Fede e inculturazione-it


Fede e inculturazione-it

1 Pages 1-10

▲back to top

1.1 Page 1

▲back to top
COMMISSIONE TEOLOGICA INTERNAZIONALE
FEDE E INCULTURAZIONE*
(1989)
Introduzione
1. La Commissione Teologica Internazionale ha in più occasioni riflettuto
sui rapporti tra la fede e la cultura. Nel 1984 ha affrontato direttamente il
tema dell’inculturazione della fede nello studio sul mistero della Chiesa,
elaborato in vista del Sinodo Straordinario del 1985 [1]. Da parte sua, la
Pontificia Commissione Biblica ha tenuto la propria sessione plenaria del
1979 sul tema L’inculturazione della fede alla luce della Scrittura [2].
2. Oggi la Commissione Teologica Internazionale intende compiere in
maniera più approfondita e più sistematica tale riflessione, a motivo
dell’importanza che ha assunto il tema dell’inculturazione della fede
dappertutto nel mondo cristiano e a motivo dell’insistenza con cui il
magistero della Chiesa ha affrontato tale tema dopo il Concilio Vaticano
II.
3. La base viene fornita dai documenti conciliari e dai testi dei Sinodi che
ne sono come il prolungamento. Così, nella costituzione Gaudium et spes,
il Concilio ha mostrato quali lezioni e quali consegne la Chiesa ha tratto
dalle sue prime esperienze d’inculturazione nel mondo greco-romano [3].
Quindi ha consacrato un capitolo intero di questo documento alla
promozione della cultura (de culturae progressu rite promovendo) [4].
Dopo aver descritto la cultura come uno sforzo verso una maggiore
umanità e un migliore ordinamento dell’universo, il Concilio ha a lungo
considerato i rapporti tra la cultura e il messaggio della salvezza. Ha
quindi enunciato alcuni dei compiti più urgenti dei cristiani in rapporto
alla cultura: difesa del diritto di tutti alla cultura, promozione di una
cultura integrale, armonizzazione dei rapporti tra cultura e cristianesimo.
Il Decreto sull’attività missionaria della Chiesa e la Dichiarazione sulle
religioni non cristiane riprendono alcuni di tali orientamenti. Due Sinodi
ordinari hanno trattato espressamente dell’evangelizzazione delle culture,
quello del 1974, consacrato all’evangelizzazione [5], e quello del 1976,
sulla formazione catechetica [6]. Il Sinodo del 1985, che celebrava il
ventesimo anniversario della conclusione del Concilio Vaticano II, ha
parlato dell’inculturazione come dell’«intima trasformazione degli
autentici valori culturali mediante l’integrazione nel cristianesimo, e il
radicamento del cristianesimo nelle varie culture umane» [7].
4. Il papa Giovanni Paolo II, dal canto suo, ha preso a cuore in maniera
particolare l’evangelizzazione delle culture: il dialogo della Chiesa e delle
culture riveste, secondo lui, un’importanza vitale per l’avvenire della

1.2 Page 2

▲back to top
Chiesa e del mondo. Il Santo Padre ha creato, per aiutarla in questa grande
opera, uno speciale organismo della Curia: il Pontificio Consiglio per la
Cultura [8]. Del resto è con tale dicastero che la Commissione Teologica
Internazionale si compiace di poter riflettere oggi sull’inculturazione della
fede.
5. Fondandosi sulla convinzione che «l’Incarnazione del Verbo è stata
anche un’incarnazione culturale», il Papa afferma che le culture,
analogicamente paragonabili all’umanità del Cristo in ciò che hanno di
buono, possono svolgere un ruolo positivo di mediazione per l’espressione
e la diffusione della fede cristiana [9].
6. Due temi essenziali sono legati a queste considerazioni. Anzitutto
quello della trascendenza della Rivelazione in rapporto alle culture nelle
quali essa si manifesta. La Parola di Dio non potrebbe, infatti, identificarsi
o legarsi in maniera esclusiva agli elementi di cultura che la veicolano. Il
Vangelo anzi impone spesso una conversione delle mentalità e una riforma
dei costumi là dove esso s’impianta: le culture, esse pure, devono essere
purificate e restaurate nel Cristo.
7. Il secondo tema essenziale dell’insegnamento di Giovanni Paolo II
verte sull’urgenza dell’evangelizzazione delle culture. Tale compito
suppone che si comprendano e si penetrino con una simpatia critica le
identità culturali particolari e che, in una sollecitudine di universalità
conforme alla realtà propriamente umana di tutte le culture, si favoriscano
gli scambi reciproci. Il Santo Padre fonda così l’evangelizzazione delle
culture su una concezione antropologica fortemente radicata nel pensiero
cristiano dall’epoca dei Padri della Chiesa. Poiché la cultura, quando è
retta, rivela e fortifica la natura dell’uomo, l’assimilazione (imprégnation)
cristiana della cultura suppone il superamento di ogni storicismo e di ogni
relativismo nella concezione dell’umano. L’evangelizzazione delle culture
deve dunque ispirarsi all’amore dell’uomo in se stesso e per se stesso,
specie in quegli aspetti del suo essere e della sua cultura che sono attaccati
o minacciati [10].
8. Alla luce di tale insegnamento, come anche della riflessione che il tema
dell’inculturazione della fede ha suscitato nella Chiesa, proporremo
anzitutto un’antropologia cristiana che situa, l’una in rapporto all’altra, la
natura, la cultura e la grazia. Vedremo in seguito il processo
d’inculturazione in atto nella storia della salvezza: antico Israele, vita e
opera di Gesù, Chiesa delle origini. Un’ultima sezione tratterà di problemi
posti oggi alla fede dall’incontro con la pietà popolare, con le religioni
non cristiane, con la tradizione culturale nelle giovani Chiese, infine con i
vari elementi della modernità.
1. NATURA, CULTURA E GRAZIA
1. Gli antropologi ricorrono volentieri, per descrivere o definire la cultura,
alla distinzione, talora divenuta opposizione, tra natura e cultura. Il
significato del termine natura varia del resto secondo le diverse concezioni
delle scienze dell’osservazione, della filosofia e della teologia. Il
Magistero lo intende in un senso ben preciso: la natura di un essere è ciò

