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1. LETTERA DEL RETTOR MAGGIORE
__________________________________________________________________________
VOCAZIONE E FORMAZIONE: dono e compito
Gesù chiamò personalmente i suoi Apostoli perché stessero con
Lui e per mandarli a proclamare il Vangelo... Egli chiama anche
noi a vivere nella Chiesa il progetto del nostro Fondatore come
apostoli dei giovani. A questo appello rispondiamo con l’impegno
di una adeguata e continua formazione, per la quale il Signore
dona ogni giorno la sua grazia.” (Cost 96)
1. LA CONSISTENZA E LA FEDELTÀ VOCAZIONALE, SFIDE DELLA FORMAZIONE. - 1.1 Le
motivazioni. - 1.2 Opportunità e sfide antropologiche. Autenticità - Libertà. - Storicità -
Esperienza. - Relazioni umane e affettività. - Postmodernità. - Multiculturalità - Rinuncia. -
Fedeltà. 2. VOCAZIONE E FORMAZIONE, DONO E COMPITO. 2.1 Vocazione: la grazia come
origine. - La vita come vocazione. La vita, Parola di Dio. - La vita, risposta dovuta a Dio. - La
vocazione, compito per una vita. La vocazione, missione dialogata. - La missione, casa e causa
della formazione. 2.2 Formazione: la grazia come compito. - Identità carismatica e
identificazione vocazionale. Obiettivi della formazione. 1°. Inviati ai giovani: conformarsi con
Cristo Buon Pastore. - 2°. Resi fratelli da un’unica missione: fare della vita comune luogo e oggetto
di formazione. - 3°. Consacrati da Dio: testimoniare la radicalità del vangelo. - 4°. Condividendo
formazione e missione: animare comunità apostoliche nello spirito di Don Bosco. - 5°. Nel cuore
della Chiesa: edificare la Chiesa, sacramento di salvezza. - 6°. Aperti alla realtà: inculturare il
carisma. - Metodologia formativa. 1°. Raggiungere la persona in profondità. - 2°. Animare
un’esperienza formativa unitaria. - 3°. Assicurare l’ambiente formativo e la corresponsabilità di tutti.
- 4°. Dare qualità formativa all’esperienza quotidiana. - 5°. Qualificare l’accompagnamento
formativo. - 6°. Prestare attenzione al discernimento. 2.3 Formazione: priorità assoluta.
Preghiera conclusiva.
Roma, 31 Marzo 2013
Pasqua di Resurrezione
Carissimi confratelli,
è da tempo che desideravo condividere con voi la mia riflessione sul tema della
vocazione e della formazione. Oggi finalmente posso farlo con questa lettera, che intende
illuminare la bellezza e le esigenze della nostra vocazione e formazione e, nello stesso
tempo, l’attuale situazione di fragilità psicologica, inconsistenza vocazionale e relativismo
etico che nella Congregazione si manifestano quasi ovunque. Tale situazione evidenzia
chiaramente il mancato apprezzamento del significato della vocazione e del ruolo
insostituibile che ha la formazione per la verifica della idoneità dei candidati, per il
consolidamento delle prime scelte vocazionali e, soprattutto, per la progressiva
configurazione a Cristo obbediente, povero e casto sulle orme di Don Bosco.
È davvero preoccupante l’elevato numero di uscite sia di professi temporanei, durante
il periodo della professione o a fine voti, sia di professi perpetui, sia di sacerdoti che
chiedono la secolarizzazione incardinandosi nelle diocesi o presentano richiesta di
dispensa dal celibato sacerdotale e dal ministero presbiterale o - ahimè - sono dimessi.
1

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È vero che la Congregazione come tale, e il Consigliere per la formazione in
particolare, ha fatto un grande sforzo per assicurare la consistenza delle équipes
formative, la qualità della proposta e degli itinerari formativi, la qualificazione e l’identità
dei curricoli di studio, la salesianità, la metodologia della personalizzazione, la
formazione dei formatori, l’incipiente attenzione alla formazione permanente. Tuttavia il
problema continua a destare attenzione, a chiedere di approfondire la riflessione e ad
esigere coraggiosi interventi di animazione e di governo a tutti i livelli.
Sono convinto che la formazione iniziale è un compito irrinunciabile della
Congregazione, responsabile ultima dell’identità salesiana e dell’unità nella diversità dei
contesti, e che in particolare le decisioni formative fondamentali spettano al Rettor
Maggiore e al suo Consiglio. Sono pure convinto che le Ispettorie svolgono un ruolo
importante nel guidare e sostenere le comunità formatrici e i centri di studio, soprattutto
in vista dell’inculturazione della formazione; e ciò comporta un loro deciso investimento
di personale e risorse al servizio della qualità formativa.
Penso però che è soprattutto la vita ordinaria delle comunità apostoliche locali che
alla fine gioca un ruolo determinante. In effetti, a poco o nulla serve una formazione di
qualità nelle comunità formatrici, che aiutano la crescita dei giovani confratelli secondo il
Progetto di vita di Don Bosco, se poi nelle comunità locali si vive uno stile di vita che non
corrisponde allo stesso progetto, o che lo deprezza, o che persino lo rinnega. È proprio
questa mancanza di un’autentica “cultura salesiana” quella che offre cittadinanza ad
atteggiamenti e comportamenti non corrispondenti a consacrati apostoli salesiani. Tutto
ciò fa vedere che la cura della vocazione e della formazione coinvolge tutti i confratelli
singolarmente, tutte le comunità locali, tutte le Ispettorie, la Congregazione nel suo
insieme. Oltre la formazione iniziale occorre pure un serio impegno per la formazione
permanente, che permette appunto il cambiamento della cultura di una Ispettoria.
Non è la prima volta che porto la vostra attenzione su questo delicato tema della
formazione iniziale e dello stile di vita, della mentalità, degli atteggiamenti e
comportamenti di una Ispettoria. Lo avevo già brevemente presentato nella relazione al
CG26, e la situazione non mi sembra sia mutata.
1. LA CONSISTENZA E LA FEDELTÀ VOCAZIONALI, SFIDE DELLA
FORMAZIONE
Uno dei temi che più ha attirato la nostra attenzione sin dall’inizio del mio rettorato è
stato quello della consistenza vocazionale. Su tale tema il Consiglio Generale ha svolto
una riflessione, che si è espressa in un orientamento del Consigliere per la formazione.1
Tale argomento è stato ripreso poi dalla Unione dei Superiori Generali (USG), che vi ha
dedicato due Assemblee Semestrali.2 “Ciò sta ad indicare che tale problema interessa
tutti gli Ordini, le Congregazioni e gli Istituti, sia di vita apostolica che contemplativa. Lo
studio fatto ha rilevato una molteplicità di cause alla base della fragilità psicologica, della
inconsistenza vocazionale e del relativismo morale.
Per una maggior consapevolezza da parte di tutti, ritengo utile presentarvi la
situazione delle entrate e delle uscite nella Congregazione, sia nella formazione iniziale
che in quella permanente, nell’ultimo decennio:
1 Cfr F. CEREDA, La fragilità vocazionale. Avvio alla riflessione e proposte di intervento, in ACG 385
(2004), pp. 34-53.
2 Cfr USG, Fedeltà vocazionale. Realtà che interpella la vita consacrata. Roma 23-25 novembre
2005; USG, Per una vita consacrata fedele. Sfide antropologiche della formazione. Roma 24-26
maggio 2006.
2

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Formazione iniziale
Anno
2002
2003
2004
2005
2006
2007
2008
2009
2010
2011
2012
Noviz
i3
607
580
594
621
561
527
557
526
532
414
480
Novizi
usciti
137
111
118
151
137
110
121
109
125
40
Neoprofessi
470
469
476
470
424
417
436
417
407
374
Temporanei
usciti
231
225
211
237
227
200
216
225
222
185
174
Neoprofessi
perpetui
249
254
281
249
260
219
220
265
177
231
262
Neoperpetui
chierici
217
221
242 +1P
219 +2P
221 + 2P
205
200
246
161 +1P
210 + 1P
237
Neoperpetui
coadiutori
32
33
38
28
37
14
20
19
15
20
25
Neo -
sacerdoti
262
218
203
230
192
175
222
195
203
206
189
Formazione permanente
Anno
2002
2003
2004
2005
2006
2007
2008
2009
2010
2011
2012
Perpetui
chierici
usciti
8
10
14
11
13
15
8
12
9
10
8
Perpetui
coadiutori
usciti
12
14
15
15
10
11
6
13
9
12
11
Dispensa
celibato
diaconi
3
4
3
1
3
3
5
2
1
3
1
Dispensa
celibato
preti4
15
11
20
15
27
18
18
9
11
11
33
Esclau-
strazione
18
10
14
10
11
9
5
6
0
3
4
Secolariz.
previo
experimento
7
3
9
9
11
12
12
14
29
17
23
Secolariz.
simpliciter
11
10
12
10
11
18
14
10
8
11
15
Dimissione
24
25
26
26
26
24
24
36
38
30
29
3 Per leggere le prime tre colonne, occorre questa attenzione. I novizi entrati in un determinato
anno, fanno la prima professione l’anno seguente; quindi i novizi usciti risultano dalla differenza
tra i novizi entrati in un determinato anno e quelli che hanno professato l’anno seguente.
Esempio: nel 2002 sono entrati 607 novizi e nel 2003 hanno professato 470 neoprofessi; quindi la
differenza tra i novizi entrati nell’anno 2002 e i novizi che hanno professato l’anno seguente 2003
risulta di 137 novizi; tale numero è posto nella riga “novizi usciti” riguardante l’anno 2002.
Nell’anno 2012 sono entrati 480 novizi; ma sapremo il numero dei neoprofessi e quindi dei novizi
usciti, alla fine del 2013.
4 Per la lettura delle colonne riguardanti le dispense dal celibato, le secolarizzazioni e le
dimissioni, i numeri non riguardano coloro per i quali in un determinato anno è stata presentata
la richiesta, ma coloro per i quali in quel determinato anno la pratica è giunta a conclusione.
3

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Novizi secondo le Regioni
Anno
2002
2003
2004
2005
2006
2007
2008
2009
2010
2011
2012
TOT
America America Europa
Cono Sud Interamerica Ovest
76
110
11
69
111
6
86
98
12
97
92
14
76
88
3
76
97
6
58
105
4
64
91
8
40
73
1
46
46
7
43
63
3
731
974
75
Italia
Medio
Oriente
43
27
25
18
22
22
18
24
18
15
21
253
Europa
Africa
Nord Madagascar
71
55
59
84
51
92
71
95
47
92
51
94
48
100
40
89
55
114
29
94
38
107
560
1016
Asia Est
Oceania
80
79
84
74
75
73
89
64
93
60
69
840
Asia
Sud
135
144
145
160
158
108
135
146
138
117
136
1522
La cura delle vocazioni e la formazione hanno sempre dovuto affrontare sfide
antropologiche, sociali e culturali. Ciò significa semplicemente che oggi abbiamo a che
fare con un tipo di sfide che richiedono nuove soluzioni, appunto perché ci troviamo
davanti ad un giovane culturalmente nuovo, caratterizzato dalla difficoltà di scegliere e di
considerare che una scelta possa essere definitiva, dalla fatica di perseverare e di vivere
la fedeltà, dall’incomprensione della necessità di ascesi e di rinunce, dalla fuga dalla
sofferenza e dalla fatica. Egli sente il bisogno dell’affermazione di sé sul piano
professionale ed economico; desidera indipendenza e protezione al tempo stesso; trova
difficile apprezzare il celibato e la castità, stravolti dalla visuale diffusa dai mezzi di
comunicazione sociale; e - last but not least - vive un analfabetismo di fede e una
esperienza povera di vita cristiana.5 Certamente accanto a questi aspetti di debolezza i
giovani presentano risorse e attitudini positive: la ricerca di relazioni interpersonali
significative, l’attenzione alla affettività, la disponibilità e la generosità nell’impegno
gratuito e nel volontariato, la sincerità e la ricerca di autenticità.
La formazione alla fedeltà a Dio, alla Chiesa, al proprio Istituto, ai destinatari inizia
già dal momento della selezione dei candidati. Occorre puntare molto di più su
personalità proattive, con senso di intraprendenza e iniziativa, con capacità di fare scelte
libere e di organizzare la vita attorno ad esse, senza costrizioni esterne né interne. A
questo si aggiunge la necessità di un discernimento che deve avere un duplice punto di
riferimento: da un lato, una criteriologia circa l’idoneità condivisa dall’équipe dei
formatori e, dall’altro, una presenza chiara nel candidato di quelle qualità che
favoriscono l’identificazione con un progetto di vita evangelico. Ciò chiede d’impostare
sempre più la formazione sulla personalizzazione, intesa come approfondimento delle
motivazioni, assunzione personale di valori e atteggiamenti consoni con la vocazione
consacrata salesiana, accompagnamento qualificato da parte dei formatori.
5 Cfr. E. BIANCHI, Vita Religiosa e Vocazioni oggi in Europa Occidentale, Riflessione rivolta a 150
Gesuiti radunati a Bruxelles il 1° maggio 2007.
4

