Beato Michele Rua. Auffray. SEI 1972


Beato Michele Rua. Auffray. SEI 1972

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AGOSTINO AUFFRAY
BEATO
MICHELE RUA
primo Successore
di San Giovanni Bosco
SOCIETA EDITRICE INTERNAZIONALE

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P I O D ~ $ Or~~sewalaalla
SOCiETA EDITRICE INTERNAZIONALE
Officine Grafiche SEI Torino
Settembre 1972 M. E. 40667

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PARTE PRIMA
ALLA SCUOLA DI DON BOSCO

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CAPO I
1 primi incontri
Tutto ebbe inizio in una mattina d'autunno del 1845 a Torino,
capitale del Regno di Sardegna.
- Che bella cravatta! Chi te l'ha data? - chiese curioso a un
compagno un fanciullo di otto anni, dal nome di Michele Rua.
- L'ho guadagnata alla lotteria dell'Oratorio -rispose con aria un
po' misteriosa l'interrogato.
- L'Oratorio? E che cos'è?
- Ma come, non lo sai ancora? In un cortile qua vicino, dalle
parti di Porta Palazzo, c'è un prete che alIa domenica accoglie tutti i
ragazzi che vogliono divertirsi un po'. Dopo avere giocato andiamo in
cappella a cantare e a pregare.
- E con tutto questo, la cravatta che c'entra?
- C'entra sì! Don Bosco- è questo il nome di quel nostro amico -
dà dei punti a quelli che vengono più spesso all'Oratorio e con i punti si
possono vincere dei premi a una lotteria. Premi come questa cravatta.
Se anche tu vuoi venire...
Questo dialogo tra due fanciulli, nel 1845, segna l'inizio di una sto.
ria straordinaria: quella di un santo formato da un altro santo.
La domenica dopo l'incontro con il suo amico: il piccolo Rua en-
trava infatti per la prima volra nell'oratorio di Don Bosco. Vi trovò
gruppi di ragazzi come lui che si affollavano festosi attorno a un giovane
prete. Questi, appena scorto il nuovo venuto, gli si awicinò, gli posò
per alcuni attimi ia mano sulla testa, e, fissandolo con uno sguardo
che Michele Rua non doveva più dimenticare:
- Come ti chiami? - gli chiese.
- Rua, signor Don Bosco.
- E il tuo nome di battesimo?
- Michele, ma in casa mi chiamano Michelino.

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- Ah, Michelino! Bene! Ti piace venire qui?
- Molto.
- Allora ritornerai, vero?
- Sì, signor Don Bosco, finché porrò.
Ritornare all'Oratorio, non gli sarebbe stato sempre possibile:
alcuni ostacoli sarebbero subito sorti ad impedirglielo troppo spesso.
Sua madre era vedova. Il padre, Giovanni Battista Rua, si era spento
alcuni mesi prima, nell'agosto di quel 1845. Dal suo primo matrimonio
aveva avuto cinque maschi; dal secondo altri tre maschietti e una
bambina. Michelino era l'ultimo della numerosa famiglia. Quando
nacque, il 9 giugno del 1837, quattro, tra fratelli e sorelle, erano già
morti. Anche se il salario era molto esiguo e non tale, comunque,
da bastare per tutti, Giovan Battista Rua occupava un posto di tutto
rispetto nella fabbrica d'armi di Torino. A forza di lavoro e di sacri-
fici era giunto al posto di controllore: a quei tempi, il corrispettivo degli
attuali capiruficio.
Purtroppo, all'età di sessant'anni moriva; subito dopo, i due figli
superstiti di primo letto, ormai maggioremi, abbandonavano la casa,
e la moglie rimaneva sola con i tre figli, Giovan Battista, Luigi e Michele.
La figlia era già morta da tempo. I quattro continuarono ad alloggiare
all'interno della fabbrica d'armi, dove il figlio maggiore era stato assunto,
mentre i due minori seguivano i corsi della scuola elementare attigua.
Lo stabilimento aveva infatti un cappellano che assicurava il servizio
religioso nei giorni festivi e durante la settimana si occupava dell'istru-
zione dei figli dei dipendenti. Sui banchi di questa modesta scuola, il
piccolo Rua imparò i primi rudimenti del sapere: e tanto bene, da es-
sere presto classificato tra i primi della classe. Imparò anche a servire
Messa, distinguendosi poi soprattutto nel catechismo.
In quella minuscola cappella, M5chelino era divenuto un modello
e la sua presenza era giudicata ormai indispensabile: per questa ragione
la signora Rua, cedendo alle pressanti richiese del cappellano, non tutte
le domeniche permetteva al figlio di seguire il fratello Luigino al vicino
Oratorio di Don Bosco. In ogni caso, Michelino poteva partire sol-
tanto dopo l'ultima Messa del vecchio cappellano.
I1 sacrificio era grande per il fanciullo. Eppure, le di$colrà sem-
bravano affezionarlo sempre più a Don Bosco e alla sua opera. Opera

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che come si sa, fu costretta a infinite peregrinazioni: nessuno voleva
accogliere quel prete con i suoi numerosi birichini. Fmalmente, il
13 aprile del 1846, l'Oratorio trovava un approdo definitivo a casa
Pinardi, nel sobborgo torinese di Valdocco. Quello stesso giorno, per
una significativa coincidenza, Michelino si accostava per la prima volta
all'Eucaristia.
All'inizio dell'estate del 1848, terminato il corso di studi presso il
cappellano della fabbrica, si presentò il problema dell'avvenire per quel
ragazzo di undici anni.
A che cosa indirizzarlo? si chiedeva la madre. La cosa migliore,
non era sperare per lui un lavoro in quella stessa fabbrica d'armi presso la
quale la famiglia abitava? I1 padre vi aveva lasciato un ottimo ricordo e
già due suoi fratelli vi lavoravano.
Per Michelino Rua sembrava la soluzione più conveniente e naturale.
C'era però ancora una difficoltà da superare: il ragazzo era assai gracile:
solo a rischio della salute avrebbe potuto affrontare un lavoro manuale.
Occorreva allora impiegarlo negli uffici, e per questi era richiesto un
corso di studi più prolungato. Fu con questo fine che Rua, nell'ottobre
di quell'anno, entrò presso i Fratelli delle Scuole Cristiane che tenevano
vicino, a Porta Palazzo, una scuola media. Vi si insegnava, come
testualmente diceva il programma: « Oltre le scienze religiose, i precetti
di letteratura, il sistema dei pesi e misure in uso nel Piemonte, il sistema
metrico decimale recentemente adottato, la geografia dell'Asia, del-
l'Africa, la Storia dei duchi di Savoia, elementi di storia naturale, di di-
segno e di calligrafia >>.
La frequenza alla scuola di quei religiosi non allontanava il ragazzo
da Don Bosco e dal suo Oratorio. Tra la fabbrica e l'Istituto dei Fratelli
c'era il popolare mercato di Porta Palazzo, il più grande di Torino. Don
Bosco vi si recava spesso, alla ricerca dei ragazzi sbandati, attirati dal
rumore e dalla possibilità di guadagnare qualche soldo da quell'enorme
commercio.
Molte mattine, il ragazzo e il prete si incontravano e pote-
vano scambiare qualche parola frettolosa, prima dell'inuio delle
lezioni.
Del resto, sua madre ora gli permetteva quasi sempre di accompa-
gnare il fratello Luigi, la domenica sera, all'oratorio. Ogni mese,
Michelino poteva presentare tutto fiero a Don Bosco le menzioni di
profino ottimo rilasciategli dai Fratelli delle Scuole Cristiane.

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Da questi religiosi Don Bosco si recava ogni sabato a talvolta anche
la domenica mattina per confessare gli alunni e predicare. Sin da allora,
il fascino sui giovani del grande educatore era immenso.
«Mi ricordo-scriveva Don Rua a quasi cinquant'anni di distanza-
quando Don Bosco veniva al nostro istituto di Porta Palazzo. Non
aveva ancora aperta la porta della cappella e già un fremito passava per
i banchi. Ci alzavamo tutti, abbandonavamo i posti per accalcarci at-
torno a lui, felici di potergli baciare la mano. I religiosi cercavano di
frenare quel disordine: fatica sprecata. Occorrevano parecchi minuti
prima che Don Bosco potesse raggiungere la sacrestia. La sera delle con-
fessioni si ripeteva la stessa scena. Tutti i giovani correvano al suo in-
>>. ginocchiatoio. Perché questa attrattiva invincibile? È che da lui ci sen-
tivamo veramente, interamente amati
Un incontro di Michelino con Don Bosco, nei pressi del mercato
di Porta Palazzo, è rimasto il preludio di una storia, che durò poi per
oltre sessant'anni.
Michele si recava a scuola insieme con un gruppo di compagni.
Visto il Santo, quel nugolo di alunni corre verso di lui per salutarlo
e chiedere una medaglia.
Don Bosco ne è sempre fornito e con parole affettuose e paterne
comincia la distribuzione.
Anche Michelino tende la sua mano e aspetta il suo turno.
Don Bosco, riconoscendolo, esclama:
- Ah, sei tu, Michelino! Che cosa vuoi?
- Anch'io, una medaglia, se ne ha ancora.
- Una medaglia? No. Qualcosa di meglio.
- Che cosa?
- To', prendi!
E così dicendo Don Bosco tendeva la mano sinistra, a palma vuota, e
ccn la destra, applicata perpendicclzrmente e in senso tras-versa!e, fa-
ceva il gesto di tagliarla in due per dargliene metà.
- Su, prendi. Prendi, Michelino.
Prende~e, che cosa? La punta delle dita? La mano restava
vuota.
Il ragazzo sgranava i suoi occhi innocenti senza capire.
- Che cosa vuol dire? Che cosa significa ciò?
Don Bosco per allora non rispose.

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L'ora di spiegare a Michelino Rua l'enigma della mano tagliata in
due non era ancor venuta.
Solo più tardi il Santo spiegò che, nei disegni di Dio, essi dovevano
fare a metà.
Alla Gne del secondo anno di studi presso i Fratelli, si ripresentò
per Michele il problema dell'awenire. La madre pensava sempre agli
uffici della fabbrica mentre i religiosi dell'Istituto, colpiti dall'intel-
ligenza e dalla devozione del ragazzo, sarebbero stati ben lieti di averlo
un giorno loro confratello. Michelino non voleva per il momento pro-
nunciarsi.
Un giorno Don Bosco, al termine di una sua visita alla scuola, lo
prese in disparte.
- Che cosa conti di fare nel prossimo anno, Michele ?
- Entrare nella fabbrica, signor Don Bosco, per aiutare la mamma
che si è tanto sacrificata per me.
- Non ti piacerebbe continuare gli studi?
- O h sì, ma...
- E se si trattasse di awiarti allo studio del latino per diventare
.. un giorno prete, che ne diresti?
- Io direi subito sì. Ma la mamma, chissà.
- Prova a parlargliene. Mi dirai poi che ne pensa.
« Vederti prete, Michelino, sarebbe la più grande gioia della mia
vita - rispose pronta la mamma quando il figlio le riferì le parole di
Don Bosco - Certo, occorre prima che tu provi la tua vocazione.
a Don Bosco che per quest'anno ti affido a lui: poi, si vedrà...».
Fuori di sé dalla gioia il ragazzo corse, la sera stessa, dal suo bene-
... fattore.
- Don Bosco, la mamma dice che si può fare la prova quest'anno
Veda lei. Sono a sua disposizione. Faccia di me quel che le piace.
Il Santo pose la mano sulla spalla del fanciullo, come a prenderne
possesso, e lo guardò a lungo.
Negli occhi del giovane si leggeva una gioia indicibile, mentre in quelli
del padre dei giovani brillava un'immensa speranza.

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CAPO I1
Studio e lavoro
Una notte di maggio del 1847 Don Bosco fece un sogno. Uno di
quei sogni misteriosi che lo accompagnarono per tutta la vita e gli
additarono il cammino. In quella notte, gli sembrò che la Madonna
lo invitasse ad avanzare sotto un pergolato di rose. I fiori non solo
scendevano a festoni lungo i sostegni e pendevano a mazzi dalla volta
arcuata, ma coprivano anche il suolo, esalando un profumo indicibile.
Don Bosco, obbedendo all'invito di Maria, si fece avanti ma sin dai
primi passi awertì sotto i fiori la punta dolorosa delle spine. A lui si
accodarono via via molte persone sconosciute che, incantate dalla bel-
lezza dei fiori e dal profumo, chiedevano di poterlo accompagnare. Ma
le spine delle rose facevano sanguinare piedi, mani, visi di tutti.
Alcuni che a distanza vedevano il gruppo avanzare commentavano
la felicità di Don Bosco, circondato così dalle rose. Di parere diverso
erano gli sconosciuti che lo seguivano. L'entusiasmo ora era sfumato
e, lamentandosi di essere stati ingannati, tutti tornavano indietro.
Davanti a questa fuga, una tristezza profonda si impadronì del sa-
cerdote. «È mai possibile che io solo debba arrivare alla meta? )) mormo-
rava. A questo punto si fece avanti un altro gruppo di volenterosi.
Erano preti e laici e dicevano: Se vuoi essere accompagnato da noi,
siamo pronti a seguirti ovunque D.
Messosi alla loro testa, Don Bosco riprese il cammino e stavolta
quasi tutti i compagni di viaggio gli tennero dietro sino al termine del
gergolato, Frano spossati dalla fatica, sanguinanti, ma una brezza leg-
gera si levò a rimarginare le loro ferite, mentre una folla di fanciulli
veniva loro incontro.
I1 sogno trovò puntuale compimento nei tre anni successivi. Già
prima di accogliere Rua all'oratorio Don Bosco aveva tentato invano
di avviare qualche giovane al sacerdozio, con la segreta speranza di

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avere più tardi dei collaboratori nelle sue imprese apostoliche. I1 risul-
tato era stato deludente: uno dopo l'altro i prescelti l'avevano abban-
donato.
Per nulla scoraggiato dail'insuccesso Don Bosco tentò una volta
ancora con altri giovani, tra i quali Michele Rua.
Da principio il ragazzo, abituato ad altri studi, trovò qualche dif-
ficoltà a cimentarsi con il latino. Ma ripresosi ben presto, fu tra i primi
sino alla fine del corso secondario, rimanendo con Don Bosco, mentre i
compagni uno alla volta si allontanavano dail'Oratorio per entrare in
seminario o prendere un'altra strada nella vita.
Gli allievi di Valdocco, a quei tempi, seguivano gli studi dove si
poteva.
Dapprima Don Bosco aveva messo il suo allievo alla scuola del-
l'abate Merla, un buon sacerdote di sua conoscenza che teneva le-
zioni private. Poi lo passò al professor Bonzanino, un laico che aveva
il genio dell'insegnante classico ed aveva trasformato la sua casa in una
scuola molto frequentata e stimatissima in città.
Egli abitava presso la chiesa di San Francesco d9Assisi, quella
casa in cui Silvio Pellico di ritorno dalla prigionia aveva composto Le
mie prigioni.
Al mattino sotto il portico di quell'abitazione si raduna-
vano frotte di giovani, in generale della classe benestante, i
quali si distribuivano nei suoi tre corsi di latino e di greco. Gli
uni studiavano mentre gli altri seguivano l'insegnamento. Chi tra essi
disponeva di solide qualità intellettuali, alla scuola del Bonzanino,
dove era legge suprema la emulazione, riusciva a fare più corsi in
un anno.
Rua si trovò nel suo centro e ne profittò a meraviglia durante l'anno
di terza.
Un compagno, Giovanni Battista Francesia, elogia la sua tenace
applicazione e l'impegno nel lavoro quotidiano, tanto fin da allora
veniva citato a modello.
Accadeva spesso che Don Bosco, dopo esser passato, i lunedi,
al confessionale di don Cafasso, nella chiesa di San Francesco
diAssisi, si recava dal Bonzanino. Questi appena lo vedeva non

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mancava di parlargli dei suoi giovani dell'oratorio e in particolare
di Rua.
- È meraviglioso quel ragazzo. Sempre il primo! E con che entusiasmo
lavora !
*
Nel 1851, alla riapertura delle scuole, Rua si iscriveva tra gli alunni
di Don Matteo Picco, professore di umanità e di reteorica. Grande amico
di Don Bosco e ammiratore del suo zelo per la gioventù povera e biso-
gnosa, egli accettò volentieri nella sua scuola il quattordicenne alunno
dell'oratorio, che in un solo anno terminò brillantemente due classi.
Anche presso Don Picco l'emulazione stava alla base del metodo
pedagogico. I due primi banchi della scuola costituivano il Senato,
ed erano riservati ai primi quattro alunni di ogni corso, distinti per stu-
dio e condotta.
Dall'ottobre del 1851 al luglio del 1852 Michele Rua sedette sempre
tra i senatori, dando prova d'ingegno, di costanza e di piena dedi-
zione al dovere.
A l termine dell'anno raggiunse la licenza ginnasiale. Un membro
della commissione esaminatrice diceva a Don Picco dopo aver esami-
nato il Rua:
- Le invidio un simile alunno. È un giovane che non potrà mancare di
farsi strada.
Questo slancio nello studio era tanto più notevole, in quanto
due gravissimi lutti lo colpirono proprio in quegli anni. Nel febbraio
del '51 moriva infatti, all'età di diciassette anni, il fratello minore,
Luigi, nel marzo del '53 se ne andava il maggiore, Giovan Battista,
di ventitré anni. Tutti e due furono stroncati da un male misterioso,
di fronte al quale la medicina del tempo era impotente.
Ora, Michelino era solo. Sembrava anzi che la terribile malattia
che aveva distrutto la sua fa glia dovesse presto attaccare ii suo corpo
non robusto. Eppure, con una delle sue predizioni, Don Bosco annun-
ciò proprio in quel 1853 che il giovane sarebbe vissuto almeno altri
cinquant'anni.
Si festeggiava infatti a Torino il quarto centenario del miracolo del
SS. Sacramento. In quell'occasione, Don Bosco aveva composto un
opuscolo che illustrava il prodigio del 1453, allorché un90stiaconsa-
crata, tolta da soldataglie straniere da una chiesa di Exilles, si sollevò

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nel cielo di Torino per posarsi solamente dopo molte ore in una patena
tenuta alta dal Vescovo della città. I1 libretto celebrativo di Don Bosco
era andato a ruba.
- Nel 1903, quando si celebrerà il nono cinquantenario di questo
miracolo, tu farai ristampare il mio scritto - disse Don Bosco a Mi-
chele. Aggiunse poi con un'aria pensosa che l'allievo non doveva più
adnimcoernatiscuarqeu:e(s(t1a0taelrlroar.a..n»on. ci sarò più da molto tempo. Tu, invece, sarai
Don Michele Rua morì cinquantasette anni dopo questa predizione;
e nel 1903, fedele alla consegna ricevuta, fece ristampare l'opuscolo
del Padre.
L'adolescente che coglieva tanti successi nello studio, era molto
più che un semplice alunno intelligente e volenteroso. Lo studio non
bastava a riempire la sua vita, già allora tesa da un desiderio di aposto-
lato. Le ore libere, le passava tutte all'oratorio, dove si prestava a
mille incombenze per alleggerire il lavoro del suo maestro.
Un quadro preciso di questa sua attività ci è stato lasciato da un
compagno che doveva restare con lui accanto a Don Bosco: Giovanni
Cagliero, futuro apostolo della Patagonia e primo Cardinale Salesiano.
Ecco la sua dichiarazione, che in qualche maniera è un preludio alla
santità del novello Beato.
<( Don Bosco - dice il Cagliero - conoscitore delle sue belle doti
e delle sue particolari virtù, in mancanza di assistente, ce lo aveva asse-
gnato a guida e capo, nell'andata e ritorno dalle scuole in città. La nostra
vivacità giovanile, il nostro carattere libero, e l'infantile nostra spen.
sieratezza, facevano un po' contrasto con la serena calma e la fermezza
... nel dovere del nostro Michele, per cui succedeva che non sempre era da
noi considerato e ascoltato Ma la sua esemplare condotta nella scuola,
nello studio e nella ricreazione stessa, la sua amabile conversazione e la
sua non comune pietà nelle funzioni di chiesa, erano per noi motivo di
riflessione e potente attrattiva per awicinarlo, amarlo e anche obbedirlo.
((La mattina delle domeniche egli si trovava in mezzo a noi, nel
cortile, ove si giocava e si scorrazzava, finché Don Bosco, terminato
di confessare, dava principio alla S. Messa. Ed era allora il nostro
Michele che con un senso spirituale, raro alla sua età, si metteva in
guardia accanto al rubinetto della pompa, perché coloro che dovevano
fare la S. Comunione non bevessero per isbaglio e non potessero più
riceverla, perché non digiuni.

