Atti_1995_354.ACG_Vecchi_spiritualita_salesiana-it


Atti_1995_354.ACG_Vecchi_spiritualita_salesiana-it

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1.1 Page 1

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1. IL VICARIO DEL RETTOR MAGGIORE
INDICAZIONI PER UN CAMMINO
DI SPIRITUALITÀ SALESIANA
Alcuni punti chiave n e ll’insegnamento di don Egidio Viganò
Introduzione - 1. L’iniziativa di Dio - 2. La consacrazione apostolica - 3. Il Cristo che seguiamo e
contempliamo - 4. La carità pastorale - 5. «Da mihi animas» - 6. «Studia di farti amare»: La peda­
gogia della bontà - 7. L’estasi dell’azione - 8. La grazia di unità - 9. Educare evangelizzando,
evangelizzare educando - 10. Immacolata Ausiliatrice
Roma, 24 settem bre 1995
Carissimi,
nel mese di settem bre vi è stata spedita la lette­
ra-ricordo di don Egidio Viganò. In essa, oltre al
profilo biografico, abbiamo richiamato, in forma
sintetica secondo la natura dello scritto, i suoi fron­
ti di impegno come Rettor Maggiore, il suo stile di
animazione e i tratti della sua personalità.
Ora si sta preparando, alla Direzione Generale,
un'edizione delle sue sessantaquattro lettere circo­
lari, con corrispondente indice tematico. Il volume
entrerà a far parte della collezione che raccoglie le
lettere dei precedenti Rettori Maggiori: don Rua,
don Albera, don Rinaldi, don Ricaldone. Contem­
poraneamente in un altro volume verranno pubbli-

1.2 Page 2

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4 (4114) ATT! DEL CONSIGLIO GENERALE
cate le lettere di don Luigi Ricceri, al quale toccò
orientare la preparazione e il prim o periodo del rin­
novam ento che seguì il Concilio Vaticano II. Insie­
me agli atti dei CG 20. 21. 22. 23, questi volumi co­
stituiranno una testimonianza e una documentazio­
ne, alla portata di tutti, della riflessione, delle sfide,
degli orientamenti e sforzi di rinnovamento che
hanno caratterizzato il trentennio che dalla fine del
Concilio ci porta fino al prossimo CG24.
Mi è sem brato che fosse conveniente, a comple­
mento della lettera mortuaria, offrire una rilettura
di alcuni punti che attraversano l’insegnamento di
don Egidio Viganò. Non sono tutti, evidentemente,
neppure tra quelli che si potrebbero considerare
principali. Non lo consentiva lo spazio. Ho scelto
soltanto quelli che riguardano più da vicino e diret­
tam ente il versante della spiritualità del salesiano,
che ricorrono, anche se solo accennati, nel tratta­
mento dei diversi temi e sono stati offerti da lui con
formule originali. Essi sono però saldamente colle­
gati fino a costituire come i tratti di una fisionomia.
Non tentiamo una sintesi completa di ciascuno
che risulta impossibile, m a solo una evocazione so­
stanziale.
Il m om ento attuale è segnato per noi dall’avve­
nim ento del Sinodo sulla Vita Consacrata, il cui do­
cum ento conclusivo stiamo aspettando. Ma le cui
preoccupazioni principali abbiamo già percepito
nello strum ento di lavoro e nelle discussioni dell’as­
semblea. Esso ci stimola a riflettere sulle attese del
m ondo e della Chiesa nei confronti dei religiosi e ci
ricorda l’originalità di Don Bosco nella testim onian­
za del Vangelo.
Ma il tem po che viviamo è segnato anche dalla
preparazione prossima, organizzativa e spirituale,
al CG24. Proprio in questi giorni alla Casa Generali­

1.3 Page 3

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IL VICARIO DEL RETTOR MAGGIORE (4115) 5
zia lavora la Commissione precapitolare, nominata
dal Rettor Maggiore, che dovrà redigere «gli sche­
mi da inviare con sufficiente anticipo ai partecipan­
ti del Capitolo Generale» (Reg 113).
È proprio alla luce di questi avvenimenti che
vi invito a percorrere alcuni punti nodali della no­
stra spiritualità come ci sono stati proposti da don
Viganò.
' ACG 347, p. 14
1. L’iniziativa di Dio
(ACG 303. 312. 334. 337. 342. 352)
«È necessario ricordare che alla base di tutto c ’è
l ’affascinante mistero della Trinità; come dicono le
Costituzioni rinnovate, la nostra vita di discepoli di
Cristo è una grazia del Padre che ci consacra con il
dono del suo Spirito e ci invia ad essere missionari
dei giovani».1
Caratteristica di ogni spiritualità cristiana è la
coscienza del dono, della grazia, con cui Dio entra
di sua iniziativa nella nostra esistenza nel contesto
della storia. Ciò costituisce una differenza sostan­
ziale riguardo a tutte le spiritualità razionalistiche
che si affidano al solo sforzo, pur nobile, della
persona.
Se si vuol tracciare con realismo il cammino spi­
rituale dei Salesiani, nei suoi elementi caratteristici
e nella sua vitalità, non si può ignorare questa origi­
ne che è appunto la presenza operante dello Spirito
del Signore. E da parte loro il riconoscimento, l’ac­
coglienza e la volontà di corrispondenza.
Tale presenza si percepisce in tre ambiti. In pri­
mo luogo nella Chiesa. «Egli - dice la L um en Gen­
tium - la guida per tutta intera la verità, la unifica

1.4 Page 4

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6 (4116) ATTI DEL CONSIGLIO GENERALE
nella comunione e nel ministero, la istruisce e diri­
ge con diversi doni gerarchici e carismatici, l’abbel­
lisce con i suoi frutti. Con la forza del Vangelo fa
ringiovanire la Chiesa, continuamente la rinnova e
la conduce alla perfetta unione con il suo Sposo».2
È lo Spirito che dà la vita e che si manifesta nella
storia come energia imprevista e trasformante so­
prattutto attraverso i profeti, i santi, i pastori e le
guide coraggiose e ispirate. Di questa animazione
della Chiesa da parte dello Spirito abbiamo segni
inequivocabili anche in questo nostro tempo. È tut­
to il movimento di riflessione, di adeguamento pa­
storale, di spiritualità provocato dal Concilio, ancor
oggi fecondo di nuove e originali manifestazioni.
La presenza e l’azione dello Spirito si estendono
oltre i confini della Chiesa visibile. Riempiono la
terra. La Chiesa ascolta nei segni dei tempi la sua
voce che risuona nella coscienza degli uomini e af­
fiora soprattutto nella ricerca religiosa, nelle inizia­
tive nobili e disinteressate per la crescita spirituale
dell’uomo, nel senso m orale.3 L’insieme dei segni ci i cf. RM, 28
dice che noi stiamo vivendo u n ’ora privilegiata del­
lo Spirito.4
* cf. EN, 75
Una delle opere realizzate dallo Spirito nel corso
della storia attraverso mille ispirazioni è la vita con­
sacrata che, al seguito di Cristo, si concentra nel
m istero di Dio e si dedica con am ore alla salvezza
dell’uomo. «All’origine dei singoli Istituti religiosi
non c ’è una teoria o un sistema di un pensatore,
ma una storia o una esperienza vissuta secondo
una speciale e concreta docilità allo Spirito Santo».5 ! ACS 301, p. 6
Ciò va affermato, in particolare, del nostro cari­
sma e della sua realizzazione da parte di Don Bosco
e di coloro che gli sono succeduti nel tem po come
discepoli attenti ai segni dello Spirito. E questo è un
secondo ambito di osservazione e di fede per i Sale­

1.5 Page 5

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1 ACS 304, p. 7
IL VICARIO DEL RETTOR MAGGIORE (4117) 7
siani. «Il nostro Padre si è sentito investito dall’alto
di una vasta missione giovanile ed ha avuto chiara
coscienza di essere chiamato, per questo, a diveni­
re fondatore non semplicemente di un istituto reli­
gioso, m a di tutto un vasto movimento spirituale e
apostolico di vaste proporzioni».6 Spiritualità e mis­
sione, a servizio della Chiesa e del mondo, si m uo­
vono nella direzione dello Spirito cioè dell’apertura
dell'uomo al riconoscimento e alla comunione con
Dio.
Il terzo ambito in cui siamo chiamati a cogliere
l'azione dello Spirito è la nostra vita. In essa perce­
piamo il dono di Dio che ci attira a sé; siamo attrat­
ti da Cristo e invogliati a seguirlo con radicalità.
Sperimentiamo la sintonia quasi spontanea con
Don Bosco e siamo portati alla missione giovanile.
È la vocazione personale di cui l’art. 22 delle Costi­
tuzioni dice: «Ciascuno di noi è chiamato da Dio a
far parte della Società Salesiana. Per questo riceve
da Lui doni personali e rispondendo fedelmente
trova la via della sua piena realizzazione in Cristo».
La consapevolezza del dono, la nostra volontà
di risposta, la consonanza con il carism a salesiano,
il progetto specifico di vita, che di conseguenza as­
sumiamo, vengono espressi pubblicamente nella
professione, in particolare, per il suo carattere defi­
nitivo, nella professione perpetua. Essa «è il segno
dell'incontro di am ore tra il Signore che chiam a e il
discepolo che risponde donandosi totalm ente a Lui
e ai fratelli» (Cost 23). Coinvolge la coscienza e la
vita e non solo l'appartenenza esterna. Ed è ancora
offerta e iniziativa di Dio e non solo atto dell’uomo.
Per cui «l’azione dello Spirito sarà per il professo
fonte permanente di grazia e sostegno nello sforzo
quotidiano di crescere nell’am ore perfetto di Dio e
degli uomini» (Cost 25).

1.6 Page 6

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8 (4118) ATTI DEL CONSIGLIO GENERALE
Così battesimo, vocazione, professione segnano
le fasi del nostro collocarci con sempre maggior at­
tenzione e disponibilità nello spazio dello Spirito
che com unica al m ondo l'am ore di Dio e lo muove
verso di Lui.
Tre conseguenze ne seguono. La prima è che
prendiam o la «vita nello Spirito», la santità, come il
nucleo principale del nostro progetto di esistenza.7
Santità non intesa solo come correttezza morale o
come sforzo ascetico, ma come stile e forma di vita
nel quale traspare in forma peculiare il mistero di
Dio, liberante, vicino. Senza di questo non c ’è vita
consacrata, anche se si realizzassero tutti gli ele­
menti istituzionali. «Riprogettare la santità» è per­
ciò punto determinante del nostro rinnovamento.
Essa è «il dono più prezioso che possiamo offrire ai
giovani» (Cost 25), e il mezzo più potente e adegua­
to per compiere la nostra missione. La riteniamo
pure come il contributo specifico dei religiosi alla
cultura e alla promozione umana. Infatti la spiri­
tualità o santità ha anche un valore temporale e se­
colare, non solo per le opere di carità a beneficio
dei poveri, m a per il senso, il messaggio e i valori
che offre all’esistenza umana.
Ma c ’è una seconda conseguenza. Noi perse­
guiamo questa santità secondo il modello e il cam ­
mino che lo Spirito ha manifestato in Don Bosco. Il
riferimento costante a Lui e alla esperienza che è
m aturata al suo seguito è dunque indispensabile sia
per riprodurne in forma adeguata i tratti già accer­
tati, sia per discernere nuove forme di realizzarli
nel contesto moderno. «Dio ci ha dato Don Bosco
come Padre e Maestro» (Cost 21).
Le due conseguenze precedenti portano ad una
terza: scegliamo come via pedagogica verso la san­
tità quella proposta dalle Costituzioni con le sue
> cf. ACS 303

1.7 Page 7

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« cf. ACG 312
IL VICARIO DEL RETTOR MAGGIORE (4119) 9
esperienze fondamentali (missione, consigli evange­
lici, comunità, preghiera) vissute nel gruppo um a­
no che ne fa il codice di vita: la Congregazione sale­
siana con la sua tradizione spirituale e nella sua
realtà attuale. Se è vero che «la nostra regola viven­
te è Gesù Cristo, il Salvatore annunciato nel Vange­
lo che vive nella Chiesa e che noi scopriamo pre­
senti in Don Bosco che donò la vita per i giovani»
(Cost 196), è vero pure che accogliamo le Costitu­
zioni come testam ento di Don Bosco, come libro di
vita per noi, che le meditiamo nella fede e ci impe­
gniamo a praticarle con senso spirituale, perché
per noi, discepoli del Signore, esse sono un cammi­
no che conduce all’am ore (cf. ib.).
Desiderio e proposito di santità, Don Bosco
come Padre e Maestro, Regola e comunione sale­
siana sono le coordinate per un cam mino di cresci­
ta spirituale di un consacrato salesiano, in risposta
agli appelli dello Spirito. Senza di esse è difficile an­
dare lontani.
2. La consacrazione apostolica
(ACG 312. 337. 342. 346. 352)
Quando don Viganò, dopo il CG22, presentò il
«testo rinnovato della nostra Regola di vita,8 indicò
la consacrazione apostolica (cf. Cost 3) come il
tema generale e primo tra i principi ispiratori del
rinnovam ento.
I vari elementi che caratterizzano la nostra spi­
ritualità di religiosi apostoli infatti trovano la loro
ragion d ’essere nella consacrazione e specificamen­
te in quella forma originale di essa che chiamiamo
consacrazione apostolica.