1.5 Page 5

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Nella Ratio e in Criteri e norme noi abbiamo due documenti assai preziosi, frutto
dell’esperienza e della prassi formativa della Congregazione, dei contributi delle scienze
umane, del confronto con le “Ratio” di altri Ordini, Congregazioni e Istituti religiosi, ma
che, purtroppo, non sono sempre ben conosciuti ed applicati da tutte le équipes
formative. Si può sbagliare in altri campi, ma non in quello della formazione, perché ciò
significa rovinare generazioni di Salesiani, ipotecare la missione e compromettere la
stessa istituzione. Non dobbiamo dimenticare che l’identità, l’unità e la vitalità della
Congregazione dipendono, in grande misura, dalla qualità della formazione e dal governo
ai diversi livelli: locale, ispettoriale e congregazionale.
Vale la pena di ricordare nuovamente ed esplicitare meglio che la formazione è
compito della Congregazione, la quale affida alle Ispettorie il dovere di realizzarla,
assicurando quelle condizioni di personale, di strutture, di risorse che la rendono
possibile. Quindi non si giustifica il desiderio di un’Ispettoria di voler avere tutte le tappe
formative al suo interno; piuttosto si rifletta sulla responsabilità di formare il salesiano,
che oggi la Congregazione, la Chiesa, i giovani domandano. Ci sono ancora alcune
resistenze a esperienze interispettoriali di comunità formatrici; anche se non possono
assicurare una buona formazione per mancanza di formandi o formatori, alcune
Ispettorie insistono a volere fare da sé. Ribadisco che la formazione è una questione di
competenza congregazionale e non soltanto di responsabilità ispettoriale; le persone sono
il dono più prezioso della Congregazione, che affida la realizzazione concreta della
formazione iniziale a Ispettorie, gruppi di Ispettorie o Regioni. Da qui l’urgenza
inderogabile di curare bene le comunità di formazione iniziale, di qualificare i centri di
studio, di preparare formatori e non solo professori, ma anche di assicurare la vitalità di
tutte le comunità in Ispettoria, la qualità della fede, la radicalità della sequela Christi di
ogni confratello.
1.1 Le motivazioni
Il punto di partenza è, sovente, una concezione sbagliata di vocazione; talvolta essa
viene identificata con un progetto personale motivato da un desiderio di
autorealizzazione, da una sensibilità sociale per i più poveri, o da una ricerca di vita
tranquilla, senza gravi impegni e senza la consegna totale, incondizionata, a Dio e alla
missione in comunità.
Queste motivazioni non sono valide o almeno non sufficienti per poter accogliere il
dono della vita consacrata; esse non sono sempre espressioni di fede, ma di volontarismo
(“voglio essere religioso”, “ho deciso di diventare salesiano”, …) o di sensibilità sociale
(“mi sento chiamato a servire i poveri, i ragazzi della strada, gli indigeni, gli immigranti, i
tossicodipendenti, …”) o di ricerca di sicurezze.
Si dimentica che solo alla luce della fede la vita viene scoperta come vocazione e che,
a maggior ragione, la chiamata ad una vita consacrata non è possibile se non nella
prospettiva della fede nel Signore che chiama coloro che Egli vuole a stare con lui, a
seguirlo, ad imitarlo, per poi inviarli a predicare. Così la sequela Christi e la imitatio
Christi diventano gli elementi che caratterizzano la vita dei discepoli e apostoli di Gesù;
ed è proprio camminando dietro Lui e cercando di riprodurre i suoi atteggiamenti, che ci
identifichiamo con Lui sino alla piena configurazione con Lui.
È vero, all’inizio possono esserci motivazioni non del tutto valide, e quindi
insufficienti, per giustificare e rendere possibile una scelta radicale di vita tutta centrata
su Dio, sul Signore Gesù e sul suo Vangelo, sullo Spirito. Compito di una vera
formazione è aiutare a identificare, vagliare, discernere le motivazioni e poi purificarle e
farle maturare in modo tale che esse abbiano Dio e il suo volere come valore supremo.
5

1.6 Page 6

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Questo compito ineludibile è molto delicato; infatti molte motivazioni sono inconsce;
ciò porta il candidato ad esprimere motivazioni che ha sentito e imparato, senza poter
conoscere e far conoscere quelle reali. Non si deve dimenticare che il Vangelo parla di un
tale che, dopo essere stato guarito da Gesù, aveva espresso il desiderio di stare con lui; il
Signore non glielo permise, ma gli disse: «Va’ nella tua casa, dai tuoi, annunzia loro ciò
che il Signore ti ha fatto e la misericordia che ti ha usato» (Mc 5,19).
Oltre ciò, si deve considerare anche la cultura che caratterizza le nuove generazioni.
La Unione dei Superiori Generali ha dedicato un paio di Assemblee a questo aspetto.
Nella prima ha cercato di conoscere meglio il profilo dei giovani che oggi bussano alle
porte della Vita Consacrata, i valori cui sono più sensibili, le sfide che essi pongono alla
formazione e che possono essere convertite in opportunità formative. Nella seconda c’è
stato un approccio al tema della fedeltà, che non è identificabile con la perseveranza;
accade infatti, a volte, che alcuni religiosi perseverino, nel senso che rimangono, quando
sarebbe meglio che lasciassero l’Istituto; la fedeltà non è soltanto rimanere fedeli
esternamente a una professione fatta al Signore, ma è l’impegno di vivere
quotidianamente quanto si è professato.
1.2 Opportunità e sfide antropologiche
Nell’Assemblea dell’USG del maggio 2006 sono stato invitato a offrire una riflessione
sulle sfide antropologiche alla fedeltà vocazionale della vita consacrata, che ritengo
importante proporvi. Nel modo di percepire l’umano e le sue possibilità ci sono elementi
costanti, che potremmo dire costituiscono una visione interculturale e prevalente. La
felicità e la realizzazione di sé, i desideri e le aspirazioni, gli affetti e le emozioni sono
opportunità e sfide. Questi aspetti antropologici, pur sfidanti, sono imprescindibili per
ogni vita consacrata che voglia essere pienamente umana e perciò credibile. Essi
costituiscono la base per una buona formazione alla fedeltà vocazionale.
Autenticità
La situazione antropologica attuale offre alla vita consacrata l’opportunità di una
nuova autenticità. La cultura di oggi infatti, specialmente quella giovanile, apprezza
l’autenticità. La gente ci vuol vedere felici. Vuol vedere che ciò che diciamo va d’accordo
con ciò che facciamo e che le nostre parole sono genuine, perché nascono dalla coerenza
di vita.
L’autenticità è una vera opportunità perché fa leva sulla generosità e sul desiderio di
fraternità dei giovani, sul dono di sé e sulla gioia dell’incontro, che sono dinamismi molto
radicati e forti per la crescita nella vita consacrata genuina e nell’amore che si dona.
Essa stimola e incoraggia i membri più anziani delle nostre comunità a essere veri
modelli attraenti e provocanti, a vivere l’amore per Cristo che li ha ispirati ad abbracciare
la vita consacrata e a capire che hanno un ruolo da giocare nella formazione delle giovani
generazioni. L’autenticità esige attenzione alla dimensione umana del consacrato e della
vita quotidiana delle comunità.
L’autenticità è anche una sfida, perché richiede di tornare all’essenziale, soprattutto
di superare la funzionalità che riduce la vita consacrata al ruolo, all’incarico o alla
professione, avvelenando la passione del dono di sé a Cristo e all’umanità. Essa sollecita
ogni giorno la conversione e il rinnovamento delle nostre comunità e la comprensione dei
consigli evangelici come via per la piena realizzazione della persona. L’autenticità sfida la
vita consacrata, che è minacciata ogni giorno dall’insidia della mediocrità e dell’inerzia,
dal pericolo di confondersi e appiattirsi sui valori del “mondo”.
6

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Libertà
Essere persona vuol dire avere la vita nelle proprie mani, cioè decidere quello che si
vuol fare della propria vita. La libertà è responsabilità di costruirsi, è possibilità, è futuro.
La libertà è un’opportunità perché solo attraverso di essa si arriva all’interiorizzazione
di valori e alla personalizzazione dei processi di formazione e quindi alla vera maturità.
La libertà è anche una sfida perché domanda di saper coniugare auto-realizzazione e
progetto, auto-formazione e accompagnamento, incluso l’accompagnamento spirituale. È
necessario dare ai giovani tutto il tempo che occorre per crescere e arrivare alla maturità,
secondo il loro passo; non c’è sempre corrispondenza e coerenza tra le tappe canoniche e
le tappe della maturità e della decisione personale. All’ordinazione presbiterale e alla
professione perpetua non sempre corrisponde la scelta personale, convinta e matura;
occorrono perciò formatori capaci di una formazione personalizzata.
Storicità
L’uomo è un essere in fieri e la società è in continua evoluzione. La persona si
costruisce nel tempo; la sua autobiografia è il filo che connette la diversità delle
esperienze. La narrazione della propria storia di vita assicura la propria identità
personale.
La storicità quindi è un’opportunità perché ci fa riconoscere che la nostra vita è un
cammino e la nostra formazione è un processo che non finisce mai. La vita è
autorealizzazione e costruzione di sé. La vita è una musica continua, che si distende tra
la formazione iniziale e la formazione permanente. E i cambiamenti della società
spingono la vita consacrata ad un continuo rinnovamento e adattamento; la invitano a
ridire se stessa con il linguaggio dell’uomo di oggi.
La storicità è anche una sfida perché richiede che la formazione, in quanto
permanente, animi ed orienti tutta la formazione iniziale; non è sufficiente puntare sui
giovani e sulla loro formazione; bisogna rimettere in moto tutte le comunità e l’Istituto,
incoraggiando tutti i membri a rivivere “l‘amore di prima”, la passione vocazionale che
avevano all’inizio della loro vita consacrata. Il cammino della propria vita rischia anche di
ripiegarsi narcisisticamente su di sé e di non aprirsi al dono di sé. In un mondo che
cambia ed è senza centro, è il frammento che domina; la formazione allora deve servire a
unificare la persona e centrarla bene sull’essenziale che è la sequela di Cristo.
Esperienza
Oggi è necessario superare una formazione intellettualistica, che pretenda di
interiorizzare contenuti vitali senza farne esperienza e senza integrarli nel vissuto
quotidiano. C’è un grande desiderio di esperienze; si ricercano le esperienze più
emozionanti; si vuole fare le proprie esperienze.
L’esperienza è un’opportunità perché quando si impara dalla vita, la formazione
diventa più personalizzata, concreta e profonda. Essa è necessaria per tutti, non solo per
i giovani; anche i confratelli adulti hanno bisogno di un’esperienza forte e autentica di
Dio, del carisma, dei poveri, di relazioni fraterne e comunicative.
L’esperienza è anche una sfida perché l’esperienza può diventare fine a se stessa,
mentre invece si dovrebbe far esperienza dei valori. Le diverse esperienze possono essere
frammentarie e disgiunte; è necessario quindi l’aiuto di una guida spirituale, che faciliti
l’unificazione delle esperienze e promuova l’interiorizzazione dei valori. Non si tratta di
7

1.8 Page 8

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fare molte esperienze, ma di sceglierne poche e ben preparate, esperienze forti, che
richiedono un’attenzione pedagogica affinché le esperienze puntuali diventino esperienza
personale.
Relazioni umane e affettività
Nella cultura attuale si sente un grande bisogno di relazioni umane autentiche. C’è
nei giovani una forte sete di fraternità e amicizia, di relazioni informali e affettuose; ma
anche gli adulti ricercano relazioni arricchenti e significative. Per poter essere profezia, la
vita fraterna deve avere qualcosa da dire sulla capacità di intessere relazioni, deve essere
attraente nel suo volto umano, deve essere capace di creare ambienti di famiglia.
Il desiderio di incontro costituisce certamente una opportunità perché incamminarsi
verso un approfondimento della relazioni umane personalizza la fedeltà e rende possibile
invitare altri a entrare in un vero rapporto di autenticità e comunicazione, ma
soprattutto di amore e di impegno con la persona di Gesù Cristo. La fraternità porta ad
avere più attenzione agli aspetti quotidiani del vivere insieme. Si sente però anche la
necessità di allargare le relazioni e curare gli affetti.
La fraternità costituisce anche una sfida perché esige di puntare sulla conversione e
sul rinnovamento delle nostre comunità. Quale ambiente umano trova il giovane
candidato nelle nostre comunità e quale comunicazione trovano i confratelli adulti? Si
tratta di una sfida, che presenta il problema di come “rigenerare” le comunità,
specialmente quando invecchiano. È una sfida perché non è facile trovare formatori
equilibrati e capaci dell’approccio personale, che sanno evitare l’individualismo e offrire
un saggio accompagnamento personale e spirituale. È difficile poi costruire l’equilibrio
emozionale ed affettivo nelle proprie relazioni e nel proprio vissuto.
Postmodernità
Per essere una profezia per il mondo postmoderno, la vita consacrata deve saper
suscitare fascino e far riscoprire la sua bellezza.
In generale, il confronto con la cultura postmoderna è un’opportunità per proporre i
valori della vita consacrata come stimolo, purificazione e alternativa ai valori del mondo:
per esempio, la fedeltà in una cultura che vanta di essere infedele; la vita di fede in una
società senza riferimenti ai valori religiosi; l’ottimismo e la speranza in un mondo pieno
di paure. È anche un’opportunità per orientare la generosità dei giovani, la loro sete di
fraternità, il loro desiderio per la propria realizzazione, la loro ricerca di Dio.
Il confronto con la cultura postmoderna è anche una sfida perché la cultura
prevalente dei media promette una felicità falsa ma attraente; tocca a noi offrire,
soprattutto ai giovani, un’esperienza personale e autentica di Cristo e dimostrare con
parole e fatti che la vita consacrata favorisce la piena realizzazione della persona. Occorre
una nuova attualizzazione carismatica, profetica e credibile; allo stesso tempo, ci vuole
un nuovo equilibrio carismatico tra la sua freschezza di rinnovamento e le sue
espressioni storiche.
Multiculturalità
Viviamo in un mondo che diventa sempre più un “villaggio planetario”:
dall’individualismo culturale si sta passando all’incontro, non privo di resistenze, di
diversi mondi culturali. È un mondo caratterizzato dalla globalizzazione, dalla rapidità
dei cambiamenti, dalla complessità, frammentarietà e secolarizzazione. Il consacrato vede
8

