolica e missionaria della santa Madre
Chiesa; ma significa anche mediante lo stato di vita che caratterizza i sacerdoti e i diaconi, i
religiosi e le religiose, i membri degli istituti secolari, i fedeli laici.
Nella Chiesa-Comunione gli stati di vita sono tra loro così collegati da essere ordinati l'uno all'altro.
Certamente comune, anzi unico è il loro significato profondo: quello di essere modalità secondo
cui vivere l'eguale dignità cristiana e l'universale vocazione alla santità nella perfezione dell'amore.
Sono modalità insieme diverse e complementari, sicché ciascuna di esse ha una sua originale e
inconfondibile fisionomia e nello stesso tempo ciascuna di esse si pone in relazione alle altre e al
loro servizio.

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Così lo stato di vita laicale ha nell'indole secolare la sua specificità e realizza un servizio ecclesiale
nel testimoniare e nel richiamare, a suo modo, ai sacerdoti, ai religiosi e alle religiose il significato
che le realtà terrene e temporali hanno nel disegno salvifico di Dio. A sua volta il sacerdozio
ministeriale rappresenta la permanente garanzia della presenza sacramentale, nei diversi tempi e
luoghi, di Cristo Redentore. Lo stato religioso testimonia l'indole escatologica della Chiesa, ossia
la sua tensione verso il Regno di Dio, che viene prefigurato e in qualche modo anticipato e
pregustato dai voti di castità, povertà e obbedienza.
Tutti gli stati di vita, sia nel loro insieme sia ciascuno di essi in rapporto agli altri, sono al servizio
della crescita della Chiesa, sono modalità diverse che si unificano profondamente nel «mistero di
comunione» della Chiesa e che si coordinano dinamicamente nella sua unica missione.
In tal modo, l'unico e identico mistero della Chiesa rivela e rivive, nella diversità degli stati di vita e
nella varietà delle vocazioni, l'infinita ricchezza del mistero di Gesù Cristo. Come amano ripetere i
Padri, la Chiesa è come un campo dall'affascinante e meravigliosa varietà di erbe, piante, fiori e
frutti. Sant'Ambrogio scrive: «Un campo produce molti frutti, ma migliore è quello che abbonda di
frutti e di fiori. Orbene, il campo della santa Chiesa è fecondo degli uni e degli altri. Qui puoi
vedere le gemme della verginità metter fiori, là la vedovanza dominare austera come le foreste
nella pianura; altrove la ricca mietitura delle nozze benedette dalla Chiesa riempire i grandi granai
del mondo di messe abbondante, e i torchi del Signore Gesù ridondare come di frutti di vite
rigogliosa, frutti dei quali sono ricche le nozze cristiane»(203).
Le varie vocazioni laicali
56. La ricca varietà della Chiesa trova una sua ulteriore manifestazione all'interno di ciascun stato
di vita. Così entro lo stato di vita laicale si danno diverse «vocazioni», ossia diversi cammini
spirituali e apostolici che riguardano i singoli fedeli laici. Nell'alveo d'una vocazione laicale
«comune» fioriscono vocazioni laicali «particolari». In questo ambito possiamo ricordare anche
l'esperienza spirituale che è maturata recentemente nella Chiesa con il fiorire di diverse forme di
Istituti secolari: ai fedeli laici, ma anche agli stessi sacerdoti, è aperta la possibilità di professare i
consigli evangelici di povertà, castità e obbedienza per mezzo dei voti o delle promesse,
conservando pienamente la propria condizione laicale o clericale(204). Come hanno rilevato i
Padri sinodali, «lo Spirito Santo suscita anche altre forme di offerta di se stessi cui si dedicano
persone che rimangono pienamente nella vita laicale»(205).
Possiamo concludere rileggendo una bella pagina di San Francesco di Sales, che tanto ha
promosso la spiritualità dei laici(206). Parlando della «devozione», ossia della perfezione cristiana
o «vita secondo lo Spirito», egli presenta in una maniera semplice e splendida la vocazione di tutti
i cristiani alla santità e nello stesso tempo la forma specifica con cui i singoli cristiani la realizzano:
«Nella creazione Dio comandò alle piante di produrre i loro frutti, ognuna "secondo la propria
specie" (Gen 1, 11). Lo stesso comando rivolge ai cristiani, che sono le piante vive della sua

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Chiesa, perché producano frutti di devozione, ognuno secondo il suo stato e la sua condizione. La
devozione deve essere praticata in modo diverso dal gentiluomo, dall'artigiano, dal domestico, dal
principe, dalla vedova, dalla donna non sposata e da quella coniugata. Ciò non basta, bisogna
anche accordare la pratica della devozione alle forze, agli impegni e ai doveri di ogni persona (...).
