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1. LETTERA DEL RETTOR MAGGIORE
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EDUCHIAMO CON IL CUORE DI DON BOSCO
«Lo Spirito del Signore è sopra di me, per questo mi ha consacrato con
l’unzione e mi ha mandato per annunciare ai poveri il lieto messaggio, per
proclamare ai prigionieri la liberazione, ai ciechi la vista; per rimettere in
libertà gli oppressi e predicare un anno di grazia del Signore» (Lc 4, 18-19)
1. Educare con il cuore di Don Bosco. 1.1. Vocazione e via di santificazione. 1.2.
Amore preveniente. 1.3. Linguaggio del cuore. 2. Curare lo sviluppo integrale dei
giovani. 2.1. Fiducia condivisa nell’educazione. 2.2. Ripartire dagli ultimi. 2.3. Una
nuova educazione. 2.3.1 Complessità e libertà. 2.3.2 Soggettività e verità. 2.3.3. Profitto
individuale e solidarietà. 2.4. Maturazione della fede dei giovani in questo contesto.
2.5. Risposta della Famiglia Salesiana. 2.5.1. Ritorno ai giovani con maggiore qualità.
2.5.2. Rilancio del “onesto cittadino”. 2.5.3. Rilancio del “buon cristiano”. 3. Promuovere i
diritti umani, in particolare quelli dei minori. 3.1.1 Diritti umani e dignità della
persona. 3.2. Missione salesiana e diritti dei ragazzi. 3.3. Proviamo a ridire gli stessi
concetti con il linguaggio dei diritti umani. 3.4. Educarci ed educare per la
trasformazione di ogni persona e di tutta la società: per lo sviluppo umano. 3.5. Un
testo che Don Bosco sarebbe pronto a sottoscrivere. A mo’ di conclusione.
Roma, 25 dicembre 2007
Solennità del Natale del Signore
Carissimi confratelli,
alla fine dell’anno 2007, che ci ha visti impegnati in favore della vita ad imitazione del
nostro Dio “amante della vita”, ed alla soglia del 2008, che si apre davanti a noi come
un “anno di grazia del Signore”, mi rivolgo a voi con il cuore di Don Bosco.
Dalla mia ultima lettera, nella quale vi ho presentato la Regione Africa – Madagascar,
ho vissuto un periodo molto intenso con le visite alle Ispettorie degli Stati Uniti e alla
Visitatoria del Canada, nel mese di settembre; alla Visitatoria Africa West in occasione
del 25° anniversario dell’arrivo dei Salesiani in Nigeria, ed a quelle dello Zambia e del
Mozambico, nel mese di ottobre; e infine all’Ispettoria del Medio Oriente, cui ha fatto
seguito il viaggio in Argentina, nel mese di novembre.
A questo si devono aggiungere eventi importanti e significativi, come l’invio della 138a
spedizione missionaria, a fine settembre, la beatificazione dei Martiri salesiani della
Spagna, il 28 ottobre, e quella di Zeffirino Namuncurá, l’11 novembre.
Queste due beatificazioni servono di inclusione a tutto il sessennio, iniziato appunto
con la beatificazione di tre santi della carità operativa (Sig. Artemide Zatti, Don Luigi
Variara e Sr Maria Romero), e sono un nuovo appello a dare alla nostra vita una
misura alta di vita cristiana, cui ci invitava Giovanni Paolo II all’apertura di questo
terzo millennio.

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Inoltre, mentre che i Martiri ci rimandano alla lettera sull’Eucaristia, perché non esiste
Eucaristia senza martirio e non esiste martirio senza Eucaristia, Zeffirino incarna la
santità frutto dell’azione dello Spirito e della pedagogia salesiana. Non c’è dubbio che i
missionari inviati da Don Bosco impararono a riprodurre l’esperienza spirituale e
pedagogica di Valdocco ed a maturare giovani santi. Penso che non ci sia uno stimolo
migliore per la nuova Strenna, che ora vi presento.
Come avete potuto vedere dal titolo e dai contenuti che vi ho anticipatamente fatti
conoscere, vorrei porre la mia attenzione non tanto sui destinatari dell’opera
educativa, ma direttamente su tutti gli educatori ed educatrici della nostra Famiglia,
che si sentono come Gesù consacrati e mandati dallo Spirito del Signore ad
evangelizzare, liberare dalle schiavitù, ridare la vista ed offrire un anno di grazia (cf.
Lc 4, 18-19) a coloro cui si rivolge l’opera educativa. La Strenna 2008 è dunque
indirizzata, in modo particolare, ai membri delle Comunità Educative Pastorali, alle
Comunità educanti, ai Consigli Pastorali, ecc. nella vasta area della Famiglia Salesiana.
Essa intende essere un appello a rafforzare la nostra identità di educatori, ad
illuminare la proposta educativa salesiana, ad approfondire il metodo educativo, a
chiarire il traguardo del nostro compito, a renderci consapevoli della ricaduta sociale
del fatto educativo.
Noi siamo stati chiamati precisamente a questa missione. Il testo del Vangelo di Luca,
che ho scelto per presentare la Strenna, definisce la nostra vocazione di educatori
nello stile di Don Bosco. Non a caso nelle Costituzioni dei Salesiani questi versetti sono
stati scelti come citazione biblica ispiratrice del “nostro servizio educativo pastorale”.
Gesù, all’inizio della sua vita pubblica, riconosce nel testo del profeta Isaia, letto nella
sinagoga di Nazaret, la sua missione messianica e afferma, davanti ai suoi
concittadini: «Oggi si è adempiuta questa scrittura, che voi avete udita con i vostri
orecchi» (Lc 4, 21).
Questo “oggi” di Gesù continua nella nostra missione educativa. Noi siamo stati
consacrati con l’unzione dello Spirito, mediante il Battesimo, e siamo stati inviati ai
giovani per annunciare la novità della vita che Cristo ci offre, per promuoverla e per
svilupparla attraverso un’educazione che liberi i giovani e i poveri da ogni forma di
oppressione ed emarginazione. Tali situazioni di emarginazione impediscono loro di
cercare la verità, di aprirsi alla speranza, di vivere con senso e con gioia, di costruire
la propria libertà.
La Strenna del 2008 si pone in continuità con le Strenne degli ultimi due anni. La vita
è il grande dono che Dio ci ha affidato come un “seme”, perché collaboriamo con Lui a
farlo crescere e fruttificare in abbondanza. Il seme ha bisogno di “cadere in un terreno
buono”, nel quale possa germinare e portare frutto; questo terreno è la famiglia, culla
della vita e dell’amore, luogo primario di umanizzazione. Essa accoglie con gioia e
gratitudine il dono della vita e offre l’ambiente naturale propizio per la sua crescita e il
suo sviluppo. Ma, come avviene per il seme, non basta un buon terreno; si richiedono
gli sforzi pazienti e laboriosi dell’agricoltore che lo irriga, lo cura, lo aiuta a crescere.
L’agricoltore che aiuta la vita a svilupparsi è l’educatore. Al riguardo così diceva Don
Bosco: «Siccome non vi è terreno ingrato e sterile che per mezzo di una lunga
pazienza non si possa finalmente ridurre a frutto, così è dell’uomo; vera terra morale,
la quale per quanto sterile e restia, produce non di meno presto o tardi pensieri onesti
e poi atti virtuosi, quando un direttore (un educatore) con ardenti preghiere aggiunge
i suoi sforzi alla mano di Dio nel coltivarla e renderla feconda e bella» (MB V, 367).
Ritengo opportuno ripetere qui ciò che ho già detto in altra occasione. La Strenna di
quest’anno non intende proporre un tema nuovo, come se quelli degli anni precedenti
fossero definitivamente conclusi o accantonati. Sono convinto che il lavoro educativo
pastorale non può essere compreso e svolto episodicamente, quasi fosse un fuoco
2

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d’artificio; esso è come un lavoro di agricoltura, che richiede tempi lunghi, interventi
mirati, cura attenta, e soprattutto grande dedizione ed amore. In questo caso si tratta
dell’agricoltura migliore: la cultura, vale a dire la coltivazione dell’uomo e della donna.
In tal modo il tema scelto quest’anno si trova appunto in continuità con quello della
famiglia e della vita.
Ecco dunque la Strenna del 2008:
Educhiamo con il cuore di Don Bosco
per lo sviluppo integrale della vita dei giovani,
soprattutto i più poveri e svantaggiati,
promuovendo i loro diritti.
All’inizio del commento a questo programma spirituale e pastorale annuale, che è la
Strenna, vi ricordo l’appello significativo del P. Duvallet, per vent’anni collaboratore
dell’Abbé Pierre nell’apostolato di rieducazione dei giovani, rivolto a noi salesiani: «Voi
avete opere, collegi, oratori per i giovani, ma non avete che un solo tesoro: la
pedagogia di Don Bosco. In un mondo in cui i ragazzi sono traditi, disseccati, triturati,
strumentalizzati, il Signore vi ha affidato una pedagogia in cui trionfa il rispetto del
ragazzo, della sua grandezza e della sua fragilità, della sua dignità di figlio di Dio.
Conservatela, rinnovatela, ringiovanitela, arricchitela di tutte le scoperte moderne,
adattatela a queste creature del ventesimo secolo e ai loro drammi, che Don Bosco
non poté conoscere. Ma, per carità, conservatela! Cambiate tutto, perdete, se è il
caso, le vostre case, ma conservate questo tesoro, costruendo in migliaia di cuori la
maniera di amare e di salvare i ragazzi, che è l’eredità di Don Bosco».1
Difficilmente potremmo trovare un pressante appello migliore di questo. Consapevoli
della grandezza della nostra vocazione di educatori e del dono che abbiamo ricevuto
nella pedagogia di Don Bosco, vera “pedagogia del cuore”, vogliamo impegnarci a far
diventare realtà oggi le parole profetiche di questa testimonianza eloquente.
In concreto la Strenna vuol mettere a fuoco:
il tema della pedagogia salesiana e del Sistema Preventivo, come risposta al
bisogno di approfondimento e di formazione di noi educatori, per non
disperderne la ricchezza;
il valido contributo che possiamo offrire, attraverso l’educazione, per affrontare
le immani sfide della vita e della famiglia;
la promozione dei diritti umani, in particolare i diritti dei minori, come via per
l’inserimento positivo del nostro impegno educativo in tutte le culture.
1. Educare con il cuore di Don Bosco
Educare con il cuore di Don Bosco significa, per l’educatore, coltivare prima e far
sgorgare poi dall’interno del proprio cuore “ragione, religione, amorevolezza”, facendo
dell’amorevolezza la punta di diamante, l’attuazione pratica di quanto religione e
ragione propongono. Si tratta di vivere il Sistema Preventivo, che è una carità che sa
farsi amare (cf. Cost. SDB 20), con una rinnovata presenza tra i giovani, fatta di
vicinanza affettiva ed effettiva, di partecipazione, accompagnamento e animazione, di
testimonianza e proposta vocazionale, nello stile dell’assistenza salesiana. Occorre una
rinnovata scelta, soprattutto a favore dei giovani più poveri e a rischio, individuando le
loro situazioni di disagio visibile o nascosto, scommettendo sulle risorse positive di
1 AA.VV. “Il Sistema educativo di Don Bosco tra pedagogia antica e nuova”, Atti del Convegno Europeo
Salesiano sul sistema educativo di Don Bosco, LDC Torino 1974, p. 314
3