1.9 Page 9

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in tutto questo l’azione dello Spirito di Dio che in ogni situazione opera dove vuole, come
vuole e quando vuole.
La diversità culturale è un’opportunità perché favorisce solidarietà, accoglienza delle
diversità, esperienze di volontariato, la empatia verso i poveri, il rispetto ecologico, la
ricerca della pace. Favorisce anche l’internazionalizzazione e l’ esperienza di universalità
delle comunità di vita consacrata come disponibilità al servizio dove sia richiesto. Il
carisma in questo modo si arricchisce. Favorisce nelle giovani generazioni dinamismi di
conoscenza, di accoglienza e dialogo.
La diversità culturale è anche una sfida perché è difficile per la maggioranza dei
consacrati adulti entrare nell’esperienza multiculturale. Sorge la necessità ripensare il
linguaggio e la maniera di trasmettere i valori tra mondi antropologici distanti ed
estranei. Formare alla fedeltà in un mondo costantemente in cambiamento e
culturalmente pluridirezionale, rendere possibile una vita di fede in una società
tendenzialmente senza riferimenti ai valori religiosi e cristiani rendono arduo il compito
formativo che deve essere permanente ed aperto ad esperienze interculturali.
Rinuncia
La rinuncia fa parte essenziale della vita, e quindi anche della vita consacrata;
quando essa viene assunta positivamente, allora diventa un’esperienza liberante e
arricchente. Non si può scegliere tutto, anche se chi vive per amore e sceglie l’amore, vive
un’esperienza totalizzante.
La rinuncia è un’opportunità per vivere la nostra vita consacrata con autenticità e per
fare di essa una vera “terapia spirituale” per l’umanità. Essa purifica e rende autentico
l’amore.
La rinuncia è anche una sfida perché la vita consacrata offre una corsia privilegiata di
vita, risparmiando spesso il consacrato dai problemi e dalle fatiche della vita normale.
Anzi la tentazione consumista, la vita confortevole, il benessere, i viaggi e il possesso di
‘personal media’, toccano i consacrati in tutte le culture. Occorre tornare all’essenziale
nella nostra vita e nelle strutture. Per i giovani soprattutto, ma non solo, la rinuncia può
far problema. Dobbiamo aiutarli a comprendere che non si tratta di sacrificare qualcosa,
ma di scegliere qualcosa, anzi Qualcuno: il Signore Gesù e la sua sequela. In Lui si trova
piena libertà, gioia e realizzazione. Ciò significa essere aperti a permettere che Gesù entri
nella nostra vita e prenda in essa il primo posto; siamo aperti ad essere liberi da
condizionamenti che possono impedirci di fare e vivere questa scelta radicale.
Fedeltà
La fedeltà è l’ovvia conseguenza dell’opzione che il consacrato fa per Dio, suscitando
nella sua vita il fuoco della passione per Lui e per il Signore Gesù, fino all’offerta della
propria vita per sempre.
La fedeltà è una opportunità perché rende sempre più profondo e personalizza il
rapporto con il Signore Gesù e con il suo Regno. Permette di testimoniare Dio come
valore assoluto e permanente, che resta saldo nel vortice dei cambi culturali. Aiuta a
vedere il mondo con occhi positivi e a scorgere le esperienze positive di fedeltà nella
famiglia, nella comunità, nella Chiesa, come azione dello Spirito nella storia. Permette
anche di vedere il senso dei sacrifici che il consacrato è chiamato a fare.
La fedeltà è anche una sfida perché è scossa dalla situazione frammentata e fuggevole
della cultura odierna. In questo senso ha bisogno di essere costantemente accompagnata
in forma personale e comunitaria per passare dal narcisismo ad un morire a se stesso
9

1.10 Page 10

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nella sequela di Cristo. D’altra parte, la fedeltà non può rimanere solo a livello
concettuale; deve essere una fedeltà viva, d’incontro con Cristo, che interessi tutta la
persona e porti il consacrato dalle “esperienze” frammentate alla “esperienza” fondante.
Inoltre la fedeltà del consacrato è una sfida permanente da approfondire, che si traduce
nella quotidiana domanda: a chi sono fedele? La fedeltà è una sfida che richiede la
creazione di comunità fedeli che generino fedeltà, che aiutino a passare dalla
superficialità alla radice profonda della fedeltà, che costruiscano e rinnovino la fedeltà
carismatica e che conoscano il cammino e la dinamicità dei suoi processi. La fedeltà non
viene più considerata come realtà che dura tutta la vita, ma può esistere solo come
fedeltà “a tempo”; per questo in alcune Congregazioni ritorna spesso la domanda se
considerare la possibilità di incorporare qualche tipo di impegno temporaneo nella vita
consacrata. Su questo noi Salesiani ci siamo pronunciati contrari. Ci sembra piuttosto
che si deve formare in modo tale da rendere i confratelli capaci di una consegna totale al
Signore per sempre.
Non c’è dubbio che la ricchezza e diversità dell’umano possibile oggi offre grandi
opportunità di valorizzazione, insieme a compiti formativi nuovi per la vita consacrata.
Ciò non vanifica l’apporto determinante della grazia e dello Spirito, che agiscono proprio
nei dinamismi psicologici ed antropologici della persona. La formazione si farà perciò
attenta ad assecondare lo Spirito, proprio a partire da queste espressioni dell’umano per
portarle alla loro maturità e pienezza.
2. VOCAZIONE E FORMAZIONE, DONO E COMPITO
Si pone la domanda: perché dobbiamo impegnarci a formare i chiamati da Dio e da
Lui a noi inviati? Proprio perché in Congregazione li consideriamo dono di Dio ai giovani,
ne abbiamo tanta cura e sentiamo la responsabilità di aiutarli ad essere all’altezza della
vocazione ricevuta. Cerchiamo dunque di approfondire meglio i due elementi inscindibili
di una vera chiamata, vale a dire, la vocazione e la formazione, il dono e il compito, che
sono come due facce della stessa medaglia.
Il primo degli articoli che le Costituzioni dedicano alla formazione presenta
un’affermazione fondamentale, vera professione di fede, formulata dal punto di vista della
persona chiamata: “rispondiamo all’appello [di Gesù] con l’impegno di una adeguata e
continua formazione” (Cost 96).6
Le Costituzioni intendono, pertanto, la formazione come una risposta alla vocazione.
Non la identificano con quel lungo periodo di tempo che precede l’integrazione piena e
definitiva alla missione comune, né, ancor meno, la riducono a mero studio, religioso e
professionale, al quale bisogna dedicarsi come preparazione specifica in vista della
missione personale. Tutto ciò che si deve fare per riconoscere, assumere e identificarsi
con il progetto al quale Dio ci chiama è formazione: “la formazione è accogliere con gioia il
dono della vocazione e renderlo reale in ogni momento e situazione dell’esistenza”.7 La
formazione è, per così dire, lo stato di vita in cui entra chi si sente chiamato da Gesù per
stare con Lui e poter poi essere da Lui inviato (cfr Mc 3,13).
Chiamandoci, Dio ci ha identificati. E noi Gli rispondiamo adeguatamente solo
quando ci identifichiamo con la sua chiamata. L’identità salesiana non si adegua,
6 “Rispondere alla chiamata significa vivere in atteggiamento di formazione” (Il Progetto di Vita dei
Salesiani di Don Bosco. Guida alla lettura delle Costituzioni salesiane, Roma 1986, p. 682).
7 La Formazione dei Salesiani di Don Bosco [FSDB], Roma 2000, 1
10

2 Pages 11-20

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2.1 Page 11

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dunque, a ciò che già siamo, né a ciò che desideriamo essere; coincide piuttosto con il
Suo progetto, con quanto Egli vuole che diventiamo. Ebbene, identificarsi con ciò che Dio
vuole da noi è l’obiettivo di ogni formazione. Salesiano, sii ciò che sei chiamato ad essere!
La chiamata di Dio, che è grazia immeritata, precede e motiva lo sforzo di adeguarsi alla
stessa, in cui consiste fondamentalmente la formazione, e “per la quale il Signore ci dona
ogni giorno la sua grazia” (Cost 96): vocazione e formazione sono due forme di
realizzazione in noi della grazia; la vocazione è la grazia d’essere chiamati, che precede,
accompagna e richiede la formazione; la formazione è la grazia di diventare degni della
vocazione, che va coltivata, mantenuta e sempre più approfondita.
2.1 Vocazione: la grazia come origine
“La nostra vita di discepoli del Signore è una grazia del Padre che ci consacra col dono
del suo Spirito e ci invia ad essere apostoli dei giovani” (Cost 3).
La vocazione non è mai progetto personale di vita, che un individuo realizza con le sue
proprie forze o alimenta con i suoi migliori sogni; è, piuttosto, chiamata di Colui che,
precedendolo e trascendendolo, propone al prescelto una meta che va al di là di lui stesso e
delle sue possibilità. Nel primo caso, la persona sente la voglia e l’entusiasmo di fare
qualcosa nella sua vita, o meglio, si propone – crede di essere capace di – fare qualcosa della
sua vita. Nel secondo caso, si sente desiderato per fare qualcosa della sua vita, un qualcosa
che potrà immaginare e individuare solo se risponderà alla chiamata personale. Credersi
chiamato significa sapersi prescelto (cfr Gv 15,16). “È suo [di Dio] il primato dell'amore.
La sequela è soltanto risposta d'amore all'amore di Dio. Se «noi amiamo» è «perché egli ci
ha amati per primo» (1 Gv 4, 10.19). Ciò significa riconoscere il suo amore personale con
quella intima consapevolezza che faceva dire all'apostolo Paolo: «Cristo mi ha amato e ha
dato la sua vita per me» (Gal 2, 20)”.8
La vita come vocazione
La vita di ogni persona è vocazione e come tale deve essere compresa, accolta e
realizzata”.9 Prima di conoscere, nella chiamata, il destino della propria vita, prima di
riconoscersi chiamato a fare qualcosa della propria vita, il credente sa di essere chiamato
da Dio per il semplice fatto di vivere: “Egli ci ha fatti e noi siamo suoi”, riconosce il salmista
(Sal 100,3).
La vita, Parola di Dio
La vita, la propria esistenza, è parola di Dio e, allo stesso tempo, la risposta dovuta al
proprio Dio. È quanto ci ricorda la storia di Anna, la madre di Samuele, che chiede un figlio
e quando lo riceve sente che quel figlio appartiene a Dio e di fatti lo porta al Santuario di
Silo per “condurlo a vedere il volto del Signore; poi resterà lì per sempre”: “Per questo
fanciullo ho pregato e il Signore mi ha concesso la grazia che gli ho chiesto. Perciò anch’io lo
do in cambio al Signore: per tutti i giorni della sua vita egli è ceduto al Signore” (1Sam 1,
22.27-28). Invocando l’uomo, Dio l’ha chiamato all’esistenza; la persona invocata è
obbligata a rispondere: con la vita concessa, Dio ci ha imposto il dialogo come modo di
8 CONGREGAZIONE PER GLI ISTITUTI DI VITA CONSACRATA E LE SOCIETÀ DI VITA APOSTOLICA (CIVCSVA),
Ripartire da Cristo, Roma 2002, n. 22.
9 Criteri e norme di discernimento vocazionale salesiano [Supplemento a FSDB], 30
11

2.2 Page 12

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esistere alla sua presenza. Essendo immagine di un Dio che ci ha pensati dialogando con se
stesso, potremo vivere solo in dialogo con questo Dio. La vita è un pronunciarsi di Dio a
nostro favore ed esige, pertanto, il pronunciarsi dell’uomo a suo favore; non è un caso se
siamo nati dal nulla all’interno di un colloquio divino: Colui che ci ha immaginati
dialogando con se stesso, ha potuto considerarci sua immagine perché possiamo dialogare
come Lui e con Lui.
“Dal momento che è stato chiamato da Dio alla vita, il credente riconosce che la sua
presenza nel mondo non obbedisce a una decisione propria: non vive chi vuole, chi lo ha
desiderato, ma colui che è stato desiderato e amato... Proprio perché la vita è effetto del
volere divino, non si può vivere fuori dall’ambito della sua volontà: chi non esiste perché
vuole, non dovrà esistere come gli pare; la vita concessa presenta dei limiti da rispettare
(Gen 2,16-17) e compiti da svolgere (Gen 1,28-31). L’uomo biblico, per il semplice fatto di
vivere, si sa chiamato da Dio e responsabile davanti a Lui: vive perché Dio lo ha voluto e per
vivere come Dio vuole...; sa di essere vivo, perché è stato invocato da Dio; sa che vivrà, se
rimarrà fedele a questa vocazione (Gen 3,17-19)”.10
Ed è così, immedesimandoci con la chiamata di Dio, che troviamo il nostro bene e
incontriamo la nostra libertà: “Ciascuno trova il suo bene aderendo al progetto che Dio
ha su di lui, per realizzarlo in pienezza: in tale progetto infatti egli trova la sua verità ed è
aderendo a tale verità che egli diventa libero (cfr Gv 8, 32)”.11
La vita, risposta dovuta a Dio
Per il semplice fatto di essere, l’uomo deve farsi responsabile: essendo l’unico essere
vivente che riflette la natura dialogica di Dio (Gen 1,26), dovrà assumersi la responsabilità
del creato (Gen 1,3-25), prendersi la responsabilità di procreare (Gen 1,27-30; Sal 8,6-9; Sir
17,1-10) e la responsabilità di suo fratello (Gen 4,9). Questa responsabilità, dalla quale
dipende il suo rapporto con Dio e che si realizza nella custodia del mondo e del fratello, è
un debito permanente dell’uomo; lo salda nella misura in cui, vigilando sul creato in nome
e al posto di Dio, rimane in dialogo con Lui.
L’uomo biblico vive, dunque, dinanzi a Dio con un debito permanente di risposta. Colui
che deve la sua vita a una Parola di Dio, non può restare in silenzio alla sua presenza; il
credente che tace dinanzi a Dio, ha smesso di esistere per Dio; Egli ci ha immaginati
parlando, e siamo immagine sua se restiamo in dialogo con Lui: solamente i morti non
possono ricordarLo, solo i morti non Lo lodano (cfr Sal 6,6; 88,11-13; Is 38,18). Tutto ciò
che la vita ci offre può essere motivo di preghiera12 ed è compito di cui assumersi la
responsabilità: non esiste situazione umana alcuna che non sia degna di essere
commentata, dialogata, condivisa con Dio; né c’è bisogno dei fratelli né fratello nel bisogno
di cui non dobbiamo rispondere. Ricordiamo che Caino non ha voluto parlare di suo fratello
Abele, anzi ha dichiarato di non dover rispondere di lui, perché gli aveva tolto la vita poco
prima: l’assassinio ha preceduto la negazione a rispondere del fratello.
10 Juan J. BARTOLOMÉ, “La Llamada de Dios. Una reflexión bíblica sobre la vocación”: Misión Joven
131 (1987) 6.
11 BENEDETTO XVI, Caritas in veritate, 1.
12 “La preghiera cristiana autentica include la vita intera di chi prega... Nell’avvicinarsi ai fatti
quotidiani che, al confronto con quelli sociali e storici, possono sembrare anche di poco conto,
scopre valori che sono nella realtà stessa e rende esplicito il loro fondo di appartenenza ai piani di
Dio. Tutte le situazioni sono suscettibili di essere pregate, a condizione che si convertano in
esperienza teologale” (Il Direttore Salesiano. Un Ministero per l’Animazione e il Governo della
Comunità locale, Roma 1986, 209-210)
12