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« Durante la S. Messa egli, col suo devoto contegno, edificava ed ani-
mava a pregare, e caritatevolmente ci awertiva perché stessimo raccolti,
e facessimo il dovuto ringraziamento. Non tutti avevano lo stesso fer-
vore, ed accadeva che qualcuno alzasse rroppo in fretta la testa dal rac-
coglimento divoro: in questo caso, toccandoli delicatamente sulle spalle,
sussurrava loro pian piano all'orecchio: " R i i a z i a nostro Signore".
(1 Conversando con noi ci parlava di Don Bosco e del grande amore
che aveva per i giovani dell'oratorio, specialmente per quelli dediri
allo studio; e raccomandava che l'amassimo noi pure, lo venerassimo, e
ne ascoltassimo gli insegnamenti.
((Delicatissimo nella virtù della modestia, non consentiva che si
facessero discorsi liberi e pericolosi tra gli artigiani interni e gli appren-
disti esterni; e meno poi che si facessero conversazioni non convenienti
tra noi, che eravamo i primi studenti della casa, e pressoché tutti con la
risoluzione di abbracciare lo stato ecclesiastico. E, come il piccolo Sa-
muele che nel santuario, vestito di bianco lino, simbolo della sua
bell'anima e del suo celeste candore, projiciebat aetate, sapientia et
gratia apud Deum et apud homines, così il giovane Michele, nell'Oratorio,
cresceva in età, in prudenza e grazia presso Dio, mercé la direzione e la
guida di Don Bosco; e presso noi, suoi condiscepoli di studio e di vo-
cazione n.
Fin qui il Cardinal Cagliero, che all'inizio delle dichiarazioni sul
S e ~doi Dio: « Sono mosso a deporre -affermò-da una santa invidia per
la santità che ammirai sempre in Don Rua ».
Fin da quel tempo l'ansia di carità di Don Bosco tendeva a raggiun-
gere il maggior numero possibile di giovani, con particolare predile-
zione per i più abbandonati. Così egli sceglieva tra i migliori dei suoi
allievi dei battitori (così li chiamava) che nei giorni festivi, dopo la Messa
del mattino, si spargevano per i prati e i cortili dei dintorni per ri-
chiamare i coetanei all'Oratorio, Era come un'edizione moderna de!!~
parabola evangelica del Buon Pastore alla ricerca delle pecorelle smar-
rite. Ora, tra i battitori del Santo, Rua si distingueva in modo speciale.
A quel tempo Don Bosco iniziava anche la sua intensa attività di
scrittore. I1 più delle volte era costretto a gettar giù di notte gli innnme-
revoli opuscoli di spiritualità cattolica: troppe cose occupavano la sua
giornata per trovare il tempo di porsi allo scrittoio. I1 suo scrivere not-
turno era nervoso, quasi febbrile; la calligrafia apparentemente illeg-

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gibile, con un dfastellarsi di correzioni. Quelle pagine, secondo la pit-
toresca defmizione di un collaboratore, C< davano la sensazione di un
campo di battaglia ».
Talvolta, al mattino, il Santo si divertiva a far passare alcuni di quegli
scritti sotto gli occhi dei suoi allievi che inutilmente cercavano di deci-
frarli.
C< Ecco del lavoro per il nostro Rua - diceva allora Don Bosco -
Voi non ci capite nulla, ma Michelino penserà a chiarire ogni cosa ».
E infatti la sera, terminato lo studio delle lezioni e la stesura dei compiti,
il giovane si piegava sui segni incomprensibili del Maestro per restituir-
glieli al mattino in bella calligrafia, totalmente ripuliti.
Si giunse a dire di Rua che era <<unsanto come Don Bosco, ma
con questa differenza, che uno ha quarant'anni, mentre l'altro ne ha
sedici ».
<C Siete tutti bravi figlioli - esclamava un famiglio addetto
alle pulizie della casa - ma i1 migliore di voi è Rua ».
Questo, del resto, apparve chiaro di a poco, quando Don Bosco
pregò i suoi alunni di designare, a scrutinio segreto, quello tra loro che
giudicavano il migliore. All'unanimità, i voti caddero su Michele Rua.
L'opera iniziata qualche anno prima stava dunque dando i suoi frutti.
Fin dall'autunno del 1852 Don Bosco aveva proposto a Rua di tra-
sferirsi definitivamente all'oratorio.
Vi entrò il 24 settembre. Molti anni pih tardi lo stesso Beato pTe-
cisò: <C Quando entrai all'Oratorio nel 1852 gl'interni erano già 36 ».
In quella casa Michele Rua doveva abitare per circa sessant'anni.
Qualche giorno dopo con un gruppo di compagni egli partiva per
i Becchi, la frazione di Castelnuovo d'Asti che aveva dato i natali a
Don Bosco.
Tutti gli anni, alla stagione della vendemmia Don Bosco conduceva ai
Becchi quanri potevano seguirlo. Giorni meravigliosi per i giovani:
giorni in cui era possibile stare più vicino al grande amico sacerdote.
Certe mattine, dopo aver partecipato alla Messa, andavano tutti as-
sieme a vendemmiare sulle colline monferrine per ritornare alla sera,
con le stelle, cantando qualche vecchia canzone piemontese.
Qualche altra volta, si accettava l'invito di un parroco dei dintorni:
allora, l'allegria la faceva più che mai da padrona. I giovani partivano,

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con Don Bosco alla testa, trascinandosi dietro fragorosamente tutra la
attrezzatura di un teatrino ambulante da montare all'aria aperta.
Dormivano nei locali di qualche castello, in un fienile, nella canonica
di una parrocchia. Talvolta, anche nei prati. Dimostravano clamorosa-
mente alle popolazioni dei luoghi che vira cristiana e buon umore po-
tevano non solo convivere, ma alimentarsi a vicenda; almeno nel metodo
educativo di Don Bosco.
Ai Becchi, la carovana dormiva nel solaio di un fratello del Santo,
si sfamava alla stessa tavola e pregava in una camera bassa dell'edificio,
dedicata alla Vergine del Rosario. Alla domenica, questa cappella di
fortuna era nell'assoluta impossibilità di contenere la folla accorsa dai
villaggi vicini. Allora, Don Bosco dava ordine di portare fuori una botte
che, coperta di fogliame, serviva da pulpito e la liturgia si teneva allo
aperto. Venuta la notte, si stupivano i buoni con qualche fuoco di
artificio.
In quel 1852, la festa della Madonna del Rosario ai Becchi ebbe
una solennità del tutto particolare: nella cappella, Don Bosco aveva
imposto l'abito chiericale a due suoi figli: erano Rua e un compagno,
di nome Rocchetti. Celebrava la Messa il decano di Castelnuovo, Don
Cinzano, che diciassette anni prima aveva presieduto una identica
cerimonia, fatta quella volta per Giovanni Bosco.
A tavola Don Cinzano, chinandosi verso l'amico ed ex-parrocchiano,
<< Ti ricordi - gli diceva - quando giovane sacerdote venivi da me ad
annunciarmi con la tua sicurezza di sempre che avresti avuto un giorno
collaboratori preti, chierici, laici? "Avrò studenti e artigiani, - mi
dicevi allora, - avrò una scuola di canto, una chiesa, persino una
banda musicale composta tutta di giovani". "Don Giovanni, tu far-
netichi, tu sogni" ti rispondevo io allora. Ora comincio a vedere
che il tuo sogno sta awerandosi. E questo non può avvenire se non
per volontà del Signore.. .».
La sera stessa, tutti si avviarono a piedi verso Torino. Camminando
nel buio, Michelino si avvicinò al Padre; questi gli mise con infinito
affetto una mano sulla spalla,
<< Nella vita, noi due faremo sempre a metà - sussurrò il Santo al
- discepolo con voce commossa. Dolori, responsabilità, gioie, tutto
sarà per noi in comune. Accetti, Michelino? ».
Don Bosco ripeté la domanda, ma il ragazzo non rispondeva. Pian-
geva di gioia e di commozione al pensiero di condividere la via con
colui che gli era stato più che padre.

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CAPO I11
Tra i primi Salesiuni
Qualche tempo dopo quella prima vestizione chiericale nella povera
cappelladei Becchi, Don Bosco confidava a un intimo amico l'intenzione
di far vestire l'abito talare ad altri suoi allievi.
- Ma che bisogno hai di tanti chierici? - chiedeva l'amico al
Santo.
- Voi ancora non vedete il mio bisogno di collaboratori. Io solo
so che dovranno essere numerosi. Abbiate un po' di fiducia e vedrete -
rispondeva Don Bosco.
Anche in queste sue affermazioni l'apostolo della giovent&era p i -
dato dalle visioni misteriose che la notte, in sogno, gli indicavano quali
sarebbero stati gli sviluppi futuri della sua opera: una famiglia immensa
di giovani e una famiglia di religiosi che di quei giovani avrebbero
preso cura.
Questa schiera, però, bisognava suscitarla, formarla, disciplinarla;
sembrava una impresa impossibile, in tempi di anticlericalismo esa-
sperato in cui le parole noviziato, voti, congregazione, suscitavano so-
spetto, e le autorità cercavano ogni modo per sopprimere gli ordini
religiosi esistenti.
Malgrado le difficoltà, Don Bosco si era accinto alla sua impresa.
I1 2 giugno del 1852, un sabato, dopo le preghiere della sera aveva riunito
nella sua camera alcuni allievi scelti. accuratamente. Michele Rua era
tra questi. In apparenza, quella sera si tenne una semplice conferenza
spirituale; in realtà, pronunciando parole di formazione spirituale,
Don Bosco poneva la prima, piccola pietra di un edificio grandioso.
Per anni avrebbe continuato con altrettanta prudenza: non c edeva,
allora, che di essere aiutato da quei suoi discepoli. Le conferenze, te-,
nute ogni domenica sera, trattavano delle virtù cristiane. Ma quando
egli ne illustrava la bellezza per farne amare la pratica, sembrava che
mirasse soltanto a tenere attorno a sé collaboratori affezionati. Un me-

2.9 Page 19

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todo di rivelazione progressiva, insomma, simile a quello usato dal
Cristo con i suoi apostoli.
- I presenti alle riunioni domenicali crescevano intanto di numero:
se Rua e Rocchetti - questi poi si ritirò avevano fatto la vestizione,
anche i giovani Cagliero, Francesia e Bonetti erano in procinto di
farla. Di mese in mese il gruppo ingrossa a, mentre il Capo precisava
sempre più la sua idea.
I1 26 gennaio del 1854, nella novena in preparazione alla festa di
San Francesco di Sales, questo primo manipolo prende un nome.
Tutti coloro che l o compongono d'ora innanzi si chiameranno Salesiani.
Ecco il primo annuncio della congregazione quale ci è stato conser-
vato da un taccuino inedito di Rua:
«La sera del 26 gennaio 1854 ci radunammo nella stanza del signor
Don Bosco, presente egli stesso con Rocchetti, Artiglia, Cagliero e Rua.
Ci venne proposto di fare, con l'aiuto del Signore e di San Francesco di Sales,
una prova di esercizio pratico della carità vervso il prossimo, per venire poi a
una promessa e quindi, se parrà possibile e conveniente, di farne un voto al
Signore. Da tal sera fu posto il nome di Salesiani a coloro che si proposero
e si proporianno tal esercizio ».
Salesiani: discepoli cioè di San Francesco di Sales, dell'apostolo
dallo zelo infaticabile, dell'uomo più mite e dolce del suo secolo, di
colui che sapeva convertire con la persuasione.
*
Dopo aver assunto quel nome i giovani cominciavano la prova del
noviziato privato. Le conferenze spirituali alla base della loro forma-
zione erano tenute da Don Bosco sempre alla domenica sera e invaria-
bilmente nella sua cameretta. Tutto l'avvenire della sua opera (egli lo
sentiva chiaramente) era là, in quel piccolo gruppo di discepoli, che
intendeva modellare lentamente secondo i1 suo ideale di educatore e di
apostolo.
Gli esercizi cui allenava le loro volontà erano quegli stessi cui egli
attendeva per primo: assistenza contiilua all'Qratoiio, scuole serali e
diurne, prove di teatro, di ginnastica, di musica e, per soprappiù, gli
studi da portare avanti nelle rare ore libere. Oltre a questo, una agile
serie di pratiche religiose, volute dal Santo per creare ai giovani una so-
sta spirituale in comune nel corso della giornata. Le sue esigenze asceti-
che si arrestavano li: al resto avrebbe provveduto la grazia di Dio.
Don Bosco andava, veniva, era sempre in moto, pregando, parte-
cipando ai giuochi, lavorando come e più di tutti: per imparare bastava

2.10 Page 20

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guardare come egli faceva. E Rua, il chierico Rua, non perdeva nulla di
tutto ciò: sempre a fianco del padre, come un'ombra devota. « Io pro-
fittavo molto di più - avrebbe scritto numerosi anni dopo - a osservare
Don Bosco, a n c k nelle più piccole azioni, che a leggere e a meditare trat-
tati di ascetica ».
Questo profitto dovette essere rapido e sicuro se un anno dopo
il maestro giudicava il discepolo maturo per un ulteriore, decisivo
passo. La sera dell'Annunciazione, il 25 marzo del 1855, nella povera
camera di Don Bosco, il chierico Michele Rua, studente del secondo
anno di filosofia, emetteva nelle sue mani i primi voti annuali. Cerimo-
nia umile e dimessa: Don Bosco in piedi che ascolta, in ginocc o da-
vanti al crocifisso un chierico che pronuncia una formula di con-
sacrazione a Dio. Nessun testimonio era presente fra quelle mura,
dove quasi alla chetichella nasceva uno dei grandi Istituti religiosi della
storia cattolica del170ttocento.
Già quando era semplice frequenratore dell'Oratorio e allievo alla
scuola di Don Picco, Michele aveva avuto le giornate piene di lavoro.
Con la sua professione religiosa, anche se privata, il lavoro crebbe a
dismisura, tanto da avere appena il tempo di dormire. Simile, in questo,
a Don Bosco, che si era fatto una regola di vita il dormire appena cinque
ore per notte...
Il maestro di latino di Rua, Bonzanino, era stato a suo tempo in
difficoltà perché, dopo il decreto governativo del 1845 con cuhi isi in-
troduceva negli Stati Sardi il sistema metrico decimale, gli allievi sten-
tavano nell'aritmetica. Il ministro aveva lasciato cinque anni di tempo
alle scuole, prima di adottare in pieno il nuovo sistema. Eppure, i cinque
anni erano passati e molti allievi non riuscivano a persuadersi che una
mina, una pinta, un piede, un miglio, una giornata, un'oncia, potessero
tradursi in litri, metri e grammi.
S'imponeva un buon insegnante di matematica; Bonzanino lo
chiese a Don Bosco che designb Rua. Così, un bel giorno, i più vecchi
della scuola videro arrivare in funzione di maestro colui che due anni
prima era stato loro compagno. Alcuni cercarono di approfittare della
situazione per prendersi troppa confidenza. « Fra poco, in cortile - disse
a mo' di preambolo Rua - saremo ancora buoni compagni. In questo
momento io sono il vostro maestro e conto di trovare in voi alunni attenti
e laboriosi P. Queste parole furono pronunciate gentilmente e con un
lieve sorriso ma con un tono tale da non ammettere repliche.

3 Pages 21-30

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3.1 Page 21

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Questo atteggiamento di uomo che sa subito investirsi di autorità
e usarla con risolutezza, Michele Rua lo conserverà sino al termine
della sua vita. I1 suo aspetto era modesto, gracile, ma sapeva ugual-
mente imporsi senza tante parole, col tono calmo e sicuro della voce,
con lo sguardo fermo e deciso e con una perfetta padronanza di s6.
Per queste e altre ragioni ancora, Don Bosco pensò ancora una
volta a lui per l'assistenza alla prima scuola salesiana.
La sera, dopo le lezioni della giornata, bisognava fare studiare tutta
quella massa di adolescenti; e ne fu alla fine incaricato il c erico Rua.
Di li a poco, Don Bosco gli allargò ancora il campo di azione, affi-
dandogli l'assistenza a giovani interni - erano ormai un centinaio -
in refettorio, in cortile e in cappella. L'incarico non era certo un passa-
tempo: nell'idea del grande educatore, l'assistente doveva non solo
stare continuamente in mezzo agli adolescenti, ma accomunarsi alla
loro vita per proteggere, incoraggiare, awiare le giovani esistenze
in formazione. U n giardiniere sempre cwuo sulle sue pianticelle -
diceva Don Bosco -per dare loro a tempo opportuno aria, luce, alimento ».
Oltre a ciò, il giovane chierico si vide affidarele chiavi della biblioteca
con il compito di ordinarla, accrescerla e farla funzionare.
Infine, fu nominato maestro di religione di tutti i piccoli studenti che
avevano bisogno
morale cattolica.
di
conoscere
la
verità
della
fede
e
i
primhi iprincipi
di
Spesso poi, Don Bosco chiamava il suo chierico in camera, la sera,
e gli dettava pagina per pagina una Storia d'Italia », destinata a sosti-
tuire altre, talvolta faziose, in uso nelle scuole piemontesi del tempo.
Nel luglio del 1854 si abbatté su Torino una spaventosa epidemia
di colera. I1 contagio si moltiplicava con una rapidità impressionante:
all'inizio della prima settimana già si contavano più di sessanta vittime
al giorno. In tre mesi i casi furono quasi tremila, con duemila morti. I1
quartiere di Valdoccc dove si trovava l'Oratorio fu colpito ù' grave-
mente di ogni altro della città: nel mese di ottobre, nei dintorni della
casa Pinardi morirono pih di quattrocento persone. Persino i parenti
fuggivano dalle case dei colerosi. Così, quando il Consiglio Municipale
aprì due lazzaretti, si prospettò la necessità di trovare coraggiosi che
individuassero i malati e prowedessero al loro trasporto. Intervenne
allora Don Bosco: formò una squadra di giovani che mise al servizio
delle autorità sanitarie. Quattordici volontari formarono il drappello:

3.2 Page 22

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a capo di esso stava l'immancabile Rua che per mesi sfidò la morte in
quell'opera di straordinaria carità.
Tante fatiche, estenuanti e impreviste, non gli impedivano di tro-
varsi ogni domenica all'Oratorio di San Luigi, nella parte opposta
della città, nei pressi della stazione di Porta Nuova. Era il secondo
oratorio aperto da Don Bosco. La sua fondazione risaliva al 1849.
La direzione era stata affidata a parecchi sacerdoti amici, tra cui il cm.
Borel, il teologo Leonardo Murialdo, proclamato Santo nel 1970, il
canonico Rossi. I1 compito di questi generosi consisteva essenzial-
mente nel venire la domenica mattina per confessare, celebrare la Messa,
predicare: occupazioni che alcuni esercitavano a fianco delle loro normali
incombenze religiose, altri in attesa di una qualche nomina della diocesi.
I1 servizio era così aleatorio e discontinuo; il chierico Rua, era il solo
che assicurasse la continuità di vita all'Oratorio San Luigi.
La domenica molto per tempo, egli era là. Arrivati i primi ragazzi,
li awiava verso il confessionale, mentre faceva raccogliere quelli in
attesa. Durante la Messa, badava all'ordine e dirigeva le preghiere e
i canti. Poi, distribuita la colazione, awiava e dirigeva i giuochi fino a
quando, usciti i ragazzi dopo mezzogiorno, entrava nello sgabuzzino
del portinaio dove una semplice minestra lo aspettava. Il resto del pranzo
... lo portava in tasca da Valdocco: una pagnotta con un po' di salame
o di formaggio, una mela Erano pochi m i m i soltanto di respiro:
finita la mela, i ragazzi già bussavano alla porta dell'Oratorio, dove
restavano fino a sera. Toccava ancora a lui farli divertire, istruirli,
dirimere le loro questioni. Giungeva finalmente l'ora della preghiera in
comune, terminata la quale Rua si awiava a piedi verso Valdocco,
dove letteralmente crollava di fatica sul letto della sua povera cameretta.
In quello stesso Oratorio di San Luigi, tra gli allievi più grandi
aveva costituito una conferenza di San Vincenzo de' Paoli che gli per-
metteva un costante contatto con le famiglie povere del quartiere e al-
largava il benefico raggio d'azione dell'opera. L'esperienza di segretario
della Conferenza fondata due anni prima da Don Bosco, a Valdocco,
gli aveva facilitato la costituzione di questo mezzo di apostolato, mentre
la sua attività appassionata ne assicurava il regolare funzionamento.
*
I1 29 ottobre 1854, poche settimane prima che fosse de to il
dogma dell'Immacolato Concepimento di Maria, era entrato all'ora-
torio Domenico Savio, il giovane fortunato che Don Bosco guidò in
breve alla santità.

3.3 Page 23

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«La sera de11'8 dicembre di quell'anno -scrive Don Boscostesso -
Domenico andò davanti all'altare di Maria, rinnovò le promesse
della prima comunione, poi disse più e più volte le parole: Maria vi dono
il mio cuore: fate che sia sempre vostro. Gesù e Maria siate sempre gli
amici miei ! Per pietà fatemi morire piuttosto che mi accada la disgrazia
di commettere un solo peccato D.
Rua e Savio erano fatti per capirsi; nonostante un lieve scarto di
età divennero presto amici e contribuirono a mantenere il fervore e
la pietà tra i giovani delllOratorio.
Un mattino andando a scuola due o tre commentavano il fatto della
giornata.
- Hai visto che oggi nessuno si è accostato alla comunione? Don
Bosco ne avrà avuto certo un gran dolore.
- E se ci intendessimo perché ogni giorno qualcuno di noi si co-
municasse ?
Detto fatto. Domenico messo al corrente del progetto, ne fu subito
l'anima. Egli però traeva ispirazione alla sua pietà e ai suoi slanci euca-
ristici dall'esempio del chierico Rua.
Lo derma Amedeo Conti, compagno di entrambi. «Ci pareva -
dice - che Domenico Savio gareggiasse col c erico Rua per fervore di
preghiera... All'Oratorio il chierico Rua era come un modello di per.
fezione: noi mettevamo il Savio alla pari con lui ».
Non fa meraviglia perciò vedere il chierico Rua eletto presidente
della Compagnia dell'lmmacolata fondata da Domenico Savio per colti-
vare « la perfezione morale e religiosa dei soci », impedire il male
tra i compagni e promuovere l'obbedienza e l'osservanza del rego-
lamento.
Negli anni tra il '57 e il '59, il chierico Rua che era tanta parte
nella vita dell'Oratorio, assunse nuove incombenze.
Un giorno Don Bosco, preso completamente dalle confessioni, gli
affidaval'incarico di spiegare il Nuovo Testamento ai giovani chierici
della
nella
casa. Un'altra
compilazione
volta,
di un
ilmgarannudaeleapdoi sStotlooripahreiSgaacvraa
l'allievo
per il
di aiutarlo
quale Rua
doveva ricopiare più di ottocento pagine.
Quando, uno ad uno, si apersero i primi laboratori salesianicostruiti
nei nuovi edifici di Valdocco, si presentò un nuovo complesso pro-
blema pedagogico: come assicurare la disciplina tra gli artigiani, dato

3.4 Page 24

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che alcuni lavoravano in casa mentre altri si recavano tutti i giorni al
lavoro in città? Ancora una volta, fu il chierico Rua che si vide incari-
cato di fare regnare l'ordine e la moralità in un ambiente tanto etero-
geneo. Finalmente, quando le tre prime classi di latino furono defini-
tamente stabilite presso l'oratorio, bisognò trovare un capo respon-
sabile degli studi, per assicurare l'unità d'insegnamento e la se-
rietà del lavoro. Il giovane chierico prese anche questa incombenza
sulle spalle.
Tutto avrebbe accettato senza discutere, purché Don Bosco glielo
avesse proposto. Un giorno, questi lo mandò persino negli accampa-
menti dei soldati francesi scesi in Italia per la campagna del 1859. Il
Santo gli aveva infatti chiesto di andare a insegnare a leggere e a
scrivere, in francese, a quei militari che non avevano mai visto una
grammatica.
C'è da chiedersi come questo giovane dalla salute cagionevole
potesse disimpegnare contemporaneamente un simile cumulo di man-
sioni. Dove prendeva il tempo per corrispondere a tutto? La risposta
ci viene da chi fu in quegli anni accanto a Don Rua: il tempo lo ru-
bava alle notti, che accorciava spesso con il consenso di Don Bosco.
Negli inverni più rigidi arrivava ad alzarsi alle tre del mattino e, appena
vestito, andava a svegliare gli altri otto o dieci compagni che avevano
accettato insieme con lui quell'orario antelucano.
Quante volte capitava di trovare gelata l'acqua nella bacinella
accanto al letto! - scrisse, ormai vecchio, uno del gruppo - Non
c'era altro da fare, in quel caso, che aprire la finestra della soffitta, spor-
gersi fin sopra la grondaia, affondare le mani nella neve e prendere la
più refrigerante delle abluzioni D.
Subito dopo per quei giovani cominciava lo studio. Rua occupava
la prima mezz'ora a meditare su un libro di spiritualità, seguendo
anche in questo l'esempio di Don Bosco. Gli altri lavoravano, curvi
sui testi scolastici, alla luce tremolante di lucerne a olio.
Con quella illuminazione, i giovani affrontavano gli autori greci
e latini. Il silenzio della grande casa addormentata era rotto soltanto dallo
scricchiolio delle penne sulla carta e dallo sfogliare delle pagine dei vo-
cabolari. Soltanto alle cinque e mezzo gli altri giovani raggiungevano chi
da due ore ormai era al lavoro. Quei giovani, ha osservato un biografo,
sono morti da tanto tempo ma non certo per eccesso di fatica. Erano
tra loro un Giovanni Cagliero, morto a ottantotto anni, Cardinale
della Chiesa; un Giovanni Francesia, spirato a novantadue anni,