E' un errore, anzi un'eresia, voler escludere l'esercizio della devozione dall'ambiente militare, dalla
bottega degli artigiani, dalla corte dei principi, dalle case dei coniugati. E' vero, Filotea, che la
devozione puramente contemplativa, monastica e religiosa può essere vissuta solo in questi stati,
ma, oltre a questi tre tipi di devozione, ve ne sono molti altri capaci di rendere perfetti coloro che
vivono in condizioni secolari. Perciò, dovunque ci troviamo, possiamo e dobbiamo aspirare alla
vita perfetta»(207).
Ponendosi nella stessa linea il Concilio Vaticano II scrive: «Questo comportamento spirituale dei
laici deve assumere una peculiare caratteristica dallo stato di matrimonio e di famiglia, di celibato
o di vedovanza, dalla condizione di infermità, dall'attività professionale e sociale. Non tralascino,
dunque, di coltivare costantemente le qualità e le doti ad essi conferite corrispondenti a tali
condizioni, e di servirsi dei propri doni ricevuti dallo Spirito Santo»(208).
Ciò che vale delle vocazioni spirituali vale anche, e in un certo senso a maggior ragione, delle
infinite varie modalità secondo cui tutti e singoli i membri della Chiesa sono operai che lavorano
nella vigna del Signore, edificando il Corpo mistico di Cristo. Veramente ciascuno è chiamato per
nome, nell'unicità e irripetibilità della sua storia personale, a portare il suo proprio contributo per
l'avvento del Regno di Dio. Nessun talento, neppure il più piccolo, può essere nascosto e lasciato
inutilizzato (cf. Mt 25, 24-27).
L'apostolo Pietro ci ammonisce: «Ciascuno viva secondo la grazia ricevuta, mettendola a servizio
degli altri, come buoni amministratori di una multiforme grazia di Dio» (1 Pt 4, 10).
CAPITOLO V
PERCHÉ PORTIATE PIÙ FRUTTO
La formazione dei fedeli laici
Maturare in continuità
57. L'immagine evangelica della vite e dei tralci ci rivela un altro aspetto fondamentale della vita e
della missione dei fedeli laici: la chiamata a crescere, a maturare in continuità, a portare sempre
più frutto.
Come solerte vignaiolo, il Padre si prende cura della sua vigna. La presenza premurosa di Dio è
ardentemente invocata da Israele, che così prega: «Dio degli eserciti, volgiti, / guarda dal cielo e
vedi / e visita questa vigna, / proteggi il ceppo che la tua destra ha piantato, / il germoglio che ti sei

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coltivato» (Sal 80, 15-16). Gesù stesso parla dell'opera del Padre: «Io sono la vera vite e il Padre
mio è il vignaiolo. Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo toglie e ogni tralcio che porta frutto, lo
pota perché porti più frutto» (Gv 15, 1-2).
La vitalità dei tralci è legata al loro rimanere radicati nella vite, che è Cristo Gesù: «Chi rimane in
me e io in lui, fa molto frutto, perché senza di me non potete far nulla» (Gv 15, 5).
L'uomo è interpellato nella sua libertà dalla chiamata di Dio a crescere, a maturare, a portare
frutto. Non può non rispondere, non può non assumersi la sua personale responsabilità. E' a
questa responsabilità, tremenda ed esaltante, che alludono le gravi parole di Gesù: «Chi non
rimane in me viene gettato via come il tralcio e si secca, e poi lo raccolgono e lo gettano nel fuoco
e lo bruciano» (Gv 15, 6).
In questo dialogo tra Dio che chiama e la persona interpellata nella sua responsabilità si situa la
possibilità, anzi la necessità di una formazione integrale e permanente dei fedeli laici, alla quale i
Padri sinodali hanno giustamente riservato un'ampia parte del loro lavoro. In particolare, dopo
aver descritto la formazione cristiana come «un continuo processo personale di maturazione nella
fede e di configurazione con il Cristo, secondo la volontà del Padre, con la guida dello Spirito
Santo», hanno chiaramente affermato che «la formazione dei fedeli laici va posta tra le priorità
della diocesi e va collocata nei programmi di azione pastorale in modo che tutti gli sforzi della
comunità (sacerdoti, laici e religiosi) convergano a questo fine»(209).
Scoprire e vivere la propria vocazione e missione
58. La formazione dei fedeli laici ha come obiettivo fondamentale la scoperta sempre più chiara
della propria vocazione e la disponibilità sempre più grande a viverla nel compimento della propria
missione.