1.3 Page 3

▲back to top
che lo costituisce come tale, con il dinamismo delle sue tendenze verso le
sue finalità proprie. E da Dio che le nature derivano ciò che sono, come i
loro fini propri. Esse sono quindi pregne di un significato in cui l’uomo, in
quanto immagine di Dio, è capace di leggere «l’intenzione creatrice di
Dio» [11].
2. Le inclinazioni fondamentali della natura umana, espresse dalla legge
naturale, appaiono dunque come un’espressione della volontà del
Creatore. Questa legge naturale manifesta le esigenze specifiche della
natura umana, le quali sono indicative del disegno di Dio sulla sua
creatura razionale e libera. Così viene eliminato ogni malinteso che,
percependo la natura in un senso univoco, ridurrebbe l’uomo alla natura
materiale.
3. Giova allo stesso tempo considerare la natura umana secondo il suo
sviluppo concreto nel tempo della storia: ciò che l’uomo, dotato di una
libertà fallibile, spesso schiava delle passioni, ha fatto della propria
umanità. Questa eredità trasmessa alle nuove generazioni comporta
insieme tesori immensi di saggezza, di arte e di generosità e una parte
considerevole di deviazioni e di perversioni. L’attenzione si concentra
allora contemporaneamente sulla natura umana e sulla condizione umana,
espressione che integra certi dati esistenziali, alcuni dei quali — il peccato
e la grazia — riguardano la storia della salvezza. Se quindi adoperiamo il
termine cultura in un senso anzitutto positivo — come sinonimo di
sviluppo, ad esempio —, come hanno fatto il Concilio Vaticano II e gli
ultimi papi, non dimentichiamo che le culture possono perpetuare e
favorire le scelte dell’orgoglio e dell’egoismo.
4. La cultura si comprende nel prolungamento delle esigenze della natura
umana, quale compimento delle sue finalità, come insegna specialmente la
costituzione Gaudium et spes: «E proprio della persona umana il non poter
raggiungere un livello di vita veramente e pienamente umano se non
mediante la cultura, coltivando cioè i beni e i valori della natura. [...] Con
il termine generico di "cultura" si vogliono indicare tutti quei mezzi con i
quali l’uomo affina ed esplica le molteplici sue doti di anima e di corpo»
[12]. Numerosi sono così i campi della cultura: con la conoscenza e il
lavoro l’uomo procura di ridurre in suo potere il cosmo; rende più umana
la vita sociale mediante il progresso del costume e delle istituzioni; infine
esprime, comunica e conserva nelle sue opere, nel corso del tempo, le
grandi esperienze spirituali e le aspirazioni maggiori dell’uomo, affinché
possano servire al progresso di molti, anzi di tutto il genere umano.
5. II soggetto principale della cultura è la persona umana, considerata
secondo tutte le dimensioni del suo essere. L’uomo si coltiva — questa è
la prima finalità della cultura —, ma lo fa grazie a opere di cultura e
grazie a una memoria culturale. Di conseguenza la cultura indica pure
l’ambiente nel quale e grazie al quale le persone possono crescere.
6. La persona umana è un essere di comunione, essa si sviluppa donando e
ricevendo. È quindi nella solidarietà con gli altri e attraverso i vincoli
sociali attivi che la persona progredisce. Perciò realtà come nazione,
popolo, società, con il loro patrimonio culturale, costituiscono per lo

1.4 Page 4

▲back to top
sviluppo delle persone un «ambiente storicamente definito, in cui ogni
uomo, di qualsiasi stirpe ed epoca, s’inserisce e da cui attinge i beni che
gli consentono di promuovere la civiltà» [13].
7. La cultura, che è sempre una cultura concreta e particolare, è aperta ai
valori superiori comuni a tutti gli uomini. L’originalità di una cultura
significa quindi non ripiegamento su se stessa, ma contributo a una
ricchezza che è bene per tutti gli uomini. Il pluralismo culturale non
potrebbe perciò interpretarsi come la giustapposizione di universi chiusi,
ma come la partecipazione al concreto di realtà orientate tutte verso i
valori universali dell’umanità. I fenomeni di reciproca compenetrazione
delle culture, frequenti nella storia, illustrano quest’apertura fondamentale
delle culture particolari ai valori comuni a tutti gli uomini e, quindi, la loro
apertura le une alle altre.
8. L’uomo è un essere naturalmente religioso. L’orientamento verso
l’Assoluto è insito nel profondo del suo essere. La religione, in senso lato,
è parte integrante della cultura, nella quale essa si radica e che sviluppa.
Del resto tutte le grandi culture comportano, come chiave di volta
dell’edificio che costituiscono, la dimensione religiosa, ispiratrice delle
grandi realizzazioni che hanno segnato la storia millenaria delle civiltà.
9. Alla radice delle grandi religioni vi è il movimento ascendente
dell’uomo alla ricerca di Dio. Purificato dalle proprie deviazioni e dalle
sue pesantezze, questo movimento dev’essere oggetto di un sincero
rispetto, poiché su di esso viene a innestarsi il dono della fede cristiana.
Infatti ciò che distingue la fede cristiana è l’essere libera adesione alla
proposta dell’amore gratuito di Dio che si è rivelato a noi, che ci ha dato il
suo Figlio unico per liberarci dal peccato e ha effuso il suo Spirito nei
nostri cuori. In questo dono che Dio fa di se stesso all’umanità consiste, di
fronte a tutte le aspirazioni, richieste, conquiste e acquisizioni della natura,
la radicale originalità cristiana.
10. Allora, poiché trascende tutto l’ordine della natura e della cultura, la
fede cristiana, da un lato è compatibile con tutte le culture, in ciò che
hanno di conforme alla retta ragione e alla buona volontà, e dall’altro è
essa stessa, in un grado eminente, un fatto dinamizzante di cultura. Un
principio illumina l’insieme dei rapporti della fede e della cultura: la
grazia rispetta la natura, la guarisce dalle ferite del peccato, la corrobora e
la eleva. La sopraelevazione alla vita divina è la finalità specifica della
grazia, ma essa non può realizzarsi senza che la natura sia guarita e senza
che l’elevazione all’ordine soprannaturale conduca la natura, nella sua
linea propria, a una pienezza di perfezione.
11. Il processo d’inculturazione può definirsi come lo sforzo della Chiesa
per far penetrare il messaggio di Cristo in un determinato ambiente
socioculturale, invitandolo a credere secondo tutti i suoi valori propri, dato
che questi sono conciliabili con il Vangelo. Il termine inculturazione
include l’idea di crescita, di reciproco arricchimento delle persone e dei
gruppi, in virtù dell’incontro del Vangelo con un ambiente sociale.
«L’inculturazione è l’incarnazione del Vangelo nelle culture autoctone e

1.5 Page 5

▲back to top
insieme l’introduzione di esse nella vita della Chiesa» [14].
2. L’INCULTURAZIONE NELLA STORIA DELLA SALVEZZA
Jahvè e il popolo dell’Alleanza
Gesù Cristo, Signore e Salvatore del mondo
Lo Spirito Santo e la Chiesa degli Apostoli
1. Consideriamo i rapporti della natura, della cultura e della grazia nella
storia concreta dell’Alleanza di Dio con l’umanità. Iniziata con un popolo
particolare, culminata in un figlio di questo popolo che è anche Figlio di
Dio, estesasi a partire da lui a tutte le nazioni della terra, questa storia
mostra «l’ammirabile "condiscendenza" della eterna Sapienza» [15].
1. Israele, popolo dell’Alleanza
2. Israele si è compreso come formato in maniera immediata da Dio. Del
resto l’Antico Testamento, la Bibbia dell’antico Israele, è il testimone
permanente della rivelazione del Dio vivente ai membri di un popolo
eletto. Nella sua forma scritta, questa rivelazione reca pure la traccia delle
esperienze culturali e sociali del millennio in cui questo popolo e le civiltà
confinanti si sono incontrate nella storia. L’antico Israele è nato in un
mondo che aveva già dato origine a grandi culture ed è cresciuto a
contatto con esse.
3. Le più antiche istituzioni d’Israele (ad esempio, la circoncisione, il
sacrificio di primavera, il riposo del sabato) non gli sono peculiari, ma le
ha mutuate dai popoli vicini. Gran parte della cultura d’Israele ha
un’origine analoga. Tuttavia, il popolo della Bibbia ha fatto subire a tali
elementi mutuati profondi cambiamenti, quando li ha incorporati nella
propria fede e nella propria prassi religiosa. Li ha passati al vaglio della
fede nel Dio personale di Abramo (creatore libero e sapiente ordinatore
dell’universo, nel quale il peccato e la morte non potrebbero trovare la
loro origine). E l’incontro con questo Dio, vissuto nell’Alleanza, che
permise di comprendere l’uomo e la donna come esseri personali e di
respingere di conseguenza i comportamenti disumani inerenti alle altre
culture.
4. Gli autori biblici hanno utilizzato e insieme trasformato le culture del
loro tempo per narrare, attraverso la storia di un popolo, l’azione salvifica
che Dio farà culminare in Gesù Cristo, e per unire i popoli di ogni cultura,
chiamati a formare un solo corpo, di cui Cristo è il capo.
5. Nell’Antico Testamento, alcune culture, fuse e trasformate, vengono
messe al servizio della rivelazione del Dio di Abramo, vissuta
nell’Alleanza e consegnata nella Scrittura. È stata una preparazione unica,
sul piano culturale e religioso, per la venuta di Gesù Cristo. Nel Nuovo
Testamento, il Dio di Abramo, d’Isacco e di Giacobbe, più profondamente
rivelato e manifestato nella pienezza dello Spirito, invita tutte le culture a
lasciarsi trasformare dalla vita, dall’insegnamento, dalla morte e
risurrezione di Gesù Cristo.