1.8 Page 8

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10 (4120) ATTI DEL CONSIGLIO GENERALE
È questa una delle importanti acquisizioni del
cammino di ridefinizione della nostra identità sulla
scia degli approfondimenti che ebbero luogo nella
Chiesa dopo il Concilio Vaticano II e di cui si sono
fatti eco insistenti dichiarazioni dell’ultimo tem po.9 1 cf. LG, 44; PC, 5; ET, 4.
«Alla base della vita religiosa c ’è la consacrazione».
7; MR, 8.10.11; RD, cap.
ffl
«La Chiesa pensa a voi prim a di tutto come a perso­
ne consacrate».10
Una più profonda comprensione della consacra­
zione nelle sue radici bibliche, nelle sue dimensioni
10 Elementi essenziali del­
l'insegnamento della
Chiesa sulla vita religio­
sa, n. 5; RD, 7
teologali ed ecclesiali, m a anche alla luce dell’espe­
rienza concreta del Fondatore è dunque elemento
sostanziale per riscoprire e riattualizzare il carisma,
per avere una visione unitaria del progetto di vita
salesiano e, di conseguenza, per vivere ed esprime­
re in forma autentica la nostra spiritualità.
Ora proprio questo sforzo di comprensione ci
ha portato a sottolineare alcuni aspetti. Il prim o è il
senso globale o totale della consacrazione. Questa
infatti non è un elemento particolare della vita sale­
siana da enum erare prim a o tra gli altri, m a la com ­
prende tutta. Non include soltanto i voti, ma tutto
l’essere e l’agire della persona, messa in una rela­
zione singolarissima con Dio che segna la nostra
esperienza personale più profonda e il nostro lavo­
ro educativo. Una vita che si sente attratta verso
Dio e si concentra in Lui, sia che lo cerchi nella pre­
ghiera, nel silenzio e nella solitudine, o si proponga
di servirlo nei fratelli attraverso qualche servizio di
carità anche fortemente impegnativo.
È chiaro poi che quando parliamo della consa­
crazione non pensiamo solo a un momento partico­
lare come per esempio quello della professione, ma
ci riferiamo al «continuum» di tutta la vita, di cui la
professione è il m om ento significativo e quasi sa­
cramentale. Pensiamo ad una esperienza personale

1.9 Page 9

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" ACG 312, p. 23
IL VICARIO DEL RETTOR MAGGIORE (4121) 11
e interiore che comincia già prima della professio­
ne, quando il Signore va diventando il centro dei
nostri pensieri e la preferenza del nostro affetto.
Accogliendo questa grazia dello Spirito, la dichia­
riam o di fronte a Dio e alla Chiesa nell'atto della
professione. Essa viene dunque particolarmente ri­
conosciuta e incorporata alla vita e missione del po­
polo di Dio. Continuerà in seguito fino alla m orte
rendendosi sempre più totale e profonda come
azione di Dio e come risposta nostra, a m ano a
mano che la sua realtà penetrerà nel nostro essere.
È evidente che la vita diventa veramente consacra­
ta non tanto in forza degli elementi istituzionali, or­
ganizzativi o rituali con i quali la si qualifica ester­
nam ente, m a per il rapporto vitale che si stabilisce
con Dio. Infatti in ogni consacrazione, la forza con­
sacrante è la Sua presenza. Questo senso esistenzia­
le e personale della consacrazione è oggi particolar­
mente sentito e determinante.
Di qui viene un altro elemento fondamentale di
comprensione, evidenziato dall’uso del verbo al
passivo: consecratur. La consacrazione del religio­
so, sulla base di quella battesimale, mette in eviden­
za l'iniziativa assolutamente libera e gratuita di
Dio. Essa, nell’espressione di don Viganò, è la
«scintilla prim a dell’amore, che sprizza all’ora zero
lì dove incomincia tutto e dove esplode l’amicizia, lì
dove nasce la speciale alleanza tra Dio che chiam a
e l’uomo che risponde».11 La consacrazione non è
in prim o luogo uno sforzo dell’uomo per raggiun­
gere Dio ed essere tutto suo. Ma una visita, un do­
no, un'irruzione della sua grazia nella nostra esi­
stenza. Indica prim ariam ente l’azione di Dio che
attraverso la mediazione della Chiesa ci prende
totalmente per sé impegnandosi a proteggerci e a
guidarci.

1.10 Page 10

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12 (4122) ATTI DEL CONSIGLIO GENERALE
Ma è anche vero che questa azione divina non è
esterna ai nostri movimenti più profondi. Si fa sen­
tire in questi e lì riceve la nostra risposta, sì che di­
venta «l’incontro di due amori»: il Padre ci attira e
noi ci offriamo totalm ente a Lui. «L’iniziativa e la
possibilità stessa dell’alleanza proviene da Dio, m a
essa è conferm ata dalle nostre libere risposte: è Lui
che ci chiam a e ci aiuta a rispondere, m a siamo noi
che ci doniamo. È Lui che ci consacra e ci avvolge
con il suo Spirito, ci prende per sé, ci fa divenire to ­
talmente suoi, ma siamo noi che vogliamo concen­
trarci in Lui, ascoltandoLo e contemplandoLo».12 12 ib.
Il ritrovare il senso pieno della consacrazione
come alleanza di amore, fatta di appello e risposta,
che continuamente ci interpella, dà alla nostra vo­
cazione il suo volto dinamico e la sua profonda
unità.
Giustamente la nostra regola di vita sottolinea il
carattere peculiare della consacrazione che ci di­
stingue come Salesiani. Essa si fonda, infatti, sul
progetto ispirato da Dio a Don Bosco fondatore,
che è un progetto apostolico, in cui la missione a
servizio della gioventù è l’aspetto caratterizzante
del nostro essere tutto per Dio, intrinsecam ente
congiunta con la testimonianza dei valori evangelici
e della comunione fraterna.
Non c ’è separazione né dissonanza tra consa­
crazione e missione, m a «mutua e indissolubile
compenetrazione che ci fa salesianamente e simul­
taneamente apostoli-religiosi e religiosi-aposto­
li. La “consacrazione” coinvolge tutta la nostra vi­
ta; e la “missione” qualifica la tutta la nostra testi­
monianza».13 La missione, intesa nel suo significato 15 ACG 312, p. 13
biblico che la vincola a quella di Cristo consacrato
del Padre e m andato al mondo, appare così un
aspetto costitutivo della stessa nostra consacrazio-

2 Pages 11-20

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2.1 Page 11

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IL VICARIO DEL RETTOR M AGGIORE (4123) 13
» cf. ACG 336, p. 16
,s cf. ACG 334, p. 33; 336,
p. 35-36
ne. D’altra parte, la nostra vita consacrata viene
definita e precisata dalla missione e deve proiettarsi
e realizzarsi in essa. È ciò che esprimono le Costi­
tuzioni quando affermano che «la missione dà a
tutta la nostra esistenza il suo tono concreto, speci­
fica il compito che abbiamo nella Chiesa e determi­
na il posto che occupiamo tra le famiglie religiose»
(Cost 3).
Tutto questo tocca la radice della nostra identità
di Salesiani e diventa orientamento concreto per la
nostra vita e la nostra spiritualità, con conseguenze
sul modo di lavorare, di vivere insieme, di pregare.
In primo luogo la consapevolezza del nostro es­
sere consacrati apostoli dà il giusto significato alla
missione, che non è semplicemente l'attività o l’a­
zione esterna, m a è dono di Dio. Ci inserisce nel
m istero trinitario dell'invio del Figlio e dello Spirito
Santo da parte del Padre e nella missione stessa del­
la Chiesa e del suo specifico compito storico.
Deriva da qui l’accento speciale posto su R in te­
riorità come condizione essenziale per l’efficacia
dell’azione apostolica e missionaria. L’ardore nella
missione proviene infatti dal mistero di Dio:14 solo
se costantemente unite a questo mistero, la Chiesa
e la Congregazione possono affrontare le sfide della
nuova evangelizzazione.
In tale aspetto si ravvisa un carattere tipico della
nostra spiritualità di consacrati-apostoli: consacra­
ti, e quindi fermamente radicati in Cristo e nel suo
Spirito, in atteggiamento di filiale obbedienza al Pa­
dre che ci ha chiamati, e insieme «missionari dei
giovani», m andati a com unicare loro l’Amore senza
confini: è il nostro dinamismo spirituale di base,
che ci colloca sul versante della spiritualità di vita
a t t i v a . 15
Se vissuta con pienezza, questa è la strada della

2.2 Page 12

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14 (4124) ATT! DEL CONSIGLIO GENERALE
nostra santificazione. L’azione apostolica, e per noi
concretamente la scelta educativa, all'interno del
progetto di vita consacrata, diventa luogo privile­
giato dell'incontro con Dio e quindi via alla santità,
sì da poter dire che il salesiano è chiamato a santi­
ficarsi educando, 16 Si tra tta di «fare dell’impegno » ACG 337, p. 38
educativo lo spazio spirituale e il centro pastorale
della propria vita, della propria preghiera, della
propria professionalità, del vissuto quotidiano».17 17 ACG 337, p. 39
È interessante ricordare, concludendo, come le
stesse sofferenze per il salesiano sono valorizzate
dalla sua consacrazione apostolica. «La nostra spiri­
tualità dell’azione non ci insegna ad aggirare il do­
lore, a sorvolarlo, ad eliminarlo; bensì lo accetta e
ne rovescia il significato, trasformandolo in poten­
ziale di salvezza. Ha così un suo valore apostolico,
e non piccolo, anche la sofferenza vissuta come
partecipazione al mistero pasquale di Cristo».18
» ACS 308, p. 18
3. Il Cristo che seguiamo e contempliamo
(ACG 290. 296. 334. 324. 337)
Partiamo da un fatto scontato. «Noi siamo dei
discepoli di Cristo che hanno realizzato con la pro­
fessione religiosa un gesto di libertà particolarmen­
te originale: abbiamo scelto in forma radicale e per
sempre il Signore risorto. Cristo costituisce la no­
stra opzione fondamentale che condiziona e orien­
ta tutte le altre. Il cuore del salesiano passa per il
mistero pasquale prim a di percorrere qualsiasi stra­
da della storia. Solo partendo da Cristo si spiega il
nostro genere di vita, la nostra appartenenza alla
Chiesa, la nostra missione giovanile e popolare, il
nostro progetto educativo, la nostra attività e lo sti­
le con cui lo realizziamo.