3.5 Page 25

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lasciando fama di grande latinista; e finalmente Michele Rua,
scomparso a settantatré, anni Superiore Generale della Congregazione
Salesiana.
Da dieci anni ormai Don Bosco si occupava della gioventù povera
e abbandonata e già la sua opera aveva avuto sviluppi prodigiosi. Da
principio, quest'opera era costituita soltanto da un gruppo di fan-
ciulli, cui egli insegnava le verità della fede. La scuola di catechismo si
trasformò col tempo in Oratorio che prese ad aumentare a vista d'oc-
chio. Per un anno il sacerdote si d a n n ò a trovare una sede stabile per
i suoi giovani: installatasi definitivamente a Valdocco, l'opera cominciò
a precisarsi nei suoi lineamenti grandiosi. Cominciarono anche a fun-
zionare quelle scuole serali nelle quali Don Bosco vedeva uno degli
strumenti più preziosi del suo apostolato.
In mezzo a tutti quei giovani c'erano però troppi infelici e deboli:
infelici mancanti di tutto, anche di una famiglia; deboli esposti all'at-
mosfera dannosa di fabbriche e cantieri, ai pericoli della strada e delle
loro stesse case. Bisognava perciò trovare un ricovero per gli uni e una
protezione per gli altri. Ecco allora che si apre, a fianco dell'Oratorio,
un piccolo internato, destinato a dilatarsi sempre più. Dapprima non
è che un tetto per passarvi la notte, un desco frugale per saziare la fame.
Poco a poco, tra le povere mura sboccia come per incanto una piccola
città operosa, con le sue officine movimentate e le scuole rigurgitanti di
giovani. Intanto una graziosa chiesetta, dedicata a San Francesco di
Sales, patrono di chi a Valdocco prega e lavora, sostituisce la misera
cappella dei primi tempi.
Tutto andava per il meglio, ma alla grande famiglia mancava pur
sempre qualcosa: l'occhio vigilante e la cura affettuosa di una madre
che pensasse a quei poveri ragazzi come solo una mamma può pensare.
Don Bosco lo comprese. Lo comprese anche sua madre, Margherita
Ccchiena, che lasciò per lui e i suoi 5:,ri'chiii la pace dei Secchi pei: ve-
nire a Torino nonostante i sessant'anni d'età. Per ben dieci anni, la
vecchia contadina illetterata fu rutto, con il figlio, a Valdocco. Ma un
giorno di novembre del 1856 colei che pi21 di seicento fanciulli chiama-
vano madre - mamma Margherita ! - dovette arrendersi, colpita da
una polmonite che la condusse alla tomba. Morì santamente, com'era
vissuta, il 25 di novembre. Prima di esalare l'ultimo respiro, trovò
ancora la forza di mormorare al figlio: <C Lascio in altre mani il mio

3.6 Page 26

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compito di madre. I1 cambiamento sarà forse duro, ma la Vergine
Santissima non mancherà di aiutarti >>.
Era infatti appena scesa nella tomba che già un'altra donna sedeva
al suo tavolo di lavoro, facendo la spola dalla cucina alla lavanderia e
dalla lavanderia al guardaroba.
Era la mamma di Michele, la signora Rua, che portava i suoi cin-
quantasei anni al servizio di Don Bosco e dei suoi ragazzi. Due anni
prima, alla morte del penultimo figlio, aveva abbandonata la fabbrica
d'armi per stabilirsi a due passi dal suo Michelino, in una stanza presso
l'oratorio. Scomparsa mamma Margherita, &tini per andare sotto lo
stesso tetto del figlio: una madre partiva e un'altra giungeva. Doveva
restare vent'anni tra quei giovani che avrebbe considerato tutti come
fratelli minori del figlio.
La promessa che un giorno lontano Don Bosco aveva fatto al ra-
gazzo, ormai stava realizzandosi in pieno: una buona metà delle sue
responsabilità, egli già l'affidava al chierico Rua. Ora, dopo gli studi
classici, Michele doveva affrontare tutte le discipline necessarie alla
formazione di un futuro sacerdote. Come fare? Chi avrebbe potuto
insegnargli la filosofia scolastica, la teologia, la Sacra Scrittura, la storia
della Chiesa, il dirirto canonico?
Don Bosco non aveva certo il tempo di assumersi un simile impegno e
i buoni sacerdoti che lo aiutavano erano ormai molto lontani dai loro
studi giovanili. Restava il Seminario: Rua avrebbe infatti frequentato
per sei anni, dal 1853 al 1860, ciò che rimaneva di quel già glorioso
istituto. Nel 1848 l'arcivescovo di Torino, Mons. Fransoni, era stato ad-
dirittura costretto a chiudere il suo seminario: tra gli allievi si era
diffusa la febbre patriottica, le dimostrazioni erano continue, nelle
aule regnava l'insubordinazione. Quando mons. Fransoni stava per ri-
tornare sui suoi propositi, riaprendo in parte i corsi, il governo decideva
di requisire gran parte dei locali per adibirli a magazzini militari e poi a
caserma. I professori si erano cosi ridotti a vivere in soffitte delle case
accanto e a insegnare in qualche angolo del palazzo, in mezzo a un va
e vieni continuo di soldati.
Quando, nel 1854, il chierico Rua iniziò i suoi corsi, gli allievi erano
ridotti a diciassette. I1 primo anno egli fu il solo allievo di Don Bosco:
poi, si unirono a lui i chierici Rocchetti, Francesia, Cagliero, Bonetti,
Ru&o e via via tanti altri. Tra tutti, come suo solito, Michele con-

3.7 Page 27

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quistò il primo posto: dei suoi appunti, delle sue esercitazioni si gio-
vavano anche gli altri giovani, tmto erano chiari e precisi.
Alla sera, all'uscita del Seminario, tre volte per settimana correva
a dare ripetizioni al piccolo Emanuele Fassati, figlio del marchese Fas-
sati, uno dei generosi benefattori dell'Oratorio. Le altre sere, si recava a
casa dell'abate Peyron, considerato tra i più grandi specialisti del
secolo di greco e di ebraico. Quest'ultima lingua avrà sempre le prefe-
renze di Rua: i suoi momenti di libertà li dedicherà allo studio della
Scrittura in ebraico che giungerà a conoscere ottimamente.
«Che bei tempi, quelli delle lezioni di greco e di ebraico nella ca-
meretta dell'abate Peyron! - esclamerà nel 1906, quando, viaggiando
da Siracusa a Malta, rilesse da capo a fondo il libro dei Proverbi,
appena tradotto dal salesiano Don Mezzacasa - Erano tempi in cui
Cagliero componeva romanze strimpellando una spinetta, Francesia
cesellava i suoi impeccabili distici latini. Io, invece, preferivo sprofon-
darmi nelle mie grammatiche ebraiche ».

3.8 Page 28

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CAPO IV
Con Don Bosco a Roma
Natura non facit saltus: la natura procede per gradi. La celebre
massima del naturalista Linneo era seguita da Don Bosco nel formare la
sua schiera di giovani volontari. Per un cammino lento, metodico,
senza sobbalzi, avanzava verso la meta che si era prefissa: la fondazione
di una Congregazione religiosa. Ora, per assicurare la benedizione di
Dio all'impresa, sembrava venuto il momento di andare a Roma per
chiedere consiglio al Papa e sollecitare la sua approvazione.
I migliori amici lo consigliavano in questo senso. (< Fondate una con-
gregazione, se volete assicurare un awenire alla vostra opera » gli ri-
peteva San Giuseppe Cafasso, suo confessore. L'arcivescovo Mons.
Fransoni gli rivolgeva lo stesso invito da Lione, dove era stato esiliato
dal governo piemontese sotto accusa di (( attività antipatriottica ».A
Torino il teologo Borel, l'ottimo sacerdote che lo aiutava da dieci
anni, non la pensava diversamente. Persino Urbano Rattazzi, famoso
anticlericale ma grande ammiratore di Don Bosco, era della stessa opi-
- nione: Mio caro amico - gli diceva un giorno Lei non è immor-
tale. Che sarà dell'oratorio, dopo la sua morte? Ci ha mai pensato? ».
Sì, Don Bosco ci stava pensando. Nel 1857 terminava la redazione
delle Regole della nascente Società Religiosa, Regole che si ispiravano
agli ordini religiosi già esistenti ma soprattutto codificavano dieci anni
di vita di apostolato e di esperienza vissuta. Era giunto il momento di
farle esaminare a Roma.
I1 18 febbraio 1858, Don Bosco si metteva così in viaggio per la ca-
pitale degli Stati Pontifici. Era con lui, come unico accompagnatore il
chierico Rua che aveva nella valigia il testo, elcganremente ricopiato,
delle regole per la futura Congregazione Salesiana.
Giunsero a Roma tra il 21 e 22 febbraio, dopo aver viaggiato per
mare da Genova a Civiravecchia. Don Bosco prese alloggio in casa
dell'amico conte Rodolfo De Maistre, figlio del grande scrittore, al

3.9 Page 29

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numero 49 di via delle Quattro Fontane. Rua fu invece ospite della
casa romana dei Padri Rosminiani, amicissimi del Santo. Nell'attesa del
giorno fissato per l'udienza pontificia i due pellegrini visitarono la città,
guidati dai figli del conte De Maistre.
Si inginocchiarono commossi nelle grandi basiliche: Santa Maria
Maggiore, San Giovanni in Laterano, San Paolo fuori le mura, Santa
Croce in Gerusalemme. A San Pietro entrarono alle undici del mat-
tino per uscirne alle cinque di sera. Una visita altrettanto lunga la dedi-
carono alle catacombe di San Callisto, guidati dal celebre archeologo
De Rossi, l'autore di Roma sottenanea. Discesero anche nelle grotte
della Basilica Vaticana, nel Carcere Mamenino; salirono sul Campido-
glio, si inerpicarono sino alla sommità della cupola di San Pietro; per-
corsero in ginocchio la Scala Santa; fecero devotamente la Via Crucis
al Colosseo; infine, da instancabili pellegrini, le principali tra le tre-
cento chiese di Roma.
Tra una visita e l'altra, Rua riprendeva la sua funzione di segretario.
Ora redigeva, sotto dettatura di Don Bosco, un Giornale di viaggio,
una relazione cioè, del soggiorno romano da inviare ai discepoli e agli
amici restati a Torino; ora sbrigava parte della corrispondenza del
Santo; ora ricopiava qualche opuscolo di pietà che il viaggio non impe-
diva a Don Bosco di continuare.
Per suo profitto personale, come anche per la formazione pedago-
gica del suo compagno di viaggio, il grande educatore cercava ogni oc-
casione di visitare quanti più istituti per giovani fosse possibile. Al loro
passaggio da Genova avevano accettato l'ospitalità dell'opera degli Arti-
gianelli, diretta dall'abate Montebmno. A Roma le possibilità si molti-
plicarono. Visitarono l'Opera di Tata Giovanni che raccoglieva oltre
centocinquanta giovani i quali, come ai primi tempi dell'oratorio di
Torino si recavano ogni giorno a lavorare in città. Restarono un giorno
intero tra gli ottocento ragazzi ospitati nei dieci laboratori delllOrfano-
trofio di San Michele a Ripa. Studiarono l'organizzazione delle Scuole
di Carità, aperte dalle Conferenze di San Vincenzo de' Paoli per l'istru-
zione dei giovani operai.
Ovunque passavano, osservavano e prendevano nota dei metodi
educativi che vedevano adottati. Lodavano e talvolta, in cuor loro,
disapprovavano quanto non sembrava del tutto adeguato alle necessità
dei giovani.
Metre conto riportare le pagine del Giornale di viaggio che Rua scrisse
sotto dettatura di Don Bosco la sera della domenica 14 marzo, dopo la
visita a tre Oratori romani. Eccola.

3.10 Page 30

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« Oggi, domenica, abbiamo detto Messa in casa e poi siamo andati
a visitare un Oratorio di giovani, accompagnati dal marchese Patrizi.
La chiesa ove si radunavano è detta Santa Maria della Quercia. Entrati
in chiesa, fummo in sacristia, che è assai spaziosa, e ci rallegrò la vista
di circa quaranta giovanetti, i quali col loro contegno e colla loro vi-
vacità rassomigliavano molto ai nostri birichini di Valdocco. Le sacre
funzioni si compiono tutte al mattino: Messa, confessione per quelli
che son preparati, catechismo e una breve istruzione, è quanto ivi si
fa. Ci sono due sacerdoti; uno confessa, l'altro assiste. I Fratelli della
Società di San Vincenzo fanno i1 catechismo e dirigono le pratiche di
pietà; il marchese Patrizi segna i biglietti di frequenza, che ciascun
giovane porta a casa ogni domenica. Se fossero eziandio istruiti dopo
il mezzodì, certamente ne verrebbe loro maggior bene.
«Dopo mezzogiorno però quei fanciulli, per difetto di apposito
locale alla Madonna della Quercia, vanno a riunirsi in un altro Oratorio
detto di San Giovanni dei Fiorentini, ma colà a w i soltanto la ricreazione
senza funzioni di chiesa. Noi ci siamo andati nell'ora competente ed
abbiamo veduto un centinaio circa di altri giovani che si divertivano
a più non posso con vari giuochi, lontani dai pericoli e dall'immoralità.
«Ci è molto rincresciuto che non avessero altro vantaggio, poiché
non si teneva punto istruzione religiosa. Invece di Oratorio doveva piut-
tosto chiamarsi Ricreatorio. Se ci fosse qualche ecclesiastico, che si
occupasse di loro, potrebbe far del bene alle anime di cui appare grande
bisogno; e questo tanto più ci rincrebbe perché abbiamo trovato in
quei giovani molte buone disposizioni. Parecchi di essi godevano nel
discorrere con noi, baciando più volte la mano tanto a me, quanto
a Rua, che suo malgrado era costretto ad acconsentire.
Intrattenutoci alquanto con quei ragazzi: - andiamo, - ci disse il
signor marchese Patrizi, - andiamo a vedere al di del Tevere un altro
Oratorio, dove ci sono giovani più adulti! - Trattandosi di Oratorii
abbiamo subito accondisceso e, montati sopra una barca, andammo in
Trastevere in un terzo Oratorio detto dell'Assunta. Questo ci piacque
assai: un giardino spazioso e aggiustato per qualsiasi divertimento, chiesa
vicina, giovani adulti, canto e sacre funzioni ci facevano trovar presenti
con lo spirito al nostro Oratorio di San Francesco di Sales. Provammo
pure gran piacere nel vedere il direttore di quell'Oratorio, abate Biondi,
a fare l'istruzione e interrogare i giovani più istruiti come spesso si fa
tra noi, dopo il racconto della Storia Ecclesiastica. Ma anche qui ci
manca qualche cosa: non ci sono le funzioni del mattino, non si dà
la benedizione, il numero è di circa ottanta, mentre il locale è capace

4 Pages 31-40

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4.1 Page 31

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di averne anche quattrocento. Tuttavia siamo rimasti contenti ed
abbiamo contratto amicizia con alcuni di loro, e due ci vollero accom-
pagnare h o a casa, quantunque loro costasse oltre un'ora di cammino ».
Dov'è il nio tesoro, è il tuo cuore. Anche a Roma il cuore dei
due pellegrini piemontesi non poteva essere che tra i giovani.
In alcuni dei posti visitati Don Bosco ebbe anche modo di far co-
noscere e di mettere in pratica il suo metodo educativo fondato sulla
dolcezza e la conquista del cuore giovanile per spronarlo al bene.
Nella sua visita all'Istituto di San Michele a Ripa, ad esempio, il
Santo fu colpito dal metodo repressivo che si usava nei confronti degli
ospiti: a ogni mancanza, cioè, corrispondeva una pena certa e im-
mediata. L'arrivo di un superiore metteva lo spavento tra i giovani e il
timore era il solo alleato dell'educatore. <<Chepeccato! - pensava tra
sé Don Bosco - Questi fanciulli romani sono tanto affettuosi, così
vivaci e espansivi! Perché costringerli a rinchiudersi in se stessi? Se po-
tessi fare capire a questi bravi sacerdoti che sono fuori strada! ».
L'occasione opportuna gli giunse pochi minuti dopo. In compagnia
del cardinal Tosti, protettore dell'Istituto, e d'un superiore della casa,
Don Bosco attraversava un pianerottolo per passare da un laboratotio
all'altro quando sul gruppo letteralmente piomba u n allievo. Veniva
giù dal piano superiore, saltando da un gradino all'altro, cantando e
fischiettando allegramente. Alla vista dei tre ecclesiastici, si senti mo-
rire in gola la voce e rimase lì vergognoso, con il berretto in mano e la
testa bassa.
Che modo è questo? i3 così che ti si educa qua dentro? -tuonò
... subito la voce irata del sacerdote - Torna al tuo laboratorio e poi
si vedrà il resto! ». E, rivolto verso l'ospite: «Scusi, Don Bosco,
se... ». Ma di che cosa?- interruppe il grande educatore - Sì, che
cosa dovrei scusare? A dire il vero, non capisco ancora in che quel
ragazzo abbia mancato... » - Ma non le pare che quel fischiare e
cantare villani siano mancanze di rispetto? >> replicò stupito il supe-
riore. - « Sarà, ma si è trattato in ogni caso di una leggerezza e per
giunta involontaria- disse Don Bosco - San Filippo Neri, proprio qui
a Roma, ripeteva ai fanciulli del suo Oratorio: <<Statfeermi se potete
e se non potete gridate, saltate pure: basta che non facciate peccati! " ».
«È questo che importa. Anch'io, a Torino, esigo in certi momenti
della giornata un silenzio perfetto; ma chiudo volentieti un occhio sulle

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piccole mancanze fatte per leggerezza. Per il resto, lascio ai miei giovani
piena libertà di cantare, di gridare, da un capo all'altro della casa.
Mi credano: un po' di baccano è di gran lunga preferibile a un silenzio
... sornione e ipocrita. Quel che mi dispiace è che il povero bambino debba
ora soffrire per causa mia; il rancore gli ribollirà nell'animo E se andas-
simo a consolarlo ? ».
Alcuni minuti dopo, i tre erano nel laboratorio del ragazzo. Don
Bosco lo chiamò a sé: il poveretto si awicinò con aria confusa e awi-
lita, gli occhi ostinatamente fissi al suolo.
«Mio piccolo amico - disse Don Bosco - ho una buona notizia da
darti: avvicinatie non avere più paura. Te lo permette il tuo superiore ».
E, quando lo ebbe vicino: Sappi che io ho messo a posto tutto, ma a
un patto, però: che tu sia sempre un bravo figliuolo e mi conservi la
tua amicizia. Siamo intesi, non è vero? Su, prendi questa medaglietta
per mio ricordo: re la d ò a condizione che tu dica una Awe Maria ».
Profondamente commosso, il fanciullo gli prese la mano per ba-
ciargliela e, sollevando gli occhi dove ora brillava solo d e t t o e non più
rancore, « Questa medaglietta - disse - me la metterò al collo e la
conserverò sempre come suo ricordo ».
I compagni, già al corrente dell'incidente, sorridevano nel vedere
quella soluzione inattesa e salutavano Don Bosco che passava tra loro,
seguito dal superiore romano. Questi, forse, prometteva in cuor suo
di non tenere più conto di certe leggerezze.
La lezione aveva colpito vivamente il cardinal Tosti che, qualche
giorno dopo, ritornava sull'argomento. Don Bosco continuava a ri.
petergli il principio fondamentale della sua arte educativa: è impos-
sibile, cioè, educare la gioventù se non se ne possiede la confidenza e
l'amore.
- Ma come fare per guadagnarsi la confidenza? - chiedeva il
Cardinale.
- Facendo di tutto per awicinare a noi i ragazzi, togliendo tutti
gli ostacoli che ce li tengono lontani.
- Ma, in pratica, come awicinarli?
- Cercando di adattarci ai oro gusti, discendendo al loro livello,
Eminenza. Del resto, perché non abbandoniamo il campo della teo-
ria? In qual punto di Roma possiamo trovare un bel numero di ragazzi?
- In piazza Termini o in piazza del Popolo.

4.3 Page 33

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- Ebbene, andiamo in piazza del Popolo.
U n ordme al cocchiere (ildialogo si svolgeva sulla carrozza del
porporato) e dieci minuti dopo i due sono sulla grande piazza. Don
Bosco scende di carrozza, mentre il cardinale resta a guardare dallo
sportello. Un gruppo di monelli è in mezzo alla piazza, intento a gio-
care. Don Bosco si awicina e tutti scappano.
- U n bel successo, non c'è che dire-sbuffa l'eminentissimo dietro
i vetri della sua vettura.
Ma Don Bosco non si dà per vinto. Con aria piena di bontà e con
parole dettuose chiama i fanciulli. Dopo un po' di esitazione, alcuni si
fanno lentamente avanti. 11prete loro un regaluccio e si intrattiene a
discorrere delle loro cose, della famiglia, della scuola, dei giuochi. A
vedere quel religioso bonario in mezzo ai loro compagni, anche i più
diffidenti si awicinano.
E allora Don Bosco: - Su, andiamo, ragazzi, riprendete il vostro
gioco e lasciate che giochi anch'io! - E cosi dicendo, si solleva un
poco la veste talare e s'impegna nella partita.
Lo spettacolo insolito attira altri giovani da tutti i punti della piazza
e Don Bosco accoglie tutti con cordialità, rivolge a ognuno una buona
parola, offre una medaglietta e chiede se qualche volta preghino e si con-
fessino. Quando alla &e abbandona il giuoco tutti cercano di tratte-
nerlo ma non può fare attendere oltre il cardinale che dalla carrozza
ha osservato la scena.
- Avevate ragione, Don Bosco! - fu l'unico commento del Car-
dina1 Tosti quando la carrozza si riawiò tra i ragazzi che facevano ala
e battevano le mani. - Una esperienza come questa vale più dello
studio di dieci libri di pedagogia.
A molti altri episodi come questi anche il chierico Rua fu presente
e anch'egli, come il cardinale romano, se ne stava poi silenzioso, a me-
ditare su quanto aveva visto.
Dopo una ventina di giorni di permanenza a Roma, finalmente giunse
il biglietto che fissava l'udienza pontificia. Era per il 9 marzo, alle 11.
Un po' prima di quell'ora, il sacerdote e il chierico varcavano il « Por-
tone di Bronzo D e, per il cortile di San Damaso, raggiungevano gli
appartamenti del Papa. Occorse un'altra ora e mezza di attesa, poiché
quel mattino il turno delle udienze era particolarmente affollato.

