Authority-Obedience_it


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CONGREGAZIONE PER GLI ISTITUTI DI VITA CONSACRATA
E LE SOCIETÁ DI VITA APOSTOLICA
IL SERVIZIO DELL'AUTORITÀ
E L'OBBEDIENZA
Faciem tuam, Domine, requiram
Istruzione
INTRODUZIONE
« Fa' splendere il tuo volto e noi saremo salvi »
(Sl 79,4)
La vita consacrata testimone della ricerca di Dio
1. « Faciem tuam, Domine, requiram »: il tuo volto, Signore, io cerco (Sl
26,8). Pellegrino alla ricerca del senso della vita, avvolto nel grande
mistero che lo circonda, l'uomo cerca di fatto, anche se spesso
inconsciamente, il volto del Signore. « Fammi conoscere Signore le tue
vie, insegnami i tuoi sentieri » (Sl 24,4): nessuno potrà mai togliere dal
cuore della persona umana la ricerca di Colui del quale la Bibbia dice «
Egli è tutto » (Sir 43,27) e delle vie per raggiungerlo.
La vita consacrata, chiamata a rendere visibili nella Chiesa e nel mondo i
tratti caratteristici di Gesù, vergine, povero ed obbediente,1 fiorisce sul
terreno di questa ricerca del volto del Signore e della via che porta a Lui
(cf. Gv 14,4-6). Una ricerca che conduce a sperimentare la pace – « en sua
voluntate è nostra pace » 2 – e che costituisce la fatica d'ogni giorno,
perché Dio è Dio, e non sempre le sue vie e i suoi pensieri sono le nostre
vie e i nostri pensieri (cf. Is 55,8). La persona consacrata testimonia
dunque l'impegno, gioioso e insieme laborioso, della ricerca assidua della
volontà divina, e per questo sceglie di utilizzare ogni mezzo disponibile
che la aiuti a conoscerla e la sostenga nel darvi compimento.
Qui trova il suo significato anche la comunità religiosa, comunione di
persone consacrate che professano di cercare e compiere insieme la
volontà di Dio: comunità di fratelli o sorelle con diversità di ruoli, ma con
lo stesso obiettivo e la medesima passione. Per questo, mentre tutti, nella
comunità, sono chiamati a cercare ciò che a Dio piace e ad obbedire a Lui,
alcuni sono chiamati ad esercitare, in genere temporaneamente, il compito
particolare di essere segno di unità e guida nella ricerca corale e nel
compimento personale e comunitario della volontà di Dio. È questo il
servizio dell'autorità.

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Un cammino di liberazione
2. La cultura delle società occidentali, fortemente centrata sul soggetto, ha
contribuito a diffondere il valore del rispetto per la dignità della persona
umana, favorendone positivamente il libero sviluppo e l' autonomia.
Tale riconoscimento costituisce uno dei tratti più significativi della
modernità ed è un dato provvidenziale che richiede modalità nuove di
concepire l'autorità e di relazionarsi con essa. Senza dimenticare, d'altra
parte, che quando la libertà tende a trasformarsi in arbitrio e l'autonomia
della persona in indipendenza dal Creatore e dalla relazione con gli altri,
allora ci si trova di fronte a forme di idolatria che non accrescono la libertà
ma rendono schiavi.
In questi casi, le persone credenti nel Dio di Abramo, di Isacco, di
Giacobbe, nel Dio di Gesù Cristo, non possono non intraprendere un
cammino di liberazione personale da ogni ombra di culto idolatrico. È un
percorso che può trovare una stimolante figura nell'esperienza dell'Esodo:
cammino di liberazione che, dall'omologazione ad un diffuso modo di
pensare, conduce alla libertà dell'adesione al Signore, e che
dall'appiattimento su criteri valutativi unilaterali porta alla ricerca di
itinerari che immettono nella comunione con il Dio vivo e vero.
Il viaggio dell'Esodo è guidato dalla nube, luminosa e oscura, dello Spirito
di Dio, e, anche se talvolta sembra perdersi per strade senza senso, ha per
destino l'intimità beatificante del cuore di Dio: « Ho sollevato voi su ali di
aquile e vi ho fatti venire fino a me » (Es 19,4). Un gruppo di schiavi
viene liberato per diventare popolo santo, che conosce la gioia del libero
servizio a Dio. Gli avvenimenti dell'Esodo sono un paradigma che
accompagna tutta la vicenda biblica e si pone come anticipazione profetica
della stessa vita terrena di Gesù, il quale a sua volta libera dalla schiavitù
attraverso l'obbedienza alla volontà provvida del Padre.
Destinatari, intento e limiti del documento
3. La Congregazione per gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita
apostolica, nel corso della sua ultima Plenaria, che ha avuto luogo nei
giorni 28-30 settembre 2005, ha rivolto la sua attenzione al tema
dell'esercizio dell'autorità e dell'obbedienza nella vita consacrata. È stato
riconosciuto che questo tema esige un particolare impegno di riflessione,
soprattutto a motivo dei cambiamenti che si sono verificati all'interno
degli Istituti e delle comunità negli ultimi anni, e anche alla luce di quanto
hanno proposto i più recenti documenti magisteriali sul rinnovamento
della vita consacrata.
La presente Istruzione, frutto di quanto è emerso nella citata Plenaria e
nella successiva riflessione di questo Dicastero, è indirizzata ai membri
degli Istituti di vita consacrata che praticano la vita fraterna in comunità,
cioè a quanti appartengono, uomini e donne, agli Istituti religiosi, ai quali
si avvicinano i membri delle Società di vita apostolica. Tuttavia anche le
altre persone consacrate, in relazione al loro genere di vita, possono trarne
utili indicazioni. A tutti costoro, chiamati a testimoniare il primato di Dio

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attraverso la libera obbedienza alla sua santa volontà, questo documento
intende offrire un aiuto e un incoraggiamento a vivere con gioia il loro sì
al Signore.
Nell'affrontare il tema di questa Istruzione, si è ben consapevoli che le sue
implicazioni sono molte e che nel vasto mondo della vita consacrata esiste
oggi non solo una grande varietà di progetti carismatici e di impegni
missionari, ma anche una certa diversità di modelli di governo e di prassi
dell'obbedienza, diversità sovente influenzate dai vari contesti culturali.3
Inoltre, dovrebbero essere tenute presenti le differenze che caratterizzano,
anche sotto il profilo psicologico, le comunità femminili e le comunità
maschili. E, ancora, andrebbero considerate le nuove problematiche che le
numerose forme di collaborazione missionaria, in particolare con i laici,
pongono all'esercizio dell'autorità. Anche il differente peso attribuito
all'autorità locale o all'autorità centrale, nei diversi Istituti religiosi,
determina modalità non uniformi di praticare autorità e obbedienza. Non
va infine dimenticato che la tradizione della vita consacrata vede
comunemente nella figura “sinodale” del Capitolo generale (o di riunioni
analoghe) la suprema autorità dell'Istituto,4 alla quale tutti i membri, a
cominciare dai superiori, devono fare riferimento.
A tutto ciò si deve aggiungere la constatazione che in questi anni il modo
di sentire e di vivere l'autorità e l'obbedienza è mutato sia nella Chiesa che
nella società. Ciò è dovuto, tra l'altro: alla presa di coscienza del valore
della singola persona, con la sua vocazione e i suoi doni intellettuali,
affettivi e spirituali, con la sua libertà e capacità relazionale; alla centralità
della spiritualità di comunione,5 con la valorizzazione degli strumenti che
aiutano a viverla; a un modo diverso e meno individualistico di concepire
la missione, nella condivisione con tutti i membri del popolo di Dio, con le
conseguenti forme di concreta collaborazione.
Considerando, tuttavia, alcuni elementi del presente influsso culturale, va
ricordato che il desiderio della realizzazione di sé può entrare a volte in
conflitto con i progetti comunitari; la ricerca del benessere personale, sia
spirituale che materiale, può rendere difficoltosa la dedizione totale a
servizio della missione comune; le visioni troppo soggettive del carisma e
del servizio apostolico possono indebolire la collaborazione e la
condivisione fraterna.
Ma non è da escludere che in taluni ambienti prevalgano problemi opposti,
determinati da una visione dei rapporti sbilanciata sul versante della
collettività e dell'eccessiva uniformità, con il rischio di mortificare la
crescita e la responsabilità dei singoli. È un equilibrio non facile quello tra
soggetto e comunità, e dunque anche tra autorità e obbedienza.
Questa Istruzione non intende entrare nel merito di tutte le problematiche
sollevate dai vari elementi e dalle diverse sensibilità appena richiamate.
Queste rimangono, per così dire, sullo sfondo delle riflessioni e delle
indicazioni che vengono qui proposte. L'intento principale di questa
Istruzione è quello di riaffermare che obbedienza e autorità, seppure
praticate in molti modi, hanno sempre una relazione peculiare con il
Signore Gesù, Servo obbediente. Inoltre si propone di aiutare l'autorità nel

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suo triplice servizio: alle singole persone chiamate a vivere la propria
consacrazione (prima parte); a costruire comunità fraterne (seconda
parte); a partecipare alla missione comune (terza parte).
Le considerazioni e le indicazioni che seguono si pongono in continuità
con quelle dei documenti che hanno accompagnato il cammino delle vita
consacrata in questi anni non facili, soprattutto le Istruzioni Potissimum
institutioni 6 del 1990, La vita fraterna in comunità 7 del 1994,
l'Esortazione apostolica postsinodale Vita consecrata 8 del 1996, e
l'Istruzione Ripartire da Cristo 9 del 2002.
PRIMA PARTE
CONSACRAZIONE E RICERCA
DELLA VOLONTÀ DI DIO
« Perché, liberati, possiamo servirlo in santità e giustizia »
(cf. Lc 1,74-75)
Chi stiamo cercando?
4. Ai primi discepoli che, forse ancora incerti e dubbiosi, si mettono al
seguito di un nuovo Rabbì, il Signore chiede: « Che cercate? » (Gv 1,38).
In questa domanda possiamo leggere altre radicali domande: che cosa
cerca il tuo cuore? Per che cosa ti affanni? Stai cercando te stesso o stai
cercando il Signore tuo Dio? Stai inseguendo i tuoi desideri o il desiderio
di Colui che ha fatto il tuo cuore e lo vuole realizzare come Lui sa e
conosce? Stai rincorrendo solo cose che passano o cerchi Colui che non
passa? « In questa terra della dissomiglianza, di che cosa dobbiamo
occuparci, Signore Dio? Dal sorgere del sole al suo tramonto vedo uomini
travolti dai vortici di questo mondo: alcuni cercano ricchezze, altri
privilegi, altri ancora le soddisfazioni della popolarità », osservava san
Bernardo.10
« Il tuo volto, Signore, io cerco » (Sl 26,8) è la risposta della persona che
ha compreso l'unicità e l'infinita grandezza del mistero di Dio e la
sovranità della sua santa volontà; ma è anche la risposta, sia pur implicita
e confusa, di ogni creatura umana in cerca di verità e felicità. Quaerere
Deum è stato da sempre il programma di ogni esistenza assetata di
assoluto e di eterno. Molti tendono oggi a considerare mortificante
qualunque forma di dipendenza; ma appartiene allo statuto stesso di
creatura l'essere dipendente da un Altro e, in quanto essere in relazione,
anche dagli altri.
Il credente cerca il Dio vivo e vero, il Principio e il Fine di tutte le cose, il
Dio non fatto a propria immagine e somiglianza, ma il Dio che ci ha fatto
a sua immagine e somiglianza, il Dio che manifesta la sua volontà, che
indica le vie per raggiungerlo: « Mi indicherai il sentiero della vita, gioia
piena nella tua presenza, dolcezza senza fine alla tua destra » (Sl 15,11).
Cercare la volontà di Dio significa cercare una volontà amica, benevola,

