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La Santa Sede
ESORTAZIONE APOSTOLICA
LAUDATE DEUM
DEL SANTO PADRE
FRANCESCO
A TUTTE LE PERSONE DI BUONA VOLONTÀ
SULLA CRISI CLIMATICA
1. “Lodate Dio per tutte le sue creature”. Questo è stato l’invito che San Francesco d’Assisi ha
fatto con la sua vita, i suoi canti, i suoi gesti. In tal modo ha ripreso la proposta dei salmi della
Bibbia e ha ripresentato la sensibilità di Gesù verso le creature del Padre suo: «Osservate come
crescono i gigli del campo: non faticano e non filano. Eppure io vi dico che neanche Salomone,
con tutta la sua gloria, vestiva come uno di loro» (Mt 6,28-29). «Cinque passeri non si vendono
forse per due soldi? Eppure nemmeno uno di essi è dimenticato davanti a Dio» (Lc 12,6). Come
non ammirare questa tenerezza di Gesù per tutti coloro che ci accompagnano nel nostro
cammino?
2. Sono passati ormai otto anni dalla pubblicazione della Lettera enciclica Laudato si’, quando ho
voluto condividere con tutti voi, sorelle e fratelli del nostro pianeta sofferente, le mie accorate
preoccupazioni per la cura della nostra casa comune. Ma, con il passare del tempo, mi rendo
conto che non reagiamo abbastanza, poiché il mondo che ci accoglie si sta sgretolando e forse si
sta avvicinando a un punto di rottura. Al di là di questa possibilità, non c’è dubbio che l’impatto del
cambiamento climatico danneggerà sempre più la vita di molte persone e famiglie. Ne sentiremo
gli effetti in termini di salute, lavoro, accesso alle risorse, abitazioni, migrazioni forzate e in altri
ambiti.
3. Si tratta di un problema sociale globale che è intimamente legato alla dignità della vita umana. I
vescovi degli Stati Uniti hanno espresso molto bene il senso sociale della nostra preoccupazione
per il cambiamento climatico, che va oltre un approccio meramente ecologico, perché «la nostra
cura per l’altro e la nostra cura per la terra sono intimamente legate. Il cambiamento climatico è

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una delle principali sfide che la società e la comunità globale devono affrontare. Gli effetti del
cambiamento climatico sono subiti dalle persone più vulnerabili, sia in patria che nel mondo». [1]
Con poche parole lo hanno detto anche i vescovi presenti al Sinodo per l’Amazzonia: «Gli attacchi
alla natura hanno conseguenze sulla vita dei popoli». [2] E per esprimere con forza che non si
tratta più di una questione secondaria o ideologica, ma di un dramma che ci danneggia tutti, i
vescovi africani hanno dichiarato che il cambiamento climatico evidenzia «un esempio scioccante
di peccato strutturale». [3]
4. La riflessione e le informazioni che possiamo raccogliere da questi ultimi otto anni ci permettono
di specificare e completare ciò che abbiamo affermato qualche tempo fa. Per tale motivo, e perché
la situazione sta diventando ancora più urgente, ho voluto condividere con voi queste pagine.
1. La crisi climatica globale
5. Per quanto si cerchi di negarli, nasconderli, dissimularli o relativizzarli, i segni del cambiamento
climatico sono lì, sempre più evidenti. Nessuno può ignorare che negli ultimi anni abbiamo
assistito a fenomeni estremi, frequenti periodi di caldo anomalo, siccità e altri lamenti della terra
che sono solo alcune espressioni tangibili di una malattia silenziosa che colpisce tutti noi. È vero
che non tutte le catastrofi possono essere attribuite al cambiamento climatico globale. Tuttavia, è
verificabile che alcuni cambiamenti climatici indotti dall’uomo aumentano significativamente la
probabilità di eventi estremi più frequenti e più intensi. Sappiamo quindi che ogni volta che la
temperatura globale aumenta di 0,5 gradi centigradi, aumentano anche l’intensità e la frequenza di
forti piogge e inondazioni in alcune aree, di gravi siccità in altre, di caldo estremo in alcune regioni
e di forti nevicate in altre ancora. [4] Se fino ad ora potevamo avere ondate di calore alcune volte
all’anno, cosa accadrebbe con un aumento della temperatura globale di 1,5 gradi centigradi, a cui
siamo vicini? Tali ondate di calore saranno molto più frequenti e più intense. Se si superano i 2
gradi, le calotte glaciali della Groenlandia e di gran parte dell’Antartide si scioglieranno
completamente, [5] con conseguenze enormi e molto gravi per tutti.
Resistenza e confusione
6. Negli ultimi anni non sono mancate le persone che hanno cercato di minimizzare questa
osservazione. Citano dati presumibilmente scientifici, come il fatto che il pianeta ha sempre avuto
e avrà sempre periodi di raffreddamento e riscaldamento. Trascurano di menzionare un altro dato
rilevante: quello a cui stiamo assistendo ora è un’insolita accelerazione del riscaldamento, con
una velocità tale che basta una sola generazione – non secoli o millenni – per accorgersene.
L’innalzamento del livello del mare e lo scioglimento dei ghiacciai possono essere facilmente
percepiti da una persona nell’arco della sua vita, e probabilmente tra pochi anni molte popolazioni
dovranno spostare le loro case a causa di questi eventi.
7. Per porre in ridicolo chi parla di riscaldamento globale, si ricorre al fatto che si verificano di