2.3 Page 13

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» ACS 296, p. 5
IL VICARIO DEL RETTOR MAGGIORE (4125) 15
È im portante, oggi, rinnovare con chiarezza la
coscienza di questa opzione fondamentale affinché
diventi operativa nelle nostre convinzioni, nella te­
stimonianza di vita e negli impegni di lavoro».19
Si tratta del mistero totale di Cristo e della sua
manifestazione ancora in corso: Cristo figlio di Dio
e vero Uomo, nato da Maria, morto e risorto; con­
sacrato e inviato; Fondatore e capo della Chiesa;
Profeta, Sacerdote e Re. A Lui accediamo attraver­
so l’ascolto e la meditazione della Parola in partico­
lare il Vangelo, attraverso la celebrazione del miste­
ro eucaristico, l’impegno di conversione e lo sforzo
di configurazione, la partecipazione alla vita della
Chiesa, l’ascolto delle invocazioni di salvezza che si
levano dal mondo, particolarmente dei giovani.
Ma ci sono alcune rappresentazioni di Cristo
che attirano in forma particolare la nostra attenzio­
ne come Salesiani. Le presentiamo con testi origi­
nali di don Egidio Viganò.
Il Cristo Buon Pastore
«È Lui il Centro vivo ed esistenziale della nostra
vita consacrata. Tutti i consacrati sono centrati su
Cristo, m a la nostra specifica testimonianza è carat­
terizzata dall’aspetto pedagogico pastorale con cui
guardiamo a Cristo come “Buon Pastore”, che ha
creato l’uomo e ne am a le qualità, che lo ha reden­
to e ne perdona i peccati, e che lo rende nuova
creatura attraverso il suo Spirito. Questa centralità
di Cristo Pastore deve brillare come sole nei nostri
ambienti attraverso un rinnovato slancio eucaristi­
co e con tutte le iniziative che esprimono un modo
quotidiano di vivere ed educare “che perm ea le no­
stre relazioni con Dio, i rapporti personali e la vita

2.4 Page 14

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16 /4126) ATTI DEL CONSIGLIO GENERALE
di com unità, nell’esercizio di una carità che sa farsi
am are” (Cost 20). La sottolineatura di Cristo “Buon
Pastore” com porta certamente la generosità della
dedizione ai giovani fino alla croce, ma m ette in
evidenza anche l’atteggiamento che conquista con
la mitezza e il dono di sé, con la bontà...».20
» ACG 334, p. 33-34
Il Cristo am ico dei giovani
«Il vangelo manifesta in vari modi l’am ore di
Gesù ai giovani: li am a (Me 10,21: fissatolo, lo
am ò); li vuole accanto a sé (Mt 19, 14-15; Me 10,
13-16; Le 18, 15-17: Lasciate che i bam bini...) Le
19, 46-48: Chi accoglie un bam bin o...); li invita a
seguirlo (Mt 19, 16-26; Me 10, 17-22: il giovane ric­
co), li guarisce (Gv 4, 46-54: Va’, il tuo figlio vive);
li risuscita (Le 7, 11-15: Giovinetto, a te dico, leva­
ti ); Me 5, 21-23; Le 8, 40-45: figlia di Giairo); li li­
bera dal demonio (Me 17, 14-18; Le 9, 37-43: scac­
cia il dem onio da un ragazzo; Mt 15, 21-28; Me 7,
24-30: e dalla figlioletta della donna cananea o si-
rofenicia); li privilegia con il perdono (Le 15, 11-32:
parabola del figlio prodigo); si appoggia a loro per
com piere meraviglie (Gv 6, 1-15: C'è qui un ragaz­
zetto che ha cinque pani e due pesci...).
Non si spiega la predilezione radicale di Don
Bosco senza Gesù Cristo; nella sequela di Cristo si
trova la fonte zampillante della sua origine e della
sua vitalità».21
«Il cuore del salesiano è tutto occupato da Cri­
sto per am are i giovani come li am a Lui; guarda a
Lui amico dei piccoli e dei poveri, per questo la sua
dedizione alla gioventù e ai ceti popolari diviene più
intensa, più perseverante, più genuina, più fecon­
da...
In u n ’ora di ricerca di identità personale e col­
ACG 290, p. 15-16

2.5 Page 15

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a ACS 296, p. 6-7
IL VICARIO DEL RETTOR MAGGIORE (4127) 17
lettiva la prim a cosa da assicurare è il significato
stesso della nostra professione religiosa che ci in­
corpora a una comunità che ha fatto la grande scel­
ta del Cristo salvatore e pastore, amico dei giova­
ni».22
a ACG 324, p. 17-18
Cristo, l'uom o nuovo
«... Scopriamo senza troppa difficoltà che il
vero capolavoro di Dio è l’uomo, fatto a sua im m a­
gine, sintesi viva delle meraviglie cosmiche, libero e
audace, che pensa, che giudica, che crea, che ama
e che è perciò destinato ad essere il liturgo di tutto
il creato, voce di lode, m ediatore di gloria, in un
dialogo di felicità con lo stesso Creatore.
Ed è precisamente nella nostra storia che Iddio,
giunta la pienezza dei tempi, fa sorgere l’Uomo
nuovo che è il suo definitivo capolavoro.
Egli è il vertice di tutta l’opera della creazione.
In Lui dice il Concilio - “trova vera luce il mistero
dell’uom o... Egli è l’immagine dell’invisibile Dio; è
l’uom o perfetto... unito in certo modo ad ogni uo­
mo... primogenito fra molti fratelli”.
Nella sua vita terrena si è sentito solidale con
ognuno degli uomini di tutti i secoli, da Adamo
(suo progenitore) fino all'ultimo suo fratello, gene­
rato alla fine dei tempi. Solidale nel bene e nel m a­
le, ha vinto il peccato con la potenza del più grande
am ore testimoniato con il dono della propria vita
nell’evento supremo della Pasqua»...23
«Il fine o traguardo a cui tende l’opera educati­
va è Cristo l’“Uomo nuovo”; ogni giovane è chia­
m ato a m aturare in Lui e a sua immagine...
Non si tratta di entrare in polemica, m a di esse­
re convinti che l’evento Cristo non è l ’espressione

2.6 Page 16

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18 (4128) ATTI DEL CONSIGLIO GENERALE
di una formulazione «religiosa», bensì un fatto og­
gettivo che si riferisce in concreto ad ogni individuo
della specie e che dà un senso definitivo alla storia
umana. Ogni persona ha bisogno di Cristo e tende a
Lui, anche se non lo sa. È diritto esistenziale di
ognuno poter arrivare a Lui: impedirlo è, di fatto,
conculcare un diritto umano. La tendenza verso
Cristo, conscia o inconscia, assopita o meno, è in­
trinseca alla natura dell’uomo, creato oggettiva­
mente nell’ordine soprannaturale, e nel quale il
progetto “uomo” è stato pensato in vista del miste­
ro di Cristo e non viceversa».24
!< ACG 337, p. 31-32
Cristo, il cuore del m ondo e il m istero operante
nella storia
«Il qualificativo nuovo, riferito alla cultura, indi­
ca semplicemente un'emergenza nel divenire, an­
che se richiede u n ’attenta e rinnovata form a di pa­
storale; riferito invece al mistero di Cristo il qualifi­
cativo “nuovo” indica la pienezza della vera e defi­
nitiva novità. È nuova non perché non l'abbiamo
mai sentita o perché viene interpellata da problemi
che prim a non si conoscevano, m a perché è l'apice
meraviglioso dell’avventura umana; proclam a in­
fatti la m eta suprem a della storia e la sorgente di
ogni speranza di tutti i secoli.
... Evangelizzare significa anzitutto saper an­
nunziare all'uomo d'oggi la lieta e gradita notizia
della Pasqua, che sconvolge e fa esplodere la cadu­
ca attrattiva delle novità che evolvono, che presto si
trasformano in quella monotonia insoddisfatta che
suole caratterizzare l'esistenza annoiata di una ci­
viltà solo orizzontale».25
25 ACG 331, p. 12
«A ragione dunque il Concilio afferma che Gesù
Cristo costituisce “il fine della storia um ana, il pun­

2.7 Page 17

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* ACG 324, p. 18-19
IL VICARIO DEL RETTOR M AGGIORE (4129) 19
to focale dei desideri della storia e della civiltà, il
centro del genere umano, la gioia di ogni cuore, la
pienezza delle loro aspirazioni...” (GS 45).
Considero importante, cari confratelli, rivisitare
continuamente questa sintesi di fede per... convin­
cerci che non è possibile prescindere da Cristo nella
promozione dell’uomo e nello sviluppo di una vera
pedagogia salesiana».26
4. La carità pastorale
(ACG 304. 312. 326. 332. 334. 335. 337. 338)
L’articolo delle Costituzioni che introduce lo
spirito salesiano afferma che «il suo centro e la sua
sintesi è la carità pastorale caratterizzata da quel di­
namismo giovanile che si rivelava così forte nel no­
stro Fondatore e alle origini della nostra società»
(Cost 10).
Sono affermazioni di molto impegno. Non si
tratta infatti di un elemento in più da m ettere ac­
canto ad altri, m a della sorgente della nostra identi­
tà spirituale e pastorale. Da essa sgorga quell’ener­
gia unificante che ci imprime una fisionomia pro­
pria, ci spinge alla donazione di noi stessi, ci unisce
in comunione.
Bisogna dunque ritornare più volte su di essa
per chiarirne la natura, approfondirne i contenuti e
specificarne le conseguenze pratiche, non accon­
tentandosi di prospettive generiche e della risonan­
za spontanea che tali prospettive producono in noi.
Il punto di osservazione privilegiato, come per
tutti gli aspetti del carisma, è l’esperienza del Fon­
datore e la vita del gruppo dei primi discepoli, colte
allo stato nascente.

2.8 Page 18

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20 (4130) A T TI DEL CONSIGLIO GENERALE
«La Famiglia Salesiana è nata dall'am ore di Don
Bosco per la gioventù. Un amore di predilezione
che ha perm eato e sviluppato le sue inclinazioni e
le sue doti naturali, m a che era radicalm ente uno
speciale dono di Dio per un disegno di salvezza nei
tempi moderni. Questa predilezione sgorgava in lui
dall'adesione entusiasta e totale a Cristo».27
La prim a scintilla della vocazione salesiana è l’a­
m ore di Dio intenso, ben definito, orientato verso la
gioventù povera e abbandonata. In Don Bosco di­
venterà a mano a mano progetto di vita. Egli pren­
derà coscienza che si tratta di una grazia singolare.
«Il Signore mi ha m andato per i giovani, perciò bi­
sogna che mi risparmi nelle altre cose estranee e
conservi la mia salute per loro». Realizzerà questo
progetto nella sequela radicale di Cristo contempla­
to nella sua ansia per dare dignità e salvare le per­
sone, soprattutto le più umili e indigenti.
La sorgente, l'avvio e l’energia di sviluppo del
carism a salesiano, dunque, si trova in un am ore
con due indissolubili poli, Dio e i giovani; nella do­
nazione totale di sé a Dio nella missione giovanile e
corrispondentem ente nella donazione totale di sé ai
giovani in un movimento verso Dio. Su questa linea
m aturerà la santità di Don Bosco. Per seguire que­
sto ideale convocherà quei giovani in cui scopre di­
sponibilità. Ciò darà l’immagine originale della
Congregazione nascente.
La carità è il fondamento e l’energia di ogni vita
spirituale, il prim o di tutti i com andam enti come
radice e il suprem o di essi come m eta da raggiun­
gere, la sostanza e il migliore dei carismi, il distinti­
vo di ogni stato o vocazione cristiana. Così per Ge­
sù, per San Paolo (cf. 1Cor, 13-14), per il nostro Pa­
trono San Francesco di Sales, che ne ha quasi can­
tato la bellezza anche umana. Egualmente per Don
ACS 290, p. 15

2.9 Page 19

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IL VICARIO DEL RETTOR MAGGIORE (4131) 21
Bosco che esalta ogni forma di carità come una ca­
ratteristica eccelsa del cuore cristiano. Nel sogno
dei dieci diamanti, la carità, senza specificazioni,
viene collocata davanti e proprio sul cuore del per­
sonaggio. Tre di quei diamanti erano sul petto...
quello che si trovava sul cuore portava la scritta:
Carità. È in ogni caso quell'am ore che ha avuto la
sua manifestazione m assim a in Gesù Cristo, Figlio
del Padre e Redentore dell’uomo, e che lo Spirito
Santo infonde nel nostro cuore nel momento in
cui attraverso la fede e il battesim o ci inserisce in
Cristo.
Proprio per la ricchezza di Cristo, per la creati­
vità dello Spirito e per le possibilità espressive della
persona um ana esistono innumerevoli «tipi» o con­
cretizzazioni storiche della carità.
Quella che è al centro dello spirito salesiano vie­
ne qualificata come “pastorale“. Riporta immedia­
tam ente alla m ente l’immagine di Dio Pastore che
fa uscire il suo popolo dalla schiavitù, lo guida nel
deserto, lo conduce in luoghi verdeggianti, gli rivela
il suo disegno, fa alleanza con esso. Ricorda pure e
principalmente la figura di Cristo Buon Pastore che
percorre le strade, incontra la gente, guarisce e ri­
vela il Regno, m uore in croce e risorge perché gli
uomini abbiano la vita in abbondanza. «Pastorale»
riguarda la vita, il cibo, la dignità, l’orientamento,
dal livello più elementare a quello più alto.
La carità pastorale si accende nella contem pla­
zione del mistero di Dio che interviene nella storia
per salvare. Si manifesta nel desiderio di partecipa­
re alla sua opera di salvezza, di mettersi a sua di­
sposizione per agire in unione con Lui.
Il suo contenuto è il dono totale di sé come di­
sposizione e come fatto. «Non è soltanto quello che
facciamo, ma il dono di noi stessi che m ostra l’a­