2.3 Page 13

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La vocazione, compito per una vita
Per il credente, la vita non è frutto del caso, né tanto meno impegno del volere umano:
ogni vita è voluta da Dio; a ciascuna vita umana Dio assegna un luogo, un compito, nel suo
progetto salvifico. Chi giunge all’esistenza è stato voluto da Dio: la sua esistenza ha senso,
almeno, per Dio e la sua vita riceve il suo pieno senso solo da Dio.
La vocazione, missione dialogata
Non è un caso se, nella Bibbia, quando si descrive una chiamata di Dio, il racconto
diventa la trascrizione del dialogo che Dio apre con il suo eletto: svelandogli il progetto che
alimenta su di lui, Dio gli fa sapere che conta su di lui per portarlo a termine.
Inaspettatamente, senza averlo meritato, e nemmeno desiderato, la persona chiamata si
trova con un compito che gli viene proposto e con una forma di vita che gli viene imposta:
che si tratti della generazione di un popolo (Abramo: Gen 12,1-4) o della sua liberazione
(Mosè: Es 3,1-4,23), del concepimento di un figlio (Maria: Lc 1,26-38) o dell’invito a vivere
con Gesù (i primi quattro discepoli: Mc 1,16-20), la missione assegnata non risponde alle
possibilità del chiamato, spesso non fa parte nemmeno delle sue priorità; sia Abramo che
Maria non vedevano possibile la discendenza promessa (Gen 15,2-3; Lc 1,34). La missione
designata solitamente non si concilia nemmeno con l’attività o professione che già si sta
svolgendo; Mosè, pascolando bestiame altrui, così come i primi discepoli di Gesù, lavorando
con le loro reti, vivevano immersi in progetti ben diversi da quello al quale furono chiamati,
vale a dire guidare un movimento di liberazione nazionale (Es 2,21-3,1) o essere pescatori di
uomini per il regno di Dio (Mc 1,16.19).
Il credente biblico, sapendo che la sua vita è la conseguenza di una decisione di Dio in
suo favore, può escludere da essa il caso e la fortuna, buona o cattiva che sia: essendoci
una Persona che positivamente l’ha voluto in un determinato momento e in quel momento
l’ha creato vivente, non smetterà mai di sentirsi amato finché vivrà; non sarà mai preda del
destino, né l’imprevisto infierirà contro di lui. Tuttavia, proprio per questo, dal momento
che non si è procurato da sé l’esistenza, nemmeno può programmarsela da sé; non è
signore di se stesso: è rimasto soggetto all’arbitrio di Colui che l’ha amato tanto da volerlo
vivo e simile a Lui. La sua stessa vita lo rivela, quindi, come progetto divino da realizzare; la
sua esistenza personale è la prova della preesistenza di un piano divino su di lui: la vita è
sempre missione, per essere stata prima di tutto dono; essa è incarico e grazia, giacché non
è stata un’eredità automatica, né è salario dovuto.
La missione, casa e causa di formazione
Dio può benissimo disporre della vita di un uomo, dal momento che è stato Lui a
dargliela. Le storie di chiamate, significativamente numerose nella Bibbia, mostrano in
modo esemplare questo tratto caratteristico del Dio vivente: Dio rivela alla persona
chiamata che conta su di lei, a volte, decisamente suo malgrado, e, altre, persino
contrariamente alla sua volontà. Per quante obiezioni accumuli il chiamato, non potrà
evitare la chiamata. A meno che Dio non revochi il suo invio, l’inviato rimarrà tale per
sempre; nemmeno fuggendo da Dio, ci si può liberare di Lui e della sua volontà, come
dovette imparare Giona (Gio 1,1-3,3). E ciò che è ancora più serio è che più di un chiamato
sentirà che gli è stata rubata la sua vita, che gli è stata sequestrata con violenza,
imponendogli una missione che non rientrava nei suoi calcoli né entrerà del tutto nelle sue
capacità, come lo evidenziano Geremia (Ger 1,5) e Paolo (Gal 1,15).
13

2.4 Page 14

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Dio va d’accordo con coloro che chiama conversando con loro; il Dio che chiama
parlando, trasforma la persona prescelta in interlocutore. Dio, nel rivolgersi al chiamato, gli
rivela che lo desidera e per quale scopo lo desidera. Ebbene, l’unico sapere su Dio e su se
stesso che il chiamato acquisisce nell’assumere la chiamata di Dio, consiste nel sapersi
destinato agli altri: il Dio biblico, quando chiama, vuole il chiamato per se stesso, sì, ma
anche per gli altri. In ciò consiste, precisamente, la sorpresa del chiamato: la risposta che
deve a Dio per la sua vocazione, deve provare a darla rispondendo di coloro ai quali è stato
inviato; Dio chiama per stare con Lui e per inviare: l’amicizia intima con Lui e la missione a
favore degli altri sono la maniera di vivere la scelta; sono la sua conseguenza e la sua prova.
E tutto ciò che si fa per imparare ad essere amici e non servi del Signore e per realizzare la
missione, per prepararsi alla stessa e identificarsi con essa, è formazione. La formazione del
salesiano è per natura religiosa ed apostolica perché è orientata e motivata dalla missione.
L’unica risposta che il Dio del chiamato considera valida è quella che realizza la sua
chiamata, vale a dire, quella egli dà quando si dona a coloro ai quali Dio lo ha destinato nel
momento in cui l’ha chiamato per nome. Assumere la vocazione presuppone, quindi, una
vita di obbedienza al compito ricevuto: il servizio esclusivo ai giovani è la risposta che Dio
aspetta dal salesiano. Non è un caso se stiamo perdendo la consapevolezza dei nostri doveri
di fronte ai giovani, quando stiamo perdendo il piacere e la voglia di pregare; né tanto meno
deve meravigliarci che ogni tentativo di liberazione della missione salesiana impoverisca e
renda più difficile la nostra preghiera comunitaria: non è che Dio si stia allontanando da
noi e ci impedisca di sentirlo vicino, è che noi ci stiamo allontanando dai giovani e non
riusciamo a stare vicino ai loro problemi. Ci crediamo abbandonati da Dio perché, e
quando, abbandoniamo “la patria della nostra missione..., la gioventù bisognosa”.13
Come salesiani, siamo in debito con Dio e con i giovani: questo debito nasce dalla grazia
ricevuta: è nato, si mantiene con la vocazione ed è saldato con la formazione, “adeguata e
continua” (Cost 96). “Immerso nel mondo e nelle preoccupazioni della vita pastorale, il
salesiano impara a incontrare Dio attraverso quelli a cui è mandato" (Cost 95). La
formazione consiste fondamentalmente e principalmente in questo apprendimento. La meta
consiste nell’incontrare Dio nella vita che si sta portando avanti mentre si vive la chiamata;
il cammino per riuscirci e le scelte metodologiche costituiscono il processo formativo che
ogni chiamato vive in prima persona: non sarà necessario uscire dalla vita che si sta
vivendo, se questa è la risposta alla propria vocazione. Laddove manchi la consapevolezza di
stare facendo davanti a Dio ciò che Egli ci ha affidato, non ci potrà essere formazione
alcuna, per quanto si studi o per quanti anni si passino nelle cosiddette ‘case e tappe di
formazione’.
2.2 Formazione: la grazia come compito
Ovviamente non stiamo parlando in termini astratti di vocazione e formazione. Come
abbiamo visto all’inizio tutte e due, vocazione e formazione, affrontano sfide proprie che,
a mio avviso, procedono dal contesto culturale storico che stiamo vivendo e dal tipo di
presenza della Chiesa e della Congregazione.
Per quel che riguarda il contesto sociale, ci sono alcuni elementi che in controluce
“toccano da vicino l’esperienza vocazionale”: da un canto il valore della persona, e
dall’altro il soggettivismo e individualismo; da un canto la dignità della donna, e dall’altro
l’ambiguità nei suoi confronti; da un canto la rivalorizzazione della sessualità, e dall’altro
alcune sue espressioni distorte; da un canto la ricchezza del pluralismo, e dall’altro il
relativismo e debolezza di pensiero; da un canto il valore della libertà, e dall’altro
l’arbitrarietà; da un canto la complessità della vita, e dall’altro la frammentazione; da un
13 E. VIGANÒ, “Dar forza ai fratelli”, ACG 295 (1980), p. 26.
14

2.5 Page 15

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canto la globalizzazione, e dall’altro i particolarismi; da un canto, un maggior desiderio di
spiritualità, e dall’altro il secolarismo.14
Per quel che riguarda la Chiesa, essa vorrebbe rispondere alle sfide del tempo
presente con la Nuova Evangelizzazione, che richiede a sua volta un nuovo
evangelizzatore, che faccia di Cristo il tema e il contenuto della sua predicazione, del
mistero della croce il criterio di autenticità cristiana, del vangelo la sua forza e la sua
luce. Così sarà capace di unire armonicamente evangelizzazione, promozione umana,
cultura cristiana, e di promuovere il dialogo culturale, ecumenico e interreligioso.
La Congregazione, da parte sua, in questi ultimi anni, dal Concilio Vaticano II in poi
ha cercato di aggiornarsi per rispondere a queste sfide e si è impegnata a rinnovare la
sua esperienza di vocazione e la sua prassi formativa. La Ratio è, da questo punto di
vista, molto più di un documento.
La sua intuizione fondamentale è quella della identità carismatica e
identificazione vocazionale. Siamo convinti che se riusciamo a garantire una chiara
identità salesiana, attraverso la formazione, i confratelli si sentiranno provvisti da un
bagaglio di valori, di atteggiamenti, di criteri che li aiuteranno ad affrontare con successo
la cultura odierna e a realizzare con efficacia la missione salesiana. Vorrei quindi fare un
approccio al tema della formazione da questa prospettiva.
La chiamata di Dio, dandoci i giovani come contenuto della nostra risposta vocazionale,
ci ha obbligati a vivere un determinato tipo di spiritualità, che richiede una formazione
specifica: “crediamo che Dio ci sta attendendo nei giovani per offrirci la grazia dell’incontro
con Lui e per disporci a servirlo in loro”.15 Dal momento che la nostra esperienza di Dio non
si può comprendere senza il riferimento ai giovani ai quali Dio ci ha destinato, allo stesso
modo non si potrà realizzare la nostra formazione senza una vita vissuta in favore loro: “la
natura religiosa apostolica della vocazione salesiana determina l’orientamento specifico
della nostra formazione” (Cost 97).
Il salesiano sa che la sua vita apostolica costituisce il luogo privilegiato e il motivo
centrale del suo dialogo con Dio: poiché Dio ha stabilito per lui quel compito per tutta la
vita, è identificandosi con esso e realizzandolo che potrà rispondergli. “L’appello di Dio gli
giunge attraverso l’esperienza della missione giovanile; non poche volte di lì inizia la
sequela. Nella missione si impegnano, si manifestano e crescono in lui i doni della
consacrazione. Un unico movimento di carità lo attira verso Dio e lo spinge verso i
giovani (cfr Cost 10). Egli vive il lavoro educativo con i giovani come un atto di culto e
una possibilità di incontro con Dio”.16
L’impegno per riuscirci si chiama formazione; infatti, “formazione salesiana è
identificarsi con la vocazione che lo Spirito ha suscitato attraverso Don Bosco, avere la
sua capacità di condividerla, ispirarsi al suo atteggiamento e al suo metodo formativo”.17
Identità carismatica e identificazione vocazionale
“Conformarsi a Gesù Cristo e dare la vita per i giovani, come Don Bosco”, è, in sintesi,
“la vocazione del salesiano”, la sua identità. “Tutta la formazione, iniziale e permanente,
consiste nell’assumere e rendere reale nelle persone e nella comunità questa identità”.
“Da essa il processo formativo prende l’avvio e ad essa si riferisce costantemente”.
14 Cfr FSDB, 7
15 CG23, 95
16 FSDB, 29
17 FSDB, 4
15