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che vuole la nostra realizzazione, che desidera soprattutto la libera risposta
d'amore al suo amore, per fare di noi strumenti dell'amore divino. È in
questa via amoris che sboccia il fiore dell'ascolto e dell'obbedienza.
L'obbedienza come ascolto
5. « Ascolta, figlio » (Pr 1,8). L'obbedienza è prima di tutto atteggiamento
filiale. È quel particolare tipo d'ascolto che solo il figlio può prestare al
padre, perché illuminato dalla certezza che il padre ha solo cose buone da
dire e da dare al figlio; un ascolto intriso di quella fiducia che rende il
figlio accogliente della volontà del padre, sicuro che essa sarà per il bene.
Ciò è immensamente più vero nei riguardi di Dio. Noi, infatti,
raggiungiamo la nostra pienezza solo nella misura in cui ci inseriamo nel
disegno con cui Egli ci ha concepito con amore di Padre. Dunque
l'obbedienza è l'unica via di cui dispone la persona umana, essere
intelligente e libero, per realizzarsi pienamente. In effetti, quando dice
“no” a Dio la persona umana compromette il progetto divino, sminuisce se
stessa e si destina al fallimento.
L'obbedienza a Dio è cammino di crescita e, perciò, di libertà della
persona perché consente di accogliere un progetto o una volontà diversa
dalla propria che non solo non mortifica o diminuisce, ma fonda la dignità
umana. Al tempo stesso, anche la libertà è in sé un cammino d'obbedienza,
perché è obbedendo da figlio al piano del Padre che il credente realizza il
suo essere libero. È chiaro che una tale obbedienza esige di riconoscersi
come figli e di godere d'esser figli, perché solo un figlio e una figlia
possono consegnarsi liberamente nelle mani del Padre, esattamente come
il Figlio Gesù, che si è abbandonato al Padre. E se nella sua passione si è
pure consegnato a Giuda, ai sommi sacerdoti, ai suoi flagellatori, alla folla
ostile e ai suoi crocifissori, lo ha fatto solo perché era assolutamente certo
che ogni cosa trovava un suo significato nella fedeltà totale al disegno di
salvezza voluto dal Padre, al quale – come ricorda san Bernardo – « non
fu la morte che piacque, ma la volontà di colui che spontaneamente
moriva ».11
« Ascolta, Israele » (Dt 6,4)
6. Figlio, per il Signore Iddio, è Israele, il popolo che Egli si è scelto, che
ha generato, che ha fatto crescere tenendolo per mano, che ha sollevato
alla sua guancia, cui ha insegnato a camminare (cf. Os 11, 1-4), cui –
come somma espressione di affetto – ha rivolto in continuazione la sua
Parola, anche se questo popolo non sempre l'ha ascoltata, o l'ha vissuta
come un peso, come una « legge ». Tutto l'Antico Testamento è un invito
all'ascolto, e l'ascolto è in funzione dell'alleanza nuova, quando, come dice
il Signore, « porrò le mie leggi nella loro mente e le imprimerò nei loro
cuori; sarò il loro Dio ed essi saranno il mio popolo » (Eb 8,10; cf. Ger
31,33).
All'ascolto segue l'obbedienza come risposta libera e liberante del nuovo
Israele alla proposta del nuovo patto; l'obbedienza è parte della nuova
alleanza, anzi il suo distintivo caratteristico. Ne segue che essa può essere

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compresa compiutamente solo all'interno della logica di amore, d'intimità
con Dio, di appartenenza definitiva a Lui che rende finalmente liberi.
L'obbedienza alla Parola di Dio
7. La prima obbedienza della creatura è quella di venire all'esistenza, in
adempimento al fiat divino che la chiama ad essere. Tale obbedienza
raggiunge piena espressione nella creatura libera di riconoscersi ed
accettarsi come dono del Creatore, di dire “sì” al proprio venire da Dio.
Così essa compie il primo, vero atto di libertà, che è anche il primo e
fondamentale atto di autentica obbedienza.
L'obbedienza propria della persona credente, poi, è l'adesione alla Parola
con la quale Dio rivela e comunica se stesso, e attraverso la quale rinnova
ogni giorno la sua alleanza d'amore. Da quella Parola è scaturita la vita
che ogni giorno continua ad essere trasmessa. Perciò la persona credente
cerca ogni mattina il contatto vivo e costante con la Parola che in quel
giorno è proclamata, meditandola e custodendola nel cuore come un
tesoro, facendone la radice d'ogni azione e il criterio primo d'ogni scelta. E
alla fine della giornata si confronta con essa, lodando Dio come Simeone
per aver visto il compiersi della Parola eterna dentro la piccola vicenda
della propria quotidianità (cf. Lc 2,27-32), e affidando alla forza della
Parola quanto è rimasto ancora incompiuto. La Parola, infatti, non lavora
solo di giorno, ma sempre, come insegna il Signore nella parabola del
seme (cf. Mc 4,26-27).
L'amorosa frequentazione quotidiana della Parola educa a scoprire le vie
della vita e le modalità attraverso le quali Dio vuole liberare i suoi figli;
alimenta l'istinto spirituale per le cose che piacciono a Dio; trasmette il
senso e il gusto della sua volontà; dona la pace e la gioia di rimanergli
fedeli, rendendo sensibili e pronti a tutte le espressioni dell'obbedienza: al
Vangelo (Rm 10,16; 2 Tes 1,8), alla fede (Rm 1,5; 16,26), alla verità (Gal
5,7; 1 Pt 1,22).
Non si deve tuttavia dimenticare che l'esperienza autentica di Dio resta
sempre esperienza di alterità. « Per quanto grande possa essere la
somiglianza tra il Creatore e la creatura, sempre più grande è tra loro la
dissomiglianza ».12 I mistici, e tutti coloro che hanno gustato l'intimità con
Dio, ci ricordano che il contatto con il Mistero sovrano è sempre contatto
con l'Altro, con una volontà che talvolta è drammaticamente dissimile
dalla nostra. Obbedire a Dio significa infatti entrare in un ordine “altro” di
valori, cogliere un senso nuovo e differente della realtà, sperimentare una
libertà impensata, giungere alle soglie del mistero: « Perché i miei pensieri
non sono i vostri pensieri, le vostre vie non sono le mie vie, oracolo del
Signore. Quanto il cielo sovrasta la terra, tanto le mie vie sovrastano le
vostre, i miei pensieri sovrastano i vostri » (Is 55,8- 9).
Se può incutere timore questo ingresso nel mondo di Dio, tale esperienza,
sull'esempio dei santi, può mostrare che quanto per l'uomo è impossibile è
reso possibile da Dio; essa diviene così autentica obbedienza al Mistero di
un Dio che è, nello stesso tempo, « interior intimo meo » 13 e radicalmente
altro.

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Alla sequela di Gesù, il Figlio obbediente al Padre
8. In questo cammino non siamo soli: siamo guidati dall'esempio di Cristo,
l'amato nel quale il Padre s'è compiaciuto (cf. Mt 3,17; 17,5), ma anche
Colui che ci ha liberati grazie alla sua obbedienza. È Lui che ispira la
nostra obbedienza, perché si compia anche attraverso di noi il disegno
divino di salvezza.
In Lui tutto è ascolto e accoglienza del Padre (cf. Gv 8,28-29), tutta la sua
vita terrena è espressione e continuazione di ciò che il Verbo fa
dall'eternità: lasciarsi amare dal Padre, accogliere in maniera
incondizionata il suo amore, al punto di non far nulla da se stesso (cf. Gv
8,28), ma di compiere sempre ciò che piace al Padre. La volontà del Padre
è il cibo che sostiene Gesù nella sua opera (cf. Gv 4,34) e che frutta a Lui
e a noi la sovrabbondanza della risurrezione, la gioia luminosa di entrare
nel cuore stesso di Dio, nella schiera beata dei suoi figli (cf. Gv 1,12). È
per questa obbedienza di Gesù che « tutti sono costituiti giusti » (Rm
5,19).
Egli l'ha vissuta anche quando essa gli ha presentato un calice difficile da
bere (cf. Mt 26,39.42; Lc 22,42), e s'è fatto « obbediente fino alla morte, e
alla morte di croce » (Fil 2,8). È questo l'aspetto drammatico
dell'obbedienza del Figlio, avvolta da un mistero che non potremo mai
penetrare totalmente, ma che è per noi di grande rilevanza perché ci svela
ancor più la natura filiale dell'obbedienza cristiana: solo il Figlio, che si
sente amato dal Padre e lo riama con tutto se stesso, può giungere a questo
tipo di obbedienza radicale.
Il cristiano, come Cristo, si definisce come essere obbediente.
L'indiscutibile primato dell'amore nella vita cristiana non può far
dimenticare che tale amore ha acquistato un volto e un nome in Cristo
Gesù ed è diventato Obbedienza. L'obbedienza, dunque, non è umiliazione
ma verità sulla quale si costruisce e si realizza la pienezza dell'uomo.
Perciò il credente desidera così ardentemente compiere la volontà del
Padre da farne la sua aspirazione suprema. Come Gesù, egli vuol vivere di
questa volontà. Ad imitazione di Cristo e imparando da lui, con gesto di
suprema libertà e di fiducia incondizionata, la persona consacrata ha posto
la sua volontà nelle mani del Padre per rendergli un sacrificio perfetto e
gradito (cf. Rm 12,1).
Ma prima ancora di essere il modello di ogni obbedienza, Cristo è Colui al
quale va ogni vera obbedienza cristiana. Infatti è il mettere in pratica le
sue parole che rende effettivo il discepolato (cf. Mt 7,24) ed è l'osservanza
dei suoi comandamenti che rende concreto l'amore a Lui e attira l'amore
del Padre (cf. Gv 14,21). Egli è al centro della comunità religiosa come
Colui che serve (cf. Lc 22,27), ma anche come Colui al quale si confessa
la propria fede (« Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me »: Gv
14,1) e si dona la propria obbedienza, perché solo in essa si attua una
sequela sicura e perseverante: « In realtà è lo stesso Signore risorto,
nuovamente presente tra i fratelli e le sorelle riuniti nel suo nome, che
addita il cammino da percorrere ».14

1.8 Page 8

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Obbedienti a Dio attraverso mediazioni umane
9. Dio manifesta la sua volontà attraverso la mozione interiore dello
Spirito, che « guida alla verità tutta intera » (cf. Gv 16,13), e attraverso
molteplici mediazioni esteriori. In effetti, la storia della salvezza è una
storia di mediazioni che rendono in qualche modo visibile il mistero di
grazia che Dio compie nell'intimo dei cuori. Anche nella vita di Gesù si
possono riconoscere non poche mediazioni umane, attraverso le quali Egli
ha avvertito, ha interpretato e ha accolto la volontà del Padre, come
ragione di essere e come cibo permanente della sua vita e della sua
missione.
Le mediazioni che comunicano esteriormente la volontà di Dio vanno
riconosciute nelle vicende della vita e nelle esigenze proprie della
vocazione specifica; ma si esprimono anche nelle leggi che regolano la
vita associata e nelle disposizioni di coloro che sono chiamati a guidarla.
Nel contesto ecclesiale, leggi e disposizioni, legittimamente date,
consentono di riconoscere la volontà di Dio, divenendo attuazione
concreta e “ordinata” delle esigenze evangeliche, a partire dalle quali
vanno formulate e percepite.
Le persone consacrate, inoltre, sono chiamate alla sequela di Cristo
obbediente dentro un “progetto evangelico”, o carismatico, suscitato dallo
Spirito e autenticato dalla Chiesa. Essa, approvando un progetto
carismatico quale è un Istituto religioso, garantisce che le ispirazioni che
lo animano e le norme che lo reggono possono dar luogo ad un itinerario
di ricerca di Dio e di santità. Anche la Regola e le altre indicazioni di vita
diventano quindi mediazione della volontà del Signore: mediazione umana
ma pur sempre autorevole, imperfetta ma assieme vincolante, punto di
avvio da cui partire ogni giorno, e anche da superare in uno slancio
generoso e creativo verso quella santità che Dio “vuole” per ogni
consacrato. In questo cammino l'autorità è investita del compito pastorale
di guidare e di decidere.
È evidente che tutto ciò sarà vissuto coerentemente e fruttuosamente solo
se rimangono vivi il desiderio di conoscere e fare la volontà di Dio, ma
anche la consapevolezza della propria fragilità, come pure l'accettazione
della validità delle mediazioni specifiche, anche quando non si cogliessero
appieno le ragioni che esse presentano.
Le intuizioni spirituali dei fondatori e delle fondatrici, soprattutto di
coloro che hanno maggiormente segnato il cammino della vita religiosa
lungo i secoli, hanno sempre dato grande risalto all'obbedienza. San
Benedetto già all'inizio della sua Regola si indirizza al monaco dicendogli:
« A te (...) si rivolge ora la mia parola; a te che, rinunciando alle tue
proprie volontà per militare per Cristo Signore, vero re, prendi su di te le
fortissime e gloriose armi dell'obbedienza ».15
Si deve poi ricordare che il rapporto autorità-obbedienza si colloca nel
contesto più ampio del mistero della Chiesa e costituisce una particolare
attuazione della sua funzione mediatrice. A riguardo il Codice di Diritto
Canonico raccomanda ai superiori di esercitare « in spirito di servizio la

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potestà che hanno ricevuto da Dio, mediante il ministero della Chiesa ».16
Imparare l'obbedienza nel quotidiano
10. Alla persona consacrata, pertanto, può avvenire di “imparare
l'obbedienza” anche a partire dalla sofferenza, ovvero da alcune situazioni
particolari e difficili: quando, ad esempio, viene domandato di lasciare
certi progetti e idee personali, di rinunciare alla pretesa di gestire da soli la
vita e la missione; o tutte le volte in cui ciò che viene richiesto (o chi lo
richiede) appare umanamente poco convincente. Chi si trova in tali
situazioni non dimentichi, allora, che la mediazione è per natura sua
limitata e inferiore a ciò a cui rimanda, tanto più se si tratta della
mediazione umana nei confronti della volontà divina; ma ricordi pure,
ogniqualvolta si trova di fronte ad un comando legittimamente dato, che il
Signore chiede di obbedire all'autorità che in quel momento lo
rappresenta17 e che anche Cristo « imparò l'obbedienza dalle cose che patì
» (Eb 5,8).
È opportuno ricordare, a questo proposito, le parole di Paolo VI: « Dovete
dunque sperimentare qualcosa del peso che attirava il Signore verso la sua
croce, questo “battesimo con cui doveva essere battezzato”, ove si sarebbe
acceso quel fuoco che infiamma anche voi (cf. Lc 12, 49- 50); qualcosa di
quella “follia” che San Paolo desidera per tutti noi, perché solo essa ci
rende sapienti (cf. 1 Cor 3,18-19). La croce sia per voi, come è stata per il
Cristo, la prova dell'amore più grande. Non esiste forse un rapporto
misterioso tra la rinuncia e la gioia, tra il sacrificio e la dilatazione del
cuore, tra la disciplina e la libertà spirituale? ».18
È proprio in questi casi sofferti che la persona consacrata impara ad
obbedire al Signore (cf. Sl 118,71), ad ascoltarlo e ad aderire solo a Lui,
nell'attesa, paziente e piena di speranza, della sua Parola rivelatrice (cf. Sl
118,81), nella disponibilità piena e generosa a compiere la sua volontà e
non la propria (cf. Lc 22,42).
Nella luce e nella forza dello Spirito
11. Si aderisce dunque al Signore quando si scorge la sua presenza nelle
mediazioni umane, specie nella Regola, nei superiori, nella comunità,19
nei segni dei tempi, nelle attese della gente, soprattutto dei poveri; quando
si ha il coraggio di gettare le reti in forza « della sua parola » (cf. Lc 5,5) e
non di motivazioni solo umane; quando si sceglie di obbedire non solo a
Dio bensì anche agli uomini, ma, in ogni caso, per Dio e non per gli
uomini. Scrive Sant'Ignazio di Loyola nelle sue Costituzioni: « La vera
obbedienza non guarda a chi si fa, ma per chi si fa; e se si fa soltanto per il
nostro Creatore e Signore, è proprio a Lui, Signore di tutti, che si
obbedisce ». 20
Se nei momenti difficili chi è chiamato ad obbedire chiederà con
insistenza al Padre lo Spirito (cf. Lc 11,13), Egli lo donerà e lo Spirito darà
luce e forza per essere obbedienti, farà conoscere la verità e la verità
renderà liberi (cf. Gv 8,32).