2.10 Page 20

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2 2 (4132) ATTI DEL CONSIGLIO GENERALE
m ore di Cristo per il suo gregge. La carità pastorale
determ ina il nostro modo di pensare e di agire, il
nostro modo di rapportarci alla gente».28
3 PDV, 23
Il dono di sé nella carità pastorale ha come de­
stinataria la Chiesa e attraverso di essa l'um anità.
Si esprime in una volontà di servizio senza termine
e senza confine «essendo segnato dallo stesso slan­
cio apostolico e missionario di Cristo».29 Il Concilio
e i documenti successivi ne parlano per disteso rife­
rendosi ai presbiteri e ai pastori che hanno a loro
carico il popolo di Dio.
Pastorale è quindi quell’am ore che si inserisce
nella missione della Chiesa e in essa costruisce co­
munione sempre più larga e profonda. Pastorale è
quell’am ore che guarda alla salvezza totale delle
persone in Cristo e tutto il resto in funzione di essa.
Pastorale è quell’am ore che si affida alle energie
salvatrici instaurate da Cristo Pastore: la parola, la
fede, la grazia, la comunione ecclesiale.
La carità pastorale salesiana ebbe sin dall’inizio
una ulteriore determinazione. Si è plasm ata come
carità educativa. Mosso dalla passione apostolica,
Don Bosco scelse come campo proprio i giovani
che non sapevano a quale parrocchia apparteneva­
no. Si prese il compito di esser per loro non solo sa­
cerdote-pastore, m a padre e m aestro di vita: orien-
tatore nella crescita umana, accompagnatore nel
lavoro, comunicatore di cultura, animatore del loro
tem po libero. In questo scenario tradusse in gesti
quotidiani il suo am ore che desiderava ardente­
mente la salvezza dei suoi giovani. Ne nacque una
fisionomia e una prassi: il sistema preventivo.
È stata questa l’angolatura scelta da Giovanni
Paolo II, quando di Don Bosco afferma che egli
realizza la sua personale santità mediante l’impe­
gno educativo vissuto con zelo e cuore apostolico.

3 Pages 21-30

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3.1 Page 21

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« ACS 290, p. 16
IL VICARIO DEL RETTOR MAGGIORE (4133) 23
E che è proprio nell’interscambio tra educazione e
santità dove si trova l’aspetto caratteristico della
sua figura. Egli è un educatore santo.30
«È questo - afferma don Viganò - il «carisma
primo» di Don Bosco. Non ci situiamo qui al livello
delle inclinazioni o preferenze naturali: siamo deci­
samente al di sopra... Ci troviamo al di là delle
frontiere di quanto chiamiamo con una punta di
sufficienza “il norm ale”; racchiude infatti l’esisten­
za in quanto essa ha di più grande, quasi come una
brace sotto la cenere racchiude un germe di fuo­
co... come l’esperienza della strada di Damasco
nell'anim o di Paolo (Tillard). È il luogo primo della
vocazione di Don Bosco e, quindi, della sua intui­
zione artistica di educatore e della sua originalità
spirituale di santo».31
5. «Da mihi animas»
(ACG 332. 336. 334. 353)
Scrive don Viganò: «La mia convinzione è che
non c ’è nessuna espressione sintetica che qualifichi
meglio lo spirito salesiano di questa, scelta dallo
stesso don Bosco: Da m ihi anim as».
I grandi Istituti e le correnti di spiritualità han­
no condensato il nocciolo del proprio carism a in
una formula brevissima e riassuntiva. Possiamo ri­
cordare il «pace e bene» dei francescani o l’«ora et
labora» dei benedettini, «ad m aiorem Dei gloriam»
dei gesuiti.
I testimoni della prim a ora e la riflessione suc­
cessiva della Congregazione hanno portato alla
convinzione che l’espressione che meglio esprime
la carità pastorale dei Salesiani di Don Bosco è pro­
prio il «da mihi animas». Ricorre spesso sulle lab­

3.2 Page 22

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24 (4134) ATTI DEL CONSIGLIO GENERALE
bra di Don Bosco e ha influito in forma determi­
nante sulla sua fisionomia spirituale. È la massima
che colpì Domenico Savio nell'ufficio di Don Bosco
ancor giovane sacerdote (34 anni) e lo mosse a un
commento rimasto famoso: «Ho capito che qui non
si fa negozio di danaro, m a di anime».32 Domenico
colse con immediatezza che Don Bosco non gli of­
friva solo pane, istruzione e casa, m a soprattutto
un'opportunità di conoscere Gesù e di crescere spi­
ritualmente. La centralità delle «anime» viene riaf­
fermata dai Rettori Maggiori. La commentano don
Rua, don Albera, don Rinaldi. È stata pure raccolta
nella liturgia: «Suscita anche in noi la stessa carità
apostolica che ci spinga a cercare le anime e servire
te, unico e sommo bene».
È dunque da approfondire il significato di que­
sta espressione.
L'interpretazione spirituale della Bibbia offre
una base da cui estrarre un nucleo valido di conte­
nuto: è la distinzione tra le «persone» e la «roba», le
cose. La presenza di Melchisedek e la benedizione
che pronuncia su Abramo conferisce al brano un
particolare senso religioso e messianico, tradizio­
nalmente accettato. Ma sarebbe fuorviante voler
m antenere o cancellare il m otto-program m a di Don
Bosco solo in base ad una interpretazione corretta
della Bibbia. La parola di Dio, infatti, si carica di si­
gnificati nella storia, particolarmente in quella della
santità. E non è questo l'unico caso.
È importante l'interpretazione personale di Don
Bosco, entro la visione religioso-culturale del suo
tempo, e il fatto che essa abbia modellato la sua
vita e la sua esperienza di Dio. Entro tale visione
«ànima» indica la dimensione spirituale dell’uomo,
centro della sua libertà e radice della sua dignità,
spazio privilegiato della sua apertura a Dio, dove si
32 G. BOSCO, Vita di San
Domenico Savio, cap.
Vili

3.3 Page 23

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IL VICARIO DEL RETTOR MAGGIORE (4135) 25
fa sentire e offre lo Spirito.
L’intreccio dei due significati, quello biblico e
quello sviluppato da Don Bosco, avvicinato alla no­
stra cultura, suggerisce scelte molto concrete di
vita e di azione.
In primo luogo, l’amore, la carità pastorale,
prende in considerazione la persona e ad essa si ri­
volge prim a e soprattutto: ne intuisce il valore, so­
prattutto alla luce dell’am ore di Dio Padre, dell’o­
pera redentrice di Gesù, della presenza dello Spiri­
to. Le «cose» vengono dopo, sono di m inor pregio,
hanno anche nel processo educativo una minore
importanza.
Inoltre, la carità che guarda soprattutto alla per­
sona è guidata da una «visione» di essa, cifrata nel­
la parola «anima». La persona non vive di solo pa­
ne; ha, sì, bisogni immediati, m a anche aspirazioni
infinite. Abbisogna di beni materiali, ma soprattut­
to di senso e di valori spirituali. Secondo l’espres­
sione di Agostino: «È fatta per Dio, assetata di lui».
Le «cose», dunque, sono in funzione di questa vo­
cazione unica, per cui il cuore si apre a Dio e capi­
sce che Egli è il suo destino.
Perciò la salvezza che la carità pastorale cerca e
offre è quella piena e definitiva. Tutto il resto viene
ordinato ad essa: la beneficenza si ordina all'educa­
zione; questa all’iniziazione religiosa e cristiana; l’i­
niziazione religiosa alla vita di grazia e alla com u­
nione con Dio.
In altre parole, si può dire che nell'esistenza del­
la persona diamo il prim ato alla dimensione religio­
sa. E lo stesso nell'educazione e promozione non
per proselitismo, ma perché siamo convinti che
essa costituisce la sorgente più profonda della sua
crescita e felicità. Ne curiamo la profondità, il cor­
retto sviluppo ed espressione. In un tempo di seco­

3.4 Page 24

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26 (4138) ATTI DEL CONSIGLIO GENERALE
larismo e di religiosità sbandate, questo orienta­
mento non è senza significato né di facile realizza­
zione.
La massima contiene anche un'indicazione di
m etodo per l’azione: nella formazione o rigenera­
zione della persona bisogna far forza sulle sue risor­
se spirituali: la sua coscienza morale, la sua apertu­
ra a Dio, il pensiero del suo destino eterno. La pe­
dagogia di Don Bosco è una pedagogia dell’anima,
della grazia, del soprannaturale. Quando si arriva
ad attivare questa energia, comincia il lavoro più
proficuo di educazione. L’altro, valido in sé, è
propedeutico e concom itante a questo, che lo tra­
scende.
Ne consegue una priorità nella vita e nell’azione
pastorale, per chi assume 0 «da mihi animas», da
cui sgorga una ascesi: «Lascia il resto». Si deve ri­
nunciare a molto per dedicarsi a piene forze a quel­
lo che si è scelto di preferenza. Ciò in fatto di gusti
personali e anche di legittimi campi di azione che
distrarrebbero tempo e risorse. Si possono affidare
ad altri e anche tralasciare molte attività pur di ave­
re tempo e disponibilità per aprire i giovani a Dio.
«Chi percorre la vita di Don Bosco, seguendo i
suoi schemi mentali ed esplorando le tracce del suo
pensiero, trova una matrice: la salvezza nella chiesa
cattolica, unica depositaria dei mezzi salvifici. Egli
sente come la sfida della gioventù abbandonata, po­
vera, vagabonda svegli in lui l’urgenza educativa di
prom uovere l’inserimento di questi giovani nel
mondo e nella Chiesa mediante metodi di dolcezza
e carità; m a con una tensione che ha la sua origine
nel desiderio della salvezza eterna del giovane.33
Possiamo domandarci che cosa implichi nella
vita quotidiana il «da mihi animas». Implica in pri­
mo luogo, un «cuore» pastorale: la voglia, lo slan­
“ P. STELLA, Don Bosco
nella storia della religio­
sità cattolica, Vol. II,
PAS-VERLAG, Zürich,
1969, p. 13

3.5 Page 25

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IL VICARIO DEL RETTOR MAGGIORE (4137) 27
ciò, il desiderio di lavorare, il trovare gusto nelle
imprese pastorali, l’essere disposto, il donarsi con
animo lieto, il sentirsi attratto da quelli che più
hanno bisogno, il considerare proporzionate tutte
le fatiche, il superare facilmente piccole frustrazio­
ni, il non disertare, il far fronte a rischi e difficoltà
come fossero cose da poco. Il suo contrailo è l’in­
differenza, raffrontare i compiti pastorali come un
obbligo da sbrigare il più in fretta possibile.
Ma oltre al «cuore», il «da mihi animas» postula
il senso pastorale. Il senso pastorale, come il senso
artistico o quello degli affari, è quasi un fiuto, un
movimento spontaneo, un modo di collocarsi rapi­
damente in una situazione dalla prospettiva e dalla
parte di quello che ci preoccupa.
Consiste nel saper giudicar le cose dal punto di
vista della salvezza della persona, nel prendere l'ot­
tica pastorale nella lettura degli eventi, nell’avere
criteri, chiavi o punti di riferimento validi per pen­
sare e im postare u n ’attività, in modo tale che le
persone crescano umanamente e riescano a render­
si consapevoli della presenza di Dio Padre nella loro
esistenza.
C’è poi la capacità pastorale: è una preparazio­
ne professionale specifica, che il «da mihi animas»
richiede, per cui abbiamo im parato e ci perfezio­
niamo nel motivare, istruire, animare, santificare.
Ci rendiam o capaci di capire un contesto, di elabo­
rare un progetto che risponda alle sue urgenze e di
realizzarlo, tenendo conto anche dell’elemento in­
visibile e imponderabile che c ’è sempre nel lavoro
per le anime.
Da ultimo bisogna annoverare anche la creativi­
tà pastorale, cioè quell’atteggiamento mentale e
pratico che porta a trovare soluzioni originali a pro­
blemi e situazioni nuove. Don Bosco concepì un