Dio chiama me e manda me come operaio nella sua vigna; chiama me e manda me a lavorare per
l'avvento del suo Regno nella storia: questa vocazione e missione personale definisce la dignità e
la responsabilità dell'intera opera formativa, ordinata al riconoscimento gioioso e grato di tale
dignità e all'assolvimento fedele e generoso di tale responsabilità.
Infatti, Dio dall'eternità ha pensato a noi e ci ha amato come persone uniche e irripetibili,
chiamando ciascuno di noi con il suo proprio nome, come il buon Pastore che «chiama le sue
pecore per nome» (Gv 10, 3). Ma il piano eterno di Dio si rivela a ciascuno di noi solo nello
sviluppo storico della nostra vita e delle sue vicende, e pertanto solo gradualmente: in un certo
senso, di giorno in giorno.
Ora per poter scoprire la concreta volontà del Signore sulla nostra vita sono sempre indispensabili
l'ascolto pronto e docile della parola di Dio e della Chiesa, la preghiera filiale e costante, il

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riferimento a una saggia e amorevole guida spirituale, la lettura nella fede dei doni e dei talenti
ricevuti e nello stesso tempo delle diverse situazioni sociali e storiche entro cui si è inseriti.
Nella vita di ciascun fedele laico ci sono poi momenti particolarmente significativi e decisivi per
discernere la chiamata di Dio e per accogliere la missione da Lui affidata: tra questi ci sono i
momenti dell'adolescenza e della giovinezza. Nessuno però dimentichi che il Signore, come il
padrone con gli operai della vigna, chiama _ nel senso di rendere concreta e puntuale la sua santa
volontà _ a tutte le ore della vita: per questo la vigilanza, quale attenzione premurosa alla voce di
Dio, è un atteggiamento fondamentale e permanente del discepolo.
Non si tratta, comunque, soltanto di sapere quello che Dio vuole da noi, da ciascuno di noi nelle
varie situazioni della vita. Occorre fare quello che Dio vuole: così ci ricorda la parola di Maria, la
Madre di Gesù, rivolta ai servi di Cana: «Fate quello che vi dirà» (Gv 2, 5). E per agire in fedeltà
alla volontà di Dio occorre essere capaci e rendersi sempre più capaci. Certo, con la grazia del
Signore, che non manca mai, come dice San Leone Magno: «Darà il vigore Colui che conferì la
dignità!»(210); ma anche con la libera e responsabile collaborazione di ciascuno di noi.
Ecco il compito meraviglioso e impegnativo che attende tutti i fedeli laici, tutti i cristiani, senza
sosta alcuna: conoscere sempre più le ricchezze della fede e del Battesimo e viverle in crescente
pienezza. L'apostolo Pietro, parlando di nascita e di crescita come delle due tappe della vita
cristiana, ci esorta: «Come bambini appena nati, bramate il puro latte spirituale, per crescere con
esso verso la salvezza» (1 Pt 2, 2).
Una formazione integrale da vivere in unità
59. Nello scoprire e nel vivere la propria vocazione e missione, i fedeli laici devono essere formati
a quell'unità di cui è segnato il loro stesso essere di membri della Chiesa e di cittadini della società
umana.
Nella loro esistenza non possono esserci due vite parallele: da una parte, la vita cosiddetta
«spirituale», con i suoi valori e con le sue esigenze; e dall'altra, la vita cosiddetta «secolare»,
ossia la vita di famiglia, di lavoro, dei rapporti sociali, dell'impegno politico e della cultura. Il tralcio,
radicato nella vite che è Cristo, porta i suoi frutti in ogni settore dell'attività e dell'esistenza. Infatti,
tutti i vari campi della vita laicale rientrano nel disegno di Dio, che li vuole come il «luogo storico»
del rivelarsi e del realizzarsi della carità di Gesù Cristo a gloria del Padre e a servizio dei fratelli.
Ogni attività, ogni situazione, ogni impegno concreto _ come, ad esempio, la competenza e la
solidarietà nel lavoro, l'amore e la dedizione nella famiglia e nell'educazione dei figli, il servizio
sociale e politico, la proposta della verità nell'ambito della cultura _ sono occasioni provvidenziali
per un «continuo esercizio della fede, della speranza e della carità»(211).
A questa unità di vita il Concilio Vaticano II ha invitato tutti i fedeli laici denunciando con forza la

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gravità della frattura tra fede e vita, tra Vangelo e cultura: «Il Concilio esorta i cristiani, che sono
cittadini dell'una e dell'altra città, di sforzarsi di compiere fedelmente i propri doveri terreni,
facendosi guidare dallo spirito del Vangelo. Sbagliano coloro che, sapendo che qui non abbiamo
una cittadinanza stabile ma cerchiamo quella futura, pensano di poter per questo trascurare i
propri doveri terreni, e non riflettono che invece proprio la fede li obbliga ancora di più a compierli,
secondo la vocazione di ciascuno (...). Il distacco, che si costata in molti, tra la fede che
professano e la loro vita quotidiana, va annoverato tra i più gravi errori del nostro tempo»(212).
