Atti_1999_369.ACG_reconciliazione-it


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1. IL RETTOR MAGGIORE
CI HA RICONCILIATI CON SÉ ED HA AFFIDATO A NOI
IL MINISTERO DELLA RICONCILIAZIONE1
1. Grazia e misericordia avvolgono la nostra vita - “Mediante Cristo" - Amore gratuito
e prassi salesiana. 2. L’amore porta al giudizio - Dio misericordioso e giusto - Il senso del
peccato - La formazione della coscienza - Giudizio e vita salesiana. 3. Conversione e vita
nuova nello Spirito - Il ritorno a Dio - La salvezza alle radici del male - Risvolti salesiani. 4. Il
sacramento della Riconciliazione - Un cammino di rivalutazione - Sacramento e spiritualità
salesiana - Riconciliati e ministri della Riconciliazione. Conclusione: varcare la soglia.
Roma, 15 agosto 1999
Solennità dell’Assunzione della Beata Vergine Maria
Il 2000 si profila non solo come una scadenza di calendario,
seppure singolare, ma come un varco della cultura, con conse­
guenze imprevedibili sulle persone e sul genere umano. Stimola
ad una rilettura e una valutazione d’insieme di quello che ab­
biamo vissuto nel secolo che si chiude e riaccende speranze che
sembrano oggi alla portata dello sforzo umano e oltre.
Per noi è un invito, quasi una provocazione, a ripensarci come
discepoli di Cristo, in una trasformazione complessa che ha del
vorticoso, ma nella quale si scorge un senso e una direzione. Di
tale evoluzione ci sentiamo solidali e parte viva: non solo critici,
ma responsabili di quello che è accaduto e di quello che avverrà.
Vogliamo perciò accogliere e adempiere comunitariamente
la consegna principale del Giubileo espressa ripetutamente dal
1cf. 2 Cor 5,18

1.2 Page 2

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4 ATTI DEL CONSIGLIO GENERALE
Santo Padre nella Bolla di indizione: «L’Anno Santo è per sua
natura un momento di chiamata alla conversione...»2. «La sca­
denza bimillenaria del mistero centrale della fede cristiana
sia vissuta come cammino di riconciliazione e come segno di
genuina speranza per quanti guardano a Cristo ed alla sua
Chiesa»3.
Anche per noi si dà una straordinaria opportunità di rivivere
l’esperienza della Riconciliazione secondo la nostra condizione
di consacrati salesiani, ricomprendendone insieme alla dimen­
sione teologale quella umana ed educativa. Oggi è urgente riu­
scire a vedere in che modo la salvezza operata da Dio in Cristo
risulta rilevante per l’uomo che vive l’esperienza della divisione
e della sofferenza, della conflittualità e della colpa. La Rivela­
zione cristiana infatti deve essere in grado di istruire l’uomo su
come stare al mondo, umanamente e divinamente bene.
Dovremo dunque riprendere e collegare, articolandoli poi
secondo le situazioni, i diversi aspetti della Riconciliazione:
ritorno a Dio e avvicinamento ai fratelli, unificazione interiore
e ricostruzione dei rapporti sociali, armonia del proprio essere e
impegno per la giustizia, gioia intima e costruzione della pace
nel mondo, verità e carità, smascheramento del male nascosto e
“rinnovamento” nello Spirito, dono sacramentale e stile di vita
e azione.
1. GRAZIA E MISERICORDIA AVVOLGONO LA NOSTRA VITA
Potremmo fare una rassegna delle lacerazioni personali e
sociali prodotte dal peccato, evidenziando l’estrema urgenza di
riconciliazione che il mondo avverte, senza riuscire ad arrivarci.
Diversi documenti ecclesiali prendono questo avvio e voi stessi
l’avete percorso con i giovani.
2Incarnationis Mysterium, 11
3Incarnationis Mysteri um, 4

1.3 Page 3

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IL RETTOR MAGGIORE 5
In questa occasione però, coronando il cammino che ci ha con­
dotti fino al 2000, preferisco, come primo passo, risalire alla fon­
te che rende possibile e reale la riconciliazione. Essa è nella Tri­
nità, in Dio che è Padre, Figlio e Spirito Santo, cioè amore totale
che si comunica: in Lui si dà la donazione e l’accoglienza incon­
dizionata dell’altro. Ciò consente di pensare alla Riconciliazione
come qualcosa di originario, non determinato da una nostra col­
pa o solo dipendente da essa; ma come una realtà che ha la sua
radice in Dio e si estende a tutta la nostra esperienza umana.
È vero che “riconciliazione” richiama immediatamente una
qualche “ separazione” , divisione o colpa precedente; ma è
ancor più vero che la possibilità originaria di ogni perdono è
il fatto che Dio sia in se stesso Amore, Gratuità, Misericordia,
Viscere di tenerezza, Altruismo, Donazione o che dir si voglia.
La forma trinitaria di Dio, che è comunione, dà alla “ricon­
ciliazione” un senso incondizionatamente positivo. L’altro, per­
sona o cosa, per Lui è valido secondo la sua forma attuale di es­
sere. La “misericordia” è quel radicale “lasciar essere” per cui
tutte le cose sono benedette nel loro venire alla luce, rispettate
nella loro esistenza, attese in vista del loro pieno compimento.
Se in Dio stesso ci sono più Persone che hanno origine nel­
l’amore e nell’amore vivono, allora Dio è capace di assumersi
l’onere di ogni essere, anche dell’uomo peccatore, e creare le
condizioni di possibilità perché la creazione venga indirizzata
verso la partecipazione reale alla sua stessa vita.
In tal modo, il peccato non sopraggiunge a spezzare l’unità
del piano di Dio e ad indebolire la responsabilità paterna che
Dio si è addossato mettendo al mondo altre libertà. Dio si mo­
stra in grado di prendersi sin dall’inizio la responsabilità del
possibile rifiuto della sua creatura. Per questo la Scrittura ha
un riferimento all’“Agnello immolato” fin dalla fondazione del
mondo4: l’amore incondizionato di Dio che offre il suo Figlio
aveva previsto e accettato il rischio della libertà.
4cf. Ap. 13,8

1.4 Page 4

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6 ATTI DEL CONSIGLIO GENERALE
In breve, la Creazione è ordinata alla Alleanza, la nostra esi­
stenza alla comunione con Dio: questa è prima nell’intenzione,
è la finalità. La riconciliazione è quella predisposizione per la
quale Dio non si pente della sua creazione, ma in qualsiasi
situazione la ricrea internamente per attirarla nuovamente a sé.
Questo pensiero fonda su basi veramente solide l’amore au­
tentico e la gratuità: donare non è perdere, ma essere più pie­
namente; perdonare ed essere perdonato non è ricucire o rat­
toppare, ma ricreare ed essere ricreati nello Spirito per virtù
della “passione” che ha portato Dio a parteciparci la sua vita e
a partecipare della nostra esistenza.
Il primo sforzo della nostra riflessione personale e dell’an­
nuncio evangelico, sarà quello comprendere la Rivelazione di Dio,
come ci viene manifestata in Cristo, l’unico in grado di rappre­
sentare la pienezza di Dio e la sua universale volontà salvifica5.
Un linguaggio che rifugga dalle semplificazioni o ambiguità
e che si lasci istruire dalla luminosità evangelica, mantenendo
senza maggiorarle né sottovalutarle alcune tensioni, dovrebbe
essere l’attitudine di ogni educatore della fede, in modo da
poter garantire a tutti l ’incontro fiducioso con un Dio rassicu­
rante, davvero in grado di compiere ogni riconciliazione, capace
dopo tutti i nostri tentativi e dopo il riconoscimento della no­
stra impotenza, di «consolarci in ogni nostra tribolazione»6, di
compiere ogni bene a cui saremo stati tenacemente affezionati7,
e alla fine in grado di «asciugare ogni lacrima»8.
“Mediante Cristo”9.
Questo atteggiamento di Dio verso l’uomo si rivela nell’esi­
stenza di Gesù, che lo riproduce nei suoi gesti e lo illumina con
5cf. Col 2,9
6cf. 2 Cor 1,4
7cf. Mt 25
8Ap. 21,4
9cf. 2 Cor 5,18

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IL RETTOR MAGGIORE 7
le sue parole. Egli riconcilia in sé l’umano e il divino: assume
l’uomo e lo riempie di Dio; fa di tutti noi “una sola creatura” ,
abbatte il muro di ogni divisione10 e raduna l’umanità che si
muove verso il compimento definitivo in una storia con alterne
vicende. Egli instaura la possibilità di un uomo e di una uma­
nità nuova, la propone con i suoi insegnamenti, la inizia nello
Spirito con la sua morte e Risurrezione.
Perciò annuncia la misericordia, chiede la conversione, ope­
ra la riconciliazione e la consegna alla sua Chiesa come dono e
missione: «Tutto questo proviene da Dio che ci ha riconciliato
con sé mediante Cristo e ha affidato a noi il ministero della Ri­
conciliazione»11.
Ci sono nel Vangelo molte scene di riconciliazione e di per­
dono dalle quali un’accurata lectio può estrarre infiniti tesori.
A noi, che prediligiamo la contemplazione di Gesù Buon Pasto­
re, tali scene colpiscono particolarmente, e volentieri ci fermia­
mo a rilevarne le caratteristiche.
La riconciliazione nei racconti del Vangelo è sempre iniziativa
di Gesù: non è la persona, uomo o donna, che per primo chiede o
desidera il perdono, ma Gesù che lo offre. La persona, caso mai,
si sente sotto l’oppressione del senso di colpa o della condanna
sociale. Sovente è mossa da un interesse per la propria salute, da
curiosità o da un interrogativo spontaneo e immediato.
È Gesù che si rivolge a Levi12; è Gesù che guarda verso Zac­
cheo e si invita a casa sua13. È Gesù che viene in difesa della
donna peccatrice14 e dell’adultera15. È Gesù che pronuncia il
perdono per il paralitico calato dal tetto in cerca della salute16.
È Gesù che guarda Pietro, già dimentico della sua infedeltà17.
10cf. Ef 2,14
112 Cor 5,18
12cf. Lc 5,27
13cf. Lc 19,5
14cf. Lc 7,48
15cf. Gv 8,10
16cf. Lc 5,20
17cf. Lc 22,61

1.6 Page 6

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8 ATTI DEL CONSIGLIO GENERALE
Il cammino di riconciliazione - questa è un’altra costante -
non incomincia con l’accusa delle colpe, ma col sentirsi “persone”
riconosciute, in un nuovo e inatteso rapporto, offerto gratuita­
mente, che illumina la vita e ne fa vedere allo stesso tempo le
deformità e le possibilità. All’origine del desiderio di riconciliazio­
ne c’è sempre l’impatto della parola o della persona che sveglia il
nostro letargo in un’esistenza depauperata e ci richiama all’essere.
Bisogna dunque andare oltre quella mentalità che si fissa sul­
le infrazioni o sul non adempimento dei propositi come l’elemen­
to principale che muove alla riconciliazione. È necessario invece
mettersi di fronte ai propri rapporti con Dio: se Egli conta per
noi, se ne sentiamo la presenza e l’azione nella nostra vita, se
aspettiamo molto da Lui, se ci interessa molto non perderlo.
La cosa più importante per noi e per la nostra attività pa­
storale è riconoscere, gustare e proclamare la misericordia di
Dio, e concentrare l’attenzione su di Lui, Padre di Gesù e no­
stro. La misericordia di Dio ricompone la storia che altrimenti
si disfa, e ristabilisce continuamente l’alleanza che la nostra
debolezza o dimenticanza trascura. Per questo l’esperienza del­
la riconciliazione nel Vangelo è sempre un’esperienza di sovrab­
bondanza di grazia, oltre il ragionevole, di gioia e pienezza. C’è
festa grande per chi si converte, con scandalo delle persone per­
bene. C’è versamento di profumi costosi, con rimostranze dei
risparmiatori. C’è un banchetto e ci sono inviti estesi a tutti,
con lamentele della gente seriosa. Ci sono scagionamenti di col­
pe, ingiustificati ad occhio d’uomo, senza garanzia, e una com­
prensione amorevole dell’umano che rasenta l’ingenuità.
Il contesto della riconciliazione è sempre di lode e di azione
di grazie. Ciò riproduce quanto cantano ripetutamente i salmi:
«Celebrate il Signore perché è buono; perché eterna è la sua
misericordia»18. «Benedici il Signore, anima mia... Egli perdona
tutte le tue colpe e guarisce tutte le tue malattie»19.
18Sal 106 (107)
19Sal 102 (103)

