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SACRA CONGREGAZIONE PER I RELIGIOSI E GLI ISTITUTI
SECOLARI
SACRA CONGREGAZIONE PER I VESCOVI
CRITERI DIRETTIVI SUI RAPPORTI
TRA I VESCOVI E I RELIGIOSI
NELLA CHIESA
INTRODUZIONE
I vicendevoli rapporti tra i vari membri del popolo di Dio hanno oggi
suscitato una particolare attenzione. La dottrina conciliare, infatti, sul
mistero della chiesa e i progressivi mutamenti culturali hanno sospinto a tal
punto di maturazione le attuali condizioni da far emergere problemi del
tutto nuovi, dei quali non pochi sono indubbiamente risultati positivi, anche
se delicati e complessi. Or appunto nel quadro di questi problemi vanno
poste le relazioni scambievoli tra i vescovi e i religiosi, le quali destano
speciali sollecitudini. Non v'è dubbio, infatti, che si rimanga colti da
suggestivo stupore, se solo si pensa al fatto - la cui portata merita davvero
particolare approfondimento - che le religiose in tutto il mondo sono più di
un milione, ossia una suora per ogni 250 donne cattoliche, e i religiosi circa
270.000, tra i quali i sacerdoti costituiscono complessivamente il 35,6 per
cento di tutti i sacerdoti della chiesa e in alcune regioni arrivano ad essere
più della metà del loro insieme, come, ad esempio, nelle terre africane e in
alcune parti dell'America latina.
Le due sacre congregazioni, per i vescovi e per i religiosi e gl'istituti
secolari, nel decimo anno della promulgazione dei decreti Christus
Dominus e Perfectae caritatis (28 ottobre 1965) hanno celebrato
un'assemblea plenaria mista (16-18 ottobre 1975) con la consultazione e
collaborazione delle conferenze nazionali dei vescovi, delle unioni
nazionali dei religiosi, nonché delle unioni internazionali dei superiori e
delle superiore generali. In tale assemblea plenaria furono affrontate, come
temi principali, le seguenti questioni: a) che cosa i vescovi si aspettano dai
religiosi; b) che cosa i religiosi dai vescovi; c) con quali mezzi si possa
praticamente ottenere un'ordinata e feconda azione tra i vescovi e i religiosi
sia sul piano diocesano sia sul piano nazionale e internazionale.
Inoltre, fissati i criteri generali ed effettuate varie aggiunte al testo delle
proposte presentato ai padri, l'assemblea plenaria deliberò che si elaborasse
un documento, nel quale venissero indicati degli orientamenti pastorali.
Pubblichiamo ora questo documento, redatto anche con il contributo delle
sacre congregazioni per le chiese orientali e per l'evangelizzazione dei
popoli.
L'argomento trattato è circoscritto in limiti ben determinati: in esso infatti si
discute sul tema riguardante i rapporti tra i vescovi e i religiosi di qualsiasi

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rito e territorio, con l'intento soprattutto di contribuire ad agevolarne
l'espletamento pratico. Oggetto di diretta discussione sono quelle relazioni,
che opportunamente devono sussistere fra gli ordinari locali, gli istituti
religiosi e le società di vita comune; non si fa pertanto riferimento diretto
agli istituti secolari, se non per quanto concerne i principi generali della vita
consacrata (cf. PC 11) e il loro inserimento nelle chiese particolari (cf. CD
33).
Il testo comprende due parti: una dottrinale, l'altra normativa; e l'intento è
quello di tracciare una linea direttiva, per una migliore e sempre più
efficiente applicazione dei principi rinnovatori indicati dal concilio
ecumenico Vaticano II.
Parte prima
ALCUNI ELEMENTI DOTTRINALI
Prima di precisare delle norme pastorali circa alcuni problemi sorti nelle
relazioni, che intercorrono tra i vescovi e i religiosi, pare evidente che si
debba presentare una breve sintesi dottrinale, che valga a individuare i
principi, su cui tali rapporti si fondano. Per altro l'esposizione, pur
compendiosa, di tali principi presuppone l'ampio sviluppo dottrinale dei
documenti conciliari.
Capitolo I
LA CHIESA IN QUANTO E' UN POPOLO "NUOVO"
Non secondo la carne, ma nello Spirito (LG 9)
1. Il concilio ha messo in evidenza la singolare natura costitutiva della
chiesa, presentandola come mistero (cf. LG 1). Dal giorno di pentecoste (cf.
LG 4), infatti, esiste nel mondo un popolo nuovo, che vivificato dallo
Spirito santo, si raduna in Cristo per accedere al Padre (cf. Ef 2, 18). I
membri di questo popolo sono convocati da tutte le nazioni e si fondono tra
loro in così intima unità (cf. LG 9) da non potersi semplicemente spiegare
con qualsivoglia modulo sociologico: giacché è insita in essa una vera
novità, che trascende l'ordine umano. Pertanto solo in questa trascendente
prospettiva si possono rettamente interpretare i mutui rapporti tra i vari
membri della chiesa. L'elemento dunque, sul quale si fonda l'originalità di
questa natura, è la stessa presenza dello Spirito santo. Egli infatti è vita e
forza del popolo di Dio e coesione della sua comunione, è vigore della sua
missione, sorgente dei suoi molteplici doni, vincolo della sua mirabile
unità, luce e bellezza del suo potere creativo, fiamma del suo amore (cf. LG
4, 7, 8, 9, 12, 18, 21). Il risveglio spirituale e pastorale, infatti, di questi
ultimi anni rivela, in virtù della presenza dello Spirito santo - alla quale
alcuni serpeggianti abusi, pur inquietanti, non risulta che abbiano recato la
minima ombra -, un particolare momento di privilegio (cf. EN 75) per una
fiorente giovinezza nuziale della chiesa, protesa verso il giorno del suo
Signore (cf. Ap 22, 17).
"Un solo corpo", in cui "gli uni sono membri degli altri" (Rm 12,5; cf.

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1Cor 12,13)
2. Nel mistero della chiesa l'unità in Cristo comporta una mutua comunione
di vita tra i membri. Infatti "Dio volle santificare e salvare gli uomini non
individualmente e senza legame tra loro, ma volle costituirli in popolo" (LG
9). La stessa presenza vivificante dello Spirito Santo (cf. LG 7) costruisce
in Cristo l'organica coesione: egli "unifica la chiesa nella comunione e nel
ministero, la coordina e la dirige con diversi doni gerarchici e carismatici e
l'abbellisce dei suoi frutti" (LG 4; cf. Ef 4, 11-12; 1 Cor 12,4; Gal 5,22).
Gli elementi, quindi, che differenziano i vari membri tra loro, i doni, cioè,
gli uffici e i vari compiti, costituiscono in sostanza una specie di
complemento reciproco e in effetti sono ordinati all'unica comunione e
missione del medesimo corpo (cf. LG 7; AA 3). Il fatto pertanto che nella
chiesa si possa essere pastori, laici o religiosi, non comporta disuguaglianza
quanto alla dignità comune dei membri (cf. LG 32), ma esprime piuttosto
l'articolazione delle giunture e delle funzioni di un organismo vivo.
Convocati a costituire un "sacramento visibile" (LG9)
3. La novità del popolo di Dio, nel suo duplice aspetto, di organismo
sociale visibile e di presenza divina invisibile in intima connessione tra
loro, è paragonabile allo stesso mistero del Cristo: infatti, "come la natura
assunta serve al Verbo divino da vivo organo di salvezza, a lui
indissolubilmente unito, in modo non dissimile l'organismo sociale della
chiesa serve allo Spirito di Cristo, che la vivifica, per la crescita del corpo"
(LG 8; cf. Ef 4, 16). Pertanto l'intima scambievole connessione dei due
elementi conferisce alla chiesa quella sua speciale natura sacramentale, in
virtù della quale essa del tutto trascende i limiti di qualsivoglia prospettiva
semplicemente sociologica. Infatti il concilio ha potuto affermare che il
popolo di Dio è nel mondo come "sacramento visibile di unità salvifica"
(LG 9; cf. LG 1, 8,48; GS 42; AG 1, 5) per tutti gli uomini.
Le attuali evoluzioni sociali e i mutamenti culturali a cui noi stessi
assistiamo, anche se suscitano, nella chiesa, l'esigenza di rinnovare non
pochi, forse, dei suoi aspetti umani, non valgono tuttavia a scalfire, neppur
minimamente, questa sua peculiare struttura di sacramento universale di
salvezza; anzi quegli stessi mutamenti che sono da promuovere, serviranno
nello stesso tempo a mettere maggiormente in luce questa sua natura.
Destinati a testimoniare e ad annunziare il vangelo
4. Tutti i membri, pastori, laici e religiosi, partecipano, nel modo ch'è
proprio di ciascuno, alla natura sacramentale della chiesa; parimenti
ognuno, secondo il proprio ruolo, deve essere segno e strumento sia
dell'unione con Dio sia della salvezza del mondo. Per tutti, infatti, duplice è
l'aspetto della vocazione: a) vocazione alla santità: "tutti nella chiesa, sia
che appartengano alla gerarchia sia che da essa siano diretti, sono chiamati
alla santità" (LG 39); b) vocazione all'apostolato: la chiesa intera "è spinta
dallo Spirito santo a cooperare, perché venga eseguito il piano di Dio" (LG
17; cf. AA 2; AG 1,2,3,4,5).

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Pertanto, prima di considerare la diversità dei doni, degli uffici e dei
compiti, è necessario ammettere come fondamentale la vocazione comune
all'unione con Dio per la salute del mondo. Ora questa vocazione richiede
in tutti, come criterio di partecipazione alla comunione ecclesiale, il
primato della vita nello Spirito, in base a cui si hanno in privilegio l'ascolto
della Parola, la preghiera interiore, la coscienza di vivere come membro di
tutto il corpo e la sollecitudine dell'unità, il fedele adempimento della
propria missione, il dono di sè nel servizio e l'umiltà del pentimento. Da
questa comune vocazione battesimale alla vita nello Spirito scaturiscono
chiarificanti esigenze ed efficaci influssi sui rapporti, che devono
intercorrere tra i vescovi e i religiosi.
Capitolo II
IL MINISTERO DEI VESCOVI
NELL'ORGANICA COMUNIONE ECCLESIALE
La comunione propria del popolo di Dio e la sua eccellenza
5. La comunione organica tra i membri della chiesa è in tal modo frutto
dello stesso Spirito santo, che necessariamente presuppone l'iniziativa
storica di Gesù Cristo e il suo esodo pasquale. Lo Spirito santo, infatti, è lo
Spirito del Signore: Gesù Cristo, "innalzato alla destra di Dio" (At 2,33),
"ha effuso sui suoi discepoli lo Spirito promesso dal Padre" LG 5). Ora se
lo Spirito è come l'anima del corpo (cf. LG 7), Cristo ne è senza alcun
dubbio il capo (cf. LG 7); da entrambi dunque procede la coesione organica
dei membri (cf. 1 Cor 12-13; Col 2, 19). In questi pertanto non può
sussistere una vera docilità verso lo Spirito senza fedeltà verso il Signore,
che lo invia; da Cristo infatti "tutto il corpo, rifornito e compaginato
mediante le articolazioni e i legamenti, cresce secondo quello sviluppo che
è da Dio" (Col 2, 19).
Perciò la comunione organica della chiesa non è esclusivamente spirituale,
cioè nata, comunque sia, dallo Spirito santo e di per sè anteriore alle
funzioni ecclesiali e creatrice di esse, ma è simultaneamente gerarchica, in
quanto derivata, per impulso vitale, da Cristo-capo. Gli stessi doni, immessi
dallo Spirito, sono precisamente voluti da Cristo e per loro natura diretti
alla compagine del corpo, per vivificarne le funzioni e le attività. Cristo "è
il capo del corpo, il principio, il primogenito dai morti, affinché in tutto
abbia lui il primato" (cf. LG 7; Col 1, 15-18). Così la comunione organica
della chiesa, sia quanto all'aspetto spirituale sia quanto alla sua natura
gerarchica, trae origine e vigore simultaneamente da Cristo e dal suo
Spirito. Giustamente dunque e a proposito l'apostolo Paolo ha più volte
enunziato in intima e vitale convergenza le formule "in Cristo e nello
Spirito" (cf. Ef 2, 21-22; e passim nelle epistole).
Cristo-capo è presente nel ministero episcopale
6. Il Signore stesso "ha istituto nella sua chiesa vari ministeri, che tendono
al bene di tutto il corpo" (LG 18). Tra questi ministeri quello episcopale è
fondamento di tutti gli altri. I vescovi, poi, in comunione gerarchica con il
romano pontefice, costituiscono il collegio episcopale, così che esprimono