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frequente anche freddi estremi. Si dimentica che questi e altri sintomi straordinari sono solo
espressioni alternative della stessa causa: lo squilibrio globale causato dal riscaldamento del
pianeta. Siccità e alluvioni, prosciugamento di laghi e popolazioni spazzate via da maremoti o
inondazioni hanno in fondo la stessa origine. D’altra parte, se parliamo di un fenomeno globale,
non possiamo confonderlo con eventi transitori e mutevoli, che sono in gran parte spiegati da
fattori locali.
8. La mancanza di informazioni porta a identificare le grandi proiezioni climatiche che riguardano
periodi lunghi – si tratta almeno di decenni – con le previsioni meteorologiche che possono coprire
al massimo qualche settimana. Quando parliamo di cambiamento climatico ci riferiamo a una
realtà globale – con costanti variazioni locali – che persiste per diversi decenni.
9. Nel tentativo di semplificare la realtà, non mancano coloro che incolpano i poveri di avere troppi
figli e cercano di risolvere il problema mutilando le donne dei Paesi meno sviluppati. Come al
solito, sembrerebbe che la colpa sia dei poveri. Ma la realtà è che una bassa percentuale più ricca
della popolazione mondiale inquina di più rispetto al 50% di quella più povera e che le emissioni
pro capite dei Paesi più ricchi sono di molto superiori a quelle dei più poveri. [6] Come dimenticare
che l’Africa, che ospita più della metà delle persone più povere del mondo, è responsabile solo di
una minima parte delle emissioni storiche?
10. Spesso si dice anche che gli sforzi per mitigare il cambiamento climatico riducendo l’uso di
combustibili fossili e sviluppando forme di energia più pulita porteranno a una riduzione dei posti di
lavoro. Ciò che sta accadendo è che milioni di persone perdono il lavoro a causa delle varie
conseguenze del cambiamento climatico: l’innalzamento del livello del mare, la siccità e molti altri
fenomeni che colpiscono il pianeta hanno lasciato parecchia gente alla deriva. D’altra parte, la
transizione verso forme di energia rinnovabile, ben gestita, così come tutti gli sforzi per adattarsi ai
danni del cambiamento climatico, sono in grado di generare innumerevoli posti di lavoro in diversi
settori. Per questo è necessario che i politici e gli imprenditori se ne occupino subito.
Le cause umane
11. L’origine umana – “antropica” – del cambiamento climatico non può più essere messa in
dubbio. Vediamo perché. La concentrazione dei gas serra nell’atmosfera, che causano il
riscaldamento globale, è rimasta stabile fino al XIX secolo, al di sotto delle 300 parti per milione in
volume. Ma a metà di quel secolo, in coincidenza con lo sviluppo industriale, le emissioni hanno
iniziato ad aumentare. Negli ultimi cinquant’anni l’aumento ha subito una forte accelerazione,
come certificato dall’osservatorio di Mauna Loa, che dal 1958 effettua misurazioni giornaliere
dell’anidride carbonica. Mentre scrivevo la Laudato si’ ha raggiunto il massimo storico – 400 parti
per milione – arrivando nel giugno 2023 a 423 parti per milione. [7] Oltre il 42% delle emissioni
nette totali dal 1850 è avvenuto dopo il 1990. [8]

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12. Nel contempo, notiamo che negli ultimi cinquant’anni la temperatura è aumentata a una
velocità inedita, senza precedenti negli ultimi duemila anni. In questo periodo la tendenza è stata
di un riscaldamento di 0,15 gradi centigradi per decennio, il doppio rispetto agli ultimi 150 anni. Dal
1850 a oggi la temperatura globale è aumentata di 1,1 gradi centigradi, fenomeno che risulta
amplificato nelle aree polari. A questo ritmo, è possibile che tra dieci anni raggiungeremo il limite
massimo globale auspicabile di 1,5 gradi centigradi. [9] L’aumento non si è verificato soltanto sulla
superficie terrestre, ma anche a diversi chilometri di altezza nell’atmosfera, sulla superficie degli
oceani e persino a centinaia di metri di profondità. Questo ha pure aumentato l’acidificazione dei
mari e ridotto i loro livelli di ossigeno. I ghiacciai si ritirano, la copertura nevosa diminuisce e il
livello del mare aumenta costantemente. [10]
13. La coincidenza di questi fenomeni climatici globali con la crescita accelerata delle emissioni di
gas serra, soprattutto a partire dalla metà del XX secolo, non può essere nascosta. La stragrande
maggioranza degli studiosi del clima sostiene questa correlazione e solo una minima percentuale
di essi tenta di negare tale evidenza. Purtroppo, la crisi climatica non è propriamente una
questione che interessi alle grandi potenze economiche, che si preoccupano di ottenere il
massimo profitto al minor costo e nel minor tempo possibili.
14. Sono costretto a fare queste precisazioni, che possono sembrare ovvie, a causa di certe
opinioni sprezzanti e irragionevoli che trovo anche all’interno della Chiesa cattolica. Ma non
possiamo più dubitare che la ragione dell’insolita velocità di così pericolosi cambiamenti sia un
fatto innegabile: gli enormi sviluppi connessi allo sfrenato intervento umano sulla natura negli
ultimi due secoli. Gli elementi naturali che tipicamente causano il riscaldamento, come le eruzioni
vulcaniche e altri, non sono sufficienti a spiegare il tasso e la velocità dei cambiamenti degli ultimi
decenni. [11] L’evoluzione delle temperature medie della superficie non può essere spiegata
senza l’effetto dell’aumento dei gas serra.
Danni e rischi
15. Alcune manifestazioni di questa crisi climatica sono già irreversibili per almeno centinaia di
anni, come l’aumento della temperatura globale degli oceani, l’acidificazione e la riduzione
dell’ossigeno. Le acque oceaniche hanno un’inerzia termica e ci vogliono secoli per normalizzare
la temperatura e la salinità, con conseguenze sulla sopravvivenza di molte specie. Questo è un
segno tra i tanti del fatto che le altre creature di questo mondo hanno smesso di esserci
compagne di viaggio e sono diventate nostre vittime.
16. Lo stesso vale per il processo che porta alla riduzione dei ghiacci continentali. Lo scioglimento
dei poli non può essere invertito per centinaia di anni. Per quanto riguarda il clima, ci sono fattori
che permangono a lungo, indipendentemente dagli eventi che li hanno scatenati. Per questo
motivo, non possiamo più fermare gli enormi danni che abbiamo causato. Siamo appena in tempo
per evitare danni ancora più drammatici.