3.6 Page 26

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28 (4138) ATTI DEL CONSIGLIO GENERALE
progetto per i ragazzi della strada, m entre le par­
rocchie continuavano con il catechismo «regolare».
Subito dopo, quando si accorse che i ragazzi non
erano preparati per il lavoro né protetti in esso,
pensò una soluzione «piccola» e «casalinga» che poi
crebbe: i contratti di lavoro, i laboratori, le scuole
professionali. E così per altri bisogni, come la casa,
l’istruzione.
Don Ceria indica questo tratto come caratteri­
stico dello spirito salesiano: «Il prim o tratto, quello
che più salta agli occhi di tutti è una prodigiosa atti­
vità sia individuale che collettiva».34
M E. CERJA, Annali, c.
CXVII, p. 722
6. «Studia di farti amare»: La pedagogia della bontà
(ACG 290. 326. 310. 332)
Quando si trattò di scegliere u n ’espressione ca­
rismatica da incidere sulla croce del Buon Pastore,
simbolo della professione, cioè del progetto di vita
salesiana, don Viganò scelse la frase di Don Bosco:
«Studia di farti amare».
Abbondano nella nostra letteratura espressioni
come “amore pedagogico”, la “bontà eretta a siste­
m a”, la dolcezza di San Francesco di Sales, la “pe­
dagogia del cuore” . Tutto ciò va ricondotto al siste­
ma preventivo, in particolare a quella costellazione
di atteggiamenti e indicazioni pratiche che si colle­
gano all’amorevolezza. Alla radice c ’è sempre la ca­
rità che cerca la salvezza del giovane, manifestata
mediante un affetto riconoscibile, temperato dalla
ragionevolezza.
La carità pastorale salesiana si è plasm ata «a
contatto con i giovani», nello sforzo di aiutarli a va­
lorizzare la vita, coinvolgendoli nella responsabilità

3.7 Page 27

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IL VICARIO DEL RETTOR MAGGIORE (4139) 29
della propria crescita. Ha dovuto, dunque, instau­
rare un rapporto educativo non solo di rispetto e di­
sciplina ragionevole, m a di amicizia e di fiducia fi­
liale. E ciò specialmente con i ragazzi provati, in si­
tuazioni difficili, dove tale rapporto doveva essere
ricreato e reso di nuovo credibile. L'amorevolezza
o bontà è diventata così forma sostanziale della ca­
rità di Don Bosco. Essa consiste nel suscitare una
corrispondenza che ha una ricaduta sulla proposta
educativa medesima, e sui dinamismi di crescita
del giovane. Per essa, infatti, la proposta educativa
diventa autorevole e i giovani si sentono invogliati a
dare il meglio di sé.
La raccom andazione di Don Bosco «studia di
farti amare» ha, dunque, un valore strategico nella
pedagogia, ma è pure una precisazione caratteriz­
zante dello spirito salesiano. Dà un volto originale a
tutta la Congregazione che appare arricchita col
dono di saper avvicinare i giovani, parlare sulla loro
lunghezza d ’onda, invogliarli in una crescita um a­
na, attirarli verso Dio e la Chiesa.
Se ci si mette ad approfondire questa bontà, si
scorge che va oltre il gesto di simpatia. Presenta
un'articolazione estrem amente robusta di convin­
zioni, atteggiamenti e prassi che impegnano tutta la
personalità.
Nell’ordine degli atteggiamenti profondi com ­
porta l’identificazione con la bontà del Padre «che
guida con paterna provvidenza» (Cost 20) ogni
creatura. Si alimenta della contemplazione di Cri­
sto Buon Pastore che guadagna il cuore con la mi­
tezza e si fa vicino agli umili, agli indigenti, chinan­
dosi sui loro bisogni immediati e accogliendo le
loro richieste imperfette per aprirli a ricchezze su­
periori. Guarda il com portam ento m aterno di Ma­
ria, attenta a sostenere e far crescere l’um anità di

3.8 Page 28

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30 (4140) ATTI DEL CONSIGLIO GENERALE
Cristo affinché la divinità trovi l'adeguata media­
zione storica.
Ciò rende «buono» lo sguardo sull’uomo, sulle
sue possibilità e realizzazioni. Porta a scoprire nella
cultura e nella storia i semi di bene e spinge a colti­
varli con fiducia. Tale sguardo si posa in form a spe­
ciale sulle risorse di ogni giovane. Nessuno è defini­
tivamente perso. Qualunque sia la sua situazione
attuale, ci sono dentro di lui energie che convenien­
temente risvegliate e alimentate possono far scatta­
re la volontà di costruirsi come persona. Ogni gio­
vane, infatti, porta nel suo interno l'im pronta del
disegno di salvezza, nel quale c'è una promessa di
vita piena e felice per ciascuno. «In ogni giovane,
anche il più disgraziato, c'è un punto che opportu­
namente scoperto e stimolato dall'educatore, reagi­
sce con generosità» - affermava Don Bosco.
Ma oltre agli atteggiamenti di fronte alla realtà e
alle persone, la bontà suggerisce com portam enti
nella pratica educativa che secondo una esperienza
assodata generano corrispondenza. L'ha sviluppato
lungamente Don Bosco nella lettera dell’84. Ne ri­
cordiamo tre.
Innanzitutto la capacità di incontro, la prontez­
za all’accoglienza e la familiarità. Il contrario è la
separatezza, la distanza, l'incomunicazione, l'as­
senza. È stato sottolineato che questa era l'arte di
don Bosco: fare il prim o passo, eliminare le barrie­
re e suscitare il desiderio di ulteriori incontri.
Tale esercizio della carità educativa ci fa pensa­
re a due fenomeni attuali: la lontananza fisica di
tanti giovani, la distanza psicologica di altri che pur
sono vicini e dai quali ci separano terni, linguaggio,
gusti e appartenenze. E ci dà l’idea della carica m i­
stica e ascetica che com porta l’entrare in dialogo
con loro.

3.9 Page 29

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IL VICARIO DEL RETTOR M AGGIORE (41411 31
La seconda manifestazione della bontà è dedi­
carsi con pazienza e cura a costruire un ambiente
ricco di um anità, una famiglia dove ci si sente inse­
riti e aiutati, e dove si trova lo spazio per esprim er­
si, m entre si vanno assimilando con gioia i valori
proposti. I Salesiani, come Don Bosco, si rendono
capaci di avvicinare i ragazzi nei luoghi più dispara­
ti; m a spendono anche tem po e forze per animare
una com unità giovanile, caratterizzata da alcuni
tratti, capace di accogliere quanti vogliono farne
parte e offrire loro u n ’esperienza positiva di convi­
venza, responsabilità e impegno. È nell’ambiente
dove la bontà diventa sistema perché ispira l'orga­
nizzazione, il clima, le regole e i ruoli.
Dall'accoglienza e dalla familiarità nasce l'am i­
cizia profonda tra educatori e giovani. Essa provo­
ca la confidenza e crea un rapporto educativo per­
sonale prolungato, che è poi quello che giova vera­
m ente alla crescita. Ciò è per noi stimolo a riflettere
sulla prassi attuale e a sottoporla a verifica per ve­
dere in quale misura arriviamo alla persona.
L'espressione concreta è l'assistenza. Essa viene
intesa come un desiderio di stare con i giovani e
condividere la loro vita. È allo stesso tem po presen­
za fisica là dove i ragazzi si trovano, intescambiano
e progettano e forza morale con capacità di anima­
zione, stimolo e risveglio. Assume il doppio aspetto
della preventività: proteggere da esperienze negati­
ve precoci e sviluppare le potenzialità della persona
attraverso proposte positive. Stimola con motiva­
zioni ispirate alla ragionevolezza (vita onesta, at­
traente senso dell’esistenza) e alla fede, m entre raf­
forza nei ragazzi la capacità di risposta autonoma
al richiamo dei valori.
L'amicizia-assistenza sfocia in un'altra manife­
stazione singolarissima del rapporto educativo che

3.10 Page 30

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32 (4142) ATTI DEL CONSIGLIO GENERALE
nasce dalla bontà: la paternità. Essa è più che l’a­
micizia. È una responsabilità affettuosa e autorevo­
le che offre guida e insegnamento vitale ed esige di­
sciplina e impegno. È amore e autorità.
Si manifesta soprattutto nel saper parlare al
cuore, in maniera personalizzata e personalizzante,
perché si attingono le questioni che attualm ente oc­
cupano la vita e la mente dei giovani; saper parlare
loro col linguaggio adatto in modo tale da toccare
la coscienza e formarli in una sapienza con cui af­
frontare problemi presenti e futuri. In una parola,
la paternità si manifesta nell'insegnare l’arte di vi­
vere secondo il senso cristiano.
7. L’estasi dell’azione
(ACG 332. 338)
È il versante interiore del da m ihi animas.
Porta a «capire a fondo la sua intensità orante».35 * cf. ACG 338, p. 14
Definisce il luogo e lo stile della contemplazione sa­
lesiana, il m om ento culminante della sua unione
con Dio.
L'espressione risale a San Francesco di Sales.
Egli intende l’estasi come il traguardo a cui deve
arrivare l’orazione mentale: far uscire da sé, anche
serenam ente, m a in modo che Dio ci attiri e ci in­
nalzi a sé. E questo chiama estasi in quanto per suo
mezzo siamo come portati al di sopra di noi stessi.
Egli enum era tre tipi di estasi: «una riguarda l'intel­
letto; im a seconda l'affetto; una terza l’azione»,
«l’estasi della vita e dell’azione» corona le Elitre due
le quali, senza di essa, rim arrebbero incompiute.
«Non c ’è stato mai santo che non abbia avuto l’e­
stasi o il rapim ento della vita e dell’azione, superan-

4 Pages 31-40

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4.1 Page 31

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IL VICARIO DEL RETTOR M AGGIORE (4143) 33
34 San Francesco di Sales,
Trattalo dell'Amore di
Dio, I, VII, cap. 7, Ed.
Paoline 1989, p. 527; cf.
ACG 338, p. 15-16
do se stesso e le proprie inclinazioni naturali».36
A questo tipo di contemplazione, che fonde la
preghiera e l’azione, orientando entram be alla mis­
sione di salvezza, mediante il compimento della vo­
lontà di Dio, si riferiscono sovente Don Bosco e i
suoi successori con altre espressioni: unione con
Dio, senso costante della sua presenza, vita interio­
re, attività santificata dalla preghiera.
Ma è stato don Rinaldi a ricuperare e m ettere in
luce l ’espressione di san Francesco di Sales. Nella
strenna alle Figlie di Maria Ausiliatrice per l'anno
1931, sulla vita interiore di Don Bosco, le esortava a
realizzare in sé una sintesi vitale tra l’operosità di
M alta e la contemplazione di Maria. Affermava che
si tratta di «una vita interiore semplice, evangelica,
pratica, laboriosa». «Don Bosco - spiegava - ha im­
medesimato alla massima perfezione la sua attività
esterna, indefessa, assorbente, vastissima, piena di
responsabilità, con una vita interiore che ebbe prin­
cipio col senso della presenza di Dio... e che un po'
per volta diviene attuale, persistente e viva così da
essere perfetta unione con Dio. In tal modo h a rea­
lizzato in sé lo stato più perfetto, che è la contem­
plazione operante, l'estasi dell’azione, nella quale si
è consumato fino all’ultimo, con serenità estatica,
17 ACS 6 aprile 1929, n. 48, alla salvezza delle anime».37
p. 733-734
Tale sarebbe l ’interpretazione salesiana del
«contemplativo nell’azione» di origine gesuita, ri­
portato nell'art. 12 delle Costituzioni.
Ma spiegati l'origine e il senso della espressione,
ci possiamo dom andare sulla sua portata pratica.
Essa comprende quattro aspetti: un cammino di
preghiera, una forma di azione, una forza unifican­
te di entrambe, il m om ento tipico della contem pla­
zione.
L’unione con Dio è la vera m eta della preghiera.