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nel loro insieme ed effettuano, nella chiesa-sacramento, la funzione di
Cristo-capo: "nella persona dei vescovi", infatti, "con i sacerdoti accanto a
loro, è presente in mezzo ai credenti il signore Gesù Cristo, pontefice
sommo... (I vescovi) sostengono le parti dello stesso Cristo, maestro,
pastore e pontefice, e nella persona di lui agiscono" (LG 21; cf 27 28 PO 1;
CD 2; PO 2). Nessun altro, all'infuori del vescovo, svolge nella chiesa una
funzione organica di fecondità (cf. LG 18, 19), di unità (cf. LG 23) e di
spirituale potestà (cf. LG 22) così fondamentale, che influisca su tutta
l'attività ecclesiale. Sebbene infatti nel popolo di Dio venga variamente
ripartita la esplicazione di molteplici altri compiti e iniziative, tuttavia al
romano pontefice e ai vescovi compete il ministero di discernere e di
armonizzare (cf. LG 21), che comporta l'abbondanza di speciali doni dello
Spirito e il peculiare carisma dell'ordinamento dei vari ruoli in intima
docilità d'animo verso l'unico Spirito vivificante (cf. LG 12,24, ecc.).
Indivisibilità del ministero dei vescovi
7. II vescovo, con la collaborazione dei presbiteri, svolge un triplice
servizio verso la comunità dei fedeli, quello cioè di insegnare, di
santificare, di governare (cf. LG 25-27; CD 12-20; PO 4-6). Non si tratta,
per altro, di tre ministeri; ma, poiché Cristo nella nuova legge ha fuso in
radice tra di loro le tre funzioni di maestro, di liturgo e di pastore, si tratta
di un ministero unico nella sua origine. Pertanto il ministero episcopale va
esercitato in forma indivisibile nelle diverse sue funzioni. Se poi le
circostanze a volte richiedono che si ponga maggiormente in luce uno di
questi tre aspetti, non si dovranno, tuttavia, mai separare nè trascurare gli
altri due, affinché non ne venga in alcun modo infirmata l'intima integrità di
tutto il ministero. II vescovo, dunque, non solo governa, nè solo santifica,
nè solo insegna, ma, con l'assistenza dei presbiteri, pasce il suo gregge
insegnando, santificando, governando con azione unica e indivisibile. Il
vescovo, quindi, in virtù del suo stesso ministero, è responsabile in modo
particolare dell'accrescimento nella santità di tutti i suoi fedeli, in quanto
egli è "principale dispensatore dei misteri di Dio e perfezionatore del suo
gregge" secondo la vocazione propria di ciascuno (cf. CD 15); dunque
anche, e soprattutto, secondo la vocazione dei religiosi.
Il compito della sacra gerarchia circa la vita religiosa
8. Un'attenta riflessione sulle funzioni e sui doveri del romano pontefice e
dei vescovi circa la vita pratica dei religiosi conduce a scoprire con
particolare concretezza e chiarezza la sua dimensione ecclesiale, cioè
l'indubbio legame della vita religiosa con la vita e la santità della chiesa (cf.
LG 44). Dio, infatti, attraverso l'azione della sacra gerarchia, consacra i
religiosi ad un suo più alto servizio nel popolo di Dio (cf. LG 44);
parimenti la chiesa, attraverso il ministero dei suoi pastori, "non solo erige
con la sua sanzione la professione religiosa alla dignità dello stato
canonico, ma con la sua azione liturgica la presenta pure come stato
consacrato a Dio" (LG 45; cf. SC 80, 2). Inoltre i vescovi, come membri del
collegio episcopale, in armonia con la volontà del sommo pontefice sono
solidali in questo: cioè nel regolare sapientemente la pratica dei consigli
evangelici (cf. LG 45); nell'approvare autenticamente le regole proposte (cf.
LG 45), in modo che sia riconosciuta e conferita agli istituti una missione

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tipicamente propria, venga in loro promosso l'impegno per la fondazione di
nuove chiese (AG 18,27) e siano loro affidati, secondo le circostanze,
compiti e mandati specifici; nel garantire con la loro sollecitudine che
gl'istituti "abbiano a crescere e fiorire secondo lo spirito dei fondatori,
sostenuti dalla loro autorità vigile e protettrice" (LG 45); nel determinare
l'esenzione di non pochi istituti "dalla giurisdizione degli ordinari del luogo,
in vista della comune utilità" (LG 45) della chiesa universale "e per meglio
provvedere all'incremento e al perfezionamento della vita religiosa" (CD
35,3).
Alcune conseguenze
9. Le brevi considerazioni fin qui condotte circa la comunione gerarchica
nella chiesa non poca luce recano sui rapporti da coltivare tra i vescovi e i
religiosi:
a) Capo del corpo ecclesiale è Cristo, pastore eterno, che ha proposto Pietro
e gli apostoli e i loro successori, cioè il romano pontefice e i vescovi,
costituendoli sacramentalmente come suoi vicari( cf. LG 18, 22, 27) e
colmandoli di appropriati carismi; e nessun altro ha il potere di esercitare
alcuna funzione sia di magistero sia di santificazione sia di governo, se non
in partecipazione e in comunione con essi.
b) Anima del corpo ecclesiale è detto lo Spirito santo: nessun membro del
popolo di Dio, qualunque sia il ministero a cui dedica l'opera sua, riassume
personalmente in sè, nella loro totalità, doni, uffici e compiti, ma deve
entrare in comunione con gli altri. Le differenze nel popolo di Dio, sia di
doni che di funzioni, convergono insieme tra loro e si completano a vicenda
per l'unica comunione e missione.
c) I vescovi, in unione col romano pontefice, ricevono da Cristo-capo il
compito (cf. LC 21) di discernere i doni e le competenze, di coordinare le
molteplici energie e di guidare tutto il popolo a vivere nel mondo come
segno e strumento di salvezza. Ad essi quindi è pure affidato l'ufficio di
prendersi cura dei carismi religiosi, tanto più perché la stessa indivisibilità
del ministero pastorale li fa perfezionatori di tutto il gregge. In tal modo,
promuovendo la vita religiosa e proteggendola in conformità delle sue
proprie definite caratteristiche, i vescovi adempiono un genuino dovere
pastorale.
d) I pastori tutti, non dimentichi del monito apostolico di non essere "come
padroni tra i fedeli loro affidati, ma come divenuti sincero modello del
gregge" (1 Pt 5,3), saranno giustamente consapevoli del primato della vita
nello Spirito, che esige che siano insieme guide e membri; veramente padri,
ma anche fratelli; maestri della fede, ma principalmente condiscepoli
davanti al Cristo; perfezionatori, sì, dei fratelli, ma anche veri testimoni
della loro personale santificazione.
Capitolo III
LA VITA RELIGIOSA NELLA COMUNIONE ECCLESIALE

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La natura "ecclesiale" degli istituti religiosi
10. Lo stato religioso "non è intermedio tra la condizione clericale e
laicale", ma proviene dall'una e dall'altra quasi come "dono speciale" per
tutta la chiesa (cf. LG 43).
Esso consiste nella sequela di Cristo, professando pubblicamente i consigli
evangelici di castità, di povertà e di obbedienza, e assumendo l'impegno di
rimuovere tutti quegli ostacoli, che potrebbero distogliere dal fervore della
carità e dalla perfezione del culto divino. Il religioso, infatti, "si dona
totalmente a Dio sommamente amato, così da essere con nuovo e speciale
titolo destinato al servizio e all'onore di Dio"; ciò "lo congiunge in modo
speciale alla chiesa e al suo mistero" e lo sospinge ad operare con indivisa
didizione per il bene di tutto il corpo (cf. LG 44).
Di qui chiaramente appare che la vita religiosa è un modo particolare di
partecipare alla natura sacramentale del popolo di Dio. La consacrazione,
infatti, di coloro che professano i voti religiosi, a questo soprattutto è
ordinata, che essi cioè offrano al mondo una visibile testimonianza
dell'insondabile mistero del Cristo, in quanto in se stessi realmente lo
rappresentino "o contemplante sul monte o annunziante il regno di Dio alle
turbe o mentre risana i malati e i feriti e converte i peccatori al bene
operare, oppure mentre benedice i fanciulli e fa del bene a tutti, ma sempre
in obbedienza alla volontà del Padre, che lo ha mandato" (LG 46).
Dell'indole propria di ogni istituto
11. Molti sono nella chiesa gl'istituti religiosi e diversi l'uno dall'altro,
secondo l'indole propria di ciascuno (cf. PC 7, 8, 9, 10); ma ognuno apporta
la sua propria vocazione qual dono suscitato dallo Spirito, mediante l'opera
di "uomini e donne insigni" (cf. LC 45; PC 1, 2), e autenticamente
approvato dalla sacra gerarchia.
Lo stesso "carisma dei fondatori" (ET 11) si rivela come un'esperienza dello
Spirito trasmessa ai propri discepoli per essere da questi vissuta, custodita,
approfondita e costantemente sviluppata in sintonia con il corpo di Cristo in
perenne crescita. Per questo "la chiesa difende e sostiene l'indole propria
dei vari istituti religiosi" (LG 44; cf. CD 33, 35, 1, 35,2, ecc.). Tale indole
propria, poi, comporta anche uno stile particolare di santificazione e di
apostolato, che stabilisce una sua determinata tradizione in modo tale, che
se ne possano convenientemente cogliere gli elementi oggettivi.
Pertanto, in quest'epoca di evoluzione culturale e di rinnovamento
ecclesiale, è necessario che l'identità di ogni istituto sia conservata con tale
sicurezza, che si possa evitare il pericolo di una situazione non
sufficientemente definita, per cui i religiosi, senza la dovuta considerazione
del particolare stile di azione proprio della loro indole, vengano inseriti
nella vita della chiesa in modo vago e ambiguo.
Alcuni connotati di un genuino "carisma"
12. Ogni carisma autentico porta con sè una certa carica di genuina novità