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Gesù stesso, nella sua umanità, è stato condotto dall'azione dello Spirito
Santo: concepito nel grembo della Vergine Maria per opera dello Spirito
Santo, all'inizio della sua missione, nel battesimo, riceve lo Spirito che
discende su di Lui e lo guida; risorto, effonde lo Spirito sui suoi discepoli
perché entrino nella sua stessa missione, annunciando la salvezza e il
perdono da Lui meritato. Lo Spirito che ha unto Gesù è lo stesso Spirito
che può rendere la nostra libertà simile a quella di Cristo, perfettamente
conforme alla volontà di Dio.21
È indispensabile, dunque, che ciascuno si renda disponibile allo Spirito, a
cominciare dai superiori che proprio dallo Spirito ricevono l'autorità 22 e,
« docili alla volontà di Dio »,23 sotto la sua guida la devono esercitare.
Autorità al servizio dell'obbedienza alla volontà di Dio
12. Nella vita consacrata ognuno deve cercare con sincerità la volontà del
Padre, perché diversamente sarebbe la ragione stessa della sua scelta di
vita a venire meno; ma è ugualmente importante portare avanti insieme ai
fratelli o alle sorelle tale ricerca, perché è proprio essa che unisce, rende
famiglia unita a Cristo.
L'autorità è al servizio di questa ricerca, perché avvenga nella sincerità e
nella verità. Nell'omelia di inizio del ministero petrino, Benedetto XVI ha
affermato significativamente: « Il mio vero programma di governo è
quello non di fare la mia volontà, di perseguire le mie idee, ma di
mettermi in ascolto, con tutta quanta la Chiesa, della parola e della volontà
del Signore e lasciarmi guidare da Lui, cosicché sia egli stesso a guidare la
Chiesa in questa ora della nostra storia ».24 D'altro lato si deve riconoscere
che il compito di essere guida agli altri non è facile, specie quando il senso
dell'autonomia personale è eccessivo o conflittuale e competitivo nei
confronti degli altri. È necessario perciò, da parte di tutti, acuire lo
sguardo di fede nei confronti di questo compito, che deve ispirarsi
all'atteggiamento di Gesù servo che lava i piedi dei suoi apostoli affinché
abbiano parte alla sua vita e al suo amore (cf. Gv 13,1-17).
Si esige una grande coerenza da parte di chi guida gli Istituti, le province
(o altre circoscrizioni dell'Istituto), le comunità. La persona chiamata ad
esercitare l'autorità deve sapere che potrà farlo solo se essa per prima
intraprende quel pellegrinaggio che conduce a cercare con intensità e
rettitudine la volontà di Dio. Vale per essa il consiglio che sant'Ignazio di
Antiochia rivolgeva ad un suo confratello vescovo: « Nulla si faccia senza
il tuo consenso, ma tu non fare nulla senza il consenso di Dio ».25
L'autorità deve agire in modo che i fratelli o le sorelle possano percepire
che essa, quando comanda, lo fa unicamente per obbedire a Dio.
La venerazione per la volontà di Dio mantiene l'autorità in uno stato di
umile ricerca, per far sì che il suo agire sia il più possibile conforme a
quella santa volontà. Sant'Agostino ricorda che colui che obbedisce
compie sempre la volontà di Dio, non perché il comando dell'autorità sia
necessariamente conforme alla volontà divina, ma perché è volontà di Dio
che si obbedisca a chi presiede.26 Ma l'autorità, per parte sua, deve

2 Pages 11-20

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2.1 Page 11

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ricercare assiduamente, con l'aiuto della preghiera, della riflessione e del
consiglio altrui, ciò che veramente Dio vuole. In caso contrario il
superiore o la superiora, invece di rappresentare Dio, rischiano di mettersi
temerariamente al suo posto.
Nell'intento di fare la volontà di Dio, autorità e obbedienza non sono
dunque due realtà distinte o addirittura contrapposte, ma due dimensioni
della stessa realtà evangelica, dello stesso mistero cristiano, due modi
complementari di partecipare alla stessa oblazione di Cristo. Autorità e
obbedienza si trovano personificate in Gesù: per questo devono essere
intese in relazione diretta con Lui e in configurazione reale a Lui. La vita
consacrata intende semplicemente vivere la Sua Autorità e la Sua
Obbedienza.
Alcune priorità nel servizio dell'autorità
13. a) Nella vita consacrata l'autorità è prima di tutto un'autorità
spirituale.27 Essa sa di essere chiamata a servire un ideale che la supera
immensamente, un ideale al quale è possibile avvicinarsi soltanto in un
clima di preghiera e di umile ricerca, che permetta di cogliere l'azione
dello stesso Spirito nel cuore d'ogni fratello o sorella. Un'autorità è
“spirituale” quando si pone al servizio di ciò che lo Spirito vuole
realizzare attraverso i doni che Egli distribuisce ad ogni membro della
fraternità, dentro il progetto carismatico dell'Istituto.
Per essere in grado di promuovere la vita spirituale, l'autorità dovrà prima
coltivarla in se stessa, attraverso una familiarità orante e quotidiana con la
Parola di Dio, con la Regola e le altre norme di vita, in atteggiamento di
disponibilità all'ascolto degli altri e dei segni dei tempi. « Il servizio
d'autorità esige una presenza costante, capace di animare e di proporre, di
ricordare le ragioni d'essere della vita consacrata, di aiutare le persone a
corrispondere con una fedeltà sempre rinnovata alla chiamata dello Spirito
».28
b) L'autorità è chiamata a garantire alla sua comunità il tempo e la
qualità della preghiera, vegliando sulla fedeltà quotidiana ad essa, nella
consapevolezza che a Dio si va con i passi, piccoli ma costanti, di ogni
giorno e d'ognuno, e che le persone consacrate possono essere utili agli
altri nella misura in cui sono unite a Dio. Inoltre è chiamata a vigilare
perché, a partire dalla sua persona, non venga meno il contatto quotidiano
con la Parola che « ha il potere di edificare » (At 20,32) le singole persone
e la comunità e di indicare le vie della missione. Memore del comando del
Signore « fate questo in memoria di me » (Lc 22,19), procurerà che il
santo mistero del Corpo e del sangue di Cristo sia celebrato e venerato
come “fonte e culmine” 29 della comunione con Dio e tra i fratelli e le
sorelle. Celebrando e adorando il dono dell'Eucaristia in fedele obbedienza
al Signore, la comunità religiosa vi attinge ispirazione e forza per la sua
dedizione totale a Dio, per essere segno del suo amore gratuito verso
l'umanità e rimando efficace ai beni futuri.30
c) L'autorità è chiamata a promuovere la dignità della persona, prestando

2.2 Page 12

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attenzione ad ogni membro della comunità e al suo cammino di crescita,
facendo dono ad ognuno della propria stima e della propria considerazione
positiva, nutrendo verso tutti sincero affetto, custodendo con riservatezza
le confidenze ricevute.
È opportuno ricordare che prima di invocare l'obbedienza (necessaria) va
praticata la carità (indispensabile). È bene, inoltre, fare un uso appropriato
della parola comunione, che non può e non deve essere intesa come una
sorta di delega dell'autorità alla comunità (con l'invito implicito a che
ciascuno “faccia ciò che vuole”), ma neppure come una più o meno velata
imposizione del proprio punto di vista (ciascuno “faccia ciò che io
voglio”).
d) L'autorità è chiamata ad infondere coraggio e speranza nelle difficoltà.
Come Paolo e Barnaba incoraggiavano i loro discepoli insegnando che « è
necessario attraversare molte tribolazioni per entrare nel Regno di Dio »
(At 14,22), così l'autorità deve aiutare ad accogliere le difficoltà del
momento presente ricordando che esse fanno parte delle sofferenze di cui
è spesso disseminata la strada che conduce al Regno.
Di fronte ad alcune situazioni difficili della vita consacrata, per esempio
dove la sua presenza sembra indebolirsi e persino venir meno, chi guida la
comunità ricorderà il perenne valore di questo genere di vita, perché, oggi
come ieri e come sempre, nulla è più importante, bello e vero dello
spendere la propria vita per il Signore e per i più piccoli dei suoi figli.
La guida comunitaria è come il buon pastore che dedica la sua vita per le
pecore, anche perché nei momenti critici non si tira indietro, ma è
presente, partecipa alle preoccupazioni e alle difficoltà delle persone
affidate alle sue cure, lasciandosi coinvolgere in prima persona; e, come il
buon samaritano, sarà pronta a curare le eventuali ferite. Riconosce inoltre
umilmente i propri limiti e il bisogno dell'aiuto degli altri, sapendo far
tesoro anche dei propri insuccessi e delle proprie sconfitte.
e) L'autorità è chiamata a tener vivo il carisma della propria famiglia
religiosa. L'esercizio dell'autorità comporta anche il mettersi al servizio
del carisma proprio dell'Istituto di appartenenza, custodendolo con cura e
rendendolo attuale nella comunità locale o nella provincia o nell'intero
Istituto, secondo i progetti e gli orientamenti offerti, in particolare, dai
Capitoli generali (o riunioni analoghe).31 Ciò esige nell'autorità
un'adeguata conoscenza del carisma dell'Istituto, assumendolo anzitutto
nella propria esperienza personale, per poi interpretarlo in funzione della
vita fraterna comunitaria e del suo inserimento nel contesto ecclesiale e
sociale.
f) L'autorità è chiamata a tener vivo il “sentire cum Ecclesia”. Compito
dell'autorità è anche di aiutare a mantenere vivo il senso della fede e della
comunione ecclesiale, in mezzo ad un popolo che riconosce e loda le
meraviglie di Dio, testimoniando la gioia di appartenere a Lui nella grande
famiglia della Chiesa una, santa, cattolica e apostolica. La sequela del
Signore non può essere impresa di navigatori solitari, ma è attuata nella
comune barca di Pietro, che resiste nelle tempeste; e alla buona

2.3 Page 13

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navigazione la persona consacrata darà il contributo di una fedeltà
laboriosa e gioiosa.32 L'autorità dovrà dunque ricordare che « la nostra
obbedienza è un credere con la Chiesa, un pensare e parlare con la Chiesa,
un servire con essa. Rientra in questo sempre anche ciò che Gesù ha
predetto a Pietro: “Sarai portato dove non volevi”. Questo farsi guidare
dove non vogliamo è una dimensione essenziale del nostro servire, ed è
proprio ciò che ci rende liberi ».33
Il sentire cum Ecclesia, che brilla nei fondatori e fondatrici, implica
un'autentica spiritualità di comunione, cioè « un rapporto effettivo ed
affettivo con i Pastori, prima di tutto con il Papa, centro dell'unità della
Chiesa »:34 a lui ogni persona consacrata deve piena e fiduciosa
obbedienza, anche in forza dello stesso voto.35 La comunione ecclesiale
domanda, inoltre, un'adesione fedele al magistero del Papa e dei Vescovi,
come testimonianza concreta dell'amore alla Chiesa e della passione per la
sua unità.36
g) L'autorità è chiamata ad accompagnare il cammino di formazione
permanente. Compito da considerare oggi sempre più importante, da parte
dell'autorità, è quello di accompagnare lungo il cammino della vita le
persone ad essa affidate. Questo compito essa adempie non solo offrendo
il suo aiuto per risolvere eventuali problemi o superare possibili crisi, ma
anche avendo attenzione alla crescita normale d'ognuno in ogni fase e
stagione dell'esistenza, affinché sia garantita quella « giovinezza dello
spirito che permane nel tempo »37 e che rende la persona consacrata
sempre più conforme ai « sentimenti che furono in Cristo Gesù » (Fil 2,5).
Sarà dunque responsabilità dell'autorità tener alto in ognuno il livello della
disponibilità formativa, della capacità di imparare dalla vita, della libertà
di lasciarsi formare ciascuno dall'altro e di sentirsi ognuno responsabile
del cammino di crescita dell'altro. Tutto ciò sarà favorito dall'utilizzo degli
strumenti di crescita comunitaria trasmessi dalla tradizione e oggi sempre
più raccomandati da chi ha sicura esperienza nel campo della formazione
spirituale: condivisione della Parola, progetto personale e comunitario,
discernimento comunitario, revisione di vita, correzione fraterna.38
Il servizio dell'autorità alla luce della normativa ecclesiale
14. Nei paragrafi precedenti è stato descritto il servizio dell'autorità nella
vita consacrata in riferimento alla ricerca della volontà del Padre e ne sono
state indicate alcune priorità.
Affinché tali priorità non siano intese come puramente facoltative, pare
opportuno riprendere i caratteri peculiari dell'esercizio dell'autorità
secondo il Codice di Diritto Canonico.39 In esso vengono tradotti in
norme i tratti evangelici della potestà esercitata dai superiori religiosi ai
vari livelli.
a) Obbedienza del superiore. Movendo dalla caratteristica natura di munus
dell'autorità ecclesiale, il Codice ricorda al superiore religioso che egli è
innanzitutto chiamato ad essere il primo obbediente. In forza dell'ufficio