1.7 Page 7

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IL RETTOR MAGGIORE 9
La sinfonia di motivi con cui si ricama la riconciliazione,
come un avvenimento di rapporti e di vita piuttosto che come
un adempimento religioso, comunica quello che accade nel­
la persona quando scopre che ha valore per Dio ed è da Lui
amata.
Amore gratuito e prassi salesiana.
La grande mediazione e strumento di riconciliazione fu ed è
l’umanità di Cristo. Essa ha abbattuto tutti i muri e le distanze
tra Dio e gli uomini. Con essa la comunicazione di Dio con noi
ha raggiunto i massimi livelli possibili.
E questa una affermazione che ha applicazioni estremamen­
te concrete nella nostra vita e nella nostra prassi pastorale. Al
desiderio di riconciliazione si giunge difficilmente senza l’espe­
rienza umana dell’accoglienza. La prassi pastorale del Buon
Pastore dunque suggerisce di saper accettare con gratitudine
l’affetto che ci viene offerto e mostrare considerazione, stima e
ascolto delle persone. È questa la via che conduce a riesaminare
la propria vita e al desiderio di cambiamento.
Proprio ciò fa vedere come gli aspetti più luminosi del no­
stro carisma sono già “riconciliazione” . La caratteristica “pre­
ventiva” della nostra pedagogia è un riflesso immediato del cuo­
re misericordioso di Dio20 e quindi autentica attuazione umana
della riconciliazione che Egli è ed offre: la rivelazione cristiana
afferma infatti che Dio previene non solo in quanto Creatore,
ma anche come Redentore, perché solo per la sua iniziativa è
possibile all’uomo desiderare realisticamente i doni che da essa
provengono.
La «gratitudine al Padre per il dono della vocazione divina a
tutti gli uomini»21, di cui parlano le nostre Costituzioni, è la
commozione con cui ci accostiamo ad ogni giovane per quanto
20cf. Cost. 20
Cost. 11

1.8 Page 8

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10 ATTI DEL CONSIGLIO GENERALE
povero sia, sicuri che in lui c’è la nostalgia di una dignità più
grande, di un “paradiso” non così perduto che Dio non lo possa
di nuovo donare.
L ’amorevolezza che segna i nostri rapporti è manifestazione
sperimentabile del progetto e del desiderio di Dio, anche e pro­
prio per il ragazzo diffìcile che ha smarrito ogni traccia di una
possibile lieta comunione con le persone e la vita.
L ’ottimismo è il riconoscimento di quella intenzione divina
di felicità, mai disdetta, sempre presente in qualche pur mini­
ma traccia di bene, dal segnale magari ormai debolissimo, ma
che deve e può essere risvegliata anche con la semplice offerta
di simpatia umana, nella quale il divino e l’umano si “con-cre-
tizzano” e crescono insieme: rappresentazione di quella «uma­
nità e benignità del nostro Salvatore»22 per la quale incontrare
il Signore era vedere Dio.
La concretezza, l ’intraprendenza e la laicità del nostro stile
pastorale sono infine la forma più radicale della convinzione
che la paternità di Dio e la sua Signoria si manifestano e si ren­
dono credibili nei segni della liberazione dal male e nell’offerta
di vita degna per tutti. Dovunque si produca la cura di un pic­
colo, lì Dio è benedetto: per questo l’adempimento lucido della
nostra missione di evangelizzazione-promozione-educazione
verrà ad essere riconciliazione anche dove questa, per mille mo­
tivi, non è richiesta né voluta né sognata né tematizzata come
tale: riconciliazione come grazia preveniente, elargita «ancora
quando eravamo peccatori»23.
Il Regno si fa già presente nell’accoglienza del bisogno gio­
vanile, dal “ sai fischiare” al “catechismo” , senza soluzione di
continuità, senza steccati, senza contrapposizioni o gelosie.
Una riflessione analoga si può portare anche sulla vita delle
nostre comunità, e spero che la facciate. È un riflesso di Dio, ed
è saggezza umana, il fatto che nelle nostre relazioni tutto passi
22Tt 3,4 (Volg)
23Rm 5,8

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IL RETTOR MAGGIORE 11
preferenzialmente attraverso la logica del cuore, lo spirito di
famiglia e di carità, la stima e la fiducia reciproche24.
È proprio vero che la riconciliazione passa di più nell’umiltà
e nel coraggio di fare il primo passo e meno nell’attesa, più o
meno arroccata, dell’altro. Ed è soprattutto vero che le vie della
riconciliazione si percorrono dentro relazioni in cui l’altro si
sente più promosso che giudicato.
Approfondire lo spirito di famiglia in vista dei percorsi di ri­
conciliazione significherà dirci con concretezza cosa sia per noi,
oltre il formale, comunicazione fraterna e silenzio, iniziativa e
pazienza, schiettezza e correzione fraterna. Più radicalmente,
osservando tante situazioni comunitarie ci domandiamo: quan­
to bisogna imitare l’amore preveniente di Dio e la bontà del
Buon Pastore per risollevare un confratello amareggiato, delu­
so, ferito dalla vita, risentito per molti torti fatti o subiti? Come
si fa a ridare vita a chi è così “mortificato” da non sentire più in
sé risorse di riscatto?
2. L’AMORE PORTA AL GIUDIZIO
L’incondizionata gratuità di Dio, il fatto che «Dio è luce e in
Lui non ci sono tenebre»25, sbarra la strada ad una interpreta­
zione della bontà di Dio ridotta ad un semplice “non far caso” ,
ad una identificazione del perdono come un “non dare impor­
tanza” , a un condono della colpa che non sia vera distruzione
del male, ad una comprensione della misericordia disarticolata
dalla giustizia, ad un pensiero della giustificazione che non
comporti alcun giudizio sui nostri orientamenti, atteggiamenti
e azioni.
È questa una considerazione che va maturata gradualmente,
ma deve subito essere chiaro che se la misericordia è qualcosa di
cf. Cost. 65
251 Gv 1,5

1.10 Page 10

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12 ATTI DEL CONSIGLIO GENERALE
precedente, gratuito, assoluto e totale, proprio questo rende
radicalmente inaccettabile il male.
Il male, specialmente nella sua forma più estrema, cioè il
peccato, in nessun modo si può integrare nel contesto di amore
e di dono che la nostra vita fa emergere e che noi scorgiamo nel
pensare Dio. Il male risulta sempre disintegrante. La percezio­
ne della sua malvagità sarà tanto più acuta quanto più è susci­
tata da una radicale esperienza del bene.
Perciò la riconciliazione, l’essere amati incondizionatamen­
te, non toglie, ma anzi fonda un giudizio sulle nostre intenzioni
e azioni. L’amore gratuito di Dio, insieme preveniente e miseri­
cordioso, non elimina né alleggerisce o contraddice l’esigenza
etica nell’agire dell’uomo: ne mette anzi un fondamento più
saldo e assoluto, lo rende lucido e lo compie. Non cancella la
considerazione delle contraddizioni umane, ma insegna come
smascherarle, come governarle e come superarle.
Il dono e la conoscenza della vita di Dio, proprio perché con
Gesù si sono fatti carne, devono diventare vita dell’uomo. Il no­
stro desiderio di riconciliazione e l’appello alla misericordia di
Dio non andranno dunque interpretati confinando l’etico nel
soggettivo, quasi non ci fossero riferimenti per distinguere ciò
che è bene e ciò che è male, né secondo quel “debolismo” dila­
gante che rende impossibile la determinazione di qualsiasi bene
che non sia il solo riconoscimento dell’esistenza, libertà e spa­
zio dell’altro.
La gratuità di Dio non è dimenticanza o sospensione della
giustizia, né semplice amichevolezza (assenza di giudizio): per
Lui “non c’è bontà senza giustizia” !
Dio misericordioso e giusto.
Anche questo aspetto va illustrato alla luce della Parola in
un passaggio di millennio caratterizzato da una molteplicità di
immagini di Dio, spesso confezionate all’insegna della sogget­
tività. Quando Dio parla all’uomo, parla a “ questo” uomo, non

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2.1 Page 11

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IL RETTOR MAGGIORE 13
parla mai in maniera astratta. La Rivelazione è subito peda­
gogia: illuminazione della realtà, proposta di vera vita, tempo
della lunga pazienza, amorevole assunzione da parte di Dio del­
la durezza del nostro cuore.
Per questo la Scrittura parla tanto dell’amore di Dio quanto
della sua ira; per questo Jahvè è un Dio tenero e geloso, è detto
ricco di grazia ma anche lento all’ira. Per questo Gesù racconta
le parabole del Regno, unilateralmente luminose, ma anche
quelle del rifiuto, chiaramente tenebrose; per questo Gesù è la
novità assoluta, ma come compimento, e per questo il supera­
mento della Legge Antica è il Comandamento dell’Amore. Per
questo esiste un Antico e un Nuovo Testamento e, nel Nuovo
Testamento, una tensione fra il pre- e il post-pasquale; per que­
sto la Risurrezione è l’esito della Passione.
Per comprendere le vie della riconciliazione, si tratterà di
articolare queste dialettiche, non di eliminarle. La nostra medi­
tazione e il linguaggio religioso dovranno avere altrettanta cura
di parlare bene di Dio quanto di rivolgersi realisticamente al­
l ’uomo, annunciare l’incondizionata accoglienza divina ed indi­
viduare le situazioni dell’umano rifiuto, illustrare l ’affidabilità
di Dio e denunciare l ’incredulità dell’uomo.
Un annuncio o una catechesi troppo “ ottimistica” (che mi­
nimizza cioè la responsabilità dell’uomo) può essere tanto dan­
nosa quanto l’opposta versione “pessimistica” . L’offerta del per­
dono è sempre da coordinare con la necessità del pentimento,
antecedente o conseguente, riconosciuto o suscitato che sia.
Ci vuole in tutto questo una grande sorveglianza nella rifles­
sione e nella parola. L’amore e l’ira di Dio non stanno sullo stes­
so piano, così come non vi stanno la salvezza e il giudizio, lo
sciogliere e il legare, il rimettere e il ritenere, il denunciare e il
perdonare, le coccole e i castighi. Una matura riflessione perso­
nale e un buon annuncio articolerà i termini di queste polarità
seguendo i criteri della compresenza e dell’asimmetria. Mostrerà
come l’ira è una modalità dell’amore, come si lega per poter poi
sciogliere, come i “no” sono funzione di “ sì” più grandi. E farà