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Finalmente è chiamato il nome di Giovanni Bosco (anzi, di Giovanni
Bosser, come legge il cameriere segreto, decifrando male quanto è scritto
sul biglietto) e di Michele Rua. Fatte le tre genuflessioni protocollari,
i due pellegrini, in preda a una visibile emozione, sono ai piedi di
Pio IX che li fa alzare e sedere accanto a sé.
- Siete piemontese? - è la sua prima domanda.
- Sì, Santo Padre, e provo in questo momento davanti a Vostra
Santità, la più grande gioia della mia vita.
- Di che cosa vi occupate a Torino?
- Dell'educazione della gioventù e della redazione e divulgazione
delle « Letture Cattoliche » per il popolo, delle quali mi permetto offrire
a Vostra Santità l'intera collezione.
- Ecco una bella missione! Esclama Pio IX - Mai l'educazione
cristiana della gioventù è stata tanto necessaria. Mi pare che a Torino vi
sia anche un altro prete, un certo Don Bosco, che lavora nello stesso
campo.
- Santo Padre, Don Bosco sono io. I1 mio nome nella lista delle
udienze è stato leggermente storpiato.
I1 Papa sorrise dell'equivoco e, con la più grande confidenza:
- Ah, siete dunque voi quel Don Bosco - continuò - E, ditemi,
che fate in quel vostro Oratorio di cui tanto si parla?
- Un po' di tutto, Santità. Dico Messa, predico, confesso, faccio
scuola. E mi capita pure di dovere preparare la cena e di scopare i
locali. La risposta provocò un altro sorriso a Pio 1X che volle
sapere anche il numero dei giovani, dei chierici, dei preti che lo
aiutavano.
Quindi, rivolto verso il compagno di Don Bosco che sino allora era
stato in silenzio:
- E voi, figliuolo, siete prete?
- Non ancora, Santità. Frequento il terzo anno di teologia.
- Che trattati studiate ora?
- Quelli del Battesimo e della Cresima.
- Oh, sono i più facili di tutti!
A questo punto un ricordo attraversa all'improwiso la mente del
Papa.
- Ma non è per caso il vostro Oratorio -esclama- che nel 1849,
quando io dovetti fuggire a Gaeta, fece una colletta per il Papa, di
trenta lire, se non sbaglio?
- Sì, Santo Padre: trentatré lire e sessantacinque centesimi rac-
colti tra quegli stessi fanciulli che hanno rilegato ora per Vostra Santità

4.5 Page 35

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questa raccolta delle Letture Cattoliche. Su duecento apprendisti
interni, ho quindici legatori.
- Che bravi ragazzi! Voglio dar loro una medaglia.
Detto fatto, passa nella sala vicina e ne ritorna con quindici meda-
glie di Maria Immacolata. - Queste per i vostri legatori - dice -
E questa per il vostro compagno - aggiunge, offrendone una più grande
al chierico Rua. Quindi, rivolto a Don Bosco e porgendogli un astuccio
che contiene una preziosa medaglia del pontificato: - E questa è per
-. voi I due ricevono in ginocchio il dono del Papa. Alzandosi,
Don Bosco dice:
- Santo Padre, avrei ancora qualche cosa in particolare da dire.
I1 chierico lascia subito la sala e la conversazione ricomincia tra il Santo
e il Papa.
- Santo Padre, vorrei che Vostra Santità mi aiutasse a fondare una
Congregazione religiosa compatibile con i tempi attuali. - In breve,
Don Bosco gli espone quanto ha pensato sull'argomento.
- Redigete le regole di questa società religiosa - gli dice Pio IX
quando ha terminato - Redigetele però tenendo presente quanto sto
per dirvi. Da una parte, è necessario che un governo imbevuto di anti-
clericalismo non trovi appigli per tormentare la vostra giovane Congrega-
zione. Dall'altra, per tenere i membriuniti tra loro non bastano semplici
promesse, ma occorrono i voti, voti semplici, s'intende. Senza questo
legame, mancherebbe la stabilità che di questi tempi è tanto necessaria.
Infime, le regole di questa Società (perché io la chiamerei Società piut-
tosto che Congregazione) devono essere di facile osservanza: nulla vi
sia nell'abito che faccia distinguere i soci, nulla nelle loro pratiche reli-
giose che risvegli l'attenzione di chi non ne fa parte. Insomma, fate in
modo che ciascuno dei vostri Salesiani sia un vero religioso nella Chiesa,
e nel mondo un cittadino in possesso di tutti i suoi diritti. I1 problema
non è facile, ne convengo: studiatelo, intanto, e fatemi poi conoscere il
frutto delle vostre riflessioni.
L'udienza è terminata. Don Bosco chiama il suo compagno di
viaggio e tutti e due, prostrati a piedi di Pio D(, ricevono la sua
benedizione.
*
Dodici giorni dopo, il 21 marzo, Don Bosco era ammesso a
una seconda udienza, nel corso della quale offriva al Papa il ma-
noscritto delle Regole, modificato secondo le direttive ricevute.

4.6 Page 36

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Questa consegna al pontefice rappresentava il primo passo ufficiale
per ottenere da Roma l'approvazione della Società e delle relative
Costituzioni.
I16 aprile, ebbe luogo l'udienza di commiato. Pio IX si mostrò ancor
più affettuoso verso quel sacerdote piemontese che cominciava a cono-
scere e ad apprezzare. Giunse ad aifondare le mani nella borsa per trame
alcune monete d'oro che consegnò a Don Bosco, raccomandandogli di
offrire con quel denaro una buona merenda ai suoi ragazzi. Accordò
senz'altro tutti i favori e le indulgenze che il Santo aveva chiesto e in-
fine gli restituì il manoscritto delle Regole che aveva lette dal primo al-
l'ultimo articolo, annotandole di suo pugno.
- Portatele al Cardinale Gaude - disse - Egli si incaricherà di
quanto occorre per l'esame e l'approvazione.
Don Bosco eseguì subito quell'invito del Papa, ma prima
ritoccò il testo secondo le indicazioni manoscritte di Pio IX e
Don Rua lo ticopiò ancora una volta con la sua impeccabile calli-
grafia. Fu questo l'ultimo lavoro come segretario di Don Bosco
a Roma.
Otto giorni dopo, il 14 aprile, i due pellegrini si imbarcavano ancora
una volta a Civitavecchia e il 16 erano già a Torino, accolti a festa nel-
l'oratorio.
I1 frutto principale di quel lungo soggiorno lontano da Valdocco
maturò qualche tempo dopo. Nel &cembre del 1859, nella riunione
settimanale della domenica sera, Don Bosco comunicò con emozione
ai suoi giovani che era ormai tempo di prendere una posizione defini-
tiva nei riguardi del progetto a lui tanto caro: la fondazione della Con-
gregazione Salesiana.
Questa esisteva già in embrione; molti di quelli che l'ascoltavano
vi appartenevano in spirito, altri anche con promesse private ma
formali.
C'era già un corpo di regole che tutti praticavano liberamente e il
Papa stesso aveva approvato e benedetto quella forma di vita. Ora, si
trattava di sapere se l'istituzione dovesse uscire dall'ombra alla luce
del sole, prendendo un nome davanti al mondo e dichiarando aper-
tamente il suo programma di vita.
- Vi lascio otto giorni di tempo per riflettere - concluse Don Bo-
sco quella sera - Chi, fra una settimana, non si presenterà alla nostra
solita riunione della domenica, indicherà così che non intende dare il
suo nome alla Società.

4.7 Page 37

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I1 18 dicembre del 1859 (una data storica per i Salesiani) solo due
che avevano partecipato alla riunione precedente non si presentarono;
subito si procedette all'elezione del Superiore Generale, che risultò,
come owio, Don Bosco stesso. Quando poi si trattò di designare colui
che avrebbe dovuto coadiuvare il Superiore nella formazione della
nascente Società, tutti i suffragi, meno uno, caddero su colui che era
stato compagno di viaggio del Santo a Roma.
In quella sera di dicembre del 1859 Michele Rua, non ancora sacer-
dote ma semplice suddiacono, era nominato all'unanimità Direttore
spirituale della Società Salesiana.

4.8 Page 38

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CAPO V
Sacerdote
Cinque mesi dopo l'elezione a << direttore spirituale >> della nascente
Congregazione Salesiana, il 24 marzo 1860, sabato Sitientes, Don Rua
riceveva il diaconato. Un passo ancora e sarebbe alla mèta.
Nel campo degli studi teologici era rimasto sempre tra i primi,
Infatti all'esame finale del 1858-59 risulta il primo fra sette compagni
ed è qualificato con plus quam optime. Riceve ancora optime ed è il primo
su quattordici condiscepoli alla sezione di autunno - detta di Ognis-
santi -del 1859; e il 18 febbraio 1860 è qualificato con egregie. Esistono
gli appunti di quei corsi ed esami: sono la prova della diligenza e serietà
con le quali il Servo di Dio compiva i suoi doveri di candidato al sacer.
dozio. Tutti ne erano ammirati: primi fra gli altri i professori del semi-
nario teologi Francesco Marengo e Giuseppe Molinari. In Rua essi ve-
devano una vocazione sicura, un giovane che avrebbe onorato la Chiesa
e il sacro muiistero.
Non era diversa l'opinione dei compagni. Bastino due testimonianze
scelte fra cento.
<<Icl hierico Rua - scrive il canonico Ballesio entrato al190ratorio
in quegli anni - era per noi il bene e la bontà. Era l'ordine, lo studio,
il sapere. Era la severità e la benignità fuse insieme. Pensare a Rua era
escludere il male, la malizia, i difetti, per dar posto alla virtù. Era
quindi piena la stima, la benevolenza, la venerazione, la fiducia che noi
riponevamo in lui ».
<< Vissi otto anni sotto la sua sorveglianza - dichiarò il professar
Costanzo Rmaudo, altro exallievo dell'oratorio di quei tempi: - potei
così conoscerlo bene e ammirare le sue doti di mente e di cuore. Fui
subito colpito dai suoi modi compiti, si da avere l'impressione di una
persona superiore: e di una superioritàfatta di cosciente umiltà, per cui
si rendeva caro a tutti. Noi giovani lo consideravamo un modello di
virtù in tutto e per tutto. Verso di noi il suo modo di agire era amorevole

4.9 Page 39

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ed egcace, tanto che nessun suo consiglio cadeva nel vuoto. La sua
parola entrava profondamente nel nostro animo, perché si era persuasi
che parlava spinto da sincera carità >>.
Durante la permanenza a Roma il Servo di Dio era stato ospite per
qualche tempo dei Padri Rosminiani. I1 superiore generale Padre Pagani
e altri religiosi dell'Istituto ne apprezzarono subito la pietà, la pmdenza,
l'umile discrezione. Anzi concepirono la speranza di vederlo entrare
nell'Istituto della Carità, e se ne sparse anche la voce. Alle congratula-
zioni di qualche ragguardevole personaggio, Don Rua si accontentava
di rispondere: « Io dipendo da Don Bosco e farò ciò che egli mi dirà ».
Mai Don Rua avrebbe abbandonato il suo padre e benefattore. Già
a quel tempo egli non ne era solo l'aiutante, ma l'integratore. Se Don
Bosco non avesse avuto al fianco il chierico Rua difficilmente avrebbe
potuto compiere tutto ciò che fu fatto all'oratorio in quegli anni.
Infatti, tornati da Roma dopo alcuni mesi di assenza, trovarono che
l'Oratorio aveva cambiato volto. L'unico sacerdote che vi era rimasto
in quel periodo, il pio Don Vittorio Alasonatti - venuto ad aiutare
Don Bosco in età adulta - aveva fatto le veci del Sanxo, senza averne
lo spirito e il metodo educativo. L'Oratorio era diventato un collegio
tutto ordine e disciplina; ma non era più la casa di Don Bosco: l'aura
di famiglia che vi aleggiava dalle origini era scomparsa.
Don Bosco ne fu molto spiacevole e non risparmiò sacrifizi per ri-
condurre le cose sul binario di prima. Chi lo aiutò efficacemente nella
impresa fu Michele Rua. Nei mesi trascorsi a Roma in contatto più
intimo col Padre il novello beato ne aveva meglio capito l'animo e fu
in grado di riportare nell'assistenza dei giovani e nella vita di Valdocco
lo spirito autentico del fondatore. Quantunque non ancora sacerdote,
presso gli alunni la sua parola aveva più autorità e prestigio che quella
di Don Alasonatti. « D i Michele Rua giovane e chierico - d e r m ò i1
i
Cardinal Cagtiero- si dica bene quanto si voglia, non se ne dirà mai
l
abbastanza ».
*
I1 21 luglio 1860 il beato iniziava presso i Padri Lazzaristi di Torino
i
il ritiro in preparazione dell'imminente ordinazione sacerdotale.
li
La Congregazione Salesiana, formalmente costituita da meno di
un anno, non aveva ancora l'approvazione di Roma. In conseguenza
l

4.10 Page 40

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il diacono Rua non poteva essere promosso al sacerdozio se non come
prete della diocesi di Torino. Bisognava pertanto costituirgli il neces-
sario patrimonio ecclesiastico.
Don Bosco non aveva altra ricchezza che le sue braccia e, spesso,
i suoi debiti. Dove trovare l'occorrente? Fu l'ospite romano, il conte
Rodolfo De Maistre che, ricordando l'impressione lasciatagli dal giovane
accompagnatoredi Don Bosco, provvide a costituireil fondo necessario.
Don Rua ringraziò l'esimio benefattore, e questi si felicitò con lui << che
si dava a Dio in un'ora oltremodo solenne: nell'ora cioè della prova e
della persecuzione ».
I tempi erano certo diflicili, ma per nulla al mondo il ventitreenne
diacono avrebbe rinunciato al giogo dolce e soave del sacerdozio.
Anzi, d'intesa con lui Don Bosco aveva sollecitato a Roma la dispensa
di dodici mesi, sperando di vederlo ordinato il 2 giugno vigilia della
Trinità. I1 Cardinal Marini per volere di Pio IX aveva risposto in forma
di semplice rescritto allo scopo di esimere Don Bosco da ogni spesa,
poiché si trattava - scriveva il Cardinale al Santo - dell'ottimo suo
protetto e cooperatore nelle opere di carità e di religione Don Michele
Rua ». Il rescritto non giunse a tempo e le pratiche necessarie per il
placet governativo ritardarono l'ordinazione di circa due mesi.
Durante il ritiro Don Rua scrisse a Don Bosco per chiedergli i ricordi
degli esercizi. Trovandosi tra i Preti della Missione, dove era corrente
l'uso del francese, la lettera fu scritta in francese.
Don Bosco rispose in latino da SantiIgnazio sopra Lanzo, dove se-
guiva anch'egli un corso di esercizi. Eccone il contenuto: << Mi scrivesti
in francese, e hai fatro bene. Sii francese solo nella lingua e nel parlare;
di animo, di cuore, di azione, sii romano intrepido e generoso. Sappi
dunque e tieni a mente quel che ti dico. Molte tribolazioniti attendono,
ma in esse il Signore Dio nosao ti darà molte consolazioni. Sii mo-
dello di buone opere; sta' attento a ben consigliarti; fa' costantemente
quello che è bene agli occhi del Signore. Fa' guerra al demonio, spera
in Dio, e, se posso qualcosa, sarò tutto tuo. La grazia di Nostro Signore
Gesù Cristo sia sempre con noi. Stammi bene ».
L'ordinazione awenne per mano di Mons. Balma, ausiliare del-
l'Arcivescovo di Torino, la domenica 29 luglio a Caselle Torinese, nella
villa del Barone Bianco di Barbania, amico e benefattore dell'oratorio.

5 Pages 41-50

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5.1 Page 41

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Don Rua vi era giunto a piedi la sera innanzi e passò la notte in
preghiera. Chi andò il mattino dopo a rifargli il letto, lo trovò intatto.
« Dev'essere un santo quel chierico! » dissero al Barone i domestici
incaricati di rassettargli la camera.
La risposta fu: « È un discepolo di Don Bosco: e questo dice tutto >>.
Don Rua aveva delicato sentire, ma non era un emotivo. Non c'è da
aspettarsi da lui espansioni di sensibile fervore. La pietà aveva in lui
un'impronta abituale di calma, che edificava senza dare troppo nell'oc-
chio. S'immergeva nella preghiera, quando veniva il tempo di pregare;
e nel resto della giornata imitava Don Bosco nel fare del lavoro preghiera.
Èfacile tuttavia immaginare l'intima commozione della prima Messa,
celebrata il 30 luglio nella chiesetta di San Francesco di Sales, non
lungi dal posto dell'antica tettoia Pinardi, culla dell'oratorio. Don
Bosco gli stava al fianco.
« Mi pare ancora di vederlo nell'atto di dire la sua prima Messa -
scrisse il suo compagno di scuola Don Cerruti. - Ne ho fresco il ri-
cordo come se fosse ieri: il contegno raccolto nell'avanzare verso l'altare,
l'aria radiosa nell'atto di consacrare l'Eucaristia, il volto serafico nel
discendere i gradini per distribuire la Comunione ».
La domenica seguente, solennità della Madonna della Neve, tutto
l'oratorio manifestò il suo entusiasmo. I1 grido di « Viva Don Rua! >>
esplodeva fragoroso al suo passaggio e al suo apparire. Tutto ciò che
l'umile casa possedeva in bandiere, vessilli, stendardi, insegne, tutto
fu esposto per ornare i balconi e gli alberi del cortile. Erano centinaia i
ragazzi che ora gli esternavano la loro amicizia.
Non mancavano neppure commoventi, poveri regali; spiccava tra
gli altri un letto di ferro ofEerto dalla signora Rua a suo figlio ormai
sacerdore. Don Michele non voleva però saperne di quel letro: « È
troppo comodo e troppo bello per me », lamentava. Occorse l'inrer-
vento di Don Bosco stesso perché quel mobile potesse raggiungere la
cameretta del festeggiato.
Dopo la prima Messa solenne del mattino, celebrata con l'assistenza
del Padre, e i vespri della sera, si svolse un breve trattenimento musi-
cale e letterario durante il quale ognuno ebbe la possibilità di manife-
stare i propri sentimenti verso il nuovo sacerdote. I compagni di po.

5.2 Page 42

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verrà, i colleghi delle glaciali veglie mattutine, si prodigavano come
potevano. Cagliero sedeva al piano e accompagnava l'esecuzione di
romanze di sua creazione; Francesia leggeva una magnifica ode per
evocare, con strofe impeccabili, i meriti del sacerdote; i ragazzi gareg-
giavano nel manifestare al loro assistente tutta la loro stima e il loro
affetto. In una poesiola indirizzatagli lo si d e h ì « modello dei giovani,
esempio dei chierici, degno emulo di Domenico Savio D, il giovanetto
morto in odore di santità tre anni prima.
Non lontana dal figlio, la madre assisteva trasognata alla festa,
dominando a mala pena l'emozione che la pervadeva nel vedere l'unico
superstite dei suoi figli oggetto di tanti onori.
In un angolo della sala i1 vecchio Don Picco, il professore di dieci
anni prima assaporava anch'egli quel modesto trionfo del migliore dei
suoi alunni, mentre alla destra del prete novello Don Bosco sorrideva
di gioia intensa e appena contenuta: l'awenire della sua opera gli ap-
pariva ormai assicurato.
Nel ringraziare gli alunni delle feste e complimenti fatti alla sua
persona Don Rua, che tutto i1 giorno aveva cercato di voltare i Viva
Don Rua in V i t a Don Bosco, disse parole divenute programma della sua
vita.
Grato delle espressioni gentili risuonate in suo onore, disse di non
meritarle. Promise ai giovani che nulla avrebbe risparmiato al loro bene;
e pregò Dio di mantenerlo fedele al programma di Don Bosco.
Venne la sera anche di quel giorno tanto pieno di emozioni. Ritor-
nando nella sua stanza, Don Rua trovò una busta sul tavolo: era la ri-
sposta di Don Bosco a lui che qualche giorno prima gil aveva scritto
per chiedere un consiglio e un ricordo da custodire in cuore per tutta la
vita. Dicevano le righe del Padre al figlio divenuto sacerdote: « T u ,
Don Michele, vedrai meglio di me l'opera Salesiana varcare i confini
dell'Italia e stabilirsi in molte parti del mondo. Sii Apostolico e Romano,
Abbi la carità di Nostro Signore Gesù Cristo e del Suo Vicario in terra, la
carità universale. Accogli generosamente nel suo cuore le ansie, i so-
spiri, i palpiti di tutte le genti. Avrai molto da lavorare e molto da
soffrire: quando crescono le rose crescono anche le spine. Ma, t u lo
sai bene, solo attraverso il deserto e il mar Rosso si arriva alla Terra
Promessa. Soffri con coraggio e anche quaggiù non ti mancheranno le

5.3 Page 43

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consolazioni e gli aiuti da parte del Signore. Per compiere la tua mis-
sione, segui questa linea di condotta: esemplarità di vita, somma pru-
denza, costanza nel lavoro per la salvezza delle anime, piena docilità
alle ispirazioni divine, guerra continua al demonio e continua fiducia
in Dio >>.
Inginocchiato ai piedi del letto di ferro donatogli dalla madre,
Don Michele Rua, il piccolo Michelino di u n tempo, giurò di mante-
nersi fedele a quel programma indicatogli dal maesrro, per meritare di
con videre con lui le fatiche della semina e, se piacesse a Dio, le gioie
della mietitura.
di

5.4 Page 44

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CAPO VI
L'Oratorio nella Etù dell'oro »
Don Bosco aveva atteso con impazienza l'ordinazione del suo di-
scepolo prediletto: anelava di lanciare nell'azione un collaboratore
formato con tanta fatica amorosa.
Sin dall'ottobre del 1860, Don Rua ebbe così la direzione generale
delle scuole e la responsabilità morale di tutta la gioventù dellJOratorio.
Prefetto delle scuole e direttore spirituale, aveva modo di soddisfare
ampiamente il suo bisogno di attività.
Fino a quel momento il secondo posto all'oratorio era tenuto da
Don Alasonatti sopra ricordato. La sua condizione di sacerdote lo met-
teva in prima fila vicino a Don Bosco. I1Santo gli aveva affidato l'ammini-
strazione della casa e la sorveglianza generale sulla disciplina dei giovani
interni studenti e piccoli artigiani.
Nato ad Avigliana da famiglia benestante, Don Alasonatti aveva
rinunciato al ministero parrocchiale per dedicarsi all'educazione della
gioventù del paese, in qualità di maestro comunale. Don Bosco l'aveva
conosciuto nel 1850 e quattro anni dopo lo accolse definitivamente al-
l'oratorio come aiutante in prima. Èquindi una singolare figura inserita
nelle origini salesiane.
Don Alasonatti era portato dal temperamento all'austerità per sé e
alla severità per gli altri. Piccolo, magro, dal viso angolare e ossuto,
riflessivo e poco aperto all'espansione, incarnava il tipo ideale del re-
sponsabile della disciplina.
All'Orarorio però si viveva del calore di Don Bosco. I giovani sti-
mavano Don Alasonatti per la sua esattezza, ma se ne stavano lontani.
Non c'era modo di vederlo sorridere. A quarantadue anni - tanti ne
aveva nel '54 - dscilmente si cambia carattere.
Si è visto come l'assenza di Don Bosco nel '58 aveva cam.
biato il volto all'oratorio: al ritorno da Roma il santo dovette

5.5 Page 45

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darsi da fare per ricreare l'atmosfera di cordialità, di espansività e
di allegria che era caratteristica della sua persona e delle sue im-
prese.
L'ordinazione sacerdotale di Don Rua aperse nuove prospettive
alla vita di Valdocco. Potendo collocare il discepolo alle principali
leve di comando, Don Bosco avrebbe potuto assentarsi con tranquil-
lità o attendere in casa a cento affari urgenti, sicuro che tutto andasse
non solo in perfetto ordine, ma anche secondo il suo spirito.
Nell'ottobre dunque del 1860 Don Rua accettò con trasporto i
nuovi uffici e in brevissimo tempo consolidò ed accrebbe in quell'al-
veare brulicante di vita, che era l'Oratorio di Valdocco, l'allegria più
rumorosa, la disciplina accettata gioiosamente, l'applicazione serena
al lavoro. Fu questa l'età dell'oro dell'Oratorio Salesiano.
Tre caratteristiche distinsero quegli anni fortunati: l'aumento
inarrestabile degli allievi, l'atmosfera di spiritualità in cui respiravano
le anime, e l'emulazione alla santità da cui furono pervasi quei giovani.
Nel luglio del 1861, ben trecentodiciassette alunni del ginnasio su-
periore sfilarono per gli esami orali davanti a Don Picco e al ~ T O ~ ~ S S O ~
Bonzanino, i vecchi e fedeli amici dell'opera. Nel 1862 si salì a trecento-
quarantun esaminandi e l'anno seguente a trecentosessanta. Altrettanti
ne contava la sezione artigiani, con laboratori in piena attività.
Lo spirito che regnava nell'istituto era la migliore garanzia per
i parenti degli allievi. Non era altro poi, quello spirito, che lo stesso
del Vangelo: spirito di dovere e di santa letizia, di timor di Dio e
di lavoro, di pietà e di carità, sostenuto e illuminato dalla fede.
Ciascuno attendeva al proprio dovere, in classe come in laboratorio.
Qui, ordine e disciplina, movimento pittoresco in cortile, durante la
ricreazione; dieci, venti partite si impegnavano in punti diversi e ve-
nivano condotte con foga straordinaria. In chiesa, lo spettacolo era di
una fede vissuta e partecipata: ogni giorno, mattino e sera, il confes-
sionale di Don Bosco era circondato da una frotta di ragazzi che atten-
devano il loro turno per ricevere il perdono di Dio.
L'amicizia più cordiale regnava tra i giovani, a qualunque ceto so-
ciale appartenessero: nessuna rissa violenta, qualche disputa subito
sedata da una parola amichevole o, al più dall'intervento affettuoso di
un compagno più anziano. Carità delicata e piena d'attenzioni per
chi sembrasse afflitto e soprattutto per i nuovi, che piangevano

5.6 Page 46

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in qualche angolo, in disparte, sopraffatti da una passeggera ma-
linconia.
Tra tutti i giovani regnava l'emulazione per il bene. Un nove » a
scuola era considerato quasi un infortunio, il dieci » era la moneta
corrente, non certo per eccesso di indulgenza negli insegnanti. Quando,
la domenica sera, Don Bosco leggeva i voti di condotta, non si conta-
vano che pochi fere bene. Gli optime formavano la stragrande mag.
gioranza.
Qualche rarissimo male era accolto da un sommesso mormorio di
stupore.
Era, questo, il tempo privilegiato nel quale l'infermeria dell'ora-
torio vedeva morire, come in estasi, il giovanetto Francesco Besucco,
il pastore110 delle Alpi di cui Don Bosco si diè premura di comporre
la biografia. a Muoio con il dolore di non avere amato Dio come
meritava », furono le sue ultime parole.
Certo, in quella massa di settecento ragazzi non mancavano coloro
che addoloravano il Santo con il loro comportamento. Non poteva
essere altrimenti, in un numero così grande. Però, la loro azione poco
edificante era come neutralizzata dal comportamento della maggioranza:
o si decidevano a cambiare vita, trascinati dall'esempio degli altri, o,
se veramente intestarditi nel male, erano prima ammoniti e infine,
seppure a malincuore e dopo molto pazientare, allontanati dall'ora-
torio.
Un testimone di quegli anni fortunati, il Canonico Ballesio, diven-
tato parroco di Moncalieri, scrisse un quarto di secolo più tardi:
« U n bel numero, tra i giovani dell'oratorio, non solo erano buoni
ma ottimi, veri modelli di pietà, di studio, di mortificazione, di belle
. maniere.. Giovani che non avrebbero fatto un peccato veniale
volontario per tutto l'oro del mondo: giovani di una devozione
tanto tenera e soda, che aveva dello straordinario... I patrizi della
città conducevano i loro figli all'Oratorio a specchiarsi nei ragazzi di
Don Bosco ».
Non è dBcile intravedere in tutto questo la parte spettante al-
l'esempio, alle arol le, allo zelo di Don Rua.
Contribuiva anche a creare quell'atmosfera di altissima spiritualità
il ricordo di due fiori sbocciati a Valdocco tra i giovani della casa:
Domenico Savio, più volte ricordato, e Michele Magone.