4.2 Page 32

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3 4 (4144) ATT! DEL CONSIGLIO GENERALE
Questa, oltre al dialogo occasionale, intende radica­
re in noi l’am ore che ci fa sentire e desiderare Dio.
L’unione con Dio ha molti gradi, incomincia fragile
e con carenze, m a cresce a poco a poco; è una luce
che aum enta come l'alba del giorno.38 È im a meta,
non certam ente del solo sforzo umano, che richie­
de la risposta sempre più lucida e consapevole a un
dono.
In quanto meta, suppone un cammino. La sola
generosità nell'agire non la produce né la sostitui­
sce. Donde la convinzione che la preghiera salesia­
na, com e tutte le altre forme, «esige spazi propri e
distinti dalle attività lavorative, interamente dedica­
ti al dialogo diretto con Dio»,39 secondo modalità
consentanee alla nostra vita, che sono indicate nelle
Costituzioni. È una preghiera semplice, ma assidua
e intensa: le sue espressioni sono prese dalla litur­
gia, dalla pietà popolare. Non ha tratti spettacolari
o fortemente emotivi; e ciò forse delude qualcuno;
si concentra sull'identificazione con la volontà sal­
vifica di Dio. Tutte le sue espressioni convergono su
un atteggiamento fondamentale: l’ascolto di quella
parola di Dio che è Gesù Cristo, contemplato da noi
com e Buon Pastore. La sua luce, il suo cuore, il suo
mistero incontrano in noi le invocazioni del mondo,
le prove dei giovani, le domande di salvezza. Il cul­
mine di questo incontro è il «memoriale» di Gesù
che ricorda e attualizza il suo am ore al Padre e la
sua dedizione per il mondo: l’Eucaristia. M entre la
sua conseguenza è il desiderio di conversione per
configurarsi a Cristo che dà la vita per gli uomini.
L’azione, d ’altra parte, non è qualsiasi, sorretta
solo dalla generosità o anche dalle buone intenzio­
ni. Così come la contemplazione, che in essa si in­
nesta, non consiste in un fluire di pensieri soggettivi
di tipo religioso, m a nel cogliere l ’azione di Dio nel
31 cf. San Francesco di Sa­
les, Trattato dell’amor di
Dio, I, VII, cap. 6, p. 523­
524; ACG 338, p. 18
» ACG 338, p. 28

4.3 Page 33

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IL VICARIO DEL RETTOR MAGGIORE (4145) 35
mondo e nella vita, aiutati dalle mediazioni stori­
che. Su questa linea almeno orienta la preghiera
evangelica specialmente il Magnificat. Per il sale­
siano dunque si tratta di un'azione di natura pasto­
rale educativa, e com unque nell’area della carità,
sotto una molteplicità infinita di forme e desti­
natari.
Ma ciò non basta. L’azione coinvolge tutta la
nostra persona, non le è esterna. C’è dunque una
qualità dell'azione che si radica nel cuore stesso di
colui che agisce: è l’essere e sentirsi in Cristo come
il tralcio nella vite. Egli è consapevole che la sua
azione è partecipazione e collaborazione a quella
misteriosa del Padre, sotto l'ispirazione dello Spiri­
to Santo. Assume perciò i criteri pratici di Cristo
quanto a modalità, finalità, priorità.
Tra lo stile di preghiera e tale tipo di azione si dà
una vicendevole compenetrazione, pur m antenen­
do ciascuna tempi e forme specifici. Il pregare per­
vade l’agire. L’azione si introduce nella preghiera
come gratitudine, intercessione, desiderio di salvez­
za, sofferenza. Così appare nella preghiera sacerdo­
tale di Cristo. A questa vicendevole permeazione ci
orienta l’articolo 95 delle Costituzioni: «Immerso
nel mondo e nelle preoccupazioni della vita pasto­
rale, il salesiano im para a incontrare Dio attraverso
quelli a cui è mandato. Scoprendo i frutti dello Spi­
rito nella vita degli uomini, specialmente dei giova­
ni, rende grazie in ogni cosa; condividendo i loro
problemi e sofferenze, invoca per essi la luce e la
forza della Sua presenza».
E il punto unificante di entram be è proprio l’in­
tensità dell’am ore che porta a spendersi per la sal­
vezza delle persone seguendo le strade indicate dal
Padre al seguito di Cristo.
Tutto questo fa sì che il m om ento tipico della
3»

4.4 Page 34

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36 (4146) ATT! DEL CONSIGLIO GENERALE
contemplazione, dell’estasi in cui Dio ci attira a sé
con maggior forza sia quello in cui agiamo collabo-
rando con Lui.
Lo esprime il CG23 : «Educare i giovani alla fede
è per il salesiano lavoro e preghiera. Egli è consape­
vole che impegnandosi per la salvezza della gioven­
tù fa esperienza della paternità di Dio “che previe­
ne ogni creatura, l’accompagna con la sua presen­
za e la salva donando la vita”. Don Bosco ci ha in­
segnato a riconoscere la presenza operante di Dio
nel nostro impegno educativo, a sperimentarla
come vita e amore»... «Noi crediamo che Dio ci sta
attendendo nei giovani per offrirci la grazia dell’in­
contro con Lui e per disporci a servirlo in loro, ri­
conoscendone la dignità e educandoli alla pienezza
della vita. Il m om ento educativo diviene così il luo­
go privilegiato del nostro incontro con Lui».40
Noi godiamo col giovane che si supera, rendia­
mo grazie di fronte ai propositi generosi, rimania­
mo am m irati della strada che la grazia percorre in
alcuni, soffriamo con coloro che sono provati. Ogni
situazione ci tocca come toccava Gesù: Ebbe com­
passione..., lo guardò e gli disse..., stese la mano.
Nell'azione medesima, quindi, irrompiamo in
invocazioni concentrate, non sem pre formali, alla
stregua di Gesù: «In quello stesso istante Gesù esul­
tò nello Spirito e disse: Io ti rendo grazie, o Padre,
Signore del cielo e della terra, che hai nascosto
queste cose ai dotti e sapienti e le hai rivelate ai pic­
coli» (Le 10, 21).
* CG23, n. 94-95

4.5 Page 35

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IL VICARIO DEL RETTOR MAGGIORE (4147) 37
8. La grazia di unità
(ACG 312. 330. 332. 334. 337. 342. 346. 352)
Quello della “grazia di unità” è stato un tema
scelto non poche volte da don Viganò come filo
conduttore e punto sintesi nella predicazione di
41 cf. Interioridad apostòli­
ca - Reflexiones sobre la
grada de unidad, Argén*
tina 1988
esercizi spirituali.41
Resta una delle chiavi decisive per interpretare
e realizzare in m aniera arm onica e completa la fi­
sionomia della spiritualità e della vita salesiana.
L’espressione è nata nel CGS 20 per risolvere la po­
larità tra le esigenze della vita religiosa comunitaria
e quelle della missione tradotta in u n ’azione pasto­
rale aperta e creativa. «Lo Spirito Santo - dice il
CGS - chiam a il salesiano ad u n ’opzione di esisten­
za cristiana che è simultaneamente apostolica e re­
ligiosa. Gli dona perciò la grazia di unità per vivere
il dinamismo dell’azione apostolica e la pienezza
della vita religiosa in un unico movimento di carità
« CGS, 127
verso Dio e verso il prossimo».42
Altre tensioni si possono riscontrare nella vita
del salesiano, connaturali al suo progetto di esisten­
za evangelica: lavoro e contemplazione, professio­
nalità educativa e mentalità pastorale, corretta lai­
cità per gli ambiti in cui lavora e sforzo di evange­
lizzazione, inserimento nel mondo e ascesi, creati­
vità individuale e progettazione com unitaria, vici­
nanza ai giovani e testimonianza di valori, collabo­
razione nella Chiesa e appartenenza ad una comu­
nità carismatica.
Lo specchio nel quale vedere queste tensioni e
la loro armonizzazione, senza indebite mortificazio­
ni, è Don Bosco. Le Costituzioni (cf. Cost 21) lo de­
scrivono come profondamente uomo e simultanea­
m ente uomo di Dio, aperto alle realtà terrestri e ri­

4.6 Page 36

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38 (4148) ATTI DEL CONSIGLIO GENERALE
colmo dei doni dello Spirito, capace di camminare
tra le vicende di questo m ondo e vivendo «come se
vedesse l’invisibile». E ci presentano, in un cre­
scendo, l’accordo tra natura e grazia, l’armonia
che si andò creando tra le sue sane tensioni e final­
m ente la fusione di tutte «in un progetto di vita for­
temente unitario».
L’unità è una grazia inclusa nella chiam ata alla
vita salesiana che com porta, come ogni forma di vi­
ta, uno sviluppo unitario. Lo Spirito Santo infonde
il desiderio, il gusto e l’energia per vivere la voca­
zione salesiana nella sua totalità come una forma di
esprimere la filiazione divina nostra e dei giovani.
Ma l’unità è anche il frutto di una risposta del sale­
siano, delle comunità e della stessa Congregazione.
Richiede attenzione, discernimento, radicalità, re­
visione, conversione. Si tratta di far convergere tu t­
to sul progetto: intelligenza, rapporti, piani di azio­
ne, tempo, qualifiche, affetti, arginando la disper­
sione. L’unità non è infatti qualche cosa di dato o
prefabbricato, ma è una realtà umana e spirituale
in consapevole e permanente costruzione verso una
maggiore ricchezza della persona, della comunità,
del progetto apostolico.
Ripercorriamo i diversi ambiti dove abbiamo già
sperimentato questa grazia e ne vediamo emergere
continuam ente la necessità perché vi appaiono
sem pre nuove sfide.
La grazia di unità orienta il rinnovam ento della
nostra Congregazione mediante il ritorno alle fonti
carismatiche oltre la materialità degli avvenimenti
storici delle origini. Incoraggia ad accogliere con
pienezza l’autentica tradizione salesiana e a m etter­
la in correlazione con ciò che il medesimo Spirito
viene operando nel cuore dei giovani e suggerendo
alla sua Chiesa. Lo Spirito che ieri si è fatto presen­

4.7 Page 37

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IL VICARIO DEL RETTOR MAGGIORE (4149) 39
te in Don Bosco è il medesimo che parla oggi ai Sa­
lesiani docili e attenti. Chiunque sia chiamato a di­
scernere deve assumere questo criterio di interpre­
tazione per com prendere ciò che lo Spirito dice
oggi ad ogni Istituto religioso.
La grazia di unità presiede nella Chiesa e negli
Istituti religiosi alla sintesi dell'elemento istituziona­
le con l’elemento profetico. Fa da ponte fra questi
due aspetti che non possono restare contrapposti,
né nella vita della Chiesa, né nella vita della Con­
gregazione, né nell’esistenza del singolo salesiano.
È infatti il medesimo Spirito che ispira le strutture
essenziali per la vita della Chiesa e le espone, per
così dire, all'impatto della profezia per mantenerle
capaci di aprirsi al nuovo e ristrutturarsi dal di den­
tro come un corpo vivente.
Spaccature, lacerazioni, contrapposizioni di­
struttive evidenziano mancanza di accoglienza di
un dono di Dio che va continuam ente messo a
frutto.
È nello Spirito e con la grazia di unità che si
compongono anche le tensioni che possono sorgere
tra carisma e autorità, tra obbedienza e comu­
nione nella Chiesa e nella comunità religiosa. Tale
grazia infatti alimenta in noi la sincera preoccupa­
zione per l'unità ecclesiale; ci porta a sentire la no­
stra originalità carismatica e pastorale come un
dono per la Chiesa, a coltivare la comunione coi ve­
scovi e col successore di Pietro, ad ascoltare gli
orientamenti e la vita della Chiesa, ad aprirci dai
valori um ani all’incontro con ogni esperienza reli­
giosa ben ispirata, a tentare ogni strada per fare la
verità dentro la carità anche a livello di esperienza
umana.
Nella vita dei Salesiani singoli e delle comunità,
infine, la grazia di unità porta al superamento posi­

4.8 Page 38

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40 (4150) ATTI DEL CONSIGLIO GENERALE
tivo, in avanti e dall’alto delle tensioni cui è sotto­
messa la loro esistenza. Come ebbe a dire Giovanni
Paolo II nel CG23 «assicura l’inseparabilità vitale
tra unione con Dio e dedizione al prossimo, tra in­
teriorità evangelica e azione apostolica, tra cuore
orante e mani operanti».43
« CG23, n. 332
Per essa non c ’è autentico am ore di Dio che non
si traduca, per intim a am orosa necessità, in gene­
roso am ore per l’uomo. Né si dà vero am ore per
l’uomo che non spinga a levare lo sguardo verso
Dio per chiedere alla sua forza il compimento di
ogni cammino e di ogni desiderio.
Così l’azione include la dimensione contemplati­
va e questa unisce armoniosamente la preghiera,
l’impegno pastorale e la sofferenza apostolica. «La
preghiera, l’azione, la passione - dice don Viganò -
si riferiscono insieme e vitalmente a due poli: non
c ’è mai Dio senza l’uomo; non c ’è mai l’uom o sen­
za Dio».44
Dove tale grazia non opera, il desiderio della
preghiera può portare verso intimismi, separazioni
dalla comunità o dal servizio pastorale; la spinta
41 Discorso conclusivo del
Simposio della Famiglia
Salesiana su Don Bosco
Fondatore, ACG 329, p.
44
apostolica trascina verso azioni individualistiche e
disorganiche; l’evangelizzazione si limita a gruppi
selettivi e a contenuti rigidamente religiosi; la pro­
fessionalità educativa porta verso l’inespressività
della fede.
Don Bosco - osserva don Viganò - «contempla
sem pre Dio, in quanto è il più grande innam orato
dell’uom o».45 E la grazia di unità vuole sottolineare
l’unità profonda, che deriva - al cuore e all’azione
dell’apostolo - dal contem plare Dio innam orato
45 Don Bosco, attualità di
un magistero pedagogi­
co, LAS, Roma, 1987,
Presentazione, p. 12
dell'uomo.