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ogni giovane, anche il più logorato dalla vita, impegnandosi totalmente per la loro
educazione.
“L’amore di Don Bosco per questi giovani era fatto di gesti concreti e opportuni. Egli si
interessava di tutta la loro vita, riconoscendone i bisogni più urgenti e intuendo quelli
più nascosti. Affermare che il suo cuore era donato interamente ai giovani, significa
dire che tutta la sua persona, intelligenza, cuore, volontà, forza fisica, tutto il suo
essere era orientato a fare loro del bene, a promuoverne la crescita integrale, a
desiderarne la salvezza eterna. Essere uomo di cuore, per Don Bosco, significava
quindi essere tutto consacrato al bene dei suoi giovani e donare loro tutte le proprie
energie, fin l’ultimo respiro!”2
Per comprendere la rinomata espressione di Don Bosco “l’educazione è cosa di cuore e
Dio solo ne è il padrone” (MB XVI, 447)3 e per capire quindi il Sistema Preventivo, mi
sembra importante sentire uno dei più riconosciuti esperti del Santo educatore: “La
pedagogia di Don Bosco s’identifica con tutta la sua azione; e tutta l’azione con la sua
personalità; e tutto Don Bosco è raccolto, in definitiva, nel suo cuore”.4 Ecco la sua
grandezza ed il segreto del suo successo come educatore: Don Bosco ha saputo
armonizzare autorità e dolcezza, amore di Dio e amore dei giovani.
1.1. Vocazione e via di santificazione
Non c’è dubbio che quello che spiega la capacità dell’educazione salesiana di
attraversare i tempi, di inculturarsi nei contesti più variegati e di rispondere ai bisogni
e alle attese sempre nuove dei giovani è l’originale santità di Don Bosco.
Una felice combinazione di doni personali e circostanze portarono Don Bosco a
diventare “Padre, Maestro e Amico della gioventù”, come nel 1988 lo proclamò
Giovanni Paolo II: il suo talento innato per avvicinare i giovani e guadagnare la loro
fiducia, il ministero sacerdotale che gli diede una conoscenza profonda del cuore
umano e una esperienza dell'efficacia della grazia nello sviluppo del ragazzo, un genio
pratico capace di realizzare le intuizioni in forme semplici, la lunga permanenza tra i
giovani che gli consentì di portare le ispirazioni iniziali a pieno sviluppo.
Alla radice di tutto c’è una vocazione. Per Don Bosco il servizio ai giovani fu la
risposta generosa ad una chiamata del Signore. La fusione tra santità ed educazione,
per ciò che riguarda impegni, ascesi, espressione dell’amore, costituisce il tratto
originale della sua figura. Egli è un santo educatore e un educatore santo.
Da questa fusione trasse origine un “sistema”, cioè un insieme di intuizioni e di
realizzazioni pratiche, che può essere esposto in un trattato, raccontato in un film,
cantato in un poema o rappresentato in un musical. Si tratta di un’avventura che ha
coinvolto appassionatamente i collaboratori e ha fatto sognare i giovani.
Assunto dai suoi discepoli, per i quali l'educazione è pure una vocazione, tale sistema
è stato portato in una grande varietà di contesti culturali e tradotto in proposte
educative diverse, conformemente alle situazioni dei giovani che ne erano destinatari.
Quando rivisitiamo la vicenda personale di Don Bosco o la storia di qualcuna delle sue
opere, sorgono spontanee alcune domande: E oggi? Quanto le sue intuizioni reggono
ancora? Quanto le soluzioni pratiche da lui messe in atto possono aiutare a risolvere
difficoltà che per noi sono quasi insuperabili: il dialogo tra le generazioni, la possibilità
di comunicare valori, la trasmissione di una visione della realtà, ecc.?
2 P. RUFFINATO, Educhiamo con il cuore di don Bosco, in “Note di Pastorale Giovanile”, n. 6/2007, p. 9.
3 Cf. G. BOSCO, Dei castighi da infliggersi nelle case salesiane, in P. BRAIDO, Don Bosco educatore.
Scritti e testimonianze, LAS, Roma 1992, p. 340.
4 Cf. P. BRAIDO, Prevenire non reprimere. Il sistema educativo di Don Bosco, LAS, Roma 1999, p. 181.
4

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Non mi fermo ad elencare le differenze che intercorrono fra il tempo di Don Bosco e il
nostro. Se ne trovano – e non sono certamente piccole – in tutti i campi: nella
condizione giovanile, nella famiglia, nel costume, nella maniera di pensare
l’educazione, nella vita sociale, nella stessa pratica religiosa. Se risulta già difficile
comprendere un’esperienza del passato ai fini della fedele ricostruzione storica, tanto
più arduo è riviverla e ritradurla in pratica in un contesto radicalmente diverso.
Eppure abbiamo la convinzione che quello che è avvenuto con Don Bosco sia un
momento di grazia, pieno di virtualità; che contenga ispirazioni che genitori ed
educatori possono interpretare nel presente; che ci siano suggestioni gravide di
sviluppo, quasi germogli che attendono di sbocciare.5
1.2. Amore preveniente
Uno dei messaggi da raccogliere riguarda certamente la prevenzione, la sua
urgenza, i suoi vantaggi, la sua portata e quindi le responsabilità coinvolte. Oggi essa
si va imponendo con dati sempre più chiari e allarmanti, ma assumerla come principio
ed attuarla efficacemente non è scontato nell’evoluzione attuale delle nostre società.
Purtroppo questa non è la cultura prevalente. Anzi!
Eppure la prevenzione costa di meno e rende di più del solo contenimento della
devianza e del recupero tardivo. Consente infatti alla maggioranza dei giovani di
essere liberi dal peso delle esperienze negative, che mettono a repentaglio la salute
fisica, la maturazione psicologica, lo sviluppo delle potenzialità, la felicità eterna.
Consente pure loro di sprigionare le migliori energie, di approfittare al meglio dei
percorsi più sostanziosi dell’educazione, di recuperarne altri nei primi passi di un
eventuale cedimento. Fu questa la conclusione di Don Bosco, dopo l'esperienza con i
ragazzi del carcere e il contatto con la manovalanza giovanile di Torino.
La prevenzione, da azione quasi poliziesca tendente a custodire l’ordine della società,
divenne per lui qualità intrinseca e fondamentale dell’educazione. Essa era preventiva
per la tempestività, ma anche per i contenuti e per le modalità. Doveva anticipare il
sorgere di situazioni e di abitudini negative, materiali o spirituali; doveva
contemporaneamente moltiplicare le iniziative che orientano le risorse ancora sane
della persona verso progetti allettanti e validi. Egli era convinto che il cuore dei
giovani, di ogni giovane, è buono, che persino nei ragazzi più disgraziati ci sono semi
di bene e che compito di un saggio educatore è di scoprirli e svilupparli. Bisognava
dunque creare una situazione generale positiva circa l’ambiente di famiglia, gli amici,
le proposte, le conoscenze, che stimolasse la consapevolezza di sé, allargasse la
conoscenza del mondo reale, desse il senso della vita e il gusto del bene.
Basterebbe pensare alla storia di Michele Magone, il “generale della ricreazione” alla
stazione di Carmagnola, al quale Don Bosco offre prima la sua amicizia, quindi un
microclima educativo nell’Oratorio di Valdocco, poi la sua guida competente (“Caro
Magone, io avrei bisogno che mi facessi un piacere, … che tu mi lasciassi un momento
padrone del tuo cuore”), sino a fargli trovare in Dio il senso della vita e la sorgente
della vera felicità (“Oh quanto mai io sono felice!”) e a farlo diventare un modello per i
giovani di ieri e di oggi.
Uno dei problemi delle nostre società oggi è l’insufficienza del servizio educativo. Non
arriva a tutti, perde molti per strada, non raggiunge i soggetti secondo la loro
situazione. Ne soffrono coloro che partono svantaggiati o non riescono a tenere il
passo. Per contenere questo fenomeno attraverso un’azione molteplice di prevenzione
5 Cf. P. BRAIDO, Prevenire non reprimere. Il sistema educativo di don Bosco, LAS, Roma 1999, p. 391.
5

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e rendere adeguata l'educazione, ci vuole la responsabilità corale e sinergica da parte
delle famiglie, degli organismi politici, delle forze sociali, delle agenzie deputate
all’educazione, delle comunità ecclesiali e degli sforzi individuali.
L’educazione, soprattutto dei ragazzi svantaggiati, più che problema di occupazione e
qualificazione professionale, è principalmente questione di vocazione. Don Bosco fu un
carismatico e un pioniere. Oltrepassò legislazioni e prassi. Creò tutto ciò che è legato
al suo nome, spinto da uno spiccato senso sociale, ma attraverso una iniziativa
autonoma, frutto di una vocazione. E forse oggi l’esigenza non è diversa: mettere a
frutto le energie disponibili, favorire le vocazioni educative e appoggiare progetti di
servizio.
L’efficacia preventiva dell’educazione risiede nella sua qualità. La complessità della
società, la molteplicità di visioni e di messaggi che vengono offerti, la separazione dei
diversi ambiti in cui si svolge la vita, hanno comportato rischi anche per l’educazione.
Uno di questi è la frammentazione dei contenuti che si offrono e della modalità con cui
si ricevono. Viviamo di pillole anche mentali. Lo slogan è il modello dei messaggi.
Un altro rischio è la selezione di proposte, secondo le proprie preferenze individuali: si
tratta del soggettivismo. L’optional è passato dal mercato alla vita. Sono conosciute
da tutti le polarità difficili da conciliare: profitto individuale e solidarietà, amore e
sessualità, visione temporale e senso di Dio, eccesso di informazioni e difficoltà di
valutazione, diritti e doveri, libertà e coscienza.
Fu criterio di Don Bosco sviluppare quanto il giovane si porta dentro come spinta o
desiderio positivo, mettendolo a contatto anche con un patrimonio culturale fatto di
visioni, costumi, credenze, offrendogli la possibilità di un’esperienza profonda di fede,
inserendolo in una realtà sociale della quale si sentisse parte attiva attraverso il
lavoro, la corresponsabilità nel bene comune, l’impegno per una convivenza pacifica.
Egli espresse ciò in formule semplici, che i giovani potevano capire ed assumere:
“buoni cristiani e onesti cittadini”, “sanità, sapienza, santità”, “ragione e fede”.
I vantaggi personali acquisiti attraverso l’educazione erano finalizzati alla loro
valorizzazione sociale in forma solidale e critica; il vivere con onesta prosperità in
questo mondo era collegato con la dimensione spirituale, trascendente, cristiana;
l’istruzione e la preparazione professionale erano uniti a una visione cristiana della
realtà, alla formazione della coscienza, all’apertura verso i rapporti umani.
Per non cadere nel massimalismo utopico, Don Bosco cominciava da dove era
possibile, secondo le condizioni del giovane e la situazione dell’educatore. Nel suo
oratorio si giocava, si era accolti, si creavano rapporti, si riceveva istruzione religiosa,
si alfabetizzava, si imparava a lavorare, si davano norme di comportamento civile, si
rifletteva sul diritto del lavoro artigianale e si cercava di migliorarlo.
Oggi ci può essere un’istruzione che non prende in considerazione i problemi della
vita. È una lamentela ricorrente dei giovani. Ci può essere preparazione professionale
che non ne assume la dimensione etica o culturale. Ci può essere un’educazione
umana chiusa nell'immediato, che non affronta gli interrogativi dell’esistenza.
Se la vita e la società sono diventate complesse, il soggetto a una sola dimensione,
senza mappa e senza bussola, è destinato a smarrirsi o diventare dipendente. La
formazione della mente, della coscienza e del cuore è più che mai necessaria.
Un “punctum dolens” dell'educazione oggi è la comunicazione: tra le generazioni per
la velocità dei cambiamenti, tra le persone per l'allentamento dei rapporti, tra le
istituzioni e i loro destinatari per la diversa percezione delle rispettive finalità. La
comunicazione, si dice, è confusa, disturbata, esposta all’ambiguità per l’eccessivo
rumore, per la molteplicità dei messaggi, per la mancanza di sintonia tra emittente e
6