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17. Alcune diagnosi apocalittiche sembrano spesso irragionevoli o non sufficientemente fondate.
Ciò non dovrebbe indurci a ignorare che la possibilità di raggiungere un punto di svolta è reale.
Piccoli cambiamenti possono provocare cambiamenti importanti, imprevisti e forse già irreversibili,
a causa di fattori inerziali. Ciò finirebbe per innescare una cascata di eventi a valanga. In questo
caso, si arriva sempre troppo tardi, perché nessun intervento può fermare il processo già iniziato.
Da lì non si può tornare indietro. Non possiamo dire con certezza che questo accadrà nelle
condizioni attuali. Ma è certamente una possibilità se teniamo conto dei fenomeni già in atto che
“sensibilizzano” il clima, come ad esempio la riduzione delle calotte glaciali, i cambiamenti nei
flussi oceanici, la deforestazione delle foreste pluviali tropicali, lo scioglimento del permafrost in
Russia. [12]
18. È quindi urgente una visione più ampia, che ci permetta non solo di stupirci delle meraviglie
del progresso, ma anche di prestare attenzione ad altri effetti che probabilmente un secolo fa non
si potevano nemmeno immaginare. Non ci viene chiesto nulla di più che una certa responsabilità
per l’eredità che lasceremo dietro di noi dopo il nostro passaggio in questo mondo.
19. Infine, possiamo aggiungere che la pandemia di Covid-19 ha confermato la stretta relazione
della vita umana con quella degli altri esseri viventi e con l’ambiente. Ma in particolare ha
confermato che quanto accade in qualsiasi parte del mondo ha ripercussioni sull’intero pianeta.
Questo mi permette di ribadire due convinzioni su cui insisto fino a risultare noioso: “tutto è
collegato” e “nessuno si salva da solo”.
2. Il crescente paradigma tecnocratico
20. Nella Laudato si’ ho offerto una breve spiegazione del paradigma tecnocratico che è alla base
dell’attuale processo di degrado ambientale. Si tratta di «un modo di comprendere la vita e
l’azione umana che è deviato e che contraddice la realtà fino al punto di rovinarla». [13] In
sostanza, consiste nel pensare «come se la realtà, il bene e la verità sbocciassero
spontaneamente dal potere stesso della tecnologia e dell’economia». [14] Come conseguenza
logica, «da qui si passa facilmente all’idea di una crescita infinita o illimitata, che ha tanto
entusiasmato gli economisti, i teorici della finanza e della tecnologia». [15]
21. Negli ultimi anni abbiamo potuto confermare questa diagnosi, assistendo al tempo stesso a un
nuovo avanzamento di tale paradigma. L’intelligenza artificiale e i recenti sviluppi tecnologici si
basano sull’idea di un essere umano senza limiti, le cui capacità e possibilità si potrebbero
estendere all’infinito grazie alla tecnologia. Così, il paradigma tecnocratico si nutre
mostruosamente di sé stesso.
22. Le risorse naturali necessarie per la tecnologia, come il litio, il silicio e tante altre, non sono
certo illimitate, ma il problema più grande è l’ideologia che sottende un’ossessione: accrescere
oltre ogni immaginazione il potere dell’uomo, per il quale la realtà non umana è una mera risorsa

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al suo servizio. Tutto ciò che esiste cessa di essere un dono da apprezzare, valorizzare e curare,
e diventa uno schiavo, una vittima di qualsiasi capriccio della mente umana e delle sue capacità.
23. Fa venire i brividi rendersi conto che le capacità ampliate dalla tecnologia danno «a coloro che
detengono la conoscenza e soprattutto il potere economico per sfruttarla un dominio
impressionante sull’insieme del genere umano e del mondo intero. Mai l’umanità ha avuto tanto
potere su sé stessa e niente garantisce che lo utilizzerà bene, soprattutto se si considera il modo
in cui se ne sta servendo. [...] In quali mani sta e in quali può giungere tanto potere? È
terribilmente rischioso che esso risieda in una piccola parte dell’umanità». [16]
Ripensare il nostro uso del potere
24. Non ogni aumento di potere è un progresso per l’umanità. Basti pensare alle tecnologie
“mirabili” che furono utilizzate per decimare popolazioni, lanciare bombe atomiche, annientare
gruppi etnici. Vi sono stati momenti della storia in cui l’ammirazione per il progresso non ci ha
permesso di vedere l’orrore dei suoi effetti. Ma questo rischio è sempre presente, perché
«l’immensa crescita tecnologica non è stata accompagnata da uno sviluppo dell’essere umano per
quanto riguarda la responsabilità, i valori e la coscienza [...]. È nudo ed esposto di fronte al suo
stesso potere che continua a crescere, senza avere gli strumenti per controllarlo. Può disporre di
meccanismi superficiali, ma possiamo affermare che gli mancano un’etica adeguatamente solida,
una cultura e una spiritualità che realmente gli diano un limite e lo contengano entro un lucido
dominio di sé». [17] Non è strano che un potere così grande in simili mani sia capace di
distruggere la vita, mentre la matrice di pensiero del paradigma tecnocratico ci acceca e non ci
permette di vedere questo gravissimo problema dell’umanità di oggi.
25. Contrariamente a questo paradigma tecnocratico diciamo che il mondo che ci circonda non è
un oggetto di sfruttamento, di uso sfrenato, di ambizione illimitata. Non possiamo nemmeno dire
che la natura sia una mera “cornice” in cui sviluppare la nostra vita e i nostri progetti, perché
«siamo inclusi in essa, siamo parte di essa e ne siamo compenetrati», [18] così che «il mondo non
si contempla dal di fuori ma dal di dentro». [19]
26. Ciò esclude l’idea che l’essere umano sia un estraneo, un fattore esterno capace solo di
danneggiare l’ambiente. Dev’essere considerato come parte della natura. La vita, l’intelligenza e la
libertà dell’uomo sono inserite nella natura che arricchisce il nostro pianeta e fanno parte delle sue
forze interne e del suo equilibrio.
27. Pertanto, un ambiente sano è anche il prodotto dell’interazione dell’uomo con l’ambiente,
come avviene nelle culture indigene e come è avvenuto per secoli in diverse regioni della Terra. I
gruppi umani hanno spesso “creato” l’ambiente, [20] rimodellandolo in qualche modo senza
distruggerlo o metterlo in pericolo. Il grande problema di oggi è che il paradigma tecnocratico ha
distrutto questo rapporto sano e armonioso. Tuttavia, l’indispensabile superamento di tale