4.9 Page 39

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« cf. CG21, n. 80
* ib. n. 81
IL VICARIO DEL RETTOR MAGGIORE (4151) 41
9. Educare evangelizzando, evangelizzare edu­
cando
(ACG 290. 296. 337. 343)
La grazia di unità intende porre rimedio al ri­
schio di fratture dentro il cuore e la vita del salesia­
no, di cui sono segno dicotomie di varia natura. Ma
intende anche rispondere ad un altro pericolo oggi
incombente: quello del divorzio tra evangelizzazio­
ne ed educazione. Il tem a è im portante. L’educa­
zione della gioventù, infatti, non solo non è di fatto
vincolata alla evangelizzazione, ma ne viene da al­
cuni di proposito separata, perché considerata un
settore culturale con sviluppo autonomo. Di conse­
guenza c ’è anche chi cerca risultati sul fronte del­
l’evangelizzazione, m a tende a ridurre questa al­
l’ambito catechistico rivolgendola solo a gruppi ri­
dotti. Occorre invece promuovere educando, edu­
care evangelizzando, santificare educando.
Che l’azione salesiana comprendesse i due
aspetti, educazione ed evangelizzazione, che guar­
dasse all’orizzonte umanistico e a quello sopranna­
turale; che fosse una sintesi di processi di prom o­
zione umana e insieme di approfondimenti della
vita cristiana, l’aveva affermato ripetutam ente il
CG21,46 Di queste due dimensioni aveva ribadito
l’interna reciproca lievitazione fino a costituire un
unico progetto con percorsi e traguardi diversi ade­
guati ai singoli. Per descrivere tale l’unità lo stesso
Capitolo coniò espressioni come «promozione inte­
grale cristiana», «umanesimo salesiano integrale»
«educazione liberatrice cristiana».47 O, riprendendo
le formule semplici di Don Bosco, propose di for­
m are il buon cristiano e l’onesto cittadino mediante
la crescita in sanità, sapienza e santità. Sulla mede­
sima linea si è mosso il CG23, integrando in un uni­

4.10 Page 40

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42 (41S2) ATTI DEL CONSIGLIO GENERALE
co itinerario le esperienze um ane del giovane e il
senso evangelico e facendone uno stile tipico di
santità giovanile.
Per riuscire a rendere operativa questa intenzio­
ne in ogni contesto e iniziativa si richiede non solo
professionalità e tecnica m a spiritualità. «Di fatto,
nella mente di Don Bosco e nella tradizione salesia­
na il Sistema preventivo tende sempre di più a iden­
tificarsi con lo spirito salesiano: è insieme pedago­
gia, pastorale e spiritualità che associa, in u n ’unica
esperienza dinamica, educatori (come singoli e
come comunità) e destinatari, con atteggiamenti e
com portam enti nettam enti caratterizzati».48
La distinzione, l’interrelazione, la fusione esi­
stenziale delle due dimensioni presenta esigenze a
diversi livelli.
Un prim o livello è quello della m entalità degli
educatori. Alla radice della loro visione educativa
devono agire alcuni convincimenti: l'esem plarità di
Cristo che nella persona divina assume e trasforma
l’um ano, la vocazione di ogni uomo a diventare ar­
m oniosamente e unitariam ente figlio di Dio e figlio
dell’uomo, il bisogno della grazia per realizzare in
pienezza la propria umanità; la rivelazione come
svelamento del senso dell’esistenza um ana perché
illumina l’origine e il destino dell’uom o e ne sorreg­
ge il cammino. E d ’altra parte il valore della espe­
rienza um ana, l’invocazione che si nasconde nelle
domande giovanili e negli avvenimenti storici, la
valenza teologale dei cammini educativi attraverso i
quali passa normalmente la grazia della redenzione
che genera l’uom o nuovo.
Se da una parte si riconosce esplicitamente il
contributo sostanziale che grazia e rivelazione dan­
no per la crescita dell’uomo, dall’altra si tiene desta
l’attenzione verso la situazione del destinatario, per
« CG21, n. 96

5 Pages 41-50

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5.1 Page 41

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IL VICARIO DEL RETTOR M AGGIORE (4153) 43
imboccare i sentieri della pazienza quotidiana, della
gradualità che accetta di muoversi a misura di ra­
gazzo,
C’è poi un secondo livello: quello dell’esperien­
za personale dell’educatore. Nella sua m ente si
opera per primo la sintesi tra cultura e Vangelo,
quando egli sa collocarsi di fronte a fatti di esisten­
za e correnti culturali valutandoli conformemente a
criteri evangelici per assumere il positivo, contesta­
re l’ambiguo e correggere il negativo. È nella sua
esistenza che si va facendo l’integrazione tra fede e
vita con la valorizzazione di tutto quanto è umano,
nobile e buono e allo stesso tem po con l’apertura
alle prospettive insolite di Cristo.
C’è poi il livello della prassi educativo-pastorale,
dove i processi di educazione ed evangelizzazione
non si giustappongono né si impostano come cam ­
mini successivi reciprocam ente esclusivi. Non si de­
legano a responsabilità distinte e incomunicanti.
Semplicemente si educa, m a da credenti. Si evan­
gelizza, m a da educatori secondo la situazione dei
giovani. Le due cose le fanno tutti singolarmente e
in comunità, perché si tratta di comunicazione di
vita piuttosto che di ruoli o di compiti didattici. Le
due dimensioni si congiungono in forma libera e
variabile, perché comprendono la testimonianza
degli educatori, i suggerimenti dell’ambiente, l’a­
scolto degli interrogativi dei giovani, la disponibilità
al dialogo. Così come sull’altro versante, quello del­
l’evangelizzazione, senza ordine rigido vengono of­
ferti l’annuncio evangelico, la proposta di fede, il
cammino catechistico, la vita nella grazia, l'impe­
gno, la spiritualità.
Da ultimo, c ’è il livello dell'organizzazione che a
questa unità deve anche ispirarsi assicurando l’i­
dentità cristiana e il carattere educativo della strut­

5.2 Page 42

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4 4 (4154) ATTI DEL CONSIGLIO GENERALE
tura e dei progetti. Non importa se tale identità non
si può proporre ancora in forma esplicita e totale
(come nei paesi in cui la maggioranza dei giovani
professano religioni diverse) o la si esprime solo nei
suoi elementi più semplici (come in molte forme di
ricupero). Im portante è che non sia solo formale o
istituzionale, m a diventi operante e raggiunga il
cuore delle persone e illumini le questioni di vita e
di cultura. Solo così infatti il Vangelo diventa profe­
zia, fonte di gioia ed energia.
Nella lettera sul Progetto Educativo Pastorale,
don Egidio Viganò, per conservare l’identità evan­
gelizzatrice delle iniziative educative raccomandava
di m antenere chiaro il fine ultimo dell'educazione
secondo lo stile di Don Bosco. Ogni fine intermedio
nella mente del salesiano viene ordinato al compi­
mento della vocazione del giovane che è la cono­
scenza e comunione con Dio. Per questo bisogna
orientare positivamente tutto il processo educativo
a Cristo, scavando nel significato delle esperienze
um ane e portando ad esse la luce del Vangelo. Gio­
va perciò attivare la coscienza critica su valori e
correnti di pensiero, in u n ’ora di pluralismo come è
l ’a ttu a le .
Simultaneamente, per assicurare lo stile educa­
tivo nella nostra opera di evangelizzazione egli indi­
ca la sollecitudine positiva per le aree, iniziative e
istituzioni culturali. Esse, anche se offrono oggi
una possibilità di evangelizzazione diversa dal pas­
sato, ci mettono sul terreno fecondo dell'umano
che è naturalm ente aperto alla parola di Dio. Biso­
gnerà dunque legare profondam ente il Vangelo con
la cultura e, possiamo aggiungere, la fede con i pro­
blemi della vita e viceversa. Ed è proprio ciò che
postula un senso realista della gradualità e la con­
cretezza delle mediazioni educative, come la com u­

5.3 Page 43

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IL VICARIO DEL RETTOR MAGGIORE (4155) 45
nità, il piano di attività, la testim onianza e la parola
degli educatori.
10. Immacolata Ausiliatrice
(ACG 289. 309. 322)
" cf. ACS 289, p. 29
w cf. ACS 289, p. 30
Ogni volta che nasce un carisma, come in tutte
le iniziative dello Spirito Santo, è interessata la m a­
ternità di Maria. Ma nella nostra esperienza storica
ciò appare in forma singolare fino a non poter con­
cepire la formazione della nostra prassi pastorale
senza la presenza di Maria, né il m aturare della no­
stra spiritualità senza la contemplazione della sua
figura. La devozione all'Ausiliatrice risulta un fatto­
re integrante del fenomeno salesiano, entra a far
parte vitale della sua totalità in modo tale che sa­
rebbe assurdo isolare l’uno dall’altro. C'è uno stret­
tissimo interscambio vitale, u n ’intim a vincolazione,
un profondo rapporto sia con la missione salesiana
che con lo spirito del nostro carism a.49 Se essa è al­
l’origine dell’itinerario di Don Bosco come grazia, è
pure il punto terminale del suo cam mino di cresci­
ta, la m aturità del suo vasto progetto apostolico, la
sintesi concreta delle varie componenti della spiri­
tualità e la fonte vitale del suo dinamismo e della
sua fecondità.50
Ciò ha le sue ragioni ultime nell’avvenimento di
Cristo e nella nostra appartenenza alla sua comuni­
tà, la Chiesa, attraverso la fede. Infatti è dalla vetta
pasquale e dalla prospettiva della risurrezione,
quella di Cristo e quella nostra, che noi guardiamo
la nostra relazione con la Vergine Maria, Madre di
Dio. A partire dall’annunciazione si è creato un
rapporto di maternità fra Maria e Gesù che non vie­

5.4 Page 44

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46 (4156) ATTI DEL CONSIGLIO GENERALE
ne meno, m a si trasfigura nel mom ento in cui Egli
assume la sua missione e compie la sua morte. E
così la m aternità di Maria acquisisce nuovi signifi­
cati nel momento redentivo per eccellenza, nella
vita della Chiesa e nella sua assunzione al cielo.
«Credere nella risurrezione, e affermare che Maria
è, con il suo Figlio, assunta in cielo non significa
che Essi vivono su un astro lontano, da cui potreb­
bero raggiungere la terra con qualche viaggio
straordinario da astronauti; significa invece che
sono veram ente vivi, presenti ed operanti nel no­
stro mondo attraverso la nuova realtà pasquale del­
la Risurrezione».51
La rivelazione di questo mistero viene mediata
per noi dall’esperienza spirituale di Don Bosco e
dagli avvenimenti che sono all’origine del carisma
salesiano. In essi Maria appare come una presenza
emergente percepita e accolta, come una mediazio­
ne m aterna costante, fino a venir indicata come la
«Maestra» della nostra prassi educativa e della no­
stra vita spirituale.
La vocazione viene rivelata a Don Bosco me­
diante l’intervento e la parola di Maria. Della sua
missione Ella gli indica il campo, la finalità, il m eto­
do. Ne diventa l’ispiratrice. Così la sua opera giova­
nile nascerà il giorno dell’im m acolata e crescerà
puntellata da coincidenze e avvenimenti di signifi­
cato m ariano che avvengono dentro le m ura dell’o­
ratorio e nello spazio più grande della Chiesa. L’e­
sperienza oratoriana sfocia nella Congregazione sa­
lesiana, Valdocco culmina nel santuario; il riferi­
mento all’im m acolata si arricchisce con quello di
Ausiliatrice. Don Bosco, conoscitore diretto di tutta
l’evoluzione, vede il filo che collega le diverse fasi:
«Tutto ha fatto Lei». E anche per il futuro è sicuro
che: «La Santa Vergine continuerà a proteggere la
51 ACS 289, p. 6