2.6 Page 16

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L’identità salesiana è “il cuore di tutta la formazione”,18 la sua norma e la sua meta. “In
altre parole: l’identità salesiana caratterizza la nostra formazione, che non può essere
generica, e ne specifica i doveri e le esigenze fondamentali”.19
Obiettivi della formazione
Formarsi comporta di riconoscere la forma di vita alla quale si è chiamati e
identificarsi più pienamente in essa. Come già ho accennato, nella vita consacrata la
formazione non coincide con il tempo pedagogico che precede la preparazione ai voti, il
ministero sacerdotale, un tempo, dunque, limitato e da non ripetere; è piuttosto una
situazione permanente, mai terminata che dura “tutta l’esistenza, per coinvolgere tutta la
persona, cuore, mente e forze (cfr Mt 22,37) e renderla simile al Figlio che si dona al
Padre per l’umanità”.20
“Attraverso la formazione infatti si realizza l’identificazione carismatica e si acquista la
maturità necessaria per vivere e operare in conformità con il carisma fondazionale: dal
primo stato di entusiasmo emotivo per Don Bosco e per la sua missione giovanile si
giunge ad una vera conformazione con Cristo, ad un profondo identificarsi con il
Fondatore, all’assunzione delle Costituzioni come Regola di vita e criterio di identità, e ad
un forte senso di appartenenza alla Congregazione e alla comunità ispettoriale”.21
Ciò che siamo chiamati a essere determina ciò che dobbiamo sforzarci di essere;
l’identità carismatica provoca e guida l’impegno di identificazione, personale e
comunitaria, che è la formazione. In altri termini, gli obiettivi della formazione per la
vita salesiana sono imposti dalla stessa vocazione salesiana, in definitiva Dio che ci
chiama ad attuare questi compiti:
1º. Inviati ai giovani: conformarsi con Cristo Buon Pastore.
Come Don Bosco, il salesiano ha come primo e principale destinatario della sua
missione “la gioventù povera, abbandonata, pericolante, che ha maggior bisogno di
essere amata ed evangelizzata” (Cost 26).22
Rispondere a questa missione ci ottiene la conformazione23 a Cristo, Buon Pastore, il
cui frutto e garanzia naturale è la carità pastorale. Amare i giovani come Cristo li ama
“diviene per il salesiano progetto di vita”; ciò che farà per rappresentare l’amore di Dio ai
giovani (cfr Cost 2: essere nella Chiesa segno e portatore) lo identificherà con Cristo,
apostolo del Padre. “Attraverso i giovani il Signore entra nell’esistenza del salesiano e vi
prende il posto principale; e l’ansia di Cristo Redentore trova eco nel motto Da mihi
animas, cetera tolle, che costituisce il punto unificatore di tutta la sua esistenza”.24
Il salesiano si conforma a Cristo realizzando la sua missione, “il parametro sicuro e
definitivo della nostra identità”,25 con ‘cuore oratoriano’,26 rispondendo ai bisogni dei
18 Cfr FSDB, 25
19 FSDB, 41
20 CIVCSVA, Ripartire da Cristo, 15
21 FSDB, 41
22 Cfr CGS, 45-49
23 L’Esortazione Apostolica Vita Consecrata parla di una “speciale comunione d’amore con Cristo”
(VC, 15).
24 FSDB, 30
25 CGS, Presentazione del Rettor Maggiore, 31 gennaio 1972, pag. XVI
26 “Ispirandosi all’esempio e agli insegnamenti di Don Bosco, il salesiano vive l’esperienza
spirituale, pedagogica e pastorale del Sistema Preventivo. I suoi rapporti con i giovani sono
16

2.7 Page 17

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giovani con immaginazione e sensibilità educativa. Ed è nella vita quotidiana, e non in
comportamenti puntuali o straordinari, “è nella realtà di ogni giorno che il salesiano
traduce in esperienza di vita la sua identità di apostolo dei giovani”.27
2º. Resi fratelli da un’unica missione: fare della vita comune luogo e oggetto di
formazione.
“Vivere e lavorare insieme è per noi, salesiani, un’esigenza fondamentale e cammino
sicuro per realizzare la nostra vocazione” (Cost 49). Il vivere comunitariamente la
missione, infatti, non è lasciato al nostro arbitrio: non siamo liberi di accettarlo, né
possiamo liberarci da esso a nostro piacimento; non è nemmeno una decisione tattica
finalizzata ad una maggiore efficacia apostolica; “è uno dei tratti più fortemente
caratterizzanti l’identità salesiana. Il salesiano è convocato a vivere con altri fratelli
consacrati per condividere il servizio del Regno di Dio tra i giovani”.28
Per vocazione, il salesiano è “parte viva di una comunità” e “coltiva un profondo senso
di appartenenza ad essa”: “Con spirito di fede e sorretto dall’amicizia il salesiano vive lo
spirito di famiglia nella comunità e contribuisce giorno per giorno alla costruzione della
comunione tra tutti i membri. Convinto che la missione è affidata alla comunità, egli si
impegna a operare con i suoi confratelli secondo una visione d’insieme e un progetto
condiviso”.29
Dal momento che “l’assimilazione dello spirito salesiano è fondamentalmente un fatto
di comunicazione di vita” (Reg 85), la formazione, in quanto identificazione con il carisma
salesiano, richiede ancor più quella comunicazione che “ha come contesto naturale la
comunità”.30 Oltre ad essere “l’ambiente naturale della crescita vocazionale”, “la vita
stessa della comunità, unita in Cristo e aperta alle esigenze dei tempi, è formatrice” (Cost
99). Vivere nella e per la comunità è vivere in formazione.
3º. Consacrati da Dio: testimoniare la radicalità del Vangelo.
“La missione apostolica, la comunità fraterna e la pratica dei consigli evangelici sono
gli elementi inseparabili della nostra consacrazione” (Cost 3).
“La vita spirituale salesiana è una forte esperienza di Dio che è sostenuta e a sua
volta sostiene uno stile di vita fondato interamente sui valori del Vangelo (cfr Cost 60).
Per questo, il salesiano assume la forma di vita obbediente, povera e verginale che Gesù
scelse per sé sulla terra… Crescendo nella radicalità evangelica con intensa tonalità
apostolica, egli fa della sua vita un messaggio educativo, rivolto specialmente ai giovani,
proclamando con la sua esistenza “che Dio esiste e che il suo amore può colmare una
vita; e che il bisogno di amare, la spinta a possedere e la libertà di decidere della propria
esistenza acquistano il loro senso supremo in Cristo salvatore» (Cost 62)”.31
caratterizzati dalla cordialità e da una presenza attiva e amichevole, che favorisce il loro
protagonismo. Assume con gioia le fatiche e i sacrifici che il suo incontro con i giovani comporta,
convinto di trovare in esso il suo cammino di santità” (FSDB, 32)
27 FSDB, 42.
28 FSDB, 33. “La vocazione salesiana non è concepibile senza la comunione concretizzata nella
vita comune dei soci. Il vincolo comunitario tra i soci è costitutivo del loro vivere e del loro operare
da salesiani” (Il Progetto di vita dei Salesiani di Don Bosco, p. 408).
29 FSDB, 33
30 FSDB, 219
31 FSDB, 91
17

2.8 Page 18

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Di conseguenza, la pratica dei consigli evangelici, oltre ad essere messaggio e metodo
di evangelizzazione,32 “costituisce un principio di identità e un criterio formativo”.33
4º. Condividendo vocazione e missione: animare comunità apostoliche nello spirito
di Don Bosco.
“Il salesiano non può pensare integralmente la sua vocazione nella Chiesa senza
riferirsi a quelli che con lui sono i portatori della volontà del Fondatore. Con la
professione egli entra nella Congregazione Salesiana e viene inserito nella Famiglia
Salesiana”;34 in essa abbiamo particolari responsabilità: “mantenere l’unità dello spirito e
stimolare il dialogo e la collaborazione fraterna per un reciproco arricchimento e una
maggiore fecondità apostolica” (Cost 5).
Per il fatto di esserlo, “ogni salesiano è animatore e si abilita sempre più ad esserlo”: 35
rispondere alla propria vocazione lo rende corresponsabile del carisma salesiano che
vivono, in modo diverso, i vari membri della Famiglia Salesiana. “La formazione dà al
salesiano un forte senso della sua identità specifica, apre alla comunione nello spirito
salesiano e nella missione con i membri della Famiglia Salesiana che vivono progetti
vocazionali diversi... La comunione sarà tanto più sicura ‘quanto più chiara sarà
l’identità vocazionale di ciascuno e più grandi la comprensione, il rispetto e la
valorizzazione delle diverse vocazioni’…36 “La formazione alla comunione nei valori
salesiani fa crescere la consapevolezza del compito di animazione carismatica e qualifica
ad esso”.37
5º. Nel cuore della Chiesa: edificare la Chiesa, sacramento di salvezza.
“La vocazione salesiana ci colloca nel cuore della Chiesa” (Cost 6): “l’esperienza
spirituale del salesiano è, pertanto, un’esperienza ecclesiale”.38 Se per Don Bosco amare
la Chiesa è stato un modo caratteristico della sua vita e della sua santità, per noi “essere
Salesiani è il nostro modo di essere intensamente Chiesa”.39
Il salesiano arriva ad esserlo crescendo nel senso di appartenenza alla Chiesa,40
impegnato con le preoccupazioni e i problemi della stessa, inserito nei suoi programmi
pastorali e coinvolgendo i giovani negli stessi, vivendo in comunione cordiale con il Papa
e con coloro che lavorano per il Regno (cfr Cost 13).41
6º. Aperti alla realtà: inculturare il carisma.
32 Cfr VC, 96; CG24, 152.
33 FSDB, 34
34 FSDB, 35
35 FSDB, 35
36 CG24, 138
37 FSDB, 45
38 FSDB, 82
39 Il Progetto di vita dei Salesiani di Don Bosco, p. 120.
40 “Il nostro modo di vivere l’appartenenza alla Chiesa e di contribuire alla sua edificazione
consiste nell’essere Salesiani genuini e fedeli. Il nostro contributo consiste nell’essere, soprattutto,
noi stessi” (Il Progetto di vita dei Salesiani di Don Bosco, p. 122).
41 Cfr FSDB, 83
18

2.9 Page 19

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La vocazione del salesiano esige “apertura e il discernimento davanti alle
trasformazioni in atto nella vita della Chiesa e del mondo, specialmente dei giovani e
degli ambienti popolari”.42 Come Don Bosco, il salesiano rende la realtà storica “tessuto
della sua vocazione”, “una sfida e un invito pressante al discernimento e all’azione... Si
sforza di comprendere i fenomeni culturali che oggi segnano la vita, opera una riflessione
attenta e impegnata su di essi, li percepisce nella prospettiva della Redenzione”.43 La
lettura evangelica della realtà, in particolare della realtà giovanile e popolare, è d’obbligo
se si vuole rispondere adeguatamente alla vocazione salesiana: è parte integrante,
quindi, dell’impegno formativo.
“Chiamato ad incarnarsi tra i giovani di un determinato luogo e cultura, il salesiano
ha bisogno di una formazione inculturata. Mediante il discernimento e il dialogo con il
proprio contesto, egli si sforza di permeare di valori evangelici e salesiani i propri criteri
di vita, e di radicare l’esperienza salesiana nel proprio contesto. Da questo fecondo
rapporto emergono stili di vita e metodi pastorali più efficaci perché coerenti con il
carisma di fondazione e con l’azione unificante dello Spirito Santo (cfr VC 80)”.44
Metodologia formativa
“Rispondere all’appello di Cristo che chiama personalmente significa rendere reali i
valori vocazionali”.45 Considerata l’esperienza secolare salesiana, da Don Bosco ai nostri
giorni, l’identificazione teorica dei valori carismatici può ritenersi oggi come meta
sufficientemente raggiunta. La sfida più grande che la formazione affronta oggi consiste,
piuttosto, nel metodo formativo, nel come fare della proposta vocazionale un progetto
personale di vita, come passare dai valori apprezzati ai valori vissuti, come trasformare il
carisma salesiano in realtà quotidiana.
Spinta da una vocazione gratuita, la formazione è, prima che processo metodologico,
esperienza vissuta di grazia, dono riconoscente e responsabilità assunta, attraverso un
dialogo personale con Dio non trasferibile: è, e in questo ordine, “grazia dello Spirito,
atteggiamento personale, pedagogia di vita”.46 Lo Spirito di Dio è, in definitiva, l’autore
della chiamata e l’unico e vero formatore del chiamato: ha iniziato il dialogo con la sua
proposta ed è capace di sostenerlo con la sua forza. L’azione formativa resta così aperta
al senso del mistero di Dio e della persona; senza questo dialogo interiore, nulla è
garantito; lo dimostra anche troppo bene il nostro vissuto personale e la nostra
esperienza di educatori.
Affermata la priorità dello Spirito nel processo formativo,47 dell’esperienza educativa
salesiana, degli orientamenti della Chiesa e della Congregazione, e dell’analisi della realtà
formativa, in questi ultimi anni emergono alcune scelte di metodo che “appaiono
indispensabili per il raggiungimento degli obiettivi del processo formativo e per coltivare
in forma continua la vocazione”.48
42 FSDB, 42
43 FSDB, 37
44 FSDB, 43.
45 FSDB, 205
46 FSDB, 1
47 “Docile allo Spirito Santo, sviluppa le sue attitudini e i doni della grazia con un impegno
costante di conversione e di rinnovamento” (Cost 99). Cfr CRIS, Los elementos esenciales de la
enseñanza de la Iglesia sobre la vida religiosa (1983), 47.
48 FSDB, 206. La formazione “è certamente dono dello Spirito ma viene favorita da un’adeguata
pedagogia” (FSDB, 209).
19

