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ATTI DEL CONSIGLIO GENERALE
LETTERA DEL RETTOR MAGGIORE
Angel Fernández Artime
APPARTENERE DI PIÙ A DIO, DI PIÙ AI CONFRATELLI,
DI PIÙ AI GIOVANI”
Roma, 16 agosto 2014
Inizio del Bicentenario della Nascita di Don Bosco
1. SULLE ORME DEI MIEI PREDECESSORI. 2. UN PRESENTE DA ESSERE VISSUTO NELLA
FEDE, CON SPERANZA, CON REALISMO E CAMMINANDO INSIEME. 3. APPARTENENDO DI
PIÙ A DIO. 4. FACCIAMO REALTÀ LA UTOPIADELLA FRATERNITÀ SECONDO IL
VANGELO. 5. CON I GIOVANI, PER I GIOVANI NOSTRI PADRONI”. 6. CONGREGAZIONE
MISSIONARIA: QUANDO LA DIVERSITÀ È RICCHEZZA. - 6.1. Perché ci sono campi di
missione pastorale, dove siamo molto necessari in questo momento … - 6.2.
… E perché la diversità è ricchezza. 7. CELEBRANDO IL CENTENARIO DELLA NASCITA
DI DON BOSCO. 8. “PRENDIAMO LA MADONNA IN CASA”: «E da quell’ora il discepolo
l’accolse con sé» (Gv 19,27).
Miei cari Confratelli,
Sono trascorsi già tre mesi e mezzo da quando è terminato il CG27 e, anche se
ho già potuto comunicarmi con voi per iscritto o con un messaggio audiovisivo, la
lettera del Rettor Maggiore che si pubblica negli Atti del Consiglio Generale è un
momento speciale.
Ho scelto come titolo di questa mia prima lettera quello stesso del mio
intervento alla chiusura del CG27 perché credo che nel contenuto del Capitolo si
trovi tutto un programma di riflessione e di azione per il sessennio, che dobbiamo
approfondire in momenti e modi diversi. Intendo riferirmi ad alcuni nuclei del
Capitolo Generale, ma in primo luogo e soprattutto vorrei esprimere a tutti e ad
ognuno di voi, miei Confratelli salesiani, tutto l’affetto e il desiderio che, in
qualche giorno, e in qualche luogo del nostro ‘mondo salesiano’, possiamo
incontrarci. Sarà un vero regalo ed una gioia per me.

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E voglio anche dirvi che, pensando al modo di manifestarvi cosa rappresenta
per me questo momento in cui vi scrivo e questo servizio che mi è stato richiesto,
ho pensato di cercare e di leggere come fu la prima comunicazione di ognuno dei
Rettori Maggiori che mi hanno preceduto. Devo dirvi che è stato un vero piacere e
un dono per l’anima incontrarmi con questi testimoni e non posso tralasciare di
condividere con voi quel che ho avvertito, perché parla di per sé.
1. SULLE ORME DEI MIEI PREDECESSORI
Devo confessarvi che il solo fatto di scrivere questo rapporto mi commuove,
pensando proprio ai Rettori Maggiori che abbiamo avuto. In tutti loro si coglie che
questo inizio del loro servizio è stato veramente qualcosa di molto speciale.
Don Michele RUA (Beato), che scrive la sua prima lettera come Rettor
Maggiore il 19 marzo 1888, dopo il riconoscimento e il decreto della Santa Sede
che lo confermava come Rettor Maggiore, si esprime dicendo che dopo la lettera
inviata dallo stesso Capitolo Superiore, egli, per la prima volta, scrive loro nella
sua nuova qualità di Rettor Maggiore a cui “nonostante la mia indegnità, sono
stato condotto dalla Divina Provvidenza nel modo che è stato manifestato a tutti
voi”1. Detto questo, Don Rua comunica che, dopo l’udienza personale col Papa
Leone XIII, il Cardinale Vicario gli disse come ultime parole: “Le raccomando la
causa di Don Bosco; le raccomando la causa di Don Bosco”2. Successivamente
esprime la sua profonda convinzione che i Salesiani debbono essere degni figli di
un Padre così grande come fu Don Bosco, di modo che l’impegno principale
dev’essere quello di sostenere, e allo stesso tempo sviluppare ancor più, le opere
da lui iniziate, seguendo fedelmente i metodi praticati e insegnati da Don Bosco
stesso. Poi ringrazia per tutte le lettere ricevute, piene di sentimenti di rispetto e
di affetto, e riconosce che tutto ciò è di sollievo al suo dolore (si intende, per la
perdita di Don Bosco) e infonde nel suo cuore la fiducia di trovare meno scabroso
il suo cammino: “Ciò non ostante non posso nascondere né a me né a voi il grande
bisogno che ho delle vostre preghiere. Alla vostra carità pertanto mi raccomando,
affinché tutti mi sosteniate colle valide vostre orazioni. Dal canto mio vi assicuro
che tenendovi tutti nel mio cuore, ogni giorno nella S. Messa vi raccomanderò al
Signore, affinché vi assista colla sua santa grazia, vi difenda da ogni pericolo, e
soprattutto ci conceda di trovarci un giorno tutti insieme, nessuno escluso, a
cantare le sue lodi in Paradiso, dove ci attende siccome ce lo scrisse, il nostro
amatissimo Padre Don Bosco”3.
Don Paolo ALBERA scrive la sua prima lettera a Torino il 25 gennaio 1911. Il
Capitolo Generale XI era terminato il 31 agosto 1910. In questa lettera, con tutta
la sua semplicità, D. Albera comincia dicendo che è consapevole che con una
1 Lettere Circolari di Don Michele Rua ai Salesiani, Direzione Generale Opere Don Bosco, Torino,1965,p.25
2 Ibidem, p.26
3 Ibidem, p.27

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certa impazienza si aspettava la prima circolare del nuovo Rettor Maggiore e
riconosce che, appena concluso il Capitolo Generale, avrebbe dovuto informare
delle elezioni dei Superiori e di altre cose importanti4.
Con la semplicità che conosciamo in Don Albera, nella lettera manifesta che la
scrive in una data vicina all’anniversario della morte del Venerabile Don Bosco,
una data che Don Rua frequentemente sceglieva per scrivere qualcuna delle sue
‘ammirabili circolari’, ed è convinto che “da questa memorabile data più che da
altro ne verrà autorità ed efficacia alla povera e disadorna mia parola. Ecco
pertanto che io mi presento a voi non già col linguaggio di un superiore e di un
maestro, bensì colla semplicità e coll’affetto di un fratello e di un amico. È mio
intendimento palesarvi i miei pensieri col cuore alla mano e colla fiducia che la mia
voce troverà un’eco fedele in tutti i Salesiani e a tutti servirà di stimolo a mostrarci
sempre più degni figli del nostro Venerabile Fondatore e Padre”5. Detto questo, più
avanti, nella stessa lettera, col titolo: “… Sotto il peso della responsabilità”, Don
Albera scrive una bellissima pagina, dove esprime che si sente sotto un grande
peso, e che avrebbe voluto sottrarsi a “un incarico che io conosceva di gran lunga
superiore alle mie debolissime forze fisiche, intellettuali e morali”6.
Si vedeva attorniato – sono parole sue – da molti altri meglio preparati per
assumere il governo della nostra Pia Società, maggiormente forniti di virtù e di
sapienza… Appena poté corse a Valsalice a gettarsi ai piedi di Don Bosco,
lamentandosi perché avesse lasciato cadere nelle sue mani il timone della
navicella salesiana.. esponendogli, più col pianto che con le parole, le sue ansie, i
suoi timori, la sua debolezza7.
Don Filippo RINALDI (Beato) scrive la sua prima lettera che viene pubblicata
negli Atti del Capitolo Superiore, ‘Atti’ che già con Don Albera avevano fatto la
loro apparizione tre anni prima e di cui erano stati pubblicati 13 numeri. Nella
prima frase della lettera scrive:”È la prima volta che vi scrivo come Rettor
Maggiore, e mi sarebbe caro potervi manifestare in tutta la loro pienezza i
sentimenti e gli affetti che la nuova grande responsabilità ha suscitato nel mio
cuore in questi giorni memorandi. Ma è facile capire come ciò non sia possibile:
nella nostra vita succedono talora avvenimenti così inopinati e imponenti, che le
parole non riescono ad esprimere e colorire in modo adeguato ciò ch’essi destano in
noi. Lascio perciò alla vostra esperienza e bontà d’interpretarli, questi miei
sentimenti ed affetti”8.
Successivamente, Don Rinaldi scrive che, non potendo ringraziare uno per uno
ogni salesiano, neppure con una semplice parola, affida il proprio ringraziamento
a quelle poche righe che scrive per tutti, aggiungendo che il 24 del precedente
mese di aprile, accompagnato da Ispettori e Delegati del Capitolo Generale, e
attorniato da confratelli e da giovani dell’Oratorio, si era prostrato, commosso,
4 Lettere Circolari di Don Paolo Albera ai Salesiani, Direzione Generale Opere Don Bosco, Torino, 1965,p.6
5 Ibidem, p.8
6 Ibidem, p.13
7 Ibidem, p.13
8 Atti del Capitolo Superiore della Pia Società Salesiana, Anno III, n.14, 1922, p.4