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nella vita spirituale della chiesa e di particolare operosa intraprendenza, che
nell'ambiente può forse apparire incomoda e può anche sollevare delle
difficoltà, poiché non sempre e subito è facile riconoscerne la provenienza
dallo Spirito.
La nota carismatica propria di qualsivoglia istituto esige, sia nel fondatore
che nei suoi discepoli, una continua verifica della fedeltà verso il Signore,
della docilità verso il suo Spirito, dell'attenzione intelligente alle
circostanze e della visione cautamente rivolta ai segni dei tempi, della
volontà d'inserimento nella chiesa, della coscienza di subordinazione alla
sacra gerarchia, dell'ardimento nelle iniziative, della costanza del donarsi,
dell'umiltà nel sopportare i contrattempi: il giusto rapporto fra carisma
genuino, prospettiva di novità e sofferenza interiore comporta una costante
storica di connessione tra carisma e croce, la quale, al di sopra di ogni
motivo giustificante le incomprensioni, è sommamente utile a far discernere
l'autenticità di una vocazione.
Anche ai singoli religiosi certamente non mancano i doni personali, i quali
indubbiamente sogliono provenire dallo Spirito, al fine di arricchire,
sviluppare e ringiovanire la vita dell'istituto nella coesione della comunità e
nel dare testimonianza di rinnovamento. Il discernimento, però, di tali doni
e il retto loro esercizio saranno misurati secondo la congruenza che essi
dimostreranno sia con il progetto comunitario dell'istituto sia con le
necessità della chiesa a giudizio della legittima autorità.
Il servizio proprio dell'autorità religiosa
13. I superiori svolgono il loro compito di servizio e di guida all'interno
dell'istituto religioso in conformità dell'indole propria di esso. La loro
autorità procede dallo Spirito del Signore in connessione con la sacra
gerarchia, che ha canonicamente eretto l'istituto e autenticamente approvato
la sua specifica missione.
Orbene, considerato il fatto che la condizione profetica, sacerdotale e regale
è comune a tutto il popolo di Dio (cf. LG 9, 10, 34, 35, 36), pare utile
delineare la competenza dell'autorità religiosa, accostandola, per analogia,
alla triplice funzione del ministero pastorale, cioè d'insegnare, santificare e
governare, senza per altro confondere o equiparare l'una e l'altra autorità.
a) Quanto all'ufficio d'insegnare, i superiori religiosi hanno la competenza e
l'autorità di maestri di spirito in relazione al progetto evangelico del proprio
istituto; in tale ambito, quindi, devono esplicare una vera direzione
spirituale dell'intera congregazione e delle singole comunità della
medesima, e l'attueranno in sincera concordia con l'autentico magistero
della gerarchia, sapendo di dover eseguire un mandato di grave
responsabilità nell'area del piano evangelico, voluto dal fondatore.
b) Quanto all'ufficio di santificare, è pure spettanza dei superiori una
speciale competenza e responsabilità di perfezionare, sia pure con
differenziati compiti, in ciò che riguarda l'incremento della vita di carità
secondo il progetto dell'istituto, sia circa la formazione, tanto iniziale che
continua, dei confratelli, sia circa la fedeltà comunitaria e personale nella

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pratica dei consigli evangelici secondo la regola. Tale compito, se
rettamente adempiuto, verrà considerato dal romano pontefice e dai vescovi
qual prezioso sussidio nell'espletamento del loro fondamentale ministero di
santificazione.
c) Quanto all'ufficio di governare, i superiori devono compiere il servizio di
ordinare la vita propria della comunità, di organizzare i membri dell'istituto,
di curare e sviluppare la peculiare sua missione e provvedere che venga
efficientemente inserito nell'attività ecclesiale sotto la guida dei vescovi.
Esiste dunque un ordine interno degli istituti (cf. CD 35, 3), che ha un suo
proprio campo di competenza, a cui spetta una genuina autonomia, anche se
questa non può mai, nella chiesa, ridursi a indipendenza (cf. CD 35, 3 e 4).
Il giusto grado di tale autonomia e la sua concreta determinazione di
competenza sono contenuti nel diritto comune e nelle regole, o costituzioni,
di ogni istituto.
Alcune conclusioni orientative
14. Dalle riflessioni fatte sulla vita religiosa possiamo desumere alcuni dati
esplicativi:
a) I religiosi e le loro comunità sono chiamati a dare nella chiesa una palese
testimonianza di totale dedizione a Dio, quale opzione fondamentale della
loro esistenza cristiana e primario impegno da assolvere nella forma di vita
loro propria. Essi, infatti, qualunque sia l'indole propria del loro istituto,
sono consacrati per dimostrare pubblicamente nella chiesa-sacramento "che
il mondo non può essere trasfigurato e offerto a Dio senza lo spirito delle
beatitudini" (LG 31).
b) Ogni istituto è nato per la chiesa ed è tenuto ad arricchirla con le proprie
caratteristiche secondo un particolare spirito e una missione specifica. I
religiosi, quindi, coltiveranno una rinnovata coscienza ecclesiale, prestando
l'opera loro per l'edificazione del corpo di Cristo, perseverando nella fedeltà
alla regola e obbedendo ai propri superiori (cf. PC 14; CD 35,2).
c) I superiori dei religiosi hanno il grave compito, assunto come prioritaria
responsabilità, di curare con ogni sollecitudine la fedeltà dei confratelli
verso il carisma del fondatore, promovendo il rinnovamento che il concilio
prescrive e i tempi richiedono. Si adopereranno quindi con zelo, affinché i
confratelli siano validamente orientati e incessantemente animati a
perseguire tale intento. Perciò riterranno come impegno di privilegio quello
di attuare una conveniente e aggiornata formazione (PC 2d, 14, 18).
Consapevoli infine che la vita religiosa per sua stessa natura comporta una
speciale partecipazione dei confratelli, i superiori ne cureranno
l'animazione, giacché "un efficace rinnovamento e un equo aggiornamento
non possono aver luogo senza la collaborazione di tutti i membri
dell'istituto" (PC 4).
Capitolo IV

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I VESCOVI E I RELIGIOSI INTENTI ALL'UNICA MISSIONE
DEL POPOLO DI DIO
La missione ecclesiale profluisce dalla "fonte dell'amore" (AG 2)
15. Unica è la missione del popolo di Dio, la quale in certo modo
costituisce il cuore di tutto il mistero ecclesiale. Il Padre, infatti, "ha
santificato" il Figlio "e lo ha mandato nel mondo" (Gv 10,36), mediatore tra
Dio e gli uomini (cf. AG 3); e nel giorno della pentecoste "Cristo inviò da
parte del Padre lo Spirito santo, perché compisse dal di dentro la sua opera
di salvezza e stimolasse la chiesa alla sua crescita" (AG 4). Così la chiesa,
in tutto il decorso della sua storia, "è per sua natura missionaria" (AG 2; cf.
LG 17) in Cristo e in virtù dello Spirito. Tutti, e pastori e laici e religiosi,
ciascuno secondo la propria vocazione, sono chiamati ad un impegno
apostolico (cf. n. 4b), che sgorga dalla carità del Padre; lo Spirito santo poi
lo alimenta, "vivificando, come loro anima, le istituzioni ecclesiastiche ed
infondendo nel cuore dei fedeli quel medesimo ardore di missione, da cui
era stato spinto Gesù stesso" (AG 4). La missione dunque del popolo di Dio
non può mai consistere solo in un'attività di vita esteriore, poiché l'impegno
apostolico non si può ridurre in assoluto alla semplice, anche se valida,
promozione umana, dal momento che ogni iniziativa pastorale e
missionaria è radicalmente fondata nella partecipazione del mistero della
chiesa. La missione infatti della chiesa per sua natura altro non è se non la
missione dello stesso Cristo continuata nella storia del mondo; essa pertanto
consiste principalmente nella compartecipazione all'obbedienza di colui (cf.
Ebr 5, 8), che offrì se stesso al Padre per la vita del mondo.
L'assoluta necessita' dell'unione con Dio
16. La missione, che trae la sua origine dal Padre, esige, da tutti coloro che
sono inviati, di esercitare la coscienza della carità nel dialogo della
preghiera. Perciò, in questi tempi di apostolico rinnovamento, come sempre
in qualsiasi impegno missionario, il posto di privilegio va dato alla
contemplazione di Dio, alla meditazione del suo piano di salvezza e alla
riflessione sui segni dei tempi alla luce del vangelo, affinché la preghiera
possa alimentarsi e crescere in qualità e frequenza.
Per tutti è indubbiamente urgente la necessità di apprezzare la preghiera e
di ricorrere ad essa. I vescovi e i loro presbiteri collaboratori (cf. LG 25, 27,
28, 41), ""perseveranti nella preghiera e nel ministero della parola" (At
6,4), "dispensatori dei misteri di Dio" (1 Cor 4, 1), pongano ogni loro
impegno, affinché tutti quelli che sono affidati alle loro cure siano concordi
nella preghiera e, ricevendo i sacramenti, crescano nella grazia e siano
fedeli testimoni del Signore" (CD 15). I religiosi poi, in quanto chiamati ad
essere quasi degli "specialisti della preghiera" (Paolo VI, 28-X-1966),
"Dio... prima di tutto cerchino ed amino, e in tutte le circostanze
s'impegnino ad alimentare la vita nascosta con Cristo in Dio (Col 3,3),
donde scaturisce e riceve impulso l'amore del prossimo"( PC 6).
Per disposizione della divina Provvidenza, non pochi tra i fedeli oggi sono
portati, per intimo impulso, a raccogliersi in gruppo, ad ascoltare il vangelo,
a meditare in profondità e ad innalzare la loro contemplazione. Di

2 Pages 11-20

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2.1 Page 11

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conseguenza, per l'efficacia stessa della missione, è indispensabile
procurare che tutti, soprattutto i pastori, attendano alla preghiera, e
parimenti che gl'istituti religiosi conservino intatta la loro forma di
dedizione a Dio, sia promovendo il ruolo eminente, che in questo campo
detengono le comunità di vita contemplativa (cf. PC 7 e AG 18), sia
provvedendo che i religiosi dediti all'azione apostolica alimentino la loro
intima unione con Cristo e ne diano palese testimonianza (cf. PC 8).
Diversità di forme nell'impegno apostolico
17. Diverse sono le situazioni culturali, nelle quali deve essere esplicata
l'attività apostolica; per cui nell'unità di missione si avvertono delle
"differenze, che... non provengono dall'intrinseca natura della stessa
missione, ma solo dalle circostanze, nelle quali tale missione si esplica.
Queste condizioni dipendono sia dalla chiesa, sia dai popoli, dai gruppi o
dagli uomini, a cui la missione è indirizzata" (AG 6). Ora queste differenze,
reali certo, anche se contingenti, incidono sensibilmente non solo
sull'esercizio del ministero pastorale dei vescovi e dei presbiteri, ma anche
sullo stile particolare di vita e sui compiti dei religiosi, esigendo non facili
adattamenti, soprattutto da parte di quegli istituti dediti all'azione
apostolica, che operano a raggio internazionale.
Riguardo pertanto alle relazioni tra i vescovi e i religiosi, oltre le diversità
di funzioni (cf. AA 2) e di carismi (cf. LG 2), vanno considerate
accuratamente anche le concrete differenze sussistenti nell'ambito delle
nazioni.
Reciproco influsso tra i valori di universalità e di particolarità
18. Dall'esigenza d'inserimento del mistero della chiesa nell'ambiente
proprio di ciascuna regione sorge il problema del reciproco influsso tra i
valori di universalità e quelli di particolarità nel popolo di Dio.
Il concilio Vaticano II ha trattato non solo della chiesa universale, ma anche
delle chiese particolari e locali, che ha presentato come uno degli aspetti
rinnovatori della vita ecclesiale (cf. LG 13,23,26; CD 3, 11, 15; AC 22; PC
20). Può avere così il suo significato positivo un certo processo di
decentramento, che porta sicuramente delle conseguenze anche sui rapporti
scambievoli tra i vescovi e i religiosi (cf. EN 61-64).
Ogni chiesa particolare si arricchisce di validi elementi umani, che sono
propri del genio e della natura di ciascuna nazione. Tuttavia, siffatti
elementi non vanno considerati come indizi di divisione, di particolarismo e
di nazionalismo, ma come espressione di varietà nella medesima unità e di
pienezza di quell'incarnazione, che arricchisce l'intero corpo di Cristo (cf.
UR 14-17). Infatti la chiesa universale non è una somma di chiese
particolari nè una federazione di esse (cf. EN 62), ma è la presenza totale e
cresciuta dell'unico sacramento universale di salvezza (cf. EN 54). Ma
questa multiforme unità comporta varie concrete esigenze
nell'adempimento dei doveri da parte dei vescovi e dei religiosi:
a) I vescovi e i loro collaboratori presbiteri sono i primi a dover rispondere