5.7 Page 47

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I1 primo era una creatura angelica, che sempre si astenne dal peccato
e dal male; il secondo era stato un temuto capo-banda di giovani
irrequieti e ribelli. Catturato dall'amore del Santo, alla sua scuola
incomparabile divenne il più dolce, il più puro, il più laborioso, il più
pio dei ragazzi. Domenico era morto nel 1857 in famiglia, a Mondonio
d'Asti. Michele nel 1859, all'oratorio. Per moltissimi anni dopo
la loro scomparsa il ricordo del loro esempio fu molto vivo tra
gli allievi.
Tutti i giovani poi erano sostenuti nel loro sforzo di cristianesimo
vissuto dai loro maestri: quel gruppo di chierici e laici che formava il
nucleo della futura Società Salesiana. Già vedemmo di che lavoratori
instancabili si trattasse. La maggior parte, a fianco della scuola per
i loro allievi, studiava teologia e contemporaneamente seguiva i corsi
universitari per ottenere una laurea riconosciuta dallo Stato. Per tutto
riposo avevano l'assistenza in cortile e in camerata, in refettorio e a
passeggio. Non avevano tempo quasi di respirare, eppure la loro allegria
era continua, l'energia prodigiosa: l'intensa vita di preghiera, di morti.
ficazione, di umiltà insegnata da Don Bosco dava di questi frutti straor-
dinari. I1 Santo era sempre in mezzo ai suoi figli, allievi e maestri.
Quante volte - scrisse un exallievo - quante volte ci ricordammo
d i Don Bosco dolce e ridente in mezzo ai suoi: sotto i portici, nel
cortile, seduto anche per terra con attorno sette o otto giri di gio.
vani, tutti intenti ad ascoltarlo e a interrogarlo ».
Sempre vicino a lui, appena un po' al di sotto, era Don Rua. Se
il pensiero, le direttive erano del Padre, l'attuazione era del figlio
prediletto. Don Michele divenne in breve l'anima della casa, pur dis-
simulando sempre l'importanza crescente che veniva assumendo dietro
il consueto riserbo. Attribuiva tutto a Don Bosco, per sé teneva solo
la fatica e le parri ingrate, onde permettere al grande educatore di portare
avanti la sua battaglia.
Se, per sventura, l'attività del giovane sacerdote si fosse arrestata,
anche solo per un giorno, allora si sarebbe avvertita in pieno la deli-
catezza e l'importanza delle sue funzioni. Oltre alla scuola per i giovani,
oltre alle sue responsabilità di prefetto degli studi e di direttore spirituale,
studiava per conseguire la patente di confessore, teneva conferenze in
molte comunità, aiutava nella direzione delle < Letture Cattoliche »,
sbrigava nelle assenze di Don Bosco la sua enorme corrispondenza.
Qualcuno ha paragonato l'azione di Don Rua in quegli anni all'andare
di un motore che distribuisce forza, luce e calore pur stando appartato
in un angolo poco in vista della grande officina; pochissimi si accorgono

5.8 Page 48

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della benefica macchia, eppure essa è l'anima dello stabilimento. Taie
Don Michele Rua: lavorava nell'ombra ma gli effetti del suo lavoro erano
possenti, a Vddocco e in città.
Difatti sembrava ormai stabilito che l'apostolato domenicale di
Don Rua dovesse avere come campo i tre Oratori di Torino. Aveva
infatti incominciato a dedicarsi all'Oratorio di San Francesco di Sales,
quello stesso che l'aveva accolto fanciullo. Da giovane chierico, nel
1854, aveva lavorato nell'oratorio di San Lulgi Gonzaga, vicino alla
stazione di Porta Nuova. Nel 1860, fmalmente, Don Bosco lo pregò
di occuparsi di quello del12Angelo Custode. Quest'Oratorio si era
aperto nel quartiere di Vanchiglia, a oriente della città, in un quartiere
di nuova formazione e in grande sviluppo, dove ampi tratti di terreni
incolti confinavano con case di umile condizione o con dimore di orto-
lani.
L'amico e collaboratore di Don Bosco, il Teologo Roberto Murialdo,
era stato incaricato di dare vita a sviluppo a quell'oasi di vita cristiana a
Vanchiglia; ma, travagliato da un male implacabile, non era in grado di
fare da solo. Occorreva un collaboratore che ne assumesse quasi per
intero la responsabilità.
Don Bosco allora prowide mandando ancora una volta Don Rua.
In labore requies; il riposo nel lavoro sembrava dawero divenuto il motto
del giovane sacerdote che, tra la folla dei ragazzi dell'Oratorio dell'An-
gelo Custode, riposava la domenica dalle pesanti fatiche della settimana
di Valdocco.
Don Rua, quando metteva mano a un'impresa, non l'eseguiva mai
a metà. Infatti, appena stabilito nel nuovo campo di lavoro, notò che
l'opera mancava di alcuni elementi essenziali. Fondò subito una Cow
ferenza di San Vincenzo per irradiare la benefica influenza dell'oratorio
tra le famiglie povere della zona. Raccolse i giovani migliori nella Com-
pagnia di San Luigi; i membri si obbligavano alla comunione quindici-
nale, cosa inaudita per quei tempi e per quel quartiere. Finalmente,
discepolo fedele di uno dei più grandi apostoli della stampa, fondò una
biblioteca della quale rapidamente riempì gli scatfali,
Ecco ora il ritmo delle sue fatiche domenicali. Usciva da Valdocco
di buon mattino in compagniadi due o tre aiutanti e, giunto a Vanchiglia,
passava la mattinata tra chiesa e cortile. Dopo aver fatto pregare i ra-
gazzi, si industriava in mille modi per farli divertire.

5.9 Page 49

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A mezzogiorno, recitato l1Angelus, tutti tornavano a casa, com-
preso Don Rua che, eccetto l'inverno, veniva sempre a pranzare con
Don Bosco. Ciò significava farsi una passeggiata di sei chilometri, tra
l'andata e il ritorno; i giovani gli tenevano compagnia sino alla soglia
delle loro case o fino alla svolta dell'ultima strada. Guardia personale,
rumorosa e affezionata: Cerea, Don Rua, arrivederla Don Rua, a questo
pomeriggio ! ».
I1 giovane sacerdote giungeva a Valdocco dopo la mezza; il tempo
di prendere un boccone e poi di nuovo in strada. Nel pomeriggio si
riprendevano con ancora maggiore foga i giuochi interrotti per temi-
narli con il catechismo, l'istruzione religiosa e la benedizione. Final-
mente, spesso a notte inoltrata, si c udevano le porre, magari dopo aver
dovuto convincere a uscire gli ultimi ritardatari. Come al mattino,
così anche alla sera una schiera rumorosa e chiacchierina accompagnava
i1 sacerdote e i suoi assistenti. A ogni via, a ogni porta dalla comitiva si
staccavano gruppi di ragazzi: <C Cerea, Don Rua, a domenica prossima! ».
Evidentemente ogni domenica erano a carico di Don Rua le due istru-
zioni catechistiche della durata di circa mezz'ora. I1 Beato non aveva il
dono dell'eloquenza, ma era chiaro, attraente, persuasivo. Preparava
accuratamente per disteso la materia della sue conversazioni religiose e
sapeva animarle con aneddoti e richiami. Se ne conservano ancora i
manoscritti.
Un così intenso apostolato settimanale diventava quotidiano in
Quaresima. La domenica di carnevale e di nuovo la prima domenica di
Quaresima, si annunciava fragorosamente l'apertura del corso e il lu+
nedì seguente Don Rua si metteva all'opera.
A mezzogiorno, dopo llAngelus, la campana dell'umile cappella
di Vanchiglia lanciava il primo squillo e all'una il << suonatore ufficiale »
dell'oratorio, con il suo campanello in mano, faceva il giro del quartiere
per raccogliere l'uditorio alla dottrina cristiana. Riprendendo l'antico
mestiere di « battitore », Don Rua approfittava del primo quarto
d'ora di lavoro, durante il quale i suoi collaboratori sbozzavano la ma-
teria, per cercare pecorelle smarrite nei dintorni.
Nell'intendimento del giovane sacerdote queste istruzioni cate-
chistiche servivano a dare una solida base alla pietà di ragazzi poco
portati, per educazione e temperamento, alle cose spirituali.
Il mese mariano a sua volta veniva celebrato con pompa e con un
apposito sermoncino serale. Per le vie del quartiere si svolgevano pure
con solennità le processioni nelle feste di san Luigi, del Corpus Domini

5.10 Page 50

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e deIl'Assunta, spesso rese più gaie e grandiose dall'intervento della
banda dell'oratorio di Valdocco.
Finalmente, al principio di ottobre, la festa dell'hgelo Custode si
celebrava con splendore e con clamore un po' paesano. Non si trascurava
nulla per attirare più gente possibile: Messa della comunione generale,
seguita da colazione gratuita; Messa cantata, con un predicatore fa-
moso; vespri solenni, processione e, a sera, spettacolo pirotecnico a
carattere popolare.
Informato sull'andamento degli Oratori festivi di Torino, l'esule
Mons. Franzoni cosi ne scriveva a Don Bosco: Mi è riuscito di vera
consolazione quanto.. . mi ha significato riguardo al prospero andamento
dell'Oratorio di San Francesco di Sales- Valdocco - in tutte le sue
ramificazioni. Consolante è pure la relazione per l'oratorio di San
Luigi; e se non è allo stesso grado per l'oratorio dell'Angelo Custode,
mi pare che lo sia abbastanza per il miglioramento che si scorge, dopo
che ne ha preso la direzione Don Rua. Ne sia benedetto il Signore! ».
L'autorevole riconoscimento dell'arcivescovo lontano era un con-
forto per Don Rua, ma dimostra da quali ardui campi di lavoro egli
sapeva trarre frutti consolanti da presentare al Signore.

6 Pages 51-60

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6.1 Page 51

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CAPO VI1
Primo direttore salesiano
Nel dicembre del 1859, come già vedemmo, Don Bosco aveva gettato
le basi di una nuova società religiosa. Diciotto candidati avevano ac-
cettato la forma di vita da lui proposta e si dichiaravano pronti a seguirlo
ovunque e incondizionatamente.
Era così ferma la 'loro decisione che sei mesi dopo, nel giugno del
1860, questi diciotto novizi, su invito di Don Rua, facevano una solenne
promessa nella forma seguente: Facciamo tra noi promessa solenne
che se per mala ventura, a cagione della rribolazione dei tempi, non si
potessero fare i voti, ognuno, in qualunque luogo si troverà, fossero
anche tutti i compagni dispersi, si trovasse anche ridotto solo, costui
si sforzerà di promuovere questa Pia Società e di osservare sempre,
per quanto sarà possibile, le Regole ».
Animati da una tale fedeltà, i giovani sembravano ormai maturi per
il passo decisivo, per l'emissione cioè dei voti religiosi. Don Bosco
ruttavia lasciò passare ancora due anni per avere tempo e modo di pla-
smarli meglio secondo il suo spirito. Sentiva di lavorare sulle pietre
delle fondamenta, voleva che l'edificio fosse tale da sfidare gli anni e
le tempeste e così procedeva con lentezza e cura.
Finalmente, il mercoledì 14 maggio 1862, credette giunto il mo.
mento buono per consacrare a Dio quel manipolo di volontari.
Nella povera cameretta, che era stata testimone delle loro riunioni
settimanali, i primi ventidue discepoli del Santo emisero nelle sue mani
i voti con cui si legavano per tre anni a Dio e al loro fondatore. Uno di
essi ha descritto la scena. Chi scrive è il chierico Bonetti:
Era il 14 maggio 1862 e quella sera, dopo molto averlo desiderato,
si emisero per la prima volta formalmente i voti di povertà, di castità,
di obbedienza, da parte dei membri della nuova Pia Società che avevano
compiuto l'anno di noviziato e a ciò si sentivano chiamati. Ci trovammo

6.2 Page 52

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stretti stretti in una angusta cameretta, dove non avevamo scanni per
sederci. La maggior parte era assai giovane: alcuni studiavano rettorica e
filosofia, altri frequentavano i primi corsi di teologia, pochi erano già
negli ordini sacri. Non mancava neppure qualche laico. I1 mondo
con le sue promesse e con le sue lusinghe sembrava invitarci. Ma da-
vanti ai nostri occhi stava, sopra un tavolino, fra due ceri accesi, un
Crocefisso, quasi aspettando l'offerta del nostro cuore, il sacrificio della
nostra vita. Gesù con le sue attrattive celesti ci chiamava a sé. Noi
formavamo un piccolo gregge, che scompariva agli occhi del mondo, e
ai più della casa stessa era sconosciuto. Tuttavia questi umili inizi non
ci facevano perdere d'animo. Ci aprivano anzi il cuore alle speranze
più alte, ben sapendo ciò che disse l'apostolo Paolo: Dio sceglie i
deboli per abbattere i forti; gli stolti, per confondere i sapienti, gli
ignobili, gli spregevoli e quelli che non sono, per distruggere quelli
che sono. Facemmo dunque, in numero di ventidue, non compreso
Don Bosco che in mezzo a noi stava inginocchiato presso il crocefisso,
i nostri voti secondo il Regolamento. Essendo in molti ripetemmo
insieme la formula, a mano a mano che Don Bosco la leggeva ».
Quando fu pronunciata l'ultima parola, Don Bosco rivolse a quel
primo nucleo di collaboratori e figli parole commosse e profetiche che
sono state conservate da un altro testimone.
Miei cari - disse il Santo - siamo in tempi torbidi c pare quasi
una presunzione in questi malaugurati momenti cercare di creare una
... nuova comunità religiosa, mentre molti si adoperano per distruggere
quelle che già esistono Ma non importa. Io ho non solo probabili,
ma sicuri argomenti che è volontà di Dio che la nostra Società cominci
e prosegua. Molti furono già gli sforzi che si fecero per impedirla ma
tutti riuscirono vani; non la finirei più questa sera se volessi raccontare
gli atti speciali di protezione che avemmo dal Cielo, da quando ebbe
inizio il nostro Oratorio. Tutto ci fa argomentare che abbiamo con noi
Dio: possiamo quindi andare avanti con fiducia, sapendo di fare la sua
volontà. Ma non sono solo questi gli argomenti che mi fanno sperare
bene di questa società. Altri maggiori ve ne sono, fra i quali l'unico scopo
che ci siamo proposti: la maggiore gloria di Dio e la salvezza delle anime.
Chissà che il Signore non voglia servirsi di questa nostra società per
fare molto bene nella sua Chiesa! Di qui a venticinque o trent'anni, se il
Signore continua ad aiutarci, come fece finora, la nostra Società, sparsa
per diverse parti, potrà anche ascendere al numero di mille soci. Di que-
sti, alcuni saranno intenti a istruire il popolo, altri all'educazione dei
ragazzi abbandonati, altri a fare scuola, altri a scrivere e a diffondere

6.3 Page 53

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buoni libri; e tutti intenti a sostenere la dignità del Sommo Pontefice;
quanto bene non si porrà fare allora: Pio IX crede che noi siamo già di
tutto punto ordinati: eccoci dunque questa sera in ordine, combattiamo
con lui per la causa della Chiesa, che è quella di Dio. Facciamoci corag-
gio, lavoriamo di cuore, Dio saprà pagarci da buon Padrone. L'eternità
sarà abbastanza lunga per riposarci ».
La preparazione di Don Rua ai voti del 1862 -dice il teste Barberis
- fu del tutto singolare. E aggiunge rievocando memorie lontane:
Lo spirito di preghiera e di meditazione in lui erano come seconda
natura, e la sua ubbidienza a Don Bosco tornava ammirevole. Da
tempo si era imposto quello spirito di mortificazione e di rinnega-
mento che conservò poi tutta la vita e accoppiò a una attività che parve
straordinaria. Entrato all'oratorio nel '61 io ero stupito che egli potesse
fare tutte le cose che le vedevo compiere; ne parlavo con meraviglia ai
compagni; anzi molti lo tenevano già per santo, avendo in questo il con-
senso di Don Bosco, al quale manifestavamo le nostre impressioni ».
Si domanderà: le profezie di Don Bosco al primo stuolo di Sale-
siani ebbero compimento? Si dovrebbe dire che << ubbidiente l'awe-
nire rispose ».
Di anno in anno, l'affluenza di nuovi membri venne ad ingrossare
con ritmo lento ma sicuro le file del giovane esercito. Nel gennaio del
1863 i Salesiani erano trentanove; trecentoventi nel 1874 allorché fu.
rono approvate le Regole; settecentosessantotto alla morte di Don
Bosco, nel 1888. Alla morte di don Rua, nel 1910, erano saliti a ben
tremilanovecentonovantasei e oggi sono oltre ventimila.
I voti emessi nel 1862 legavano quei giovani soltanto per tre anni.
Nel novembre del 1865, al termine di quell'ultima prova e dopo che
Roma ebbe firmato il decreto di lode a favore della nuova società religiosa,
emisero la professione perpetua, legandosi definitivamente al130pera.
Da allora anche Don Rua fu salesiano nel senso pieno e definitivo
della parola.
Altri awenimenti però erano accaduti nella sua esperienza sale-
siana.
*
La sera del 14 maggio 1862 il pensiero dominante di Don Bosco ai
primi professi della sua Congregazione era stato: « D i o benedice i
nostri sforzi e vuole che perseveriamo D. Nell'ottobre del 1863 uno

6.4 Page 54

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straordinario avvenimento stava per dimostrare quanto le parole di
Don Bosco fossero vere.
Fino a quel momento la Società Salesiana si era sviluppata soltanto
nell'ambito della città di origine. Da quell'anno incomincerà la sua
irresistibile espansione per il mondo.
Mirabello, grosso borgo del Monferrato, fra vigneti ubertosi, a
quattordici chilometrida Casale, ebbe il privilegio di offrire a Don Bosco
sin dal 1862 un terreno e un edificio per l'erezione di una nuova casa.
Il terreno era vasto ma la costruzione ben poca cosa. I1 Santo decise
allora di demolire il vecc o edificio per edificarne uno nuovo capace
di un centinaio di allievi: secondo i suoi piani, l'istituto doveva acco-
gliere principalmente giovani aspiranti al sacerdozio.
Come tante altre diocesi dell'italia settentrionale, anche quella di
Casale attraversava una grave crisi di vocazioni: il vento dell'anticleri.
calismo che soffiava impetuoso, favorito dallo stesso governo, le dis.
seccava sul nascere.
Anche per questo motivo il disegno di Don Bosco ottenne la piena
approvazione del vescovo, mons. Calabiana, non appena gli fu illu-
strato.
Nell'autunno del 1862 si iniziarono i lavori di costruzione che
furono £miti in un anno. D'accordo col Vescovo, Don Bosco aveva
battezzata la nuova casa con il nome di Piccolo Semiridrio.
In quello stesso 1863, il Ministero della Pubblica Istruzione si
vide costretto per sopperire alla mancanza di professori a indire una
sezione straordinaria di esami per la £me di settembre: senza titoli preli-
minari e senza bisogno di frequentare per quattro anni l'università, chi
avesse avuto una preparazione sufficiente poteva presentarsi a quegli
esami e conseguire il titolo di <<professoreD. L'occasione era propizia
per Don Bosco che spinse cinque dei suoi, con Don Rua in testa, a
profittarne.
Questa impresa non indifferente occupò tutte le vacanze dei futuri
insegnanti del Piccolo Seminario di Mirabello; uscivano già esausti dalle
fatiche dell'anno scolastico, ma Don Bosco chiedeva loro un altro sa-
crificio ed essi acconsentivano con gioia. Trascinati dall'esempio di
Don Rua dimenticarono il caldo afoso dell'estate e senza venire meno
alle loro occupazioni d'ogni giorno cominciarono febbrilmente la pre-
parazione. Riuscirono tutti egregiamente agli esami, ma per Don Rua il
successo fu particolarmente brillante.
Per la lezione pratica di pedagogia fu richiesto di dare alla Commis-
sione un saggio di geografia palestinese. Non poteva capitar di meglio a