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davanti alla sorridente immagine della nostra Ausiliatrice nel suo bel Santuario,
sentendo che tutti erano affidati al suo cuore, come figli amati9.
Don Pietro RICALDONE scrive la sua prima lettera, col suo saluto, il 24
giugno 1932, cominciando in questo modo: “Il mio primo saluto è una preghiera.
La nostra Società non è più nelle mani esperte e sante del B. Don Bosco, di Don
Rua, di Don Albera, di Don Rinaldi: aiutatemi ad ottenere dal Signore che, nelle
mani del vostro nuovo Rettor Maggiore, non abbia ad affievolirsi il fervore del suo
zelo e il ritmo della sua espansione”10.
Don Ricaldone chiede scusa per non aver potuto scrivere subito il suo
affettuoso e paterno saluto anche se il suo pensiero è corso immediatamente a
tutti loro, ma il Capitolo Generale e gli affari urgenti da trattare con gli Ispettori,
oltre al viaggio a Roma, glielo hanno impedito. Ringrazia per le adesioni così
cordiali ricevute ed accompagnate dalla promessa di averlo presente davanti a Dio
e di mantenersi fedeli all’osservanza delle Costituzioni e fortemente attaccati allo
spirito del Beato Don Bosco.
In data 24 agosto 1952, Don Renato ZIGGIOTTI scrive la sua prima lettera
dicendo di aver atteso che terminasse il Capitolo Generale XVII e che fossero
festeggiate le date del 15 e 16 agosto con le nuove professioni nel ricordo della
nascita del nostro amato Padre e Fondatore, “prima di inviarvi questa mia prima
lettera, che metto sotto la speciale protezione della nostra Madre Maria SS.
Ausiliatrice, nel giorno sacro alla sua commemorazione mensile”11.
Il Rettor Maggiore ringrazia, in seguito, per gli auguri che gli sono stati inviati
in occasione della sua nomina e assicura il suo ricordo nella preghiera per tutti e
ciascuno, particolarmente nel caso che a qualcuno, tra la grande quantità di
lettere ricevute, non fosse giunta la dovuta risposta.
Più avanti racconta ai confratelli come è stato il momento della sua elezione,
quel 1° agosto. “E fu circa le ore 13 di quel giorno che, completati i lunghi
preparativi necessari, il giuramento degli elettori e lo scrutinio solenne, toccò al
povero sottoscritto l’onore incomparabile per un Salesiano e insieme la gravissima
responsabilità di divenire quinto successore di San Giovanni Bosco. Non vi dico,
carissimi Confratelli, la mia confusione e la mia gioia insieme nel vedermi
applaudito, festeggiato, abbracciato con visibile commozione da tutti i Membri del
Capitolo Generale e in modo particolare da parecchi miei antichi amati Superiori e
compagni, dagli anziani e dai giovani, che vedevano chiuso il periodo di lutto e
iniziato il nuovo Rettorato”12.
Don Luigi RICCERI scrive le sue prime parole come Rettor Maggiore,
datandole in quello che egli chiama ‘glorioso anniversario’, il 16 agosto 1965,
dicendo: “Mi presento per la prima volta a voi in un giorno tanto caro al nostro
9 Ibidem, p.4-5
10 Atti del Capitolo Superiore della Società Salesiana, Anno XIII, n.58, 1932,p.2
11 Atti del Capitolo Superiore della Società Salesiana, Anno XXXII, n.169,1952,p.2
12 Ibidem,p.3

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cuore di figli. Ricorre oggi il 150° anniversario della nascita del nostro dolcissimo
Padre”13.
Racconta successivamente l’emozione sperimentata celebrando la Santa Messa
nella chiesa inferiore del Tempio del Colle, circondato dai Superiori, con Don
Ziggiotti, Don Antal, le Madri del Consiglio Generale delle Figlie di Maria
Ausiliatrice, confratelli, novizi, consorelle, cooperatori, ex-allievi, devoti e amici di
Don Bosco, una Messa trasmessa per milioni di persone in undici nazioni, per
mezzo della televisione, in ‘Eurovisione’. Il suo pensiero volava al contrasto con
quell’umilissimo e ignoto natale del nostro padre 150 anni prima. La sua mente
volava a pensare alla Provvidenza e ad intonare con il cuore il Magnificat.
Più avanti, sotto la titolazione di ‘motivi di fiducia’ afferma: “Certo, guardando a
Don Bosco, e anche ai suoi Successori, sento tutta la mia pochezza e quanto sia
inadeguato a mettermi nella loro scia”14. Don Riceri manifesta che un certo
conforto davanti a quel senso di pochezza gli è dato al pensare che è stato
chiamato a quel posto nella Congregazione, attraverso il voto espresso dai
Capitolari. E che il Signore, che batte strade diverse da quelle degli uomini, ha
disposto che fosse chiamato a governare la Congregazione. “Facciamo insieme la
sua volontà; a me non rimane che essere sempre più docile, per quanto modesto,
strumento nelle mani del buon Dio”15.
Altro motivo di conforto gli è l’affettuosa e sincera carità e la grande fiducia di
coloro che sono accanto al nuovo Rettor Maggiore per aiutarlo, confortarlo, ed
essere, da veri figli e fratelli, suoi cordiali e fattivi collaboratori.
Infine, manifesta il suo Cuore di Padre dicendo: “Da parte mia, aprendovi tutto
il mio cuore, desidero dirvi che mi sento a servizio di ciascuno di voi, col cuore di un
padre. L’autorità, ne sono profondamente convinto, oggi specialmente, non è un
esercizio di potere, ma esercizio di quella carità che diventa servizio, come quello
che un padre e una madre prestano ai loro figliuoli. (…) Vorrei, in una parola, far
sentire a ciascuno di voi tutto il mio vivissimo desiderio, la mia volontà, di essere e
mostrarmi sempre padre; per questo prego insistentemente Don Bosco e Don
Rinaldi, che mi diano qualcosa del loro cuore”16.
Nella solennità dell’Annunciazione, il 25 marzo 1978, Don Egidio VIGANÒ
scrive la sua prima lettera ai Confratelli, dicendo loro: “Vi saluto con gioia e
speranza e desidero condividere fraternamente con voi alcuni pensieri che ho nel
cuore. (…) La Provvidenza ha sconvolto alcuni mesi fa la mia esistenza con il fatto
della designazione a vostro Rettor Maggiore. Ormai sta divenendo un abito per me
la coscienza delle gravi responsabilità inerenti a questo “servizio di famiglia”, che
esige vera paternità spirituale in profonda sintonia con Don Bosco”17.
Don Viganò, in seguito, sottolinea la certezza che il Signore lo aiuta, tuttavia, a
percepire la bellezza e l’abbondanza di grazia di questo servizio e, in particolare ,
l’aiuto materno di Maria che accompagna tale ministero, con la gioia di poter
13 Atti del Capitolo Superiore della Società Salesiana, Anno XLVI,n.262,p.2
14 Ibidem, p.4
15 Ibidem, p.5
16 Ibidem, p.5
17 Atti del Consiglio Superiore della Società Salesiana, Anno LVII, 1978, n.289, p.3