2.2 Page 12

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sia del retto discernimento dei valori culturali del luogo nella vita della loro
chiesa, sia della chiara prospettiva di universalità loro derivante dal ruolo
missionario di successori degli apostoli, che furono inviati al mondo intero
(cf. CD 6; LG 20, 23, 24; AG 5,38).
b) I religiosi, poi, anche se appartengono ad un istituto di diritto pontificio,
devono sentirsi veramente partecipi della "famiglia diocesana" (cf. CD 34)
e assumersi l'impegno del necessario adattamento; e opportunamente
favoriscano anche le vocazioni locali sia per il clero diocesano sia per la
vita consacrata; inoltre quanto ai candidati delle loro congregazioni, li
formino in modo che realmente vivano secondo la genuina cultura locale,
ma nello stesso tempo siano attentamente vigili, affinché nessuno mai
aberri sia dall'impulso missionario inerente alla stessa vocazione religiosa
sia dall'unità e dall'indole propria di ciascun istituto.
Dovere missionario e spirito d'iniziativa
19. Emerge, dunque, soprattutto nei riguardi dei vescovi e dei religiosi, un
chiaro dovere missionario, connaturato nel loro stesso ministero e nel loro
carisma. Tale dovere diviene ogni giorno più impegnativo, mentre le
odierne condizioni culturali vanno evolvendosi nel contrassegno di due
principali note, ossia del materialismo, che invade le masse popolari anche
in regioni cristiane per tradizione, e dell'incremento delle comunicazioni
internazionali, per cui tutti i popoli, anche non cristiani, possono facilmente
collegarsi gli uni con gli altri. Inoltre, i profondi rivolgimenti delle
situazioni, la crescita dei valori umani e le molteplici necessità del mondo
contemporaneo (cf. GS 43-44) con sempre maggiore istanza premono,
affinché da una parte si abbiano a rinnovare molte attività pastorali di
tradizione, dall'altra si cerchino anche nuovi moduli di presenza apostolica.
In tale situazione urge la necessità di una certa solerzia apostolica
nell'escogitare nuove ingegnose e coraggiose esperienze ecclesiali, sotto
l'impulso dello Spirito santo, che è, per sua stessa natura, creatore. E in
modo speciale con la natura carismatica della vita religiosa egregiamente si
accorda una feconda alacrità d'inventiva e d'intraprendenza (cf. n. 12).
Infatti lo stesso sommo pontefice Paolo VI questo ha giustamente
affermato: "grazie alla loro stessa consacrazione religiosa, essi [i religiosi]
sono soprattutto liberi e possono spontaneamente lasciar tutto e recarsi ad
annunziare il vangelo sino ai confini del mondo. Essi sono alacri
nell'operare; e il loro apostolato spesso eccelle per la genialità dei progetti e
delle iniziative, che destano ammirazione in chiunque li osservi" (EN 69).
Coordinamento nell'attività pastorale
20. La chiesa non è stata istituita al fine di essere una "organizzazione di
attività", ma piuttosto quale "corpo vivo di Cristo per dar testimonianza".
Essa, tuttavia, necessariamente svolge un lavoro concreto di progettazione e
di coordinamento dei molteplici uffici e servizi, affinché insieme
convergano in un'azione pastorale unitaria, nella quale si stabiliscono quali
siano le scelte da seguire e quali gl'impegni apostolici da preporre agli altri
(cf. CD 11, 30, 35,5; AC 22,29). Oggi infatti bisogna con insistenza
provvedere ad avviare, ai vari livelli della vita ecclesiale, un conveniente
sistema di ricerca e di realizzazione, affinché si possa esplicare la missione

2.3 Page 13

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evangelizzatrice nel modo più consentaneo alle diverse situazioni.
Per tale auspicabile coordinazione tre sono i centri operativi principali: la
santa sede, la diocesi (cf. CD 11) e, nell'ambito suo proprio, la conferenza
episcopale (cf. CD 38). Accanto poi a questi centri si costituiscono anche
altri organi di collaborazione in conformità delle esigenze ecclesiali e
regionali.
Mutua collaborazione tra religiosi
21. Nell'ambito della vita religiosa vengono istituiti dalla santa sede, sia a
livello locale che a livello universale, i consigli dei superiori maggiori e
generali (cf. PC 23; REU 73,5); i quali ovviamente differiscono per natura e
autorità dalle conferenze episcopali. Intatti, il loro scopo primario è la
promozione della vita religiosa inserita nella compagine della missione
ecclesiale; e la loro attività consiste nell'offrire servizi comuni, iniziative di
fraternità, proposte di collaborazione, rispettando naturalmente l'indole
propria di ciascun istituto. Ciò senza dubbio contribuirà ad offrire validi
aiuti al coordinamento pastorale, specialmente se in determinati periodi si
farà anche una conveniente revisione degli statuti operativi e se innanzi
tutto si cureranno le mutue relazioni tra le conferenze episcopali e i consigli
dei superiori maggiori secondo le direttive, che verranno date dalla santa
sede.
Il significato pastorale dell'esenzione
22. Il sommo pontefice, in vista dell'utilità della stessa chiesa (cf. LG 45;
CD 35, 3), a non poche famiglie religiose concede l'esenzione, affinché
gl'istituti possano più adeguatamente esprimere la propria identità e
dedicarsi al bene comune con particolare generosità e a raggio più vasto (cf.
n. 8).
L'esenzione, in verità, non adduce per sè alcun ostacolo nè al
coordinamento pastorale nè agli scambievoli e buoni rapporti tra i membri
del popolo di Dio. Essa infatti "riguarda principalmente l'ordine interno
degli istituti, perché in essi tutte le cose siano meglio tra loro unite; ordinate
e concorrano all'incremento e al perfezionamento della vita religiosa; e
possa, inoltre, disporre di essi il sommo pontefice per il bene della chiesa
universale, ed altra competente autorità per il bene delle chiese della
propria giurisdizione" (CD 35, 3; cf. CD 35,4; ES 1, 25-40; EN 69).
Pertanto gl'istituti religiosi esenti, fedeli alla "particolare loro fisionomia e
alla propria loro funzione" (PC 2b), devono innanzi tutto coltivare una
speciale adesione al romano pontefice ai vescovi, rendendo effettivamente e
con animo volenteroso, disponibile la propria libertà e alacrità apostolica in
conformità dell'obbedienza religiosa; similmente con piena coscienza e zelo
s'impegneranno a incarnare e manifestare nella famiglia diocesana anche la
specifica testimonianza e la genuina missione del loro istituto; infine
stimoleranno sempre quella sensibilità e intraprendenza di apostolato, che
sono caratteristiche della loro consacrazione.
I vescovi sapranno certamente riconoscere e apprezzeranno grandemente il

2.4 Page 14

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contributo specifico, col quale verranno in aiuto delle chiese particolari
quei religiosi, nella cui esenzione essi trovano in certo modo anche
un'espressione di quella pastorale sollecitudine, che strettamente li unisce al
romano pontefice per l'universale solerte cura verso tutti i popoli (cf. n. 8).
Questa rinnovata coscienza dell'esenzione, se davvero è condivisa in
accordo con i vari collaboratori dell'impegno pastorale, potrà non poco
giovare all'incremento dell'inventiva apostolica e dello zelo missionario in
ogni chiesa particolare.
Alcuni criteri per un equo ordinamento dell'attività pastorale
23. Quanto sopra è stato considerato circa la missione ecclesiale suggerisce
le seguenti opportune note direttive:
a) innanzi tutto la stessa natura dell'azione apostolica esige che i vescovi
conferiscano il posto di privilegio al raccoglimento interiore e alla vita di
preghiera (cf. LG 26,27,41); inoltre richiede che i religiosi, conformemente
all'indole propria, si rinnovino in profondità e attendano assiduamente alla
preghiera.
b) Con speciale cura sono da promuovere "le varie iniziative atte a stabilire
la vita contemplativa" (AG 18), giacché questa detiene un posto assai
distinto nella missione della chiesa, "per quanto sia urgente la necessità
dell'apostolato attivo" (PC 7). La vocazione di tutti, infatti, alla perfezione
della carità (cf. LG 40) in modo radicale è resa luminosa, particolarmente
oggi mentre si va aggravando il pericolo del materialismo, dagli istituti
totalmente rivolti alla contemplazione, nei quali più apertamente appare
che, come dice s. Bernardo, "il motivo di amare Dio è Dio; la misura è di
amarlo senza misura" (De diligendo Deo, c. 1: PL 182, 584).
c) L'attività del popolo di Dio nel mondo è per sua natura universale e
missionaria sia per l'indole stessa della chiesa (cf. LG 17), sia per il
mandato di Cristo, che conferì all'apostolato "una universalità senza
frontiere" (EN 49). Sarà perciò necessario che i vescovi e i superiori curino
questa dimensione della coscienza apostolica e promuovano concrete
iniziative per avvivarla.
d) La chiesa particolare costituisce lo spazio storico, nel quale una
vocazione si esprime nella realtà ed effettua il suo impegno apostolico; lì
infatti, dentro i confini di una determinata cultura, si annunzia e viene
accolto il vangelo (cf. EN 19, 20, 29, 32, 35. 40, 62, 63). E' necessario,
pertanto, che nel lavoro di formazione si abbia debitamente presente anche
questa realtà di grande importanza nel rinnovamento pastorale.
e) L'influsso reciproco tra i due poli, cioè tra la viva compartecipazione di
una cultura particolare e la prospettiva di universalità, deve trovare il suo
fondamento in un'inalterabile stima e perseverante custodia di quei valori di
unità, ai quali in nessun modo è dato di rinunziare, sia che si tratti dell'unità
della chiesa cattolica - per tutti i fedeli -, sia che si tratti della unità di
ciascun istituto religioso - per tutti i suoi membri -. Quella comunità locale,
che si distacchi da questa unità, incorrerà in un duplice pericolo: "da una