2.10 Page 20

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1º. Raggiungere la persona in profondità
La formazione, “l’assimilazione personale dell’identità salesiana”,49 si realizza
nell’essere come Don Bosco, più che nel lavorare come lui. Ciò obbliga a centrare
l’impegno formativo, prioritariamente, sull’interiorizzazione dell’esperienza senza
limitarsi ad acquisire nuove conoscenze, o a ripetere comportamenti formali, esterni, che
non esprimono realmente i valori che siamo chiamati a vivere e sono mere forme di
adattamento a un ambiente.50 Senza interiorizzazione si corre un duplice pericolo: da una
parte, si riduce la formazione a mera informazione, quando si dà per scontato
l’appropriazione di valori solo per il fatto di parlare spesso di essi; d’altra parte, si
abbassa la formazione a semplice accomodamento, quando si assume mimeticamente un
genere di vita senza appropriarsi delle sue motivazioni ultime.
L’interiorizzazione dei valori carismatici implica necessariamente l’esistenza di
profonde motivazioni personali, e diventa irraggiungibile se non si riesce a fare dei valori
carismatici convinzioni soggettive. Solamente avendo forti ragioni per arrivare ad essere
ciò che siamo chiamati ad essere possiamo scoprire come valori gli elementi che formano
l’insieme della vita salesiana, farne esperienza, e assumerli fino a renderli un modo con-
naturale dell’essere. È così che la persona viene toccata in profondità e avviene la sua
trasformazione.
Assieme a questo si segnala un aspetto proprio dell’educazione salesiana, che è
partire dalla persona concreta, dalla sua storia personale, dal suo processo già fatto
nelle diverse dimensioni della persona umana, superando la tentazione di omogeneizzare
e livellare tutti per pragmatismo, senza rispettare i ritmi di maturazione delle persone.
Questo aspetto comporta il compito di aiutare a far sì che la persona si conosca e si
accetti, diventi consapevole delle sue convinzioni e le sottoponga a discernimento, come
condizione indispensabile per costruire sulla verità e l’accettazione di sé. Implica, anche,
la conoscenza precisa dei bisogni della persona e l’elaborazione di un cammino adeguato.
Implica, infine, la proposta chiara del progetto di vita salesiana, con tutte le sue esigenze,
senza lasciare spazio a facili entusiasmi ed emozioni passeggere.
La conoscenza di se stesso, che è già un valore, è orientata all’esperienza formativa
del confronto della persona con l’identità vocazionale che vuole assumere. Nasce così il
profilo con il quale la persona vuole identificarsi (Cristo, alla maniera di Don Bosco,
parafrasando l’espressione di San Paolo: “Siate miei imitatori come io lo sono di Cristo”)
e, a partire da tale profilo, si delinea il piano di lavoro spirituale che favorisce quella
crescente identificazione, che, come è logico, non ha fine e vale per tutta la vita.
La prima responsabilità di questa identificazione interiore ricade sulla stessa
persona chiamata. Non si tratta di un compito delegabile, né prorogabile: nessuno lo può
svolgere al posto del chiamato, né quest’ultimo può farlo quando vuole. Il chiamato,
proprio perché è chiamato e per rispondere alla chiamata, deve impegnarsi a fondo,
senza riserve, con generosità e radicalità, con convinzione ed entusiasmo. Pian piano
crescerà nel senso di appartenenza alla famiglia della quale vuole far parte e si sentirà a
casa.51
49 FSDB, 208
50 “L’identificazione vocazionale avviene nel cuore della persona, al livello più intimo di affetti,
sentimenti, convinzioni, motivazioni, e non si limita alla assunzione o trasmissione di contenuti e
comportamenti. Pertanto, «la formazione dovrà raggiungere in profondità la persona stessa, così
che ogni suo atteggiamento o gesto, nei momenti importanti e nelle circostanze ordinarie della
vita, abbia a rivelarne la piena e gioiosa appartenenza a Dio» (cfr Cost. 98)” (FSDB, 208).
51 “Solo quando il salesiano si lascia interpellare da Dio nel profondo del cuore, si identifica dal di
dentro con i criteri e i valori vocazionali e sa rinunciare agli atteggiamenti che vi si oppongono,
20

3 Pages 21-30

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3.1 Page 21

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2º. Animare un’esperienza formativa unitaria
La formazione si realizza, necessariamente, attraverso un cammino lungo e
diversificato, in diverse comunità e con diversi responsabili. Perché possa essere
un’esperienza integrata e personalizzata, è necessario che sia compresa e realizzata come
una proposta unica, che si svolge sotto un unico processo, sebbene varino le azioni
concrete e gli accenti, a seconda delle diverse tappe della vita del salesiano.
L’elaborazione della proposta è responsabilità comunitaria:52 trascende preferenze o
bisogni individuali e trasmette in modo accessibile e pedagogico il carisma fondazionale.
Per evitare “il rischio di fare della formazione una somma di interventi disorganici e
discontinui, affidati all’azione individuale di persone o gruppi”,53 la formazione deve
essere pensata come progetto unitario ed organico e vissuta con mentalità di progetto.
Il progetto ingloba sia ciò che, oggettivamente, costituisce il carisma salesiano (obiettivi
generali), sia ciò che persegue la formazione in ogni momento e gli interventi formativi
con cui lo realizza (obiettivi di ogni tappa, le strategie per raggiungerli e i metodi di
valutazione).54
Dato che il processo formativo è al servizio della persona,55 la sua maturazione
richiede tempi ‘psicologici’ più che cronologici. Ebbene, superando una certa concezione
secondo la quale le cose dello spirito non sono valutabili, la formazione deve essere
verificata in base al conseguimento degli obiettivi formativi proposti. La formazione
non è questione di superare delle fasi e completare un curriculum; si tratta bensì di
integrare dei valori e mantenere una forte tensione vocazionale. Una tappa formativa
deve preparare quella successiva; il passaggio da una fase all’altra deve essere segnato
“dal raggiungimento degli obiettivi più che dal trascorrere del tempo o dal curriculum di
studi... Il ritmo di crescita vocazionale viene mantenuto senza cadute di tensione ed è
sostenuto da impegni crescenti e da verifiche tempestive”.56
Come in ogni fatto educativo, il ‘chiamato’ è il soggetto che dà unità a tutti gli
interventi, alle motivazioni, alle attività, perché solo lui può integrare tutto in modo
organico attorno al progetto apostolico che è la vita salesiana, così come ha fatto Don
Bosco che – utilizzando le parole di Don Rua – “non diede passo, non pronunciò parola,
non mise mano ad impresa che non avesse di mira la salvezza della gioventù” (Cost 21).
3º. Assicurare l’ambiente formativo e la corresponsabilità di tutti
fonda il proprio progetto e unifica la propria vita attorno a motivazioni vere e autentiche, la
formazione ha raggiunto il suo scopo fondamentale” FSDB, 209).
52 “ Più che un testo da attuare, il progetto è l’espressione e lo strumento di una comunità che vuole
operare insieme al servizio del cammino formativo di ogni confratello” (FSDB, 213).
53 FSDB, 210
54 “I contenuti, le esperienze, gli atteggiamenti, le attività, i momenti forti vengono pensati,
programmati e indirizzati secondo lo scopo di ogni fase e di tutta la formazione, attraverso una
pedagogia che supera il pericolo della frammentazione e dell’improvvisazione o di un agire non
finalizzato e convergente” (FSDB, 212).
55 È compito del salesiano assumere sin dall’inizio un chiaro atteggiamento formativo, capire le
finalità dell’intero processo e dei singoli momenti, vivere il passaggio da una fase all’altra facendo
propri responsabilmente gli scopi del nuovo momento formativo, tracciarsi mete e percorsi
concreti, verificare e condividere l’attuazione del progetto formativo personale. È compito dei
formatori assumere e tradurre le indicazioni del progetto ispettoriale e far sì che la proposta
formativa sia fatta propria dal candidato, che la vive in comunità con responsabilità” (FSDB, 213).
56 FSDB, 212
21

3.2 Page 22

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“L’assimilazione dello spirito salesiano è, fondamentalmente, un fatto di
comunicazione di vita” (Reg 85). Come nel caso di Gesù con i suoi primi discepoli (Mc
3,13-14; cfr Pastores dabo vobis, 60), e di Don Bosco con i primi salesiani,57 la
formazione deve avvenire in un ambiente di dialogo vocazionale, di convivenza quotidiana
e responsabilità condivisa.
La prima responsabilità ricade, evidentemente, sul chiamato, “protagonista
necessario e insostituibile della sua formazione, [che] in definitiva, è auto-formazione”.58
“Ogni salesiano assume la responsabilità della propria formazione” (Cost 99). È lui che
deve conoscere, accettare e assumere la propria vocazione e agire di conseguenza. E può
far ciò “prendendo come punto di riferimento la Regola di vita e coinvolgendosi
nell’esperienza quotidiana e nel cammino formativo della comunità... Una delle forme
concrete per esprimere la propria responsabilità nella formazione è avere il progetto
personale di vita”.59
Il salesiano deve trovare nella sua comunità l’ambiente naturale di crescita
vocazionale... La vita stessa della comunità, unita in Cristo e aperta ai bisogni dei tempi
è formativa” (Cost 99). Non basta, è evidente, che esista un certo grado di vita comune; la
comunità è ambiente di formazione quando riesce ad essere soggetto collettivo di
formazione, vale a dire, quando si organizza in modo tale da promuovere al suo interno
relazioni interpersonali più profonde, uno slancio apostolico corresponsabile, competenza
professionale e capacità pedagogica, una vita di preghiera stimolante, uno stile di vita
autenticamente evangelico, preoccupazione per la crescita vocazionale di ciascun fratello,
attraverso un progetto proprio e condiviso, l’apertura ai bisogni della Chiesa e dei
giovani, la sintonia con la Famiglia Salesiana. In particolare, la comunità valuta il suo
impegno quotidiano nella comunità educativo-pastorale considerandola come “uno
spazio privilegiato di autentica crescita e intensa formazione permanente”.60
“Prima che essere un luogo, uno spazio materiale”, le comunità dedicate
specificatamente alla formazione iniziale, devono essere “uno spazio spirituale, un
itinerario di vita, un’atmosfera che favorisce ed assicura un processo formativo”.61
Comunità educative in cammino62 si caratterizzano dal punto di vista pedagogico per la
qualità del loro progetto formativo, elaborato e condiviso da tutti,63 e assicurano le
condizioni ambientali che favoriscono la personalizzazione dell’esperienza formativa. Per
57 “Don Bosco educatore ha curato il rapporto personale, ma appare soprattutto come formatore di
un ambiente ricco di rapporti e di figure educative, di proposte e di stimoli (momenti, interventi,
ritmi, celebrazioni, ecc.), creatore di uno stile e di una pedagogia di vita, comunicatore di un
progetto da vivere insieme, animatore di una comunità con una chiara fisionomia e con punti di
riferimento stabiliti. La comunità di Valdocco, improntata al Sistema Preventivo, offre un
ambiente che accoglie, orienta, accompagna, stimola ed esige” (FSDB, 219).
58 GIOVANNI PAOLO II, Esortazione Apostolica Pastores dabo vobis, Roma 1992, 69. Cfr CIVCSVA,
Ripartire da Cristo, 46; CIVCSVA, Potissimum institutioni, Roma, 2 febbraio 1990, 29.
59 FSDB, 216. “In esso ciascun confratello delinea il tipo di salesiano che si sente chiamato ad
essere e il cammino per diventarlo, sempre in sintonia con i valori salesiani; periodicamente
verifica – in dialogo con il suo Direttore – il progresso nel raggiungimento del suo obiettivo”
(Ibidem).
60 FSDB, 221
61 Pastores dabo vobis, 42.
62 Cfr Pastores dabo vobis, 60. “In un clima di corresponsabilità, tutti si impegnano a vivere
insieme valori, obiettivi, esperienze e metodi formativi, programmando, verificando e adeguando
periodicamente la propria vita, il proprio lavoro e le esperienze apostoliche alle esigenze della
vocazione” (FSDB, 222).
63 “ Per stimolare l’apporto di tutti, essa favorisce il coinvolgimento nell’elaborazione del progetto
comunitario e della programmazione, il lavoro di gruppo, la revisione di vita e altre forme
articolate di incontro e di partecipazione. Ogni membro assume qualche servizio utile alla vita
della comunità e alla crescita della comunione” (FSDB, 223).
22