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entrare in comunione con ciascuno dei confratelli e con ogni comunità, per
riflettere e crescere insieme nella gratitudine e nella fedeltà.
E, riferendosi a se stesso, esprime quanto segue: “Vorrei avere lo stile piano e
penetrante di Don Bosco e la immediatezza di comunione che possedevano gli altri
suoi successori, ma a difetto di piacevolezza e di semplicità, ci sia almeno sincerità
e sodezza”18.
Spettò a Don Juan Edmundo VECCHI, nella sua funzione di Vicario,
trasmettere il messaggio di speranza in memoria di Don E. Viganò, dopo la sua
morte accaduta il 23 giugno 1995. Dopo il sereno congedo dal settimo successore
di Don Bosco, egli guidò la Congregazione verso la celebrazione del CG24, cui
diede iniziò il 18 febbraio 1996 con la sessione di apertura e con la chiusura il 20
aprile, già come Rettor Maggiore.
Per questo è comprensibile che, avendo assunto il governo della Congregazione
previamente al Capitolo, la sua prima lettera, dell’8 settembre 1996, sulla
Esortazione Apostolica “Vita consacrata”, non abbia alcun riferimento all’inizio
del suo servizio come Rettor Maggiore. In questo senso vi è una differenza rispetto
a tutte le situazioni precedenti.
Infine, Don Pascual CHAVEZ, eletto Rettor Maggiore nel CG25, comincia la
sua prima lettera a tutti i confratelli dopo un periodo di tempo dalla chiusura del
Capitolo, che egli qualifica come forte esperienza spirituale salesiana. I documenti
capitolari sono già arrivati in quel momento alle Ispettorie e desidera – scrive –
mettersi “in contatto con voi attraverso questa mia prima lettera circolare. Scrivere
lettere è stata la forma apostolica adoperata da San Paolo, per superare la
distanza geografica e l’impossibilità di essere presente in mezzo alle sue comunità,
per dare accompagnamento alla loro vita. Con le dovute differenze, anche le lettere
del Rettor Maggiore intendono creare vicinanza con le Ispettorie attraverso la
comunicazione, condividendo quanto accade nella Congregazione ed illuminando la
vita e la prassi educativo-pastorale delle comunità”19.
La lettera è datata alla vigilia dell’Assunzione di Maria e a due giorni dalla
data che ricorda la nascita di Don Bosco. In essa Don Pascual desidera esprimere
il suo desiderio di essere vicino a tutti: “Non vi nascondo che mi piacerebbe tanto
esservi vicino e condividere i vostri lavori attuali e i vostri migliori sogni; in modo
particolare, sento nel profondo del cuore il desiderio di pregare per ognuno di voi. Il
Signore vi riempia del suo Dono per eccellenza, lo Spirito Santo, perché vi rinnovi e
vi santifichi ad immagine del nostro Fondatore”20.
Dopo aver espresso questo desiderio, Don Pascual manifesta la sua intenzione
di voler parlare alla Congregazione, in questa prima lettera, della santità, non
tanto come se si trattasse di un piccolo trattato, quanto piuttosto di presentarla
come dono di Dio e urgenza apostolica.
18 Ibidem, p.2
19 Atti del Consiglio Generale della Società Salesiana, Anno LXXXIII, n.379, p.3
20 Ibidem, p.4

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2. UN PRESENTE DA VIVERE NELLA FEDE, CON SPERANZA, CON
REALISMO, E CAMMINANDO INSIEME
Con totale sincerità posso dirvi, cari Confratelli, che mi sono commosso in
diversi momenti facendo questo percorso attraverso la Nostra Storia di
Congregazione. Questo percorso dopo quel 31 gennaio 1888, quando Don Bosco
ci lasciò, mi invita (credo che ci invita) ad un profondo Ringraziamento per tutto
quel che è stata la nostra storia. Una storia che sarebbe fatuo contemplare con
trionfalismo e che, invece, dobbiamo leggere con uno sguardo di Fede, che ci
parla di come il Signore ha voluto scrivere delle belle pagine a favore dei giovani
per mezzo di tanti confratelli che ci hanno preceduto.
Pensando alla mia povera persona, posso dirvi che vorrei per me stesso – per
servire meglio la Congregazione e la Famiglia Salesiana di cui facciamo parte –
tutti ed ognuno di quei tratti più particolari che hanno contraddistinto ognuno dei
Rettori Maggiori precedenti, nell’ambito del loro contesto teologico, sociale e di
sviluppo della Congregazione.
Non si può esprimere in poche linee il percorso che abbiamo fatto nella nostra
Congregazione. Occorrerebbe tutta una pubblicazione storica molto accurata; ma,
ad ogni modo, anche gli studiosi della storia della nostra Congregazione
ammetteranno che si può parlare di momenti così caratterizzati: di Fondazione, di
Consolidamento e Strutturazione (con una forte crescita ed espansione), di
Revisione Postconciliare e Definizione Teologica, di Proiezione Pastorale della
Missione, e la tappa della Identità Salesiana e Radicalità Evangelica della nostra
vita di Consacrati. Tutto questo, si intende, arricchito da tante sottolineature ed
opzioni, che sono fatte dai Capitoli Generali, e che posteriormente i diversi Rettori
Maggiori fanno proprie.
È bello e molto ricco il patrimonio ricevuto, e rende più grande la nostra
responsabilità davanti al Signore, davanti a Don Bosco e anche davanti a coloro
che in epoche precedenti hanno dato il meglio di se stessi.
Vi chiederete come mi situo davanti a questa realtà e quale programma di
animazione e governo si intravede. Ebbene, personalmente posso condividere con
voi quel che ho detto il 25 marzo. Sento che sto vivendo così:
▪ Dal punto di vista della Fede, mi abbandono al Signore.
Perché so di non essere solo, giacché veramente si sperimenta un vissuto
di quella ‘forza interiore’ che viene dallo Spirito (“Ti basta la mia grazia”),
che è presenza della Madre (“Figlio, ecco tua madre”…). E non sono solo
perché si sperimenta quella comunione fraterna e di aiuto da parte dei
Confratelli Salesiani (di voi che mi siete accanto nel quotidiano, e di voi che
siete in tante parti del mondo come altrettanti ‘Don Bosco oggi’ per i giovani
che vi attendono). E non sono solo perché si sperimenta anche il calore
affettivo e le attenzioni che ricevo nella nostra Famiglia Salesiana.