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paradigma tanto dannoso e distruttivo non si troverà in una negazione dell’essere umano, ma
comprende l’interazione dei sistemi naturali «con i sistemi sociali». [21]
28. Dobbiamo tutti ripensare alla questione del potere umano, al suo significato e ai suoi limiti. Il
nostro potere, infatti, è aumentato freneticamente in pochi decenni. Abbiamo compiuto progressi
tecnologici impressionanti e sorprendenti, e non ci rendiamo conto che allo stesso tempo siamo
diventati altamente pericolosi, capaci di mettere a repentaglio la vita di molti esseri e la nostra
stessa sopravvivenza. Si può ripetere oggi con l’ironia di Solov’ëv: «Un secolo così progredito che
perfino gli era toccato in sorte di essere l’ultimo». [22] Ci vuole lucidità e onestà per riconoscere in
tempo che il nostro potere e il progresso che generiamo si stanno rivoltando contro noi stessi. [23]
Il pungiglione etico
29. La decadenza etica del potere reale è mascherata dal marketing e dalla falsa informazione,
meccanismi utili nelle mani di chi ha maggiori risorse per influenzare l’opinione pubblica attraverso
di essi. Con l’aiuto di questi meccanismi, quando si pensa di avviare un progetto con forte impatto
ambientale ed elevati effetti inquinanti, gli abitanti della zona vengono illusi parlando del progresso
locale che si potrà generare o delle opportunità economiche, occupazionali e di promozione
umana che questo comporterà per i loro figli. Ma in realtà manca un vero interesse per il futuro di
queste persone, perché non viene detto loro chiaramente che in seguito a tale progetto resteranno
una terra devastata, condizioni molto più sfavorevoli per vivere e prosperare, una regione
desolata, meno abitabile, senza vita e senza la gioia della convivenza e della speranza; oltre al
danno globale che finisce per nuocere a molti altri.
30. Basti pensare all’effimero entusiasmo per il denaro ricevuto in cambio del deposito di scorie
tossiche in un sito. La casa acquistata con quei soldi si è trasformata in una tomba a causa delle
malattie che si sono scatenate. E non parlo spinto da una sfrenata immaginazione, ma per
qualcosa che abbiamo vissuto. Si potrebbe dire che questo è un esempio estremo, ma non si può
parlare di danni “minori”, perché è proprio la somma di molti danni considerati tollerabili che finisce
per portarci alla situazione in cui ci troviamo ora.
31. Tale situazione non ha a che fare solo con la fisica o la biologia, ma anche con l’economia e il
nostro modo di pensarla. La logica del massimo profitto al minimo costo, mascherata da
razionalità, progresso e promesse illusorie, rende impossibile qualsiasi sincera preoccupazione
per la casa comune e qualsiasi attenzione per la promozione degli scartati della società. Negli
ultimi anni possiamo notare che, sconcertati ed estasiati davanti alle promesse di tanti falsi profeti,
i poveri stessi a volte cadono nell’inganno di un mondo che non viene costruito per loro.
32. Si incrementano idee sbagliate sulla cosiddetta “meritocrazia”, che è diventata un “meritato”
potere umano a cui tutto deve essere sottoposto, un dominio di coloro che sono nati con migliori
condizioni di sviluppo. Un conto è un sano approccio al valore dell’impegno, alla crescita delle

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proprie capacità e a un lodevole spirito di iniziativa, ma se non si cerca una reale uguaglianza di
opportunità, la meritocrazia diventa facilmente un paravento che consolida ulteriormente i privilegi
di pochi con maggior potere. In questa logica perversa, cosa importa loro dei danni alla casa
comune, se si sentono sicuri sotto la presunta armatura delle risorse economiche che hanno
ottenuto con le loro capacità e i loro sforzi?
33. Nella propria coscienza, e di fronte ai figli che pagheranno per i danni delle loro azioni, si pone
la domanda di senso: qual è il senso della mia vita, qual è il senso del mio passaggio su questa
terra, qual è in definitiva il senso del mio lavoro e del mio impegno?
3. La debolezza della politica internazionale
34. Mentre «la storia sta dando segni di un ritorno all’indietro [...] ogni generazione deve far
proprie le lotte e le conquiste delle generazioni precedenti e condurle a mete ancora più alte. È il
cammino. Il bene, come anche l’amore, la giustizia e la solidarietà, non si raggiungono una volta
per sempre; vanno conquistati ogni giorno». [24] Per ottenere un progresso solido e duraturo, mi
permetto di insistere sul fatto che «vanno favoriti gli accordi multilaterali tra gli Stati». [25]
35. Non giova confondere il multilateralismo con un’autorità mondiale concentrata in una sola
persona o in un’ élite con eccessivo potere: «Quando si parla della possibilità di qualche forma di
autorità mondiale regolata dal diritto, non necessariamente si deve pensare a un’autorità
personale». [26] Parliamo soprattutto di «organizzazioni mondiali più efficaci, dotate di autorità per
assicurare il bene comune mondiale, lo sradicamento della fame e della miseria e la difesa certa
dei diritti umani fondamentali». [27] Il punto è che devono essere dotate di una reale autorità per
“assicurare” la realizzazione di alcuni obiettivi irrinunciabili. Così si darebbe vita a un
multilateralismo che non dipende dalle mutevoli circostanze politiche o dagli interessi di pochi e
che abbia un’efficacia stabile.
36. È deplorevole che le crisi globali vengano sprecate quando sarebbero l’occasione per
apportare cambiamenti salutari. [28] È quello che è successo nella crisi finanziaria del 2007-2008
e che si è ripetuto nella crisi del Covid-19. Infatti, «pare che le effettive strategie sviluppatesi
successivamente nel mondo siano state orientate a maggiore individualismo, minore integrazione,
maggiore libertà per i veri potenti, che trovano sempre il modo di uscire indenni». [29]
Riconfigurare il multilateralismo
37. Più che salvare il vecchio multilateralismo, sembra che oggi la sfida sia quella di riconfigurarlo
e ricrearlo alla luce della nuova situazione globale. Vi invito a riconoscere che «tante aggregazioni
e organizzazioni della società civile aiutano a compensare le debolezze della Comunità
internazionale, la sua mancanza di coordinamento in situazioni complesse, la sua carenza di
attenzione rispetto a diritti umani». [30] A tale riguardo, il processo di Ottawa contro l’uso, la