3.3 Page 23

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tradurre il progetto comune in prassi formativa quotidiana, creando un’atmosfera
adeguata, è “condizione indispensabile e punto strategico determinante” l’esistenza di
un’équipe consistente di formatori;64 l’efficacia dei loro interventi formativi dipenderà dal
fatto che si presentino e agiscano non tanto come accompagnatori isolati ma come
équipe che rappresenta la “mens” e la prassi formativa della Congregazione e che
condivide criteri di discernimento e una pedagogia di accompagnamento.
All’interno dell’équipe formativa, il direttore della comunità svolge un ruolo rilevante,
“ancora più impegnativo”65 se è direttore di una comunità formatrice, giacché è
responsabile di animare la “crescita vocazionale dei suoi confratelli”.66 Egli è
responsabile del processo formativo personale di ogni confratello. È anche il direttore
spirituale proposto, non imposto, ai confratelli in formazione”.67 “Padre, maestro e guida
spirituale” (Cost 50) della sua comunità, favorisce in essa un ambiente formativo
attraverso la creazione di un clima ricco di valori salesiani, umani e apostolici, la
mantiene in atteggiamento di risposta alla chiamata di Dio e in sintonia con la Chiesa e
la Congregazione, considera momento privilegiato il colloquio personale e la direzione
spirituale per la personalizzazione della vocazione, costituisce e incoraggia l’équipe di
formatori “facendo convergere l’impegno di tutti in un progetto comune in sintonia con il
progetto ispettoriale”.68
Colpisce, per la sua novità e urgenza, la presentazione della comunità ispettoriale
come “comunità formatrice ma anche comunità in formazione”: “È responsabilità prima
della comunità ispettoriale nell’ambito formativo promuovere l’identificazione dei
confratelli, specialmente di quanti sono in formazione iniziale, con la vocazione salesiana,
comunicandola vitalmente. Non è indifferente dunque che essa si mostri carica di forti
motivazioni o demotivata, fervorosa nell’azione o stanca. Il clima di preghiera e di
testimonianza, il senso di comune responsabilità e l’apertura al contesto e ai segni dei
tempi, il vivere con slancio spirituale e competenza i vari impegni della missione
salesiana, l’offerta di un ambiente che consegna quotidianamente criteri e stimoli di
fedeltà, la rete di rapporti cordiali e di collaborazione tra le comunità, tra i singoli
confratelli, tra i gruppi della Famiglia Salesiana e con i laici impegnati nella comunità:
tutti questi aspetti costituiscono l’ambiente ispettoriale per la formazione dei confratelli.
Questo clima permette ai confratelli in formazione di fare esperienza viva dell’identità
salesiana e di sentirsi sostenuti nel cammino vocazionale”.69
Questa missione formativa dell’Ispettoria “non è un puro stato d’animo, né solo un
fatto di buona volontà... [ma] è un principio che organizza la vita dell’Ispettoria e
coinvolge tutta la sua realtà; partendo dalle esigenze della coscienza vocazionale e della
corresponsabilità di tutti per la missione, si traduce in un progetto ispettoriale
formativo organico”.70
64 Cfr FSDB, 222. Cfr Ivi 234-239.
65 FSDB, 233.
66 FSDB, 231.
67 FSDB, 233. “È suo compito specifico accompagnare ogni confratello, aiutarlo a comprendere e
ad assumere la fase formativa che sta vivendo. Mantiene con lui un dialogo frequente e cordiale, si
sforza di conoscerne le qualità, sa fare proposte chiare ed esigenti e indicare mete adeguate,
sostiene e orienta nei momenti di difficoltà, verifica insieme il cammino formativo” (Ibidem).
68 FSDB, 233
69 FSDB, 227. È evidente che ciò che si persegue con queste indicazioni è creare un’atmosfera
nella quale si viva già ciò che si presenta come ideale nelle case di formazione, si traduca in realtà
ciò che si è promesso nella professione pubblica. La vita quotidiana dell’Ispettoria, la qualità della
sua vita consacrata e l’efficacia della sua missione apostolica, sono condizioni indispensabili per
la qualità formativa d’una Ispettoria, pur accettando la distanza che può esserci tra l’ideale
proposto e la realtà vissuta.
70 FSDB ,226
23

3.4 Page 24

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4º. Dare qualità formativa all’esperienza quotidiana
“Chiamato a vivere con impegno formativo qualunque situazione”, il salesiano “si
sforza di discernere negli eventi la voce dello Spirito, acquistando così la capacità
d’imparare dalla vita [e] attribuisce efficacia formativa alle sue attività ordinarie
(Cost 119). Infatti “l’esperienza quotidiana vissuta in chiave formativa ci avvicina alla
verità di noi stessi e ci offre occasioni e stimoli per rendere reale il nostro progetto di
vita”.71
Questa è stata la scuola di Gesù con i suoi discepoli, mentre condividevano la vita, la
stanchezza e il riposo, e mentre camminavano verso Gerusalemme. È stata educativa
anche l‘esperienza quotidiana di Don Bosco che attribuiva “valore educativo agli impegni
di ogni giorno, nel cortile e nella scuola, nella comunità e nella chiesa (cfr. Cost 40), alla
maniera di vedere e di leggere gli avvenimenti, di rispondere alla situazione dei giovani,
della Chiesa e della società”.72
Ciononostante e, questo è innegabile, la vita quotidiana non è formativa tout court;
devono esistere alcune condizioni perché possa diventare cammino concreto e
quotidiano di identificazione vocazionale:
la presenza tra i giovani: “L’incontro con i giovani è per il salesiano cammino
e scuola di formazione”; il contatto con i giovani e il loro mondo “lo rende
consapevole della necessità di competenza educativa e professionale, di
qualificazione pastorale, e di un aggiornamento costante”;73
la missione giovanile richiede di lavorare insieme, che risulta formativo
“quando viene accompagnato dalla riflessione e, più ancora, quando questa è
permeata da un atteggiamento di preghiera. Perciò, la comunità crea momenti
e spazi che favoriscono uno sguardo attento, una lettura più profonda, una
condivisione serena. E il salesiano è chiamato a confrontarsi con le proprie
motivazioni di fondo, con il proprio senso pastorale, con la coscienza della
propria identità”;74
la comunicazione reciproca, “scambio di doni e di esperienze per il mutuo
arricchimento delle persone e della comunità”. Essa richiede un
apprendimento. “Da parte di chi comunica, occorre superare una certa paura
o timidezza nell’esprimere i propri pensieri e sentimenti e avere il coraggio
della fiducia nell’altro. Da parte di chi riceve la comunicazione, ci vuole la
capacità di accoglierla con stima per la persona, senza giudicarla, e di
apprezzare la differenza di vedute”;75
i rapporti interpersonali favoriscono e rivelano il livello di maturazione di
una persona, indicando fino a che punto l’amore ha preso possesso della sua
vita e fino a che punto ha imparato ad esprimerlo”.76 Senza la capacità di
amare e senza la volontà di perdonare non sono possibili rapporti
autenticamente personali;
71 FSDB, 251
72 FSDB, 251
73 FSDB, 252
74 FSDB, 253
75 FSDB, 254.
76 FSDB, 255. “I rapporti disagevoli, le situazioni di conflitto non risanate opportunamente
attraverso la riconciliazione agiscono all’interno della persona bloccando il processo di
maturazione e creando delle difficoltà alla stessa donazione serena e gioiosa alla missione e a Dio”
(J. E. VECCHI, “Esperti, testimoni e artefici di comunione” ACG 363 [1998], p. 31).
24

3.5 Page 25

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il contesto socio-culturale incide sul modo di essere, sentire e valutare la
realtà e, di conseguenza, interpella la propria identità. Oltre a conoscere bene
la situazione attuale, bisogna saperla interpretare a partire da Dio, per dare
risposte che siano in consonanza con la nostra vocazione e missione: “La
capacità di «vedere» Dio nel mondo e di cogliere il suo richiamo attraverso le
urgenze dei momenti e dei luoghi è una legge fondamentale del cammino di
crescita salesiana”.77
5º. Qualificare l’accompagnamento formativo
La formazione richiede un accompagnamento, che, oltre ad essere “caratteristica
fondamentale della pedagogia salesiana”, è “condizione indispensabile” per la
personalizzazione e il discernimento. L’accompagnamento ha il fine di ”assicurare al
confratello la vicinanza, il confronto, l’orientamento e il sostegno adeguati in ogni
momento del percorso formativo e far in modo che egli sia disponibile e attivamente
responsabile nel cercare, accogliere e trarre vantaggio da questo servizio, tenendo
presente che esso può assumere molteplici forme e vari gradi di intensità. Non si limita al
dialogo individuale, ma è un insieme di relazioni, un ambiente e una pedagogia, propri
del Sistema preventivo: va dalla presenza vicina e fraterna che suscita fiducia e
familiarità, al cammino fatto a livello di gruppo, all’esperienza comunitaria; dagli incontri
brevi e occasionali al dialogo personale cercato frequente e sistematico; dal confronto su
aspetti esterni alla direzione spirituale e alla confessione sacramentale”.78
Oltre all’accompagnamento personale, appartiene allo stile salesiano
l’accompagnamento da parte dell’ambiente educativo, che risulta dai rapporti
interpersonali, dagli orientamenti dei responsabili, dal progetto comune condiviso.
L’accompagnamento comunitario svolge un ruolo molto importante nella
comunicazione vitale dei valori salesiani. Curarlo “significa assicurare la qualità
pedagogica e spirituale dell’esperienza comunitaria e la qualità dell’animazione e
dell’orientamento della comunità […] tende a costruire una comunità orientata con
chiarezza d’identità e pedagogicamente animata e un’esperienza comunitaria che
attraverso le molteplici quotidiane espressioni dello stile salesiano orienta, stimola e
sostiene. Costituisce un impegno per ogni ambiente formativo e specialmente per le
comunità troppo esigue o troppo numerose”.79
Perché “aiuti ognuno ad assumere e interiorizzare i contenuti dell’identità
vocazionale”, l’accompagnamento deve essere personalizzato; bisogna assicurare la
presenza e la dedizione di persone impegnate nella formazione, la loro competenza e
l’unità di criteri. Nella tradizione salesiana, l’accompagnamento personale si realizza con
diverse forme e persone:
Il direttore “ha responsabilità diretta verso ogni confratello e lo aiuta a
realizzare la sua personale vocazione” (Cost 55); durante la formazione iniziale il
direttore è “responsabile del processo formativo personale”. Svolge questo
servizio mediante il colloquio “elemento integrante della prassi formativa
salesiana, segno concreto di attenzione e cura della persona e della sua
esperienza”. Realizzato “una volta al mese” (Reg 79), nella formazione iniziale è
77 FSDB, 257.
78 FSDB, 258. “L’assenza di accompagnamento o un accompagnamento che non va in profondità o
è discontinuo possono mettere un’ipoteca seria su tutta l’azione formativa” (Ibidem).
79 FSDB, 259.
25

3.6 Page 26

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“una forma di orientamento spirituale che aiuta a personalizzare il percorso
formativo e a interiorizzarne i contenuti”.80
Un’altra forma di accompagnamento esplicitamente prevista dalla pedagogia
salesiana “è costituita dai momenti periodici di verifica personale (“scrutini”),
attraverso i quali il Consiglio della comunità aiuta il confratello a valutare la sua
situazione formativa personale, lo orienta e lo stimola concretamente nel
processo di maturazione”.81
La direzione spirituale, che “è un ministero di illuminazione, di sostegno e di
guida nel discernere la volontà di Dio per raggiungere la santità, motiva e
suscita l’impegno della persona, la stimola a serie opzioni in sintonia con il
Vangelo e la confronta con il progetto vocazionale salesiano”;82 secondo la
tradizione salesiana il direttore della comunità di formazione “è il direttore
spirituale proposto ai confratelli, pur rimanendo loro la libertà di scegliere un
altro direttore spirituale”.83
Il sacramento della riconciliazione nel quale “viene offerta a ciascun
confratello una direzione spirituale molto pratica e personalizzata, arricchita
dalla efficacia propria del sacramento. Il Confessore non solo assolve dai peccati
ma, riconciliando il penitente, lo incoraggia e stimola sulla via della fedeltà a Dio
e quindi anche nella prospettiva vocazionale specifica. Proprio per questa
ragione è bene che durante la formazione iniziale i confratelli abbiano un
confessore stabile e ordinariamente salesiano”.84
Esistono altre forme di accompagnamento personale, e altri responsabili, che aiutano
il confratello a integrare nella sua esperienza formativa l’esercizio educativo-pastorale e
l’impegno nella formazione intellettuale.85 “Condizione chiave per l’accompagnamento è
l’atteggiamento formativo del confratello in formazione iniziale”.86 Infine,
“l’accompagnamento formativo si colloca nell’ambito dell’animazione”:87 evita di imporre,
forzando, esperienze estranee a chi va crescendo e, al tempo stesso, di rinunciare a
consigliare, proporre o correggere.
6º. Prestare attenzione al discernimento
Il discernimento, spirituale e pastorale, è indispensabile ad ogni salesiano per vivere
la vocazione con fedeltà creativa e come risposta permanente. Questo è frutto – come vi
ho scritto tempo fa88 – dell’ascolto della Parola, docile e paziente. In essa possiamo
80 FSDB, 261
81 FSDB, 261
82 FSDB, 262
83 FSDB, 262.
84 FSDB, 263
85 Per l’interesse che riveste, vale la pena citare quanto viene richiesto agli altri formatori:
“disponibilità e dedizione; la consapevolezza di essere mediatori dell’azione del Signore, del
ministero della Chiesa, della mens della Congregazione. Inoltre sono indispensabili… un
atteggiamento spirituale e una prospettiva di fede, l’ottica della vocazione salesiana e quindi la
conoscenza dei criteri per discernerla e delle condizioni per viverla, una sensibilità pedagogica che
favorisca un clima di libertà e l’attenzione alla persona e al suo ritmo di maturazione, alcune
competenze specifiche riguardanti sia la dimensione umana sia la pedagogia spirituale” (FSDB,
264).
86 FSDB 265. “Sin dal prenoviziato egli è consapevole che il cammino vocazionale è in primo luogo
opera di Dio, che “si serve della mediazione umana” (VC 66); che la formazione salesiana è dialogo
sincero e corresponsabile con la comunità portatrice del carisma; che l’autoformazione non vuol
dire auto-sufficienza o cammino individuale” (Ibidem).
87 FSDB, 266.
88 Cfr P. CHÁVEZ, “Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna (Gv 6,69). Parola di Dio e
Vita salesiana, ACG 386 [2004], p. 37-38
26