Perciò ho affermato che una fede che non diventa cultura è una fede «non pienamente accolta,
non interamente pensata non fedelmente vissuta»(213).
Aspetti della formazione
60. Entro questa sintesi di vita si situano i molteplici e coordinati aspetti della formazione integrale
dei fedeli laici.
Non c'è dubbio che la formazione spirituale debba occupare un posto privilegiato nella vita di
ciascuno, chiamato a crescere senza sosta nell'intimità con Gesù Cristo, nella conformità alla
volontà del Padre, nella dedizione ai fratelli nella carità e nella giustizia. Scrive il Concilio: «Questa
vita d'intima unione con Cristo si alimenta nella Chiesa con gli aiuti spirituali, che sono comuni a
tutti i fedeli, soprattutto con la partecipazione attiva alla sacra Liturgia, e questi aiuti i laici devono
usarli in modo che, mentre compiono con rettitudine gli stessi doveri del mondo nelle condizioni
ordinarie di vita, non separino dalla propria vita l'unione con Cristo, ma, svolgendo la propria
attività secondo il volere divino, crescano in essa»(214).
Sempre più urgente si rivela oggi la formazione dottrinale dei fedeli laici, non solo per il naturale
dinamismo di approfondimento della loro fede, ma anche per l'esigenza di «rendere ragione della
speranza» che è in loro di fronte al mondo e ai suoi gravi e complessi problemi.
Si rendono così assolutamente necessarie una sistematica azione di catechesi, da graduarsi in
rapporto all'età e alle diverse situazioni di vita, e una più decisa promozione cristiana della cultura,
come risposta agli eterni interrogativi che agitano l'uomo e la società d'oggi.
In particolare, soprattutto per i fedeli laici variamente impegnati nel campo sociale e politico, è del
tutto indispensabile una conoscenza più esatta della dottrina sociale della Chiesa, come
ripetutamente i Padri sinodali hanno sollecitato nei loro interventi. Parlando della partecipazione
politica dei fedeli laici, si sono così espressi: «Perché i laici possano realizzare attivamente questo
nobile proposito nella politica (ossia il proposito di far riconoscere e stimare i valori umani e
cristiani), non bastano le esortazioni, ma bisogna offrire loro la dovuta formazione della coscienza
sociale, specialmente nella dottrina sociale della Chiesa, la quale contiene i principi di riflessione, i
criteri di giudizio e le direttrici pratiche (cf. Congregazione per la Dottrina della Fede, Istruzione su
libertà cristiana e liberazione, 72). Tale dottrina deve essere già presente nella istruzione

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catechistica generale, negli incontri specializzati e nelle scuole ed università. Questa dottrina
sociale della Chiesa è, tuttavia, dinamica, cioè adattata alle circostanze dei tempi e dei luoghi. E'
diritto e dovere dei pastori proporre i principi morali anche sull'ordine sociale; è dovere di tutti i
cristiani dedicarsi alla difesa dei diritti umani; tuttavia, la partecipazione attiva nei partiti politici è
riservata ai laici»(215).
E, infine, nel contesto della formazione integrale e unitaria dei fedeli laici, è particolarmente
significativa per la loro azione missionaria e apostolica la personale crescita nei valori umani.
Proprio in questo senso il Concilio ha scritto: «(i laici) facciano pure gran conto della competenza
professionale, del senso della famiglia e del senso civico e di quelle virtù che riguardano i rapporti
sociali, cioè la probità, lo spirito di giustizia, la sincerità, la cortesia, la fortezza d'animo, senza le
quali non ci può essere neanche vera vita cristiana»(216).
Nel maturare la sintesi organica della loro vita, che insieme è espressione dell'unità del loro
essere e condizione per l'efficace compimento della loro missione, i fedeli laici saranno
interiormente guidati e sostenuti dallo Spirito Santo, quale Spirito di unità e di pienezza di vita.
Collaboratori di Dio educatore
61. Quali sono i luoghi e i mezzi della formazione dei fedeli laici? Quali sono le persone e le
comunità chiamate ad assumersi il compito della formazione integrale e unitaria dei fedeli laici?