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▪ E vivo portando i giovani nel cuore. Lo sento molto vivamente, e in
modo speciale i più poveri, i più bisognosi, gli ultimi.
Quanto al Programma di Animazione e Governo del sessennio, esso viene
splendidamente definito dal CG27, e non dubito che tutto quel che possiamo
volere è contenuto in eso, in un modo o nell’altro.
Sarà programma del sessennio:
▪ Continuare a curare la nostra Identità Carismatica in piena fedeltà a
Don Bosco, una identità nuova nelle forme e nelle espressioni a 200 anni
dalla sua nascita, ma identica nella purezza ed essenzialità del suo
carisma, che noi abbiamo ricevuto in eredità.
▪ Garantire in tutte le parti della nostra Congregazione la nostra condizione
di Consacrati, come uomini che scegliamo veramente di stare nella Trama
di Dio, essendo mistici nella nostra quotidianità.
▪ Curare la realtà umana, affettiva e vocazionale di ogni confratello e delle
nostre Comunità. Vogliamo sognare davvero la Utopia di una Fraternità
irresistibile dal Vangelo.
▪ Testimoniare in modo più eloquente ed evidente la nostra sobrietà e
austerità di Vita, la nostra Povertà che è Lavoro e Temperanza.
▪ Vivere, fino alle ultime conseguenze che si presentano, la opzione per i
giovani più poveri. Con umiltà, senza alcun trionfalismo, ma come ai
tempi di Don Bosco ci si deve riconoscere principalmente per queste opzioni,
decisioni e azioni.
▪ E tutto questo non lo facciamo da soli. Formiamo parte di una grande
Famiglia Salesiana che deve, essa pure, crescere in identità e
appartenenza, e disponiamo della grande forza di un laicato ben
formato e impegnato nella Missione Condivisa. Traduco in una
espressione personale quel che ha espresso il CG24 diciotto anni fa:
Arrivato questo momento, la missione condivisa con i laici non è più
opzionale, è un’esigenza carismatica.
3. APPARTENENDO DI PIU’ A DIO
Devo confessarvi, cari Confratelli, che espressioni come Primato di Dio, Mistici
nello Spirito, Trama di Dio, Vicinanza di Dio, Unione con Dio, Cercatori di Dio…
sono espressioni che mi toccano profondamente nel cuore, dicendomi che qui c’è
qualcosa di importante, che questa è la chiave, che tutto il resto nel quale
spendiamo tante energie ‘ci è dato in aggiunta’, o ‘cade come frutto maturo’, vale
a dire è una conseguenza, è garantito.
Allo stesso tempo vi confesso con grande sincerità un timore che ho
sperimentato in egual modo nei miei anni di servizio come Ispettore: sento che
parlando di questo possono esserci dei confratelli che semplicemente prendono le
distanze, che qualificano questo, già ‘a priori’, come teologia sorpassata, come
paradigma che ‘non va più’, ‘è ormai fuori uso’.. Eppure si trovano queste stesse

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espressioni nei più diversi luoghi, in scritti teologici e in riviste di attualità in cui
si sente il polso della vita religiosa.
Nel nostro CG27, raccogliendo l’esperienza di tutta la Congregazione, la
diagnosi era tra noi coincidente e con altri sguardi.
Credo veramente, Confratelli, che la vita spirituale dev’essere al primo posto21,
una vita spirituale che è prima di tutto ricerca di Dio nel quotidiano, in mezzo a
quel che facciamo, alle nostre occupazioni. E dico questo perché per noi, come lo
fu per Don Bosco nella ricerca del meglio per i suoi giovani, la loro salvezza, e per
tutta la vita religiosa di oggi, l’elemento fondamentale di essa è stato, continua ad
essere e sarà, la persona del Signore Gesù e il suo messaggio. In definitiva, I
centralità di Gesù Cristo nella nostra vita. Può anche darsi che ciò non sia stato
mai messo in dubbio, ma non è lo stesso farlo vita e criterio della propria vita.
La nostra vita religiosa – perché, non dobbiamo dimenticarci che la nostra vita
non è solo vita salesiana, ma vita religiosa come consacrati Salesiani – non trova
la sua ragione d’essere in quel che facciamo, neppure nei modi di organizzarci, né
nell’efficienza dei nostri programmi e pianificazioni. O la nostra vita religiosa
come consacrati ci fa diventare segno (comunità di uomini credenti al servizio del
Regno), oppure corriamo il pericolo di preoccuparci più della nostra forza (caso
mai l’avessimo) che del messaggio di Dio.
Il pericolo insito in ogni vita religiosa è quello di perdere la freschezza
carismatica. È possibile che ci coinvolgano tanto i lavori, le attività, i compiti
(pastorali o meno) ... e possiamo perdere il valore simbolico della nostra vita. Per
esempio, quando sento, come mi è capitato recentemente, che in un determinato
paese, con grande presenza di opere salesiane, abbiamo un grande
riconoscimento per le nostre opere sociali, e invece è poco stimata la nostra
condizione di salesiani come persone credenti di vita consacrata, debbo
confessarvi che mi preoccupo e mi chiedo: cos’è che non facciamo bene? che cos’è
che non riusciamo a testimoniare?
Per questo… quando ci domandiamo che cos’è l’essenziale nella nostra vita, il
cammino è quello del ritorno all’incontro con Colui che dà significato ad ogni
istante, chiedendoci il perché, per che cosa e per chi facciamo le cose, in base a
quale criterio facciamo le nostre scelte e viviamo come viviamo.
Per tutto questo possiamo dire che il nucleo della nostra identità e la ragion
d’essere della nostra vita religiosa è, in definitiva, l’esperienza di Dio. E la
domanda sulla qualità di vita nella vita religiosa diventa, in definitiva, la
domanda circa la qualità di questa esperienza di fede22. Ed è in questo quadro e
21 CG27, Introduzione, p.21, in Giovanni Paolo II, ‘Vita consacrata’,n.93: “La vita spirituale deve essere al primo posto
… Da questa opzione prioritaria, sviluppata nell’impegno personale e comunitario, dipendono la fecondità apostolica, la
generosità nell’amore per i poveri, la stessa attrattiva vocazionale sulle nuove generazioni”.
22 La citazione testuale è come segue: “Il nucleo dell’identità e la ragione d’essere della vita religiosa e di ogni vita
cristiana è l’esperienza di Dio. Si può parlare di esperienza di Dio, di fede radicale, di priorità assoluta del Regno di Dio
e della sua giustizia, di vivere la vita in chiave escatologica… Poco importano i nomi. L’importante è tenere ben
presente che tale esperienza nucleare è ciò che dà un significato a tutto in questo genere di vita, è quel che dà qualità di
vita ai suoi membri e fa sì che si tratti veramente di vocazione e non di una semplice professione. La domanda circa la
qualità di vita nella vita religiosa è la domanda circa la qualità di questa esperienza di fede” (in traduzione nostra da:
FERNANDO PRADO (ed.), Adonde el Senhor nos lleve, P.Claretiane, Madrid, 2004, 31).