1.6 Page 6

▲back to top
6. Se i pagani sono «innestati su Israele» [16], il piano originale di Dio,
dobbiamo sottolinearlo, verte su tutta la creazione [17]. Un’alleanza infatti
è conclusa, tramite Noè, con tutti i popoli della terra che sono pronti a
vivere nella giustizia [18]. Quest’alleanza è anteriore a quelle strette con
Abramo e con Mosè. Infine Israele è chiamato a comunicare le
benedizioni che ha ricevuto a tutte le famiglie della terra, a partire da
Abramo [19].
7. Segnaliamo, d’altro canto, che non tutti i diversi aspetti della cultura
d’Israele intrattengono gli stessi rapporti con la rivelazione divina. Alcuni
attestano la resistenza alla Parola di Dio, mentre altri ne esprimono
l’accettazione. Tra questi ultimi occorre distinguere ancora il provvisorio
(prescrizioni rituali e giudiziarie) e il permanente, di portata universale.
Certi elementi (in «La Legge di Mosè, i Profeti e i Salmi» [20]), hanno
precisamente come significato di essere la preistoria di Gesù.
2. Gesù Cristo, Signore e Salvatore del mondo
1. La trascendenza di Gesù in rapporto a ogni cultura
8. Una convinzione domina la predicazione di Gesù: in lui, Gesù, nella sua
parola e nella sua persona, Dio completa, superandoli, i doni che ha già
fatto a Israele e all’insieme delle nazioni [21]. Gesù è la luce sovrana e la
vera saggezza per tutte le nazioni e per tutte le culture [22]. Egli mostra,
nella sua stessa attività, che il Dio di Àbramo, già riconosciuto da Israele
come creatore e Signore [23], si appresta a regnare su tutti coloro che
crederanno al Vangelo; anzi, con Gesù, Dio regna già [24].
9. L’insegnamento di Gesù, specialmente nelle parabole, non teme di
correggere e, all’occorrenza, di contestare non poche idee che la storia, la
religione nella sua pratica effettiva e la cultura avevano ispirate ai suoi
contemporanei sulla natura di Dio e sul suo agire [25].
10. L’intimità tutta filiale di Gesù con Dio e l’obbedienza amorevole che
gli fa offrire al Padre la propria vita e morte [26] attestano che in lui il
disegno originale di Dio sulla creazione, viziato dal peccato, è stato
restaurato [27]. Ci troviamo di fronte a una nuova creazione, quella del
nuovo Adamo [28]. Perciò i rapporti con Dio sono per molti aspetti
profondamente cambiati [29]. La novità è tale che la maledizione che
colpisce il Messia crocifisso diventa benedizione per tutti i popoli [30] e
che la fede in Gesù salvatore si sostituisce al regime della Legge [31].
11. La morte e la risurrezione di Gesù, grazie alle quali lo Spirito è stato
effuso nei cuori, hanno mostrato le insufficienze delle sapienze e delle
morali meramente umane, e anche della Legge peraltro data da Dio a
Mosè, tutte istituzioni capaci di dare la conoscenza del bene, ma non la
forza di compierlo, la conoscenza del peccato, ma non il potere di sottrarsi
[32].
2. La presenza del Cristo netta cultura e nelle culture
1. La particolarità del Cristo, Signore e Salvatore universale

1.7 Page 7

▲back to top
12. Poiché è stata integrale e concreta, l’incarnazione del Figlio di Dio è
stata un’incarnazione culturale: «Cristo steso, attraverso la sua
incarnazione, si legò a determinate condizioni sociali e culturali degli
uomini con cui visse» [33].
13. Il Figlio di Dio ha voluto essere un ebreo di Nazareth di Galilea, che
parlava aramaico, che era sottomesso a pii genitori d’Israele, che li ha
accompagnati al Tempio di Gerusalemme, dove lo ritrovano «seduto in
mezzo ai dottori, mentre li ascoltava e li interrogava» [34]. Gesù cresce in
mezzo agli usi e alle istituzioni della Palestina del primo secolo,
imparandovi mestieri del suo tempo, osservando il comportamento dei
pescatori, dei contadini e dei commercianti del suo ambiente. Le scene e i
paesaggi di cui si nutre l’immaginazione del futuro rabbi sono di un Paese
e di un’epoca ben determinati.
14. Nutrito dalla pietà d’Israele, formato dall’insegnamento della Legge e
dei Profeti, al quale un’esperienza del tutto singolare di Dio come Padre
permette di dare una profondità inaudita, Gesù si situa in una tradizione
spirituale ben determinata, quella del profetismo ebraico. Come i profeti di
un tempo, egli è la bocca di Dio e invita alla conversione. Il modo è
ugualmente caratteristico: il vocabolario, i generi letterari, i procedimenti
stilistici, tutto ricorda la stirpe di Elia e di Eliseo: il parallelismo biblico, i
proverbi, i paradossi, le ammonizioni, le beatitudini e persino le azioni
simboliche.
15. Gesù è talmente legato alla vita d’Israele che il popolo e la tradizione
religiosa ove prende posto hanno, per ciò stesso, qualcosa di singolare
nella storia della salvezza degli uomini; questo popolo eletto e la
tradizione religiosa che ha lasciato hanno un significato permanente per
l’umanità.
16. No, l’Incarnazione non ha nulla di una improvvisazione. Il Verbo di
Dio entra in una storia che lo prepara, che lo annuncia e lo prefigura. Il
Cristo in anticipo fa corpo, possiamo dire, con il popolo che Dio si è
formato in vista del dono che farà del proprio Figlio. Tutte le parole che i
profeti hanno proferito preludono alla Parola sussistente che è il Figlio di
Dio.
17. Perciò, la storia dell’alleanza conclusa con Abramo e, mediante Mosè,
con il popolo d’Israele, come i libri che narrano e illuminano quella storia,
tutto ciò conserva, per i fedeli di Gesù, la funzione di un’indispensabile e
insostituibile pedagogia. Del resto, l’elezione di questo popolo da cui è
sorto Gesù non è mai stata revocata. «I miei consanguinei secondo la
carne», scrive san Paolo, «sono israeliti», «possiedono l’adozione a figli,
la gloria, le alleanze, la legislazione, il culto, le promesse, i patriarchi; da
essi proviene Cristo secondo la carne, egli che è sopra ogni cosa, Dio
benedetto nei secoli. Amen» [35]. L’ulivo buono non ha perduto i propri
privilegi a vantaggio dell’oleastro, che è stato innestato su di lui [36].
2. La cattolicità dell’Unico
18. Per quanto sia particolare la condizione del Verbo fatto carne — e