2.2 Page 12

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14 ATTI DEL CONSIGLIO GENERALE
vedere che da qui hanno origine ogni riuscita, ogni rischio e ogni
fallimento in campo educativo, in cielo e sulla terra.
Sul nodo di salvezza e giudizio, sulla compresenza e l’asim­
metria dei due termini, la dottrina cristiana è estremamente
istruttiva: non infanga l’immagine di Dio presentandolo come
un giudice “obiettivo e lontano” ; ma non deresponsabilizza
l’uomo.
Ogni affermazione cristiana trova il suo nucleo nella Pasqua
del Signore, dove avviene che il nostro Giudice è il Redentore!
Per questo i cristiani affermano l’esistenza tanto del Paradiso
che dell’inferno. Sanno però, per dichiarazione autorevole della
Chiesa, che nel primo ci sono molti fratelli e sorelle, mentre
non sanno di sicuro se nel secondo ce ne sia qualcuno. Nessuno
parte da questo mondo con segni di una sicura condanna.
Volontà salvifica universale e possibilità di un estremo rifiu­
to sono entrambe affermate, ma come asimmetriche: l’una è la
realtà più stabile che esista, l’altra una possibilità che Dio non
si augura proprio; l’una è positiva offerta di Dio, l’altra solo un
eventuale esito da Lui subito.
Il senso del peccato.
Quanto veniamo dicendo ha la sua ricaduta evidente sulla
nostra vita. Nulla è più imperioso dell’amore! La cosa più grave,
nei fatti come nella coscienza, è aver ferito un vero e grande
amore. E così di seguito: aver fatto del male ad una persona
buona, aver fatto soffrire un innocente, aver contraffatto una
verità, aver disprezzato qualcosa di indifesamente bello, questo
è ciò che innesca i sensi di colpa più violenti. “ Nel paradiso e
nell’inferno brucia lo stesso fuoco: il fuoco dell’amore di Dio”
(Urs Von Balthasar), amore accolto, in un caso, rifiutato nel­
l ’ altro.
Un discorso sull’amore di Dio è necessario, ma non suffi­
ciente. Se si vuol parlare responsabilmente di riconciliazione,
ci si deve far carico delle contraddizioni del male e della colpa

2.3 Page 13

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IL RETTOR MAGGIORE 15
umana. Se l’amore è l’orizzonte ultimo della vita di Dio e del­
l’uomo, che conseguenze ha vivere con addosso un amore
rifiutato o ignorato e che liberazione ci può essere per tale
situazione?
Ora, questa situazione di rifiuto si rinnova da sempre ed è
incombente per tutti. Molte sono le divisioni che si producono
nel cuore e nella vita degli uomini. Ne potremmo enunciare
una lunga lista su misura macro, media e piccola, presenti nel
contesto storico o nelle nostre comunità.
Negli ultimi documenti della Chiesa si additano le macrocon­
seguenze del male: la violazione della dignità umana, la discri­
minazione razziale, sociale, religiosa, la prepotenza del potere
politico ed economico, la violenza e le aggressioni belliche, lo
sfruttamento dei poveri, l’ingiusta distribuzione della ricchezza,
la corruzione nell’amministrare i beni comuni. La divisione, la
contrapposizione e persino l’odio hanno messo radici nella
coscienza dopo avvenimenti storici impensabili, eppure accaduti.
Poiché l’orizzonte educativo è a noi connaturale, mi limito
al panorama giovanile, soffermandomi non tanto sui fenomeni
più vistosi spesso commentati, come le forme estreme di evasio­
ni, la conflittualità sociale irrisolta o il libertinaggio, il cui po­
tenziale distruttivo si vede ad occhio nudo.
Vengo piuttosto alle divisioni più interiori, che, secondo l’i­
struzione di Gesù, sono la radice delle altre più appariscenti. Il
panorama giovanile si presenta ricco di incroci fra possibilità e
carenze. Ci troviamo infatti con generazioni lacerate fra spinte
e controspinte, contraddittorie e irriconciliate: i giovani d’oggi
sono individualisti e solidali, consumisti e spiritualisti, raziona­
listi e casual, divisi fra affetti ed effetti, emozioni e responsabi­
lità, estetica ed etica; più da vicino, sono sensibili ai temi della
pace, ma si impegnano di meno sul fronte della giustizia; sono
alluvionati di informazioni, ma sono deboli nella riflessione;
hanno il senso acuto della libertà, ma sono sempre più incapaci
di decisione; si accendono al discorso sui valori, ma sono reatti­
vi al richiamo delle loro esigenze incondizionate; sono aperti e

2.4 Page 14

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16 ATTI DEL CONSIGLIO GENERALE
apparentemente disinibiti nelle relazioni, ma fanno molta fati­
ca a gestire le conflittualità in termini non regressivi; ricono­
scono l’importanza del corpo, ma poi lo rendono terreno di spe­
rimentazione indiscriminata, sottratta alla responsabilità etica;
non fanno fatica ad ammettere che ci sia un Dio, ma non sop­
portano che Egli abbia un volto: lo vogliono “fai da te” e su pro­
pria misura.
Più formalmente, soffrono ancora dei residui moderni del
dissidio fra libertà e legge, fra spontaneità e regola, intuizione e
procedimento, corpo e anima, identità personale e appartenen­
za culturale.
Si può fare una descrizione analoga di quello che avviene a
noi come consacrati singoli e come comunità. Contraddizioni,
divisioni tra espresso e praticato, incoerenze tra esigito e pre­
stato sono all’ordine del giorno. Il trascurare la vigilanza nel
valutare non va per caso oscurando l’esperienza medesima del­
l’amore di Dio così lucidamente confessata e professata?
Ecco perché la cura nell’unire e nel distinguere accoglienza
e responsabilità, dono e debito, è un’indicazione culturale e pa­
storale davvero urgente: riconciliazione significa in questo sen­
so elaborare noi e ridare ai giovani una sapienza capace di uni­
ficare le polarità di cui la vita è costituita e di medicare le ten­
sioni negative che lasciano l ’animo diviso.
Penso che non sia necessario commentare a lungo quanto
questo si rapporti con il “ senso del peccato” il cui allentamento
fino alla sparizione in vasti settori si lamenta oggi, non senza
ragione. «Ristabilire il giusto senso del peccato è la prima for­
ma di affrontare la grave crisi spirituale che incombe sull’uomo
del nostro tempo»26.
La maturità di giudizio a cui porta l’amore consiste proprio
nel percepire le possibilità che offre la vita e i corrispondenti ri­
schi che incombono su di essa. Il cogliere soltanto una di queste
dimensioni è distorsione visuale e in fondo infantilismo. Ogni
26Reconciliatio et Poenitentia, 18

2.5 Page 15

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IL RETTOR MAGGIORE 17
bene ha il suo contrario che gli si oppone nel più profondo di
noi stessi e nel mondo che ci sta attorno: amore e odio, impegno
e indifferenza, rettitudine e slealtà... in fondo, luce e tenebre,
vita e morte.
Ristabilire il senso del peccato in noi e in coloro ai quali si
rivolge il nostro ministero comporta di cogliere il riferimento
che i nostri atteggiamenti e le nostre azioni hanno con l’amore
di Dio e l’incidenza che il nostro rapporto con Dio ha sui fratelli
e sul mondo; di conseguenza comprendere il potenziale distrut­
tivo che il male ha anche quando gli facciamo spazio in quelle
azioni oggi considerate “private” e assumerci la responsabilità
dei suoi effetti su di noi e sulla storia piccola e grande.
La formazione della coscienza.
L’ambiente in cui siamo immersi ci porta, quasi senza che ci
rendiamo conto, ad una certa indifferenza di fronte al male mo­
rale, ad un livellamento di valutazione e quindi a diminuire la
colpevolezza e la vigilanza. Se ne vedono di tutti i colori e non
si fa gran caso. Ci siamo come abituati al fatto che ciascuno si
scelga la sua forma di vita, purché non violi le norme della con­
vivenza e i diritti altrui.
Il giudizio corrente in merito a tendenze e comportamenti
viene fondato spesso su ragioni immediate: statistiche, vantaggi
personali, situazioni di difficoltà. L’analisi delle culture ha fatto
vedere quanto dipendano da esse normative che si credevano
assolute. Il senso del pudore, il rispetto dell’autorità, una certa
forma di matrimonio, l’espressione della sessualità sono state
relativizzate, giudicandole mutevoli e non perennemente obbli­
ganti.
Il senso di Dio è diventato debole. La sua immagine si è
oscurata nella coscienza personale e sociale di molti. Ciò rende
difficile pensare che le azioni umane abbiano a che vedere con
la volontà di Dio. Badiamo a non scontrarci coi vicini e a non
offendere coloro che ci stanno attorno.

2.6 Page 16

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18 ATTI DEL CONSIGLIO GENERALE
Lo studio dei comportamenti umani attribuisce “i sentimen­
ti di colpa” al tipo di personalità, all’educazione familiare, al­
l’ambiente sociale. Se ne sottolineano i condizionamenti e l’ur­
genza di liberarsene, piuttosto che il richiamo alla responsabi­
lità che possono contenere.
È venuto creandosi uno scollamento tra morale “privata” e
morale “pubblica” , per cui molte cose persino di rilevanza so­
ciale si lasciano ormai alle scelte individuali: aborto, eutanasia,
divorzio, omosessualità, fecondazione. Su tutto questo, in ambi­
to sociale ed anche educativo, si dà una sensibilizzazione, ma
spesso riguarda soltanto i rischi e le precauzioni da prendere;
non offre un fondamento etico solido, tanto meno con riferi­
mento trascendente.
Tutto ciò influisce sui giovani come una nube tossica. Non
c’è da stupirsi che appaia in loro un insieme di sintomi e riflessi
della cultura che respirano. La loro formazione morale risulta
frammentaria. Prendono infatti criteri e norme da diverse fonti:
dalla famiglia e dalla scuola, dai rotocalchi e dalla TV, dagli ami­
ci, dalla propria riflessione. La scelta spesso è dettata da prefe­
renze soggettive.
Nello stesso senso l’ambiente influisce sugli adulti, religiosi
ed educatori, se la lettura attenta della Parola di Dio e il discerni­
mento non li mantiene vigilanti. Si può smorzare la sensibilità.
Passiamo così, quasi seguendo la legge del pendolo, da una prece­
dente mentalità severa e colpevolizzante ad un’altra di segno op­
posto, “allegra” e qualunquista; dall’aver visto il peccato in tutto
a non vederlo più in niente e in nessuno; dall’aver sottolineato i
castighi che il peccato merita, al presentare un amore di Dio sen­
za responsabilità da parte dell'uomo: la sorte di questo sarebbe
“uguale” , qualunque risposta dia al suo Signore; dalla severità
nel correggere la coscienza erronea a un rispetto che non si
preoccupa nemmeno di formarla; dai dieci comandamenti impa­
rati a memoria, a non insegnare più una vita cristiana coerente.
Essere “cristiani adulti” , “veri educatori della fede” , evan­
gelizzatori realisti significa: non misconoscere o dissimulare la