2.5 Page 15

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parte il pericolo proprio della segregazione, che inaridisce...;, dall'altra il
pericolo di perdere la propria libertà, quando, staccata dal capo..., isolata,
diviene soggetta in molti modi alle forze di coloro, che tentano di asservirla
e di sfruttarla" (EN 64).
f) In questi nostri tempi in modo particolare si esige dai religiosi quella
stessa genuinità carismatica, vivace e ingegnosa nelle sue inventive, che
spiccatamente eccelle nei fondatori, affinché meglio e con zelo s'impegnino
nel lavoro apostolico della chiesa tra coloro, che oggi costituiscono di fatto
la maggioranza dell'umanità e sono i prediletti del Signore: i piccoli e i
poveri (cf. Mt 18, 1-6; Lc 6,20).
Parte seconda
DIRETTIVE E NORME
L'esperienza di questi recenti anni, alla luce dei principi fin qui esposti, ha
indotto a formulare alcune direttive e norme rivolte soprattutto alla pratica.
Da ciò indubbiamente conseguirà che i mutui rapporti tra i vescovi e i
religiosi possano ulteriormente perfezionarsi a vantaggio della stessa
edificazione del corpo di Cristo. Esporremo le varie direttive in tre distinti
momenti, che si completano vicendevolmente, cioè: a) secondo l'aspetto
formativo; b) secondo l'aspetto operativo; c) secondo l'aspetto
organizzativo.
Il testo suppone le prescrizioni giuridiche già in atto e a volte ad esse fa
riferimento; non deroga, quindi, a nessuna disposizione di precedenti
documenti della santa sede vigenti in materia.
Capitolo V
ALCUNE ISTANZE ATTINENTI ALL'ASPETTO FORMATIVO
Il romano pontefice e i vescovi svolgono nella chiesa il ruolo supremo di
maestri autentici e di santificatori di tutto il gregge (cf. Parte I, nn. 5-9). A
loro volta i superiori religiosi rivestono speciale autorità per la guida del
proprio istituto, e portano il peso non lieve della specifica formazione dei
confratelli (cf. PC 14, 18; e Parte I, nn. 10-14). I vescovi e i superiori,
pertanto, gli uni e gli altri secondo il proprio ruolo, ma in armonia tra loro e
in concorde impegno, diano una vera precedenza alle responsabilità di
formazione.
24. I vescovi, d'accordo anche con i superiori religiosi, promuovano,
specialmente tra i presbiteri diocesani, tra i laici zelanti e tra i religiosi e le
religiose locali, una viva coscienza ed esperienza del mistero e della
struttura della chiesa, della vivificante inabitazione dello Spirito santo,
organizzando in comune speciali circoli e incontri di spiritualità. Inoltre
incessantemente insistano, affinché sia valorizzata e intensificata la
preghiera, sia personale che pubblica, anche con appropriate iniziative
diligentemente preparate.
25. Le comunità religiose, da parte loro, soprattutto quelle contemplative,

2.6 Page 16

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pur conservando, ovviamente, la fedeltà al proprio spirito (cf. PC 7; AG
40), offrano agli uomini del nostro tempo opportuni aiuti per la preghiera e
per la vita spirituale, in modo che esse possano rispondere alla pressante
necessità, oggi più attentamente sentita, di meditazione e di
approfondimento della fede. Diano anche l'occasione e la comodità di poter
partecipare convenientemente alle loro stesse azioni liturgiche, salve
restando le debite esigenze della clausura e le norme stabilite al riguardo.
26. I superiori religiosi con ogni attenzione procurino che i loro confratelli
e le loro consorelle rimangano fedeli alla propria vocazione. Promuovano
anche gli opportuni adattamenti alle condizioni culturali, sociali ed
economiche, secondo le esigenze dei tempi, vigilando tuttavia, affinché in
nessun modo tali adattamenti sconfinino verso abitudini contrarie alla vita
religiosa. Gli aggiornamenti culturali e gli studi di specializzazioni dei
confratelli vertano su materie propriamente attinenti alla specifica
vocazione dell'istituto; tali studi, poi, siano programmati non quasi fossero
una male intesa realizzazione di sè, per raggiungere finalità individuali, ma
affinché valgano a rispondere alle esigenze di progetti apostolici della
stessa famiglia religiosa in armonia con le necessità della chiesa.
27. Nel promuovere la formazione continua dei religiosi, occorre insistere
sul rinnovamento della testimonianza di povertà e di servizio verso i più
bisognosi, e procurare, inoltre, che in una rinnovata obbedienza e castità le
comunità divengano segno di amore fraterno e di unità.
Negli istituti di vita attiva, per i quali l'apostolato costituisce l'elemento
essenziale della loro vita religiosa (cf. CD 12, 15, 35,2; LG 25, 45), nello
stesso evolversi della formazione, sia iniziale che continua, si ponga il
medesimo apostolato in debito risalto.
28. Spetta ai vescovi, quali maestri autentici e guide di perfezione per tutti i
membri della diocesi (cf. CD 12, 15, 35,2; LG 25,45), di essere i custodi
anche della fedeltà alla vocazione religiosa nello spirito di ciascun istituto.
E nell'esercizio di questo dovere pastorale i vescovi avranno cura di
promuovere i rapporti con i superiori religiosi, a cui tutti i confratelli sono
soggetti "in spirito di fede" (cf. PC 14), in aperta comunione di dottrina e di
intenti col sommo pontefice e i dicasteri della santa sede e con gli altri
vescovi e ordinari locali.
I vescovi, unitamente al proprio clero, siano convinti assertori della vita
consacrata, difensori delle comunità religiose, educatori di vocazioni, validi
tutori dell'indole propria di ciascuna famiglia religiosa sia in campo
spirituale che in quello apostolico.
29. I vescovi e i superiori religiosi, gli uni e gli altri secondo le proprie
competenze, promuovano con zelo la conoscenza della dottrina del concilio
e dei documenti pontifici sull'episcopato, sulla vita religiosa e sulla chiesa
particolare, nonché sui rapporti intercorrenti tra loro. A tal fine sono
auspicabili le seguenti iniziative: a) incontri di vescovi e superiori religiosi
per approfondire insieme tali argomenti; b) corsi speciali per presbiteri
diocesani, per religiosi e per laici impegnati nelle attività apostoliche, al
fine di consentire nuovi e più appropriati adeguamenti; c) studi ed

2.7 Page 17

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esperimenti particolarmente appropriati per la formazione dei religiosi
coadiutori e delle religiose; d) l'elaborazione di opportuni documenti
pastorali, nella diocesi, nella regione o nazione, che presentino
fruttuosamente questi argomenti alla riflessione dei fedeli.
Bisogna però badare che questa formazione di aggiornamento non rimanga
limitata solo a pochi, ma provvedere che a tutti si dia la possibilità di
usufruirne e divenga un impegno comune di tutti i confratelli.
Pare inoltre opportuno che a questo approfondimento dottrinale si dia anche
una sufficiente diffusione mediante la stampa, i mezzi di comunicazione
sociale, conferenze, esortazioni, ecc.
30. Fin dalle fasi iniziali della formazione, sia ecclesiastica che religiosa,
venga programmato lo studio sistematico del mistero di Cristo, della natura
sacramentale della chiesa, del ministero episcopale e della vita religiosa
nella chiesa. Perciò: a) i religiosi e le religiose fin dal noviziato si formino
ad avere una più piena consapevolezza e sollecitudine per la chiesa
particolare, aumentando insieme la fedeltà alla loro specifica vocazione; b)
i vescovi procurino che il clero diocesano comprenda intimamente gli
attuali problemi concernenti la vita religiosa e l'urgente necessità
missionaria, e che alcuni scelti presbiteri si preparino, affinché possano
validamente prestare l'opera loro ed aiutare i religiosi e le religiose nel loro
progresso spirituale (cf. OT 10; AG 39), sebbene il più delle volte convenga
affidare questo compito a presbiteri religiosi prudentemente scelti (cf. n.
36).
31. Una maturazione più completa della vocazione sacerdotale e religiosa
dipende anche, e in grado decisivo, dalla formazione dottrinale, che di
solito viene impartita o in centri di studio a livello universitario o in scuole
superiori oppure in istituti particolarmente adatti.
I vescovi e i superiori dei religiosi, interessati a tale compito, prestino
efficacemente la loro collaborazione per la sussistenza di questi centri di
studio e per sostenere il giusto funzionamento, soprattutto quando tali centri
siano a servizio di una o più diocesi e congregazioni religiose e meglio
garantiscano sia l'eccellenza dell'insegnamento sia la presenza di docenti e
di tutti gli altri, che debitamente preparati sono in grado di rispondere alle
esigenze della formazione, e assicurino inoltre l'impiego più razionale del
personale stesso e dei mezzi.
Nel preparare, riformare e attuare gli statuti di questi centri di studio
risultino chiaramente definiti i diritti e i doveri dei singoli partecipanti, i
compiti che in forza dello stesso ministero spettano al vescovo o ai vescovi,
le modalità d'azione e la dimensione di responsabilità dei superiori religiosi
cointeressati, cosicché si possa promuovere una presentazione oggettiva e
completa della dottrina, strutturata in armonia col magistero della chiesa. In
base quindi ai criteri generali di competenza e di responsabilità e secondo le
disposizioni statutarie si provveda a seguire con diligente cura l'attività e le
iniziative di questi centri. Ma in tutta questa disciplina, certamente delicata
e importante, si osservino sempre le norme e le disposizioni della santa

2.8 Page 18

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sede.
32. Un adeguato rinnovamento della prassi pastorale nelle diocesi richiede
una conoscenza più approfondita di tutte quelle realtà, che riguardano in
concreto la vita umana e religiosa locale, in modo che da tale base possa
scaturire una riflessione teologica oggettiva e appropriata, si possano
stabilire delle priorità operative, elaborare un piano d'azione pastorale,
esaminare, infine, periodicamente quanto sia stato realizzato. Questo lavoro
può richiedere da parte dei vescovi, con la collaborazione di persone
competenti, scelte anche tra i religiosi, di costituire e sostenere delle
commissioni di studio e dei centri di ricerca. Invero tali iniziative appaiono
sempre più necessarie non solo per conseguire una formazione più
aggiornata delle persone, ma anche per dare una struttura razionale alla
prassi pastorale.
33. Peculiare e delicato dovere dei religiosi è di avere la mente attenta e
l'animo docile al magistero della gerarchia e di rendere facile ai vescovi
l'esercizio del ministero di "dottori autentici" e di "testimoni della divina e
cattolica verità" (cf. LG 25) nell'impegno di responsabilità circa
l'insegnamento dottrinale della fede, sia nei centri, dove se ne coltiva lo
studio, sia nell'impiego dei mezzi per trasmetterla.
a) Riguardo alle pubblicazioni di libri e documenti, curate presso
organizzazioni librarie di religiosi e religiose o di istituzioni cattoliche o di
case editrici da loro gestite, si osservino le norme impartite dalla
Congregazione per la dottrina della fede (19.III.1975) circa la competente
autorità per l'approvazione dei testi della sacra scrittura e relative versioni,
dei libri di liturgia, di preghiere e di catechismo, o di opere di qualunque
altro genere, che contengano qualche argomento in modo speciale attinente
alla religione e all'onestà dei costumi. L'omissione di queste norme,
speciosamente talvolta o astutamente escogitata, può recare ai fedeli un
gran danno, a cui è necessario resistere con tutte le forze e con lealtà
soprattutto da parte dei religiosi.
b) Anche quando si tratta di documenti e di iniziative editoriali da parte di
istituzioni religiose, locali o nazionali, che pur non essendo di pubblica
destinazione, possono tuttavia esercitare un certo peso in fatto di pastorale,
come, ad esempio, i nuovi e gravi problemi sulla questione sociale,
economica e politica, in qualunque modo connessi con la fede e la vita
religiosa, venga sempre salvaguardata la necessaria intesa con gli ordinari
competenti.
c) I vescovi poi, considerata attentamente la missione speciale di alcuni
istituti, esortino e sostengano i religiosi e le religiose, che sono impegnati
nell'importante settore apostolico dell'attività editoriale e delle
comunicazioni sociali; promuovano al riguardo una più estesa
collaborazione apostolica, soprattutto a livello nazionale; parimenti siano
solleciti della formazione del personale specializzato in questa attività non
solo quanto alla competenza tecnica, ma anche, e soprattutto, quanto alla
loro responsabilità ecclesiale.
34. Grave errore sarebbe rendere indipendenti - e assai più grave quello di