1.8 Page 8

▲back to top
dunque la cultura che lo accoglie, lo forma e lo continua —, non è
anzitutto a tale particolarità che il Figlio di Dio si è unito. Poiché si è fatto
uomo, Dio ha anche assunto, in un certo modo, una razza, un Paese e
un’epoca. «Poiché in lui la natura umana è stata assunta, senza per questo
venire annientata, con ciò stesso essa è stata anche in noi innalzata a una
dignità sublime. Con l’incarnazione il Figlio di Dio si è unito in certo
modo a ogni uomo» [37].
19. La trascendenza del Cristo non lo isola dunque al di sopra della
famiglia umana, ma lo rende presente a ogni uomo, al di là di ogni
particolarismo. «A nessuno e in nessun luogo egli può apparire estraneo»
[38]. «Non c’è più giudeo né greco; non c’è più schiavo né libero; non c’è
più uomo né donna, poiché tutti voi siete uno in Cristo Gesù» [39]. Il
Cristo ci raggiunge quindi nell’unità che formiamo, come nella
molteplicità e nella diversità degli individui in cui si realizza la nostra
comune natura.
20. Il Cristo non ci raggiungerebbe però nella verità della nostra umanità
concreta, se non ci cogliesse nella diversità e nella complementarità delle
nostre culture. Le culture infatti — lingua, storia, atteggiamento generale
di fronte alla vita, istituzioni varie — nel bene e nel male ci accolgono
nella vita, ci formano, ci accompagnano e ci prolungano nel tempo. Se il
cosmo intero è misteriosamente il luogo della grazia e del peccato, come
non lo sarebbero anche le nostre culture, che sono i frutti e i germi
dell’attività propriamente umana?
21. Nel Corpo del Cristo, le culture, nella misura in cui sono animate e
rinnovate dalla grazia e dalla fede, sono del resto complementari. Esse
permettono di vedere la multiforme fecondità di cui sono capaci gli
insegnamenti e le energie dello stesso Vangelo, gli stessi principi di verità,
di giustizia, di amore e di libertà, quando sono pervasi dallo Spirito di
Cristo.
22. Dobbiamo infine ricordare che non è per strategia interessata che la
Chiesa, sposa del Verbo incarnato, si preoccupa della sorte delle varie
culture dell’umanità. Essa vuole animare dall’interno, proteggere, liberare
dall’errore e dal peccato, con cui noi le abbiamo corrotte, quelle risorse di
verità e di amore che Dio ha disposto, come semina Verbi, nella sua
creazione. Il Verbo di Dio non viene in una creazione che gli sarebbe
estranea. «Tutte le cose sono state create per mezzo di lui e in vista di lui.
Egli è prima di tutte le cose e tutte sussistono in lui» [40].
3. La Chiesa degli Apostoli e lo Spirito Santo
1. Da Gerusalemme alle nazioni: gli inizi tipici dell’inculturazione della
fede
23. Il giorno di Pentecoste, la discesa dello Spirito Santo inaugura il
rapporto della fede cristiana e delle culture come un evento di
compimento e di pienezza: la promessa della salvezza, adempiuta dal
Cristo risorto, riempie il cuore dei credenti con l’effusione dello Spirito
Santo stesso. «Le meraviglie di Dio» verranno ormai rese «pubbliche» a

1.9 Page 9

▲back to top
tutti gli uomini di ogni lingua, di ogni cultura [41]. Mentre l’umanità vive
sotto il segno della divisione di Babele, il dono dello Spirito Santo le è
offerto come la grazia, trascendente e quanto umana, della sinfonia dei
cuori. La comunione divina (koinonia) [42] ricrea una nuova comunità tra
gli uomini, penetrando, senza distruggerlo, nel segno della loro divisione:
le lingue.
24. Lo Spirito Santo non instaura una supercultura, ma è il principio
personale e vitale che vivificherà la nuova comunità in sinergia con i suoi
membri. Il dono dello Spirito Santo non è dell’ordine delle strutture, ma la
Chiesa di Gerusalemme che esso plasma è koinonia di fede e di agape,
che si comunica nella pluralità senza dividersi; essa è il Corpo del Cristo i
cui membri sono uniti senza uniformità. La prima prova della cattolicità
appare quando le differenze connesse con la cultura (screzi tra ellenisti ed
ebrei) minacciano la comunione [43]. Gli Apostoli non sopprimono le
differenze, ma svolgeranno una funzione essenziale del corpo ecclesiale:
la diaconia al servizio della koinonia.
25. Affinché la Buona Notizia sia annunciata alle nazioni, lo Spirito Santo
suscita un nuovo discernimento in san Pietro e nella Comunità di
Gerusalemme [44]: la fede in Cristo non esige dai nuovi credenti che
abbandonino la loro cultura per adottare quella della Legge del popolo
ebreo: tutti i popoli sono chiamati ad essere beneficiari della Promessa e a
condividere l’eredità affidata per loro al Popolo dell’Alleanza [45].
Dunque nessun altro obbligo «al di fuori delle cose necessarie», secondo
la decisione dell’assemblea apostolica [46].
26. Ma, scandalo per gli ebrei, il mistero della Croce è follia per i pagani.
Qui l’inculturazione della fede si scontra con il peccato radicale che
«soffoca» [47] la verità di una cultura che non è assunta dal Cristo:
l’idolatria. Finché l’uomo è «privo della Gloria di Dio» [48], tutto ciò che
egli «coltiva» è immagine opaca di lui stesso. Il kerygma paolino parte
allora dalla creazione e dalla vocazione all’Alleanza, denuncia le
perversioni morali dell’umanità accecata e annuncia la salvezza nel Cristo
crocifisso e risorto.
27. Dopo la prova della cattolicità tra comunità cristiane culturalmente
diverse, dopo le resistenze del legalismo ebraico e quelle dell’idolatria, la
fede s’infeuda nella cultura, nello gnosticismo. Il fenomeno sorge
all’epoca delle ultime lettere di Paolo e di Giovanni: alimenterà la
maggior parte delle crisi dottrinali dei secoli seguenti. Qui la ragione
umana, nella sua condizione ferita, rifiuta la follia dell’Incarnazione del
Figlio di Dio e tenta di ricuperare il Mistero adattandolo alla cultura
regnante. Ora, «la fede non si fonda sulla sapienza umana, ma sulla
potenza di Dio» [49].
2. La Tradizione Apostolica: inculturazione della fede e salvezza della
cultura
28. Negli «ultimi tempi» inaugurati dalla Pentecoste, il Cristo risorto, Alfa
e Omèga, entra nella storia dei popoli: da allora il senso della storia, e
dunque della cultura, è «dissigillato» [50] e lo Spirito Santo lo rivela