2.7 Page 17

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IL RETTOR MAGGIORE 19
presenza del male, nella vita privata e sociale ed essere consa­
pevoli delle sue capacità distruttive; sapere che Cristo ha vinto
ogni male e ci dona ogni bene; saper individuare il male nelle
sue radici e nelle sue manifestazioni, illuminati dalla Parola di
Dio; essere consapevoli che, con la sua incarnazione, passione,
morte e risurrezione, Gesù ci indica la via per superarlo: affida­
mento a Dio, resistenza, vigilanza, lotta intellettuale, morale,
spirituale.
Giudizio e vita salesiana.
Dal punto di vista del nostro carisma, mi limito a richiama­
re come risultava splendido l’equilibrio personale, pastorale e
pedagogico di Don Bosco che noi siamo chiamati a continuare e
attualizzare. Egli educava con la parola all’orecchio e con la cu­
ra dell’ambiente, con l’affetto personale e con un preciso rego­
lamento; era prete da cui ci si sentiva preferiti e maestro capa­
ce di proporre, far capire e assimilare le esigenze della vita co­
munitaria e della missione, attento a valutare con saggezza e
prodigio di energia imprenditoriale.
Quanto alla riconciliazione, appaiono in Don Bosco tanto
l’intuizione della qualità promuovente che per sua natura ha il
bene, quanto l’acuta percezione del disastro prodotto dal pecca­
to, fino alla somatizzazione! Notevole, nella linea di quella du­
plice attenzione che abbiamo chiamato compresenza e asimme­
tria tra grazia e giudizio, è il fatto che Don Bosco, nel suo codi­
ce narrativo, parla sempre in recto del bene, si esprime invece
sempre in figura (sogni, elefanti, mostri, immagini, accenni...)
a proposito del male, affermando così la giustizia di ogni opera
buona e l’ingiustificabilità di ogni opera malvagia. D’altro can­
to, di questo suo modo di esprimersi fece una precisa indicazio­
ne pedagogica per i suoi seguaci.
La logica del cuore non annulla il dovere della responsabilità
e lo spirito di famiglia non elimina il servizio dell’autorità. Caso
mai, la sostiene: da una parte perché è proprio un frutto dello

2.8 Page 18

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20 ATTI DEL CONSIGLIO GENERALE
spirito di famiglia quello di favorire la schiettezza nel correggere
e l’apertura alla correzione; d’altra parte perché l’abdicazione al
servizio di autorità porta le tensioni a livelli insopportabili e
rende spesso praticamente impossibile arginare il male di tipo
individualistico, disfattista e regressivo.
Il servizio di autorità come capacità di orientamento, richia­
mo e correzione è un sacrificio, ma è in favore del bene comune,
è retto da uno sguardo realistico sulle cose, è indispensabile in
tutte quelle situazioni in cui le vie della persuasione vanno ado­
perate o sono state percorse e vanificate.
Questo pensiero sorge dalla considerazione delle tensioni
che si vivono nelle nostre comunità, per ragioni generazionali
di compatibilità o di difficile collaborazione: quello che a volte
sembra di vedere sono limpide obbedienze a cui non corrispon­
de un riconoscimento affettivo e chiare disobbedienze a cui non
segue un provvedimento effettivo. In altre parole: spesso non si
sa come tenere insieme la giustizia e la bontà.
Ora, la chiarezza della propria posizione vocazionale/comu­
nitaria e la rettitudine nell’esercizio del proprio ruolo sono la
premessa per un migliore discernimento spirituale, e dunque
per cammini di riconciliazione insieme più giusti e più buoni.
3. CONVERSIONE E VITA NUOVA NELLO SPIRITO
Uniamo in questo terzo passaggio i due punti precedenti,
anticipando anche questa volta quello che vogliamo suggerire:
la riconciliazione comporta il discernimento in due direzioni:
uno “ scavo nel passato” , per scoprirvi le tracce dell’amore di
Dio e del bene che esso ha depositato in noi e per rinnegare tut­
to quello che da parte nostra è stato incredulità, ingratitudine,
durezza, paura, violenza; e un “ collocarsi nel futuro” come affi­
damento alla forza rinnovatrice dello Spirito, riconoscimento e
accettazione di quel più di amore, di comunione e di perdono
che la vita ci chiede, come appello alla nostra libertà, come re­

2.9 Page 19

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IL RETTOR MAGGIORE 21
sponsabilità del nostro essere preceduti, avvolti, accompagnati
e attesi dall’amore divino.
Quando dico “ discernimento” non penso a qualcosa soltanto
di “intellettuale” , ma al “ cuore” biblico, al centro dell’anima
nel momento in cui si decide, si risolve, si determina nel bene
davanti a sé e ai fratelli, ultimamente davanti a Dio.
“ Riconciliazione” è una parola di totale significato positivo,
ma che denota il superamento di qualcosa di negativo. Da sem­
pre l’uomo è distruttore di alleanze d’amore e per questo l’amo­
re umano è sempre accompagnato da una riconciliazione. I cri­
stiani non sono né pessimisti né ottimisti riguardo all’uomo:
guardano semplicemente alla storia immediata e ampia, anche
perché è in essa che Dio si è rivelato; pensano dunque a una
bontà originaria dell’uomo in termini reali, cioè limitata e
smarrita; pensano al peccato originale come continuamente
riattivato dal peccato personale, nonostante sia scorso il sangue
di Cristo.
I vantaggi di una tale comprensione sono notevoli, perché
c’è grande differenza fra lo stare al mondo pensando che tutti
siano buoni e che tutto debba funzionare, e così la vita è lo spa­
zio di mille delusioni, e lo stare al mondo sapendo che va come
può, ma cercando di far succedere il più possibile il miracolo
dell’amore, e così la vita è lo spazio di liete sorprese!
A ragione dunque insistiamo sull’educazione all’amore. Ma
educare all’amore è insegnare a mettere in conto il perdono,
la ricomposizione, il riavvicinamento e la riconciliazione quali
modalità in cui l’amore si rende possibile e concreto.
Correlativamente educare ed educarsi alla fede è non tanto
acquisire o comunicare la conoscenza che Dio ci è Padre, ma
un ritornare a Lui. L’atto di fede è un superare l’incredulità,
qualunque forma teorica o esistenziale essa abbia preso.
C’è già lì una distanza da superare, per poter accogliere la
venuta di Dio. Non a caso il disporsi ad accogliere il lieto mes­
saggio è segnalato da Gesù in maniera a ben guardare sor­
prendente: «Il tempo è compiuto e il Regno di Dio è vicino:

2.10 Page 20

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22 ATTI DEL CONSIGLIO GENERALE
convertitevi e credete al Vangelo»27. La conversione apre la
porta della fede.
L’annuncio della tenera paternità di Dio non può essere
fatto che nella forma di invito a un ritorno. Può sembrare duro,
e invece è incoraggiante e soprattutto evangelico, perché vuol
dire che nessuno è mai sottratto all’offerta della paternità di­
vina: tutti sono attesi e possono ancora attingervi e goderne
senza misura.
Il ritorno a Dio.
L’occasione straordinaria del Giubileo per l’inizio del millen­
nio ci invita ad andare a fondo piuttosto che navigare sulla su­
perficie dei fenomeni. San Paolo, nel seguito del testo collocato
come titolo di questa lettera, supplica: «Lasciatevi riconciliare»28,
indicando così che la riconciliazione è risposta all’iniziativa di
Dio.
Ci chiediamo: perché la Riconciliazione è qualcosa che l’uomo
non può trovare da sé, ma è innanzitutto un’opera di Dio? Per­
ché il compito dell’uomo è la fede, cioè entrare in un perdono of­
ferto, corrispondere ad un’iniziativa di Dio? Cosa abbiamo fatto,
che cosa abbiamo rovinato, da aver reso tanto difficile, anzi im­
possibile, contando con le nostre sole forze, la comunione con Dio
e tra noi uomini? Per quale ragione la storia della salvezza è il
desiderio di Dio di fare alleanza con l’uomo, e dunque di raggiun­
gere una reciprocità d’amore, eppure questa deve sempre essere
riproposta dall’unilaterale ostinazione dell’amore di Dio? In ter­
mini più radicali: perché la nuova ed eterna alleanza è sigillata
nella solitudine di Gesù sulla croce? Che cosa si produce nel dina­
mismo della libertà umana in seguito al peccato? E perché si è
prodotto da sempre qualcosa come il peccato, cioè sospetto, rifiu­
to, orgoglio, autosufficienza, incredulità, anche a carico di Dio?
27Me 1,15
282 Cor 5,20

3 Pages 21-30

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3.1 Page 21

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IL RETTOR MAGGIORE 23
Un primo elemento di risposta è questo: la vertigine che fa
precipitare nel male è il desiderio del nostro bene! La riconci­
liazione è cosa delicata perché ogni divisione insorge su una
certa percezione e attesa del bene. Non a caso Gesù ci ha inse­
gnato a pregare ponendoci sulle labbra l’invocazione «non ci in­
durre in tentazione»29, cioè, non fare in modo che l’apprezza­
mento dei tuoi stessi doni ci faccia dimenticare il legame con Te
che sei il Donatore.
Questa vertigine è indicata dalla Scrittura nella sollecitazio­
ne del tentatore: «Diventerete come Dio»30: è una tentazione
sottile perché si innesta nell’intenzione di Dio di crearci come
suoi figli, metterci al mondo come vere libertà. Infatti che l’uo­
mo desideri in certo modo “ tutto” , è ciò che Dio stesso gli ha
messo in cuore; ma è un attimo interpretare questo come “ ave­
re tutto” , piuttosto che come “ricevere tutto” ; ed è un attimo
pensare la libertà come pura autonomia invece che come dono:
nel primo caso si produce uno svincolamento, nel secondo caso
un ringraziamento; nel primo caso la vita è solitudine, nel se­
condo è gratitudine. L’albero del bene e del male sta proprio a
suggerire questo voler avere senza ricevere, questo essere senza
appartenere, questo valutare senza riferimenti.
C’è un secondo elemento di risposta alla domanda sulia diffi­
coltà dell’uomo a riconciliarsi: l’interdizione del frutto dell’albero
è nella mente di Dio il suggerimento della differenza fra Creatore
e creatura. È questo un suggerimento positivo perché garantisce
e custodisce la consistenza originale della creatura; questa è
chiamata a stabilire un rapporto, a entrare in un dialogo con
Qualcuno che la vuole fino a farla nascere. Il serpente però sug­
gerisce che questo sia sottrazione di una qualche importante quo­
ta di libertà e felicità, e questo riesce ad oscurare tutto il “ ben di
Dio” che l’uomo ha pure a sua disposizione: sospetto, diffidenza,
incredulità a carico di Dio, immagine di Lui ormai oscurata.
28Mt 6,13
30Gn 3,5

3.2 Page 22

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24 ATTI DEL CONSIGLIO GENERALE
Contro tutto questo ogni religione, cristianesimo compreso,
deve continuamente lottare. Però, mentre ogni religione è
obiettivamente segnata da questa realtà, il cristianesimo ne è
invece escluso: Gesù è l’uomo senza incredulità, il Figlio, la sin­
tesi di libertà e appartenenza. E ciò è già indicato in Genesi 3,
dove è adombrata la futura vittoria che viene dalla discendenza
della donna31, giustamente chiamato “ Protovangelo” perché
preannunzia il cuore della salvezza, “l’opera che dobbiamo fa­
re” per salvarci: avere fede, riprodurre nel nostro umano affi­
damento a Dio e proporzionalmente negli umani rapporti di fi­
ducia la stessa “fede di Gesù”32.
La parabola del padre misericordioso descrive le due possibi­
li riconciliazioni a partire dalle due macro-patologie della fede:
l’autosufficienza ingrata e l’insoddisfazione risentita, la fuga e
la schiavitù, la lontananza e l’aridità del cuore, in ogni caso una
paternità fraintesa. Chi potrebbe dire che non ci riguardano?
Il figlio minore sente la brama di avere la propria parte; il
figlio maggiore lavora onestamente nella casa del padre. Ma per
quale ragione il minore dovrebbe interpretare lo stare a casa
come sottrazione di felicità, e il maggiore come sottrazione di
libertà? Perché il minore non ha pensato che l’eredità era al
sicuro esattamente nel cuore e nella casa del padre; e perché il
secondo non ha pensato che il capretto se lo poteva prendere
quando voleva («quello che è mio è tuo»33)? Quanto costerà,
quanto sarà facile o difficile la riconciliazione per un cuore
diffidente e per un cuore risentito? Gesù suggerisce che è così
poco facile che il Padre deve mettere in gioco ancora una volta
la sua iniziativa, il suo amore preveniente: al minore «corse
incontro e lo abbracciò»34; riguardo al maggiore, «il padre uscì a
pregarlo»36.
31cf. Gen 3,15
32Gv 6,28-38
33Le 15,31
34Le 15,20
35Le 15,28