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produzione e la fabbricazione delle mine antiuomo è un esempio che dimostra come la società
civile e le sue organizzazioni siano in grado di creare dinamiche efficienti che l’ONU non
raggiunge. In questo modo, il principio di sussidiarietà si applica anche al rapporto globale-locale.
38. A medio termine, la globalizzazione favorisce gli scambi culturali spontanei, una maggiore
conoscenza reciproca e modalità di integrazione dei popoli che porteranno a un multilateralismo
“dal basso” e non semplicemente deciso dalle élite del potere. Le istanze che emergono dal basso
in tutto il mondo, dove persone impegnate dei Paesi più diversi si aiutano e si accompagnano a
vicenda, possono riuscire a fare pressione sui fattori di potere. È auspicabile che ciò accada per
quanto riguarda la crisi climatica. Perciò ribadisco che «se i cittadini non controllano il potere
politico – nazionale, regionale e municipale – neppure è possibile un contrasto dei danni
ambientali». [31]
39. La cultura postmoderna ha generato una nuova sensibilità nei confronti di chi è più debole e
meno dotato di potere. Ciò si collega alla mia insistenza, nella Lettera enciclica Fratelli tutti, sul
primato della persona umana e sulla difesa della sua dignità al di là di ogni circostanza. È un altro
modo di invitare al multilateralismo per risolvere i veri problemi dell’umanità, cercando soprattutto
il rispetto della dignità delle persone in modo che l’etica prevalga sugli interessi locali o
contingenti.
40. Non si tratta di sostituire la politica, perché d’altra parte le potenze emergenti stanno
diventando sempre più rilevanti e sono di fatto in grado di ottenere risultati importanti nella
risoluzione di problemi concreti, come alcune di esse hanno dimostrato nella pandemia. Proprio il
fatto che le risposte ai problemi possano venire da qualsiasi Paese, per quanto piccolo, conduce a
riconoscere il multilateralismo come una strada inevitabile.
41. La vecchia diplomazia, anch’essa in crisi, continua a dimostrare la sua importanza e
necessità. Non è ancora riuscita a generare un modello di diplomazia multilaterale che risponda
alla nuova configurazione del mondo, ma, se è capace di riformularsi, dovrà essere parte della
soluzione, perché anche l’esperienza di secoli non può essere scartata.
42. Il mondo sta diventando così multipolare e allo stesso tempo così complesso che è necessario
un quadro diverso per una cooperazione efficace. Non basta pensare agli equilibri di potere, ma
anche alla necessità di rispondere alle nuove sfide e di reagire con meccanismi globali a quelle
ambientali, sanitarie, culturali e sociali, soprattutto per consolidare il rispetto dei diritti umani più
elementari, dei diritti sociali e della cura della casa comune. Si tratta di stabilire regole universali
ed efficienti per garantire questa protezione mondiale.
43. Tutto ciò presuppone che si attui una nuova procedura per il processo decisionale e per la
legittimazione di tali decisioni, poiché quella stabilita diversi decenni fa non è sufficiente e non
sembra essere efficace. In tale contesto, sono necessari spazi di conversazione, consultazione,

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arbitrato, risoluzione dei conflitti, supervisione e, in sintesi, una sorta di maggiore
“democratizzazione” nella sfera globale, per esprimere e includere le diverse situazioni. Non sarà
più utile sostenere istituzioni che preservino i diritti dei più forti senza occuparsi dei diritti di tutti.
4. Le Conferenze sul clima: progressi e fallimenti
44. Da decenni, i rappresentanti di oltre 190 Paesi si riuniscono periodicamente per affrontare la
questione climatica. La Conferenza di Rio de Janeiro del 1992 ha portato all’adozione della
Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici (UNFCCC), un trattato che è
entrato in vigore quando sono state raggiunte le necessarie ratifiche da parte dei Paesi firmatari
nel 1994. Questi Stati si riuniscono ogni anno nella Conferenza delle Parti (COP), il più alto
organismo decisionale. Alcune sono state un fallimento, come quella di Copenaghen (2009),
mentre altre hanno permesso di compiere passi importanti, come la COP3 di Kyoto (1997). Il suo
prezioso Protocollo è quello che ha fissato come obiettivo la riduzione delle emissioni complessive
di gas serra del 5% rispetto al 1990. La scadenza era il 2012, ma evidentemente non è stata
rispettata.
45. Tutte le parti si sono inoltre impegnate ad attuare programmi di adattamento per ridurre gli
effetti del cambiamento climatico già in corso. È stata inoltre prevista un’assistenza per coprire i
costi di queste misure nei Paesi in via di sviluppo. Il Protocollo è entrato in vigore nel 2005.
46. Successivamente, è stato proposto un meccanismo relativo alle perdite e ai danni causati dai
cambiamenti climatici, che riconosce i Paesi più ricchi come i principali responsabili e cerca di
compensare gli effetti devastanti procurati nei Paesi più vulnerabili. Non si tratta più di finanziare
“l’adattamento” di questi Paesi, ma di compensarli per i danni già subiti. Tale questione è stata
oggetto di importanti discussioni in varie COP.
47. La COP21 di Parigi (2015) è stata un altro momento significativo, perché ha prodotto un
accordo che ha coinvolto tutti. Può essere visto come un nuovo inizio, dato il mancato
raggiungimento degli obiettivi fissati nella fase precedente. L’Accordo è entrato in vigore il 4
novembre 2016. Pur essendo vincolante, non tutti i requisiti sono obblighi in senso stretto e alcuni
di essi lasciano spazio a un’ampia discrezionalità. Del resto, anche per gli obblighi non rispettati,
non prevede sanzioni vere e proprie e non ci sono strumenti efficaci per garantirne l’osservanza.
Prevede inoltre forme di flessibilità per i Paesi in via di sviluppo.
48. L’Accordo di Parigi presenta un importante obiettivo a lungo termine: mantenere l’aumento
delle temperature medie globali al di sotto dei 2 gradi rispetto ai livelli preindustriali, puntando
comunque a scendere sotto gli 1,5 gradi. Si sta ancora lavorando per consolidare procedure
concrete di monitoraggio e fornire criteri generali per confrontare gli obiettivi dei diversi Paesi. Ciò
rende difficile una valutazione più obiettiva (quantitativa) dei risultati effettivi.