Come l'opera educativa umana è intimamente congiunta con la paternità e la maternità, così la
formazione cristiana trova la sua radice e la sua forza in Dio, il Padre che ama ed educa i suoi
figli. Sì, Dio è il primo e grande educatore del suo Popolo, come dice lo stupendo passo del
Cantico di Mosè: «Egli lo trovò in terra deserta, / in una landa di ululati solitari. / Lo circondò, lo
allevò, / lo custodì come pupilla del suo occhio. / Come un'aquila che veglia la sua nidiata, / che
vola sopra i suoi nati, / egli spiegò le sue ali e lo prese, / lo sollevò sulle sue ali. / Il Signore lo
guidò da solo, / non c'era con lui alcun dio straniero» (Deut 32, 10-12; cf. 8, 5).
L'opera educativa di Dio si rivela e si compie in Gesù, il Maestro, e raggiunge dal di dentro il cuore
d'ogni uomo grazie alla presenza dinamica dello Spirito. A prendere parte all'opera educativa
divina è chiamata la Chiesa madre, sia in se stessa, sia nelle sue varie articolazioni ed
espressioni. E' così che i fedeli laici sono formati dalla Chiesa e nella Chiesa, in una reciproca
comunione e collaborazione di tutti i suoi membri: sacerdoti, religiosi e fedeli laici. Così l'intera
comunità ecclesiale, nei suoi diversi membri, riceve la fecondità dello Spirito e ad essa coopera
attivamente. In tal senso Metodio di Olimpo scriveva: «Gli imperfetti (...) sono portati e formati,
come nel seno di una madre, dai più perfetti finché siano generati e partoriti per la grandezza e la
bellezza della virtù»(217), come avvenne per Paolo, portato e introdotto nella Chiesa dai perfetti
(nella persona di Anania) e diventato poi a sua volta perfetto e fecondo di tanti figli.

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Educatrice è, anzi tutto, la Chiesa universale, nella quale il Papa svolge il ruolo di primo formatore
dei fedeli laici. A lui, come successore di Pietro, spetta il ministero di «confermare nella fede i
fratelli», insegnando a tutti i credenti i contenuti essenziali della vocazione e missione cristiana ed
ecclesiale. Non solo la sua parola diretta, ma anche la sua parola veicolata dai documenti dei vari
Dicasteri della Santa Sede chiede l'ascolto docile e amoroso dei fedeli laici.
La Chiesa una e universale è presente nelle varie parti del mondo nelle Chiese particolari. In
ognuna di esse il Vescovo ha una responsabilità personale nei riguardi dei fedeli laici, che deve
formare mediante l'annuncio della Parola, la celebrazione dell'Eucaristia e dei sacramenti,
l'animazione e la guida della loro vita cristiana.
Entro la Chiesa particolare o diocesi si situa ed opera la parrocchia, la quale ha un compito
essenziale per la formazione più immediata e personale dei fedeli laici. Infatti, in un rapporto che
può raggiungere più facilmente le singole persone e i singoli gruppi, la parrocchia è chiamata a
educare i suoi membri all'ascolto della Parola, al dialogo liturgico e personale con Dio, alla vita di
carità fraterna, facendo percepire in modo più diretto e concreto il senso della comunione
ecclesiale e della responsabilità missionaria.
All'interno poi di talune parrocchie, soprattutto se vaste e disperse, le piccole comunità ecclesiali
presenti possono essere di notevole aiuto nella formazione dei cristiani, potendo rendere più
capillari e incisive la coscienza e l'esperienza della comunione e della missione ecclesiale. Un
aiuto può essere dato, come hanno detto i Padri sinodali, anche da una catechesi postbattesimale
a modo di catecumenato, mediante la riproposizione di alcuni elementi del «Rituale dell'Iniziazione
Cristiana degli Adulti», destinati a far cogliere e vivere le immense e straordinarie ricchezze e
responsabilità del Battesimo ricevuto(218).
Nella formazione che i fedeli laici ricevono nella diocesi e nella parrocchia, in particolare al senso
della comunione e della missione, di speciale importanza è l'aiuto che i diversi membri della
Chiesa reciprocamente si danno: è un aiuto che insieme rivela e attua il mistero della Chiesa
Madre ed Educatrice. I sacerdoti e i religiosi devono aiutare i fedeli laici nella loro formazione. In
questo senso i Padri del Sinodo hanno invitato i presbiteri e i candidati agli Ordini a «prepararsi
accuratamente ad essere capaci di favorire la vocazione e la missione dei laici»(219).
A loro volta, gli stessi fedeli laici possono e devono aiutare i sacerdoti e i religiosi nel loro cammino
spirituale e pastorale.