3.3 Page 23

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IL RETTOR MAGGIORE 25
Ma proprio in questo modo Gesù suggerisce che è anche
tutto molto facile: se l’iniziativa è del Padre, allora il nostro
compito è solo quello di “ lasciarci riconciliare” , di entrare nel
perdono di Dio!
Siamo comunque avvertiti per sempre di un duplice aspetto
drammatico che di volta in volta dovremo attraversare: l’inca­
pacità del figlio minore di operare da sé il passaggio dal rimorso
al pentimento, e l’esito sospeso dell’atteggiamento del figlio
maggiore che si produrrà purtroppo fuori dal racconto, e sarà la
condanna a morte di Gesù.
La salvezza alle radici del male.
Le dinamiche che innescano ogni divisione nella vita delle
persone sono le stesse che Genesi 3 e Luca 15 descrivono. L’in­
credulità e i cattivi rapporti che ne seguono, la convinzione che
la felicità va più conquistata che ricevuta, che più che affidarsi
è meglio cavarsela da soli, che le ragioni dell’amore non sono
poi così genuine come sembrava, sono le conseguenze del male
che vanno configurando i nostri cuori ed i nostri rapporti.
Tutti i bambini a un certo punto, dopo aver ricevuto tutto,
fanno l’esperienza di sentirsi dire qualche “no” . Per loro quei
“no” sono una crisi di adattamento, per i genitori una semplice
modalità del “ sì”, quella giusta qui e ora. Per i genitori comun­
que è un rischio e per i piccoli un bivio drammatico: è un atti­
mo rendere ambigua e inaffidabile la figura del padre o confer­
marla come luminosa e affidabile; è un attimo dire: «lo fa per il
mio bene», oppure: «mi toglie una quota di felicità».
Similmente tutti i bambini fanno la scoperta dolorosa di
non essere un centro esclusivo e solitario dell’attenzione e del­
l’affetto. Ma perché tale scoperta viene vissuta sotto il segno
della gelosia e del disagio piuttosto che della gioia? Perché risul­
ta subito diffìcile essere ospitali e generosi? Perché gli psicologi
registrano che l’oblatività, se pure ha qualche debole segnale
fin da subito, in realtà è piuttosto un obiettivo?

3.4 Page 24

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26 ATTI DEL CONSIGLIO GENERALE
È chiaro che tutto questo è già compito di riconciliazione: si
tratta di imparare a stare al mondo nella logica dell’amore più
che in quella dell’egoismo, più nello stile della circolazione dei
doni che in quello dell’accaparramento. Ma quante esperienze
deve fare e quante decisioni interiori deve prendere un ragaz­
zo, un giovane, un adulto per convincersi che l’amore si molti­
plica, non si divide, che l’amore fa spazio all’altro senza che
nessuno perda il proprio, che nell’amore non c’è timore perché
nell’amore vero nessuno è troppo povero e nessuno è troppo
ricco!
Se questa è la tentazione, la prova radicale della vita già in
noi stessi, essa viene resa forte e difficile da superare dalle for­
me più evidenti e più diffuse del male: ci sono genitori obietti­
vamente inaffidabili, ci sono famiglie disfatte, amici che tradi­
scono; ci sono legami tessuti per interesse, ci sono errori fatti in
buona fede, c ’è l’esperienza del fraintendersi, del non compren­
dersi, ci sono cose che fanno davvero paura in questo mondo;
c’è il detto “ fidarsi è bene, non fidarsi è meglio” , ci sono senti­
menti e gesti cattivi; c ’è l’odio e la vendetta, c ’è l’accaparra­
mento dei beni e lo sfruttamento dei deboli, ci sono gli omicidi e
i genocidi.
La riconciliazione, qui nel senso più largo del termine, risul­
ta difficile, perché non può essere regressivo desiderio dell’utero
materno, un ritirarsi a un’oasi tranquilla, ma deve realistica­
mente coniugarsi con i compiti della giustizia, con le giuste
rivendicazioni, con la denuncia del male, con la difesa del po­
vero e dell’innocente, con la neutralizzazione del prepotente,
con il paziente lavoro di costruire la pace e la solidarietà.
Risvolti salesiani.
Tra i possibili risvolti salesiani, mi sembra di capitale im­
portanza leggere, alla luce di queste riflessioni sul difficile com­
pito della riconciliazione, la profonda saggezza del “non basta
amare” di Don Bosco: il surplus espressivo che l’amore richiede

3.5 Page 25

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IL RETTOR MAGGIORE 27
nel nostro carisma è proprio motivato dal fatto che per un cuo­
re ferito, come può essere quello di un ragazzo povero o di un
confratello provato, non è facile tornare a nutrire in sé quella
fiducia che è all’origine di una risposta; allora l’amore dell’edu­
catore o del confratello cerca di sconfiggere ogni sospetto con
quella strategia rassicurante che è l’offerta di affetto così gra­
tuito e manifesto da vincere ogni riserva.
La cosa sorprendente è che ogniqualvolta avviene un con­
tatto di simpatia, come quello che Don Bosco descrive nel rap­
porto coi suoi ragazzi, i cuori si sciolgono anche molto in fretta.
Ne vengono due insegnamenti: il primo è che la riconciliazione
è così attesa che quando è offerta e favorita, piuttosto che ri­
chiesta e pretesa, subito si produce! E il secondo è che l’educa­
tore che usasse la potenza degli affetti in maniera strumentale
o seduttiva produrrebbe un disincanto, un cinismo, una violen­
za che può non avere eguali. Non c ’è infatti esperienza più
brutta del tradimento, perché la smentita della fiducia si pro­
duce là dove uno aveva fatto, magari già con fatica e trepidazio­
ne, il massimo investimento affettivo.
Quale impegno pedagogico sia richiesto agli educatori oggi
per far fronte al consumismo affettivo che innesca i cuori con la
seduzione dell’amicizia, del calore, della comprensione, del dia­
logo, oppure anche solo come gioco ludico, come solletico emo­
zionale, ma fuori da una responsabilità e da un impegno di vita,
è fin troppo facile intuirsi.
Per quanto riguarda le comunità, abbiamo bisogno di visua­
lizzare meglio i grandi temi della nostra spiritualità. Lo sforzo
dovrebbe essere quello di lavorare molto di più e molto più co-
munionalmente su ciò che sta a metà strada fra l’indicazione
generale di un progetto e il particolare dettaglio di un itinera­
rio, cioè su esperienze fiorite dalla vita e ora proponibili in ma­
niera più estesa.
La miglior premessa ad ogni riconciliazione è l’annuncio e
l’esperienza della gratuità: il coraggio del perdono può nascere
solo sulla riscoperta che il mondo non è fondato sul calcolo ma

3.6 Page 26

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28 ATTI DEL CONSIGLIO GENERALE
sulla donazione! E non c’è catechesi, lezione scolastica o evento
ludico che non si presti a rendere i giovani attenti a quanto nel
mondo esista per puro dono.
In questa linea, Don Bosco diceva che il fiore più bello che
può sbocciare nel cuore di un ragazzo è la gratitudine: aiutare i
ragazzi (e i confratelli!) ad accorgersi dei doni, a provare gratitu­
dine, a ringraziare con la parola, a ricambiare con la vita, è il mi­
glior modo di insediare l’educazione sui suoi dinamismi originari.
Una seconda indicazione perché la riconciliazione si renda
possibile è l ’accoglienza, da pensare in maniera correlativa con
la gratuità, perché essa è l’atteggiamento che permette a un do­
no di non essere frustrato, di non fermarsi già alla fonte, di non
ritirarsi in maniera prematura e mortificata, di avere una storia
“umana” .
L’accoglienza funziona preventivamente e funziona retro­
spettivamente: fa il primo gesto ed è capace pure di ricucire
eventuali rotture chiedendo scuse e perdono. L’accoglienza mo­
stra che l’amore fa spazio all’altro: per questo riempie di conte­
nuto il “ non basta amare” col rendersi simpatico e ospitale,
ascoltare in maniera coinvolta, fare sentire l’altro importante,
degno di considerazione, non pre-giudicare e nemmeno giudica­
re, simpatizzare per il punto di vista dell’altro e le sue buone
ragioni, permettere all’altro di esistere, anche di sbagliare, sen­
za sentirsi troppo imbarazzato o giudicato più di quanto questo
non gli venga da sé.
Oggi è pedagogicamente e spiritualmente qualificante elabo­
rare una sapienza concreta che articoli il grande comandamen­
to dell’amore in un codice concreto, quotidiano, praticabile,
comprensibile. A titolo esemplificativo, tante riconciliazioni
non avvengono, e tanto amore si disperde, perché le nostre sfo­
cature spirituali, la nostra “educazione” , la nostra storia di pec­
cato hanno reso difficile distinguere bene tra riservatezza e
chiusura, tra schiettezza e indelicatezza, tra sollecitudine e
fretta, tra l’amore per la verità e il dogmatismo, tra la dolcezza
della carità e il debolismo.

3.7 Page 27

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IL RETTOR MAGGIORE 29
Questi esempi riguardano prevalentemente l’area della rela­
zione personale, ma con un supplemento di riflessione non sa­
rebbe difficile disegnare una mappa di attenzioni per la riconci­
liazione a livello comunitario, ecclesiale e anche macro-sociale.
L’orientamento delle nostre domande dovrebbe essere gros­
so modo questo: in che cosa gli uomini e in forma particolare i
miei confratelli si sentono felici e promossi nel dono di sé? In
che cosa si sentono mortificati? Che cosa è inevitabile per ragio­
ni di giustizia, di ordine istituzionale, di ragionevole organizza­
zione? Che cosa è invece evitabile ed, eliminata, concorre ad ab­
battere i tassi di indifferenza, emarginazione, demotivazione,
conflittualità, faziosità...? Che cosa favorisce o sfavorisce l’isti­
tuzione e la conservazione dell’altro nella forma dell’avversa­
rio, del concorrente, dell’estraneo?
Un terzo suggerimento in direzione della riconciliazione è la
pazienza, intesa come dimenticanza di sé e come realistica pre­
sa in carico dell’altro, come pregiudiziale disposizione alla com­
prensione e al perdono, come “tenuta” nell’operare il bene, co­
me comune e umile riconoscimento che siamo tutti deboli, falli­
bili e peccatori.
Introdurre un percorso pedagogico in cui il perdono sia mo­
strato come condizione normale piuttosto che come atto occa­
sionale ed estremo, come onore piuttosto che come onere, come
vantaggio piuttosto che come perdita condurrebbe confratelli e
giovani a comprendere meglio il cuore di Dio e ad avere più
cuore con i fratelli.
In questo senso chiunque sia impegnato nella guida di ani­
me, innanzitutto della propria, sa bene quanto sia difficile, ma
anche quanti frutti dia un’educazione alla logica umile e divina
del primo passo, alla capacità di tagliare corto sull’intreccio di
torti fatti e subiti e di guardare lontano nel ridare amore in ma­
niera incondizionata.
Mi sembra poi importante, per la nostra gioia e - come edu­
catori della fede - per non predicare quello che non viviamo,
sperimentare attivamente la riconciliazione in tutte le forme