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49. Dopo alcune Conferenze con scarsi risultati e la delusione della COP25 di Madrid (2019), si
sperava che questa inerzia sarebbe stata invertita nella COP26 di Glasgow (2021). In sostanza, il
risultato è stato quello di rilanciare l’Accordo di Parigi, che era stato messo in discussione dai
vincoli e dagli effetti della pandemia. In più, vi è stata un’abbondanza di “esortazioni”, da cui era
difficile attendersi un impatto reale. Le proposte volte a garantire una transizione rapida ed
efficace verso forme di energia alternativa e meno inquinante non sono riuscite a fare progressi.
50. La COP27 di Sharm el-Sheikh (2022) è stata minacciata fin dall’inizio dalla situazione creata
dall’invasione dell’Ucraina, che ha causato una grave crisi economica ed energetica. L’uso del
carbone è aumentato e tutti hanno voluto assicurarsene l’approvvigionamento. I Paesi in via di
sviluppo hanno considerato l’accesso all’energia e le opportunità di sviluppo come una priorità
urgente. È stato chiaramente riconosciuto che in realtà i combustibili fossili forniscono ancora
l’80% dell’energia mondiale e che il loro utilizzo continua ad aumentare.
51. La Conferenza egiziana è stata un ulteriore esempio della difficoltà dei negoziati. Si potrebbe
affermare che abbia prodotto almeno un progresso nel consolidamento del sistema di
finanziamento per le “perdite e i danni” nei Paesi più colpiti dai disastri climatici. Questo sembrava
dare nuova voce e maggiore partecipazione ai Paesi in via di sviluppo. Ma anche su tale
questione molti punti sono rimasti imprecisi, soprattutto la responsabilità concreta dei Paesi che
devono contribuire.
52. Oggi possiamo ancora affermare che «gli accordi hanno avuto un basso livello di attuazione
perché non si sono stabiliti adeguati meccanismi di controllo, di verifica periodica e di sanzione
delle inadempienze. I principi enunciati continuano a richiedere vie efficaci e agili di realizzazione
pratica». [32] Inoltre, «i negoziati internazionali non possono avanzare in maniera significativa a
causa delle posizioni dei Paesi che privilegiano i propri interessi nazionali rispetto al bene comune
globale. Quanti subiranno le conseguenze che noi tentiamo di dissimulare, ricorderanno questa
mancanza di coscienza e di responsabilità». [33]
5. Cosa ci si aspetta dalla COP28 di Dubai?
53. Gli Emirati Arabi Uniti ospiteranno la prossima Conferenza delle Parti (COP28). È un Paese
del Golfo Persico che si caratterizza come grande esportatore di energia fossile, anche se ha
investito molto nelle energie rinnovabili. Nel frattempo, le compagnie petrolifere e del gas
ambiscono lì a nuovi progetti per espandere ulteriormente la produzione. Dire che non bisogna
aspettarsi nulla sarebbe autolesionistico, perché significherebbe esporre tutta l’umanità,
specialmente i più poveri, ai peggiori impatti del cambiamento climatico.
54. Se abbiamo fiducia nella capacità dell’essere umano di trascendere i suoi piccoli interessi e di
pensare in grande, non possiamo rinunciare a sognare che la COP28 porti a una decisa
accelerazione della transizione energetica, con impegni efficaci che possano essere monitorati in

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12
modo permanente. Questa Conferenza può essere un punto di svolta, comprovando che tutto
quanto si è fatto dal 1992 era serio e opportuno, altrimenti sarà una grande delusione e metterà a
rischio quanto di buono si è potuto fin qui raggiungere.
55. Nonostante i numerosi negoziati e accordi, le emissioni globali hanno continuato a crescere. È
vero che si può sostenere che senza questi accordi sarebbero cresciute ancora di più. Ma su altre
questioni ambientali, dove c’è stata la volontà, sono stati raggiunti risultati molto significativi, come
nel caso della protezione dello strato di ozono. Invece la necessaria transizione verso energie
pulite, come quella eolica, quella solare, abbandonando i combustibili fossili, non sta procedendo
abbastanza velocemente. Di conseguenza, ciò che si sta facendo rischia di essere interpretato
solo come un gioco per distrarre.
56. Dobbiamo superare la logica dell’apparire sensibili al problema e allo stesso tempo non avere
il coraggio di effettuare cambiamenti sostanziali. Sappiamo che, di questo passo, in pochi anni
supereremo il limite massimo auspicabile di 1,5 gradi centigradi e a breve potremmo arrivare a 3
gradi, con un alto rischio di raggiungere un punto critico. Anche se questo punto di non ritorno non
venisse raggiunto, gli effetti sarebbero disastrosi e bisognerebbe prendere misure in maniera
precipitosa, con costi enormi e con conseguenze economiche e sociali estremamente gravi e
intollerabili. Se le misure che adotteremo ora hanno dei costi, essi saranno tanto più pesanti
quanto più aspetteremo.
57. Ritengo essenziale insistere sul fatto che «cercare solamente un rimedio tecnico per ogni
problema ambientale che si presenta, significa isolare cose che nella realtà sono connesse, e
nascondere i veri e più profondi problemi del sistema mondiale». [34] È vero che gli sforzi di
adattamento sono necessari di fronte a mali irreversibili a breve termine; anche alcuni interventi e
progressi tecnologici per assorbire o catturare i gas emessi sono positivi; ma corriamo il rischio di
rimanere bloccati nella logica di rattoppare, rammendare, legare col filo, mentre sotto sotto va
avanti un processo di deterioramento che continuiamo ad alimentare. Supporre che ogni problema
futuro possa essere risolto con nuovi interventi tecnici è un pragmatismo fatale, destinato a
provocare un effetto-valanga.
58. Poniamo finalmente termine all’irresponsabile presa in giro che presenta la questione come
solo ambientale, “verde”, romantica, spesso ridicolizzata per interessi economici. Ammettiamo
finalmente che si tratta di un problema umano e sociale in senso ampio e a vari livelli. Per questo
si richiede un coinvolgimento di tutti. Attirano spesso l’attenzione, in occasione delle Conferenze
sul clima, le azioni di gruppi detti “radicalizzati”. In realtà, essi occupano un vuoto della società nel
suo complesso, che dovrebbe esercitare una sana pressione, perché spetta ad ogni famiglia
pensare che è in gioco il futuro dei propri figli.
59. Se c’è un sincero interesse a far sì che la COP28 diventi storica, che ci onori e ci nobiliti come
esseri umani, allora possiamo solo aspettarci delle forme vincolanti di transizione energetica che