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in questo contesto che il nostro Capitolo, al numero 32, sottolinea che così come
per Don Bosco, anche per noi il primato di Dio è il punto di appoggio che dà
ragione della nostra presenza nella Chiesa e nel mondo. Tale primato dà
significato alla nostra vita consacrata, evita il rischio di lasciarci assorbire
dall’attività, dimenticando di essere essenzialmente ‘cercatori di Dio’e testimoni
del suo amore in mezzo ai giovani e ai più poveri.
Pertanto, ancora una volta dobbiamo aiutarci, mutuamente, a credere
veramente che è questa l’esperienza base della nostra vita, quella di Dio in noi o,
detto in altro modo teologico, vivendo tutta la nostra esistenza ‘in Dio’. Cari
Confratelli, qualsiasi siano le parole con cui vogliamo esprimerlo, ma… la radice
della nostra vita salesiana, come di tutta la vita consacrata, è mistica, perché se
quel che ci sostiene, che ci muove, non è un’esperienza reale e nutritiva del
Signore, tutto il resto non ci porterà molto lontano. E ogni giorno le stanchezze, le
personalità a pezzi, i vuoti esistenziali – anche se credevamo di stare vivendo
tutto per Dio – ecc., che così frequentemente vediamo in confratelli nostri,
costituiscono una prova dolorosa ma irrefutabile, che è proprio così.
Voglia il Signore concederci il Dono di essere veramente più ‘cercatori di Lui’,
dando pienezza di senso al nostro Essere, anzitutto, e al nostro vivere e fare, poi.
4. FACCIAMO REALTÀ LA ‘UTOPIA’ DELLA FRATERNITÀ SECONDO IL
VANGELO
‘Casa’ e ‘famiglia’ – leggiamo al numero 48 del nostro CG27 – sono due parole
frequentemente usate da Don Bosco per descrivere lo ‘spirito di Valdocco’ che deve
risplendere nelle nostre comunità.
L’assemblea capitolare ha fatto una lettura aperta alla speranza ma anche
realistica (con le sue luci e ombre) della nostra vita comunitaria, dimensione della
nostra vita che, pur potendo avere la maggior forza profetica, è sicuramente quella
che ha la ‘salute più fragile’ nella mappa della nostra Congregazione.
Si dice, nel documento capitolare, che dal CG25 in avanti sta crescendo
l’impegno per vivere in forma più autentica la nostra vita comunitaria (n. 8) anche
se si constatano, dietro il ‘rispetto’ e la ‘tolleranza’, indifferenze e mancanza di
cura nei confronti del confratello (n. 9). La comodità e l’attivismo portano a
ritenere il tempo che si dedica alla comunità come un tempo ‘rubato’ sia
all’ambito della ‘sfera privata’ o alla missione (n. 9). Se rispondiamo con difficoltà
alla chiamata di Dio in modo radicale, ciò si deve, in parte, ad una debole
convinzione… nel realizzare la comunione nella comunità (n. 36).
Allo stesso tempo, e con uno sguardo positivo e speranzoso, riconosciamo che
la vita di comunità è uno dei modi di fare esperienza di Dio. Vivere la “mistica della
fraternità” è un elemento essenziale della nostra consacrazione apostolica (n. 40).
E vivere la spiritualità della comunione… e costruire la comunità, suppone di
passare dalla vita in comune alla comunione di vita (n. 45).

2 Pages 11-20

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2.1 Page 11

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Queste e altre constatazioni troviamo nella riflessione capitolare che, senza
dubbio, stiamo leggendo e meditando. Non mi trattengo più a lungo su questo
punto. Non è necessario raccogliere altre citazioni per mostrare tutto un mosaico
di luci e di ombre. La domanda, alla luce del nostro CG27, è: che cosa dobbiamo
curare, che cosa dobbiamo cambiare, che cosa dobbiamo continuare a fare e che
cosa no, affinché realmente la nostra vita comunitaria abbia tutta la forza di
attrazione che ha la Fraternità vissuta secondo il Vangelo, fino al punto di essere
‘irresistibile’ nella sua attrazione?
Certamente la vita comunitaria ha, come ha scritto un autore, “tutto l’incanto
di ciò che è difficile e di quel che è possibile, della grazia e della debolezza.
Solamente con la grazia di Dio si rimane in comunità e si approfondisce questa
esperienza… Ed è una penitenza ed un’ascesi che purifica ed esercita nella
collaborazione, nella partecipazione e nella comunione. Ma è anche, e soprattutto,
un incanto. Si sta in comunità per essere felici e sono molti quelli che ci riescono
(…) e se vogliamo parlare dell’incanto della vita comunitaria bisogna dire una
parola sulle distanze corte dell’amore fraterno. Ciò suppone presenza, affetto
reciproco e correzione fraterna, l’interessarsi gli uni per gli altri, l’aiutarsi
mutuamente; in definitiva, l’amore fraterno in tutto il suo dispiegamento. Il cuore
chiede ed esige. La vita comunitaria del futuro sarà fraterna o non sarà del tutto23.
È questo uno degli ingredienti che più cercano i candidati di oggi, e non sempre
quel che incontrano maggiormente”24.
Questa dimensione della vita religiosa è oggi indubbiamente una grande forza
testimoniale. Come in gran parte dei nostri contesti sociali, esistono, a fianco di
realtà positive, una crescente incomunicabilità, isolamento, un individualismo
che va aumentando e una solitudine che, in molte culture, è la grande malattia
del nostro tempo, così come la sua sorella gemella, la depressione. La
testimonianza delle comunità religiose, anche delle nostre, dovrebbe costituire un
vero annuncio evangelico, una buona notizia, autentica provocazione o
interpellanza.
Per questo, vi confesso che una delle mie maggiori inquietudini è quella di
pensare, vedere, immaginare, comunicarci in che modo possiamo camminare
nella direzione adeguata, di fronte a questa realtà debole di non poche presenze
nostre. Confratelli, tante volte la nostra comunione di vita viene sacrificata da
altre cose! Mi chiedo, per esempio, perché noi, che dovremmo essere degli esperti
in umanesimo, soprattutto per la nostra condizione di educatori dei giovani,
abbiamo a fianco nelle nostre comunità, a volte nel refettorio o in stanze contigue,
dei confratelli che sono feriti nel loro cuore, lacerati dalla solitudine e dalla
disillusione, fratelli che hanno voluto essere felici come salesiani e non lo sono. È
vero che questa non è tutta la realtà della nostra Congregazione, anzi al
contrario, però è anche una realtà presente e dovrebbe bastarci un solo caso, un
23 Questa frase in corsivo è una opzione personale mia, data la importanza che le attribuisco. L’autore non l’ha
evidenziata in modo particolare.
24 J. M. ARNAIZ, ! Que ardan nuestros corazones. Devolver el encanto a la vida consagrada!, Publicaciones
Claretianas, Madrid, 2007, 95