Altri ambiti educativi
62 . Pure la famiglia cristiana, in quanto «Chiesa domestica», costituisce una scuola nativa e
fondamentale per la formazione della fede: il padre e la madre ricevono dal sacramento del
Matrimonio la grazia e il ministero dell'educazione cristiana nei riguardi dei figli, ai quali

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testimoniano e trasmettono insieme valori umani e valori religiosi. Imparando le prime parole, i figli
imparano anche a lodare Dio, che sentono vicino come Padre amorevole e provvidente;
imparando i primi gesti d'amore, i figli imparano anche ad aprirsi agli altri, cogliendo nel dono di sé
il senso del vivere umano. La stessa vita quotidiana di una famiglia autenticamente cristiana
costituisce la prima «esperienza di Chiesa», destinata a trovare conferma e sviluppo nel graduale
inserimento attivo e responsabile dei figli nella più ampia comunità ecclesiale e nella società civile.
Quanto più i coniugi e i genitori cristiani cresceranno nella consapevolezza che la loro «Chiesa
domestica» è partecipe della vita e della missione della Chiesa universale, tanto più i figli potranno
essere formati al «senso della Chiesa» e sentiranno tutta la bellezza di dedicare le loro energie al
servizio del Regno di Dio.
Luoghi importanti di formazione sono anche le scuole e le università cattoliche, come pure i centri
di rinnovamento spirituale che oggi vanno sempre più diffondendosi. Come hanno rilevato i Padri
sinodali, nell'attuale contesto sociale e storico, segnato da una profonda svolta culturale, non
basta più la partecipazione _ peraltro sempre necessaria e insostituibile _ dei genitori cristiani alla
vita della scuola; occorre preparare fedeli laici che si dedichino all'opera educativa come a una
vera e propria missione ecclesiale; occorre costituire e sviluppare delle «comunità educative»,
formate insieme da genitori, docenti, sacerdoti, religiosi e religiose, rappresentanti di giovani. E
perché la scuola possa degnamente svolgere la sua funzione formativa, i fedeli laici si devono
sentire impegnati a esigere da tutti e a promuovere per tutti una vera libertà di educazione, anche
mediante un'opportuna legislazione civile(220).
I Padri sinodali hanno avuto parole di stima e d'incoraggiamento verso tutti quei fedeli laici, uomini
e donne, che con spirito civile e cristiano svolgono un compito educativo nella scuola e negli istituti
formativi. Hanno inoltre rilevato l'urgente necessità che i fedeli laici maestri e professori nelle
diverse scuole, cattoliche o no, siano veri testimoni del Vangelo, mediante l'esempio della vita, la
competenza e la rettitudine professionale, l'ispirazione cristiana dell'insegnamento, salva sempre _
com'è evidente _ l'autonomia delle varie scienze e discipline. E di singolare importanza che la
ricerca scientifica e tecnica svolta dai fedeli laici sia retta dal criterio del servizio all'uomo nella
totalità dei suoi valori e delle sue esigenze: a questi fedeli laici la Chiesa affida il compito di
rendere a tutti più comprensibile l'intimo legame che esiste tra la fede e la scienza, tra il Vangelo e
la cultura umana(221).
«Questo Sinodo _ leggiamo in una proposizione _ fa appello al ruolo profetico delle scuole e delle
università cattoliche e loda la dedizione dei maestri e degli insegnanti, al presente in massima
parte laici, perché negli istituti di educazione cattolica possano formare uomini e donne in cui si
incarni il "comandamento nuovo". La presenza contemporanea di sacerdoti e laici, e anche di
religiosi e religiose, offre agli alunni un'immagine viva della Chiesa e rende più facile la
conoscenza delle sue ricchezze (cf. Congregazione per l'Educazione Cattolica, Il laico educatore,
testimone della fede nella scuola)»(222).

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Anche i gruppi, le associazioni e i movimenti hanno un loro posto nella formazione dei fedeli laici:
hanno, infatti, la possibilità, ciascuno con i propri metodi, di offrire una formazione profondamente
inserita nella stessa esperienza di vita apostolica, come pure hanno l'opportunità di integrare,
concretizzare e specificare la formazione che i loro aderenti ricevono da altre persone e comunità.
La formazione reciprocamente ricevuta e donata da tutti
63. La formazione non è il privilegio di alcuni, bensì un diritto e un dovere per tutti. I Padri sinodali
al riguardo hanno detto: «Sia offerta a tutti la possibilità della formazione, soprattutto ai poveri, i
quali possono essere essi stessi fonte di formazione per tutti», e hanno aggiunto: «Per la
formazione si usino mezzi adatti che aiutino ciascuno ad assecondare la piena vocazione umana
e cristiana»(223).