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13
abbiano tre caratteristiche: che siano efficienti, che siano vincolanti e facilmente monitorabili.
Questo al fine di avviare un nuovo processo che sia drastico, intenso e possa contare
sull’impegno di tutti. Ciò non è accaduto nel cammino percorso finora, ma solo con un tale
processo si potrebbe ripristinare la credibilità della politica internazionale, perché solo in questo
modo concreto sarà possibile ridurre notevolmente l’anidride carbonica ed evitare in tempo i mali
peggiori.
60. Speriamo che quanti interverranno siano strateghi capaci di pensare al bene comune e al
futuro dei loro figli, piuttosto che agli interessi di circostanza di qualche Paese o azienda. Possano
così mostrare la nobiltà della politica e non la sua vergogna. Ai potenti oso ripetere questa
domanda: «Perché si vuole mantenere oggi un potere che sarà ricordato per la sua incapacità di
intervenire quando era urgente e necessario farlo?». [35]
6. Le motivazioni spirituali
61. Ai fedeli cattolici non voglio tralasciare di rammentare le motivazioni che scaturiscono dalla
loro fede. Incoraggio i fratelli e le sorelle di altre religioni a fare lo stesso, perché sappiamo che la
fede autentica non solo dà forza al cuore umano, ma trasforma la vita intera, trasfigura gli obiettivi
personali, illumina il rapporto con gli altri e i legami con tutto il creato.
Alla luce della fede
62. La Bibbia racconta che «Dio vide quanto aveva fatto, ed ecco, era cosa molto buona» ( Gen
1,31). Sua è «la terra e quanto essa contiene» ( Dt 10,14). Perciò Egli ci dice: «Le terre non si
potranno vendere per sempre, perché la terra è mia e voi siete presso di me come forestieri e
ospiti» ( Lv 25,23). Pertanto, «questa responsabilità di fronte ad una terra che è di Dio, implica che
l’essere umano, dotato di intelligenza, rispetti le leggi della natura e i delicati equilibri tra gli esseri
di questo mondo». [36]
63. D’altra parte, «l’insieme dell’universo, con le sue molteplici relazioni, mostra al meglio la
ricchezza inesauribile di Dio»; quindi, per essere saggi, «abbiamo bisogno di cogliere la varietà
delle cose nelle loro molteplici relazioni». [37] In questo cammino di saggezza, non è irrilevante
per noi che parecchie specie stiano scomparendo e che la crisi climatica stia mettendo in pericolo
la vita di tanti esseri.
64. Gesù «poteva invitare gli altri ad essere attenti alla bellezza che c’è nel mondo, perché Egli
stesso era in contatto continuo con la natura e le prestava un’attenzione piena di affetto e di
stupore. Quando percorreva ogni angolo della sua terra, si fermava a contemplare la bellezza
seminata dal Padre suo, e invitava i discepoli a cogliere nelle cose un messaggio divino». [38]
65. Allo stesso tempo, «le creature di questo mondo non ci si presentano più come una realtà

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meramente naturale, perché il Risorto le avvolge misteriosamente e le orienta a un destino di
pienezza. Gli stessi fiori del campo e gli uccelli che Egli contemplò ammirato con i suoi occhi
umani, ora sono pieni della sua presenza luminosa». [39] Se «l’universo si sviluppa in Dio, che lo
riempie tutto, quindi c’è un mistero da contemplare in una foglia, in un sentiero, nella rugiada, nel
volto di un povero». [40] Il mondo canta un Amore infinito, come non averne cura?
Camminare in comunione e con responsabilità
66. Dio ci ha uniti a tutte le sue creature. Eppure, il paradigma tecnocratico può isolarci da ciò che
ci circonda e ci inganna facendoci dimenticare che il mondo intero è una “zona di contatto”. [41]
67. La visione giudaico-cristiana del mondo sostiene il valore peculiare e centrale dell’essere
umano in mezzo al meraviglioso concerto di tutti gli esseri, ma oggi siamo costretti a riconoscere
che è possibile sostenere solo un “antropocentrismo situato”. Vale a dire, riconoscere che la vita
umana è incomprensibile e insostenibile senza le altre creature. Infatti, «noi tutti esseri
dell’universo siamo uniti da legami invisibili e formiamo una sorta di famiglia universale, una
comunione sublime che ci spinge ad un rispetto sacro, amorevole e umile». [42]
68. Questo non è un prodotto della nostra volontà, ha un’altra origine che si trova alla radice del
nostro essere, perché «Dio ci ha unito tanto strettamente al mondo che ci circonda, che la
desertificazione del suolo è come una malattia per ciascuno, e possiamo lamentare l’estinzione di
una specie come fosse una mutilazione». [43] Così mettiamo fine all’idea di un essere umano
autonomo, onnipotente e illimitato, e ripensiamo noi stessi per comprenderci in una maniera più
umile e più ricca.
69. Invito ciascuno ad accompagnare questo percorso di riconciliazione con il mondo che ci ospita
e ad impreziosirlo con il proprio contributo, perché il nostro impegno ha a che fare con la dignità
personale e con i grandi valori. Comunque, non posso negare che è necessario essere sinceri e
riconoscere che le soluzioni più efficaci non verranno solo da sforzi individuali, ma soprattutto
dalle grandi decisioni della politica nazionale e internazionale.
70. Ciononostante, tutto concorre all’insieme ed evitare l’aumento di un decimo di grado della
temperatura globale potrebbe già essere sufficiente per risparmiare sofferenze a molte persone.
Ma ciò che conta è qualcosa di meno quantitativo: ricordare che non ci sono cambiamenti duraturi
senza cambiamenti culturali, senza una maturazione del modo di vivere e delle convinzioni sociali,
e non ci sono cambiamenti culturali senza cambiamenti nelle persone.
71. Gli sforzi delle famiglie per inquinare meno, ridurre gli sprechi, consumare in modo oculato,
stanno creando una nuova cultura. Il semplice fatto di cambiare le abitudini personali, familiari e
comunitarie alimenta la preoccupazione per le responsabilità non assolte da parte dei settori
politici e l’indignazione per il disinteresse dei potenti. Va notato quindi che, anche se ciò non