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ricevente. Ne derivano incomprensioni, silenzi, ascolto limitato e selettivo realizzato
come “zapping”, patti di non aggressione per maggiore tranquillità. Così è difficile
consigliare atteggiamenti, raccomandare comportamenti, trasmettere valori.
1.3. Linguaggio del cuore
Anche il linguaggio del cuore è cambiato non poco dai tempi di Don Bosco. Eppure da
lui vengono indicazioni che nella loro semplicità sono vincenti, se si trova la maniera di
renderle operative. Una di tali indicazioni è: "amateli i ragazzi". “Si otterrà di più –
leggiamo nella cosiddetta “Lettera sui castighi” – con uno sguardo di carità, con una
parola di incoraggiamento che con molti rimproveri" (MB XVI, 444).6
Amarli vuol dire accettarli come sono, spendere tempo con loro, manifestare voglia e
piacere di condividere i loro gusti e i loro temi, dimostrare fiducia nelle loro capacità, e
anche tollerare quello che è passeggero e occasionale, perdonare silenziosamente
quello che è involontario, frutto di spontaneità o immaturità. Era questo il pensiero di
Don Bosco: "Tutti i giovani hanno i loro giorni pericolosi, e voi anche li avete. Guai se
non ci studieremo di aiutarli a passarli in fretta e senza rimprovero" (MB XVI, 445).7
C’è una parola, non molto usata oggi, che i salesiani conservano gelosamente perché
sintetizza quanto Don Bosco acquisì e consigliò sul rapporto educativo:
l’amorevolezza. La sua sorgente è la carità, come la presenta il Vangelo, per cui
l’educatore scorge il progetto di Dio nella vita di ogni giovane e lo aiuta a prenderne
coscienza ed a realizzarlo con lo stesso amore liberante e magnanimo con cui Dio l'ha
concepito. Amorevolezza è amore percepito ed espresso.
L’amorevolezza genera un affetto che viene manifestato a misura del ragazzo,
particolarmente di quello più povero; è l’approccio fiducioso, il primo passo e la prima
parola, la stima dimostrata attraverso gesti comprensibili, che favoriscono la
confidenza, infondono sicurezza interiore, suggeriscono e sostengono la voglia di
impegnarsi e lo sforzo di superare le difficoltà.
Va maturando così, non senza difficoltà, un rapporto sul quale conviene portare
l’attenzione quando si prospetta una traduzione delle intuizioni di Don Bosco nel
nostro contesto. È un rapporto segnato dall'amicizia, che cresce fino alla paternità.
L’amicizia va aumentando con i gesti di familiarità e di essi si nutre. A sua volta fa
nascere la confidenza. E la confidenza è tutto nell’educazione, perché soltanto nel
momento in cui il giovane ci apre le porte del suo cuore e ci affida i suoi segreti è
possibile interagire. L'amicizia ha per noi una manifestazione molto concreta:
l’assistenza.
Non è possibile comprendere la portata dell’assistenza salesiana dal significato che il
dizionario o il linguaggio attuale danno alla parola. È un termine coniato all'interno di
un’esperienza e riempito di significati e applicazioni originali. Essa comporta un
desiderio di stare con i ragazzi: "Qui con voi mi trovo bene". È presenza fisica lì dove i
ragazzi si intrattengono, scambiano esperienze o progettano; e, allo stesso tempo, è
forza morale con capacità di comprensione, risveglio e incoraggiamento; è anche
orientamento e consiglio secondo il bisogno dei singoli.
6 Cf. G. BOSCO, Dei castighi da infliggersi nelle case salesiane, in P. BRAIDO, Don Bosco educatore.
Scritti e testimonianze, LAS, Roma 1992, p. 335.
7 Cf. G. BOSCO, Dei castighi da infliggersi nelle case salesiane, in P. BRAIDO, Don Bosco educatore.
Scritti e testimonianze, LAS, Roma 1992, p. 336.
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L'assistenza raggiunge il livello della paternità educativa, che è più dell'amicizia. È una
responsabilità affettuosa ed autorevole che offre guida e insegnamento vitale ed esige
disciplina ed impegno. La paternità educativa è amore ed autorevolezza.
Essa si manifesta soprattutto nel "saper parlare al cuore" in maniera personale,
perché in tal modo si raggiunge ciò che occupa la mente dei ragazzi, si svela la
portata degli avvenimenti della loro vita, si fa loro comprendere il valore dei
comportamenti e dei sentimenti, toccando la profondità della coscienza.
Non parlare molto, ma in modo diretto; non in forma agitata, ma chiara. Ci sono nella
pedagogia di Don Bosco due esempi di questo modo di parlare: “la buona notte”,
quella parola rivolta a tutti che alla fine della giornata dava il senso di ciò che si era
vissuto, e “la parolina all’orecchio”, quella parola personale che veniva lasciata cadere
in momenti informali di ricreazione. Sono due momenti carichi di emotività, che
riguardano sempre eventi concreti e immediati e che consegnano una sapienza
quotidiana per affrontarli; insomma aiutano a vivere e insegnano l'arte di vivere.
Amicizia, assistenza e paternità creano il clima di famiglia, dove i valori diventano
comprensibili e le esigenze accettabili. Così si traccia il confine tra l'autoritarismo, che
rischia di non influire pur ottenendo risultati formali, e l'assenza di proposte; tra
l’invadenza, che non lascia spazio al libero esprimersi, e la latitanza educativa, che
non si impegna nel trasmettere valori; tra il cameratismo e la responsabilità
dell'adulto.
Le manifestazioni della paternità di Don Bosco hanno avuto luogo in un contesto
marcato dal carattere esemplare della famiglia patriarcale. I suoi ruoli servivano come
punto di riferimento per tutti i tipi di autorità: civili, imprenditoriali, educativi. Tutto
allora era "familiare": l'educazione, l'impresa, l'economia. Era un assioma indiscusso
che l’educatore dovesse assumere una "fisionomia paterna".
Anche per noi la paternità ha un significato ancora insostituibile: è un amore che dà la
vita e si fa responsabile del suo sviluppo, vuole bene di cuore, parla opportunamente,
attende la maturazione, consente l’autonomia, accoglie con gioia il ritorno.
Prevenzione, proposta, rapporto si congiungono negli ambienti "giovanili". I ragazzi
hanno bisogno di esprimere la loro vitalità, quello che internamente vanno sentendo,
accettando ed elaborando. I giovani debbono provarsi nella responsabilità, nella
realizzazione dei valori che enunciano, nella solidarietà, nell’autogestione.
Per un educatore salesiano il “luogo educativo” della conoscenza del giovane non è
principalmente il test psicologico, ma il cortile, lì dove egli si esprime
spontaneamente. L'incontro educativo non è principalmente quello formale, ma quello
spontaneo. Il cammino di crescita del giovane sta certamente nel rispetto delle norme
e nella docilità all’educatore, ma molto di più esso si trova nella capacità di
partecipare con gioia alle iniziative e alla vita che si creano nel gruppo, nella
cooperativa, nella comunità giovanile, dove gli educatori hanno il non facile compito di
motivare, spingere ed incoraggiare, aprire spazi, favorire la creatività.
Le opere, che anche oggi si rifanno a Don Bosco, presentano le caratteristiche che egli
diede ai suoi ambienti. Esse cercano di rispondere alle necessità dei giovani con un
programma concreto e potenzialmente integrale: insegnamento, alloggio, educazione
al lavoro, tempo libero. Aggregano anche gli adulti, specialmente se appartengono ai
settori popolari o sono interessati ad aiutare i giovani. Sono "aperte" e non esclusive.
Lavorano in rete, in collegamento con le istituzioni, il territorio, il popolo e le autorità.
Oggi si sente l'urgenza di "spazi” per i giovani: piccoli, medi e grandi. Valga l'esempio
delle discoteche e dei gruppi. C’è in agguato il male della solitudine, che è all’origine di
molte devianze. L'analisi educativa ha colto nel segno quando, senza rigidità, ha fatto
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1.9 Page 9