3.7 Page 27

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trovare cosa Dio vuole oggi da noi e come lo vuole […] «Dalla frequentazione della Parola
di Dio [i discepoli del Signore] hanno tratto la luce necessaria per quel discernimento
individuale e comunitario che li ha aiutati a cercare nei segni dei tempi le vie del Signore.
Essi hanno così acquisito una sorta di istinto soprannaturale»89, quello sguardo di fede,
cioè, «senza il quale la propria vita perde gradatamente senso, il volto dei fratelli si fa
opaco ed è impossibile scoprirvi il volto di Cristo, gli avvenimenti della storia rimangono
ambigui quando non privi di speranza, la missione apostolica e caritativa decade in
attività dispersiva».90
Una comunità che “coltiva uno sguardo evangelico sulla realtà e cerca la volontà del
Signore in fraterno e paziente dialogo e con vivo senso di responsabilità” offre ai
confratelli il clima adeguato per esercitare in modo abituale un discernimento
comunitario, che “rafforza la convergenza e la comunione, sostiene l’unità spirituale,
stimola la ricerca di autenticità e il rinnovamento”.91
Nella formazione iniziale il discernimento è “un servizio al candidato e al carisma”.
Pertanto, ha un’importanza perché si tratta di verificare la certezza della chiamata, la
maturazione delle motivazioni, l’assimilazione dei valori, l’identificazione crescente con il
progetto di vita, in una parola, la idoneità vocazionale. “Le ammissioni sono [solo]
momenti di sintesi lungo questo processo. Il discernimento si compie in intima
collaborazione tra il candidato e la comunità locale e ispettoriale. L’esperienza formativa
parte da un presupposto fondamentale: la volontà di compiere insieme un processo di
discernimento con un atteggiamento di comunicazione aperta e di sincera
corresponsabilità, attenti alla voce dello Spirito e alle mediazioni concrete. Oggetto del
discernimento vocazionale sono i valori e gli atteggiamenti richiesti per vivere con
maturità, gioia e fedeltà la vocazione salesiana: le condizioni di idoneità, le motivazioni e
la retta intenzione”.92
“Punto chiave della metodologia formativa”, il discernimento rende effettivo l’impegno
e la collaborazione dei responsabili, “assicurando la conoscenza della sua natura e delle
sue caratteristiche, l’uso dei mezzi suggeriti e l’attenzione ai momenti specifici, e
soprattutto l’impegno costante e qualificato di tutti”, cominciando dal candidato, “primo
interessato a scoprire il progetto di Dio nei suoi riguardi”. Egli, pertanto, “coltiva
un’apertura costante alla voce di Dio e all’azione dei formatori, orienta la sua vita
secondo una prospettiva di fede, si confronta con i criteri vocazionali salesiani. Cerca di
conoscersi in verità, di farsi conoscere e di accettarsi, si avvale di tutte le mediazioni e dei
mezzi che l’esperienza formativa gli offre, in particolare dell’accompagnamento formativo
e del confronto fraterno, del colloquio con il Direttore, della direzione spirituale, del
sacramento della Penitenza, delle verifiche e del discernimento comunitario”.93
Oltre al candidato, nel processo di discernimento intervengono l’Ispettore e il suo
Consiglio, curando “l’unità dei criteri”, il direttore, valutando “il progresso fatto dal
candidato nel suo cammino vocazionale”, la comunità tutta, esprimendo il proprio parere
(Reg 81).94 Tutti i responsabili devono “assumere una prospettiva vocazionale e un
atteggiamento di fede, avere sensibilità pedagogica e curare alcune competenze
specifiche”,95 da una parte e, dall’altra, avere “come punto di riferimento l’identità
salesiana, i suoi elementi costitutivi, i requisiti e le condizioni per viverla; non è
89 Vita consecrata, 94
90 CIVCSVA, Ripartire da Cristo, 25.
91 FSDB, 268
92 FSDB, 269
93 FSDB, 270
94 FSDB, 270
95 FSDB, 271
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discernimento generico. Richiede quindi conoscenza e consonanza con i criteri indicati
dalla Congregazione, in primo luogo con il criterio di qualità carismatica, che mira a
porre le basi di un’esperienza vocazionale autentica e fedele, superando preoccupazioni
quantitative o funzionali, entusiasmi non fondati o impegni costruiti su idoneità fragili e
non provate. Chi interviene nel discernimento lo fa a nome della Congregazione,
responsabile del carisma”.96
Il discernimento implica che si conosca la gradualità del processo formativo e la
specificità di ogni tappa, tenendo presente l’unità della persona e la sua crescita. Ciò
nonostante, non si può consentire di iniziare tappe di formazione e assumere impegni
“per i quali l’interessato non è idoneo”; si deve evitare, altresì, di “protrarre situazioni
problematiche o di indecisione che non offrono prospettive serie di miglioramento”.97
Dal momento che il discernimento è un atteggiamento non solo di verifica personale,
ma, soprattutto, di ascolto della voce di Dio, che parla continuamente e in modo
particolare in alcune circostanze, non si riduce alla formazione iniziale e, al contrario,
accompagna tutta la vita del salesiano. Di fatto, “vi possono essere nella vita del
salesiano momenti in cui si sperimenta il bisogno di… una verifica più attenta del
proprio cammino, una revisione delle proprie scelte per una riaffermazione di esse o per
una nuova opzione vocazionale... È quanto mai necessario che il confratello si ponga in
un vero atteggiamento di discernimento spirituale, libero da pressioni interne ed esterne,
aperto al confronto ed evitando l’isolamento o le decisioni prese in solitudine, dandosi il
tempo necessario, accettando le opportunità e i mezzi che gli vengono offerti. Alla
comunità, attraverso i responsabili, corrisponde riconoscere, comprendere e
accompagnare il confratello con rispetto e stile fraterno, e sostenerlo opportunamente
con interventi ordinari e straordinari”.98
2.3 Formazione: priorità assoluta
In quanto sforzo di assimilazione dell’identità carismatica, la formazione “è un
impegno che dura tutta la vita”.99 “Se, infatti, la vita consacrata è in se stessa una
«progressiva assimilazione dei sentimenti di Cristo», sembra evidente che tale cammino
non potrà che durare tutta l'esistenza, per coinvolgere tutta la persona”.100 Finché non
viene ritirata la chiamata, viviamo in debito con Dio e con i nostri destinatari: proprio
perché “tutta la vita è vocazione, tutta la vita è formazione”.101
Sebbene sia vero che la formazione dura tutta la vita, i suoi obiettivi, e i cammini, non
sono sempre identici. La formazione iniziale, “segnata da intense esperienze spirituali
che portano a decisioni coraggiose”,102 mira all’identificazione carismatica del chiamato,
alla conoscenza e all’appropriazione personale della vocazione; dura un periodo di tempo
limitato e diviso in tappe, che permettono un processo graduale di assimilazione del
carisma e di donazione alla missione; “va dal primo orientamento verso la vita salesiana
all’approfondimento delle motivazioni, all’identificazione con il progetto salesiano da
96 FSDB, 272
97 FSDB, 321
98 FSDB, 276. Per l’accompagnamento dei confratelli in situazioni particolari, cfr L’Ispettore
Salesiano, Roma 1987, 390-395; Il Direttore Salesiano, Roma 1986, 268.
99 FSDB, 42
100 CIVCSVA, Ripartire da Cristo, 15. Cfr Vita consecrata, 65.
101 FSDB, 520
102 CIVCSVA, Ripartire da Cristo, 9.
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vivere in una Ispettoria concreta”103: più che tempo di attesa, è tempo di lavoro e santità
(cfr Cost 105).
La formazione permanente consiste, piuttosto, in “in uno sforzo costante di
conversione e di rinnovamento” (Cost 99), che ci libera per “imparare per tutta la vita, in
ogni età e stagione, in ogni ambiente e contesto umano, da ogni persona e da ogni
cultura, per lasciarsi istruire da qualsiasi frammento di verità e bellezza che trova
attorno a sé”. Ma soprattutto ci fa “imparare a farsi formare dalla vita di ogni giorno,
dalla sua propria comunità e dai suoi fratelli e sorelle, dalle cose di sempre, ordinarie e
straordinarie, dalla preghiera come dalla fatica apostolica, nella gioia e nella sofferenza,
fino al momento della morte […] Le persone in formazione continua si riappropriano del
tempo, non lo subiscono, lo accolgono come dono ed entrano con sapienza nei vari ritmi
(quotidiano, settimanale, mensile, annuale) della vita stessa, cercando la sintonia tra essi
e il ritmo fissato da Dio immutabile ed eterno, che segna i giorni, i secoli e il tempo”.104
In concreto, per noi salesiani la formazione permanente “è crescita nella maturità
umana, è conformazione a Cristo, è fedeltà a Don Bosco per rispondere alle esigenze
sempre nuove della condizione giovanile e popolare”.105 Il chiamato, impegnato attraverso
la professione perpetua a vivere identificato con la sua vocazione, rimane fedele a se stesso,
appoggiandosi sulla fedeltà di Dio e sull’amore per i giovani (cfr Cost 195).106
“Come per Don Bosco nei primi tempi, così oggi per la Congregazione e per ogni
salesiano l’identificazione con il carisma e l’impegno di fedeltà ad esso, cioè la
formazione, costituiscono una priorità assolutamente vitale”.107 Il cammino di
rinnovamento in cui stiamo impegnati, mentre andiamo verso la celebrazione del
bicentenario della nascita di Don Bosco, “dipende principalmente della formazione”108 di
ciascun salesiano. “Sentita come una spina” dal nostro CG24, la formazione, “parte
irrinunciabile della competenza educativa e della spiritualità del pastore”109, fu già
considerata dal mio predecessore, don Vecchi, “investimento prioritario”110: “Investire
vuol dire stabilire e mantenere delle priorità, assicurare le condizioni, operare secondo
un programma che metta al primo posto le persone, le comunità, la missione. Investire in
tempo, in personale, in iniziative, in risorse economiche per la formazione, è compito e
interesse di tutti.111
Preghiera conclusiva
Concludo questa lettera, che ritengo particolarmente importante perché dalla qualità
della formazione dei nuovi salesiani dipende in gran misura il futuro della
Congregazione, invocando a Maria. Ella è stata chiamata da Dio, formata dal Suo Spirito,
103 FSDB, 308.
104 CIVCSVA, Ripartire da Cristo, 15.
105 FSDB, 309
106 “Ci sarà novità di vita solo se la formazione permanente riuscirà ad essere il nuovo modo di
essere della vita consacrata, il nuovo modo di pensare dei consacrati. Se vogliamo che finisca lo
scandalo dei consacrati spenti e senza entusiasmo, rigidi e autosufficienti nelle loro certezze,
insensibili e freddi di fronte a qualsiasi stimolo, la formazione permanente è il cammino obbligato
per uscire da questa situazione”.
107 FSDB, 5
108 CIVCSVA, Ripartire da Cristo, 14. Cfr CIVCSVA, Direttive sulla formazione negli Istituti Religiosi,
Potissimun institutioni, Roma, 2 febbraio 1990, 1.
109 J. E. VECCHI, “ ‘Io per voi studio…’(C. 14) La preparazione adeguata dei confratelli e la qualità
del nostro lavoro educativo”, ACG 361 [1997)], p. 6.
110 J. E. VECCHI, ibidem p. 25. “Dobbiamo non solo gestire le crisi, ma seminare per il futuro” (ivi p.
35).
111 CG24, 248
29

3.10 Page 30

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e accompagnata da Giuseppe, prima, e da Gesù poi, sì da poter crescere nella fede e
restare fedele al progetto di Dio su di Lei. E proprio perché è stata fedele sino alla morte
di Gesù, suo Figlio sulla croce ce l’ha data come madre.
O Maria, Madre e Maestra di tutti i discepoli del tuo Figlio, noi guardiamo te e ti
contempliamo come la prima Consacrata, che ha saputo rispondere con cuore indiviso
e con una consegna incondizionata alla chiamata del Padre. Consapevole che solo Dio
rende possibile ciò che è umanamente impossibile, ti sei lasciata abitare e formare
dallo Spirito Santo per generare in te il Figlio di Dio.
Tu hai vissuto sino in fondo il tuo bellissimo mestiere d’essere la Madre del Figlio di
Dio, per cui dopo averlo generato, assieme a Giuseppe, lo hai educato in forma tale
che egli “cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini” (Lc 2,52). Da
vera madre hai saputo trasmettere a tuo Figlio gli atteggiamenti profondi e i grandi
valori che hanno animato e caratterizzato la tua vita: la ricerca continua della volontà
di Dio, l’accoglienza cordiale di essa pur quando non la capivi ma nel frattempo
facendone tesoro, il servizio agli altri, specialmente ai bisognosi.
Non fa meraviglia quindi vedere il tuo Figlio ritirarsi nella montagna e passare la notte
in preghiera, espressione suprema della sua fede e momento incomparabile per
conoscere ciò che il Padre voleva di Lui, farlo programma di vita e così “pur essendo
figlio imparò l’obbedienza… e, reso perfetto, divenne causa di salvezza per tutti coloro
che lo obbediscono” (cfr Eb 5,8-9) . Non sorprende che non avesse occupazione
migliore, né attenzione suprema, né cibo più nutriente se non quello di fare la Volontà
del Padre (Lc 2,49; Gv 4,34). Non stupisce infine che definisse la sua vita come un
servizio: “Il Figlio dell’uomo infatti non è venuto per essere servito ma per servire e
dare la propria vita in riscatto per molti” (Mc 10,45).
O Maria, tu hai vissuto la pienezza della carità. In Te si rispecchiano e si rinnovano
tutti gli aspetti del Vangelo, tutti i carismi della vita consacrata. Sostienici
nell'impegno quotidiano, così da farne una splendida testimonianza d'amore, secondo
l'invito di San Paolo: «Abbiate una condotta degna della vocazione a cui siete stati
chiamati!» (Ef 4,1).112
Tu che sei stata data a Don Bosco come madre e maestra, sin dal ‘sogno’ che diede
senso alla sua vita, e formasti in lui un cuore di padre e di maestro capace di una
dedizione totale, e gli indicasti il suo campo di azione tra i giovani, e costantemente lo
guidasti (cfr Cost 1.8), forma anche in noi un cuore pieno di passione per Dio e per i
giovani. A Te ci affidiamo, o Madre. Da Te impariamo ad essere figli di Dio e discepoli
del tuo Figlio, o Maestra. Amen.
Pascual Chávez V., sdb
112 Cfr Ripartire da Cristo, 46
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