2.4 Page 14

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assunto, egli deve obbedienza alla legge di Dio, dal quale viene la sua
autorità e al quale dovrà rendere conto in coscienza, alla legge della
Chiesa e al Romano Pontefice, al diritto proprio dell'Istituto.
b) Spirito di servizio. Dopo aver riaffermato l'origine carismatica e la
mediazione ecclesiale dell'autorità religiosa, si ribadisce che, come ogni
autorità nella Chiesa, anche l'autorità del superiore religioso deve
caratterizzarsi per lo spirito di servizio, sull'esempio di Cristo che « non è
venuto per essere servito, ma per servire » (Mc 10,45).
In particolare, di tale spirito di servizio vengono indicati alcuni aspetti, la
cui fedele osservanza farà sì che i superiori, nell'adempimento del proprio
incarico, siano riconosciuti come « docili alla volontà di Dio ».40
Ogni superiore pertanto è chiamato a far rivivere visibilmente, fratello tra
fratelli o sorella tra sorelle, l'amore con cui Dio ama i suoi figli, evitando,
da un lato, ogni atteggiamento di dominio e, dall'altro, ogni forma di
paternalismo o maternalismo.
Tutto ciò è reso possibile dalla fiducia nella responsabilità dei fratelli, «
suscitando la loro volontaria obbedienza nel rispetto della persona umana
»,41 e attraverso il dialogo, tenendo presente che l'adesione deve avvenire
« in spirito di fede e di amore, per seguire Cristo obbediente » 42 e non per
altre motivazioni.
c) Sollecitudine pastorale. Il Codice indica quale fine primario
dell'esercizio della potestà religiosa quello di « costruire in Cristo una
comunità fraterna nella quale si ricerchi Dio e lo si ami sopra ogni cosa
».43 Pertanto nella comunità religiosa l'autorità è essenzialmente pastorale,
in quanto per sua natura è tutta in funzione della costruzione della vita
fraterna in comunità, secondo l'identità ecclesiale propria della vita
consacrata.44
I mezzi precipui che il superiore deve utilizzare per conseguire tale fine
primario non possono che essere basati sulla fede: essi sono, in
particolare, l'ascolto della Parola di Dio e la celebrazione della Liturgia.
Vengono infine segnalati alcuni ambiti di particolare sollecitudine da parte
dei superiori nei confronti dei fratelli o delle sorelle: « provvedano in
modo conveniente a quanto loro personalmente occorre; visitino gli
ammalati procurando loro con sollecitudine le cure necessarie, riprendano
gli irrequieti, confortino i timidi, siano pazienti con tutti ».45
In missione con la libertà dei figli di Dio
15. La missione si rivolge oggi, non raramente, a persone preoccupate
della propria autonomia, gelose della propria libertà, timorose di perdere
la propria indipendenza.
La persona consacrata, con la sua stessa esistenza, presenta la possibilità
di una via diversa per la realizzazione della propria vita: una via dove Dio

2.5 Page 15

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è la meta, la sua Parola è luce e la sua volontà è guida, dove si procede
sereni perché certi d'essere sorretti dalle mani di un Padre accogliente e
provvidente, dove si è accompagnati da fratelli e sorelle, sospinti dallo
stesso Spirito, il quale vuole e sa come appagare i desideri seminati dal
Padre nel cuore di ciascuno.
È questa la prima missione della persona consacrata: essa deve
testimoniare la libertà dei figli di Dio, una libertà modellata su quella di
Cristo, uomo libero di servire Dio e i fratelli; deve inoltre dire con il
proprio essere che quel Dio che ha plasmato la creatura umana dal fango
(cf. Gen 2,7.22) e l'ha intessuta nel seno di sua madre (cf. Sl 138,13), può
plasmare la sua vita modellandola su quella di Cristo, uomo nuovo e
perfettamente libero.
SECONDA PARTE
AUTORITÀ E OBBEDIENZA
NELLA VITA FRATERNA
« Uno solo è il vostro maestro e voi siete tutti fratelli »
(Mt 23,8)
Il comandamento nuovo
16. A tutti coloro che cercano Dio, accanto al comandamento « amerai il
Signore Dio tuo con tutto il cuore, con tutta l'anima e con tutta la mente »,
viene dato il secondo comandamento « simile al primo »: « amerai il
prossimo tuo come te stesso » (Mt 22,37-39). Anzi, aggiunge il Signore
Gesù: « Amatevi come io vi ho amati », poiché dalla qualità del vostro
amore « riconosceranno che siete miei discepoli » (Gv 13,34-35). La
costruzione di comunità fraterne costituisce uno degli impegni
fondamentali della vita consacrata, a cui i membri della comunità sono
chiamati a dedicarsi mossi dallo stesso amore che il Signore ha riversato
nei loro cuori. La vita fraterna in comunità, infatti, è un elemento
costitutivo della vita religiosa, segno eloquente degli effetti umanizzanti
della presenza del Regno di Dio.
Se è vero che non si danno comunità significative senza amore fraterno, è
altrettanto vero che una corretta visione dell'obbedienza e dell'autorità può
offrire un valido aiuto per vivere nella quotidianità il comandamento
dell'amore, specie quando si tratta di affrontare problemi riguardanti il
rapporto tra persona e comunità.
L'autorità a servizio della comunità, la comunità a servizio del Regno
17. « Tutti coloro che sono guidati dallo Spirito di Dio, costoro sono figli
di Dio » (Rm 8,14): noi siamo dunque sorelle e fratelli nella misura in cui
Dio è il Padre che guida con il suo Spirito la comunità di sorelle e fratelli,
configurandoli al Figlio suo.

2.6 Page 16

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In questo disegno s'inserisce la funzione dell'autorità. I superiori e le
superiore, in unione con le persone loro affidate, sono chiamati a edificare
in Cristo una comunità fraterna, nella quale si ricerchi Dio e lo si ami
sopra ogni cosa, per realizzare il suo progetto redentivo.46 L'autorità è,
dunque, al servizio della comunità, come il Signore Gesù che lavò i piedi
ai suoi discepoli, perché, a sua volta, la comunità sia a servizio del Regno
(cf. Gv 13,1-17). Esercitare l'autorità in mezzo ai fratelli significa servirli
sull'esempio di Colui che « ha dato la sua vita in riscatto per molti » (Mc
10,45), perché anch'essi diano la vita.
Soltanto se il superiore, da parte sua, vive nell'obbedienza a Cristo e in
sincera osservanza della Regola, i membri della comunità possono
comprendere che la loro obbedienza al superiore non solo non è contraria
alla libertà dei figli di Dio, ma la fa maturare nella conformità a Cristo,
obbediente al Padre.47
Docili allo Spirito che conduce all'unità
18. Una medesima chiamata di Dio ha radunato insieme i membri di una
comunità o di un Istituto (cf. Col 3,15); un'unica volontà di cercare Dio
continua a guidarli. « La vita di comunità è in modo particolare il segno,
di fronte alla Chiesa e alla società, del legame che viene dalla medesima
chiamata e dalla volontà comune di obbedire ad essa, al di là di ogni
diversità di razza e di origine, di lingua e di cultura. Contro lo spirito di
discordia e di divisione, autorità e obbedienza risplendono come un segno
di quell'unica paternità che viene da Dio, della fraternità nata dallo Spirito,
della libertà interiore di chi si fida di Dio, nonostante i limiti umani di
quanti lo rappresentano ».48
Lo Spirito rende ciascuno disponibile per il Regno, pur nella differenza di
doni e di ruoli (cf. 1 Cor 12,11). L'obbedienza alla sua azione unifica la
comunità nella testimonianza della sua presenza, rende gioiosi i passi di
tutti (cf. Sl 36,23) e diviene il fondamento della vita fraterna, nella quale
tutti obbediscono pur con diversi compiti. La ricerca della volontà di Dio e
la disponibilità a compierla è il cemento spirituale che salva il gruppo
dalla frammentazione che potrebbe derivare dalle molte soggettività
quando sono prive di un principio di unità.
Per una spiritualità di comunione e per una santità comunitaria
19. Una rinnovata concezione antropologica, in questi ultimi anni, ha
messo molto più in evidenza l'importanza della dimensione relazionale
dell'essere umano. Tale concezione trova ampie conferme nell'immagine
di persona umana che emerge dalle Scritture, e, senza dubbio, ha influito
anche sul modo di concepire la relazione all'interno della comunità
religiosa, rendendola più attenta al valore dell'apertura all'altro- da-sé, alla
fecondità del rapporto con la diversità e all'arricchimento che ne deriva ad
ognuno.
Tale antropologia relazionale ha pure esercitato un influsso almeno
indiretto, come abbiamo già ricordato, sulla spiritualità di comunione, e
ha contribuito a rinnovare il concetto di missione, intesa come impegno

2.7 Page 17

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condiviso con tutti i membri del popolo di Dio, in uno spirito di
collaborazione e corresponsabilità. La spiritualità di comunione si
prospetta come il clima spirituale della Chiesa all'inizio del terzo
millennio e dunque come compito attivo ed esemplare della vita
consacrata a tutti i livelli. È la strada maestra di un futuro di vita credente
e di testimonianza cristiana. Essa trova il suo irrinunciabile riferimento nel
mistero eucaristico, sempre più riconosciuto come centrale, proprio perché
« l'Eucaristia è costitutiva dell'essere e dell'agire della Chiesa » e « si
mostra alla radice della Chiesa come mistero di comunione ».49
La santità e la missione passano per la comunità, poiché il Signore risorto
si fa presente in essa e attraverso di essa,50 rendendola santa e santificando
le relazioni. Non ha forse Gesù promesso di esser presente dove due o tre
sono riuniti nel suo nome (cf. Mt 18,20)? Il fratello e la sorella diventano
in tal modo sacramento di Cristo e dell'incontro con Dio, possibilità
concreta di poter vivere il comandamento dell'amore reciproco. Il
cammino di santità diventa così percorso che tutta la comunità compie
insieme; non solo cammino del singolo, ma sempre più esperienza
comunitaria: nell'accoglienza reciproca; nella condivisione dei doni,
soprattutto del dono dell'amore, del perdono e della correzione fraterna;
nella comune ricerca della volontà del Signore, ricco di grazia e di
misericordia; nella disponibilità a farsi carico ognuno del cammino
dell'altro.
Nel clima culturale di oggi la santità comunitaria è testimonianza
convincente, forse più ancora di quella del singolo: essa manifesta il
perenne valore dell'unità, dono lasciatoci dal Signore Gesù. Ciò si fa
evidente, in particolare, nelle comunità internazionali e interculturali che
richiedono alti livelli di accoglienza e di dialogo.
Il ruolo dell'autorità per la crescita della fraternità
20. La crescita della fraternità è frutto di una carità “ordinata”. Perciò « è
necessario che il diritto proprio sia il più possibile esatto nello stabilire le
rispettive competenze della comunità, dei diversi Consigli, dei
responsabili settoriali e del superiore. La poca chiarezza in questo settore è
fonte di confusione e di conflittualità. Anche i “progetti comunitari”, che
possono aiutare la partecipazione alla vita comunitaria e alla sua missione
nei diversi contesti, dovrebbero avere la preoccupazione di ben definire il
ruolo e la competenza dell'autorità, sempre nel rispetto delle Costituzioni
».51
Entro questo quadro, l'autorità promuove la crescita della vita fraterna
attraverso il servizio dell'ascolto e del dialogo, la creazione di un clima
favorevole alla condivisione e alla corresponsabilità, la partecipazione di
tutti alle cose di tutti, il servizio equilibrato al singolo e alla comunità, il
discernimento, la promozione dell'obbedienza fraterna.
a) Il servizio dell'ascolto
L'esercizio dell'autorità comporta che essa ascolti volentieri le persone che