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una distinzione tra luoghi istituzionali, organizzati per finalità precise, e luoghi vitali,
aperti all’espressione spontanea, alla ricerca di senso, ai progetti, alla creatività:
luoghi dell’obbligo e luoghi di propria scelta; luoghi imposti e luoghi della vita. Lo
spazio ideato da Don Bosco è una sintesi dei due: così nel fluire della vita quotidiana si
superano le dicotomie in cui si dibatte l’educazione.
2. Curare lo sviluppo integrale dei giovani
Di fronte alla situazione dei giovani Don Bosco fa la scelta dell’educazione. È un tipo di
educazione che previene il male attraverso la fiducia nel bene che esiste nel cuore di
ogni giovane, che sviluppa le sue potenzialità con perseveranza e con pazienza, che
ricostruisce l’identità personale di ciascuno. Essa forma persone solidali, cittadini attivi
e responsabili, persone aperte ai valori della vita e della fede, uomini e donne capaci
di vivere con senso, gioia, responsabilità e competenza. È un’educazione che diviene
una vera esperienza spirituale, che attinge alla “carità di Dio che previene ogni
creatura con la sua Provvidenza, l’accompagna con la sua presenza e la salva donando
la vita” (Cost. SDB 20). Tradurre nell’oggi questa scelta di Don Bosco richiede di
assumere alcune opzioni fondamentali.
2.1. Fiducia condivisa nell’educazione
La nostra epoca mostra di aver fiducia nell'educazione; per questo si impegna per
estenderla a tutti. Cerca di adeguarla costantemente alle sfide che sorgono nel campo
del lavoro, delle conoscenze e dell'organizzazione sociale. L'affida sempre di più a
istituzioni specializzate. La centra sulla comunicazione culturale, l'informazione
scientifica e la preparazione professionale. La responsabilità su di essa appare sempre
più distribuita, condivisa tra famiglia, istituzioni sociali e stato.
Così l'educazione è diventata fenomeno sociale, diritto riconosciuto e aspirazione di
ogni persona. Le questioni che la riguardano sono diventate problemi di tutti.
Interessano i ceti dirigenti ed imprenditoriali, il cittadino comune, l'opinione pubblica.
In sostanza si tratta del riconoscimento del valore unico e della centralità della
persona nell'evolvere delle culture, della vita sociale e degli stessi processi di
produzione.
Da parte della Chiesa la preoccupazione non è stata minore ed essa non ha lasciato
mancare di offrire orientamenti anche in questo campo. Il suo intervento
nell’educazione appare determinante in molti contesti, sia quanto all’estensione che
alla qualità. L'intrinseco rapporto che esiste tra evangelizzazione ed educazione porta
la Chiesa ad assumere quest'ultima non come un impegno opzionale, ma come il
cuore stesso della sua missione; essa si sente e vuole essere educatrice dell’uomo.
L'espressione più cospicua di tale impegno sono i santi educatori, che hanno fatto del
compito educativo l’espressione della scelta preferenziale di Dio, l'esercizio quotidiano
dell'amore all'uomo e la via della propria santificazione. E dietro di loro gli istituti e i
movimenti ecclesiali per i quali l'educazione costituisce una missione e uno stile.
Don Bosco e la Famiglia Salesiana si trovano tra questi movimenti ecclesiali ispirati da
un santo educatore. Essi intendono rispondere alle aspirazioni profonde delle persone,
particolarmente le più povere, inserirsi nell'attuale situazione storica ed assumere
l'invito per una nuova evangelizzazione.
2.2. Ripartire dagli ultimi
9

1.10 Page 10

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Nonostante questa fiducia generalizzata nell’educazione, abbiamo però l'impressione
che nei suoi riguardi ci sia una distanza tra aspirazioni e possibilità, tra dichiarazioni e
adempimenti, tra intenzioni e realizzazioni, tra diritto riconosciuto e diritto garantito.
Ciò si avverte maggiormente in alcuni contesti.
La prima invocazione da raccogliere è dunque quella che si solleva dove mancano i
servizi minimi e le condizioni indispensabili per l’educazione. Agli inizi del terzo
millennio il deserto educativo, come quello geografico, non si riduce ma si estende.
Le possibilità di educazione si riducono drammaticamente in vaste aree del mondo, sia
in assoluto che relativamente all'aumento della popolazione. I conflitti interni, il crollo
dei servizi, le amministrazioni dissestate e voraci, il degrado sociale e politico causano
un sottosviluppo progressivo, la cui prima vittima è la gioventù.
Le possibilità di educazione si contraggono però anche nelle società avanzate.
L'insufficienza si manifesta nella dispersione scolastica, nella mancanza di sostegno
familiare, nelle molteplici forme di devianza, nella disoccupazione giovanile, nella
manovalanza precoce spesso legata alla criminalità.
Da queste realtà si innalza una forte invocazione. C'è bisogno di condividere i beni
fondamentali dell'educazione, di ridistribuire attenzione, tempo e risorse a beneficio di
coloro che oggi ne sono carenti in ogni singola società e nel contesto mondiale.
Una Famiglia come la nostra, che ha fatto dei poveri la sua eredità e ha intrapreso un
vasto sforzo per un continente povero come l'Africa, non può ignorare questo
fenomeno, non fosse altro che per compiere alcuni gesti profetici.
2.3. Una nuova educazione
Il moderno entusiasmo per l’educazione, pur rappresentando globalmente un fatto
positivo, non è senza ambiguità a riguardo delle impostazioni di fondo e degli
orientamenti pratici.
Educare, come si è detto, è aiutare ciascuno a diventare pienamente persona
attraverso l’emergere della coscienza, lo sviluppo dell'intelligenza, la comprensione del
proprio destino. Attorno a questo nodo si raccolgono i problemi e si scontrano le
diverse concezioni dell'educazione.
Si avverte oggi una specie di scompenso tra libertà e senso etico, tra potere e
coscienza, tra progresso tecnologico e progresso sociale. Tale scompenso è sovente
indicato con altre espressioni: la corsa all'avere e la disattenzione verso l'essere, il
desiderio di possedere e l’incapacità di condividere, il consumare senza riuscire a
valorizzare.
Si tratta di polarità ricche di energie, se la persona riesce a comporle. Sono
distruttive, se si cambia la gerarchia dei valori e soprattutto se quella principale viene
negata o appiattita. Fattori strutturali, correnti culturali, forme di vita sociale possono
spingere fortemente in una direzione. L'educazione richiederà sempre un
atteggiamento positivo di discernimento, proposta e profezia. Presento alcune di
queste polarità alle quali dobbiamo fare attenzione per poter rinnovare la nostra
proposta educativa.
2.3.1. Complessità e libertà
Molti hanno l'impressione che viviamo in un mondo estremamente confuso a riguardo
di ciò che è bene e di ciò che è male. I sociologi parlano di complessità, una situazione
sociale e culturale dove molti sono i messaggi, molti i linguaggi con cui tali messaggi
10

2 Pages 11-20

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2.1 Page 11

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vengono comunicati, molte le concezioni di vita che vi stanno alla base, diverse e
autonome le agenzie che se ne fanno promotrici, innumerevoli e incompatibili gli
interessi che le spingono. E non c'è un'autorità capace di proporre autorevolmente e
far accettare una visione comune del mondo e della vita umana, un sistema di norme
morali, una visione dell’esistenza, un "listino" di valori comuni.
In queste condizioni i processi educativi risultano difficili. Gli adulti non si sentono in
possesso di un patrimonio culturale sicuro. Inoltre, il tempo per consegnarlo è poco e
le interferenze sono innumerevoli. Perciò quello che riescono a comunicare sembra
sottoposto a rapida usura. Il pacchetto di proposte educative non sempre attira né
viene capito nel suo insieme. La capacità propositiva tentenna.
La conseguenza più vistosa per tutti, ma specialmente per le generazioni giovani, è il
travaglio di orientarsi nella molteplicità di stimoli, problemi, visioni, proposte.
Appaiono confuse le varie dimensioni della vita e non è facile cogliere il loro valore.
La debolezza della comunicazione culturale da parte della famiglia, della scuola, della
società, dell'istituzione religiosa provoca difficoltà nel progettare la propria vita. Ciò si
manifesta nella resa di fronte a conflitti e frustrazioni, nella fatica a prendere e
mantenere decisioni a lungo termine, nel rinvio delle scelte di vita, nel non riuscire a
riconoscersi nei modelli di identificazione che la società offre.
Il problema educativo dell'identità non è nuovo. In tutte le epoche i giovani hanno
dovuto affrontarlo per rendersi consapevoli del proprio essere e collocarsi in forma
positiva nel sistema sociale.
Nuova è la situazione nella quale esso oggi si colloca. Si combinano infatti diversi
fattori che presentano simultaneamente vantaggi e difficoltà. Da una parte ci sono
offerte più abbondanti e maggiore libertà. Sembra come se si dicesse al giovane:
“scegli e fai da te”. È una promessa di autonomia e una garanzia di autorealizzazione,
ma in solitudine. Il deficit oggi non è di libertà, ma di consapevolezza e responsabilità,
di sostegno e accompagnamento.
Presto perciò la persona si scontra con i propri limiti e contro le barriere che le oppone
la società postindustriale: la concorrenza e la selezione in ogni ambito, il mercato del
lavoro, il prolungamento della dipendenza, la ristrettezza degli spazi di partecipazione
pubblica, la mancanza di alternative alla sua portata.
Ciò dà origine a un sentimento di precarietà che rende i giovani vulnerabili alla
manipolazione, che nella nostra società agisce attraverso diversi canali. I processi di
persuasione, orientati all’acquisizione di prodotti, determinano non poche delle loro
preferenze, non solo di prodotti ma di modelli: il tipo d'uomo e di donna, l'immagine
della bellezza e della felicità, la scala di valori, le forme di comportamento e la
collocazione sociale.
2.3.2. Soggettività e verità
L'emergere della soggettività è una delle chiavi per interpretare la cultura attuale.
Essa è legata al riconoscimento della singolarità di ogni persona e del valore della sua
esperienza e interiorità. Viene rivendicata da quei gruppi che per molto tempo si sono
sentiti "oggetto" di leggi, di imposizioni di identità o di convenzioni sociali, che
impedivano loro di esprimersi. Lasciata però al proprio dinamismo, senza riferimento
alla verità, alla società e alla storia, la soggettività non riesce a realizzarsi.
La privatizzazione o elaborazione soggettiva appare maggiormente nell'etica e nella
formazione della coscienza. L'esempio più alla mano, ma non l'unico, è quello della
sessualità. In quest'ambito sono caduti i controlli sociali e a volte anche quelli
familiari. C'è tolleranza pubblica e diritto a scelte diverse. Anzi, stampa, letteratura,
11