Ai fini d'una pastorale veramente incisiva ed efficace è da svilupparsi, anche mettendo in atto
opportuni corsi o scuole apposite, la formazione dei formatori. Formare coloro che, a loro volta,
dovranno essere impegnati nella formazione dei fedeli laici costituisce un'esigenza primaria per
assicurare la formazione generale e capillare di tutti i fedeli laici.
Nell'opera formativa un'attenzione particolare dovrà essere riservata alla cultura locale, secondo
l'esplicito invito dei Padri del Sinodo: «La formazione dei cristiani terrà nel massimo conto la
cultura umana del luogo, la quale contribuisce alla stessa formazione e aiuterà a giudicare il
valore sia insito nella cultura tradizionale, sia proposto in quella moderna. Si dia la dovuta
attenzione anche alle diverse culture che possono coesistere in uno stesso popolo e in una stessa
nazione. La Chiesa, Madre e Maestra dei popoli, si sforzerà di salvare, dove ne sia il caso, la
cultura delle minoranze che vivono in grandi nazioni»(224).
Nell'opera formativa alcune convinzioni si rivelano particolarmente necessarie e feconde. La
convinzione, anzitutto, che non si dà formazione vera ed efficace se ciascuno non si assume e
non sviluppa da se stesso la responsabilità della formazione: questa, infatti, si configura
essenzialmente come «auto-formazione».
La convinzione, inoltre, che ognuno di noi è il termine e insieme il principio della formazione: più
veniamo formati e più sentiamo l'esigenza di proseguire e approfondire tale formazione, come
pure più veniamo formati e più ci rendiamo capaci di formare gli altri.
Di singolare importanza è la coscienza che l'opera formativa, mentre ricorre con intelligenza ai
mezzi e ai metodi delle scienze umane, è tanto più efficace quanto più è disponibile alla azione di
Dio: solo il tralcio che non teme di lasciarsi potare dal vignaiolo produce più frutto per sé e per gli
altri.
Appello e preghiera

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64. A conclusione di questo documento post-sinodale ripropongo ancora una volta l'invito del
«padrone di casa» di cui ci parla il Vangelo: Andate anche voi nella mia vigna. Si può dire che il
significato del Sinodo sulla vocazione e missione dei laici stia proprio in questo appello del
Signore Gesù rivolto a tutti, e in particolare ai fedeli laici, uomini e donne.
I lavori sinodali hanno costituito per tutti i partecipanti una grande esperienza spirituale: quella di
una Chiesa attenta, nella luce e nella forza dello Spirito, a discernere e ad accogliere il rinnovato
appello del suo Signore in ordine a riproporre al mondo d'oggi il mistero della sua comunione e il
dinamismo della sua missione di salvezza, in particolare cogliendo il posto e il ruolo specifici dei
fedeli laici. Il frutto poi del Sinodo, che questa Esortazione intende sollecitare il più abbondante
possibile in tutte le Chiese sparse nel mondo, sarà dato dall'effettiva accoglienza che l'appello del
Signore riceverà da parte dell'intero Popolo di Dio e, in esso, da parte dei fedeli laici.
Per questo rivolgo a tutti e a ciascuno, Pastori e fedeli, la vivissima esortazione a non stancarsi
mai di mantenere vigile, anzi di rendere sempre più radicata nella mente, nel cuore e nella vita la
coscienza ecclesiale, la coscienza cioè di essere membri della Chiesa di Gesù Cristo, partecipi del
suo mistero di comunione e della sua energia apostolica e missionaria.
E' di particolare importanza che tutti i cristiani siano consapevoli di quella straordinaria dignità che
è stata loro donata mediante il santo Battesimo: per grazia siamo chiamati ad essere figli amati dal
Padre, membra incorporate a Gesù Cristo e alla sua Chiesa, templi vivi e santi dello Spirito.
Riascoltiamo, commossi e grati, le parole di Giovanni Evangelista: «Quale grande amore ci ha
dato il Padre per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente!» (1 Gv 3, 1).
Questa «novità cristiana» donata ai membri della Chiesa, mentre costituisce per tutti la radice
della loro partecipazione all'ufficio sacerdotale, profetico e regale di Cristo e della loro vocazione
alla santità nell'amore, si esprime e si attua nei fedeli laici secondo «l'indole secolare» loro
«propria e peculiare».
La coscienza ecclesiale comporta, unitamente al senso della comune dignità cristiana, il senso di
appartenere al mistero della Chiesa-Comunione: è questo un aspetto fondamentale e decisivo per
la vita e per la missione della Chiesa. Per tutti e per ciascuno la preghiera ardente di Gesù
nell'ultima Cena: «Ut unum sint!» deve diventare, ogni giorno, un esigente e irrinunciabile
programma di vita e di azione.