6.5 Page 55

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chi aveva studiato con passione la Sacra Scrittura secondo i criteri del
tempo.
Fu una esposizione nitida e precisa, ricca di particolari e di riferi-
menti. Don Rua descrisse il paese di Gesii, come se fosse stato la sua
provincia. Condusse i suoi ascoltatori da un capo all'dtro della Pale.
stina, dalla Giudea alla Galilea, attraverso la Samaria; ridiscese il Gior~
dano da nord a sud, delimitando con esattezza i bacini del lago di
Genezareth e del mar Morto e facendo la storia delle varie regioni e dei
principali centri abitati con minute particolarità.
L'insigne pedagogista prof. Rayneri, membro della Commissione
esaminatrice confidò qualche giorno dopo: <<DonRua è un giovane
sacerdote molto promettente: Don Bosco farebbe bene ad avviarlo a
una cattedra universitaria. La sua lezione d'esame è stata semplicemente
sbalorditiva ».
*
Dopo tutto ciò nessuno all'oratorio e fuori si meravigliò della no-
mina di Don Rua a primo direttore dell'Istituto di Mirabello Monfer-
rato, seconda casa della Congregazione.
Per collaboratori Don Bosco gli assegnò cinque chierici: Provera, di
ventisette anni, uno più di Don Rua; Bonetti, di venticinque; Albera,
Cerruti e Belmonte, che passavano di poco la ventina. Intorno al Santo
non c'erano che giovani, dei quali potesse awalersi per l'espansione
dell'opera.
Don Rua era dunque l'unico sacerdote della nuova comunità. Lo
seguì la sua mamma per curare la guardaroba del nascente collegio.
L'ottima signora che proseguiva la tradizione della mamma di Don
Bosco fu per lunghi anni la Provvidenza visibile del nuovo Istituto
aperto il 20 ottobre del 1863.
Quattro giorni dopo la partenza da Valdocco, Don Bosco inviò a
Don Rua quattro pagine di preziosi consigli dettati dalla sua non comune
saggezza e lunga esperienza. La portata di quei suggerimentioltrepassava
talmente i limiti dei momentanei bisogni, che Don Rua li fece accurata-
mente inquadrare e sino al termine dei suoi giorni li tenne sott'occhio
sul tavolo di lavoro.
L'introduzione suonava così: «Poiché la Divina Provvidenza di-
spone di poter aprire una casa, destinata a promuovere il bene della
gioventù, in Mirabello, ho pensato tornare a maggior gloria di Dio
l'affidarne a te la direzione. Ma siccome non posso trovarmi sempre
al tuo fianco per dirti, o meglio per ripeterti quelle cose, che forse tu hai

6.6 Page 56

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già veduto praticarsi, così stimo farti cosa grata scrivendoti alcuni awisi
che potranno servirti di norma nell'operare. Ti parlo con la voce di un
tenero padre, che apre il cuore a uno dei più cari suoi figli. Ricevili
dunque scritti di mia mano come pegno dell'affetto che ti porto e come
espressione del vivo desiderio che tu guadagni molte anime al Signore D.
Ecco alcuni di quegli aurei consigli di un Sanro a un altro Santo.
Niente ti turbi.
Ti raccomando di evitare le mortificazioni del cibo; ogni notte poi
non fare meno di sei ore di riposo. Questo è necessario per conservare
la salute e promuovere il bene delle anime.
Ogni mattina un poco di meditazione, lungo il giorno una visita al
SS. Sacramento.
Studia di farti amare prima di farti temere.
Quando ti è fatto rapporto intorno a qualcuno, procura di chiarire
bene i fatti prima di giudicare: spesso ti saranno dette cose che sembrano
travi e sono soltanto pagliuzze.
Fà in modo che. ai maestri non manchi nulla di ciò che è necessario
per il vitto e il riposo. Tieni conto delle loro fatiche: se sono ammalati
o semplicemente indisposti, manda subito supplenti nelle loro classi.
Procura di parlare spesso con loro, separatamente o in gruppo. Osserva
che non abbiano preoccupazioni, che non manchino loro libri e abiti
e se abbiano pene morali o fisiche. Vedi se vi siano nelle loro classi al-
lievi che hanno bisogno di speciale correzione o riguardo. Conosciuta
una necessità, fa' quanto puoi per provvedere.
Fà' che nulla manchi perché possano continuare i loro studi: quindi
procura che qualcuno faccia loro scuola ed abbiano tempo per studiare.
Trattieniti spesso con loro per udirne il parere sulla condotta dei gio-
vani. Siano sempre puntuali al dovere, facciano con i giovani ia loro
ricreazione.
Radunerai qualche volta i maestri, gli assistenti, i capi di camerata e
passeggiata, e a tutti dirai che si sforzino di impedire i cattivi discorsi,
allontanare ogni libro, scritto, immagine e qualsiasi cosa che metta in
pericolo la purezza. Diano dei buoni consigli, usino carità con i giovani.

6.7 Page 57

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Conoscendo qualche allievo pericoloso ai compagni, te lo dicano e
diventi oggetto delle comuni sollecitudini.
Fa' quanto puoi per passare in mezzo ai giovani tutto il tempo della
ricreazione.
In questo tempo, qualche affettuosa parola all'orecchio di chi sai
averne bisogno. Questo è il gran segreto per renderti padrone del cuore
dei giovani.
Procura d'istituire la Compagnia dell'Immacolata: ma ne sarai solo il
promotore non il direttore. Co~isideral'associazione come cosa dei
giovani.
La carità e la cortesia siano le caratteristiche di un direttore, tanto
all'interno che alt'esterno del collegio.
In caso di ~uestioniintorno a cose materiali, accondiscendi in tutto
ciò che è possibile, anche con qualche danno, purché si faccia saiva
la carità.
Se poi trattasi di cose spirituali e semplicemente morali, regolati in
modo che t~zttotorni a maggior gloria di Dio. Impegni, puntigli, spirito
di vendetta, amor proprio, ragioni, pretese persino d'onore, tutto deve
sacrificarsi in questo caso >>.
In questi consigli, tra riga e riga, si legge il timore di Don Bosco
che l'estrema giovinezza del direttore potesse spingerlo a trascurare i
bisogni, le sofferenze fisiche e morali, i dispiaceri dei subalterni. A
ventisei anni si bada poco alle pene degli altri e difficilmente si arriva a
intuire e comprendere le difficoltà che la vita presenta.
Ma Don Rua formato alla scuola del suo grande maestro e sorretto
dal desiderio sincero di un apostolato paterno e santificatore sarebbe
stato all'altezza del suo compito.

6.8 Page 58

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CAPO VI11
L'esperienza di Don Rua a Mirabello non fu lunga: durò due anni
scolastici, dall'autunno del 1863 all'estate del 1865.
Furono due anni felici. Dire che egli si propose e si provò ad essere
un piccolo Don Bosco, è dire tutto. E vi riuscì egregiamente. I con-
sigli ricevuti furono la luce che guidò i suoi passi.
Uno dei cinque confratelli che lo accompagnarono a Mirabello- il
chierico Francesco Cerruti -lasciò scritto: Se fu per me uno schianto
lasciare Don Bosco, questo dolcissimo fra i padri, che io amavo più di
me stesso, la mia pena veniva temperata dall'avere nel nuovo Superiore
l'immagine di lui. Ricordo i due anni della direzione di Don Rua a
Mirabello: la sua operosità instancabile, la sua ptudenza delicata e
fine di governo, il suo zelo per il bene religioso, intellettuale, morale e
fisico di giovani e confratelli a lui affidati n.
Suo primo pensiero fu di mettere la pietà alla base della vita col-
legiale, e fare del collegio una palestra di educazione e di trasformazione
interiore dei giovani.
Per riuscire si adoperò perché ogni allievo trovasse fra quelle mura
una gioia serena. Disciplina, si, ma scevra da formalismi esagerati e
da costrizioni odiose; superiori affabili come padri o come fratelli
maggiori, e sempre disposti a interessarsi amorevolmente dei giovani,
sino a formare con essi una famiglia.
Atmosfera comune per educandi ed educatori i1 soffio e l'esercizio
di una profonda vita di fede.
Mattina e sera Don Rua, come aveva visto fare Don Bosco, sedeva
puntualmente al confessionale, a disposizione degli alunni desiderosi
del suo ministero; dopo le preghierevespertinee prima del riposo, minu-
ziosamente preparato, il sermoncino della buona notte alla comunità gio-

6.9 Page 59

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vanile; tutte le domeniche due istruzioni, una sulla Storia Sacra, l'altra
sulle virtù cristiane; ogni mese, il pio esercizio della buona morte, con
una passeggiata; celebrate con solennità e pompa le feste di San Carlo,
patrono della casa, e San Luigi; le ricorrenze liturgiche e festive pre-
cedute da tridui e novene, e a primavera tre giorni interi di ritiro annuale,
con la meditazione delle virtù eterne e dei grandi doveri cristiani.
Come si vede, una impostazione spiccatamente religiosa, tale da
far pensare - e lo era - a un piccolo seminario. Ne uscirono infatti
ottime vocazioni; tra le altre Luigi Lasagna, secondo vescovo salesiano,
e apostolo della Congregazione nel Paraguay e in Brasile.
L'eco di una vita cosi intensa di lavoro, di sana allegria, di fervente
pietà non poteva che giungere a Torino. Uno dei cronisti dell'oratorio,
Don Ruffino, scrive nei suoi appunti: << Don Rua a Mirabello si diporta
come Don Bosco a Torino. È sempre attorniato dai giovani, attratti
dalla sua amabilità e anche perche loro racconta sempre cose nuove.
Sul principio dell'anno scolastico raccomandò ai maestri che non
fossero per allora troppo esigenti, che non pigiiassero a sgridare gli
alunni per qualche loro negligenza o vivacità ma che tollerassero molto.
Dopo i1 pranzo fa anch'egli la ricreazione sempre in mezzo ai giovani,
... giuocando o cantando laudi È da notare che allorquando la sera
parla ai giovani si esprime sempre in modo ilare e faceto D.
Un vero direttore modello, come lo aveva pensato Don Bosco
per le sue opere giovanili.
Il Santo, dal canto suo, teneva d'occhio Mirabello, era minutamente
informato di tutto, e di tanto in tanto vi compariva di persona per in-
coraggiare, sostenere e aiutare a risolvere i problemi del giorno.
Compose anche un piccolo regolamento che, dopo alcuni rimaneg-
giamenti suggeriti dall'esperienza, divenne il regolamento tipico delle
case salesiane.
Mandava anche paterne raccomandazioni e programmi di vita spi-
rituale per rutti.
« Avrei molte cose da dirvi - scriveva una volta - ma mi serbo di
farlo alla prossima visita che vi farò. Vi dirò per altro quanto il Si-
gnore Iddio vuole da voi nel corso di quest'anno, per meritarvi le sue
benedizioni.
1. Fuga dell'ozio. Perciò somma diligenza nell'adempimento dei
propri doveri scolastici e religiosi. L'ozio è il padre di tutti i vizi.

6.10 Page 60

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2. Frequente Comunione. Che grande verità io vi dico in questo mo-
mento! La frequente Comunione è la grande colonna che tiene su il
mondo affinché non cada in rovina.
3. Devozione e frequente ricorso a Maria Santissima. Non si è mai udito
a1 mondo che taluno sia con fiducia ricorso a questa Madre celeste,
senza che sia stato prontamente esaudito.
<(Credetelo,miei cari figliuoli, penso di non dire troppo asserendo
che la frequente Comunione è la grande colonna su cui poggia un
polo del mondo; la divozione alla Madonna è la colonna sopra di cui
poggia l'altro polo.
«Dico quindi a Don Rua, agli altri superiori, maestri, assistenti,
ai giovani tutti di raccomandare, praticare, predicare, insistere, con
tutti gli sforzi della carità di Gesù Cristo, affinché non siano mai di-
menticati questi ricordi che io vi mando a maggior gloria di Dio e bene
delle vostre anime, tanto care al Signore ».
In quegli anni Don Bosco aveva fatto il sogno delle due colonne in
mezzo al mare: sull'una troneggiava l'Ostia Santa, sull'altra l'Immaco+
lata; e la nave della Chiesa, sbattuta dai flutti, aveva gettato l'ancora
tra i due pilastri, che sembravano garantirne l'incolumità.
Mirabello era dunque partecipe dei segni che don Bosco riceveva
dall'alto.
Vi è una lettera del Santo, in data 19 giugno 1864, che meglio di
ogni altro documento tratteggia lo spirito del Santo e i suoi rapporti
con Don Rua e i giovani di Mirabello.
Era intestata << al sacerdote Don Rua Michele e a tutti i miei cari
figliuoli di Mirabello D.
Tu, caro Don Rua - scrive Don Bosco - e tutti gli altri miei
amati figliuoli di Mirabello mi attendete per la festa di San Luigi; e vi
potete facilmente immaginare quanto grande sarebbe il piacere di
potervi accontentare. Ma ho alcuni affari in corso che me lo impedi-
scono assolutamente... Rimandiamo questo piacere per la prima
quindicina di luglio: allora potremo chiacchierare, ridere e scherzare
con qualche brindisi ».
Dati alcuni consigli opportuni proseguiva: « D o n Rua per conto
mio vi faccia stare allegri, prima in chiesa, poi a pranzo, infine con una

7 Pages 61-70

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7.1 Page 61

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... bella passeggiata Del resto io vi amo tutti nel Signore, e passano
poche ore al giorno senza che venga a farvi visita e a trattenermi con
Voi. Amiamoci, ma amiamoci per servire il Signore D.
La continua assistenza di Don Bosco sopperiva alla giovane età di
Don Rua e lo aiutava nel governo.
I1 suo ufficio, al centro della casa, era facilmente accessibile a tutti
e gli consentiva di accorrere subito ove fosse necessaria la sua presenza.
D'altronde Don Rua non si contentava di aspettare che si andasse
da lui o di seguire le cose da lontano. Nulla sfuggiva a1 suo occhio
vigile: non la pulizia delle camerate, delle aule, delle persone; non i
registri di amministrazione; non le decurie scolastiche, le quali voleva
controllare spesso; non gli stessi compiti e l'ampiezza delle lezioni che
gl'insegnanti assegnavano agli alunni. Questo faceva per stringere in-
torno alla sua persona confratelli ed alunni che gli erano sempre più
devoti.
Non tutto però era perfetto tra quel gruppo di educatori alle prime
armi dell'apostolato. La loro età, ancora troppo giovane, dava adito a
qualche deficienza e più di una volta li fece cadere in errore. Di questi
errori però si prendeva subito nota sulla «Cronica della casa », secondo
il consiglio di Don Bosco, e si faceva in modo di non ripeterli più per
l'awenire.
In questa famosa Cronica c'era un po' di tutto: non solo si annota-
vano gli errori dell'inesperienza, ma anche le osservazioni sui rapporti
tra il collegio e le autorità; tra il collegio, i parenti, i fornitori; le di-
sposizioni riguardanti i programmi scolastici, le solennità dell'anno, i
trattenimenti musicali e letterari, le misure d'igiene ispirate dalla
prudenza. Una specie di giornale di bordo che giovasse a prevenire in-
convenienti e disordini, e a facilitare la disciplina e la osservanza re-
golamentari.
*
Tra i consigli dati da Don Bosco al suo giovane direttore ce ne fu
uno solo che Don Rua trasgrediva o eludeva abilmente. «Concediti
almeno sei ore di sonno », aveva prescritto il fondatore, ma spesso
l'awertimento non era tenuto in considerazione. Dalla casa di fronte,
ove abitava un cooperatore salesiano, si scorgeva la finestra della ca-
meretta di Don Rua e capitava spesso di vederla illuminata sino alle

7.2 Page 62

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ore piccole. I1 brav'uomo lo riferì a Don Bosco e questi al Beato che,
per « discolparsi », disse di non potere fare diversamente: Troppe
preoccupazioni, troppo lavoro per andare a letto prima di mezza-
notte ».
Inoltre per mantenere il buono spirito in casa, all'esempio di vita
e al fervore della preghiera, Don Rua aggiungeva veglie di penitenza.
Questo ottenne che da Mirabello uscissero in poco tempo numerosi
candidati al seminario di Casale Monferrato, i cui alunni da poche unirà
oltrepassarono in breve il centinaio.
Qualche volta, Don Rua si trovò nella dura necessità di espellere
qualche ragazzo dal collegio. Lo faceva con viva trepidazione, pensando
alla sorte di quei giovani che ripiombavano nel turbine della vita.
Arrivava alla decisione estrema soltanto dopo lungo pazientare e dopo
avere usato tutte le armi della bontà paterna. Continuava a sperare
fino all'ultimo che l'atmosfera della casa, il buon esempio dei compagni
e dei maestri avrebbe prodotto il salutare rimorso. Molti di quei
figli prodighi finirono col tornare alla casa del Padre.
Nel 1909, il venerando Don Francesia si trovava per ragioni d'esami
nell'alto Monferrato. In una scuola secondaria fu avvicinato da un
professore che, dopo essersi presentato, gli affidò una commissione ri-
servatissima per Don Rua, che giaceva a letto, prossimo alla fine.
« Ero a Mirabello nel 1865 - disse quel professore. - Con la mia
pessima condotta ero un continuo motivo di dolore per il nostro buon
Don Michele. Le mie mancanze non si contavano. Ero giovane, è vero,
però sapevo bene quel che facevo. Tuttavia egli mi sopportò più di
quel che avrebbe fatto mio padre stesso. Per toccarmi il cuore e farmi
cambiare condotta, ebbe parole che avrebbero intenerito c unque
altro. Ma non si arrivò a nulla e bisognò licenziarmi. Ricordo ancora il
mattino della mia partenza: io mi atteggiavo a indifferente e ostentavo
anzi una certa aria di insolenza. Però, appena fui solo sulla strada,
scoppiai in singhiozzi. Da allora sono passati quasi quaranracinque anni.
Per mia fortuna, mi sono ravveduto assai presto, ho ritrovato il cam-
mino della fede e della pratica dei sacramenti. Ho educato crisriana-
mente la mia famiglia, molto numerosa, e nel limite del possibile
aiuto la mia parrocchia nelle opere di carità. Ma non voglio fare il mio
panegirico: semmai intendo fare quello di Don Rua, perché è lui che
mi ha salvato. Dopo la partenza dal collegio ne ha fatto ancora delle

7.3 Page 63

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grosse a Torino. Poi, ravvedutomi, ho potuto prendere una laurea
con la quale guadagno onestamente il pane per me e per i miei figli)).
Nel fare questa confessione l'uomo piangeva come un fanciullo.
<< Le ho detto queste cose -aggiunse ancora tra i singhiozzi-perché
lei possa riferirle a Don Rua. Lo assicuri che sono tornato ad essere
un buon cristiano: sono certo che questa notizia gli farà piacere ».
Giunto a Torino, Don Francesia si affrettò a visitare Don Rua e gli
narrò l'accaduto.
- Sai chi ho incontrato ieri? U n tale... che fu tuo allievo a Mira-
bello. Lo ricordi?
- Sì, sì, lo ricordo benissimo. Ebbene?
- Mi ha incaricato di chiederti perdono e di &rti che da un pezzo
ha ritrovato il cammino della virtù e la pratica della vita cristiana.
- Che Dio sia lodaro per questa consolazione! - esclamò il vec-
c o prete. - Avevo dimenticato da molto tempo tutti i dispiaceri
che quel ragazzo mi aveva procurato. Tocco con mano una volta di più
che non bisogna mai dubitare della misericordia di Dio. Se non è oggi,
sharià domani, ma essa ci raggiunge sempre.
Spine dunque, non mancarono anche negli anni felici di Mirabello,
ma le rose furono assai di più: la prima casa salesiana fondata fuori
di Torino fu uno dei più fecondi vivai della nascente Congregazione.
Trasferita, dopo sette anni, ad alcuni chilometri di là, a Borgo San
Martino, continuò ad alimentare i seminari e i noviziati salesiani.
Fu con dolore che nelliautunno del 1865 Don Rua dovette lasciare
l'ospitale borgo di Mirabello. A Don Bonetti che gli chiedeva un
pensiero, un ricordo, nell'assumere il compito della direzione, disse
soltanto: Un consiglio? Eccoti il migliore che possa darti: ama tutti
questi ragazzi, come ho cercato di amarli io. Sono tutti quanti ottimi
figliuoli ».Nel dir così, le lacrime gli inumidivano gli occhi. << Quanto
ai confratelli - aggiunse - trattali come se tu fossi il loro fratello
maggiore ».

7.4 Page 64

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CAPO IX
Prefetto Generale
I1 primo posto all'oratorio dopo Don Bosco era quello di Don
Alasonatti, Prefetto Generale della Congregazione.
Se non che nel 1865 la sua salute cominciò a declinare. Nel maggio
il Santo scriveva a Mirabello: << Mio caro Don Rua, il Signore ci vuol
mettere alla prova; ho molto bisogno che tu preghi e faccia pregare i
tuoi giovani per me. Don Alasonatti è ad Avigliana ».
Nel mese di luglio insisteva: <( Mio caro Don Rua, siamo messi a
dura prova, ma facciamoci animo: dopo il turbine spero serenità e
calma. Lo stato dei nostri ammalati m'impedisce di recarmi a Mirabello
come desideravo. Vedremo quel che vorrà Dio. Don Alasonatti, assai
male ».
La prudenza voleva che si pensasse alla sostituzione; e la scelta
non poteva cadere che su Don Rua. In agosto Don Bosco diceva al suo
figlio primogenito che tosto l'avrebbe raggiunto a Mirabello con animo
di portarlo «sulle sue spalle a Torino. L'ordine era chiaro: Ac-
comoda le cose in modo che non vi siano difficoltà ».
I1 richiamo de tivo awenne in settembre, mentre il Beato ordi-
nava il collegio di Mirabello per il ritorno dei giovani e l'avvio del
terzo anno scolastico.
Da solo, Don Bosco, ormai sui cinquant'anni, con la salute un po'
scossa, rischiava di soccombere sotto il peso delle sue incombenze.
Non bisogna infatti dimenticare che in quell'anno il Santo sosteneva,
oltre i tre Oratori torinesi, i due collegi di Mirabello e di Lanzo e in più
la costruzione del grandioso santuario di Maria Ausiliatrice destinato
a sostituire la chiesetta di San Francesco di Sales e ad assicurare il servi-
zio religioso a tutto il quartiere di Valdocco.