1.10 Page 10

▲back to top
attualizzandolo e comunicandolo a tutti. Di questa rivelazione e
comunione la Chiesa è il sacramento. Essa riequilibra ogni cultura in cui il
Cristo viene accolto, collocandola nell’asse del «mondo che viene», e
restaura la comunione infranta dal «principe di questo mondo». La cultura
è così in situazione escatologica: tende verso il proprio compimento nel
Cristo, ma non può essere salvata se non associandosi al ripudio del male.
29. Ogni Chiesa locale o particolare ha la vocazione di essere, nello
Spirito Santo, il sacramento che manifesta il Cristo, crocifisso e risorto,
nella carne di una cultura particolare:
a) La cultura di una Chiesa locale — giovane o antica — partecipa al
dinamismo delle culture e alle loro vicissitudini. Anche se è in situazione
escatologica, essa rimane sottoposta alle prove e alle tentazioni [51].
b) La «novità cristiana» genera nelle Chiese locali espressioni particolari
culturalmente caratterizzate (modalità delle formulazioni dottrinali,
simbolismi liturgici, tipi di santità, direttive canoniche ecc.). Ma la
comunione tra le Chiese esige costantemente che la «carne» culturale di
ognuna non faccia velo al mutuo riconoscimento nella fede apostolica e
alla solidarietà nell’amore.
c) Ogni Chiesa inviata alle nazioni testimonia il proprio Signore solo se,
tenuto conto dei propri vincoli culturali, si conforma a Lui nella prima
kenosis della sua Incarnazione e nell’umiliazione ultima della sua
Passione vivificante. L’inculturazione della fede è una delle espressioni
della Tradizione apostolica di cui Paolo sottolinea a più riprese il carattere
drammatico [52].
30. Gli scritti apostolici e le testimonianze patristiche non limitano la loro
visione della cultura al servizio dell’evangelizzazione, ma la integrano
nella totalità del Mistero del Cristo. Per loro, la creazione è il riflesso
della Gloria di Dio, l’uomo ne è l’icona vivente e nel Cristo viene data la
rassomiglianza con Dio. La cultura è il luogo in cui l’uomo e il mondo
sono chiamati a ritrovarsi nella Gloria di Dio. L’incontro non ha luogo o
viene offuscato nella misura in cui l’uomo è peccatore. All’interno della
creazione prigioniera si vive la gestazione di «tutte le cose nuove» [53]: la
Chiesa è «nelle doglie» [54]. In essa e con essa le creature di questo
mondo possono vivere la loro redenzione e la loro trasfigurazione.
3. PROBLEMI ATTUALI D'INCULTURAZIONE
La religiosità popolare
L’incontro delle religioni non cristiane
Giovani Chiese, passato cristiano e cultura ancestrale
La fede cristiana e la modernità
1. L’inculturazione della fede, che abbiamo considerato soprattutto da un
punto di vista filosofico (natura, cultura e grazia), in primo luogo, quindi
dal punto di vista della storia e del dogma (l’inculturazione nella storia
della salvezza), pone ancora notevoli problemi alla riflessione teologica e
all’azione pastorale. Così gli interrogativi che la scoperta di nuovi mondi

2 Pages 11-20

▲back to top

2.1 Page 11

▲back to top
ha fatto sorgere, nel secolo XVI, continuano a preoccuparci. Come
armonizzare con la fede le espressioni spontanee della religiosità dei
popoli? Quale atteggiamento assumere di fronte alle religioni non
cristiane, a quelle, in particolare, che sono «legate al progresso della
cultura»? [55] Problemi nuovi sono sorti ai nostri giorni. Come le
«giovani Chiese», nate nel nostro secolo dall’indigenizzazione di
comunità cristiane preesistenti, devono considerare sia il loro passato
cristiano sia la storia culturale dei loro rispettivi popoli? Come infine il
Vangelo deve animare, purificare e fortificare il nuovo mondo in cui ci
hanno fatto entrare l’industrializzazione e l’urbanizzazione? Questi
quattro interrogativi ci sembrano imporsi a chi riflette sulle condizioni
presenti dell’inculturazione della fede.
1. La religiosità popolare
2. In genere per religiosità popolare s’intende, nei Paesi raggiunti dal
Vangelo, l’unione della fede e della pietà cristiane, da un lato con la
cultura profonda e dall’altro con forme della precedente religione delle
popolazioni. Si tratta di quelle numerose devozioni con cui alcuni cristiani
esprimono il loro sentimento religioso nel linguaggio semplice, tra l’altro,
della festa e del pellegrinaggio, della danza e del canto. Si è potuto parlare
di sintesi vitale a proposito di tale religiosità, poiché unisce «il corpo e lo
spirito, la comunione ecclesiale e l’istituzione, l’individuo e la comunità,
la fede cristiana e l’amore della patria, l’intelligenza e l’affettività» [56].
La qualità della sintesi dipende, ovviamente, dall’antichità e dalla
profondità dell’evangelizzazione, come dalla compatibilità degli
antecedenti religiosi e culturali con la fede cristiana.
3. Nell’esortazione apostolica Evangelii nuntiandi, Paolo VI ha
confermato e incoraggiato una valutazione nuova della religiosità
popolare. «Per lungo tempo considerate meno pure, talvolta disprezzate,
queste espressioni [particolari della ricerca di Dio e della fede] formano
oggi un po’ dappertutto l’oggetto di una riscoperta» [57].
4. «Ma se è bene orientata, soprattutto mediante una pedagogia di
evangelizzazione — continuava Paolo VI — [la pietà popolare] è ricca di
valori. Essa manifesta una sete di Dio che solo i semplici e i poveri
possono conoscere; rende capaci di generosità e di sacrificio fino
all’eroismo, quando si tratta di manifestare la fede; comporta un senso
acuto degli attributi profondi di Dio: la paternità, la provvidenza, la
presenza amorosa e costante; genera atteggiamenti interiori raramente
osservati altrove al medesimo grado: pazienza, senso della croce nella vita
quotidiana, distacco, apertura agli altri, devozione» [58].
5. Del resto, la forza e la profondità delle radici della religiosità popolare
si sono chiaramente manifestate in quel lungo periodo di discredito di cui
parlava Paolo VI. Le espressioni della religiosità popolare sono
sopravvissute alle numerose predizioni di scomparsa che la modernità e i
progressi del secolarismo sembravano dare per certa. Hanno conservato e
anzi accresciuto, in molte regioni del globo, l’attrattiva che esercitavano
sulle folle.