2.2 Page 12

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spettacoli spesso esaltano le trasgressioni e presentano le deviazioni come
conseguenza di condizioni diverse. Qualsiasi dimensione etica, anche soltanto umana,
viene trascurata, quando non ignorata, persino in programmi ufficiali ampiamente
diffusi. Ci si preoccupa solo di vivere la sessualità in modo appagante e sicuro da
rischi per la salute fisica o psichica. La si stacca dalle componenti che le danno senso
e dignità.
La mancanza di riferimento alla verità si percepisce anche nelle regole che guidano
l’attività economica e sociale. Sovente esse si ispirano a criteri individuati nel proprio
ambito e al consenso tra le parti più forti. Non sempre rispondono al bene comune o ai
fini dell'economia o della società.
La qualità dell’educazione si giocherà nel colmare lo scompenso che appare tra
possibilità di scelte e formazione della coscienza, tra verità e persona. Bisogna
orientare a comprendere la portata storica delle proprie opzioni, ad equilibrare la
soggettività selvaggia, a cogliere la consistenza oggettiva delle realtà e dei valori.
2.3.3. Profitto individuale e solidarietà
La complessità e la soggettivizzazione influiscono su una giusta composizione tra la
ricerca del proprio profitto e l’apertura solidale agli altri.
Ci fu una stagione in cui si pensava possibile organizzare una società libera e giusta,
che attraverso leggi e strutture provvedesse condizioni di benessere per tutti. Molti
giovani si appassionarono alla trasformazione della società e alla liberazione dei
popoli. La preparazione all’impegno politico era parte della formazione umana e della
pratica della fede; costituiva un segno di responsabilità matura e generoso idealismo.
Poi venne l'inverno delle utopie, la caduta delle ideologie e con esse dei progetti
collettivi, il problema morale, la contrapposizione tra le istituzioni. Il confronto politico
divenne rissoso. La politica diventò spettacolo e non fu sempre esemplare. Quindi
seguì il crollo della sua quotazione e la disaffezione, resi evidenti dalla scarsa
partecipazione. Venne meno una certa visione pratica del bene comune e non ne
subentrò alcun’altra che fosse organica e sperimentata; al contrario, si offrirono
soltanto "briciole" di reciproca buona volontà sociale.
Noi oggi stiamo vivendo l'era del "mercato", come mentalità e come inquadratura del
sociale. Al momento, va guadagnando terreno una concezione individualista del
sociale. La società viene considerata una somma di individui, ognuno dei quali è
portato a cercare il suo interesse personale, l'appagamento dei suoi bisogni,
potenzialmente illimitati. È il primato dei desideri e dei diritti individuali.
In questa tensione incessante verso la soddisfazione di bisogni artificiali si diventa
sordi ai bisogni fondamentali e autentici. Gli ideali di giustizia sociale e di solidarietà
finiscono per diventare formule vuote, considerate impraticabili.
Non è dunque infondata la conclusione di molti che vedono nel mercato il principale
ostacolo morale, culturale e legale, perché cresca una mentalità solidale in adulti e
giovani, a livello nazionale e internazionale.
2.4. Maturazione della fede dei giovani in questo contesto
Complessità, soggettività e concezione individuale della persona influiscono sulla
maturazione della fede dei giovani, che è sostanzialmente apertura, comunione e
accoglienza della realtà della vita e della storia.
12

2.3 Page 13

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Impressionano oggi due fenomeni. C’è una religiosità diffusa che prende le strade più
diverse. Essa risponde alla ricerca di senso in una società che non lo provvede, alla
percezione vaga di un'altra dimensione dell’esistenza che rimane inespressa. Insieme
ad essa però si nota una carenza di fondamenti e motivazioni oggettive e dunque una
rottura tra esperienza religiosa, concezione di vita e scelte etiche. Anche le verità
religiose vengono ridotte ad opinioni. La mediazione della Chiesa diventa problematica
e molto di più quella dei suoi singoli ministri o rappresentanti; se ne usufruisce in
forma selettiva.
C'è una minoranza che approfondisce, gusta e matura l'esperienza cristiana e la
esprime nella fede, nel senso ecclesiale e nell'impegno sociale. C'è però anche un
grande numero di giovani che, dopo aver sentito l'annuncio, si va allontanando dalla
fede senza rimpianto. L'età della formazione religiosa si è allungata, e non sempre
conta su proposte che la ricoprano interamente.
Tutto ciò tinge la fede di forte soggettivismo. Slegata dalla concretezza degli
avvenimenti storici della salvezza, essa diventa estremamente fragile, una specie di
bene di consumo, di cui ciascuno fa l’uso che gli aggrada. La si giustappone così agli
altri aspetti della vita e del pensiero che si vanno plasmando autonomamente. Il
rischio della separazione tra la vita e la fede, tra questa e la cultura è la condizione in
cui ci troviamo tutti, in cui crescono oggi i giovani. E ciò anche in un'epoca in cui la
Chiesa dà forti segni di vitalità comunitaria, di impegno sociale, di spinta missionaria.
2.5. Risposta della Famiglia Salesiana
Quali risposte a queste invocazioni si possono aspettare i giovani dalla Famiglia
Salesiana? Quali energie possiamo noi attivare?
Oggi le figure di educatori si moltiplicano, specialmente quelle professionali. Ci sono
poi educatori informali, che non hanno un compito specifico né sono dei professionisti.
Così come ci sono curricoli dichiarati e altri nascosti. Al centro del processo educativo
sta sempre di più, come giudice, il soggetto che sceglie ed elabora a volontà le cose
che gli vengono proposte o che egli scopre da se stesso. Meno che mai oggi si può
delegare l’educazione a qualcuno, pensando che egli abbia la possibilità di controllarne
il percorso. Educatori veniamo nominati segretamente dai giovani quando ci danno
accesso alla loro intelligenza e al loro cuore, quando vogliono sentire da noi una parola
o cogliere un gesto che considerano valido riguardo al senso della loro vita. La
responsabilità può ricadere su ciascuno e in qualsiasi momento.
L'incidenza degli educatori delegati al compito educativo e di quelli scelti dal soggetto
dipendono da tre fattori: la credibilità dell'offerta in rapporto alla situazione che il
giovane vive, l'autorevolezza del testimone, la capacità di comunicazione.
C'è dunque una scommessa per l'adulto: esprimere un orientamento e una proposta
senza rifuggire la complessità e l'esigenza della soggettività e senza lasciarsi
omogeneizzare. Ciò comporta apertura al positivo, ancoraggio saldo ai punti da cui la
vita umana prende significato, capacità di discernimento. Ecco tre aspetti che la
Famiglia Salesiana dovrebbe curare in modo speciale.
2.5.1. Ritorno ai giovani con maggiore qualità
È tra i giovani che Don Bosco ha elaborato il suo stile di vita, il suo patrimonio
pastorale e pedagogico, il suo sistema, la sua spiritualità. L’impegno esclusivo per la
missione giovanile fu per Don Bosco sempre e comunque reale, anche quando per
13

2.4 Page 14

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motivi particolari non era materialmente a contatto con i giovani, anche quando la sua
azione non era direttamente a servizio dei giovani, anche quando difese tenacemente
il suo carisma di fondatore per tutti i giovani del mondo, di fronte a pressioni di
ecclesiastici non sempre ben illuminati. Missione salesiana è consacrazione, è
“predilezione” per i giovani; e tale predilezione, al suo stato iniziale, è un dono di Dio,
che spetta alla nostra intelligenza ed al nostro cuore sviluppare e perfezionare.
Il vero salesiano non diserta il campo giovanile. Salesiano è colui che dei giovani ha
una conoscenza vitale: il suo cuore pulsa là dove pulsa quello dei giovani. Il salesiano
vive per loro, esiste per i loro problemi; essi sono il senso della sua vita: lavoro,
scuola, affettività, tempo libero. Salesiano è chi dei giovani ha anche una conoscenza
teorica ed esistenziale, che gli permette di scoprire i loro veri bisogni, di creare una
pastorale giovanile adeguata alle necessità dei tempi.
La fedeltà alla nostra missione, per essere incisiva, deve essere posta a contatto con i
“nodi” della cultura di oggi, con le matrici della mentalità e dei comportamenti attuali.
Siamo di fronte a sfide colossali, che esigono serietà di analisi, pertinenza di
osservazioni critiche, confronto culturale approfondito, capacità di condividere
psicologicamente la situazione. In un tale contesto la comunicazione educativa
privilegia alcuni canali.
Il primo è quello della condivisione degli interessi e delle ricerche al posto delle
soluzioni preconfezionate; del dialogo a tutto campo al posto delle informazioni
limitate; della trasparenza o spiegazioni reali al posto delle mezze verità.
Nel loro sforzo di formarsi una visione del mondo i giovani ascoltano, reagiscono,
interiorizzano, sperimentano. Si sentono come in un mercato, dove possono vedere il
prezzo e la qualità delle proposte e prendere quelle che vanno loro bene. La
testimonianza e la parola, capaci di far brillare luce e speranza, troveranno udienza.
L'educatore del futuro sarà quello che saprà orientare, nella molteplicità di messaggi e
di visioni, verso una scelta di valori e di criteri atti a sostenere una crescita continua.
E proprio nell’educazione ai valori egli dovrà puntare sul coinvolgimento attivo del
soggetto, piuttosto che sulla sola sua docile accettazione.
Le esigenze vanno presentate con coraggio. È da scartare il solo adeguamento a
domande immediate, che privano il soggetto di orizzonti e finiscono col fissarlo in una
posizione narcisistica.
La responsabilità è invece la principale energia per lo sviluppo della persona. Questa
deve interiorizzare le proposte educative attraverso l'esperienza e la riflessione ed
elaborare così le proprie conclusioni. Soltanto se il giovane diventa soggetto e non
solo oggetto dell'azione educativa, le proposte entrano nella sua coscienza e
diventano patrimonio valido per la vita.
C'è poi un altro elemento chiave nei modelli di comunicazione: l’ambiente. Oggi
vengono valorizzati i cosiddetti "luoghi vitali", accanto alle tradizionali istituzioni
educative. Queste influiscono attraverso le strutture, i programmi, i ruoli, le norme;
ma appaiono insufficienti per soddisfare le domande di senso e di rapporto che i
giovani esprimono. I luoghi vitali invece danno spazio alla spontaneità rivolta al
positivo, alla condivisione libera, all’amicizia, all’accettazione vicendevole, all’utopia, al
linguaggio simbolico, ai progetti. È da augurarsi che così diventino le famiglie, le
comunità cristiane, i gruppi di impegno, i luoghi di ritrovo giovanile, la scuola.
Rivolgendomi a membri della Famiglia Salesiana, non è fuori posto ricordare che Don
Bosco, per intuizione piuttosto che per conoscenza teorica, diede origine a un sistema
comunicativo totale: l'oratorio, ambiente intriso di spontaneità e libera espressione, in
14