7.5 Page 65

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Su sette giorni, Don Bosco ne passava almeno tre in viaggio, sempre
in cerca di mezzi fmanziari, di appoggi, di collaboratori. Le udienze,
da sole, lo assorbivano per tutta la mattina, la corrispondenza cresceva
a vista d'occhio, menme la sua penna non cessava di dare lavoro alla
tipografia e continuavano i giri di conferenze spirituali in tutto il Pie-
monte. Non ne poteva letteralmente più.
Era più che mai necessario al suo fianco una persona capace di so-
stituirlo, almeno nelle questioni amministrative e disciplinari.
Questa persona non poteva essere che Don Rua: due anni di eser-
cizio pieno dell'autorirà lo avevano preparato ancor più a quella carica.
La prova che aveva dato a Mirabello era tale da suscitare l'ammirazione
generale: dal suo ritorno a Torino molti si aspettavano riforme che
apparivano urgenti.
Don Alasonatti era un sant'uomo, tutti d'accordo: carattere ada-
mantino e perfetta dirittura morale; sotto il suo regime, soprattutto
negli ultimi tempi in cui la salute cominciava a vacillare, molte cose
all'Oratorio non erano andate per il verso giusto. Occorreva un soffio
di vita nuova per risollevare le sorti di una casa con settecento interni.
Sedere al tavolo di Don Alasonatti equivaleva per Don Rua assu-
mere ituianzi tutto l'amministrazione del170ratorioe diventare, come si
è accennato, la seconda autorità della casa e della Società Salesiana,
awiata a sicuro e rapido sviluppo, nonostante ostiliti, incomprensioni e
immancabili defezioni.
Ma Don Rua non era uomo da badare alle cariche per l'onore che
importavano: le vedeva in funzione del lavoro che impongono.
Nel rientrare all'oratorio e nel mettersi al fianco del fondatore
egli capi di dover nascondersi nella sua ombra, accrescere l'aureola
della sua paternità e attingere solo da lui lo spirito dell'opera.
Don Francesia così parla del ritorno di Don Rua a Valdocco: « Tornò
ad essere più largamente il segretario, il confidente, l'aiutante di Don
Bosco ».
Seppe innanzi tutto agire con tatto e carità nella riforma della
disciplina instaurata fra gli studenti. Attese qualche mese prima di fare
innovazioni. Pensava giustamente che prima di operare bisognava
avere ponderato bene i mezzi a disposizione. << Un colpo di timone
troppo brusco - diceva- può fare capovolgere in un attimo la barca ».
Del resto, lavoro per occupare le sue ore non gli mancava, dovendo

7.6 Page 66

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occuparsi anche dei trecentocinquanta artigiani e dell'andamento dei
loro laboratori, con la relativa contabilità.
Don Bosco gli aveva inoltre a5dato la sorveglianza del cantiere
della chiesa di Maria Ausiliatrice e l'incombenza di calmare, almeno
parzialmente, gli appaltatori un po' troppo esigenti. Gli aveva anche
lasciata la responsabilità completa delle « Letture Cattoliche »: i li-
bretti mensili che si proponevano la difesa e la propagazione della
fede tra il popolo. L'onere non era lieve: mese per mese bisognava spe.
dire ai dodicimila abbonati racconti attraenti e istruttivi, scritti nello
stile più semplice e comprensibile possibile.
Continuava inoltre a occuparsi di gran parte dell'enorme corrispon-
denza del Padre. Eppure, sembrava felicissimo di avere ritrovato a
Torino, accresciute, le sue incombenze di un tempo.
La sua grande, la sua unica preoccupazione continuava a essere
quella di alleggerire il lavoro di Don Bosco e permettergli così di at-
tuare liberamente i disegni che il Signore gli ispirava.
Quando si sentì del tutto sicuro di potere reggere la carica, o meglio,
le cariche che il maestro gli aveva messo sulle spalle, Don Rua pensò alle
riforme interne attese con ansia da tutti.
La disciplina di una casa salesiana è certo tra le meno esigenti:
non richiede se non ciò che è strettamente necessario al funziona-
mento regolare di una comunità. Questo minimum non era tuttavia
raggiunto quando Don Rua prese in mano le redini del governo. Chi
se ne meravigliasse, dimenticherebbe le origini straordinarie di questa
opera. Attraverso una serie quasi insensibile di metamorfosi, l'oratorio
di San Francesco di Sales, con le sue due sezioni di studenti e di arti.
giani, si presentava nel 1865 come un possente organismo, esuberante
di vita.
In principio, come vedemmo, non era stato che un semplice ora-
torio: su questo si era innestato una specie di collegio da cui per anni
i giovani partirono ogni mattina per la scuola o il lavoro in città.
L'imporre a quei ragazzi un regolamento con pretese di rigore
sarebbe stato avventato, poiché ne sarebbe risultato un contrasto tra
la libertà di fuori e la costrizione di dentro. Don Bosco vi si adattò fa-
cilmente, in quanto per temperamento inclinava verso questa forma di
vita quasi familiare. Si limitò pertanto a esigere l'ordine e il silenzio in
cappella, nello studio, nelle camere; per il resto chiudeva un occhio.

7.7 Page 67

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Più tardi, quando Valdocco divenne un quartiere autosufficiente con
scuole e laboratori interni, quelle forme di vita di famiglia continuarono,
in una forma che ad alcuni poteva anche sembrare disordine.
Don Rua, seppure con grande tatto e prudenza, cominciò a fare
scomparire certe abitudini di eccessiva confidenza, divenute ormai in-
compatibili con il numero degli allievi e il loro ritmo di vita. Seppe poi
sostenere con una costanza instancabile l'evoluzione verso una riforma
basata su una maggiore vigilanza. « N o n si muove foglia in casa senza
il permesso di Don Rua - osservava qualcuno - Lo si incontra dap-
pertutto, serio, calmo, oculato, di giorno e di notte D.
Si pensi, per misurare l'ambiente e le diacoltà che presentava,
che alcuni dei ragazzi erano stati affidati a Don Bosco dalla polizia
stessa, per tentare un ultimo esperimento di inserimento sociale.
« Don Rua era amato - scrisse un allievo di quei tempi - perché
ci trattava rutti bene, e anche quando doveva fare qualche correzione
raddolciva l'amaro con il dolce e soleva premettere le lodi ai biasimi
e ricordare i meriti precedenti e le speranze future ».
Le molteplici e sagge riforme apportate alla vita e alla disciplina
dell'oratorio permisero a Don Bosco di assentarsi più a lungo; e ne
aveva grande bisogno. La chiesa di Maria Ausiliatrice ric edeva grosse
somme e il Santo era spesso nella necessità di mettersi in viaggio per
l'Italia alla ricerca di fondi.
Oltre a questo, l o sollecitava il problema del riconoscimento defini-
tivo della Società Salesiana. Si era ormai nel 1867, erano passati dieci
anni dalla prima visita a Pio IX, e si era fatto un solo, piccolo passo in
avanti. Nel 1864, cioè, era stato emanato il ((Decreto di lode » che esor-
tava i membri della Società a perseverare nella loro decisione; era qual.
cosa, ma non ancora tutto: per questo Don Bosco dehciise di recarsi
nuovamente a Roma.
Con Don Rua al timone della casa, poteva permetterselo e così, il
7 gennaio di quel 1867, partì in compagnia di Don Francesia. Ritornò
due mesi dopo, a mani vuote, ma con il cuore pieno di speranza, per-
ché le difficoltà più gravi sembravano superate.
Ebbe anche una bella sorpresa al suo rientro, una sorpresa che non
aveva avuto al suo ritorno precedente: ritrovò i suoi figli gai, affet-

7.8 Page 68

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tuosi, laboriosi, pii come li aveva lasciati alla partenza. I1 buon anda-
mento della casa era stato assicurato in quei due mesi: con la consueta
discrezione Don Rua aveva ben lavorato.
Per il 9 giugno dell'anno dopo si fissò la consacrazione del grande
santuario di Maria Ausiliatrice.
La preparazione della solennita fu aadata al solito, infaticabile Don
Rua che dovette assumersi, oltre il lavoro orgznizzativoanche l'impegno
liturgico dellrOttava di preparazione. Per tutto un mese non dormì
più di tre, quattro ore per notte; l'eccesso di lavoro fuil per spossare
definitivamente un organismo già provato in tutti i modi. Una mattina
di luglio, sul portone dell'oratorio, cadde nelle braccia di un amico
che glistava al fianco;trasportato in camera parve riaversi, ma il migliora-
mento fu di breve durata: tosto si manifestò una peritonite allarmante
che lo portò in fin di vita. E Don Bosco era assente!
Quando il fondatore tornò, la dolorosa notizia gli fu porta sulla
soglia di casa, ma non sembrò preoccuparlo eccessivamente. Era la
vigilia dell'esercizio della Buona Morte: invece di dirigersi in infer-
meria, andò diritto in sacrestia a confessare i ragazzi che lo aspettavano.
Ne uscì molto tardi. Allora lo invitarono di nuovo e con insistenza a
recarsi al capezzale dell'ammalato che peggiorava di ora in ora. Ma
Don Bosco, sorridendo, andò in refettorio per consumare serena-
mente la sua parca cena e poi salì in camera a posare le sue cose. Solo
allora sembrò ricordarsi del discepolo prediletto.
Appena questi lo vide accanto a sé: - Oh, Don Bosco-sussurrò:
-. - e così, è davvero venuta la mia ultima ora?
- Non abbia paura a dirmelo, sono pronto a morire Mio caro
- disse sorridendo il Santo - io non voglio che tu muoia. Hai ancora
molto da lavorare-. Lo benedisse e lo lasciò.
La mattina seguente, dopo la messa, tornò a visitarlo e a tenerlo
allegro con qualche barzelletta; il medico curante aveva intanto per-
duto ogni speranza e non ne faceva mistero.
- l? forse anche più grave di quello che lei pensa - gli replicava
Don Bosco - Ma Don Rua deve guarire. Ha ancora troppe cose da fare
con me.
Vedendo sul tavolo la borsa dell'olio Santo: - Che cos'è questo ? -
domandb. - Chi ha avuto questa idea?
- Sono io, Don Bosco- disse il chierico Savio facendosi avanti-
Se lei avesse visto Don Rua ieri sera! Era una cosa da far pietà, il medico
stesso...

7.9 Page 69

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- Ah, gente di poca fede! Senti, Don Rua, senti bene: anche se ora
ti buttassero giù dalla fiestra, così come sei, ti assicuro che non mori-
resti.
Infatti di a pochi giorni, a dispetto di ogni previsione della scienza,
l'ammalato era fuori pericolo.
Quando poi fu in grado di fare qualche passo, i ragazzi che già
gli avevano manifestato il loro d e t t o pregando intensamente per lui,
distesero sotto i portici il più bel tappeto della casa, vi posero sopra una
poltrona e, fattolo sedere, fecero avanzare la banda che suonò i suoi
pezzi migliori.
Quindi, a turno, artigiani e studenti gli esternarono la gioia di vederlo
ritornare tra loro, promettendo di corrispondere sempre meglio alla
sua bonti. Don Rua, sopraffatto dalla commozione, poté appena
balbettare qualche parola di ring'raziamento. Alcuni giorni dopo partiva
per Trofarello, a qualche chilometro da Torino. Un benefattore del-
l'Oratorio gli offriva ospitaliti nella sua villa; e quel soggiorno di alcune
settimane in campagna gli ritemprò le forze per le fatiche e i sudori
che l'attendevano.

7.10 Page 70

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CAPO X
Due Santi al lavoro
I1 1869 segna una data memoranda per la Congregazione Salesiana.
Dopo undici anni di studi e discussioni, il lo marzo la Santa Sede ap-
provava ufficialmentela nuova società religiosa. Un trionfale soggiorno a
Roma di Don Bosco aveva appianato gli ultimi ostacoli.
Fu un trionfo; ma altri due arrideranno ancora alla giovane Congre-
gazione: l'approvazione delle Regole, nel 1874, e il privilegio dell'esen-
zione dai vescovi, nel 1884.
Intanto la famiglia miracolosa », come volle battezzarla Pio IX,
cresceva continuamente di numero: il granello di senape stava svilup-
pandosi ormai in solida pianta.
Nel 1869, la Società contava già ventisei professi perpetui, trenta-
tré professi triennali, trentun novizi.
Per dieci anni Don Bosco aveva vegliato personalmente questo
ininterrotto sviluppo, seguendolo con trepidazione. Ma ora doveva
affidare ad altri l'incarico di iniziare a formare i novizi allo stato religioso e
all'educazione della gioventù. Chi meglio di Don Rua poteva svolgere
questo compito tanto delicato? Chi infatti meglio di lui incarnava
lo spirito del Fondatore? E così per sei anni, cioè fino al 1875, anno
in cui l'incarico passerà a Don Barberis, sarà Don Rua ad attendere a
questo compito con cura ed amore esemplare.
11 noviziato salesiano presentava in quegli anni un aspetto parti-
colare. Don Bosco, desideroso di accrescere rapidamente i1suo esercito
di educatori, aveva ottenuto da Pio IX un privilegio eccezionale: far
compiere, per alcuni anni, ai suoi collaboratori il tempo di prova
non in un noviziato a parte, ma in una casa salesiana in piena attività.
Nel corso di un anno il novizio, senza quasi awedersene, parte.
cipava e s'inseriva nella vita della comunità: faceva la sua meditazione
quotidiana, la lettura spirituale, ascoltava ogni giovedì sera la conferenza
di Don Kua sulle virtù religiose. Si lasciava inoltre plasmare e correg.

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gere dal suo maestro, finché un bel giorno questi, reputandolo meritevole
di essere ammesso fra coloro che stavano con Don Bosco, lo awertiva
che in settimana avrebbe emesso, davanti d fondatore, i primi voti
religiosi.
La formazione che Don Rua impartiva non era solo teorica ma era
strettamente legata alla pratica del lavoro salesiano. Sull'esempio di
Don Bosco, Don Rua faceva un po' come il maestro di nuoto che per
addestrare l'allievo gli dà delle norme teoriche, ma poi lo butta in
acqua, sensa però perderlo di vista un istante.
Conviene sentirlo da chi ne fece l'esperienza. <Per prima cosa
- raccontb Don
Vespignani venuto all'oratorio dalla dio-
cesi di Imola, già sacerdote, - Don Rua sperimentava i candidati,
assegnando loro qualche classe di catechismo o agli interni o agli orato-
rimi; per me, usò la distinzione di assegnarmi i primi. Capii facil-
mente quanto fosse ragionevole cominciare donde aveva cominciato
Don Bosco. La classe assegnatami si componeva delle due sezioni riu-
... nite di prima ginnasiale, sessanta per sezione: i centoventi ragazzi si
pigiavano in un'aula, per sé, abbastanza grande; ma per tanti frugoli!
«Mi preparai all'uso del seminario, con la mia brava introduzione
divisa in tre punti: importanza del catechismo, vantaggi che si rica-
vano da tale studio, maniera di applicarvisi. Detta la preghiera e pro-
nunziate poche parole, ecco fra la mia scolaresca (tutti ragazzi nuovi,
poco awezzi alla scuola e nulla al collegio) serpeggiare un mormorio
o chiacchierio sordo, ma persistente che con un crescendo inquietante
copriva la mia debole voce, sicché non potevo più andare avanti.
C'era bene qualcuno in mezzo a tanti che, guardandomi con compas-
sione, faceva cenno ai compagni di star zitti e ascoltarmi; ma inutil-
mente. Io più volte m'arrestai di botto, e si calmavano un istante;
alzai anche la voce, e mi guardarono con sorpresa; poi o di qua o di
il chiasso di bel nuovo sopraffaceva la spiegazione del povero cate-
chista, che nervosamente aspettava il termine della lezione. Sonò 6 ~ 1 -
mente la campana! Detto l'agimus, scoraggiato, me ne uscii dalla bene-
detta scuola, mentre i giovani stessi avevano dipinto negli occhi e nel
volto un senso di pietà per la mia dolorosa situazione.
«Corsi subito da Don Rua a narrargli l'infelice esito della mia
prova; ma egli, sorridente secondo il solito, volle farmi coraggio, di-
cendomi:
- Oh, guarda, questo succede a tutti la prima volta, perché non
si conosce si può subito misurar bene l'ambiente; ma la seconda
volta certo, certo ti andrà meglio.

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- Oh, Don Rua! L'ambiente io l'ho già misurato, ed esso pure ha
misurato me. C'è poca speranza che le cose vadano bene. Sono troppi
i ragazzi; sono tutti nuovi; io ho i polmoni deboli, il carattere tutt'altro
che forte, pratica nessuna...
- Caro! Rifà la prova quest'altra domenica: vedrai che ti andrà
meglio. Poi, ti aiuteremo. Tu cercati qualche bell'eseinpio da raccontare;
così ti guadagnerai l'attenzione ».
Questi ed altri suggerimenti, e soprattutto la continua frarema as-
sistenza di Don Rua aiutarono il giovane sacerdote romagnolo a diven-
tare un ottimo salesiano e uno dei patriarchi della Congregazione in
Argentina.
A partire dal 1869 Don Bosco si vide anche nella necessità di riversate
su Don Rua compiti che aveva riservato a sé.
Cominciò col lasciargli la predicazione domenicale ch'egli aveva
tenuto per circa un trentennio, e che Don Rua sostenne a sua volta per
vent'anni.
Il modo di parlare in pubblico del Beato rifletteva la sua anima.
La sua predica era chiara, ordinata, eminentemente pratica. Niente
retorica, niente modulazione di voce, pochissimi gesti. Dottrina sem-
plice che mirava soprattutto a illuminare le menti, lasciando alla gra-
zia di muovere i cuori. Chi lo conobbe da vicino asseri che Don Rua
era nato professore, tanto la preoccupazione della limpidezza e del-
l'ordine trasparivano dal suo dire.
Perciò quando nel 1870 Don Bosco istituì nell'Oratorio i corsi di
teologia per i suoi chierici, Don Rua vide cadere sulle sue spalle l'inse-
gnamento della Sacra Scrittura.
Nel 1872 Don Bosco gli chiese un nuovo sacrificio. I1 Governo,
avendo deficienza di professori per le scuole secondarie, si disponeva a
bandire, per i primi di ottobre una sessione straordinaria di esami.
L'occasione era propizia; e Don Bosco pregò Don Rua di parteciparvi.
L'awenire si annunziava torbido; le intenzioni ostili del Governo, che
da poco si era insediato a Roma, erano molto chiare. Bisognava aspet.
tarsi rutto, e in particolare una legislazione scolastica più o meno awersa
alle scuole tenute dai religiosi. Era urgente quindi fornirsi più che fosse
possibile di diplomi per parare i colpi avversari.
Queste previsioni e le relarive misure fanno riconoscere in Don Bosco
l'uomo di governo, anzi l'uomo che precorre i tempi. Ma per Don

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Rua aggiungere anche questa alle altre fatiche, significava assottigliargli
fatalmente le notti e il sonno. E poi, Don Rua non era più giovane:
trentacinque anni! A quell'età e da tanto tempo non più a contatto
coi libri, avrebbe trovato nella sua mente la pieghevolezza necessaria per
prepararsi a un esame di concorso?
Don Bosco sapeva però quel che faceva. Conosceva la preparazione
remota del suo discepolo, e ne apprezzava la memoria, il metodo e la
tenacia nel lavoro. I fatti dimostrarono quanto la scelta fosse indovi-
nata. A dispetto di una commissione per nulla incline e promuovere
un candidato così notoriamente awerso alle nuove idee, Don Rua
superò gli esami senza difficoltà.
L'esame orale poi fu così brillante, che l'abate Peyron - l'unico
prete che facesse parte della commissione - esclamò: << Con sei alunni
come questi, io aprirei un'università )).
Dopo questo trionfo Don Rua tornò a dedicarsi al suo lavoro quo-
tidiano, fatto di mille incombenze. Fra le altre c'era la confessione dei
giovani cui attese per trent'anni, fedelmente, ogni mattina. Finché
visse Don Bosco, egli si limitò ad affiancarlo, ma quando il Santo
venne meno, ne prese il posto, e ogni giorno lo si poteva trovare là,
nella sacrestia di Maria Ausiliatrice, fra le due porte che immettevano
nel Santuario. 11 numero e l'assiduità dei piccoli penitenti testimoniava
la venerazione che nutrivano per Don Rua e il profitto che ricavavano
da quell'anima di sacerdote santo.
Uno di essi attesta: «Bisognava sentirlo nei colloqui privati su
cose spirituali! Si capiva allora, e io ne feci molte volte l'esperienza, il
valore che dava alla santificazione delle anime e il desiderio che aveva
di comunicare Dio D.
Uscito però di chiesa, Don Rua tornava al turbine delle sue attività,
ridiventando l'uomo della disciplina in una grande casa d'educazione.
Egli voleva introdurre all'oratorio un ordine sempre più perfetto,
correggendo abusi e facendo regnare l'obbedienza, nella sua forma mi*
gliore di cosciente docilità. Applicava le misure disciplinari con volontà
ferma e insieme soave; le sue visite soprattutto nei vari locali della casa
erano numerose e inattese, a qualsiasi ora: come il vigile servo del re-
golamento.

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Non si creda tuttavia che questo sorvegliare giovani e confratelli,
studenti e artigiani lo rendesse esoso. Era esigente ma non importuno;
possedeva in grado non ordinario l'arte della correzione. Sapeva
cogliere il momento buono; dove bastavano due parole, non ne pro-
feriva tre, adattava il suo dire alle varie indoli; non perdeva mai la
calma, ispirata non da freddo calcolo, ma da sincera bontà e dal desi.
derio di non umiliare il colpevole.
Ciò che gli spianava la via a correggere gli altri era l'essere egli
specchio di osservanza: Tutti lo vedevano. Don Rua più che l'autorità
era la Regola uiuente. Lo stesso Don Bosco lo giudicava così.
Al momento della ricreazione però ques'uomo che in chiesa era
rutto assorto in Dio e nella sorveglianza pareva austero, diventava il più
gaio e allego dei superiori: giuocava coi giovani e con loro lietamente
cantava nelle sere d'estate o si intratteneva in amene conversazioni.
A misura che il tempo passava e la Congregazione dilatava le tende,
il Beato ebbe anche l'incombenza di accompagnare Don Bosco nei giri
di ispezione alle nuove case aperte in quegli anni: Alassio nel 1870.
Varazze e Sampierdarena nel 1872.
Don Bosco sapeva bene che i primi anni sono i più delicati, che
gli istituti, come i bambini, abbisognano di ogni cura, e non mancava
di portare il conforto della sua presenza, lo stimolo del suo zelo nelle
case appena fondate.
La parte del « censore » toccava a Don Rua, il quale compiva il
suo compito con quel senso del dovere e quella cura minuziosa che
furono caratteristiche del suo lavoro. Così egli si interessava all'aspetto
religioso della vita comunitaria, alla moralità degli alunni, alla pulizia
e allo stato sanitario della casa, non mancando, qualche giorno dopo
la visita, di far giungere ai direttori degli istituti visitati una lettera in
cui erano segnalate in forma soave ma ferma le correzioni ritenute ne-
cessarie.
A queste incombenze altre se ne aggiungevano via via, secondo le
esigenze del momento. Sostituì Don Cagliero, partito per la Patagonia,
come direttore spirituale delle Figlie di Maria Ausiliatrice, dopo aver
collaborato a fianco di Don Bosco nella fondazione di questa congrega-
zione femm le; lo aiutò nelle prime partenze dei missionari, nella
creazione dell'unione Cooperatori Salesiani, nel lancio del Bollettino

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Salesianoe in altre cento opere. Tutto questo lavoro egli non cercava mai
di schivarlo, guidato da quel dolce sentimento di rispetto verso Don
Bosco, inteso ad alleggerire le fatiche del Padre.
In tutte le cariche esercitate in quegli anni per assicurare il buon
andamento dell'oratorio e delle nascente Congregazione, Don Rua
riuscì a meraviglia, anche se la sua dolce ma inflessibile severità causava
talora un po' di sconcerto fra i giovani e chierici.
Don Bosco, al quale nulla sfuggiva, tentava qualche volta di mitigare
quel lato del carattere di Don Rua. Sentite che sogno ho fatto stanotte
- raccontava una mattina a colazione- mitrovavo in sacrestia e volevo
confessarmi. Ma c'era solo Don Rua e allora, a dirvi la verità, proprio
non ho osato chiedergli di confessarmi per paura della sua severità e
me ne sono andato di soppiatto P. I1 richiamo era così ben dissimulato
che ne risero tutti i presenti, compreso Don Rua, il quale comunque
continuò a vegliare come sempre sulla disciplina della casa.
Bisognava però evitare che quello zelo, eccellente sotto un punto di
vista, finisse per alienargli le simpatie generali. Così il Santo, che ben
sapeva che Don Rua sarebbe stato il suo successore, decise nel 1872
di nominare Don Provera prefetto di disciplina sollevando Don Rua
dall'incarico e affidandogli la carica di direttore, da lui stesso ritenuta
fino a quel momento.
Di punto in bianco Don Rua abbandonò l'ufficio e il cipiglio del
vigile censore. Questa nuova mansione però non doveva mantenerla
per molto tempo, ché nel 1875 Don Bosco si accorgeva che ormai non
poteva più badare da solo agli interessi generali della Congregazione.
Ci voleva un aiutante, uno che Don Bosco potesse considerare un altro
se stesso, uno con cui poter fare a metà. Così una sera, dopo le pre-
ghiere, annunciò la sua decisione agli alunni, e designò direttore Don
Lazzero, in modo da potersi egli rimettere totalmente per i problemi
più importanti come per le questioni di minor entità a Don Rua. Era
l'ora di attuare pienamente la profezia che Don Bosco aveva fatto nel
1847 al piccolo Michele: fare, cioè, tutto a metà con lui.
A seguire passo passo il corso dell'esistenza di Don Rua si potrebbe
credere facilmente che essa fosse guidata da un'idea dominante: ripro-
durre completamente il modello che si era prefisso. E questo era vero,

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ma non al punto di fondersi in Don Bosco, di rinunciare alla sua spic-
cata personalità.
Nulla c'era di più diverso, nell'intimo, di questi due uomini che
vivevano e lavoravano fianco a fianco. Don Rua, pieno di ammira.
zione per il Padre, non si preoccupava d'altro che di sottrargli il segreto
di quella prodigiosa attività. Don Bosco s'appoggiava al figlio e com-
piaciuto vedeva svilupparsi in lui non comuni qualità di mente e di
cuore. Ma in fondo ognuno rimaneva quel che era.
Un esempio della diversità dei due caratteri è offerto da un brano
tratto dagli (<Annalidell'Oratorio >>, datato 29 aprile 1878. Don Bosco
in quei giorni era oppresso dalle preoccupazioni finanziarie. Una lot-
teria da lui bandita non aveva reso quasi nulla, l'eredità lasciata dal
barone di Barhania non si riusciva a venderla: e pochi giorni dopo c'era
una scadenza di centomila lire da pagare.
Quella sera, a cena, egli ne parlava con i confratelli, cercando di
capire la causa della eccezionale penuria di denaro. Era presente anche
Don Rua, il quale certo non sospettava che quel discorso fosse preparato
per lui.
Don Bosco a un tratto gli si rivolge e gli chiede:
- È vero ciò che mi si dice, Don Rua ? Che i nostri creditori ti do-
mandano denaro e tu li mandi via a mani vuote?
- E come potrei fare diversamente?Dò quel che ho, ma se la cassa
è vuota...
- Se è così vendiamo i titoli che abbiamo e cerchiamo di placare i
creditori più insistenti.
- In parte si è già venduto, ma cedere proprio tutto sarebbe un'im-
prudenza. Potrebbero capitare dei bisogni improvvisi e noi non sa.
premmo come prowedere.
- Sarà il Signore a prowedere. E nell'attesa paghiamo i debiti più
urgenti.
- Ho fatto i conti: ho appena di che pagare,fra due settimane, una
scadenza di ventottomila lire. È per questo che da qualche tempo cerco
di raggranellare e metter da parte un po' di soldi.
- Ma è una pazzia non pagare i debiti di oggi per raccogliere la
somma di un debito che scadrà fra quindici giorni!
- Ma i debiti di oggi possono aspettare, Don Bosco. Quell'altro,
invece, non ammette proroghe.
- Ti ripeto che ci penserà il Signore. Cominciamo col liberarci del
denaro che abbiamo. Se raccogliamo in vista dei bisogni futuri noi
offendiamo la Divina Prowidenza.