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il Signore le ha affidato.52 San Benedetto insiste: « L'abate convochi tutta
la comunità »; « a consiglio siano chiamati tutti », « perché spesso è
proprio al più giovane che il Signore rivela la soluzione migliore ».53
L'ascolto è uno dei ministeri principali del superiore, per il quale egli
dovrebbe essere sempre disponibile, soprattutto con chi si sente isolato e
bisognoso d'attenzione. Ascoltare, infatti, significa accogliere
incondizionatamente l'altro, dargli spazio nel proprio cuore. Per questo
l'ascolto trasmette affetto e comprensione, dice che l'altro è apprezzato e la
sua presenza e il suo parere sono tenuti in considerazione.
Chi presiede deve ricordare che chi non sa ascoltare il fratello o la sorella
non sa ascoltare neppure Dio, che un ascolto attento permette di
coordinare meglio le energie e i doni che lo Spirito ha dato alla comunità,
e anche di tener presenti, nelle decisioni, i limiti e le difficoltà di qualche
membro. Il tempo impiegato nell'ascolto non è mai tempo sprecato, e
l'ascolto spesso può prevenire crisi e momenti difficili a livello sia
individuale che comunitario.
b) La creazione di un clima favorevole al dialogo, alla condivisione e alla
corresponsabilità
L'autorità si dovrà preoccupare di creare un ambiente di fiducia,
promovendo il riconoscimento delle capacità e delle sensibilità dei singoli.
Inoltre alimenterà, con le parole e con i fatti, la convinzione che la
fraternità esige partecipazione e quindi informazione.
Accanto all'ascolto, avrà stima del dialogo sincero e libero per condividere
i sentimenti, le prospettive e i progetti: in questo clima ognuno potrà veder
riconosciuta la propria identità e migliorare le proprie capacità relazionali.
Non avrà timore di riconoscere e accettare quei problemi che possono
facilmente sorgere dal cercare insieme, dal decidere insieme, dal lavorare
insieme, dall'intraprendere insieme le vie migliori per attuare una feconda
collaborazione; al contrario, cercherà le cause degli eventuali disagi e
incomprensioni, sapendo proporre rimedi, il più possibile condivisi. Si
impegnerà, inoltre, a far superare qualsiasi forma di infantilismo e a
scoraggiare qualunque tentativo di evitare responsabilità o di eludere
impegni gravosi, di chiudersi nel proprio mondo e nei propri interessi o di
lavorare in maniera solitaria.
c) La sollecitazione dell'apporto di tutti alle cose di tutti
Chi presiede ha la responsabilità della decisione finale,54 ma deve
giungervi non da solo o da sola, bensì valorizzando il più possibile
l'apporto libero di tutti i fratelli o di tutte le sorelle. La comunità è tale
quale la rendono i suoi membri: dunque sarà fondamentale stimolare e
motivare il contributo di tutte le persone, perché ognuna senta il dovere di
dare il proprio apporto di carità, competenza e creatività. Tutte le risorse
umane vanno infatti potenziate e fatte convergere nel progetto
comunitario, motivandole e rispettandole.
Non basta metter in comune i beni materiali, ma ancor più significativa è

2.9 Page 19

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la comunione dei beni e delle capacità personali, di doti e talenti, di
intuizioni e ispirazioni, e più fondamentale ancora e da promuovere è la
condivisione dei beni spirituali, dell'ascolto della Parola di Dio, della fede:
« il vincolo di fraternità è tanto più forte quanto più centrale e vitale è ciò
che si mette in comune ».55
Non tutti, probabilmente, saranno subito ben disposti per questo tipo di
condivisione: di fronte ad eventuali resistenze, lungi dal rinunciare al
progetto, l'autorità cercherà di bilanciare sapientemente la sollecitazione
alla comunione dinamica e intraprendente con l'arte di pazientare, senza
pretendere di vedere frutti immediati dei propri sforzi. E riconoscerà che
Dio è l'unico Signore che può toccare e cambiare i cuori delle persone.
d) Al servizio del singolo e della comunità
Nell'affidare i diversi incarichi, l'autorità dovrà tener conto della
personalità d'ogni fratello o sorella, delle sue difficoltà e predisposizioni,
per dar modo a ciascuno, nel rispetto della libertà di tutti, d'esprimere i
propri doni; al tempo stesso dovrà necessariamente considerare il bene
della comunità e il servizio all'opera ad essa eventualmente affidata.
Non sempre tale composizione di finalità sarà di facile attuazione.
Diventerà allora indispensabile l'equilibrio dell'autorità, che si manifesta
sia nella capacità di cogliere la positività di ognuno e di utilizzare al
meglio le forze disponibili, sia in quella rettitudine di intenzione che la
renda interiormente libera, non troppo preoccupata di piacere e
compiacere, e chiara nell'indicare il significato vero della missione per la
persona consacrata, che non può ridursi alla valorizzazione delle doti di
ognuno.
Sarà però altrettanto indispensabile che la persona consacrata accetti con
spirito di fede, e dalle mani del Padre, l'incarico affidato, anche quando
non è conforme ai suoi desideri e alle sue aspettative, o al suo modo
d'intendere la volontà di Dio. Pur potendo esprimere le proprie difficoltà
(anzi, manifestandole con schiettezza come contributo alla verità),
obbedire in tali casi significa rimettersi alla decisione finale dell'autorità,
con la convinzione che tale obbedienza è un apporto prezioso, ancorché
sofferto, all'edificazione del Regno.
e) Il discernimento comunitario
« Nella fraternità, animata dallo Spirito, ciascuno intrattiene con l'altro un
prezioso dialogo per scoprire la volontà del Padre e tutti riconoscono in
chi presiede l'espressione della paternità di Dio e l'esercizio dell'autorità
ricevuta da Dio al servizio del discernimento e della comunione ».56
Alcune volte, quando il diritto proprio lo prevede o quando lo richiede la
rilevanza della decisione da prendere, la ricerca di una risposta adeguata è
affidata al discernimento comunitario, nel quale si tratta di ascoltare ciò
che lo Spirito dice alla comunità (cf. Ap 2,7).
Se il discernimento vero e proprio è riservato alle decisioni più importanti,

2.10 Page 20

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lo spirito del discernimento dovrebbe caratterizzare ogni processo
decisionale che coinvolga la comunità. Non dovrebbe mai mancare allora,
prima d'ogni decisione, un tempo di preghiera e di riflessione individuale,
assieme ad una serie di atteggiamenti importanti per scegliere insieme ciò
che è giusto e a Dio gradito. Ecco alcuni di questi atteggiamenti:
– la determinazione a cercare niente altro che la volontà divina,
lasciandosi ispirare dal modo di agire di Dio manifestato nella Sante
Scritture e nella storia del carisma dell'Istituto, e avendo la
consapevolezza che la logica evangelica è spesso “capovolta” di fronte a
quella umana che cerca il successo, l'efficienza, il riconoscimento;
– la disponibilità a riconoscere in ogni fratello o sorella la capacità di
cogliere la verità, anche se parziale, e perciò ad accoglierne il parere come
mediazione per scoprire assieme il volere di Dio, fino al punto di saper
riconoscere le idee altrui come migliori delle proprie;
– l'attenzione ai segni dei tempi, alle attese della gente, alle esigenze dei
poveri, alle urgenze dell'evangelizzazione, alle priorità della Chiesa
universale e particolare, alle indicazioni dei Capitoli e dei superiori
maggiori;
– la libertà da pregiudizi, da attaccamenti eccessivi alle proprie idee, da
schemi percettivi rigidi o distorti, da schieramenti che esasperano la
diversità di vedute;
– il coraggio di motivare le proprie idee e posizioni, ma anche di aprirsi a
prospettive nuove e di modificare il proprio punto di vista;
– il fermo proposito di mantenere l'unità in ogni caso, qualunque sia la
decisione finale.
Il discernimento comunitario non sostituisce la natura e la funzione
dell'autorità, alla quale spetta la decisione finale; tuttavia l'autorità non
può ignorare che la comunità è il luogo privilegiato per riconoscere e
accogliere la volontà di Dio. In ogni caso, il discernimento è momento tra
i più alti della fraternità consacrata, ove risaltano con particolare chiarezza
la centralità di Dio quale fine ultimo della ricerca di tutti, come pure la
responsabilità e l'apporto di ognuno nel cammino di tutti verso la verità.
f) Discernimento, autorità e obbedienza
L'autorità sarà paziente nel delicato processo del discernimento, che
cercherà di garantire nelle sue fasi e sostenere nei passaggi più critici, e
sarà ferma nel richiedere l'applicazione di quanto deciso. Sarà attenta a
non abdicare alle proprie responsabilità, magari per amore del quieto
vivere o per paura di urtare la suscettibilità di qualcuno. Sentirà la
responsabilità di non essere latitante in situazioni in cui occorre prendere
decisioni chiare e, talvolta, sgradite.57 L'amore vero verso la comunità è
proprio ciò che rende l'autorità capace di conciliare fermezza e pazienza,
ascolto di ognuno e coraggio di prender decisioni, superando la tentazione
di essere sorda e muta.

3 Pages 21-30

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3.1 Page 21

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Si deve osservare, infine, che una comunità non può essere in stato di
discernimento continuo. Dopo il tempo del discernimento c'è il tempo
dell'obbedienza, cioè dell'esecuzione della decisione: entrambi sono tempi
in cui è necessario vivere con spirito obbediente.
g) L'obbedienza fraterna
San Benedetto, verso la fine della sua Regola, afferma: « La virtù
dell'obbedienza non deve essere solo esercitata nei confronti dell'abate, ma
bisogna anche che i fratelli si obbediscano tra di loro, nella piena
consapevolezza che è proprio per questa via dell'obbedienza che andranno
a Dio ».58 « Essi si prevengano dunque nello stimarsi a vicenda:
sopportino con instancabile pazienza le loro infermità fisiche e morali;
facciano a gara nell'obbedirsi a vicenda; nessuno cerchi il proprio
vantaggio, ma quello degli altri ».59 E San Basilio Magno si chiede: « In
che modo bisogna obbedire gli uni agli altri? ». E risponde: « Come dei
servi ai loro padroni, secondo quanto ci ha ordinato il Signore: Chi vuol
essere grande tra di voi, sia ultimo di tutti e servo di tutti (cf. Mc 10, 44);
Egli aggiunge poi queste parole ancora più impressionanti: “Come il
Figlio dell'uomo non è venuto per essere servito, ma per servire” (Mc 10,
45); e secondo quanto dice l'Apostolo: “Per mezzo dell'amore dello
Spirito, siate servi gli uni degli altri” (Gal 5, 13) ».60
La vera fraternità si fonda sul riconoscimento della dignità del fratello o
della sorella, e si attua nell'attenzione all'altro e alle sue necessità, nella
capacità di gioire per i suoi doni e le sue realizzazioni, nel mettere a sua
disposizione il proprio tempo per ascoltare e lasciarsi illuminare. Ma ciò
esige d'essere interiormente liberi.
Non è certamente libero chi è convinto che le sue idee e le sue soluzioni
siano sempre le migliori; chi ritiene di poter decidere da solo senza alcuna
mediazione per conoscere la volontà divina; chi si pensa sempre nel giusto
e non ha dubbi che siano gli altri a dover cambiare; chi pensa solo alle sue
cose e non volge nessuna attenzione alle necessità degli altri; chi pensa
che obbedire sia cosa d'altri tempi, improponibile in un mondo più
evoluto.
Libera, invece, è quella persona che vive costantemente protesa e attenta a
cogliere in ogni situazione della vita, e soprattutto in ogni persona che gli
vive accanto, una mediazione della volontà del Signore, per quanto
misteriosa. Per questo « Cristo ci ha liberati, perché restassimo liberi »
(Gal 5,1). Ci ha liberati perché possiamo incontrare Dio lungo le
innumerevoli vie dell'esistenza d'ogni giorno.
« Il primo tra voi, si farà vostro schiavo » (Mt 20,27)
21. Anche se oggi l'assunzione delle responsabilità proprie dell'autorità
può apparire un fardello particolarmente gravoso, e richiede l'umiltà del
farsi servo e serva degli altri, tuttavia è sempre bene ricordare le severe
parole che il Signore Gesù rivolge a coloro che sono tentati di rivestire di
prestigio mondano la loro autorità: « Colui che vorrà essere il primo tra di
voi, si farà vostro schiavo, appunto come il Figlio dell'uomo che non è