3.8 Page 28

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30 ATTI DEL CONSIGLIO GENERALE
più spontanee, e insieme trovare vie di riconciliazione e di peni­
tenza più espresse, regolate, celebrate. La domanda che voglio
portare all’attenzione è la seguente: è possibile, in fedeltà alla
nostra tradizione, che in fatto di riconciliazione si appoggia
molto sulla figura del Direttore, favorire forme più partecipate,
meno riservate ma più comunitarie, presuntivamente meno de­
licate ma più schiette, di riconciliazione? È possibile entrare
più lucidamente in quell’onda comunionale che segna la vita e
la coscienza della Chiesa oggi? È possibile altresì sottrarre la
Riconciliazione sacramentale alla deriva individualistica del
solo “mettere la propria coscienza a posto”?
Più volte, nel contesto di ritiri spirituali sono stati offerti
momenti di verità e di riconciliazione espressi (brevi scambi a
due a due in cui chiedersi scusa, affrontare un chiarimento, rin­
graziarsi, correggersi e chiedere correzione...), sempre con
grande apprezzamento da parte dei partecipanti, in particolare
dei giovani. Tali momenti rappresentano, per una buona parte,
una chance importante. Infatti uno può convivere con qualche
freddezza o delusione - non sono la fine del mondo - ma se ven­
gono offerti un clima e una situazione adatta, allora avviene
l’apertura umile, il chiarimento sincero, l’accoglienza della cor­
rezione, il coraggio della verità. Si pensava male di un altro, e
invece, dopo quattro parole, tutto si è sdrammatizzato. L’idea è
che forse non basta far appello alla buona volontà e al dettato
costituzionale intorno allo spirito di famiglia: alcuni valori
vanno “ritualizzati” .
La stessa cosa va detta per i percorsi penitenziali: un impe­
gno comunitario a produrre segni un po’ più coraggiosi, senza
subito nascondersi dietro l’alibi delle differenze, della salute,
degli anziani, del buon senso, senza obiettare subito che si trat­
ta di radicalismi elitari, ma affrontando le cose con più diretta
sincerità, ci farebbe solo bene! Ad esempio: cosa potrebbe fare
una comunità che si riconosce imborghesita nel suo stile di vita
per chiedere perdono ai poveri nell’anno giubilare? Come po­
trebbe visibilizzare questa riconciliazione?

3.9 Page 29

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IL RETTOR MAGGIORE 31
In Appendice alle nostre Costituzioni si è voluto riportare lo
scritto di Don Bosco sui «cinque difetti da evitare»™. C’è un patri­
monio di saggezza concreta, davvero non generico ma carismati­
camente connotato, che forse prima abbiamo recepito in forma
moralistica e in seguito dimenticato. In questa paginetta di Don
Bosco viene messa a fuoco in tutti i punti l’ottica di Congregazio­
ne, con cui come Salesiani dovremmo immediatamente ragionare:
riconciliazione vorrà dire allora innanzitutto revisione del proprio
egoismo già nel considerare le cose e i problemi che troviamo
nella vita quotidiana della comunità, nella appartenenza alla
Ispettoria e alla Congregazione, nel compimento della missione.
Sulla medesima falsariga si possono considerare oggi alcune
linee di un’indispensabile reimpostazione della vita nel conte­
sto attuale, intesa come ritorno al Vangelo ed alle radici della
nostra vocazione, considerando elementi specifici dell’esperien­
za religiosa salesiana in cui ci sentiamo mancanti: quanto è vi­
vo ed espresso l’amore a Cristo che fu all’origine e deve essere
al centro della nostra vita consacrata? Che dire del nostro desi­
derio e sforzo per attualizzare il sistema preventivo per i giova­
ni e le situazioni del nostro tempo? La missione salesiana non è
stata sovente pensata e svolta sotto il segno dell’individuali­
smo, della timidezza, delle vedute strette? La comunione frater­
na visibile, segno della presenza del Signore ed elemento di ri­
conciliazione nell’ambiente è stata sufficientemente reale ed
espressiva? La comunicazione del nostro carisma e spiritualità
ai laici è stata portata avanti sotto il segno della speranza, del­
l’urgenza, della grazia che rappresenta?
4. IL SACRAMENTO DELLA RICONCILIAZIONE
Quanto veniamo dicendo è espresso e realizzato per noi, sin­
goli, comunità cristiana, mondo, nel sacramento della Peniten-
36Costituzioni, Appendice, pag. 234-235

3.10 Page 30

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32 ATTI DEL CONSIGLIO GENERALE
za. Esso è l’evento di salvezza che Dio rende oggi disponibile
con infinito amore per tutti. Scaturito dal cuore di Cristo nella
pienezza della Pasqua, fa desiderare e opera la riconciliazione,
il perdono, la possibilità di essere ricreati come figli di Dio per
la forza dello Spirito.
È uno dei poteri, mandati, servizi o missione che dir si vo­
glia, che Gesù ha consegnato alla Chiesa in forma più chiara e
più solenne: «Pace a voi! come il Padre ha mandato me, anch’io
mando voi. Dopo aver detto questo, alitò su di loro e disse: Rice­
vete lo Spirito Santo; a chi rimetterete i peccati saranno rimes­
si, a chi non li rimetterete resteranno non rimessi»37.
Siamo nel giorno della Risurrezione, nel cenacolo, dove i
discepoli sono riuniti e Gesù mostra loro i segni della sua mor­
te e Risurrezione.
L ’Apostolo illuminerà, in una sequenza che non ha biso­
gno di commenti il collegamento Dio-Cristo-noi-voi: «Quindi
se uno è in Cristo è una nuova creatura, le cose vecchie sono
passate, ecco ne sono nate di nuove. Tutto questo però viene
da Dio che ci ha riconciliato con sé mediante Cristo e ha affi­
dato a noi il ministero della riconciliazione. È stato Dio infatti
a riconciliare a sé il mondo in Cristo, non imputando agli uo­
mini le loro colpe e affidando a noi la parola della riconcilia­
zione»38.
Nella missione della Chiesa e nella nostra personale espe­
rienza cristiana la riconciliazione, in quanto possibilità di una
nuova umanità, è sostanziale. La Chiesa l’assume, la predica, la
propone, la attua in tutta la sua estensione: nella persona, nella
comunità dei credenti, nel mondo; con Dio, tra gli uomini, con
la realtà, con la storia e gli avvenimenti, perché lo Spirito faccia
nuove tutte le cose. La propone attraverso vie diverse: la Paro­
la, la preghiera, la carità, la sofferenza accettata, la penitenza,
l ’ Eucaristia.
37Gv 20,20-22
382 Cor 5,17-19

4 Pages 31-40

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4.1 Page 31

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IL RETTOR MAGGIORE 33
La compie secondo la sua natura sacramentale, mediante
un segno visibile e umano che, per la fede, mette in contatto
con la grazia salvatrice. Di esso lungo i secoli ha chiarito le
condizioni perché porti ad un vero incontro con Dio e la grazia
raggiunga le pieghe recondite della persona e della comunità.
Il segno infatti è efficace anche perché è pedagogico: perché
implica ed educa la libertà dell’uomo. Questa nota è importante
perché rende l’idea del sacramento non come un rito purificato­
rio, ma come un avvenimento - un incontro “umano” tra Dio e
la persona nella comunità; incontro nel quale sia Dio, sia la per­
sona, sia la comunità sono totalmente e seriamente impegnati:
Dio con l’offerta del perdono, la persona con il suo sincero pen­
timento, la comunità con l’accoglienza.
Pensare il contrario, cioè che Dio perdoni senza bisogno che
l’uomo si renda consapevole e si penta, vorrebbe dire ritenere
che il sacramento funziona a distribuzione automatica (quando
lo vuoi premi il bottone!) senza partecipazione della coscienza
umana, praticamente ridotto a rito magico; così, se il sacramen­
to fosse solo rappresentazione del pentimento umano, ma non
gesto e intervento di Dio, verrebbe ridotto a cerimonia, negato
nella sua sicura efficacia.
Nel primo caso Dio è negato nella sua onnipotenza, perché
strumentalizzato, piegato ai nostri scopi e al nostro orario; nel
secondo caso è ridotto a uno che in fondo non ama, perché non
si coinvolge nella nostra effettiva vicenda. Nei due casi la Chie­
sa, che deve essere mediatrice, continuazione e attualizzazione
del mistero e del ministero di Cristo, verrebbe ridotta ad “agen­
zia di servizi religiosi” .
La catechesi, ma in primo luogo ancora la nostra compren­
sione adulta della Riconciliazione sacramentale, deve accetta­
re e compiere i gesti che riconoscono la disposizione di Dio e
quelli che esprimono le disposizioni dell’uomo. Nel sacramen­
to infatti viene elaborata e risolta alla luce della Parola di Dio
quella tragica esperienza del battezzato che è il peccato e la
colpa.

4.2 Page 32

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34 ATTI DEL CONSIGLIO GENERALE
Un cammino di rivalutazione.
Non mi soffermo a riportare lo sforzo della Chiesa per man­
tenere genuinamente e integralmente le componenti del “ se­
gno” sacramentale, per non diseducare l’uomo con una facilita­
zione “ distributiva” e per rendere chiare le dimensioni teologali,
storiche e antropologiche sottese nella riconciliazione.
Il segno sacramentale è stato meglio collocato nel contesto
comunitario della Famiglia di Dio, il dolore ricondotto al rap­
porto filiale con Dio, l’esame della coscienza ad una presa di
responsabilità alla luce della Parola di Dio riguardo ai mali che
covano in noi ed a quelli che con la nostra collaborazione “ spic­
ciola” finiscono per rendersi enormi nel mondo; il proposito
riportato all’impegno di “ convertirsi” al Vangelo e lavorare per
una umanità secondo il cuore del Padre negli spazi che la no­
stra esistenza e il nostro spirito possono raggiungere; la “peni­
tenza” , vista come un atteggiamento e una pratica che dal sa­
cramento passa alla vita e viceversa, come voglia di ripetere i
gesti quotidiani dell’amore, come vigilanza evangelica e parte­
cipazione nella comunione dei santi.
Non mi soffermo nemmeno ad analizzare le cause generali
di un certo deprecato allontanamento dal sacramento: non vi
sarà difficile individuarle. Pensate all’affievolirsi del nostro rap­
porto con Dio, pensate all’offuscamento del senso del peccato e
alla difficoltà di riconoscere la mediazione della Chiesa; pensate
alla vita spirituale trascurata a partire dalla preghiera e all’in­
dividualismo della coscienza, per cui si vorrebbe gestire da soli
valutazioni, colpe e rimorsi; pensate ad una catechesi carente e
alla desistenza di molti sacerdoti dal ministero.
Non entro nemmeno nel merito di quella ragione spesso
riportata anche da religiosi e gente impegnata nella pastorale
sulla inadeguatezza per l’uomo d’oggi della confessione per­
sonale, non generica dei propri peccati. Sono sicuro che da
educatori e pastori vi siete date ragioni teologali e pedagogi­
che delle componenti del segno sacramentale e siete pure pre­