2.2 Page 12

▲back to top
6. Non poche volte sono stati denunciati i limiti della religiosità popolare.
Essi hanno origine da un certo semplicismo, fonte di varie deformazioni
della religione, anzi di superstizioni. Si rimane al livello di manifestazioni
culturali, senza che siano impegnate una vera adesione di fede e
l’espressione di tale fede nel servizio del prossimo. Male orientata, la
religiosità popolare può anche condurre alla formazione di sètte e mettere
così in pericolo la vera comunità ecclesiale. Essa rischia ancora di essere
manipolata sia da poteri politici sia da forze religiose estranee alla fede
cristiana.
7. La considerazione di tali pericoli invita a praticare una catechesi
intelligente, che trae vantaggio dai meriti di una religiosità popolare
autentica e, allo stesso tempo, capace di discernimento. Una liturgia viva e
adeguata è chiamata ugualmente a svolgere un grande ruolo
nell’integrazione di una fede molto pura e delle forme tradizionali della
vita religiosa dei popoli. Indubbiamente la pietà popolare può arrecare un
contributo insostituibile a un’antropologia culturale cristiana che
permetterebbe di ridurre il divario, talora tragico, tra la fede dei cristiani e
certe istituzioni socioeconomiche di orientamento ben diverso che guidano
la loro vita quotidiana.
2. Inculturazione della fede e religioni non cristiane
8. Le religioni non cristiane. Sin dalle origini la Chiesa ha incontrato, a
molti livelli, il problema della pluralità delle religioni. I cristiani non
costituiscono ancora oggi che un terzo circa della popolazione mondiale;
del resto dovranno vivere in un mondo che prova una crescente simpatia
per il pluralismo in materia religiosa.
9. Data la posizione rilevante della religione nella cultura, una Chiesa
locale o particolare impiantata in un ambiente socioculturale non cristiano
deve tenere conto molto seriamente degli elementi religiosi di
quell’ambiente. Una simile preoccupazione sarà del resto a misura della
profondità e della vitalità di questi dati religiosi.
10. Se è lecito prendere ad esempio un continente, parleremo dell’Asia,
che ha visto nascere parecchie delle grandi correnti religiose del mondo.
L’induismo, il buddismo, l’islam, il confucianesimo, il taoismo e lo
scintoismo, ognuno di questi sistemi religiosi, ovviamente in parti distinte
del continente, sono profondamente radicati nei popoli e mostrano molta
vitalità. La vita personale come l’attività sociale e comunitaria sono state
segnate in maniera determinante da queste tradizioni religiose e spirituali.
Perciò le Chiese dell’Asia considerano il problema delle religioni non
cristiane come uno dei più importanti e più urgenti. Ne fanno anzi
l’oggetto di quella forma privilegiata di rapporto che è il dialogo.
11. Il dialogo delle religioni. Il dialogo con le altre religioni fa parte
integrante della vita dei cristiani: attraverso lo scambio, lo studio e il
lavoro in comune, questo dialogo contribuisce a una migliore intelligenza
della religione dell’altro e alla crescita nella pietà.
12. Per la fede cristiana, l’unità di tutti nella loro origine e nel loro

2.3 Page 13

▲back to top
destino, vale a dire nella creazione e nella comunione con Dio in Gesù
Cristo, si accompagna alla presenza e all’azione universali dello Spirito
Santo. La Chiesa in dialogo ascolta e impara: «La Chiesa cattolica nulla
rigetta di quanto è vero e santo in queste religioni. Essa considera con
sincero rispetto quei modi di agire e di vivere, quei precetti e quelle
dottrine che, quantunque in molti punti differiscano da quanto essa stessa
crede e propone, tuttavia non raramente riflettono un raggio di quella
Verità che illumina tutti gli uomini» [59].
13. Un simile dialogo ha qualcosa di originale, poiché, come conferma la
storia delle religioni, la pluralità delle religioni ha spesso ingenerato
discriminazione e gelosia, fanatismo e dispotismo, tutte cose che hanno
valso alla religione l’accusa di essere fonte di divisione nella famiglia
umana. La Chiesa, «sacramento universale della salvezza», vale a dire
«segno e strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il
genere umano» [60], è chiamata da Dio ad essere ministro e strumento
dell’unità in Gesù Cristo per tutti gli uomini e per tutti i popoli.
14. La trascendenza del Vangelo in rapporto alla cultura. Non possiamo
tuttavia dimenticare la trascendenza del Vangelo in rapporto a tutte le
culture umane nelle quali la fede cristiana è chiamata a radicarsi e a
svilupparsi secondo tutte le proprie virtualità. Per quanto grande infatti
debba essere il rispetto per ciò che è vero e santo nell’eredità culturale di
un popolo, un tale atteggiamento non richiede però di attribuire un
carattere assoluto a quell’eredità culturale. Nessuno può dimenticare che,
sin dalle origini, il Vangelo è stato «scandalo per i giudei e stoltezza per i
pagani» [61]. L’inculturazione che prende a prestito la voce del dialogo tra
le religioni non potrebbe in nessun modo dare garanzie al sincretismo.
3. Le giovani Chiese e il loro passato cristiano
15. La Chiesa prolunga e attualizza il mistero del Servo di Jahvè, al quale
è stato promesso che sarà «luce delle nazioni, perché porti la salvezza fino
all’estremità della terra» [62] e che sarà «l’Alleanza per il popolo» [63].
Questa profezia si realizza nell’Ultima Cena, quando, la vigilia della sua
passione, il Cristo, attorniato dai Dodici, dona ai suoi il suo corpo e il suo
sangue come cibo e bevanda della Nuova Alleanza, assimilandoli così al
proprio corpo. Nasceva la Chiesa, popolo della Nuova Alleanza. Essa
riceverà alla Pentecoste lo Spirito del Cristo, lo Spirito dell’Agnello
immolato sin dall’origine e che già lavorava per esaudire questo voto così
profondamente radicato negli esseri umani: l’unione più radicale nel più
radicale rispetto della diversità.
16. In virtù della comunione cattolica, che unisce tutte le Chiese
particolari in una medesima storia, le giovani Chiese considerano il
passato delle Chiese che hanno dato loro la nascita come una parte della
propria storia. Tuttavia l’atto principale d’interpretazione che segna la loro
maturità spirituale consiste nel riconoscere quest’anteriorità come
originaria, e non solo come storica. Ciò significa che, accogliendo nella
fede il Vangelo che le sorelle maggiori hanno loro annunciato, le giovani
Chiese hanno accolto «l’autore e il perfezionatore della fede» [64] e
l’intera Tradizione nella quale la fede si è attestata, come anche la capacità