3.2 Page 22

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venuto per essere servito, ma per servire e dare la sua vita in riscatto per
molti » (Mt 20,27-28).
Chi cerca nel proprio ufficio un mezzo per emergere o per affermarsi, per
farsi servire o per asservire, si pone palesemente al di fuori del modello
evangelico dell'autorità. Meritano allora attenzione le parole che San
Bernardo rivolgeva a un suo discepolo divenuto successore di Pietro: «
Considera se hai fatto progressi sulla via della virtù, della saggezza,
dell'intelligenza, della bontà. Sei più arrogante o più umile? Più benevolo
o più altezzoso? Più indulgente o più intransigente? Che cosa hai
sviluppato in te: il timore di Dio o una pericolosa sfrontatezza? ».61
L'obbedienza, anche nelle migliori condizioni, non è facile; ma è
agevolata quando la persona consacrata vede l'autorità mettersi al servizio
umile e operoso della fraternità e della missione: un'autorità che, pur con
tutti i limiti umani, cerca di ripresentare nel suo agire atteggiamenti e
sentimenti del Buon Pastore.
« Prego colei che avrà l'ufficio delle sorelle, – affermava nel suo
testamento Santa Chiara d'Assisi – che si studi di presiedere alle altre per
virtù e santi costumi, più che per l'ufficio, affinché le sue sorelle,
provocate dal suo esempio, le obbediscano, non tanto per l'ufficio, ma
piuttosto per amore ».62
La vita fraterna come missione
22. Le persone consacrate, guidate dall'autorità, sono chiamate a
confrontarsi spesso con il comandamento nuovo, il comandamento che
rinnova tutte le cose: « Amatevi come io vi ho amato » (Gv 15,12).
Amarsi come il Signore ha amato significa andare oltre il merito personale
dei fratelli e delle sorelle, significa obbedire non ai propri desideri ma a
Dio che parla attraverso la condizione e le necessità dei fratelli e delle
sorelle. È necessario ricordare che il tempo dedicato a migliorare la qualità
della vita fraterna non è tempo sprecato, poiché, come ha ripetutamente
sottolineato il compianto Papa Giovanni Paolo II, « tutta la fecondità della
vita religiosa dipende dalla qualità della vita fraterna ».63
La tensione a realizzare comunità fraterne non è soltanto preparazione alla
missione, ma parte integrante di essa, dal momento che « la comunione
fraterna, in quanto tale, è già apostolato ».64 Essere in missione come
comunità che costruiscono quotidianamente la fraternità, nella continua
ricerca della volontà di Dio, significa affermare che, seguendo il Signore
Gesù, è possibile realizzare in un modo nuovo e umanizzante la
convivenza umana.
TERZA PARTE
IN MISSIONE

3.3 Page 23

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« Come il Padre ha mandato me, anch'io mando voi »
(Gv 20,21)
In missione con tutto il proprio essere, come Gesù, il Signore
23. Il Signore Gesù ci fa comprendere, con la sua stessa forma di vita, che
missione e obbedienza si appartengono reciprocamente. Nei Vangeli Gesù
si presenta sempre come “il mandato dal Padre a fare la sua volontà” (cf.
Gv 5,36-38; 6,38-40; 7,16-18); Egli compie sempre le cose che sono
gradite al Padre. Si può dire che tutta la vita di Gesù è missione del Padre.
Egli è la missione del Padre.
Come il Verbo è venuto in missione incarnandosi in una umanità che si è
lasciata totalmente assumere, così noi collaboriamo alla missione di Cristo
e gli permettiamo di portarla a pieno compimento soprattutto accogliendo
Lui, rendendoci spazio della sua presenza e, quindi, continuazione della
sua vita nella storia, per dare agli altri la possibilità di incontrarlo.
Considerando che Cristo, nella sua vita e nella sua opera, è stato l'amen
(cf. Ap 3,14), il (cf. 2 Cor 1,20) perfetto detto al Padre, e che dire
significa semplicemente obbedire, è impossibile pensare alla missione se
non in relazione all'obbedienza. Vivere la missione implica sempre l'essere
mandati, e ciò comporta il riferimento sia a colui che invia sia al contenuto
della missione da svolgere. Per questo senza riferimento all'obbedienza lo
stesso termine missione diventa difficilmente comprensibile e si espone al
rischio di essere ridotto a qualcosa che fa riferimento solo a se stessi. Vi è
sempre il pericolo di ridurre la missione ad una professione da compiere in
vista della propria realizzazione e, dunque, da gestire più o meno in
proprio.
In missione per servire
24. Nei suoi Esercizi spirituali S'ant'Ignazio di Loyola scrive che il
Signore chiama tutti e dice: « Chi vuol venire con me deve lavorare con
me, perché seguendomi nella fatica e nella sofferenza, mi segua anche
nella gloria ».65 La missione deve misurarsi, oggi come ieri, con notevoli
difficoltà, che possono essere affrontate solo con la grazia che viene dal
Signore, nella consapevolezza, umile e forte, di essere inviati da Lui e di
poter, proprio per questo, contare sul suo aiuto.
Grazie all'obbedienza si ha la certezza di servire il Signore, di essere «
servi e serve del Signore », nel proprio agire e nel proprio soffrire. Tale
certezza è fonte di impegno incondizionato, di fedeltà tenace, di serenità
interiore, di servizio disinteressato, di dedizione delle migliori energie. «
Chi obbedisce ha la garanzia di essere davvero in missione, alla sequela
del Signore e non alla rincorsa dei propri desideri o delle proprie
aspettative. E così è possibile sapersi condotti dallo Spirito del Signore e
sostenuti, anche in mezzo a grandi difficoltà, dalla sua mano sicura (cf. At
20,22) ».66
Si è in missione quando, lungi dall'inseguire la propria affermazione, si è
in primo luogo condotti dal desiderio di compiere l'adorabile volontà di

3.4 Page 24

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Dio. Tale desiderio è l'anima dell'orazione (« Venga il tuo Regno, sia fatta
la tua volontà ») e la forza dell'apostolo. La missione richiede l'impegno di
tutte le doti e di tutti i talenti umani, i quali concorrono alla salvezza
quando sono immessi nel fiume della volontà di Dio, che porta le cose che
passano nell'oceano delle realtà eterne, dove Dio, sconfinata felicità, sarà
tutto in tutti (cf. 1 Cor 15,28).
Autorità e missione
25. Tutto ciò implica che si riconosca all'autorità un compito importante
nei confronti della missione, nella fedeltà al proprio carisma. Compito non
semplice, né esente da difficoltà ed equivoci. In passato il rischio poteva
venire da un'autorità orientata prevalentemente verso la gestione delle
opere, con il pericolo di trascurare le persone; oggi, invece, il rischio può
venire dal timore eccessivo, da parte dell'autorità, di urtare le suscettibilità
personali, o da una frammentazione di competenze e responsabilità che
indebolisce la convergenza verso l'obiettivo comune e vanifica lo stesso
ruolo dell'autorità.
Questa, tuttavia non è responsabile soltanto dell'animazione della
comunità, ma ha pure una funzione di coordinamento delle varie
competenze in ordine alla missione, nel rispetto dei ruoli e secondo le
norme interne dell'Istituto. Se l'autorità non può (e non deve) fare tutto, è
però responsabile ultima del tutto.67
Molteplici sono le sfide che il momento presente pone all'autorità di fronte
al compito di coordinare le energie in vista della missione. Anche qui si
elencano alcuni compiti ritenuti importanti nel servizio dell'autorità. Essa:
a) Incoraggia ad assumere le responsabilità e le rispetta quando assunte
Ad alcuni le responsabilità possono suscitare un senso di timore. È quindi
necessario che l'autorità trasmetta ai propri collaboratori la fortezza
cristiana e il coraggio nell'affrontare le difficoltà, superando paure e
atteggiamenti rinunciatari.
Sarà sua premura il condividere non solo le informazioni ma anche le
responsabilità, impegnandosi poi a rispettare ciascuno nella propria giusta
autonomia. Ciò comporta da parte dell'autorità un paziente lavoro di
coordinamento e, da parte della persona consacrata, la sincera
disponibilità a collaborare.
L'autorità deve “esserci” quando occorre, per favorire nei membri della
comunità il senso dell'interdipendenza, lontana tanto dalla dipendenza
infantile quanto dall'indipendenza autosufficiente. Tutto ciò è frutto di
quella libertà interiore che consente ad ognuno di lavorare e collaborare,
di sostituire ed essere sostituito, di essere protagonista e di dare il proprio
apporto anche stando nelle retrovie.
Chi esercita il servizio dell'autorità si guarderà dal cedere alla tentazione
dell'autosufficienza personale, dal credere cioè che tutto dipenda da lui o
da lei, e che non sia così importante e utile favorire la partecipazione

3.5 Page 25

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corale comunitaria, poiché è meglio fare un passo assieme che due (o
anche più) da soli.
b) Invita ad affrontare le diversità in spirito di comunione
I rapidi cambi culturali in corso non solo provocano trasformazioni
strutturali che hanno riflessi sulle attività e sulla missione, ma possono dar
luogo a tensioni all'interno delle comunità, dove diversi tipi di formazione
culturale o spirituale orientano a dare letture diverse dei segni dei tempi e
quindi a proporre progetti differenti, non sempre conciliabili. Tali
situazioni possono essere più frequenti oggi rispetto al passato, poiché
cresce il numero delle comunità costituite da persone che provengono da
diverse etnie o culture e si accentuano le differenze generazionali.
L'autorità è chiamata a servire con spirito di comunione anche queste
comunità composite, aiutandole ad offrire, in un mondo segnato da molte
divisioni, la testimonianza che è possibile vivere assieme ed amarsi anche
se diversi. Dovrà allora tener fermi alcuni principi teorico-pratici:
– ricordare che, nello spirito del vangelo, il conflitto di idee non diviene
mai conflitto di persone;
– richiamare che la pluralità di prospettive favorisce l'approfondimento
delle questioni;
– favorire la comunicazione, così che il libero scambio di idee chiarisca le
posizioni e faccia emergere il contributo positivo di ciascuno;
– aiutare a liberarsi dall'egocentrismo e dall'etnocentrismo, che tendono a
riversare sugli altri le cause dei mali, per arrivare ad una mutua
comprensione;
– rendere consapevoli che l'ideale non è quello di avere una comunità
senza conflitti, ma una comunità che accetta di affrontare le proprie
tensioni per risolverle positivamente, cercando soluzioni che non ignorino
nessuno dei valori a cui è necessario fare riferimento.
c) Mantiene l'equilibrio tra le varie dimensioni della vita consacrata
Queste, infatti, possono entrare in tensione tra di loro. L'autorità deve
vegliare perché l'unità di vita sia salva e di fatto venga rispettato il più
possibile l'equilibrio tra tempo dedicato alla preghiera e tempo dedicato al
lavoro, tra individuo e comunità, tra impegno e riposo, tra attenzione alla
vita comune e attenzione al mondo e alla Chiesa, tra formazione personale
e formazione comunitaria.68
Uno degli equilibri più delicati è quello tra comunità e missione, tra vita
ad intra e vita ad extra.69 Dato che normalmente l'urgenza delle cose da
fare può indurre a trascurare le cose che riguardano la comunità, e che
sempre più spesso si è oggi chiamati a operare come singoli, è opportuno
che siano rispettate alcune regole irrinunciabili, che garantiscano al tempo
stesso uno spirito di fraternità nella comunità apostolica e una sensibilità
apostolica nella vita fraterna.

3.6 Page 26

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Sarà importante che l'autorità sia garante di queste regole e ricordi a tutti e
ad ognuno che quando una persona della comunità è in missione, o
compie un qualsiasi servizio apostolico, anche se opera da sola agisce
sempre in nome dell'Istituto o della comunità; anzi, opera grazie alla
comunità. Spesso, infatti, se essa può svolgere quella determinata attività è
perché qualcuno della comunità ha dato il suo tempo per lei, o l'ha
consigliata, o le ha trasmesso un certo spirito; spesso, inoltre, chi rimane
in comunità sostituisce in certi lavori di casa la persona impegnata fuori, o
prega per lei, o la sostiene con la propria fedeltà.
E allora è doveroso non solo che l'apostolo ne sia profondamente grato,
ma resti strettamente unito alla propria comunità in tutto quello che fa;
che non se ne appropri e si sforzi ad ogni costo di camminare insieme,
aspettando, se necessario, chi procede più lentamente, valorizzando
l'apporto d'ognuno, condividendo il più possibile gioie e fatiche, intuizioni
e incertezze, perché tutti sentano come proprio l'apostolato d'ogni altro,
senza invidie e gelosie. L'apostolo sia certo che, per quanto donerà di sé
alla comunità, non pareggerà mai il conto con quello che da essa ha
ricevuto e sta ricevendo.
d) Ha un cuore misericordioso
San Francesco d'Assisi, in una commovente lettera ad un ministro/
superiore, dava le seguenti istruzioni circa eventuali debolezze personali
dei suoi frati: « E in questo voglio conoscere se tu ami il Signore e ami me
servo suo e tuo, se farai questo, e cioè: che non ci sia mai alcun frate al
mondo, che abbia peccato quanto poteva peccare, il quale, dopo aver visto
i tuoi occhi, se ne torni via senza il tuo perdono misericordioso, se egli lo
chiede; e se non chiedesse misericordia, chiedi tu a lui se vuole
misericordia. E se, in seguito, mille volte peccasse davanti ai tuoi occhi,
amalo più di me per questo: che tu possa attirarlo al Signore; e abbi
sempre misericordia di tali fratelli ».70
L'autorità è chiamata a sviluppare una pedagogia del perdono e della
misericordia, ad essere cioè strumento dell'amore di Dio che accoglie,
corregge e rilancia sempre una nuova possibilità per il fratello o la sorella
che sbagliano e cadono in peccato. Soprattutto dovrà ricordare che senza
la speranza del perdono la persona stenta a riprendere il suo cammino e
tende inevitabilmente ad aggiungere male a male e cadute a cadute. La
prospettiva della misericordia, invece, afferma che Dio è capace di trarre
un percorso di bene anche dalle situazioni di peccato.71 Si adoperi,
dunque, l'autorità perché tutta la comunità apprenda questo stile
misericordioso.
e) Ha il senso della giustizia
Se l'invito di san Francesco d'Assisi a perdonare il fratello che pecca può
essere considerato una preziosa regola generale, si deve riconoscere che ci
possono essere dei comportamenti, nei membri di alcune fraternità di
consacrati, che ledono gravemente il prossimo e che implicano una
responsabilità nei confronti di persone esterne alla comunità e nei
confronti della stessa istituzione cui appartengono. Se occorre