2.9 Page 19

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opporle tra loro - la vita religiosa e le strutture ecclesiali, quasi potessero
sussistere come due realtà distinte, l'una carismatica, l'altra istituzionale;
mentre ambedue gli elementi, cioè i doni spirituali e le strutture ecclesiali,
formano un'unica, anche se complessa, realtà (cf. LG 8).
Pertanto i religiosi e le religiose, mentre dimostrano particolare
intraprendenza e prospettiva per il tempo futuro (cf. nn. 10-14), siano
strenuamente fedeli all'intenzione e allo spirito dell'istituto in piena
obbedienza e adesione all'autorità della gerarchia (cf. PC 2; LG 12).
35. Il vescovo, quale pastore della diocesi, e i superiori religiosi, in quanto
responsabili del proprio istituto, promuovano la partecipazione dei religiosi
e delle religiose alla vita della chiesa particolare e la loro cognizione circa
le norme direttive e le disposizioni ecclesiastiche; parimenti incrementino,
soprattutto i superiori, l'unità supernazionale nel proprio istituto e la docilità
verso i suoi superiori generali (cf. Parte I, nn. 15-23).
Capitolo VI
IMPEGNI E RESPONSABILITA' NEL CAMPO OPERATIVO
La chiesa vive nello Spirito e sta sul fondamento di Pietro e degli apostoli e
dei loro successori, così che il ministero episcopale risulta realmente quale
principio direttivo del dinamismo pastorale di tutto il popolo di Dio. La
chiesa dunque opera in armonia sia con lo Spirito santo, che ne è l'anima,
sia col capo operante nel corpo (cf. nn. 5-9). Ciò evidentemente comporta
per i vescovi e i religiosi, nello svolgimento delle loro iniziative e attività,
delle conseguenze ben determinate, quantunque essi godano di una loro
propria competenza, gli uni e gli altri secondo il proprio ruolo.
Le direttive pratiche, che qui vengono esposte, si riferiscono a due generi di
esigenze nel campo operativo: quelle cioè pastorali e quelle religiose.
Esigenze della missione pastorale
36. Il concilio afferma che i religiosi e le religiose "appartengono anch'essi
sotto un particolare aspetto alla famiglia diocesana, recano un grande aiuto
alla sacra gerarchia, e, nelle accresciute necessità dell'apostolato, possono e
debbono recarne ogni giorno sempre più" (CD 34).
Nei territori, dove sono vigenti più riti, i religiosi, svolgendo attività rivolte
ai fedeli di rito diverso dal loro, si atterranno a quelle norme, che sono state
previste nei rapporti da avere con vescovi di altro rito (cf. ES 1, 23).
E' urgente la necessità che vengano applicati di fatto tali criteri, non solo in
fase conclusiva, ma anche nel determinare ed elaborare il programma di
azione, fermo restando, tuttavia, il ruolo nel decidere proprio del vescovo.
I religiosi presbiteri, a motivo della stessa unità del presbiterio( cf. LG 28;
CD 28, 11) e in quanto partecipano alla cura delle anime, "sono da
considerarsi di appartenere, per un certo reale aspetto, al clero della
diocesi" (CD 34); essi possono, perciò, e debbono servire a meglio unire

2.10 Page 20

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reciprocamente e coordinare in campo operativo i religiosi e le religiose
con il clero e i vescovi locali.
37. Si cerchi di suscitare tra il clero diocesano e le comunità dei religiosi
rinnovati vincoli di fraternità e di collaborazione (cf. CD 35, 5). Si dia
perciò grande importanza a tutti quei mezzi, anche se semplici nè
propriamente formali, che giovino ad accrescere la mutua fiducia, la
solidarietà apostolica e la "fraterna concordia" (cf. ES I, 28). Ciò servirà
davvero non solo a irrobustire una genuina coscienza della chiesa
particolare, bensì anche a stimolare ognuno a rendere e a chiedere servizi
con animo lieto, ad alimentare il desiderio di cooperare, nonché ad amare la
comunità umana ed ecclesiale, nella cui vita si trova inserito, quasi come
patria della propria vocazione.
38. I superiori maggiori s'impegneranno con grande sollecitudine per
conoscere non solo le doti e le possibilità dei loro confratelli, ma anche le
necessità apostoliche delle diocesi, nelle quali il proprio istituto è chiamato
ad operare. E' auspicabile, pertanto, che si realizzi un dialogo concreto e
globale tra il vescovo e i superiori dei vari istituti presenti nella diocesi,
così che, soprattutto in considerazione anche di certe precarie situazioni e
della persistente crisi di vocazioni, il personale religioso possa essere
distribuito in modo più equo e più proficuo.
39. Campo privilegiato di collaborazione tra i vescovi e i religiosi deve
essere considerato l'impegno pastorale per seguire le vocazioni (cf. PO 11;
PC 24; OT 2). Tale impegno pastorale consiste in un'azione concorde della
comunità cristiana per tutte le vocazioni, così che la chiesa venga edificata
secondo la pienezza di Cristo e secondo la varietà dei carismi del suo
Spirito.
In fatto di vocazione questo al di sopra di ogni altra cosa deve essere ben
considerato, che cioè lo Spirito santo, il quale "spira dove vuole" Gv 3,8),
chiama i fedeli ai diversi uffici e ai diversi stati per il maggior bene della
chiesa. A tale azione divina è chiaro che nessun ostacolo dev'essere posto;
ma, al contrario, si deve provvedere che ognuno risponda con la massima
libertà alla propria vocazione. La storia stessa, del resto, può
abbondantemente testimoniare che le diversità delle vocazioni, e soprattutto
la coesistenza e la collaborazione dell'uno e dell'altro clero, diocesano e
religioso, non vanno a detrimento delle diocesi, anzi piuttosto le
arricchiscono di nuovi tesori spirituali e ne accrescono notevolmente la
vitalità apostolica.
Pertanto sarà opportuno che le molteplici iniziative siano sapientemente
coordinate sotto la guida dei vescovi: cioè secondo i compiti che spettano ai
parenti e agli educatori, ai religiosi e alle religiose, ai presbiteri e a tutti gli
altri, che operano nel campo pastorale. Perciò quest'impegno dovrà essere
assolto in comune e concordemente e con piena dedizione di ognuno; e il
vescovo stesso guidi gli sforzi di tutti nella loro convergenza verso il
medesimo intento, sempre memore che tali sforzi sono in radice originati
dall'impulso dello Spirito. In considerazione di ciò, quindi, urge anche la
necessità di promuovere con frequenza iniziative di preghiera.

3 Pages 21-30

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3.1 Page 21

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40. Nel rinnovamento della prassi pastorale e dell'aggiornamento delle
opere di apostolato sono da prendersi in seria considerazione i profondi
rivolgimenti prodottisi nel mondo contemporaneo (cf. GS 43,44); per cui è
necessario talora affrontare delle situazioni non poco difficili, soprattutto
"per ovviare ai bisogni delle anime e alla penuria del clero" (ES I, 36).
I vescovi, in dialogo con i superiori religiosi e con tutti coloro che operano
nel campo pastorale della diocesi, cerchino di discernere che cosa esige lo
Spirito e studino i modi di apprestare nuove presenze apostoliche, così da
poter affrontare le difficoltà germogliate nell'ambito stesso della diocesi. La
ricerca, però, di un rinnovamento della presenza apostolica non deve
minimamente indurre a non tenere in debito conto la validità ancora attuale
di altre forme di apostolato, che sono proprie della tradizione, come quella
della scuola (cf. S. Congr. per l'ed. cat., La scuola cattolica, 19.3.1977: OR
6.7.1977; EV V, 2239-2333), delle missioni, dell'operosa presenza negli
ospedali, dei servizi sociali ecc.; tutte queste forme di tradizione, per altro,
è necessario che senza ulteriori indugi e secondo le norme orientative del
concilio e le necessità dei tempi vengano diligentemente e opportunamente
aggiornate.
41. Le innovazioni apostoliche, a cui successivamente si dia inizio, siano
progettate con attento studio. E' dovere dei vescovi da una parte, "non di
estinguere lo Spirito, ma di sottoporre ogni cosa ad esame e ritenere ciò che
è buono" (cf. 1 Tess 5, 12 e 19-21; LG 12), "in modo però che lo zelo
spontaneo di coloro che hanno parte nell'opera sia salvaguardato e
incoraggiato" (AG 30); da parte loro i superiori religiosi cooperino
vitalmente e in dialogo con i vescovi nel ricercare soluzioni, nel disporre le
programmazioni sulle scelte operate, nell'avviare esperienze, anche del tutto
nuove, sempre tuttavia agendo sia in ragione delle più urgenti necessità
della chiesa sia in conformità alle norme e agli orientamenti del magistero e
secondo l'indole del proprio istituto.
42. Non si trascuri mai l'impegno del reciproco scambio di aiuti tra i
vescovi e i superiori nel valutare obiettivamente e nel giudicare con equità
le nuove esperienze già iniziate, al fine di evitare non solo evasioni e
frustrazioni, ma anche i pericoli di crisi e deviazioni. Di queste iniziative,
quindi, si faccia in determinati periodi la revisione; e se il tentativo non ha
raggiunto un buon esito( cf. EN 58), si usi umiltà, ma insieme anche la
necessaria fermezza, per correggere o sospendere od orientare più
adeguatamente l'esperimento esaminato.
43. Sarà non poco a danno dei fedeli il fatto che troppo a lungo si usi
tolleranza di fronte a certe iniziative aberranti o riguardo all'ambiguità di
alcuni fatti compiuti. Pertanto i vescovi e i superiori, nutrendo sentimenti di
reciproca fiducia e secondo l'adempimento dei compiti a ciascuno spettanti
e l'esercizio della responsabilità di ognuno, provvederanno con ogni
sollecitudine, affinché con manifesta decisione e chiare disposizioni,
sempre nella carità, ma anche con la dovuta fermezza, siano prevenuti e
corretti siffatti errori.
Soprattutto nel campo liturgico urge la necessità di porre rimedio a non
pochi abusi, introdotti sotto opposta insegna. I vescovi, in quanto autentici

3.2 Page 22

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liturghi della chiesa locale (cf. SC 22,41; LG 26; CD 15: cf. nn. 5-9), e i
superiori religiosi, per quanto concerne i loro confratelli, siano vigilanti,
affinché si faccia un adeguato rinnovamento del culto, e intervengano
tempestivamente per correggere o rimuovere qualunque deviazione e abuso
in questo settore tanto significativo e centrale (cf. SC 10). I religiosi, poi,
ricordino anch'essi che è loro dovere attenersi alle leggi e alle direttive della
santa sede, nonché ai decreti del vescovo locale circa l'esercizio del
pubblico culto (cf. ES I, 26, 37, 38).
Esigenze della vita religiosa
44. Riguardo alla prassi pastorale dei religiosi il concilio espressamente
dichiara: "Tutti i religiosi, esenti e non esenti, sono soggetti all'autorità
degli ordinari locali in ciò che si riferisce al pubblico esercizio del culto
divino, salva restando la diversità dei riti, alla cura delle anime, alla sacra
predicazione destinata al popolo, all'educazione religiosa e morale,
all'istruzione catechistica e formazione liturgica dei fedeli, specialmente dei
fanciulli, e al decoro dello stato clericale, nonché alle varie opere nei settori
che riguardano l'esercizio del sacro apostolato. Anche le scuole cattoliche
dei religiosi sono soggette agli ordinari locali per quanto riguarda il loro
ordinamento generale e la vigilanza, fermo tuttavia restando il diritto dei
religiosi circa la direzione di esse. Parimenti i religiosi sono tenuti ad
osservare tutte quelle disposizioni, che i concili o le conferenze dei vescovi
abbiano legittimamente stabilito doversi osservare da tutti" (CD 35,4; cf.
35,5; ES I, 39).
45. Le relazioni tra i vescovi e i superiori, affinché diano frutti di giorno in
giorno più ubertosi, dovranno svolgersi sempre nel benevolo rispetto delle
persone e degli istituti, nella convinzione che i religiosi devono dar
testimonianza di docilità verso il magistero e di obbedienza ai superiori, e
nella reciproca volontà di far sì che gli uni non varchino i limiti della
competenza degli altri.
46. Quanto ai religiosi, che svolgono attività apostoliche al di fuori delle
opere del proprio istituto, è necessario che sia tutelata la sostanziale
partecipazione alla vita di comunità e la loro fedeltà alle proprie regole o
costituzioni: "sul quale obbligo gli stessi vescovi non manchino di
insistere" (CD 35, 2). Nessun impegno apostolico deve essere occasione di
deflettere dalla propria vocazione.
Per quanto poi concerne la situazione di certi religiosi, i quali vorrebbero
sottrarsi all'autorità del proprio superiore e ricorrere all'autorità del
vescovo, siano studiati obiettivamente i singoli casi; ma è necessario che,
dopo un conveniente scambio di pareri e una sincera ricerca di soluzioni, il
vescovo appoggi il provvedimento che prenderà il superiore competente, a
meno che non gli risulti che vi sia qualche ingiustizia.
47. I vescovi e i loro immediati collaboratori procurino non solo di avere
una conoscenza esatta circa l'indole propria dei singoli istituti, ma
d'informarsi anche sul loro stato attuale e sui loro criteri di rinnovamento. A
loro volta i superiori religiosi, oltre una più aggiornata visione dottrinale
della chiesa particolare, cerchino anche di tenersi pur essi concretamente