Il senso vivo della comunione ecclesiale, dono dello Spirito che sollecita la nostra libera risposta,
avrà come suo prezioso frutto la valorizzazione armonica nella Chiesa «una e cattolica» della
ricca varietà delle vocazioni e condizioni di vita, dei carismi, dei ministeri e dei compiti e
responsabilità, come pure una più convinta e decisa collaborazione dei gruppi, delle associazioni
e dei movimenti di fedeli laici nel solidale compimento della comune missione salvifica della
Chiesa stessa. Questa comunione è già in se stessa il primo grande segno della presenza di

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Cristo Salvatore nel mondo; nello stesso tempo essa favorisce e stimola la diretta azione
apostolica e missionaria della Chiesa.
Alle soglie del terzo millennio, la Chiesa tutta, Pastori e fedeli, deve sentire più forte la sua
responsabilità di obbedire al comando di Cristo: «Andate in tutto il mondo e predicate il Vangelo a
ogni creatura» (Mc 16, 15), rinnovando il suo slancio missionario. Una grande, impegnativa e
magnifica impresa è affidata alla Chiesa: quella di una nuova evangelizzazione, di cui il mondo
attuale ha immenso bisogno. I fedeli laici devono sentirsi parte viva e responsabile di
quest'impresa, chiamati come sono ad annunciare e a vivere il Vangelo nel servizio ai valori e alle
esigenze della persona e della società.
Il Sinodo dei Vescovi, celebratosi nel mese di ottobre durante l'Anno Mariano, ha affidato i suoi
lavori, in modo del tutto particolare, alla intercessione di Maria Santissima, Madre del Redentore.
Ed ora alla stessa intercessione affido la fecondità spirituale dei frutti del Sinodo. Alla Vergine mi
rivolgo al termine di questo documento post-sinodale, in unione con i Padri e i fedeli laici presenti
al Sinodo e con tutti gli altri membri del Popolo di Dio. L'appello si fa preghiera.
O Vergine santissima,
Madre di Cristo e Madre della Chiesa,
con gioia e con ammirazione,
ci uniamo al tuo Magnificat,
al tuo canto di amore riconoscente.
Con Te rendiamo grazie a Dio,
«la cui misericordia si stende
di generazione in generazione»,
per la splendida vocazione
e per la multiforme missione
dei fedeli laici,
chiamati per nome da Dio
a vivere in comunione di amore
e di santità con Lui
e ad essere fraternamente uniti
nella grande famiglia dei figli di Dio,
mandati a irradiare la luce di Cristo
e a comunicare il fuoco dello Spirito
per mezzo della loro vita evangelica
in tutto il mondo.
Vergine del Magnificat,
riempi i loro cuori

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di riconoscenza e di entusiasmo
per questa vocazione e per questa missione.
Tu che sei stata,
con umiltà e magnanimità,
«la serva del Signore»,
donaci la tua stessa disponibilità
per il servizio di Dio
e per la salvezza del mondo.
Apri i nostri cuori
alle immense prospettive
del Regno di Dio
e dell'annuncio del Vangelo
ad ogni creatura.
Nel tuo cuore di madre
sono sempre presenti i molti pericoli
e i molti mali
che schiacciano gli uomini e le donne
del nostro tempo.
Ma sono presenti anche
le tante iniziative di bene,
le grandi aspirazioni ai valori,
i progressi compiuti
nel produrre frutti abbondanti di salvezza.
Vergine coraggiosa,
ispiraci forza d'animo
e fiducia in Dio,
perché sappiamo superare
tutti gli ostacoli che incontriamo
nel compimento della nostra missione.
Insegnaci a trattare le realtà del mondo
con vivo senso di responsabilità cristiana
e nella gioiosa speranza
della venuta del Regno di Dio,
dei nuovi cieli e della terra nuova.
Tu che insieme agli Apostoli in preghiera
sei stata nel Cenacolo
in attesa della venuta dello Spirito di Pentecoste,

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invoca la sua rinnovata effusione
su tutti i fedeli laici, uomini e donne,
perché corrispondano pienamente
alla loro vocazione e missione,
come tralci della vera vite,
chiamati a portare molto frutto
per la vita del mondo.
Vergine Madre,
guidaci e sostienici perché viviamo sempre
come autentici figli e figlie
della Chiesa di tuo Figlio
e possiamo contribuire a stabilire sulla terra
la civiltà della verità e dell'amore,
secondo il desiderio di Dio
e per la sua gloria.
Amen.
Dato a Roma, presso San Pietro, il 30 dicembre, festa della Santa Famiglia di Gesù, Maria e
Giuseppe, dell'anno 1988, undicesimo del mio Pontificato.
IOANNES PAULUS II
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