3.7 Page 27

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comprensione verso le colpe dei singoli, è anche necessario avere un
rigoroso senso di responsabilità e carità verso coloro che eventualmente
sono stati danneggiati dal comportamento scorretto di qualche persona
consacrata.
Colui o colei che sbaglia sappia che deve rispondere personalmente delle
conseguenze dei suoi atti. La comprensione verso il confratello non può
escludere la giustizia, specie nei confronti di persone indifese e vittime di
abusi. Accettare di riconoscere il proprio male, e assumersene la
responsabilità e le conseguenze, è già parte di un cammino di
misericordia: come per Israele che si allontana dal Signore, l'accettare le
conseguenze del male (è il caso dell'esperienza dell'esilio) è il primo modo
di riprendere il cammino di conversione e di riscoprire più profondamente
il proprio rapporto con Lui.
f) Promuove la collaborazione con i laici
La crescente collaborazione con i laici nelle opere e attività condotte da
persone consacrate pone sia alla comunità che all'autorità nuove domande,
che esigono nuove risposte. « La partecipazione dei laici non raramente
porta inattesi e fecondi approfondimenti di alcuni aspetti del carisma »,
dato che i laici sono invitati ad offrire « alle famiglie religiose il prezioso
contributo della loro secolarità e del loro specifico servizio ».72
È stato opportunamente ricordato che, per raggiungere l'obiettivo di una
mutua collaborazione tra religiosi e laici, « è necessario avere comunità
religiose con una chiara identità carismatica, assimilata e vissuta, in grado
cioè di trasmetterla anche agli altri con disponibilità alla condivisione:
comunità religiose con un'intensa spiritualità e dall'entusiasta
missionarietà per comunicare il medesimo spirito e il medesimo slancio
evangelizzatore; comunità religiose che sappiano animare e incoraggiare i
laici a condividere il carisma del proprio Istituto, secondo la loro indole
secolare e secondo il loro diverso stile di vita, invitandoli a scoprire nuove
forme di attualizzare lo stesso carisma e missione. Così la comunità
religiosa può diventare un centro di irradiazione, di forza spirituale, di
animazione, dove i diversi apporti contribuiscono alla costruzione del
corpo di Cristo che è la Chiesa ».73
È necessario, inoltre, che sia ben definita la mappa delle competenze e
responsabilità, tanto dei laici che dei religiosi, come pure degli organismi
intermedi (Consigli di amministrazione e simili). In tutto ciò chi presiede
alla comunità dei consacrati ha un ruolo insostituibile.
Le difficili obbedienze
26. Nello svolgimento concreto della missione, alcune obbedienze
possono presentarsi particolarmente difficili, dal momento che le
prospettive o le modalità dell'azione apostolica o diaconale possono essere
percepite e pensate in maniere diverse. Di fronte a certe obbedienze
difficili, all'apparenza addirittura “assurde”, può sorgere la tentazione
della sfiducia e persino dell'abbandono: vale la pena continuare? Non
posso realizzare meglio le mie idee in un altro contesto? Perché logorarsi

3.8 Page 28

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in contrasti sterili?
Già san Benedetto affrontava la questione di una obbedienza « molto
gravosa, o addirittura impossibile ad eseguirsi »; e san Francesco d'Assisi
considerava il caso in cui « il suddito vede cose migliori e più utili alla sua
anima di quelle che gli ordina il prelato [il superiore] ». Il Padre del
monachesimo risponde chiedendo un dialogo libero, aperto, umile e
fiducioso tra monaco e abate; alla fine però, se richiesto, il monaco «
obbedisca per amore di Dio e confidando nel suo aiuto ».74 Il Santo di
Assisi invita ad attuare un'“obbedienza caritativa”, in cui il frate sacrifica
volontariamente le sue vedute ed esegue il comando richiesto, perché in
questo modo « soddisfa a Dio e al prossimo »;75 e vede un”'obbedienza
perfetta” là dove, pur non potendo obbedire perché gli viene comandato «
qualcosa contro la sua anima », il religioso non rompe l'unità con il
superiore e la comunità, pronto anche a sopportare persecuzioni a causa di
ciò. « Infatti – osserva san Francesco – chi sostiene la persecuzione
piuttosto che volersi separare dai suoi fratelli, rimane veramente nella
perfetta obbedienza, poiché offre la sua anima per i suoi fratelli ». 76 Ci
viene così ricordato che l'amore e la comunione rappresentano valori
supremi, ai quali sottostanno anche l'esercizio dell'autorità e
dell'obbedienza.
Si deve riconoscere che è comprensibile, da una parte, un certo
attaccamento a idee e convinzioni personali, frutto di riflessione o di
esperienza e maturate nel tempo, ed è anche cosa buona cercare di
difenderle e portarle avanti, sempre nella prospettiva del Regno, in un
dialogo schietto e costruttivo. D'altra parte, non va dimenticato che il
modello è sempre Gesù di Nazareth, il quale anche nella passione chiese a
Dio di compiere la sua volontà di Padre, né si tirò indietro di fronte alla
morte di croce (cf. Eb 5,7-9).
La persona consacrata, quando le viene richiesto di rinunciare alle proprie
idee o ai propri progetti, può sperimentare smarrimento e senso di rifiuto
dell'autorità, o avvertire dentro di sé « forti grida e lacrime » (Eb 5,7) e
l'implorazione che passi l'amaro calice. Ma quello è anche il momento in
cui affidarsi al Padre perché si compia la sua volontà e per poter così
partecipare attivamente, con tutto se stesso, alla missione di Cristo « per la
vita del mondo » (Gv 6,51).
È nel pronunciare questi difficili “sì” che si può comprendere fino in
fondo il senso dell'obbedienza come supremo atto di libertà, espresso in un
totale e fiducioso abbandono di sé a Cristo, Figlio liberamente obbediente
al Padre; e si può comprendere il senso della missione come offerta
obbediente di se stessi, che attira la benedizione dell'Altissimo: « Io ti
benedirò con ogni benedizione.... (E) saranno benedette tutte le nazioni
della terra, perché tu hai obbedito alla mia voce » (Gn 22,17.18). In quella
benedizione la persona consacrata obbediente sa che ritroverà tutto quello
che ha lasciato con il sacrificio del suo distacco; in quella benedizione è
nascosta anche la piena realizzazione della sua stessa umanità (cf. Gv
12,25).
Obbedienza e obiezione di coscienza

3.9 Page 29

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27. Può sorgere qui un interrogativo: ci possono essere situazioni in cui la
coscienza personale sembra non permettere di seguire le indicazioni date
dall'autorità? Può avvenire, insomma, che il consacrato debba dichiarare,
in relazione alle norme o ai suoi superiori: « Bisogna obbedire a Dio
piuttosto che agli uomini » (At 5,29)? È il caso della cosiddetta obiezione
di coscienza, di cui parlò già Paolo VI,77 e che va colta nel suo autentico
significato.
Se è vero che la coscienza è il luogo ove risuona la voce di Dio che ci
indica come comportarci, è anche vero che occorre imparare ad ascoltare
questa voce con grande attenzione per saperla riconoscere e distinguere da
altre voci. Non bisogna infatti confondere questa voce con quelle che
emergono da un soggettivismo che ignora o trascura le fonti e i criteri
irrinunciabili e vincolanti nella formazione del giudizio di coscienza: « è il
“cuore” convertito al Signore e all'amore del bene la sorgente dei giudizi
veri della coscienza »,78 e « la libertà della coscienza non è mai libertà
“dalla” verità, ma sempre e solo “nella” verità ».79
La persona consacrata dovrà dunque riflettere a lungo prima di concludere
che non l'obbedienza ricevuta, ma quanto avverte dentro di sé rappresenta
la volontà di Dio. Dovrà ricordare, inoltre, che la legge della mediazione
va tenuta presente in tutti i casi, guardandosi dall'assumere decisioni gravi
senza alcun confronto e verifica. Rimane certo indiscutibile che ciò che
conta è arrivare a conoscere e a compiere la volontà di Dio, ma dovrebbe
essere altrettanto indiscutibile che la persona consacrata si è impegnata
con voto a cogliere questa santa volontà attraverso determinate
mediazioni. Dire che ciò che conta è la volontà di Dio, non le mediazioni,
e rifiutarle, o accettarle solo a piacimento, può togliere significato al
proprio voto e svuotare la propria vita di una sua caratteristica essenziale.
Di conseguenza, « fatta eccezione per un ordine che fosse manifestamente
contrario alla legge di Dio e alle costituzioni dell'Istituto, o che implicasse
un male grave e certo – nel qual caso l'obbligo dell'obbedienza non esiste
–, le decisioni dei superiori riguardano un campo in cui la valutazione del
bene migliore può variare secondo i punti di vista. Il voler concludere, dal
fatto che un ordine dato appaia oggettivamente meno buono, che esso è
illegittimo e contrario alla coscienza, significherebbe misconoscere, in
maniera poco realistica, l'oscurità e l'ambivalenza di non poche realtà
umane. Inoltre il rifiuto di obbedienza porta con sé un danno spesso grave,
per il bene comune. Un religioso non dovrebbe ammettere facilmente che
ci sia contraddizione tra il giudizio della sua coscienza e quello del suo
superiore. Questa situazione eccezionale qualche volta comporterà
un'autentica sofferenza interiore sull'esempio di Cristo stesso che “imparò
l'obbedienza dalle cose che patì” (Eb 5,8) ».80
La difficile autorità
28. Ma anche l'autorità può cadere nello scoraggiamento e nel disincanto:
di fronte alle resistenze di alcune persone o comunità, di fronte a certe
questioni che sembrano irrisolvibili, può sorgere la tentazione di lasciar
perdere e di considerare inutile ogni sforzo per migliorare la situazione. Si

3.10 Page 30

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profila, allora, il pericolo di diventare gestori della routine, rassegnati alla
mediocrità, inibiti ad intervenire, privi del coraggio di additare le mete
dell'autentica vita consacrata e correndo il rischio di smarrire l'amore delle
origini e il desiderio di testimoniarlo.
Quando l'esercizio dell'autorità pesa e si fa difficile, è bene ricordare che il
Signore Gesù considera tale compito un atto d'amore verso di Lui («
Simone di Giovanni, mi ami tu? »: Gv 21,16); e diviene salutare il
riascoltare le parole di Paolo: « Siate lieti nella speranza, forti nella
tribolazione, perseveranti nella preghiera, solleciti per le necessità dei
fratelli » (Rm 12,12-13).
Il silenzioso travaglio interiore che accompagna la fedeltà al proprio
compito, segnato talora dalla solitudine e dall'incomprensione di coloro ai
quali ci si dona, diviene via di santificazione personale e mediazione di
salvezza per le persone a causa delle quali si soffre.
Obbedienti fino alla fine
29. Se la vita del credente è tutta una ricerca di Dio, allora ogni giorno
dell'esistenza diviene un continuo apprendimento dell'arte di ascoltare la
sua voce per eseguire la sua volontà. Si tratta, certo, di una scuola
impegnativa, quasi una lotta tra quell'io che tende ad essere padrone di sé
e della sua storia e quel Dio che è “il Signore” di ogni storia; scuola in cui
si apprende a fidarsi così tanto di Dio e della sua paternità, da porre
fiducia anche negli uomini suoi figli e nostri fratelli. Cresce così la
certezza che il Padre non abbandona mai, nemmeno nel momento in cui è
necessario affidare la cura della propria vita alle mani di fratelli, nei quali
occorre riconoscere il segno della sua presenza e la mediazione della sua
volontà.
Con un atto d'obbedienza, sia pur inconsapevole, siamo venuti alla vita,
accogliendo quella Volontà buona che ci ha preferiti alla non esistenza.
Concluderemo il cammino con un altro atto d'obbedienza, che vorremmo
il più possibile cosciente e libero, ma soprattutto espressione di abbandono
verso quel Padre buono che ci chiamerà definitivamente a sé, nel suo
regno di luce infinita, ove avrà termine la nostra ricerca, e i nostri occhi lo
vedranno, in una domenica senza fine. Allora saremo pienamente
obbedienti e realizzati, poiché diremo per sempre sì a quell'Amore che ci
ha costituiti per essere felici con Lui e in Lui.
Una preghiera dell'autorità
30. « O buon pastore, Gesù, pastore buono, pastore clemente, pastore
affabile, un pastore povero e misero alza il suo grido verso di te, un
pastore debole, e inesperto e inutile, e tuttavia un pastore, quale che sia,
delle tue pecore.
« Insegna a me tuo servo, o Signore, insegnami ti prego, per il tuo Spirito
Santo, come possa servire i miei fratelli e spendermi per loro. Dammi, o
Signore, per la tua grazia ineffabile, di saper sopportare con pazienza le
loro debolezze, di saper condividere con benevolenza le loro sofferenze, e