2.2 Page 12

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solo confratello ferito perché sanguinasse il cuore un po’ a tutti. Nel nostro caso
credo che si potrebbe qualificare come peccato, se a parole o coi fatti o con i
silenzi, rispondessimo come Caino di fronte alla domanda del Signore “Dov’è tuo
fratello?” Non lo so – rispose – Sono forse io il custode di mio fratello?” (Gn 4,9).
Sì, lo siamo! Non custodi, ma curatori di lui.
La nostra grande sfida, cari Confratelli, per ogni Ispettore, Consiglio, Direttore
e ognuno dei nostri Confratelli in ognuna delle comunità del mondo salesiano è
questa: Fare della nostra Comunità un vero spazio di vita di comunione. Come
passare da una vita in comune con momenti stabiliti, regolamenti, pianificazioni –
che certamente ci possono essere di aiuto – a una vita di comunione? Senza
dubbio ciò supporrà conversione personale e pertanto comunitaria, occorrerà un
impegno affettivo ed effettivo per portare avanti questo intento; si tratta di un
processo che richiede da noi di ammettere che ognuna delle tappe della nostra
vita è un’opportunità per crescere, per aprirsi alla novità di un incontro più
autentico con i Confratelli con la forza che dà Dio, per rendere più visibile la sua
presenza tra noi.
5. CON I GIOVANI, PER I GIOVANI “NOSTRI PADRONI”
L’espressione non è mia, è di Don Bosco, molto frequente in lui: “I giovani sono
i nostri padroni”25; e nei loro confronti egli mantenne sempre un atteggiamento di
autentico servitore.
È affascinante, cari Confratelli, tutto quello che abbiamo come scritti nel
patrimonio della nostra Congregazione, da Don Bosco stesso fino ad oggi, in
rapporto alla nostra priorità: i giovani e specialmente i più poveri. Ciò si deve al
fatto che l’abbiamo veramente nel nostro cuore, nel nostro DNA, come ho detto
più volte. E si deve anche al fatto che, a volte, dobbiamo ricordarcelo affinché sia
più evidente questa nostra predilezione, ricordarcelo e ricordarlo ad altri per non
dimenticarlo.
Don Bosco, ci ricorda lo stesso CGS XX, diede una consegna molto speciale tra
i ricordi ai primi missionari, che conserva la sua piena attualità per tutti noi:
Fate che il mondo conosca che siete poveri negli abiti, nel vitto, nelle abitazioni e
voi sarete ricchi davanti a Dio e diverrete padroni del cuore degli uomini26
Se è stato così lungo tutta la nostra storia di Congregazione, alla luce del
CG27, cari Confratelli, e con una decisa opzione per essere servitori dei giovani,
tale opzione per i giovani, e specialmente per i più poveri, diventa, deve diventare
in modo imperativo, lo sforzo massimo e il tratto distintivo della Congregazione in
questo sessennio, con un profondo senso di Dio ed essere vera profezia di
fraternità, in cui la nostra opzione per i più bisognosi sia così evidente da non
esserci bisogno di parole per spiegarlo. “Il mondo ci riceverà sempre con piacere
fino a tanto che le nostre sollecitudini saranno dirette ai fanciulli più poveri, più
25 Capitolo Generale Speciale Salesiano, Roma, 1971, Atti, n.351
26 Ibidem, n.597, citando MB XI, 389-390

2.3 Page 13

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pericolanti della società. Questa è per noi la vera agiatezza che nessuno verrà a
rapirci”27.
L’opzione per i poveri sarà in questo modo la versione più evangelica del nostro
voto di povertà, e ci aiuterà, sicuramente, a superare l’inclinazione così naturale
che abbiamo noi umani, persone e istituzioni, ad associarci col potere e i potenti,
ad avere e possedere in eccesso, inclinazione totalmente contraria al Vangelo e
alla prassi di Gesù.
Confratelli, quando il nostro recente Capitolo Generale afferma che vogliamo
essere una Congregazione di poveri e per i poveri, perché come Don Bosco
crediamo che questo dev’essere il nostro modo di vivere con radicalità il Vangelo e
la maniera di essere più disponibili alle esigenze dei giovani, non sta pensando
solamente che sia un suggerimento per i salesiani più sensibili o un po’ più
generosi, ma lo prospetta come un operare nella nostra vita un autentico
esodo28. Dev’essere qualcosa di essenziale per il nostro essere Salesiani di
Don Bosco, e quel che deve stare a cuore ad ogni salesiano. L’eccezione dovrà
essere quella dei confratelli che non si sentono capaci – perché qualcosa non va
bene nella loro vita – ed allora potranno fare assegnamento sulla nostra fraternità
e il nostro aiuto, ma non dovrebbe trattarsi mai di una opzione per la tiepidezza,
per la mediocrità nella dedizione, il defilarsi dall’opzione per i più poveri, e meno
ancora dovrebbe darsi il caso di un ragazzo, una ragazza, un adolescente o un
giovane che debba lasciare la casa di Don Bosco perché non dispone di risorse
economiche per pagare questo o quello.
Ci sarà forse qualcuno che penserà che si tratta di qualcosa di bello ma
irrealizzabile, qualcuno che dirà che dobbiamo sostenere scuole, spese, ed io dico
loro che con la generosità, con la chiarezza della opzione, con la ricerca di aiuti,
con risorse per borse di studio, con la capacità che certamente abbiamo di
generare solidarietà quando si tratta di aiutare coloro che hanno di meno,
potremo fare realtà che una casa salesiana non sia mai inaccessibile per coloro
che hanno di meno (che si tratti di una scuola, un oratorio, una casa famiglia, un
centro giovanile..). Vorrei ricordare quanto già ho detto nelle parole conclusive del
Capitolo Generale: Sono i giovani, specialmente i più poveri, quelli che ci
salveranno. Essi sono un dono per noi, salesiani, sono veramente “il nostro
roveto ardente” davanti al quale toglierci i sandali29. È questa la chiave della
nostra paternità come educatori, datori di vita, fino a dare la nostra vita,
consegnarla per gli ultimi poiché, rispondendo alla chiamata del Signore,
abbiamo deciso di donarla. Se siamo stati capaci del più (il ‘sì’ per tutta la vita)
non è per restare nel meno, nel non essere alternativa per nessuno, segno di
nulla.
Sono convinto – senza conoscere ancora tutta la Congregazione – che è molta
la dedizione e la generosità che esiste, ma ciò che è ben centrato in Dio e negli
ultimi non può tranquillizzarci e compensare le realtà esistenti in cui non stiamo
rispondendo a quel che Don Bosco farebbe oggi. È in questo senso che incoraggio
27 Ibidem, n.597, citando MB XVII, 272
28 Cfr. CG25,n.55. Il neretto è opzione mia.
29 CG27, n.52, citando Es 3,2 e “Evangelii Gaudium”,n.169

2.4 Page 14

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tutti i confratelli a metterci in un vero atteggiamento di conversione a Dio, ai
fratelli e ai giovani, come ci chiede il CG27.
Siamo per i giovani dei veri padri e fratelli, come lo fu Don Bosco e come ci ha
ricordato, a suo tempo, Giovanni Paolo II, quando ci disse, nel CG23: “Al centro
delle vostre attenzioni ci siano, dunque, sempre i giovani, speranza della Chiesa e
del mondo, verso i quali tutti guardano con fiducia e trepidazione. Nelle nazioni più
ricche, come nei paesi più poveri, siate sempre al loro servizio; specialmente siate
attenti a coloro che sono più deboli ed emarginati. Recate ad ognuno di essi la
speranza del Vangelo, perché li aiuti ad affrontare con coraggio la vita, resistendo
alle tentazioni dell’egoismo e dello scoraggiamento. Siate per loro padri e fratelli,
come Don Bosco vi ha insegnato”30.
6. CONGREGAZIONE MISSIONARIA: QUANDO LA DIVERSITÀ È RICCHEZZA
Sotto questo titolo o epigrafe voglio dire qualcosa di semplice e chiaro: La
dimensione missionaria fa parte della nostra IDENTITÀ e la diversità culturale, la
multiculturalità e la interculturalità sono una ricchezza verso cui camminare in
questo sessennio.
Secondo la ‘Evangelii Gaudium’31 l’annuncio del Vangelo è missione di tutto il
popolo di Dio ed è annuncio per tutti, dove “non c’è Giudeo né Greco… perché
tutti voi siete uno in Cristo Gesù” (Gal 3,28). Implica l’essere fermento di Dio in
mezzo all’umanità, una umanità e un Popolo di Dio con molti volti, con molti
sviluppi storici e culture diverse, dove tutti siamo dei discepoli missionari.
Il Papa fa una chiamata all’Evangelizzazione di tutti i popoli e noi dirigiamo il
nostro sguardo, sempre per riconoscerci nella nostra identità, verso il carattere
missionario della nostra Congregazione. Don Bosco volle che la Società Salesiana
fosse decisamente missionaria. Nel 1875, tra il piccolo gruppo dei primi salesiani,
ne scelse dieci perché andassero in America; prima della sua morte aveva già
inviato 10 spedizioni missionarie e 153 si trovavano in America al momento della
sua morte, quasi il 20% dei salesiani del momento, secondo il catalogo della
Congregazione del 1888.
Questa identità missionaria, conservata e curata col passar degli anni, portò il
Capitolo Generale Speciale a fare una chiamata speciale che io vorrei rinnovare
oggi, alle porte del Bicentenario della nascita di Don Bosco e come omaggio
vivente a lui: “Il Capitolo Generale Speciale lancia un appello a tutte le Ispettorie,
anche a quelle più povere di personale, perché, obbedendo all’invito del Concilio e
sull’audace esempio del nostro Fondatore, contribuiscano, con personale proprio, in
forma definitiva o temporanea, all’annuncio del Regno di Dio”32.
Credo sinceramente, cari Confratelli, che questa chiamata abbia oggi piena
attualità nella realtà della nostra Congregazione. Quando parlo di omaggio a Don
30 GIOVANNI PAOLO II, Discorso ai Capitolari, in CG23, n.331.
31 Cf. Evangelii Gaudium, n.111, 115 e 120
32 CGS, n.477