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produce immediatamente un effetto molto rilevante da un punto di vista quantitativo, contribuisce a
realizzare grandi processi di trasformazione che operano dal profondo della società.
72. Se consideriamo che le emissioni pro capite negli Stati Uniti sono circa il doppio di quelle di un
abitante della Cina e circa sette volte maggiori rispetto alla media dei Paesi più poveri, [44]
possiamo affermare che un cambiamento diffuso dello stile di vita irresponsabile legato al modello
occidentale avrebbe un impatto significativo a lungo termine. Così, con le indispensabili decisioni
politiche, saremmo sulla strada della cura reciproca.
73. «Lodate Dio» è il nome di questa lettera. Perché un essere umano che pretende di sostituirsi a
Dio diventa il peggior pericolo per sé stesso.
Dato a Roma, presso San Giovanni in Laterano, il 4 ottobre, Festa di San Francesco d’Assisi,
dell’anno 2023, undicesimo del mio Pontificato.
FRANCESCO
[1] Conferenza dei Vescovi Cattolici degli Stati Uniti, Global Climate Change Background, 2019.
[2] Assemblea Speciale del Sinodo dei Vescovi per la Regione Pan-Amazzonica, Documento
finale, ottobre 2019, 10: AAS 111 (2019), 1744.
[3] Simposio delle Conferenze Episcopali di Africa e Madagascar (Sceam), African Climate
Dialogues Communiqué, Nairobi, 17 ottobre 2022.
[4] Cfr Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC), Climate Change 2021, The Physical
Science Basis, Cambridge and New York 2021, B.2.2.
[5] Cfr Id., Climate Change 2023, Synthesis Report, Summary for Policymakers, B.3.2.. Per il
Rapporto 2023 si fa riferimento
ahttps://www.ipcc.ch/report/ar6/syr/downloads/report/IPCC_AR6_SYR_SPM.pdf.
[6] Cfr United Nations Environment Program, The Emissions Gap Report 2022:
https://www.unep.org/resources/emissions-gap-report-2022.
[7] Cfr National Oceanic and Atmospheric Administration, Earth System Research Laboratories,

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Global Monitoring Laboratory, Trends in Atmospheric Carbon
Dioxide: https://www.gml.noaa.gov/ccgg/trends/.
[8] Cfr IPCC, Climate Change 2023, Synthesis Report, Summary for Policymakers, A.1.3.
[9] Cfr ibid., B.5.3.
[10] Questi dati dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) sono basati su circa
34.000 studi: cfr IPCC, Synthesis Report of the Sixth Assessment Report (20/03/2023): AR6
Synthesis Report: Climate Change 2023 (ipcc.ch)
[11] Cfr IPCC, Climate Change 2023, Synthesis Report, Summary for Policymakers, A.1.2.
[12] Cfr ibid.
[13] Lett. enc. Laudato si’ (24 maggio 2015), 101: AAS 107 (2015), 887.
[14] Ibid., 105: AAS 107 (2015), 889.
[15] Ibid., 106: AAS 107 (2015), 890.
[16] Ibid., 104: AAS 107 (2015), 888-889.
[17] Ibid., 105: AAS 107 (2015), 889.
[18] Ibid., 139: AAS 107 (2015), 903.
[19] Ibid., 220: AAS 107 (2015), 934.
[20] Cfr S. Sörlin – P. Warde, Making the Environment Historical. An Introduction, in Iidem,
Nature’s End: History and the Environment, Basingstoke – New York 2009, 1-23.
[21] Lett. enc. Laudato si’ (24 maggio 2015), 139: AAS 107 (2015), 903.
[22] V. Solov’ëv, I tre dialoghi e il racconto dell’Anticristo, Bologna 2021, 256.
[23] Cfr S. Paolo VI, Discorso alla FAO nel suo 25 anniversario (16 novembre 1970), 4: AAS 62
(1970), 833.
[24] Lett. enc. Fratelli tutti (3 ottobre 2020), 11: AAS 112 (2020), 972.
[25] Ibid., 174: AAS 112 (2020), 1030.

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[26] Ibid., 172: AAS 112 (2020), 1029.
[27] Ibid.
[28] Cfr ibid., 170: AAS 112 (2020), 1029.
[29] Ibid.
[30] Ibid., 175: AAS 112 (2020), 1031.
[31] Lett. enc. Laudato si’ (24 maggio 2015), 179: AAS 107 (2015), 918.
[32] Ibid., 167: AAS 107 (2015), 914.
[33] Ibid., 169: AAS 107 (2015), 915.
[34] Ibid., 111: AAS 107 (2015), 982.
[35] Ibid., 57: AAS 107 (2015), 870.
[36] Ibid., 68: AAS 107 (2015), 874.
[37] Ibid., 86: AAS 107 (2015), 881.
[38] Ibid., 97: AAS 107 (2015), 886.
[39] Ibid., 100: AAS 107 (2015), 887.
[40] Ibid., 233: AAS 107 (2015), 938.
[41] Cfr D.J. Haraway, When Species Meet, Minneapolis 2008, 205-249.
[42] Lett. enc. Laudato si’ (24 maggio 2015), 89: AAS 107 (2015), 883.
[43] Esort. ap. Evangelii gaudium (24 novembre 2013), 215: AAS 105 (2013), 1109.
[44] Cfr United Nations Environment Program, The Emissions Gap Report 2022:
https://www.unep.org/resources/emissions-gap-report-2022.
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