2.5 Page 15

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cui c’erano ruoli riconosciuti e rapporti informali, si alternavano programmi proposti a
tutti e portati avanti con regolarità e spazi di creatività personale e di gruppo.
Nel primo oratorio di casa Pinardi, così come è pensato da Don Bosco, sono presenti
alcune importanti intuizioni che saranno successivamente acquisite nella loro valenza
più profonda di complessa sintesi umanistico - cristiana:
una struttura flessibile, quale opera di mediazione tra Chiesa, società urbana e
fasce popolari giovanili, a mo’ di “ponte”;
il rispetto e la valorizzazione dell’ambiente popolare;
la religione posta a fondamento dell’educazione, secondo l’insegnamento della
pedagogia cattolica trasmessa a lui dall’ambiente del Convitto;
l’intreccio dinamico tra formazione religiosa e sviluppo umano, tra catechismo
ed educazione, o anche convergenza tra educazione ed educazione alla fede e
integrazione fede-vita;
la convinzione che l’istruzione costituisce uno strumento essenziale per
illuminare la mente;
l’educazione, così come la catechesi, che si sviluppa in tutte le espressioni
compatibili con la ristrettezza del tempo e delle risorse: l’alfabetizzazione di chi
non ha mai potuto fruire di una qualsiasi forma di istruzione scolastica, il
collocamento al lavoro, l’assistenza lungo la settimana, lo sviluppo di attività
associative e mutualistiche, ecc.
la piena occupazione e valorizzazione del tempo libero;
l’amorevolezza come stile educativo e, più in generale, come stile di vita
cristiana
L'oratorio così inteso continua ad essere per noi la "formula" che cerchiamo di
applicare in qualsiasi situazione o struttura educativa.
2.5.2. Rilancio del “onesto cittadino”
La riconsiderazione della qualità sociale dell'educazione, già presente in Don Bosco,
anche se imperfettamente realizzata, dovrebbe incentivare la creazione di esplicite
esperienze di impegno sociale nel senso più ampio. Ciò suppone una profonda
riflessione sia a livello teorico, data l’estensione dei contenuti della promozione
umana, giovanile, popolare e la diversità delle considerazioni antropologiche,
teologiche, scientifiche, storiche, metodologiche, sia sul piano dell’esperienza e della
riflessione operativa dei singoli e delle comunità. In ambito salesiano il Capitolo
Generale 23º aveva già parlato di “dimensione sociale della carità” e di “educazione
dei giovani all’impegno e alla partecipazione alla politica“, “ambito da noi un po’
trascurato e disconosciuto”.8
La presenza educativa nel sociale comprende queste realtà: la sensibilità educativa, le
politiche educative, la qualità educativa del vivere sociale, la cultura.
Chi è veramente preoccupato della dimensione educativa cerca di influire attraverso
gli strumenti politici, perché essa sia presa in considerazione in tutti gli ambiti:
dall'urbanizzazione e dal turismo fino allo sport e al sistema radiotelevisivo, realtà in
cui sovente si privilegiano i criteri di mercato.
C’è poi l'aspetto specifico delle politiche educative e giovanili. Bisogna risvegliarne
l'interesse e fare delle battaglie perché non vengano messe all'ultimo posto le
soluzioni per alcune urgenze, come per esempio l’ampia azione di prevenzione, la
qualità di un sistema educativo integrato, la conveniente diversificazione di possibilità
8 Cf. CG23 203-210; 212-214
15

2.6 Page 16

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educative conformi ai bisogni dei soggetti, la parità economica, il recupero di coloro
che hanno sofferto incidenti nel percorso educativo.
Lo stile di vita sociale e di prassi politica, inoltre, costituisce in se stesso una grande
scuola quotidiana da cui adulti e giovani traggono silenziosamente lezioni pratiche. È
quasi inutile, si può dire, che le istituzioni educative cerchino di educare alla legalità,
se nella vita pubblica altri criteri vengono vissuti con coscienza tranquilla, perché
questi finiscono per modellare i nostri convincimenti e comportamenti. È difficile
inculcare il senso della giustizia, se nell'amministrazione pubblica domina la corruzione
e il compromesso. Risulta arduo insegnare il rispetto alla persona, se nel dibattito
politico prevale la sfiducia vicendevole, l'inganno e la rissosità. Educazione,
convivenza sociale e prassi politica formano un'unità, per cui chi vorrà fare un salto di
qualità in una di esse dovrà necessariamente dedicare energie per modificare le altre.
Infine, alla radice dell'educazione, della convivenza sociale e della prassi politica c'è la
cultura. Essa provvede motivazioni e comunica significati che vanno penetrando
silenziosamente nelle coscienze e codificando comportamenti. Per radicare un valore
non bastano le iniziative, anche se abbondanti, né le persone generose e ben ispirate.
Bisogna raggiungere la maturazione di una mentalità comune. La cultura infatti
riguarda non solo intenzioni e propositi privati, ma l'impiego sistematico e razionale
delle energie di cui la comunità dispone. A volte c'è una frattura tra i gesti dei singoli e
la mentalità collettiva, tra le iniziative personali e le espressioni sociali, tra la prassi e i
suoi fondamenti, per cui una cosa è l'aspirazione della persona e un’altra cosa è la
realtà quotidiana che essa è obbligata a subire.
2.5.3. Rilancio del “buon cristiano”
Altrettanto si dovrebbe dire del rilancio del “buon cristiano”. Don Bosco, “bruciato”
dallo zelo per le anime, ha compreso l’ambiguità e la pericolosità della situazione
sociale e morale, ne ha contestato i presupposti, ha trovato forme nuove per opporsi
al male con le scarse risorse culturali, economiche, ecc., di cui disponeva.
Come attualizzare il “buon cristiano” di Don Bosco? Come salvaguardare oggi la
totalità umano-cristiana del progetto in iniziative formalmente o prevalentemente
religiose e pastorali, contro i pericoli di antichi e nuovi integralismi ed esclusivismi?
Come trasformare la tradizionale educazione religiosa in un’educazione a vivere con la
propria identità in un mondo plurireligioso, pluriculturale, plurietnico? A fronte
dell’attuale superamento della tradizionale pedagogia dell’obbedienza, adeguata ad un
certo tipo di ecclesiologia, come procedere in funzione di una pedagogia della libertà e
della responsabilità, tesa alla costruzione di un forte soggetto capace di decisioni
libere e mature, aperto alla comunicazione interpersonale, inserito attivamente nelle
strutture sociali, in atteggiamento non conformistico, ma costruttivamente critico?
Si tratta di svelare e aiutare a vivere consapevolmente la vocazione di uomo, la verità
della persona. E proprio in questo i credenti possono dare il loro contributo più
prezioso.
Essi infatti sanno che l'essere e i rapporti della persona vengono definiti dalla sua
condizione di creatura, che non indica inferiorità o dipendenza, ma amore gratuito e
creativo da parte di Dio. L'uomo deve la propria esistenza a un dono. È situato in una
relazione con Dio da ricambiare. La sua vita non trova senso al di fuori di questo
rapporto. L'”oltre”, che egli percepisce e desidera vagamente, è l'Assoluto, non un
assoluto estraneo e astratto, ma la sorgente della sua vita che lo chiama a sé.
In Cristo la verità della persona, che la ragione coglie in modo iniziale, trova la sua
illuminazione totale. Egli, con le sue parole ma soprattutto in forza della sua esistenza
16

2.7 Page 17

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umano-divina, in cui si manifesta la coscienza di Figlio di Dio, apre la persona alla
piena comprensione di sé e del proprio destino.
In Lui siamo costituiti figli e chiamati a vivere come tali nella storia. È una realtà e un
dono, di cui l’uomo deve penetrare progressivamente il senso. La vocazione a figli di
Dio non è una aggiunta di lusso, un completamento estrinseco per la realizzazione
dell'uomo. È invece il suo puro e semplice compimento, l’indispensabile condizione di
autenticità e pienezza, il soddisfacimento delle esigenze più radicali, quelle di cui è
sostanziata la sua stessa struttura creaturale.
Chi educa – genitore, amico o animatore – mantiene viva la consapevolezza che egli è
testimone e accompagnatore in questo svelamento delle possibilità della vita, che
collega la coscienza con la sua fonte e col suo fine, che sviluppa la vita, ma
soprattutto prepara un interlocutore e un segno della presenza di Dio.
C'è un dialogo misterioso tra ciascun giovane e ciò che gli giunge dall'esterno, quello
che sorge dentro di sé e che scopre come imperativo, grazia o senso. Un po' alla volta
egli va acquistando piena coscienza di sé, va elaborando un'immagine dell'esistenza
nella quale scommette le sue forze e gioca le sue possibilità.
Gli educatori, professionisti e non, sono chiamati ad offrire tutto quello che credono
opportuno, vivendo con speranza le incognite del futuro. Si interessano sinceramente
dell’umano incerto che cresce. In esso infatti Dio verrà accolto e anche in forza della
crescita si manifesterà con sempre maggior luminosità. Se le cose vanno per il verso
migliore, avranno contribuito a mantenere nella storia la "stirpe di Dio", coloro che si
sentono in rapporto filiale con Lui, e avranno creato luoghi vivi della sua presenza.
3. Promuovere i diritti umani, in particolare quelli dei minori
Noi siamo eredi e portatori di un carisma educativo che tende alla promozione di una
cultura della vita e al cambiamento delle strutture. Per questo abbiamo il dovere
di promuovere i diritti umani. La storia della Famiglia Salesiana e la rapidissima
espansione anche in contesti culturali e religiosi lontani da quelli che ne hanno visto la
nascita, testimonia come il sistema preventivo di Don Bosco sia una porta di accesso
garantita per l’educazione giovanile di qualunque contesto e una piattaforma di
dialogo per una nuova cultura dei diritti e della solidarietà. Considerando la dignità di
ogni uomo e l’uguaglianza dei suoi diritti, si può meglio comprendere il complesso di
ragioni che sostengono l’opzione preferenziale della Chiesa per i poveri.
È sotto questo profilo che va letto e reso attuale il monito di Don Bosco ai primi
missionari: “Prendete cura speciale degli ammalati, dei fanciulli, dei vecchi e dei
poveri, e guadagnerete la benedizione di Dio e la benevolenza degli uomini”.9 Come
salesiani l’educazione ai diritti umani, in particolare quelli dei minori, è la via
privilegiata per realizzare nei diversi contesti l’impegno di prevenzione, di sviluppo
umano integrale, di costruzione di un mondo più equo, più giusto, più salubre. Il
linguaggio dei diritti umani ci permette anche il dialogo e l’inserimento della nostra
pedagogia nelle differenti culture del mondo.
3.1. Diritti umani e dignità della persona
9 G. BOSCO, Ricordi ai missionari, in P. BRAIDO, Don Bosco educatore. Scritti e testimonianze, LAS,
Roma 1992, p. 206.
17