2.4 Page 14

▲back to top
di generare forme originali in cui si esprimerà la fede unica e comune.
Uguali in dignità, vivendo lo stesso mistero, autentiche Chiese sorelle, le
giovani Chiese manifestano, in accordo con le sorelle maggiori, la
pienezza del mistero del Cristo.
17. Popolo della Nuova Alleanza, la Chiesa, in quanto ricorda il mistero
pasquale e annuncia continuamente il ritorno del Signore, può dirsi
escatologia iniziata delle tradizioni culturali dei popoli, a condizione,
naturalmente, che queste tradizioni siano state sottoposte alla legge
purificatrice della morte e della risurrezione in Gesù Cristo.
18. Come san Paolo all’areopago di Atene, la giovane Chiesa opera una
lettura nuova e creatrice della cultura ancestrale. Quando tale cultura passa
al Cristo, «il velo viene tolto» [65]. Durante il periodo d’incubazione della
fede, quella Chiesa aveva scoperto il Cristo come «esegeta ed esegesi» del
Padre nello Spirito [66]; non cessa del resto di contemplarlo come tale.
Ora, lo scopre «esegeta ed esegesi» dell’uomo, sorgente e destinatario
della cultura. Al Dio ignoto, rivelato sulla Croce, corrisponde l’uomo
ignoto che la giovane Chiesa annuncia, nella sua qualità di mistero
pasquale vivente, inaugurato mediante la grazia nell’antica cultura.
19. Nella salvezza che rende presente, la giovane Chiesa si sforza di
reperire tutte le tracce della sollecitudine di Dio per un gruppo umano
particolare, i semina Verbi. Ciò che il prologo della Lettera agli Ebrei dice
dei Padri e dei profeti può, in rapporto con Gesù Cristo, venire ripreso e
vale, in una certa maniera analogicamente, per ogni cultura umana, in
quello che essa ha di giusto e di vero e che essa porta di saggezza.
4. La fede cristiana e la modernità
20. I cambiamenti tecnici, che hanno provocato la rivoluzione industriale e
quindi la rivoluzione urbana, hanno colpito nell’intimo l’animo delle
popolazioni, beneficiarie e anche molto spesso vittime di quei
cambiamenti. Perciò s’impone ai credenti, come compito urgente e
difficile, di comprendere la cultura moderna nei suoi elementi
caratteristici, come nelle sue attese e nei suoi bisogni in rapporto alla
salvezza arrecata da Gesù Cristo.
21. La rivoluzione industriale fu anche una rivoluzione culturale. Valori
sino allora sicuri furono messi in discussione, come il senso del lavoro
personale e comunitario, il rapporto diretto dell’uomo con la natura,
l’appartenenza a una famiglia di sostegno, nella coabitazione come nel
lavoro, il radicamento in comunità locali e religiose a dimensione umana,
la partecipazione a tradizioni, riti, cerimonie e celebrazioni che danno un
senso ai grandi momenti dell’esistenza. L’industrializzazione, provocando
un ammasso disordinato delle popolazioni, mina gravemente questi valori
secolari, senza suscitare comunità capaci d’integrare nuove culture. Nel
momento in cui i popoli più sprovveduti sono alla ricerca di un modello di
sviluppo adeguato, i vantaggi come pure i rischi e i costi umani
dell’industrializzazione vengono meglio percepiti.
22. Grandi progressi sono stati conseguiti in molti settori della vita:

2.5 Page 15

▲back to top
alimentazione, sanità, istruzione, trasporti, accesso ai beni di consumo di
ogni specie. Tuttavia profonde inquietudini sorgono nell’inconscio
collettivo. In non pochi Paesi, l’idea di progresso, soprattutto dopo la
seconda guerra mondiale, ha lasciato il posto alla disillusione. La
razionalità in materia di produzione e di amministrazione, quando
dimentica il bene delle persone, lavora contro la ragione. L’emancipazione
dalle comunità di appartenenza ha sepolto l’uomo nella folla solitaria. I
nuovi mezzi di comunicazione distruggono gli equilibri strutturali come
anche possono unire. La scienza, con le creazioni tecniche che ne sono il
frutto, appare insieme creatrice e omicida. Perciò certuni disperano della
modernità e parlano di una nuova barbarie. Nonostante tanti insuccessi ed
errori, bisogna sperare in una rinascita morale di tutte le nazioni, ricche e
povere. Se il Vangelo è predicato e ascoltato, una conversione culturale e
spirituale è possibile: essa chiama alla solidarietà, alla sollecitudine per il
bene integrale della persona, alla promozione della giustizia e della pace,
all’adorazione del Padre, dal quale tutto procede.
23. L’inculturazione del Vangelo nelle società moderne esigerà uno sforzo
metodico di ricerca e di azione concertate. Tale sforzo supporrà nei
responsabili dell’evangelizzazione: 1) un atteggiamento di accoglienza e
di discernimento critico, 2) la capacità di percepire le attese spirituali e le
aspirazioni umane delle nuove culture, 3) la capacità di analisi culturale in
vista di un incontro effettivo con il mondo moderno.
24. Un atteggiamento di accoglienza è richiesto, infatti, in chi vuole
comprendere ed evangelizzare il mondo di oggi. La modernità si
accompagna a progressi innegabili in molti campi materiali e culturali:
benessere, mobilità umana, scienza, ricerca, istruzione, nuovo senso della
solidarietà. Inoltre, la Chiesa del Vaticano II ha preso viva coscienza delle
condizioni nuove nelle quali essa deve esercitare la propria missione ed è
nelle culture della modernità che si costruirà la Chiesa di domani. A
proposito del discernimento si applica la tradizionale consegna ripresa da
Pio XII: «Occorre comprendere più profondamente la civiltà e le
istituzioni dei vari popoli e coltivare le loro qualità e i loro doni migliori.
[...] Tutto ciò che in tali usi e costumi non è indissolubilmente legato con
superstizioni o con errori troverà sempre benevolo esame e, quando riesce
possibile, verrà tutelato e promosso» [67].
25. Il Vangelo suscita domande fondamentali in chi riflette sul
comportamento dell’uomo moderno. Come far comprendere a quest’uomo
la radicalità del messaggio del Cristo: la carità incondizionata, la povertà
evangelica, l’adorazione del Padre e l’adesione costante alla sua volontà?
Come educare al senso cristiano della sofferenza e della morte? Come
suscitare la fede e la speranza nell’opera della risurrezione compiuta da
Gesù Cristo?
26. Dobbiamo sviluppare una capacità di analizzare le culture e di
percepirne le incidenze morali e spirituali. Una mobilitazione di tutta la
Chiesa s’impone perché sia affrontato con successo il compito
estremamente complesso dell’inculturazione del Vangelo nel mondo
moderno. Dobbiamo far nostra, in proposito, la preoccupazione di
Giovanni Paolo II: «Fin dall’inizio del mio pontificato, ho ritenuto che il

2.6 Page 16

▲back to top
dialogo della Chiesa con le culture del nostro tempo fosse un campo
vitale, nel quale è in gioco il destino del mondo in questo scorcio del XX
secolo» [68].
Conclusione
1. Dopo aver detto che era importante «raggiungere e quasi sconvolgere
mediante la forza del Vangelo i criteri di giudizio, i valori determinanti, i
punti d’interesse, le linee di pensiero, le fonti ispiratrici e i modelli di vita
dell’umanità, che sono in contrasto con la Parola di Dio e col disegno
della salvezza», Paolo VI domandava di «evangelizzare — non in maniera
decorativa, a somiglianza di vernice superficiale, ma in modo vitale, in
profondità e fino alle radici — la cultura e le culture dell’uomo, nel senso
ricco ed esteso che questi termini hanno nella Gaudium et spes [...]. Il
Regno, che il Vangelo annunzia, è vissuto da uomini profondamente legati
a una cultura, e la costruzione del Regno non può non avvalersi degli
elementi della cultura e delle culture umane» [69].
2. «In questo scorcio del XX secolo» — diceva dal canto suo Giovanni
Paolo II — «la Chiesa deve farsi tutta a tutti, raggiungendo con simpatia le
culture di oggi. Esistono ancora ambienti e mentalità, come Paesi e regioni
intere da evangelizzare, il che suppone un lungo e coraggioso processo
d’inculturazione, affinché il Vangelo penetri l’anima delle culture viventi,
rispondendo alle loro attese più elevate e facendole crescere alla
dimensione stessa della fede, della speranza e della carità cristiane [...].
Talora le culture non sono state ancora toccate se non superficialmente e,
in ogni modo, trasformandosi esse continuamente, richiedono un
approccio rinnovato. [...] Inoltre, nuovi settori di cultura nascono, con
obiettivi, metodi e linguaggi diversi» [70].
Allegato
Per guidare il lettore nell’eventuale pubblicazione delle varie relazioni
preparatorie, ne offriamo la lista. Infatti, partendo da tali studi (che
rimangono proprietà dei loro Autori, i quali scrivono sotto la propria
responsabilità), il P. Gilles Langevin SI, presidente della
sottocommissione e redattore principale, ha operato la sintesi che la
Commissione Teologica Internazionale ha approvato in tre successive
votazioni, le prime due delle quali sono state accompagnate da importanti
emendamenti. Ecco l’insieme degli argomenti trattati:
I. Differenti aspetti della riflessione e dell’azione della Chiesa sul
problema dell’inculturazione
1. Situazione del problema concernente il Magistero
1.1 Il Concilio Vaticano II e i Sinodi (prof. Philippe Delhaye)
1.2 Le allocuzioni pontificie (prof. Andre-Jean Léonard)
2. La teologia e l’azione pastorale
2.1 In Asia (prof. Peter Miyakawa)