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informati sullo stato attuale dell'azione pastorale e sul programma
apostolico stabilito dalla diocesi, nella quale debbano prestare l'opera loro.
Nel caso in cui un istituto venga a trovarsi nella situazione di non poter più
sostenere la gestione di un'opera, i superiori di esso manifestino
tempestivamente e con fiducia gl'impedimenti a proseguire l'opera stessa,
almeno nella forma attuale, soprattutto se ciò fosse per insufficenza di
personale; l'ordinario del luogo, da parte sua, consideri benignamente la
richiesta di sopprimere tale opera (cf. ES I, 34,3) e di comune accordo con i
superiori cerchi la soluzione conveniente.
48. Una necessità profondamente sentita e ricca di buone speranze anche
per la vita operosa e il dinamismo apostolico della chiesa locale, è quella di
promuovere con sollecito impegno scambi vicendevoli d'informazioni e più
sostanziali intese fra i vari istituti religiosi operanti nella diocesi. I superiori
pertanto pongano l'opera loro, affinché questo dialogo si realizzi in modi e
ritmi convenienti. Ciò indubbiamente servirà ad accrescere la fiducia, la
stima, il reciproco scambio di aiuti, l'approfondimento dei problemi e la
mutua comunicazione delle esperienze, onde possa esprimersi con
maggiore evidenza la comune professione dei consigli evangelici.
49. Nel vasto campo pastorale della chiesa è istituito un posto nuovo e assai
rilevante da assegnarsi alle donne. Già solerti ausiliarie degli apostoli (cf.
At 18, 26; Rm 16, 1 ss.), le donne dovranno inserire oggi la loro attività
apostolica nella comunità ecclesiale, attuando fedelmente il mistero della
loro creata e rivelata identità (cf. Gen 2; Ef 5; 1 Tm 3; ecc.) e volgendo
attentamente l'animo alla crescente loro presenza nella civile società.
Le religiose, quindi, nella fedeltà verso la loro vocazione e in armonia con
la loro specifica indole propria della donna, in risposta anche alle concrete
esigenze della chiesa e del mondo, cercheranno e proporranno nuove forme
apostoliche di servizio.
Sull'esempio di Maria, che nella chiesa occupa, tra i credenti, il vertice
della carità, e animate da quello spirito, "incomparabilmente umano, di
sensibilità e sollecitudine", che costituisce la loro nota caratteristica (cf.
Paolo VI, Discorso al Congresso nazionale del Centro italiano femminile:
OR 6-7.12. 1976), alla luce di una lunga storia, che offre insigni
testimonianze delle loro iniziative nell'evolversi dell'attività apostolica, le
religiose potranno sempre più ed essere ed apparire qual segno luminoso
della chiesa fedele, solerte e feconda nell'annunzio del regno (cf.
Congregazione per la dottrina della fede, Dichiarazione Inter insigniores,
15 ottobre 1976).
50. I vescovi, unitamente ai loro collaboratori in campo pastorale, nonché i
superiori e le superiore facciano in modo che sia meglio conosciuto,
approfondito e incrementato il servizio apostolico delle religiose. Essi
pertanto, considerando non solo il numero delle religiose (cf. Introduzione),
ma soprattutto la loro importanza nella vita della chiesa, si adoperino con
impegno, affinché abbia sollecita attuazione il principio di una maggiore
loro promozione ecclesiale, perché il popolo di Dio non rimanga privo di
quell'assistenza speciale, che soltanto esse possono offrire. Sempre però si

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badi, che le religiose siano tenute in grande stima e giustamente e
meritatamente valorizzate per la testimonianza da esse data in quanto donne
consacrate, più che per i servizi utili e generosamente prestati.
51. Si nota in alcune regioni una certa alacrità d'iniziative per fondare nuovi
istituti religiosi. Coloro che hanno la responsabilità di discernere
l'autenticità di ciascuna fondazione, debbono ponderare, con umiltà, certo,
ma anche obiettivamente e costantemente e cercando d'intuire a fondo le
prospettive di futuro, ogni indizio relativo ad una credibile presenza dello
Spirito santo sia "per accoglierne i carismi... con gratitudine e
consolazione" (LG 12) sia anche per evitare "che incautamente sorgano
istituti inutili o sprovvisti di sufficiente vigore" (PC 19). Quando, infatti, il
giudizio sulla nascita di un istituto viene formulato solo in vista della sua
utilità e convenienza operativa o semplicemente in base al modo di agire di
qualche persona, che sperimenta fenomeni devozionali per se stessi
ambigui, allora davvero si dimostra che viene in certo modo distorto il
genuino concetto di vita religiosa nella chiesa (cf. parte I, nn. 10-14).
Per dare invece un giudizio sulla genuinità di un carisma, si presuppongono
le seguenti caratteristiche: a) una singolare sua provenienza dallo Spirito,
distinta, anche se non separata, dalle peculiari doti personali, che si
manifestano nel campo operativo e organizzativo; b) un profondo ardore
dell'animo di configurarsi a Cristo per testimoniare qualche aspetto del suo
mistero; c) un amore costruttivo verso la chiesa, che assolutamente rifugge
dal provocare in essa qualsiasi discordia.
Inoltre la genuina figura dei fondatori comporta che si tratti di uomini e
donne, la cui provata virtù (cf. LG 45) dimostra una sincera docilità sia
verso la sacra gerarchia sia nel seguire quell'ispirazione, che in essi sussiste
come dono dello Spirito.
Quando dunque si tratta di nuove fondazioni, si richiede necessariamente
che tutti coloro, i quali debbono svolgere un qualche ruolo nel giudicare,
esprimano il loro parere con chiara prudenza, paziente valutazione e giusta
esigenza. Di ciò si sentano soprattutto responsabili i vescovi, successori
degli apostoli, "alla cui autorità lo stesso Spirito sottomette anche i
carismatici" (LG 7), e a cui compete, in comunione col romano pontefice,
"interpretare i consigli evangelici, regolarne la pratica e costruire anche, in
base ad essi, forme stabili di vita" (LG 43).
Capitolo VII
IMPORTANZA DI UN'OPPORTUNA COORDINAZIONE
La varia e feconda vitalità delle chiese richiede un vero e proprio impegno
di coordinazione per rinnovare, creare e perfezionare i molteplici strumenti
pastorali di servizio e di stimolo. Su alcuni di questi volgeremo la nostra
considerazione secondo il loro differente livello: diocesano, nazionale,
universale.
A livello diocesano

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52. In ogni diocesi il vescovo cerchi di intendere ciò che lo Spirito, anche
attraverso il suo gregge e in modo particolare attraverso le persone e le
famiglie religiose presenti nella diocesi, vuol manifestare. Perciò è
necessario chi egli coltivi rapporti sinceri e familiari con i superiori e le
superiore, per compiere meglio il suo ministero di pastore verso i religiosi e
le religiose (cf. CD 15, 16). E' infatti suo specifico ufficio difendere la vita
consacrata, promuovere e animare la fedeltà e l'autenticità dei religiosi e
aiutarli ad inserirsi, secondo la loro propria indole, nella comunione e
nell'azione evangelizzatrice della sua chiesa. Tutto ciò naturalmente il
vescovo dovrà compiere in solidale collaborazione con la conferenza
episcopale e in sintonia con la voce del capo del collegio apostolico.
A loro volta i religiosi considerino il vescovo non solo come pastore di tutta
la comunità diocesana, ma anche come garante della loro fedeltà alla
propria vocazione nell'adempimento del loro servizio a vantaggio della
chiesa locale. Essi invero "assecondino prontamente e fedelmente le
richieste e i desideri del vescovo, perché assumano più ampi incarichi nel
ministero dell'umana salvezza, salva l'indole dell'istituto e secondo le
costituzioni" (CD 35, 1).
53. Si abbiano sempre presenti le seguenti disposizioni del motu-proprio
Ecclesiae sanctae.
a) "Tutti i religiosi, anche esenti, son tenuti alle leggi, ai decreti e alle
disposizioni dell'ordinario del luogo circa le diverse opere in quegli aspetti
che si riferiscono all'esercizio dell'apostolato, nonché all'azione pastorale e
sociale prescritta o raccomandata dall'ordinario del luogo".
b) "Parimenti son tenuti alle leggi, decisioni e disposizioni, emanate
dall'ordinario del luogo o dalla conferenza episcopale" - o, secondo i
luoghi, dal sinodo patriarcale (cf. CD 35,5) -; leggi, che riguardano vari
elementi ivi riferiti (ES I, 15, 1-2, a, b, c, d).
54. E' conveniente che nella diocesi venga costituito l'incarico di vicario
episcopale per i religiosi e le religiose, destinato a prestare un servizio di
collaborazione, in questo campo, allo stesso ministero pastorale del
vescovo (cf. nn. 5-9); incarico, per altro, che non assume alcun ruolo
proprio dell'autorità dei superiori. E' spettanza di ciascun vescovo
residenziale determinare chiaramente le mansioni specifiche di tale incarico
e, dopo attento esame, affidarlo a persona competente, che conosca a fondo
la vita religiosa, la sappia apprezzare e desideri incrementarla.
Quanto, poi, all'espletamento di tale ufficio si raccomanda vivamente che vi
intervengano in modo opportuno (ad esempio, come consultori o sotto altro
titolo del genere), anche le varie categorie di religiosi: cioè sacerdoti,
confratelli laici e religiose provvisti delle necessarie qualità.
Il mandato, dunque, del vicario episcopale per le congregazioni dei religiosi
e delle religiose è quello di prestare aiuto ad assolvere un compito per sè
proprio ed esclusivo del vescovo, ossia di curare la vita religiosa nella
diocesi e di inserirla nel complesso dell'attività pastorale. Per questo appare
anche auspicabile che il vescovo prudentemente consulti i religiosi e le