2.5 Page 15

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Bosco nella celebrazione del Bicentenario della sua nascita, non lo dico in un
contesto celebrativo vuoto o per fare statistiche, ma perché credo veramente – ed
è stata la sensibilità del CG27 – che una grande ricchezza della nostra
Congregazione sia proprio la sua capacità missionaria, la possibilità di essere lì
dove si ha più bisogno di noi nell’Evangelizzazione, anche se tutte le forze sono
molto valide in qualsiasi posto ci troviamo. In questo senso approfitto di questa
occasione per invitare tutti i salesiani SDB – e di cuore estendo il mio invito a
tutta la Famiglia Salesiana – affinché, al momento opportuno, la ‘Evangelii
Gaudium’ sia letta, meditata e condivisa. Certamente ci farà molto bene; in molti
posti non è ancora conosciuta.
6.1 Perché ci sono campi di missione dove siamo molto necessari in questo
momento …
In questo senso, e non solo per l’anno 2015 ma per tutto il sessennio, vogliamo
che si traduca in realtà l’aiuto reale in alcune aree di missione che presentano
una maggiore fragilità in questo momento, per esempio, tra le altre:
- Il lavoro missionario in Amazzonia, specialmente a Manaus, Campo
Grande, e Venezuela…
- Il lavoro missionario nel Chaco Paraguayo.
- Il lavoro missionario in alcune regioni della Pampa e della Patagonia
Argentina.
- La presenza missionaria presso comunità di immigranti negli Stati Uniti.
- La presenza missionaria in Medio Oriente, tremendamente castigata per di
più da diversi conflitti bellici, come ben sappiamo.
- La presenza missionaria tra i mussulmani, dal Nord Africa fino ai paesi del
Golfo Arabico o il Pakistan…
- La nuova presenza missionaria che richiede il Progetto Europa e che ha
molto a vedere con gli ultimi, attratti dalle diverse migrazioni.
- Rinforzare le giovani presenze missionarie di prima Evangelizzazione in Asia
e Oceania: Mongolia, Cambogia, Bangladesh, Laos…
6.2. … E perché la diversità è ricchezza
In più di una occasione, nella mia vita salesiana, ho sentito dire da chi aveva
più vocazioni che essi, nel proprio paese o Ispettoria non avevano bisogno di
aiuti, poiché avevano un numero sufficiente vocazioni. Ma proprio per questo, e
perché la differenza, la diversità, la multiculturalità e interculturalità è una
ricchezza, diventa ogni volta più necessario tale aiuto, anche per garantire
l’identità del carisma salesiano, che non sia monocolore, per favorire
l’interscambio di confratelli tra le Ispettorie per alcuni anni, offrire
temporaneamente confratelli alle Ispettorie più bisognose, oltre a quelli che si
offrono come missionari ‘ad gentes’ in risposta a questa chiamata e ad altre che
verranno; e in tal modo anche preparare i confratelli, in tutte le parti del mondo,
con uno sguardo più globale e universale. Noi Salesiani di Don Bosco, anche se

2.6 Page 16

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abbiamo una organizzazione giuridica che si concretizza nelle Ispettorie, non
facciamo professione religiosa per un luogo, una terra o una appartenenza. Siamo
Salesiani di Don Bosco nella Congregazione e per la Missione, là dove più ci sia
bisogno di noi e dove sia possibile il nostro servizio.
Sono consapevole che questo messaggio può risultare sorprendente, ma
dobbiamo essere arditi nel sognare, cari Confratelli, e non aver paura della
novità, per quanto esigente sia, se è buona in se stessa. Una concretizzazione
semplice ma immediata di questo che dico è, per esempio, la necessità di
preparare i giovani salesiani nell’apprendimento delle lingue; quante più lingue,
tanto meglio. È passato il tempo, che io stesso ho vissuto, in cui imparare una
lingua estera era qualcosa di superfluo e quando andare nel paese vicino, anche
se la frontiera distava solo cinquanta chilometri, era ‘andare all’estero’ e riusciva
molto difficile ottenere i permessi all’interno della Congregazione. Dobbiamo
preparare le nostre nuove generazioni, pertanto, nell’apprendimento degli idiomi
e, tra essi, l’apprendimento della lingua italiana perché non avvenga, col tempo,
che l’accesso alle fonti e agli scritti originali del nostro Fondatore e della
Congregazione siano qualcosa di proibitivo, data l’ignoranza.
Così pure desidero sottolineare che non dobbiamo avere paura e fare
resistenza al fatto che i nostri giovani confratelli studino fuori della propria
Ispettoria. Non si ama meno la propria terra, le proprie radici e le proprie origini
per il fatto di non studiare nello stesso luogo. Non è vero, e non vi è nessun
pericolo di perdere il senso della realtà. Al contrario, si allarga molto lo sguardo e
la capacità di capire la diversità e la differenza, qualcosa di essenziale nel nostro
mondo di oggi e di domani.
7. CELEBRAND IL BICENTENARI DELLA NASCITA DI DON BOSCO
Quando starete leggendo questa mia lettera, avremo già inaugurato l’anno del
Bicentenario della nascita di Don Bosco: il 15 agosto in Castelnuovo Don Bosco e
il 16 agosto al Colle Don Bosco. Sotto la guida del nostro Rettor Maggiore
Emerito, D. Pascual Chávez, abbiamo avuto un intenso triennio di preparazione
in tutta la Congregazione, approfondendo la realtà storica, la pedagogia e la
spiritualità del nostro Fondatore.
Mi pare opportuno dire che l’anno di celebrazione che abbiamo iniziato ha un
doppio volto. Uno esterno, più pubblico e ufficiale, e uno interiore, più intimo.
Duecento anni dalla nascita di Don Bosco, suscitato dallo Spirito Santo con
l’intervento di Maria (cfr. Cost 1), è un tempo sufficiente per vedere e
comprendere quel che abbiamo ereditato. In primo luogo, la vita di un uomo di
Dio, un Santo che con cuore di padre visse quel che aveva promesso: “Ho
promesso a Dio che fin l’ultimo mio respiro sarebbe stato per i miei poveri
giovani”33. E abbiamo ereditato la responsabilità di vivere, e di far diventare realtà,
33 Cost. 1, cfr. MO, 16