2.8 Page 18

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I diritti umani sono diritti che spettano a ciascun individuo in quanto essere umano;
non dipendono dalla razza, dalla religione, dalla lingua, dalla provenienza geografica,
dall’età o dal sesso. Sono diritti fondamentali, universali, inviolabili e indisponibili. Essi
non sono una realtà statica, ma sono in continua evoluzione. I diritti civili e politici,
che vengono fatti risalire al tempo della Rivoluzione Francese (1789), nascono dalla
rivendicazione di una serie di libertà fondamentali che erano precluse ad ampi strati
della popolazione: diritto alla vita, alla integrità fisica, alla libertà di pensiero, di
religione, di espressione, di associazione, alla partecipazione politica. I diritti
economici, sociali e culturali sono stati sanciti dalla Dichiarazione Universale dei diritti
dell’uomo del 1948: diritto all’istruzione, al lavoro, alla casa, alla salute, ecc. Ci sono
poi diritti dei popoli all’autodeterminazione, alla pace, allo sviluppo, all’equilibrio
ecologico, al controllo delle risorse nazionali, alla difesa ambientale. Infine ci sono i
diritti legati al rispetto dell’uomo, in relazione ai campi delle manipolazioni genetiche,
della bioetica e delle nuove tecnologie di comunicazione.
Bisogna prendere coscienza che il pieno rispetto dei diritti umani è prima di tutto una
nostra responsabilità. Purtroppo le violazioni dei diritti umani sono all’ordine del giorno
ed è evidente come gli strumenti e le prevenzioni esistenti non siano sufficienti ad
eliminarle. Pur in questa situazione noi dobbiamo operare per il rispetto della dignità
della persona.
L’insegnamento della Chiesa afferma che una corretta interpretazione ed un’efficace
tutela dei diritti dipendono da un’antropologia che abbraccia la totalità delle
dimensioni costitutive della persona umana. L’insieme dei diritti dell’uomo deve infatti
corrispondere alla sostanza della dignità della persona. Essi devono riferirsi alla
soddisfazione dei suoi bisogni essenziali, all’esercizio delle sue libertà, alle sue
relazioni con le altre persone e con Dio. Essi sono universali, presenti in tutti gli esseri
umani, senza eccezione alcuna di tempo e di luogo. I diritti fondamentali
appartengono, infatti, all’essere umano in quanto persona, ad ogni persona e a tutte
le persone, uomini e donne, bambini o anziani, ricchi o poveri, sani o ammalati.
3.2. Missione salesiana e diritti dei ragazzi
Nel discorso sul tema “Prima che sia troppo tardi salviamo i ragazzi, il futuro del
mondo”, che ho tenuto in Campidoglio a Roma il 27 novembre 2002, ho cercato di far
vedere il Sistema Preventivo in un’ottica di promozione del singolo ragazzo o ragazza
da educare, da riscattare nella totalità della sua vita nel senso dell’antropologia
cristiana, ma con un preciso riferimento alla trasformazione della società, perché non
ci siano più emarginati. Soprattutto, ho presentato il Sistema Preventivo in un’ottica di
assunzione cosciente di responsabilità da parte dell’educando, che si trasforma da
oggetto di protezione, perché ha dei bisogni, in soggetto responsabile, perché ha dei
diritti e riconosce i diritti degli altri, preparando nel ragazzo di oggi il cittadino di
domani: onesto cittadino e buon cristiano. Vi propongo alcuni brani stralciati da quel
mio discorso.
«Grave è la situazione in cui si trovano tanti giovani in tante parti del mondo: giovani
a rischio ed emarginati. Sono tanti, sono troppi. Sono un grido inascoltato. Sono un
peso sulla coscienza della società che sta cercando di globalizzare l’economia, ma non
l’impegno per lo sviluppo dei popoli e la promozione della dignità di ogni uomo.
Le sfide odierne. Ecco, una rapida mappa dell’emarginazione e dello sfruttamento
giovanile nel mondo:
I ragazzi di strada e le gang
I ragazzi soldato
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2.9 Page 19

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I ragazzi violati
I ragazzi lavoratori e schiavi
I ragazzi “nessuno”
I ragazzi carcerati
I ragazzi donatori forzati di organi e i mutilati
I ragazzi poveri ed emarginati
I ragazzi delle fogne e i vaganti
I ragazzi ammalati
I ragazzi rifugiati e orfani
I ragazzi ...
Tanta sventura sollecita le coscienze di tutti. Alla fine del Capitolo Generale 25° i
Salesiani hanno fatto un appello rivolto a tutti quelli che hanno responsabilità nei
confronti dei giovani: “Prima che sia troppo tardi salviamo i ragazzi, il futuro del
mondo”. Questo è anche il mio appello come successore di Don Bosco.
Dinanzi al panorama così triste delle piaghe del mondo giovanile, noi Salesiani “siamo
dalla parte dei giovani, perché come Don Bosco abbiamo fiducia in loro, nella loro
volontà di imparare, di studiare, di uscire dalla povertà, di prendere in mano il loro
proprio futuro … Siamo dalla parte dei giovani, perché crediamo nel valore della
persona, nella possibilità di un mondo diverso, e soprattutto nel grande valore
dell’impegno educativo”.10 Investiamo nei giovani!
Globalizziamo perciò l’impegno per l’educazione e prepariamo così un futuro positivo
per il mondo intero. In questo sforzo la Famiglia Salesiana apporta la ricchezza del
metodo educativo ereditato da Don Bosco, il ben noto Sistema Preventivo.
Secondo questo Sistema la prima preoccupazione è quella di prevenire il male
attraverso l’educazione, ma nel contempo quella di aiutare i giovani a ricostruire la
propria identità personale, a rivitalizzare i valori che essi non sono riusciti a sviluppare
e ad elaborare, appunto per la loro situazione di emarginazione, ed a scoprire ragioni
per vivere con senso, con gioia, con responsabilità e competenza.
Inoltre questo Sistema crede decisamente che la dimensione religiosa della persona è
la sua ricchezza più profonda e significativa; perciò esso cerca, come finalità ultima di
tutte le sue proposte, di orientare ogni ragazzo verso la realizzazione della sua
vocazione di figlio di Dio. Penso che questo sia uno dei contributi più importanti che il
Sistema Preventivo di Don Bosco può offrire nel campo dell’educazione dei ragazzi,
degli adolescenti e dei giovani in situazione di povertà e rischio psico-sociale.
Si tratta di una chiara e significativa esperienza di solidarietà, orientata a formare –
sono parole di Don Bosco – “onesti cittadini e buoni cristiani”, cioè costruttori della
città, persone attive e responsabili, consapevoli della loro dignità, con progetti di vita,
aperti alla trascendenza agli altri e a Dio».
3.3. Proviamo a ridire gli stessi concetti con il linguaggio dei diritti umani
Facendo riferimento all’elenco delle violazione dei diritti umani esposto sopra, diventa
chiaro che oggi l’educazione integrale salesiana non può prescindere da un impegno
per i diritti fondamentali e la dignità della persona umana.
Si può osservare, anzitutto, che il tema dell’educazione ai diritti e alle libertà
fondamentali è intimamente legato alle due Strenne precedenti, nelle quali
sottolineavo l’importante ruolo della famiglia nell’educare e promuovere i diritti umani,
primo fra tutti la difesa e la promozione della vita.
10 CG25, 140
19

2.10 Page 20

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L’educazione, in questo ambito, si pone l’obiettivo di contribuire a costruire una
cultura dei diritti umani capace di dialogare, persuadere e, in ultima istanza, di
prevenire le violazioni dei diritti stessi, piuttosto che di punirle e reprimerle. È il
passaggio dalla mera denuncia di violazioni già perpetrate all’educazione preventiva.
In tale prospettiva l’educazione ai diritti umani deve necessariamente essere
multidimensionale e caratterizzarsi come educazione alla cittadinanza onesta, attiva e
responsabile, in grado di unire il descrittivo al prescrittivo, il sapere all’essere, e di
integrare trasmissione del sapere e formazione della personalità.
L’educazione ai diritti umani è educazione all’azione, al gesto, alla presa di posizione,
alla presa in carico, all’analisi critica, al pensare, all’informarsi, a relativizzare le
informazioni ricevute dai media; è un’educazione che deve diventare permanente e
quotidiana.
Su questi fondamenti, la metodologia da utilizzare deve comprendere almeno tre
dimensioni:
una dimensione cognitiva: conoscere, pensare criticamente, concettualizzare,
giudicare; Don Bosco direbbe “ragione”;
una dimensione affettiva: provare, fare esperienza, creare amicizia, empatia;
Don Bosco direbbe “amorevolezza”;
una dimensione volitiva comportamentale attiva, eticamente motivata:
compiere scelte e azioni, mettere in atto comportamenti orientati; Don Bosco
direbbe “religione”.
3.4. Educarci ed educare per la trasformazione di ogni persona e di tutta la
società: per lo sviluppo umano
Quindi il Sistema Preventivo e lo spirito di Don Bosco ci chiamano oggi a un impegno
forte, individuale e collettivo, teso a cambiare le strutture della povertà e del
sottosviluppo, per farci promotori di sviluppo umano ed educare ad una cultura dei
diritti umani, della dignità della vita umana.
I diritti umani sono un mezzo per lo sviluppo umano; l’educazione ai diritti umani è
strumentale al raggiungimento dello sviluppo umano personale e collettivo e quindi
alla realizzazione di un mondo più equo, più giusto, più salubre.
Ciascuno di noi, chiunque di noi, proprio perché educatore o educatrice e proprio
perché sceglie la visione antropologica cristiana che ha ispirato Don Bosco, può
diventare un difensore, promotore e attivista di diritti umani.
Per questo dobbiamo fare una rilettura salesiana dei principi che sono a fondamento
dei diritti umani, finalizzata ad individuare le sfide che i diritti umani lanciano alla
nostra Famiglia Salesiana. sancire
Ecco alcuni elementi per questa rilettura:
integralità della persona e applicazione del principio di indivisibilità ed
interdipendenza di tutti i diritti fondamentali della persona: civili, culturali,
religiosi, economici, politici e sociali;
educazione alla cittadinanza onesta e applicazione del principio di responsabilità
comune differenziata per la promozione e la protezione dei diritti umani;
l’ un per uno e applicazione del principio del superiore interesse del minore;
il minore al centro come soggetto attivo e partecipe e applicazione del principio
della partecipazione del minore;
il “basta che siate giovani perché io vi ami assai” e applicazione del principio di
non discriminazione;
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3 Pages 21-30

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3.1 Page 21

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il “voglio che siate felici ora e sempre” che riguardi tutto l’uomo e applicazione
del principio di uno sviluppo umano integrale: spirituale, civile, culturale,
economico, politico e sociale del minore.
3.5. Un testo che Don Bosco sarebbe pronto a sottoscrivere
L'educazione deve avere come finalità di:
favorire lo sviluppo della personalità del fanciullo, nonché lo sviluppo delle sue
facoltà e delle sue attitudini mentali e fisiche in tutta la loro potenzialità;
inculcare nel fanciullo il rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali e
dei principi consacrati nella Carta delle Nazioni Unite;
inculcare nel fanciullo il rispetto dei suoi genitori, della sua identità, della sua
lingua e dei suoi valori culturali, nonché il rispetto dei valori nazionali del paese
nel quale vive, del paese di cui è originario e delle civiltà diverse dalla sua;
preparare il fanciullo ad assumere le responsabilità della vita in una società
libera, in uno spirito di comprensione, di pace, di tolleranza, di uguaglianza tra i
sessi e di amicizia tra tutti i popoli e gruppi etnici, nazionali e religiosi, con le
persone di origine autoctona;
inculcare nel fanciullo il rispetto dell'ambiente naturale.
Questo non è altro che l’art. 29 della “Convenzione dell’ONU sui diritti dei bambini e
degli adolescenti”, sancita dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 20 novembre
1989 e attualmente ratificata da 192 Stati.
Va dunque corretta la prassi di molti educatori che riducono i diritti umani ad un
elenco di cognizioni o che intendono l’educazione ai diritti umani in modo normativo,
come spiegazione di testi giuridici.
Noi propugniamo un approccio più ampio, un approccio di socio-civic learning, che
stimoli all’esperienza pratica, all’accettazione di responsabilità e alla partecipazione
attiva e responsabile.
L’educazione ai diritti umani, o meglio ad una “cultura preventiva dei diritti umani”,
capace di prevenirne le violazioni, deve uscire dal ristretto ambito di competenza di
giuristi e avvocati, per diventare patrimonio di tutti, di chiunque si senta pronto ad
aprire e sostenere un dialogo interculturale che dai diritti umani tragga fondamento.
I diritti umani, infatti, non sono principalmente una materia giuridica o filosofica; sono
una materia interdisciplinare e possono essere spiegati e discussi in un approccio
interculturale, nell’ambito di numerose discipline: storia, geografia, lingue straniere,
letteratura, biologia, fisica, musica, economia.
Essi non rappresentano una materia a parte, ma un tema trasversale. I diritti umani
dovrebbero essere parte integrante della formazione e dell’aggiornamento degli
educatori, formali e informali, affinché siano essi stessi a poterli rielaborare e
trasmettere come leit-motiv e approccio trasversale all’interno delle diverse materie.
Se per insegnamento intendessimo una attività didattica in cui uno solo, l’insegnante,
ha qualcosa da insegnare e tutti gli altri hanno solo da ascoltare, nel caso dei diritti
umani non si potrebbe usare tale prassi. I diritti umani non si insegnano, così come
non si impongono, ma si educa ad essi attraverso il dialogo, il confronto reciproco, la
rielaborazione personale.
Come metodologia didattica si possono usare l’arte, il teatro, la musica, la danza, il
disegno, la poesia; ricordiamo al riguardo le iniziative “inventate” da Don Bosco.
21