4.3 Page 33

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IL RETTOR MAGGIORE 35
parati per proporre con efficacia tali motivazioni ai giovani e
adulti.
Offro piuttosto alcune riflessioni con una visione ampia del­
l’insieme.
Se la Pasqua è l’esito della Passione, bisogna riconoscere
che il nostro cuore non è solo bello, cioè sede di aspirazioni e
possibilità, o solo fragile e limitato, ma è anche peccatore, e che
“ salvarlo” , farlo nuovo39non è impresa da poco.
La fede cristiana non parla di un Dio genericamente bene­
volo e di un uomo genericamente instabile o limitato. Parla di
un Dio che tanto ci ha amati da dissanguarsi per noi e parla di
un uomo la cui colpa è così grave che la salvezza risulta davvero
onerosa.
Un’esperienza spirituale matura e una buona evangelizza­
zione non dovranno dissolvere il mistero pasquale in una uni­
versale e astratta “volontà” salvifica, ma ricorderanno che si
tratta di una volontà “salvifica” operata in modo “crocifìsso” .
C’è nella vicenda di Cristo un intrinseco legame tra incarnazio­
ne e passione, tra il “si fece uomo” e il “patì, morì e fu sepolto” ;
così come nel cammino dell’uomo c’è un intrinseco legame tra
redenzione e divinizzazione, tra essere ricuperato e liberato e
diventare figlio di Dio.
Il superamento di una mentalità e di una catechesi eccessi­
vamente fissata sul peccato non deve eliminare la “memoria”
che c’è voluta la morte di Gesù perché il perdono diventasse
una reale possibilità40. Il sacramento ci riporta anche al cuore
di questa realtà e ci libera dalla leggerezza e dal consumismo
religioso.
Aggiungo una seconda riflessione. La storia delle culture te­
stimonia la consapevolezza che dal male e dal peccato non ci si
tira fuori da soli. Il disgusto di se stessi, il riconoscersi colpevo­
li, il senso di colpa equilibrato o eccessivo, da soli, non costitui­
39cf. Sai 50 (51)
40cf. 1 Pt 2,24-25

4.4 Page 34

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36 ATTI DEL CONSIGLIO GENERALE
scono vie d’uscita dal male. Soltanto denunciano l’esistenza di
un trauma.
Più problematica è ancora la domanda se ci si possa rico­
noscere veramente peccatori senza per questo approdare ad
una condanna di se stessi. Una risposta a questa questione
l’uomo non riesce a trovarla con le proprie forze. La santità di
Dio e la malvagità umana rappresentano due abissi difficil­
mente penetrabili. Se uno radicalizza la propria autocondan­
na, approda allo scetticismo o alla disperazione; ma se accusa
o ignora Dio, allora perde l’unico interlocutore di una possibi­
le salvezza. C’è tutta una letteratura moderna che esprime
questo dilemma.
D’altra parte se sia garantito un vero perdono, l’uomo, con
le proprie forze, non l’ha mai capito: è il problema più grande
di tutte le culture e di tutte le religioni. Il motivo è semplice:
siccome nella colpa l’uomo è insieme il colpevole e il giudice,
egli non può darsi il perdono da sé.
Il perdono, cioè, deve “ avvenire” : deve essere un evento,
non una deduzione da principi, un ritorno pentito su di sé o un
postulato del nostro desiderio. Dunque, o avviene, o non c’è; o è
regalato (è “per-dono” appunto!) o non può essere preteso.
Due conseguenze. L’una per collocare il perdono “ cristia­
no” , e il sacramento che lo significa, nel suo punto di lumino­
sità nell’esperienza religiosa universale, in un momento storico
caratterizzato dalla plurireligiosità. La sospensione di giudizio
sul perdono delle colpe caratterizza le religioni, che in ciò dimo­
strano onestà intellettuale e morale. La più lucida è quella
ebraica. Nei salmi si sente il sospiro di chi sa di essere colpevole
di fronte a Dio, è pentito e si affida alla sua misericordia. La ri­
sposta che esplicita il sicuro perdono però non si sente se non
in casi singolari per bocca di un profeta41.
Proprio in questo punto il cristianesimo risulta universal­
mente interessante, perché annuncia una possibilità di libera­
41 cf. 2 Sam 12,13

4.5 Page 35

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IL RETTOR MAGGIORE 37
zione offerta da Dio e insieme degna dell’uomo. Infatti la sal­
vezza cristiana, lungi dall’essere un “decreto” di amnistia è l’e­
vento del Figlio di Dio che sulla croce è insieme Innocente (se­
gno di quanto male fa il male) e Colpevole (ora è Lui il “Male­
detto” , l’oggetto della riprovazione da Dio42), Giudice (con la
sua morte lo Spirito “convince il mondo di peccato”43), e Giudice
nella sorprendente forma di Redentore: il giudizio di condanna
colpisce Lui al posto di noi, Egli è stato “ fatto peccato”44 al
nostro posto! Così Egli non condona, ma “toglie” , “ sradica” il
peccato del mondo.
La seconda conseguenza riguarda l’appello personale che il
sacramento comporta e il suo innesto in uno stile, cammino o
sforzo di vita in Cristo. La liberazione, lo sradicamento del ma­
le non possono essere semplicemente un decreto di Dio. Se Dio
non riesce a persuaderci interiormente del bene, l’ordine del
mondo potrebbe essere stabilito solo come ordine poliziesco, ma
non sarebbe più un mondo d’amore. E Dio vuole solo questo
mondo!
Per questo il segno sacramentale porta l’evento della ricon­
ciliazione alla piega ultima e personalissima dell’uomo. Tra le
tante forme di male che ci sono nel mondo, è insieme compren­
sibile e strano che la nostra attenzione si porti subito su quelle
inevitabili (malattie, terremoti, guerre o piaghe in cui non ab­
biamo responsabilità diretta...). È sintomatico che tale atten­
zione alla fine si trasformi per non pochi in sospetti e processi
circa l’effettiva bontà e potenza di Dio. Perché non ci scandaliz­
ziamo di più del male che proviene dalla libertà, evitabilissimo
e tuttavia non evitato? È davvero dignitoso elevare accuse
prima di riconoscere il male che noi stessi abbiamo contribuito
a produrre e a moltiplicare? Perché, per onestà umana e cristia­
na, non ci rendiamo consapevoli del dramma che c’è in noi, il
fatto cioè di essere attraversati da desideri buoni e anche cat-
12cf. Is 52-53
13cf. Gv 16,8
14cf. 2 Cor 5,21

4.6 Page 36

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38 ATTI DEL CONSIGLIO GENERALE
tivi, la contraddizione di fare il male che non vogliamo e di non
fare il bene che pur vogliamo invece che cercarne una “giustifi­
cazione”?
O perché, sempre come cristiani, invece di formulare do­
mande astratte, non contempliamo con più attenzione la Rive­
lazione di Gesù, il quale in nome del Padre e nella forza dello
Spirito ha compiuto gesti di liberazione dal male, e solo quelli?
E perché la nostra preoccupazione non è quella di evitare il
male e di lenirlo nei fratelli?
Sacramento e spiritualità salesiana.
Il raccordo salesiano con questo tema è inesauribile. Com­
prende l’esperienza spirituale di Don Bosco, il posto centrale
che egli ha dato al sacramento della penitenza nella sua peda­
gogia per i giovani, l’universo sacramentale in cui si sviluppa
l’intera spiritualità salesiana e, non ultimo, la singolare “sto­
ria” di Don Bosco come confessore di giovani che noi siamo
chiamati ad attualizzare.
L ’esperienza ininterrotta di Don Bosco sin dai primi anni
dell’adolescenza, nel periodo del seminario, come giovane sacer­
dote e come uomo famoso è presentata sinteticamente da don
Eugenio Ceria con queste pennellate: «Don Bosco si affezionò
alla confessione sin dalla più tenera età, né alcun mutamento di
vita valse ad affievolire in Lui l’amorosa propensione ad acco-
starvisi con frequenza... Studente a Chieri e liberissimo di se
stesso, pensò tosto a cercarsi un confessore stabile... Prete a
Torino si confessava ogni otto giorni dal beato Cafasso. Morto il
Servo di Dio ricorse al ministero di un pio sacerdote già suo
condiscepolo, che tutti i lunedì mattina si recava a riceverne la
confessione nella sagrestia di Maria Ausiliatrice, confessandosi
quindi a sua volta da Don Bosco stesso.
Durante i viaggi in assenza del proprio confessore ordinario
si manteneva fedele alla sua cara pratica, rivolgendosi ad un sa­
lesiano o ad altri, secondo i casi: ad esempio durante un sog­

4.7 Page 37

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IL RETTOR MAGGIORE 39
giorno di due mesi a Roma nel ’67, si confessava settimanal­
mente da Padre Vasco, gesuita da lui conosciuto a Torino.
I suoi figli sulle prime esitavano: ma egli: - Su, su, diceva,
fa’ questa carità a Don Bosco e lascia che si confessi»45.
Differenze nella impostazione della vita spirituale e della
prassi sacramentale certamente intercorrono tra il tempo di
Don Bosco e il nostro. Sarebbe però leggerezza storica pensare
che Egli seguisse soltanto una abitudine devozionale. Ogni sua
parola e insegnamento (e sono tanti!) manifesta il senso dell’in­
contro vivificante con Dio che la Riconciliazione comporta, la
convinzione della necessità e ricchezza della mediazione della
Chiesa, la funzione del sacramento in un cammino di santità
serena, gioiosa, in costante crescita.
Sull’incidenza attribuita da Don Bosco alla Riconciliazione
sacramentale nell’educazione dei giovani abbiamo oggi degli
studi documentati che collocano organicamente il sacramento
nel programma totale di crescita umana e cristiana46. È stata
spesso sottolineata la catechesi costante di Don Bosco sulla Ri­
conciliazione-confessione svolta a parole ma anche in forma
pratica, predisponendo cioè le opportunità e condizioni perché i
giovani fossero invogliati ad accostarvisi una prima volta e in
seguito ad assumerla come pratica costante.
Don Lemoyne scrive: «Ogni frase di Don Bosco fu un eccita­
mento alla confessione»47. Il carattere iperbolico dell’espressio­
ne è immediatamente rilevabile. Così come a tutti risulta evi­
dente la frequenza, l’insistenza e la varietà con cui Don Bosco
espone questo punto nelle prediche e buonenotti, nei saggi bio­
grafici e racconti, nei libri di “preghiere”48 e nella narrazione
dei sogni.
45 CERIA E., Don Bosco con Dio, Roma 1 9 8 8 , pag. 1 6 2 -1 6 3
46cf. BRAIDO P., Il Sistema preventivo di Don Bosco, PAS Verlag 19 6 4 , parte III, cap.
Ili, pag. 2 7 4 -2 8 5 ; SCHEPENS J., Pénitence et Eucharistie dans la méthode educative et
pastorale de Don Bosco, Roma 1986
47II testo è riportato da ce ria e ., Don Bosco con Dio, pag. 1 64
48ef. Il Giovane Provveduto

4.8 Page 38

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40 ATTI DEL CONSIGLIO GENERALE
In ciascuna delle tre biografìe esemplari (Domenico Savio,
Michele Magone, Francesco Besucco) c’è un capitolo sulla con­
fessione. In quella di Domenico Savio, che è la prima in ordine
di tempo (anno 1859), si abbinano i due sacramenti: la peniten­
za e l’eucaristia49. Invece in quella di Michele Magone due capi­
toli, il quarto e il quinto, uno narrativo e l’altro didattico diret­
tamente rivolto ai giovani ed agli educatori, vengono dedicati
alla sola confessione.
Sotto forma biografica, Don Bosco propone una pedagogia
per aiutare il giovane a superare le proprie tendenze deteriori,
a crescere in umanità e orientarsi a Dio mediante la penitenza.
Uno studioso, D. Alberto Caviglia, ritiene che il capitolo
quinto della biografìa di Michele Magone sia uno degli scritti
più importanti e preziosi della letteratura e della pedagogia di
Don Bosco, un documento insigne della sua guida spirituale50.
Più originale che l’insistenza della sua catechesi sulla peni­
tenza-riconciliazione-confessione è la valorizzazione dell’inci­
denza educativa della penitenza che non sostituisce ma si radica
nella sua natura “sacramentale” , di segno efficace della grazia
offerta attraverso il ministero della Chiesa e accolta nella fede.
E congeniale con la idea della crescita del ragazzo come figlio di
Dio, crescita “umana” nel miglior senso della parola, bisognosa
di un interscambio continuo col mistero che risuona nella co­
scienza.
La penitenza sveglia la coscienza di sé e del proprio stato,
introduce in un ambiente di santità e di grazia, muove energie
interiori di costruzione della persona. Essa fa crescere dal di
dentro l’onesto cittadino e il buon cristiano e lo si vede nella vi­
ta, sembrano dire le tre celebri biografie.
Proprio questa visione “educativa” determinava una prassi
pastorale sui generis: la penitenza non veniva ridotta o isolata nel
momento rituale; aveva come sua anticamera l’ambiente predi­
49cf. BOSCO G., Vita del giovinetto Savio Domenico, cap. XIV
50cf. caviglia A., Magone Michele, pag. 461