5.5 Page 45

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IL VICARIO DEL RETTOR M AGGIORE (4157) 47
nostra Congregazione e le opere salesiane, se noi
confermeremo la nostra fiducia in Lei e continuere­
52 Dal «Testamento spiri­ m o a prom uovere il suo culto».52
tuale» di Don Bosco; cf.
L’esperienza di Don Bosco porta a fissare lo
ACG 337. 339
sguardo sulla persona viva di Maria mediante due
rappresentazioni o titoli in cui vediamo particolari
significati. L’Im m acolata parla della presenza fe­
condante dello Spirito, della disponibilità al proget­
to di Dio, della rottura col peccato e con tutte le
forze che lo sostengono, della totalità della consa­
crazione. Nell’oratorio ispirò l’apertura al sopran­
naturale, la pedagogia della grazia, la delicatezza di
coscienza, gli aspetti m aterni dell’accom pagnam en­
to educativo. Lasciò il segno nella festa dell’im m a­
colata, nella Compagnia dell’im m acolata una spe­
cie di prova della Congregazione salesiana, nel tipo
di santità di Domenico Savio, che appare oggi
come l ’antesignano della spiritualità giovanile sale­
siana.
U n’altra costellazione com plementare di signifi­
cati si concentra attorno all’Ausiliatrice. Essa ricor­
da la maternità di Maria riguardo a Cristo e alla
Chiesa, il sostegno di Maria al popolo di Dio nelle
vicende storiche, la sua collaborazione nell’opera di
salvezza e, di conseguenza, la sua funzione nell’in­
carnazione del Vangelo tra i popoli («Stella dell’e­
u cf. EN, 82
vangelizzazione»)53, la mediazione della grazia per
ogni cristiano e comunità.
Infonde in noi il senso della Chiesa, l’entusia­
smo per la missione, l’audacia apostolica che ebbe
la sua manifestazione nella costruzione del Santua­
rio e nelle partenze missionarie, la capacità di con­
gregare forze per il Regno, evidenziata dal sorgere
della Famiglia Salesiana.
Entrambe le ottiche, quella dell’im m acolata e
quella dell’Ausiliatrice, ci danno come u n ’icona

5.6 Page 46

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48 (4158) ATTI DEL CONSIGLIO GENERALE
della nostra spiritualità, che stimola alla carità pa­
storale, all’interiorità apostolica. La missione di
Maria, infatti, comincia con u n ’apertura allo Spiri­
to, muove dalla fede e si nutre, come appare nel
Magnificat, della contemplazione degli avvenimenti
della salvezza. Si esprime e si sviluppa poi in un
servizio incondizionato alla crescita di Cristo, della
comunità cristiana, del mondo.
È dunque per noi richiamo e stimolo a sviluppa­
re le due dimensioni in stretta unità e vicendevole
comunicazione. Lei infatti unisce la verginità e la
maternità; nel suo grembo il divino si congiunge
con l’umano; generando Gesù uomo, viene ad esse­
re genitrice di Dio. Educare Gesù vorrà dire creare
le condizioni um ane perché il Verbo abbia piena
espressione tem porale e si radichi nell'um anità.
Contemplazione e azione vanno in Lei dunque non
solo di pari passo, m a consapevolmente fuse. Il sì al
Padre è sempre un sì per la salvezza del mondo.
«La grazia di unità in noi ha un indispensabile
aspetto m ariano, che illumina l’interiorità apostoli­
ca e l'accompagna nella sua crescita. Sarebbe m an­
canza di obiettività riflettere sulla nostra consacra­
zione religiosa, senza fissare l’attenzione nella pie­
nezza interiore e nella m aternità di Maria».54
Fatti salvifici e vicende carismatiche, dunque,
immettono ciascun salesiano in un ambito dove
Maria già è presente come Madre. Come ne espri­
miamo la consapevolezza e l ’accoglienza?
In prim o luogo coltivando con Lei una relazione
personale, che si fonda nella meditazione degli av­
venimenti salvifici, della loro luce e significato: l’an­
nunciazione, Cana, il Calvario, la Risurrezione, il
cenacolo; si alimenta con l’attenzione alla vita ec­
clesiale, dove si sente la sua presenza; si esprime
nell’atteggiamento filiale che ispira le diverse prati­
H cf. Inlerioridad apostòli­
ca, p. 82

5.7 Page 47

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IL VICARIO DSL RETTOR MAGGIORE (4159) 49
che mariane. Dicono al riguardo le nostre Costitu­
zioni: «Nutriamo per Lei una devozione filiale e for­
te» (Cost 92).
Ma la relazione personale si riversa sull’impe­
gno educativo e dà a questo il suo colore salesiano.
Sul versante della proposta educativa porta verso
l’attenzione alla vita di fede e di grazia, alla quale
Maria genera ogni giovane; suggerisce di iniziare i
giovani ai rapporti filiali con Dio che si manifestano
nella pronta risposta alle sue ispirazioni e nel senso
del peccato; infonde fiducia nella misericordia del
Padre e nella forza redentrice di Cristo.
Sul versante del metodo, M aria suggerisce l’as­
sistenza piena di comprensione, il sostegno alla vita
che cresce, la capacità di coltivale i germi, la spe­
ranza. La fusione di entram bi costituisce il sistema
preventivo, che è nato e cresciuto alla scuola spiri­
tuale di Maria: «Ispirato da Maria, che gli fu Mae­
stra, Don Bosco visse nell’incontro con i giovani del
prim o oratorio u n ’esperienza spirituale ed educati­
va che chiamò sistema preventivo» (Cost 20).
Da ultimo c ’è il campo della pastorale popolare.
Comporta l’attenzione all’esperienza religiosa, la
cura della pietà mariana, l’ascolto delle invocazioni
del popolo di Dio, inteso in senso ampio. Bisogna,
in primo luogo, rendersi capaci di percepire le sue
ansie e speranze; suscitare e poi sostenere la fede
mediante espressioni incarnate nella sua cultura.
Nei contesti popolari i Salesiani educano la gioven­
tù, si impegnano nell’evangelizzazione, appoggiano
la promozione, collaborano alla cultura. Promuo­
vono dunque la devozione a Maria, attenti a quat­
tro prospettive: valorizzare il patrim onio di religio­
sità popolare e i valori umani e cristiani che essa
porta; assumere la svolta culturale odierna che sug­
gerisce di illuminare i nuovi interrogativi sulla per­

5.8 Page 48

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50 (4160) ATT! DEL CONSIGLIO GENERALE
sona, sul ruolo della donna, sui fondamenti e la
funzione della fede e altri simili; ispirarsi agli orien­
tamenti del Concilio Vaticano II, che proclama, nel
contesto attuale, il messaggio evangelico su Maria;
mettere in atto mediazioni catechistiche, culturali e
celebrative per radicare nel popolo il senso della
presenza di Maria.
Ci sono tre raffigurazioni della sintesi che abbia­
mo esposto. La prima è un fatto storico: la costru­
zione della Basilica di Valdocco; la seconda è una
rappresentazione pittorica: il quadro dell'Ausiliatri-
ce all’altar maggiore, i cui motivi sono stati suggeri­
ti dallo stesso Don Bosco; la terza è la preghiera di
affidamento che recitiamo ogni giorno: Immacola­
ta Vergine Ausiliatrice, Madre della Chiesa.
***
La spiritualità, che risulta da queste energie in­
teragenti, viene concentrata da don Viganò nell’e­
spressione «cuore oratoriano». Esso è attribuito a
Don Bosco, che si dedicò all’educazione dei giovani
«con fermezza e costanza, fra ostacoli e fatica; non
diede passo, non pronunciò parola, non mise mano
ad impresa alcuna che non avesse di mira la salvez­
za della gioventù».55 Evoca la sua esperienza pasto­ 55 Cost. 21; cf. ACG 321, p.
rale originale, norm ativa del carisma, non tanto 15; 326, p. 6
nella sua materialità m a nel suo spirito. Ricorda la
prassi che ne ebbe origine e ciò che com porta nella
persona degli educatori.
La stessa espressione viene pure riferita al sale­
siano singolo di tutti i tempi, in quanto predilige i
giovani come il suo cam po di lavoro, si sente da
Dio inviato ad essi, è capace di farsi am are attraver­
so la bontà, colloca le persone al centro dei suoi
progetti, è creativo nel rispondere ai bisogni e alle
* cf. ACG 334, p. 34; 352,
dom ande dei giovani.56
P- 25

5.9 Page 49

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s ACG 334, p. 41
IL VICARIO DEL RETTOR M AGGIORE (4161) 51
Il cuore oratoriano si manifesta nel desiderio ar­
dente di rivelare Gesù come via, verità e vita, far
gustare la sua grazia, aprire alle vocazioni di impe­
gno, accompagnare verso la santità. Comprende
l’entusiasmo interiore per Cristo Pastore, la vibra­
zione interna per la sua opera di salvezza., la capa­
cità di unirsi a Dio e vederlo nei giovani.
In una parola, il cuore oratoriano assume i tratti
della risposta generosa alla vocazione, della consa­
crazione apostolica, dell'interiorità pastorale, del
da m ihi animas, del studia di farti amare, della
“grazia di unità”, dell'amore a Maria Ausiliatrice
dei cristiani, Madre dei giovani. Rappresenta l’iden­
tità o fisionomia del salesiano colta al vivo e in azio­
ne, nel suo ambiente tipico, nelle sue tensioni e nel
suo orientamento fondamentale, nel contenuto ma
anche nella vivacità emotiva. «È la condizione sale­
siana dalla prim a professione all'ultimo respiro».57
Cuore, piuttosto che indicare solo la parte,
come di solito avviene nelle nostre lingue, assume il
senso totale ed esistenziale che ha nella Bibbia. Il
cuore dell'uomo è la fonte stessa della sua persona­
lità cosciente, intelligente e libera, dove hanno ori­
gine, in forma spesso misteriosa, e m aturano le sue
scelte decisive, dove si annida la sua bontà o mali­
zia (cf. Le 6,45), risuona la legge non scritta e si fa
sentire l'azione di Dio; dove M aria conservava la
Parola e la meditava (Le 1, 19; 2, 51). Perciò si af­
ferm a che l'uom o vede le apparenze, m a Dio cono­
sce ciò che si nasconde nel cuore; che l'uom o ha bi­
sogno di un cuore nuovo per ascoltare e seguire
Dio, e Dio prom ette di cambiargli il cuore di pietra
in un cuore di carne.
Oratoriano com prende il carisma, la vocazione
personale e l’esperienza storica salesiana vissuta
con fedeltà dinamica.

5.10 Page 50

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52 (4162) ATTI DEL CONSIGLIO GENERALE
A questo nucleo della nostra spiritualità ci ripor­
tano gli impegni operativi che abbiamo assunto e
quelli che ci accingiamo a sviluppare nel prossimo
futuro. Ce lo ricorda l’«Instrumentum laboris» del
Sinodo: «Si auspica - diceva - una ripresa della spi­
ritualità, specie nella vita apostolica attiva, non solo
al fine di rendere più incisiva la sua missione, ma
anche per rendere possibile la stessa vita consacra­
ta in un mondo che sembra diventato impermeabi­
le all’opera di evangelizzazione e che richiede delle
solide personalità spirituali che evangelizzino con il
fervore dei santi».58
« 11.86
Tale è pure il messaggio di don Viganò.
Ve lo affido di nuovo con fiducia e vi saluto nel
Signore, chiedendovi una preghiera per il prossimo
CG24.