3.2 Page 22

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Se l’accento del processo educativo è posto sulle motivazioni interiori necessarie
all’educatore, allora il Sistema Preventivo diventa una “spiritualità”. Se l’accento è
posto sulle tre colonne della ragione, religione amorevolezza, allora il Sistema
Preventivo diventa un impegno ascetico, un quadro di valori e un progetto di vita. Se
l’accento è sul rapporto dell’educatore con l’educando, il Sistema Preventivo postula
una forte mistica. Se l’accento è posto sul progetto di vita che l’educando deve
maturare nel suo cuore, allora il Sistema Preventivo è evangelizzazione completa,
perché mira a formare l’onesto cittadino e il buon cristiano, per dirla con la
“Christifideles Laici”, capace di vivere il vangelo servendo l’uomo e la società.
In definitiva il Sistema Preventivo trasforma sia l’educatore che l’educando in un
protagonista cosciente, responsabile del dovere di difendere e promuovere i diritti
umani, per lo sviluppo umano personale e del mondo intero.
Parafrasando una felice espressione di Paolo VI, nella “Populorum Progressio”, mi
azzarderò a dire che il nuovo nome della pace è l’educazione alla difesa e alla
promozione dei diritti umani.
Certo, educare con il cuore di Don Bosco, per lo sviluppo integrale della vita dei
giovani, soprattutto dei più poveri e svantaggiati, promuovendo i loro diritti comporta:
una rinnovata scelta di condivisione comunitaria nei luoghi concreti di azione.
Il carattere comunitario dell’esperienza pedagogica salesiana richiede di creare
comunione attorno agli ideali educativi di Don Bosco, saper coinvolgere tutti i
responsabili nelle diverse istituzioni e programmi educativi, formare in loro una
coscienza critica delle cause della marginalità e dello sfruttamento giovanile,
una forte motivazione che sostenga l’impegno quotidiano e un atteggiamento
attivo e alternativo. Tutto ciò ripropone l’impegno di formazione degli educatori.
una rinnovata intenzionalità pastorale.
L’azione salesiana comprende sempre la preoccupazione per la salvezza della
persona: conoscenza di Dio e comunione filiale con Lui attraverso l’accoglienza
di Cristo, con la mediazione sacramentale della Chiesa. Avendo scelto la
gioventù e i giovani poveri, i Salesiani accettano i punti di partenza in cui i
giovani si trovano e le loro possibilità di fare un cammino verso la fede. In ogni
iniziativa di recupero, di educazione e di promozione della persona, si annuncia
e si realizza la salvezza che sarà ulteriormente esplicitata man mano che i
soggetti se ne rendono capaci. Cristo è un diritto di tutti. Va annunciato senza
forzare i tempi, ma senza lasciarli passare invano.
A mo’ di conclusione
E concludo, questa volta, non con una favola ma con un racconto di famiglia, anzi con
il “sogno” che è alle origini di ciò che siamo e di quanto facciamo. Un “sogno” che è
memoria e profezia, ricordo del passato e progetto di futuro.
«Intanto io era giunto al nono anno di età; mia madre desiderava di
mandarmi a scuola, ma era assai impacciato, per la distanza, giacché dal
paese di Castelnuovo eravi la distanza di cinque chilometri. Recarmi in collegio
si opponeva il fratello Antonio. Si prese un temperamento. Il tempo d'inverno
frequentava la scuola del vicino paesello di Capriglio, dove potei imparare gli
elementi di lettura e scrittura. Il mio maestro era un sacerdote di molta
pietà a nome Giuseppe Delacqua, il quale mi usò molti riguardi, occupandosi
assai volentieri della mia istruzione e più ancora della mia educazione
cristiana. Nell'estate poi appagava mio fratello lavorando la campagna.
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3.3 Page 23

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Un sogno
A quell'età ho fatto un sogno, che mi rimase profondamente impresso
nella mente per tutta la vita. Nel sonno mi parve di essere vicino a casa in un
cortile assai spazioso, dove stava raccolta una moltitudine di fanciulli, che si
trastullavano. Alcuni ridevano, altri giocavano, non pochi bestemmiavano.
All'udire quelle bestemmie mi sono subito lanciato in mezzo di loro
adoperando pugni e parole per farli tacere. In quel momento apparve un
uomo venerando in virile età nobilmente vestito. Un manto bianco gli copriva
tutta la persona; ma la sua faccia era così luminosa, che io non po teva
rimirarlo. Egli mi chiamò per nome e mi ordinò di pormi alla testa di que'
fanciulli aggiungendo queste parole: – Non colle percosse ma colla
mansuetudine e colla carità dovrai guadagnare questi tuoi amici. Mettiti
adunque immediatamente a fare loro un'istruzione sulla bruttezza del peccato
e sulla preziosità della virtù.
Confuso e spaventato soggiunsi che io era un povero ed ignorante
fanciullo incapace di parlare di religione a que' giovanetti. In quel momento
que' ragazzi, cessando dalle risse, dagli schiamazzi e dalle bestemmie, si
raccolsero tutti intorno a colui che parlava.
Quasi senza sapere che mi dicessi, – Chi siete voi, soggiunsi, che mi
comandate cosa impossibile? – Appunto perché tali cose ti sembrano
impossibili, devi renderle possibili coll'ubbidienza e coll'acquisto della
scienza. – Dove, con quali mezzi potrò acquistare la scienza? – Io ti darò la
maestra sotto alla cui disciplina puoi diventare sapiente, e senza cui ogni
sapienza diviene stoltezza.
– Ma chi siete voi, che parlate in questo modo?
– Io sono il figlio di colei, che tua madre ti ammaestrò di salutar tre
volte al giorno.
– Mia madre mi dice di non associarmi con quelli che non conosco,
senza suo permesso; perciò ditemi il vostro nome.
– Il mio nome domandalo a Mia Madre.
In quel momento vidi accanto di lui una donna di maestoso aspetto,
vestita di un manto, che risplendeva da tutte parti, come se ogni punto di
quello fosse una fulgidissima stella. Scorgendomi ognor più confuso nelle mie
domande e risposte, mi accennò di avvicinarmi a Lei, che presomi con bontà per
mano, e – guarda, – mi disse. Guardando mi accorsi che quei fanciulli erano
tutti fuggiti, ed in loro vece vidi una moltitudine di capretti, di cani, di gatti,
orsi e di parecchi altri animali. – Ecco il tuo campo, ecco dove devi lavorare.
Renditi umile, forte, robusto; e ciò che in questo momento vedi succedere di
questi animali, tu dovrai farlo pei figli miei.
Volsi allora lo sguardo ed ecco invece di animali feroci apparvero
altrettanti mansueti agnelli, che tutti saltellando correvano attorno belando
come per fare festa a quell'uomo e a quella signora.
A quel punto, sempre nel sonno, mi misi a piangere, e pregai quello a
voler parlare in modo da capire, perciocché io non sapeva quale cosa si
volesse significare.
Allora Ella mi pose la mano sul capo dicendomi: – A suo tempo tutto
comprenderai.
Ciò detto un rumore mi svegliò.
Io rimasi sbalordito. Sembravami di avere le mani che facessero male
pei pugni che aveva dato, che la faccia mi duolesse per gli schiaffi ricevuti; di
poi quel personaggio, quella donna, le cose dette e le cose udite mi
occuparono talmente la mente, che per quella notte non mi fu possibile
prendere sonno.
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3.4 Page 24

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Al mattino ho tosto con premura raccontato quel sogno prima a’ miei
fratelli, che si misero a ridere, poi a mia madre ed alla nonna. Ognuno dava
al medesimo la sua interpretazione. Il fratello Giuseppe diceva: Tu divente rai
guardiano di capre, di pecore o di altri animali. Mia madre: Chi sa che non
abbi a diventar prete. Antonio con secco accento: Forse sarai capo di
briganti. Ma la nonna, che sapeva assai di teologia, era del tutto analfabeta,
diede sentenza definitiva dicendo: Non bisogna badare ai sogni.
Io era del parere di mia nonna, tuttavia non mi fu mai possibile di
togliermi quel sogno dalla mente. Le cose che esporrò io appresso daranno a
ciò qualche significato. Io ho sempre taciuto ogni cosa; i miei parenti non ne
fecero caso. Ma quando, nel 1858, andai a Roma per trattar col Papa della
congregazione salesiana, egli si fece minutamente raccontare tutte le cose
che avessero anche solo apparenza di soprannaturali. Raccontai allora per la
prima volta il sogno fatto in età di nove in dieci anni. Il Papa mi co mandò di
scriverlo nel suo senso letterale, minuto e lasciarlo per incoraggiamento ai figli
della congregazione, che formava lo scopo di quella gita a Roma».11
Auguro a tutti voi di fare vostro il sogno dell’amato padre e fondatore della nostra
Famiglia Salesiana, Don Bosco. Impegniamoci a farlo divenire realtà a favore dei
giovani, specialmente i più poveri, abbandonati e pericolanti, e continuiamo a coltivare
per loro nuovi sogni.
La Madre di Dio, nel cui nome iniziamo questo anno di grazia 2008, vi sia madre e
maestra, come lo fu per Don Bosco, in modo che alla sua scuola impariamo ad avere
un cuore di educatori.
Don Pascual Chávez Villanueva
Rettor Maggiore
11 G. BOSCO, Memorie dell’Oratorio di San Francesco di Sales dal 1815 al 1855, Introduzione, note e testo
critico a cura di A. DA SILVA FERREIRA, LAS, Roma 1991, pp. 34-37.
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