4.9 Page 39

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IL RETTOR MAGGIORE 41
sponente e il rapporto di amicizia e fiducia con gli educatori, in
particolare con il principale di essi, il Direttore. C’era una conti­
nuità tra riconciliazione nella vita e momento sacramentale. Al­
l’oratorio il giovane si sentiva accolto e stimato, in un clima di fa­
miglia e fiducia, stimolato alla comunicazione e invitato a progre­
dire, con rapporti che lo invitavano e lo provocavano a verificarsi.
È proprio questa la storia esemplificata nella biografia di Miche­
le Magone. Non poche volte i giovani passavano dalla conversa­
zione amichevole in cortile con Don Bosco all’atto penitenziale.
La riconciliazione, specialmente quella straordinaria, veniva
avvolta in un clima festivo, secondo lo stile evangelico: la cele­
brazione eucaristica, a cui seguiva qualcosa di “ speciale” a ta­
vola, il tempo di gioco, la manifestazione musicale e artistica
accompagnavano e avvolgevano il perdono ottenuto. I giovani
potevano contare su tutte le condizioni favorevoli: tempo, luo­
go, persone, inviti.
Forse oggi, piuttosto che ripetere letteralmente l’afferma­
zione che la penitenza e l’eucaristia sono i pilastri dell’educa­
zione, è urgente meditarne e ricuperarne l’originale traduzione
pedagogica.
Proprio l’esperienza educativa portò Don Bosco ad essere
uno straordinario confessore di giovani: straordinario per la
quantità di penitenti, per il tempo che dedicò e per la pratica
che acquistò ed espresse in osservazioni piene di senso pastora­
le; straordinario per il piacere che sentiva di riconciliare i gio­
vani con Dio e con la vita; straordinario anche per l’effetto che
questo suo atto squisitamente sacerdotale provocava in tanti
giovani che hanno voluto lasciarne il ricordo.
Esiste una fotografia di Don Bosco che fece il giro del mondo.
In essa Don Bosco posa mentre confessa i giovani. Il ragazzo
Paolo Albera appoggia la sua testa a quella di Don Bosco, come
per fare la confessione dei peccati, mentre alcuni chierici e molti
giovani attorno all’inginocchiatoio aspettano il loro turno51.
51 cf. soldà G., Don Bosco nella fotografia dell’800, pag. 8 4 -8 9

4.10 Page 40

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42 ATTI DEL CONSIGLIO GENERALE
Questa fotografia non è casuale. È una delle prime (anno
1861), voluta da Don Bosco con l’intenzione di manifestare un
suo pensiero, “ quasi un testamento morale per la sua Famiglia.
Gli piaceva, ne volle ingrandito il disegno che la riproduceva”52.
È un poster, un manifesto, un annuncio “quasi pubblicitario”
anzitempo. Per farla si è dovuto preparare la messinscena per­
ché, con il fotografo sotto il telo, il tempo di esposizione era
piuttosto lungo. Si chiamarono e si disposero i ragazzi e si ri­
corda la frase che Don Bosco disse al piccolo Albera scelto come
penitente.
Tra i giovani e confessando era l’immagine sotto la quale
voleva essere conosciuto.
Praticava così quello che aveva detto e scritto: «È provato
dall’esperienza che i più validi sostegni della gioventù sono i sa­
cramenti della confessione e della comunione. Datemi un giova­
netto che frequenti questi sacramenti, voi lo vedrete crescere
nella giovanile, giungere alla virile età e arrivare, se così piace a
Dio, alla più tarda vecchiaia con una condotta che è esempio di
tutti quelli che lo conoscono. Questa massima la comprendano i
giovanetti per praticarla; la comprendano pure quelli che si oc­
cupano della loro educazione per insinuarla»53.
La fotografia poi trasmette un particolare interessante:
sembra essere in uno spazio aperto con i ragazzi a grappolo.
Proprio la concezione educativa e filiale della penitenza libera­
va Don Bosco da ogni rigidità riguardo al posto e alla sequenza
del rito. Confessava in cortile, confessava in parlatorio; ha con­
fessato in carrozza e in treno. Oggi si sottolineano i segni co­
munitari e rituali del sacramento per una celebrazione che
giunga al sentimento, alla immaginazione, alla coscienza; non
può sfuggire questa sua capacità di congiungere la sostanza del­
l’atto con lo sforzo di iniziare ad esso collocandolo in un conte­
sto giovanile ed educativo.
52cf. ib.
53 b o sc o G., Vita del giovinetto Savio Domenico, cap. XIV

5 Pages 41-50

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5.1 Page 41

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IL RETTOR MAGGIORE 43

5.2 Page 42

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44 ATTI DEL CONSIGLIO GENERALE
Proprio in questo contesto si moltiplicarono i Salesiani con­
fessori di giovani che ebbero tanto influsso sui risultati vocazio­
nali maschili e femminili.
Riconciliati e ministri della Riconciliazione.
Intenzionalmente ho presentato sopra, unite, l’esperienza
personale di riconciliazione di Don Bosco e la sua prassi educa­
tiva pastorale. Come avrebbe potuto immaginare quello che si­
gnifica per il ragazzo la rappacificazione interiore, se Egli stes­
so non ne avesse mai avvertito il bisogno? E come avrebbe po­
tuto riprodurre l’accoglienza paterna di Dio, se Lui non l’avesse
sentita e gustata? E come avrebbe potuto concepire tanta fidu­
cia nel sacramento per il cammino di crescita e santità se non
ne fosse stato testimone diretto? Da dove avrebbe attinto la
comprensione, la capacità di attesa, stimolo e promozione, di
comunione per la sua Famiglia e i suoi collaboratori?
L’Apostolo medesimo sembra unire i due aspetti quando ri­
pete: «Dio ci ha riconciliati con sé mediante Cristo e ha affidato
a noi il ministero della riconciliazione»64.
Grazia personale e ministero! La Riconciliazione, più che
“una pratica di pietà” occasionale o un servizio sacerdotale, è
un nuovo spazio in cui si colloca la totalità della vita, quello che
Gesù proponeva quando diceva «Convertitevi». Ha nel sacra­
mento il suo punto efficace ed espressivo perché esso come il
battesimo ci innesta nella morte e Risurrezione di Cristo e vi
partecipa tutta la Chiesa.
Questo è vero anche per noi. Per la grazia di unità l’espe­
rienza personale della Riconciliazione e la prassi pedagogica e
pastorale si rafforzano vicendevolmente. Riconciliati, diventia­
mo artefici e mediatori di riconciliazione.
Per questo il nostro progetto di spiritualità che sono le Co­
stituzioni trattando della nostra missione affermano che «Insie-
642 Cor 5,18

5.3 Page 43

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IL RETTOR MAGGIORE 45
me con i giovani celebriamo l’incontro con Cristo nell’ascolto
della Parola, nella preghiera e nei sacramenti»56. “ Insieme” ri­
guarda certamente le circostanze materiali di tempo e di luogo,
ma molto di più l’impostazione della vita vissuta alla luce del
Vangelo e della nostra consacrazione.
In tal senso la vita tutta viene vista come un cammino di
«continua conversione»56 che raccorda molti aspetti, tali come
la riconsegna quotidiana sempre più generosa alla nostra mis­
sione, la vigilanza, il perdono reciproco, l’accettazione della cro­
ce di ogni giorno57, la preghiera e i momenti di verifica58, e ha
nel sacramento il suo punto di forza e compimento: «Ricevuto
frequentemente secondo le indicazioni della Chiesa, esso ci do­
na la gioia del perdono del Padre, ricostruisce la comunione fra­
terna e purifica le intenzione apostoliche»59.
Da questa nostra esperienza matura e continua sgorgano
desideri ed energie per creare ambienti educativi riconcilianti e
per guidare i giovani a trovare il punto di unità e consistenza
che la loro vita necessita. Da essa scaturisce pure la capacità di
individuare ed assumere strade di riconciliazione nella molte­
plice conflittualità del nostro contesto e del nostro mondo.
Riguardo al sacramento della penitenza in campo giovanile
e nella comunità cristiana, oggi assistiamo ad un triplice feno­
meno: il primo è l’abbandono del sacramento a parte di molti,
il secondo è l’uso rapido da parte di un certo numero, il terzo,
positivo, è la richiesta addirittura di direzione spirituale da
parte di un gruppo, piccolo in numero, ma alla ricerca di qua­
lità spirituale.
La risposta a questa disposizione diversificata consiste nel
percorrere con i più il percorso educativo che va dall’accoglien­
za all’annuncio della bontà paterna di Dio e del suo desiderio di
55Cost. 36
56 Cost. 90
57cf. ib.
58cf. Cost. 91
59Cost. 90

5.4 Page 44

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46 ATTI DEL CONSIGLIO GENERALE
averci come figli; nell’assistere il secondo gruppo, con proposte
educative proporzionate e capaci di appoggiare il loro sforzo an­
cora imperfetto; infine, nel diventare ministri della riconcilia­
zione, disponibili e capaci, per coloro che hanno intrapreso con­
sapevolmente un cammino di vita spirituale.
Sempre e in ogni caso sarà nostro impegno mettere i gio­
vani a contatto con un circuito di grazia - fatto di motivazio­
ni, celebrazioni, esperienze - che ha come orizzonte il Mistero
Eucaristico. Esso è memoria efficace e viva sorgente della Ri­
conciliazione perenne, operata dalla Croce. Conduce alla Ri­
conciliazione e ne è, al tempo stesso, coronamento supremo e
massima espressione perché, unendoci a Cristo, ci immette
nella comunione trinitaria di Dio e nell’unità ecclesiale dei
fratelli.
Conclusione: varcare la soglia60.
La notte tra il 24 e il 25 dicembre, Natale del 2000, saremo
invitati a varcare la porta santa: il Papa «attraversandone la so­
glia mostrerà alla Chiesa e al mondo il Santo Vangelo, fonte di
vita e di speranza per il terzo millennio»61. È il segno dell’entra­
ta di Cristo nell’umanità. Per noi è l’invito ad entrare in uno
spazio nuovo e ricollocare la nostra vita in un ambito più chia­
ramente illuminato dall’amore di Dio Padre, Figlio e Spirito
Santo, segnato dalla fraternità incondizionata e arricchente tra
le persone, caratterizzato dall’apertura della mente e del cuore
alle aspirazioni e attese dell’umanità rese possibili dalla presen­
za di Cristo nel tempo, da una maggiore sensibilità per sentire
le voci dei giovani e un maggior coraggio per venire incontro al­
le loro necessità.
«Passare quella porta significa confessare che Gesù Cristo è
il Signore, rinvigorendo la fede in Lui per vivere la vita nuova
60cf. Incarnationis Mysterium, 8
61 Ib.

5.5 Page 45

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IL RETTOR MAGGIORE 47
che Egli ci ha donato. È u n a decisione che suppone la libertà di
scegliere e insieme il coraggio di lasciare qualcosa...»62.
Con la speranza di trovarci tu tti insieme, spiritualm ente
uniti, nel passaggio della “p o rta ” che ci im m ette nella pienezza
del tempo che è Cristo, vi saluto cordialmente e vi imparto la
benedizione di Maria Ausiliatrice.