2.7 Page 17

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l’autenticità di un carisma che è nato non da un progetto umano, ma
dall’iniziativa di Dio per contribuire alla salvezza della gioventù (cfr. Cost 1).
Celebrare nella società, nelle città, col popolo di Dio, il Bicentenario della
nascita di Don Bosco ci permette di riconoscere che cosa significa per noi avere
come Padre Don Bosco.
▪ È una opportunità per sentirci grati al Signore perché, duecento anni dopo
la nascita di Don Bosco, ci troviamo qui, come dono di Dio per i giovani.
Opportunità per riconoscere Dio presente nella nostra storia, poiché
constatiamo che Lui (il Dio della Vita), ci ha sempre preceduti.
▪ È un impegnarci di più con forza del Vangelo che deve giungere in modo
speciale ai giovani, e tra loro agli umili, a quelli che, senza aver fatto nulla
perché ciò avvenga, sono stati esclusi dalla festa della vita.
▪ È un momento opportuno per raccontare nuovamente l’attualità di un
carisma che si colloca al centro dei problemi del mondo d’oggi, in modo
speciale del mondo dei giovani. Perché Don Bosco continua ad avere oggi
parole e proposte per i giovani del mondo, giacché, anche se sono cambiate
le situazioni ed i contesti, tuttavia il cuore dei giovani, di ciascun giovane,
continua ad avere gli stessi palpiti di entusiasmo e di apertura alla Vita.
▪ Il carisma salesiano è stato ed è il regalo che il nostro Dio fa al mondo,
avendo scelto Don Bosco per esso. Perciò insistiamo tanto, con convinzione,
sul fatto che Don Bosco è un bene della Chiesa e di tutta l’Umanità34. Egli si
è formato nel tempo, dai primi momenti dell’esistenza sulle braccia di
Mamma Margherita, fino all’amicizia con buoni maestri di vita e,
soprattutto, nella vita quotidiana con i giovani che, plasmando nel
quotidiano il suo cuore, lo hanno aiutato ad essere più di Dio, più degli
uomini e più per i giovani stessi.
Celebrare il Bicentenario nell’interiorità della nostra Congregazione e della
nostra Famiglia Salesiana, significa vivere quel che San Paolo raccomanda a
Timoteo chiedendogli che ‘ravvivi il Dono che ha ricevuto’. Per questo, ogni volta
che un salesiano, un membro della nostra Famiglia Salesiana, vive in pienezza la
propria vocazione, è a sua volta un dono di Dio al mondo.
Celebrare il Bicentenario nell’intimità del focolare (come devono essere tutte e
ognuna delle nostre comunità) vuol dire lasciarci interpellare nel nostro essere e
nel nostro vivere, fino a poterci dire, con sguardo limpido e trasparente, che “la
santità dei figli sia prova della santità del Padre”35.
34 Come dice Papa Francesco nella ‘Evangelii Gaudium’, n. 130:”Lo Spirito Santo arricchisce tutta la Chiesa che
evangelizza abche con diversi carismi. Essi sono doni per rinnovare ed edificare la Chiesa. Non sono un patrimonio
chiuso, consegnato ad un gruppo perché lo custodisca; (…). Un chiaro segno dell’autenticità di un carisma è la sua
ecclesialità, la sua capacità di integrarsi armonicamente nella vita del Popolo santo di Dio per il bene di tutti”.
35 Consiglio dato da un pio e benevolo cooperatore e che Don Rua cita e mette come parola d’ordine nella lettera dell’8
febbraio 1888, a otto giorni dalla morte di Don Bosco, nella lettera diretta ai direttori delle case salesiane comunicando i
suffragi per Don Bosco. Cfr. Lettere circolari di Don Michele Rua ai salesiani, Direz. Generale Opere Don Bosco,
Torino, 1965, p.14.

2.8 Page 18

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Questa celebrazione significa anche rievocare duecento anni di storia di
uomini e donne che hanno dato la vita per questo ideale, tante volte in modo
eroico, in condizioni difficili, a volte anche estreme. Questo è un tesoro
inestimabile che solo Dio può apprezzare nella giusta misura e a Lui lo affidiamo.
Noi siamo tra quelli che credono che quel 1815, con la chiamata alla vita di
Giovannino Bosco e la sua elezione da parte del Signore, è stato solo l’inizio di
una lunga catena di testimoni e che anche noi, come Don Bosco, vogliamo
impegnarci ad aiutare a scrivere il futuro della vita, e vita di credenti, dei giovani
e tra di loro i più bisognosi, con i colori della speranza.
Infine, e brevemente per non dilungarmi di più, desidero sottolineare la
singolarità che ha il carisma salesiano in quella nostra peculiarità nota come
Sistema Preventivo, che è molto più di un metodo educativo. È una vera e ricca
forma di spiritualità, un modo straordinario di concepire il senso della vita
nell’ottica di Dio, essendo così un grande dono della nostra Congregazione e
Famiglia alla Chiesa. Ma di questo scriverò più ampiamente nella lettera sulla
Strenna alla fine dell’anno.
8. “PRENDIAMO LA MADONNA IN CASA”. «E da quell’ora il discepolo
l’accolse con sé» (Gv 19,27)
Ho voluto terminare questa mia prima lettera circolare con le stesse parole che
usò Don E. Viganò nella sua prima lettera su Maria che rinnova la Famiglia
Salesiana di Don Bosco36. Don Viganò ci racconta che mentre ascoltava la sera
del Venerdì Santo di quell’anno il racconto evangelico della morte del Signore
secondo Giovanni, con Maria e il Discepolo ai piedi della croce, rimase
particolarmente colpito, con una convinzione che lo porta a dire: sì!, dobbiamo
ripeterci mutuamente come programma per il nostro rinnovamento l’affermazione
dell’evangelista: “Prendiamo la Madonna in casa”.
Don Bosco ebbe una vivissima consapevolezza della presenza personale di
Maria nella propria vita, nella sua vocazione e nella sua missione apostolica.
“Maria Santissima è la fondatrice e sarà il sostegno delle nostre opere”37, e noi
Salesiani, come parte della nostra Famiglia Salesiana, siamo convinti del ruolo
indiscutibilmente particolare che Maria ha avuto nella vita di Don Bosco e della
Congregazione. Maria è stata per Don Bosco la Madre attenta dei suoi giovani e la
loro educatrice interiore. Ed è stata sempre per lui la Madre verso la quale ha
avuto una devozione tenera e virile, semplice e vera.
Allo stesso tempo Don Bosco, da vero educatore e catechista, riuscì in maniera
eccezionale a fare sì che in casa, nella casa dei suoi giovani, Valdocco, il clima di
famiglia risultasse sempre avvolto da una presenza materna: Maria.
Oggi, duecento anni dopo la nascita di Don Bosco, possiamo dire che la
devozione a Maria, per noi soprattutto come Ausiliatrice, risulta di fatto come un
36 Atti del Consiglio Generale della Società Salesiana, Anno LVII, n.289,p.4
37 Sistema Preventivo. Regolamenti, n.92

2.9 Page 19

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elemento costitutivo del ‘fenomeno salesiano’ nella Chiesa, e forma parte
imprescindibile del nostro carisma: permea la sua fisionomia e gli da vitalità.
Maria, che è la Donna dell’Ascolto, Madre della nuova comunità e Serva dei
poveri ci accompagni e ci benedica. A Lei ci dirigiamo con la stessa preghiera di
Papa Francesco38:
Stella della nuova evangelizzazione,
aiutaci a risplendere nella testimonianza della comunione,
del servizio, della fede ardente e generosa,
della giustizia e dell’amore verso i poveri,
perché la gioia del Vangelo
giunga sino ai confini della terra
e nessuna periferia sia priva della sua luce.
Madre del Vangelo vivente,
sorgente di gioia per i piccoli,
prega per noi.
Amen. Alleluia.
Vi saluto fraternamente, con affetto
Angel FERNÁNDEZ ARTIME,
sdb
Rettor Maggiore
38 Evangelii Gaudium, n.288