2.7 Page 17

▲back to top
2.2 In Africa (prof. James Okoye)
2.3 In America Latina (prof. José Miguel Ibáñez Langlois)
2.4 Nel Mondo Atlantico (prof. Giuseppe Colombo)
II. Sacra Scrittura e Teologia
1. Il Padre: Antico Testamento ed Ebraismo (dr. Hans Urs von Balthasar)
2. Gesù Cristo
2.1 L’assunzione della natura umana (prof. Gilles Langevin)
2.2 La salvezza e la divinizzazione (prof. Francis Moloney)
3. Lo Spirito Santo e la Chiesa (prof. Jean Corbon)
III. Antropologia
La natura creata, decaduta e redenta (prof. Georges Cottier)
IV. Ecclesiologia: la comunità cristiana e le comunità umane
1. Le religioni non cristiane (prof. Felix Wilfred)
2. I rapporti delle giovani Chiese con le tradizioni ecclesiastiche antiche
(prof. Barthelémy Adoukonou)
Documento in forma di conclusione pastorale: la modernità (prof. Hervé
Carrier)
* Documento preparato dalla Commissione Teologica Internazionale nella
sessione plenaria del dicembre 1987, approvato «in forma specifica» nella
sessione plenaria dell’ottobre 1988 e pubblicata con il placet di S. Em. il
Card. Joseph Ratzinger, presidente della Commissione. La Nota annessa
riporta i nomi dei membri che hanno maggiormente contribuito
all’elaborazione del testo.
Il testo italiano si trova in CivCatt 140 (1989), I,158-177.
[1] Cfr Temi scelti d’ecclesiologia in occasione del XX anniversario della
chiusura del Concilio Vaticano II (1984).
[2] Pontificia Commissione Biblica, Fede e cultura alla luce della bibbia.
Atti della Sessione plenaria 1979 della Pontificia Commissione Biblica,
LDC, Leumann 1981.
[3] GS, 44.
[4] GS, 53-62.
[5] PAOLO VI, Evangelii nuntiandi, Esortazione apostolica
sull’evangelizzazione nel mondo contemporaneo (8 dicembre 1975), 18-

2.8 Page 18

▲back to top
20.
[6] GIOVANNI PAOLO II, Catechesi tradendae, Esortazione apostolica
sulla catechesi nel nostro tempo (16 ottobre 1979), 145 s.
[7] Sinodo straordinario per il XX anniversario della conclusione del
CONCILIO VATICANO II, «Relazione finale votata dai Padri (7
dicembre 1985)», OR, 10 dicembre 1985,7.
[8] GIOVANNI PAOLO II, «Lettera autografa di fondazione del Pontificio
Consiglio per la Cultura (20 maggio 1982)», AAS 74 (1982) 683-688.
[9] GIOVANNI PAOLO II, É para mim, Discorso all’Università di
Coimbra (15 maggio 1982), 5; Today during, Discorso ai vescovi del
Kenya (7 maggio 1980), 6.
[10] GIOVANNI PAOLO II, C’est avec une joie, Discorso ai membri del
Pontificio Consiglio per la Cultura (18 gennaio 1983), 7-8.
[11] PAOLO VI, Humanae vitae, Lettera enciclica sulla regolamentazione
delle nascite (25 luglio 1968), 10.
[12] GS, 53.
[13] GS, 53.
[14] GIOVANNI PAOLO II, Slavorum Apostoli, Lettera enciclica per
l’11° centenario dell’opera evangelizzatrice dei santi Cirillo e Metodio (2
giugno 1985), 21.
[15] DV, 13.
[16] Cf. Rm 11,11-24.
[17] Gn l,l-2,4a.
[18] Cf. Gn 9,1-17; Sir 44,17-18.
[19] Gn 12,1-5; Ger 4,2; Sir 44,21.
[20] Lc 24,27.44.
[21] Mc 13,10; Mt 12,21; Lc 2,32.
[22] Mt 11,19; Lc 7,35.
[23] Sal 93,1-4; Is 6,1.
[24] Mc 1,15; Mt 12,28, Lc 11,20; 17,21.
[25] Mt 20,1-16; Lc 15,11-32; 18,9-14.

2.9 Page 19

▲back to top
[26] Mc 14,36.
[27] Mc 1,44-45; 10,2-9; Mt 5,21-48.
[28] Rm 5,12-19; 1 Cor 15,20-22.
[29] Mc 8,27-33; 1 Cor 1,18-25.
[30] Gal 3,13; Dt 21,22-23.
[31] Gal 3,12-14.
[32] Rm 7,16 ss.; 3,20; 7,7; lTm 1,8.
[33] AG, 10.
[34] Lc 2,46.
[35] Rm 9,3-5.
[36] Rm 11,24.
[37] GS, 22.
[38] AG, 8.
[39] Gal 3,28.
[40] Col 1,16-17.
[41] At 2,11.
[42] At 2,42.
[43] At 6,1 ss.
[44] At 10 e 11.
[45] Ef 2,14-15.
[46] At 15,28.
[47] Rm 1,18.
[48] Rm 3,23.
[49] 1Cor 2,4 ss.
[50] Ap 5,1-5.
[51] Cf. Ap 2 e 3.

2.10 Page 20

▲back to top
[52] 1 e 2Cor passim.
[53] Ap 21,5.
[54] Cf. Rm 8,18-25.
[55] NA, 2.
[56] III Conferenza generale dei vescovi latinoamericani (Puebla 1979),
L’evangelizzazione nel presente e nell’avvenire dell’America Latina,
Conclusioni, 448.
[57] PAOLO VI, Evangelii nuntiandi, 48.
[58] PAOLO VI, Evangelii nuntiandi, 48.
[59] NA, 2.
[60] LG, 1.
[61] 1Cor 1,23.
[62] Is 49,6.
[63] Is 49,8.
[64] Eb 12,2.
[65] 2Cor 3,16.
[66] H. DE Lubac, Esegesi medievale, I, Jaca Book, Milano 1986, 348-
351.
[67] Pio XII, Summi pontificatus, Lettera enciclica sull’unità della società
umana (20 ottobre 1939).
[68] GIOVANNI PAOLO II, «Lettera di fondazione del Pontificio
Consiglio della Cultura» (20 maggio 1982).
[69] PAOLO VI, Evangelii nuntiandi, 19-20.
[70] Giovanni Paolo II, C’est avec une joie, 4.