4 Pages 31-40

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4.1 Page 31

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aiutarli con discrezione. Alla scuola del tuo Spirito possa imparare a
consolare chi è triste, a rafforzare i pusillanimi, a rialzare chi è caduto, ad
essere debole con i deboli, ad indignarmi con chi patisce scandalo, a farmi
tutto a tutti per salvare tutti. Metti sulla mia bocca parole vere e giuste e
gradevoli, così che essi siano edificati nella fede, nella speranza e nella
carità, nella castità e nell'umiltà, nella pazienza e nell'obbedienza, nel
fervore dello spirito e nello slancio del cuore.
« Li affido alle tue sante mani e alla tua tenera provvidenza, perché
nessuno li rapisca dalla tua mano né dalla mano del tuo servo al quale li
hai affidati, ma possano perseverare con gioia nel santo proposito e,
perseverando, ottengano la vita eterna, con il tuo aiuto, o dolcissimo
nostro Signore, che vivi e regni per tutti i secoli dei secoli. Amen ».81
Preghiera a Maria
31. O dolce e santa Vergine Maria, Tu all'annuncio dell'angelo, con la tua
obbedienza credente e interrogante, ci hai dato Cristo. A Cana Tu hai
mostrato, con il tuo cuore attento, come agire con responsabilità. Tu non
hai atteso passivamente l'intervento del Figlio tuo, ma lo hai prevenuto,
rendendolo consapevole delle necessità e prendendo, con discreta autorità,
l'iniziativa di inviare a Lui i servi.
Ai piedi della croce, l'obbedienza ha fatto di Te la Madre della Chiesa e
dei credenti, mentre nel Cenacolo ogni discepolo ha riconosciuto in Te la
dolce autorità dell'amore e del servizio.
Aiutaci a comprendere che ogni vera autorità nella Chiesa e nella vita
consacrata ha il suo fondamento nell'essere docili alla volontà di Dio e che
ognuno di noi diviene, di fatto, autorità per gli altri con la propria vita
vissuta in obbedienza a Dio.
O Madre clemente e pia, « Tu che hai fatto la volontà del Padre, pronta
nell'obbedienza », 82 rendi la nostra vita attenta alla Parola, fedele nella
sequela di Gesù Signore e Servo nella luce e con la forza dello Spirito
Santo, gioiosa nella comunione fraterna, generosa nella missione, sollecita
nel servizio ai poveri, protesa verso il giorno in cui l'obbedienza della fede
sfocerà nella festa dell'Amore senza fine.
Il 5 maggio 2008, il Santo Padre ha approvato la presente Istruzione della
Congregazione per gli istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita
Apostolica e ne ha ordinato la pubblicazione.
Roma, 11 maggio 2008, Solennità della Pentecoste.
Franc Card. Rodé, C.M.
Prefetto
+ Gianfranco A. Gardin, OFM Conv.
Segretario

4.2 Page 32

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INDICE
Introduzione
1. La vita consacrata testimone della ricerca di Dio
2. Un cammino di liberazione
3. Destinatari, intento e limiti del documento
PRIMA PARTE
Consacrazione e ricerca della volontà di Dio
4. Chi stiamo cercando?
5. L'obbedienza come ascolto
6. « Ascolta, Israele » (Dt 6,4)
7. L'obbedienza alla Parola di Dio
8. Alla sequela di Gesù, il Figlio obbediente al Padre
9. Obbedienti a Dio attraverso mediazioni umane
10. Imparare l'obbedienza nel quotidiano
11. Nella luce e nella forza dello Spirito
12. Autorità al servizio dell'obbedienza alla volontà di Dio
13. Alcune priorità nel servizio dell'autorità
a) Nella vita consacrata l'autorità è prima di tutto un'autorità
spirituale
b) L'autorità è chiamata a garantire alla sua comunità il
tempo e la qualità della preghiera
c) L'autorità è chiamata a promuovere la dignità della
persona
d) L'autorità è chiamata ad infondere coraggio e speranza
nelle difficoltà
e) L'autorità è chiamata a tener vivo il carisma della propria
famiglia religiosa
f) L'autorità è chiamata a tener vivo il “sentire cum Ecclesia
g) L'autorità è chiamata ad accompagnare il cammino di
formazione permanente
14. Il servizio dell'autorità alla luce della normativa ecclesiale
15. In missione con la libertà dei figli di Dio
SECONDA PARTE
Autorità e obbedienza nella vita fraterna
16. Il comandamento nuovo
17. L'autorità a servizio della comunità, la comunità a servizio del Regno
18. Docili allo Spirito che conduce all'unità
19. Per una spiritualità di comunione e per una santità comunitaria
20. Il ruolo dell'autorità per la crescita della fraternità
a) Il servizio dell'ascolto
b) La creazione di un clima favorevole al dialogo, alla
condivisione e alla corresponsabilità
c) La sollecitazione dell'apporto di tutti alle cose di tutti

4.3 Page 33

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d) Al servizio del singolo e della comunità
e) Il discernimento comunitario
f) Discernimento, autorità e obbedienza
g) L'obbedienza fraterna
21. « Il primo tra voi, si farà vostro schiavo » (Mt 20,27)
22. La vita fraterna come missione
TERZA PARTE
In missione
23. In missione con tutto il proprio essere, come Gesù, il Signore
24. In missione per servire
25. Autorità e missione
a) Incoraggia ad assumere le responsabilità e le rispetta
quando assunte
b) Invita ad affrontare le diversità in spirito di comunione
c) Mantiene l'equilibrio tra le varie dimensioni della vita
consacrata
d) Ha un cuore misericordioso
e) Ha il senso della giustizia
f) Promuove la collaborazione con i laici
26. Le difficili obbedienze
27. Obbedienza e obiezione di coscienza
28. La difficile autorità
29. Obbedienti fino alla fine
30. Una preghiera dell'autorità
31. Preghiera a Maria
1 Cf. Giovanni Paolo II, Esortazione Apostolica post-sinodale Vita
consecrata (25 marzo 1996), 1.
2 Dante Alighieri, La Divina Commedia, Paradiso, III, 85.
3 Cf. Congregazione per gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita
apostolica, Istruzione La vita fraterna in comunità (2 febbraio 1994), 5;
Congregazione per i Religiosi e gli Istituti Secolari, Istruzione Elementi
essenziali dell'insegnamento della Chiesa sulla vita religiosa (31 maggio
1983), 21.
4 Cf. Codice di Diritto Canonico, can. 631, § 1; cf. Vita consecrata, 42.
5 Cf. Giovanni Paolo II, Lettera Apostolica Novo millennio ineunte (6
gennaio 2001), 43-45; Vita consecrata, 46; 50.
6 Congregazione per gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita

4.4 Page 34

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apostolica, Istruzione Potissimum institutioni (2 febbraio 1990), in
particolare i nn. 15, 24-25, 30-32.
7 In particolare i nn. 47-52.
8 In particolare i nn. 42-43, 91-92.
9 Congregazione per gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita
apostolica, Istruzione Ripartire da Cristo (19 maggio 2002), in particolare
i nn. 7 e 14.
10 San Bernardo, De diversis, 42,3: PL 183,662B.
11 S. Bernardo, De errore Abelardi, 8, 21: PL 182,1070A.
12 Benedetto XVI, Lettera Enciclica Spe salvi (30 novembre 2007), 43; cf.
Conc. Ecum. Lateranense IV, in DS 806.
13 « Più interno del mio stesso intimo »: Sant'Agostino, Confessioni, III,
6, 11.
14 Benedetto XVI, Lettera al Prefetto della Congregazione per gli Istituti
di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica in occasione della
Plenaria, 27 settembre 2005, in Insegnamenti di Benedetto XVI, 2005, I,
Città del Vaticano, 588.
15 San Benedetto, Regola, Prologo, 3. Cf. anche Sant'Agostino, Regola, 7;
San Francesco d'Assisi, Regola non bollata, I, 1; Regola bollata, I, 1; cf.
Vita consecrata, 46.
16 Codice di Diritto Canonico, can. 618.
17 Cf. Conc. Ecum. Vaticano II, Decreto sul rinnovamento della vita
religiosa Perfectae caritatis, 14. Cf. Codice di Diritto Canonico, can. 601.
18 Paolo VI, Esortazione Apostolica Evangelica testificatio (29 giugno
1971), 29.
19 Cf. Evangelica testificatio, 25.
20 Sant'Ignazio di Loyola, Costituzioni della Compagnia di Gesù, 84.
21 Cf. Benedetto XVI, Esortazione Apostolica post-sinodale
Sacramentum caritatis (22 febbraio 2007), 12.
22 Cf. Congregazione per i Religiosi e gli Istituti Secolari e
Congregazione per i Vescovi, Note direttive sulle relazioni tra i Vescovi e i
Religiosi nella Chiesa Mutuae relationes (14 maggio 1978), 13.
23 Perfectae caritatis, 14.
24 Benedetto XVI, Omelia nella Santa Messa per l'inizio del ministero (24

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aprile 2005), in AAS 97 (2005), p. 709.
25 Sant'ignazio d'antiochia, Lettera a Policarpo 4, 1.
26 Cf. Sant'Agostino, Enarrationes in Psalmos 70. I. 2: PL 36,875.
27 Cf. La vita fraterna in comunità, 50.
28 Benedetto XVI, Discorso ai superiori generali, 22 maggio 2006, in
Insegnamenti di Benedetto XVI, II, 1, Città del Vaticano, 659; cf. Ripartire
da Cristo, 24-26.
29 Cf. Conc. ecum. Vaticano II, Costituzione Lumen gentium, 11;
Ripartire da Cristo, 26.
30 Cf. Sacramentum caritatis 8.37.81.
31 Cf. Vita consecrata, 42.
32 Cf. Mutuae relationes, 34-35.
33 Benedetto XVI, Omelia della Messa crismale (20 marzo 2008), in
L'Osservatore Romano, 20-21 marzo 2008, p. 8.
34 Ripartire da Cristo, 32.
35 Cf. Codice di Diritto Canonico, can. 590, § 2.
36 Cf. VC 46.
37 Vita consecrata, 70.
38 Cf. La vita fraterna in comunità, 32.
39 Cf. Codice di Diritto Canonico, cann. 617-619.
40 Codice di Diritto Canonico, can. 618.
41 Codice di Diritto Canonico, can. 618.
42 Codice di Diritto Canonico, can. 601.
43 Codice di Diritto Canonico, can. 619.
44 Infatti la comunità religiosa è protesa a conseguire e manifestare il
primato dell'amore di Dio, che è il fine stesso della vita consacrata, e
dunque anche il suo primo dovere e il primo apostolato dei singoli membri
della comunità. Cf. Codice di Diritto Canonico, cann. 573; 607; 663, § 1;
673.
45 Codice di Diritto Canonico, can. 619.

4.6 Page 36

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46 Cf. Codice di Diritto Canonico, cann. 619; 602; 618.
47 Cf. Perfectae caritatis, 14.
48 Vita consecrata, 92.
49 Sacramentum caritatis, 15.
50 Cf. Vita consecrata, 42.
51 La vita fraterna in comunità, 51.
52 Cf. Perfectae caritatis, 14.
53 San Benedetto, Regola 3, 1.3.
54 Cf. Vita consecrata, 43; La vita fraterna in comunità, 50c; Ripartire da
Cristo, 14.
55 La vita fraterna in comunità, 32.
56 Vita consecrata, 92.
57 Cf. Vita consecrata, 43.
58 San Benedetto, Regola 71, 1-2.
59 San Benedetto, Regola, 72, 4-7.
60 San Basilio, Le Regole più brevi, 115: PG 31, 1161.
61 San Bernardo, De consideratione, II, XI, 20: PL 182,754D.
62 Santa Chiara d'Assisi, Testamento, 61-62.
63 Giovanni Paolo II alla Plenaria della Congregazione per la Vita
Consacrata e le Società di Vita Apostolica (20 novembre 1992), in AAS 85
(1993), 905; cf. La vita fraterna in comunità, 54; 71.
64 La vita fraterna in comunità, 54.
65 Sant'Ignazio di Loyola, Esercizi spirituali, 95,4-5.
66 Vita consecrata, 92.
67 Cf. Vita consecrata, 43.
68 Cf. La vita fraterna in comunità, 50.
69 Cf. La vita fraterna in comunità, 59.

4.7 Page 37

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70 San Francesco d'Assisi, Lettera a un Ministro, 7-10.
71 Cf. Giovanni Paolo II, Lettera Enciclica Dives in misericordia (30
novembre 1980), 6.
72 Vita consecrata, 55; cf. Ripartire da Cristo, 31.
73 La vita fraterna in comunità, 70.
74 San Benedetto, Regola 68, 1-5.
75 San Francesco d'Assisi, Ammonizione III, 5-6.
76 San Francesco d'Assisi, Ammonizione III, 9.
77 Cf. Paolo VI, Evangelica testificatio, 28-29.
78 Giovanni Paolo II, Lettera Enciclica Veritatis splendor (6 agosto 1993),
64.
79 Veritatis splendor, 64.
80 Evangelica testificatio, 28.
81 Aelredo di Rievaulx, Oratio pastoralis, 1; 7; 10, in CC CM I, 757-763..
82 Vita consecrata, 112.