3.6 Page 26

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religiose sulla scelta del candidato.
55. Nell'intento di ottenere che il presbiterio della diocesi possa esprimere
la debita unità e siano meglio promossi i diversi ministeri, il vescovo con
ogni sollecitudine esorterà i presbiteri diocesani a voler riconoscere con
animo grato l'apporto fruttuoso dei religiosi e delle religiose alla loro chiesa
e ad approvare di buon grado la designazione di essi a svolgere compiti di
più ampia responsabilità, che siano in consonanza con la loro vocazione e
competenza.
56. Si provveda che i religiosi sacerdoti facciano parte, in congrua
presenza, dei consigli presbiterali; così pure i religiosi, tanto presbiteri che
laici, e le religiose siano equamente rappresentati nei consigli pastorali (cf.
PO 7; CD 27; ES I, 15 e 16). Per definire equamente la convenienza i la
proporzione circa il numero delle presenze, l'ordinario del luogo stabilisca
opportunamente i criteri e i modi necessari.
57. Per favorire una certa stabilità della cooperazione pastorale,
a) si tenga presente la differenza, che intercorre tra opere proprie di un
istituto e opere affidate ad un istituto dall'ordinario del luogo. Le prime,
infatti, dipendono dai superiori religiosi a norma delle loro costituzioni,
anche se sono soggette in fatto di pastorale alla giurisdizione dell'ordinario
del luogo a norma del diritto (cf. ES I, 29).
b) "Per ogni opera di apostolato che sarà affidata dall'ordinario del luogo a
un istituto, salvo restando le altre norme del diritto, si faccia una
convenzione scritta tra lo stesso ordinario e il competente superiore
dell'istituto, nella quale, tra le altre cose, sia chiaramente definito ciò che
riguarda l'opera da svolgere, i membri da impegnare e gli elementi di natura
economica" (ES I, 30,1).
c) "Per queste opere, poi, i religiosi veramente idonei saranno scelti dal
proprio superiore, dopo uno scambio di vedute con l'ordinario del luogo; e
se si tratta di conferire un incarico ecclesiastico a un religioso, questi deve
essere nominato dall'ordinario del luogo, su presentazione o almeno con
l'assenso del suo superiore, per un tempo determinato di comune accordo"
(ES I, 30,2).
58. Salva sempre restando la facoltà di disporre le situazioni diversamente o
di mutarle in modo più consono alle urgenti esigenze di rinnovamento degli
istituti, appare opportuno determinare in precedenza con esattezza quali
siano le opere e soprattutto gl'incarichi da affidare ai religiosi singoli, per i
quali si ritenga necessaria una convenzione scritta, come, ad esempio, per i
parroci (cf. ES I, 33), i decani, i vicari episcopali, gli assistenti di azione
cattolica, i segretari di azione pastorale, i direttori diocesani, i docenti di
università cattolica, i catechisti professionali, i direttori di collegi cattolici,
ecc., anche in vista sia della stabilità dei titolari sia della devoluzione dei
beni in caso di soppressione di un'opera.

3.7 Page 27

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Se un religioso dovesse essere rimosso dall'incarico a lui affidato, si
rammenti la seguente disposizione: "Per grave motivo ogni religioso
dall'incarico a lui affidato può essere rimosso sia a piacimento dell'autorità
committente, dopo aver avvertito il superiore religioso, sia a piacimento del
superiore, dopo aver avvertito l'autorità committente, con pari diritto, senza
dover richiedere il consenso dell'altra parte; nè l'una è tenuta a comunicare
all'altra parte il motivo della sua decisione e tanto meno a provarlo, salvo
restando il ricorso in devoluzione alla santa sede" (ES I, 32).
59. Le associazioni di religiosi e di religiose a livello diocesano si
dimostrano assai utili; quindi, tenendo per altro sempre conto della loro
indole e delle specifiche loro finalità, vanno incoraggiate: a) sia come
organismi di mutuo collegamento e di promozione e rinnovazione della vita
religiosa nella fedeltà alle direttive del magistero ecclesiastico e nel rispetto
dell'indole propria di ciascun istituto; b) sia come organismi per discutere i
problemi misti tra vescovi e superiori, nonché per coordinare le attività
delle famiglie religiose con l'azione pastorale della diocesi sotto la guida
del vescovo, senza alcun pregiudizio riguardo alle relazioni e trattative, che
verranno direttamente condotte dallo stesso vescovo con i singoli istituti.
A livello di nazione, regione e rito
60. Nelle conferenze episcopali di una nazione o di un territorio (cf. CD 37)
gli stessi vescovi "esercitano congiuntamente il loro ministero pastorale per
far maggiormente progredire il bene che la chiesa offre agli uomini" (CD
38). Nello stesso modo esercitano il loro ministero, per il proprio rito, i
sinodi patriarcali (cf. OE 9), e per i rapporti tra i diversi riti, nell'ambito
della loro particolare composizione, le assemblee interrituali degli ordinari
(cf. CD 38).
61. In molte nazioni o territori, per cura della Congregazione per i religiosi
e gl'istituti secolari - e nei territori dipendenti dalle congregazioni per
l'evangelizzazione dei popoli e per le chiese orientali col consenso del
rispettivo sacro dicastero - la santa sede ha istituito i consigli o conferenze
dei superiori maggiori (sia di religiosi che di religiose o misti). Tali consigli
devono essere attentamente sensibili alle diversità degli istituti,
incrementare la comune consacrazione e convogliare le forze di tutti,
impegnate nel lavoro apostolico, verso la coordinazione pastorale dei
vescovi (cf. n. 21).
Pertanto, affinché i consigli dei superiori maggiori possano con la dovuta
efficienza esplicare il loro compito, si dimostra sommamente utile che in
determinati periodi si faccia un'opportuna revisione della loro attività e in
modo più adeguato si organizzi, in concordanza con la diversa missione
degli istituti, una congrua ripartizione di distinti commissioni o di altri
consimili organismi, debitamente collegati con gli stessi consigli dei
superiori maggiori.
62. Le relazioni tra i consigli dei superiori maggiori e i sinodi patriarcali, e
similmente le relazioni fra i medesimi consigli dei superiori maggiori e le
conferenze episcopali nonché le assemblee interrituali, siano regolate
secondo i criteri, che determinano i rapporti tra i singoli istituti e l'ordinario

3.8 Page 28

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del luogo (cf. ES I, 23-25, 40); quindi si stabiliscano anche le norme
aggiuntive secondo le diverse esigenze regionali.
63. Poiché è di somma importanza che i consigli dei superiori maggiori
collaborino fiduciosamente e diligentemente con le conferenze episcopali
cf. CD 35,5; AG 33), "è auspicabile che le questioni concernenti l'una e
l'altra parte siano trattate in commissioni miste, costituite di vescovi e di
superiori o superiore maggiori" (Es I, 43), o in altre forme da adattarsi alle
situazioni dei continenti, delle nazioni o delle regioni.
Una commissione mista di tal genere dovrà essere strutturata in modo che
possa conseguire efficientemente le sue finalità, quale organismo di
reciproco consiglio, di collegamento, di mutua comunicazione, di studio e
di riflessione, anche se il diritto di decidere in definitiva sia da lasciarsi
sempre ai consigli o conferenze, secondo le rispettive competenze.
Spetta dunque ai sacri pastori promuovere il coordinamento di tutte le opere
e attività apostoliche le loro singole diocesi; così pure ai sinodi patriarcali e
alle conferenze episcopali nel proprio territorio( cf. CD 36,5).
Per le questioni riguardanti i religiosi e le religiose, i vescovi, se la
necessità o l'utilità lo richieda - come di fatto in più luoghi è avvenuto -,
istituiranno un'apposita commissione in seno alla conferenza episcopale.
Tuttavia la presenza di tale commissione non solo non ostacola la
funzionalità della commissione mista, ma piuttosto la richiede.
64. La partecipazione dei superiori maggiori, o, secondo gli statuti, dei loro
delegati, anche in altre varie commissioni delle conferenze episcopali e
delle assemblee interrituali degli ordinari locali (come, ad esempio, nella
commissione per l'educazione, per la salute, per la giustizia e pace, per le
comunicazioni sociali, ecc.), può risultare di grande opportunità ai fini
dell'azione pastorale.
65. La reciproca presenza per mezzo di delegati sia delle conferenze dei
vescovi sia delle conferenze o consigli dei superiori maggiori nelle singole
unioni o assemblee degli uni e degli altri, è raccomandabile, prestabilendo
evidentemente opportune norme quanto alla necessità, per cui ciascuna
conferenza possa trattare da sola argomenti di sua competenza.
A livello soprannazionale e universale
66. Per quanto concerne l'ambito internazionale, continentale o
subcontinentale, tra le varie nazioni conglobate si possono costituire, con
l'approvazione della santa sede, delle forme di coordinamento tanto per i
vescovi quanto per i superiori maggiori. Un idoneo collegamento, a questo
livello, dei singoli centri di servizio conferisce non poco giovamento al fine
di conseguire un'ordinata e concorde azione da parte dei vescovi e dei
religiosi. In quelle zone, in cui tali forme di organizzazione ad ambito
continentale siano già in atto, potranno assolvere proficuamente siffatto
compito di cooperazione i loro stessi comitati o consigli permanenti.
67. A livello universale il successore di Pietro esercita un ministero suo

3.9 Page 29

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proprio per tutta la chiesa; ma "nell'esercizio della sua suprema, piena ed
immediata potestà su tutta la chiesa, il romano pontefice si avvale dei
dicasteri della curia romana" (CD 9).
Lo stesso sommo pontefice ha promosso alcune forme di cooperazione dei
religiosi con la santa sede, approvando il consiglio dell'unione sia dei
superiori che delle superiore generali presso la Congregazione per i
religiosi e gl'istituti secolari (cf. ES II, 42) e disponendo di introdurre i
rappresentanti dei religiosi presso la Congregazione per l'evangelizzazione
dei popoli (cf. ES III, 16).
CONCLUSIONE
Il dialogo e la collaborazione sono già in atto ai vari livelli; ma non v'è
dubbio chi debbano ulteriormente svilupparsi, perché rechino frutti più
abbondanti. Si rende evidente, pertanto, la necessità di ricordare che
nell'opera di collaborazione allora si avrà la vera spinta efficace, quando
coloro che nell'operare sono protagonisti abbiano la certezza che tale spinta
scaturisce prima di tutto dalla stessa loro persuasione e formazione. Tutto
infatti progredirà in meglio, se essi saranno profondamente convinti della
necessità e della natura e importanza di tale cooperazione, della reciproca
fiducia, del rispetto del ruolo di ciascuno, delle mutue consultazioni nel
determinare e organizzare le iniziative ad ogni livello. Allora i vicendevoli
rapporti tra i vescovi e i religiosi, condotti con sincera e alacre volontà, non
poco varranno ad esplicare nel modo più conveniente e adeguato la
dinamica vitalità della chiesa-sacramento nella sua ammirabile missione di
salvezza.
L'apostolo Paolo, prigioniero nel Signore, da Roma scrivendo agli efesini,
così li ammoniva: "Vi esorto a camminare in maniera degna della
vocazione con cui foste chiamati, con ogni umiltà e mansuetudine, con
longanimità, sopportandovi a vicenda nella carità, solleciti di conservare
l'unità dello Spirito nel vincolo della pace" (Ef 4,1-3).
Le presenti direttive sono state sottoposte all'esame dal sante padre, il
quale, in data 23 aprile 1978, le ha benevolmente approvate e ne ha
deliberato la pubblicazione.
Roma, S. Congregazione per i Religiosi e gli Istituti secolari, 14 maggio
1978, Solennità della Pentecoste.
Card.
Sebastiano
Prefetto della S. Congregazione dei vescovi.
Baggio
Card.
Eduardo
Pironio
Prefetto della S.Congregazione per i religiosi e gli istituti secolari.