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- Ma Don Bosco, la prudenza non ci consiglia di pensare all'av-
venire? Con l'imprevidenza si va dritti filati al fallimento.
- Ascolta bene Don Rua: se vuoi che la Divina Prowidenza abbia
cura di noi, vai a prendere mtto quel che abbiamo e soddisfa oggi i
debiti che abbiamo. Le preoccupazioni del domani lasciamole nelle
mani di Dio.
E, dopo qualche istante, Don Bosco come parlando a se stesso,
concludeva così la discussione: È una disdetta, non ho ancora trovato
l'economo che ho sempre sognato, l'economo che si abbandona piena-
mente alla Divina Prowidenza, senza cercare di raccogliere per l'av-
venire. Se noi saremo imbrogliati un giorno per questioni finanziarie,
sarà perché avremo fatto troppi calcoli umani. È così: nella misura in
cui l'uomo si fa avanti, Dio si ritira... )>.
Niente più di questo dialogo vivace dimostra la diversità di tempera-
mento dei due apostoli: l'uno fiducioso nella Ptowidenza, concentrato
nel lavoro quotidiano, arditissimo nell'intraprendere; l'altro preveg-
gente, cauto, preoccupato di ridurre al minimo il campo dell'imprevisto.
Ma ambedue le personalità si armonizzavano nell'unità di un grande
amore, di una stessa impresa, di un medesimo ideale da raggiungere:
il bene delle anime e particolarmente della gioventù.

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CAPO XI
Il Padre muore
Nell'autunno del 1879 Don Bosco si trovava in visita al noviziato
di San Benigno (Torino). Un mattino gli venne il desiderio di recarsi a
Foglizzo, non molto distante, per salutare un vecchio amico. Per com-
pagno di viaggio si prese Don Cagliero, tornato da poche settimane
dall'Argentina dove nel 1875 aveva guidato la prima spedizione di mis-
sionari in America.
Presero posto sul povero calesse deli'oratorio e lungo il percorso
parlarono a sbalzi un po' di tutto. I1 biroccino » aveva oltrepassato
il guado dell'orco, un affluente del Po, dalle acque molto basse,
e attraverso l'alveo ciottoloso stava riguadagnando la strada - a
quell'epoca anche i brevi viaggi erano delle avventure disagevoli, -
quando Don Bosco rivolse a Don Cagliero una domanda a bru-
ciapelo:
- Se io morissi, chi credi che potrebbe prendere il mio posto?
- Caro Don Bosco, mi pare un po' presto parlare di queste cose;
Iddio non ci priverà certo così presto del nostro Padre...
- Ammettian~oche sia così, ma facciamo lo stesso l'ipotesi...
- In questo caso io non troverei che uno solo fra di noi in grado di
prendere il suo posto.
- Io ne troverei due o tre.
- In seguito, può darsi, attualmente no.
- E chi sarebbe questo tuo candidato?
- Mi dica lei piuttosto, quali sono i suoi tre?
- Te lo dirò dopo, prima dimmi il tuo.
- Don Rua, non c'è che Don Rua.
- Non t'inganni - disse Don Bosco, dopo aver mantenuto la
promessa e comunicata la sua terna - Noi non abbiamo dawero altri
che lui: è sempre stato il mio braccio destro.

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- I1 braccio destro soltanto? - incalzò Don Cagliero - Dica
pure la sua testa, il suo occhio, il suo cuore, signor Don Bosco. Egli
è il designato per eccellenza a prendere il suo posto quando Iddio vorrà
chiamarla in Paradiso.
*
Anche in altra occasione Don Cagliero pensò a Don Rua come suc-
cessore di Don Bosco.
Nel 1884, quando venne consacrato vescovo e inviato come Vicario
Apostolico della Patagonia, egli si recò dal Papa per esprimere il suo
ringraziamento e la sua devozione. Durante l'udienza privata Leone XIII
gli parlò anche di Don Bosco e del futuro della Congregazione.
«Don Bosco invecchia - disse il pontefice. - Bisogna dirgli che si
cerchi un Vicario che lo aiuti e ne raccolga lo spirito. Ogni istituto
ha uno spirito proprio che bisogna conservare e trasmettere integral-
mente se si vuole che esso continui a fiorire. Voi dovete prowedere a
ciò fui d'ora; è più facile, mentre è in vita il fondatore, conoscerne lo
spirito che deve animare l'Istituto >>.
Mentre il Papa mi confidava il suo pensiero - annotò Mons.
Cagliero - io pensavo in cuor mio: ecco, questo vale per Don Rua.
F i o a oggi egli ha compiuto mirabilmente questa funzione, non ha che
da continuare. È l'uomo indicato ».
Con Don Rua, il Santo aveva compiuto negli ultimi anni lunghi
viaggi che gli avevano consentito ampie discussioni, nel corso delle
quali il Padre aveva riversato nell'animo del figlio i suoi pensieri, i pro-
getti, i grandi ideali che lo animavano, la sua mente, il suo cuore. Erano
come i tocchi di perfezione per formarlo a sua immagine.
Così Don Rua aveva raggiunto i1 Santo nel gennaio del 1883 in Fran-
cia. Durante quella sua permanenza a Parigi Don Bosco fu per oltre un
mese l'uomo del giorno, verso il quale una forza, un fascino misterioso,
spingeva aristocrazia e popolo.
Nel luglio successivo Don Rua accompagnava Don Bosco anche in
Austria, dove avevano chiamato il Santo per assistere e benedire il
conte di Chambord, erede al trono di Francia, colpito da un morbo
misterioso che doveva portarlo alla tomba.
L'impressione che il Beato lasciava dappertutto non si allontanava
molto da quella che lasciava Don Bosco. Lo prova la lettera che la con-
tessa di Chambord scriveva al Servo di Dio poco dopo il suo fugace
soggiorno al castello di Froshdorf: << I1 ricordo dei due giorni che Don
Bosco e lei, caro Don Rua, hanno passato qui sarà sempre per noi caris-

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simo. Io mi rallegro che il loro ritorno si sia effettuato in buone condi-
zioni. Non me ne meraviglio, perché due anime sante come le loro
devono essere protette in modo particolare dagli angeli custodi ».
Quei lunghi e faticosi viaggi avevano però stroncato Don Bosco,
che nell'autunno del 1884 non era quasi l'ombra di se stesso. Fm dal
suo ritorno da Parigi si era delineata prossima la sua fme: il male avanzava
inesorabile, le gambe sostenevano a mala pena il Santo, il respiro era
affannoso, l'esaurimento generale si accentuava preannunciando il
collasso fmale.
Non erano solo i Salesiani a preoccuparsi della salute del Padre,
ma anche il Papa, come abbiamo visto, se ne interessava guardando al
futuro della Congregazione.
Nell'ottobre di quell'anno infatti Leone XIII faceva interrogare
Don Bosco, tramite il Cardinal Alimonda, Arcivescovo di Torino, per
saperese egli intendesselasciaread altriuna parte dellesue responsabilità.
C< I1Santo Padre -scriveva il Cardinale Jacobimi all'Arci~escovo- sa
che la salute di Don Bosco deperisce di giorno in giorno e teme di con-
seguenza per l'awenire della Congregazione Salesiana. Vorrebbe vostra
eminenza con il tatto che richiede una così delicata missione, adoperarsi
presso di lui perché egli designi il religioso che all'occorrenza possa
prenderne i1 posto o assumere fin d'ora il titolo di vicario generale
con diritto di successione ? ».
Di fronte alla sollecitudine del Pontefice, Don Bosco il 24 ottobre
informava il Consiglio Superiore, che comprese subito l'importanza
della decisione da prendere; e quattro giorni dopo comunicava ai suoi
consiglieri di aver scelto come vicario Don Rua. I1 Papa trovò di suo gra-
dimento la scelta e fece redigere il decreto in base al quale conferiva
a Don Bosco la facoltà di procedere alla nomina, annunciata ufficial-
mente alla Congregazione con una circolare del 24 settembre 1885.
Eccone i termini: CC Dopo aver lungamente pregato Iddio, invocati i
lumi dello Spirito Santo e la protezione speciale della Vergine Ausilia-
trice e di San Francesco di Sales, nostro patrono, valendomi della fa-
coltà accordatami recentemente dal Pastore Supremo della Chiesa,
nomino mio Vicario generale Don Michele Rua, attualmente Prefetto
generale della nostra Pia Società. D'ora innanzi egli mi sostituirà nel
pieno esercizio del governo della Congregazione ».

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9.1 Page 81

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La decisione non faceva che sanzionare una situazione vecchia ormai
da anni, ma ebbe egualmente un effetto immediato: Don Rua smise
cioè di essere l'uomo della disciplina, del regolamento, dell'ordine.
Per più di vent'anni egli aveva dovuto ricoprire una funzione severa:
ora poteva ridivenire quel padre affettuoso che aveva conquistato la
simpatia generale a Mirabello. Ritrovava finalmente la sua vera natura.
« Parve allora - dice espressamente Don Francesia - che l'ufficio
di Vicario facesse maggiormente sentire nel Servo di Dio il dovere di
essere e di mostrarsi con tutti tenero padre, mentre peraltro si studiava
di far primeggiare la persona e la bontà di Don Bosco ».
Anche un altro testimone afferma: «L'ho ancora negli occhi, pre-
murosamente chino su Don Bosco per ascoltarne la parola e lo rivedo
... mentre lo aiutava a camminare, sorreggendolo premurosamente al
braccio e cercando di indirizzare verso di lui l'attenzione di tutti
Dopo la sua elezione a Vicario, Don Rua parve un altro anche este-
riormente, non solo nel superamento del suo carattere, piuttosto rigido
e austero, ma anche nello sforzo di conformarlo all'amabilità paterna,
della quale il fondatore era insigne modello P.
Certo le maniere di Don Rua, la sua voce, i suoi lineamenti, il suo
sorriso non ebbero quel misterioso fascino che attirava e incatenava la
gioventù a Don Bosco. Ma a partire dall'autunno del 1885 fino al ter.
mine della vita, cioè per un quarto di secolo, Don Rua sarà per tutti
quelli che lo avvicineranno il padre premuroso ed affettuoso, preoccu-
pato soltanto di comprendere, incoraggiare, sostenere, perdonare,
illuminare, amare: in una parola, il buon pastore che giorno per giorno,
momento per momento, dà la sua vita per ogni pecorella del gregge.
Dopo la nomina di Don Rua a suo Vicario, il Santo soprawisse poco
più di due anni. Fece ancora un ultimo lungo viaggio sino a Barcellona,
accompagnato dal fedelissimo alter ego. Scopo di Don Bosco era anche
di metterlo in contatto con gli amici e benefattori dell'opera, per assi-
curarne il vincolo di unione anche dopo la sua morte, ch'egli sentiva
awicinarsi a grandi passi.
Don Rua accompagnò Don Bosco anche nell'ultimo viaggio a Roma
tra l'aprile e il maggio del 1887, per la consacrazione del tempio del
Sacro Cuore al Castro Pretorio. In quell'occasione fu presentato a
Leone XIII, che gli disse: « Sento che fin da ragazzo siete con Don
Bosco. Proseguite e mantenete in voi lo spirito del Fondatore ».

9.2 Page 82

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Tornati a Torino, il 23 maggio, vigilia di Maria Ausiliatrice, Don
Bosco volle assistere alla conferenza che Don Rua teneva ai Cooperatori
Salesiani di Torino e dintorni.
Al termine della funzione, svoltasi in chiesa, la folla improwisò
al Santo una toccante manifestazione di affetto: egli impiegò quasi due
ore a svincolarsi dalla stretta entusiasta di chi voleva awicinarlo,
baciargli la mano, riceverne la benedizione. Alla fine era stremato: i
lineamenti contratti, il respiro afFannoso, il colorito pallido prean-
nunciavano la fme non lontana.
Nell'autunno, il 20 ottobre Don Bosco sempre in compagnia di Don
Rua volle recarsi al noviziato di Foglizzo, per imporre l'abito chiericale a
novantaquattro novizi. Al momento del congedo si voltò sulla soglia
della casa e disse: CC L'anno prossimo non sarò più io a fare questa ceri-
monia: verrà Don Rua ».
I1 Santo awertiva che i suoi giorni erano contati, tuttavia non voleva
mancare ai momenti di maggior rilievo nella vita della Congregazione.
Così il 24 novembre scendeva ancora una volta nel santuario di Maria
Ausiliatrice per benedire l'abito chiericale a quattro novizi stranieri, tra
i quali il Servo di Dio principe Augusto Czartoryski; e il 6 dicembre
presiedette ancora la cerimonia della partenza di una nuova spedizione
di missionari. A uno a uno quei giovani sfilavano dinanzi al Santo, gli
baciavano la mano senza riuscire a trattenere le lacrime. Alla fme la
folla fece ala al suo passaggio, improwisandogli una delle ultime mani-
festazioni di affetto.
Sabato 17 dicembre, Don Bosco volle ancora esaudire le preghiere
degli alunni e confessarli. (C È l'ultima volta che potrò farlo » ribatté
al segretario che gli ricordava lo stato di sfinimento e la febbre che lo
tormentava,
Il martedì successivo, in compagnia di Don Rua, un ultimo giro in
città; ma al ritorno bisognò portarlo di peso in camera. S'iniziò la lunga
agonia; Don Bosco non doveva più ridiscendere tra i suoi figli.
La sua forte fibra lottò fra alti e bassi contro la morte. A dicembre
pareva che la fme fosse imminente e gli fu amministrato 'il Viatico; a
gennaio invece sembrò che le preghiere dei Salesiani avessero allonta-
nato il pericolo e il Santo poté avere lunghi colloqui con Don Rua.
Quarant'anni erano trascorsi dal loro primo incontro: per tutto quel
tempo avevano lavorato fianco a fianco, per il bene dei giovani poveri di

9.3 Page 83

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tutto il mondo. Ma l'opera non era ancora finita; abbisognava di altre
cure, di altri sacrifici: Don Bosco ricordava a Don Rua il patto iniziale
. di spartizione: << Micheliio, se vuoi, faremo a metà.. D. Ora toccava al
figlio raccogliere l'eredità del padre.
((Veglia sulla nostra famiglia - disse Don Bosco - trattala come
l'ho trattata io, con immensa carità, con pazienza e dolcezza. Corag-
gio, caro Don Rua, Iddio ti aiuterà, come ti aiuteranno i nostri Coo-
peratori. Tutto quello che noi abbiamo fatto lo dobbiamo alla loro
carità; ricordalo. Essi furono ammirevoli e lo saranno sempre. Io,
lassù, non cesserò di pregare per loro e per'le loro famiglie. Niente ti
turbi, niente ».
Le ultime raccomandazioni scendono nel cuore di Don Rua chesup-
... plica a sua volta il Santo: Vegli su di noi, ci guidi, ci protegga, con-
tinui la sua opera dal Cielo Io quaggiù farò ciò che potrò, ma io
non sono Don Bosco D.
Ma si, Don Rua - lo consola il Santo - è inteso: domani come
ieri, sempre a metà. Noi continueremo a lavorare insieme.. . ».
La morte è in agguato, i1 30 gennaio Don Bosco è alla fine; attorno
al letto del morente sono radunati i confratelli in lacrime. Don Rua
gli comunica il felice arrivo a Guayaquil degli ultimi missionari; l'in-
fermo ha un gesto di sollievo. Dopo mezzanotte entra in agonia. Alle
tre del mattino giunge un telegramma con la benedizione del Santo Pa-
dre. Dopo 1'Angelus che le campane di Maria Ausiliatrice suonano alle
quattro e mezza cessa la lotta di Don Bosco: s'interrompe il rantolo
del moribondo, i1 respiro ritorna calmo, regolare e con tre sospiri il
Santo si spegne. Sono le quattro e quarantacinque.
Don Rua recita il De Profundis e con l'animo straziato dal dolore
si rivolge ai presenti: « Eccoci orfani! Ma se abbiamo perduto un tale
Padre sulla terra possediamo ora un protettore in Cielo. Mostriamoci
degni di lui, imitando i santi esempi che egli ci lascia ».
Per due ore Don Rua pregò accanto alla salma del Santo. Nel lungo
addio riandò al passato comune, agli esempi e alle lezioni preziose
che la vita di Don Bosco gli aveva lasciato.
Quando si rialzò, Don Rua aveva lo sguardo coraggiosamente fissato
innanzi, verso l'awenire. Dinanzi a lui brillavano la figura e gli esempi
di un mirabile compagno, al di sopra awertiva gii la protezione di un
Santo.

9.4 Page 84

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CAPO XII
Due documenti
Sembra utile a questo punto inserire nel racconto due documenti
d'importanza. L'annuncio della morte di Don Bosco esteso da Don Rua
« ai Salesiani, alle Figlie di Maria Ausiliatrice, ai Cooperatori e alle
Cooperatrici », in data 31 gennaio 1888; e la sua prima circolare in
qualità di Rettor Maggiore della Congregazione a rutti i confratelli
sparsi nelle varie parti del mondo.
Entrambi i documenti sono la fotografia interiore di Don Rua;
meglio di ogni descrizione o testimonianza dànno risalto ai suoi senti-
menti e al suo cuore di figlio affezionatissimoe di successore e continua-
tore di un Santo.
L'annuncio della morte del Padre e Fondatore ai membri della
triplice Famiglia Salesiana sa di elegia, e a distanza di tempo suscita com-
mozione e cordoglio. Scriveva Don Rua:
Con l'angoscia nel cuore, con gli occhi gonfi di pianto, con mano
tremante, vi dò l'annuncio più doloroso che io abbia mai dato o possa
ancor dare in vita mia. Vi annuncio che il nostro carissimo Padre in
Gesù Cristo, il nostro fondatore, l'amico, il consigliere, la guida
della nostra vita è morto. Ahi, parola che trapassa l'anima, che
trafigge il cuore da parte a parte, che apre la vena a un profluvio di
lacrime!
«Le private e pubbliche preghiere innalzate al Cielo per la sua
conservazione hanno ritardato al nostro cuore questo colpo, questa fe-
rita, questa piaga amarissima; ma non valsero a risparmiarcela, come
avevamo sperato.

9.5 Page 85

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di mettermi tosto all'opera per raccogliere le memorie riguardanti la
vita del nostro caro Padre.
«Pertanto, esorto caldamente tutti i confratelli a scrivere quanto
essi conoscono di particolare sui fatti della sua vita, sulle sue virtù
teologali, cardinali e morali, sui suoi doni soprannaturali, su guarigioni
o profezie o visioni e simili. Sitlattedichiarazionidovranno essere inviate
al Direttore Spirituale, il sacerdote Don Bonetti, incaricato di racco-
gliere e fame base per l'inizio della Causa. Per norma dei relatori,
noto anche che a suo tempo essi dovranno essere chiamati a prestare
giuramento su quanto riferiscono e perciò raccomando la più grande
fedeltà ed esattezza.
«L'altro pensiero che mi rimase fisso in mente fu che noi dobbiamo
stimarci ben fortunati di essere figli di un tal Padre. Perciò nostra sol-
lecitudile deve essere di sostenere e a suo tempo sviluppare ognora più
le opere da lui iniziate, seguire fedelmente i metodi da lui praticati e
insegnati, cercando nel nostro modo di parlare e di operare, di imitare
il modello che il Signore nella sua bontà ci ha in lui somministrato.
Questo, o figli carissimi, sarà il programma che io seguirò nella mia
carica; questo pure sia la mira e lo studio di ciascun Salesiano.
« Ora una parola di ringraziamento mi resta a dirvi. Molti di voi in.
dividualmente, dopo la dolorosa perdita sofferta, mi scrissero lettere
pienedi sentimenti, di rispetto e di affezione,facendomi le più belle pro.
messe di obbedienza e di piena sudditanza. Intendo con la presente di
ringraziare cordialmente gli autori e tutti quelli che vi presero ed avreb-
bero voluto prendervi parte. Tali testimonianze di attaccamento e di
religiosa soggezione, riuscirono di non leggero sollievo al mio dolore
ed infusero nel mio cuore la fiducia di trovare meno scabroso il mio
cammino.
«Ciò non ostante, non posso nascondere né a me né a voi il grande
bisogno che ho delle vostre preghiere. Alla vostra carità pertanto mi
raccomando, affuiché tutti mi sosteniate con le valide vostre orazioni.
Dal canto mio vi assicuro che, tenendovi tutti nel mio cuore ogni giorno
nella Santa Messa, vi raccomanderò al Signore, affuiché vi assista con
la sua santa grazia, vi difenda da ogni pericolo e, soprattutto, ci conceda
di trovarci u n giorno tutti assieme, nessuno escluso, a cantare le sue
lodi in Paradiso, dove ci attende, siccome ce lo scrisse, il nostro ama-
tissimo padre Don Bosco.
((Coraggio, cari figli in Gesù Cristo! Con l'aiuto di Dio e con la
fedeltà a perseverare nella nostra vocazione, riusciremo in questo
affare così importante. Diffidando però di noi medesimi, ricorriamo con.

9.6 Page 86

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cordemente alla nostra celeste madre Maria Ausiliatrice, al suo puris-
simo sposo San Giuseppe e al nostro patrono San Francesco di Sales:
essi non mancheranno di venirci in aiuto D.
Nel suo testamento spirituale ai membri della Congregazione Sale.
siana Don Bosco aveva scritto: << I1 vostro primo Rettor Maggiore è
morto, ma ne sarà eletto un altro che prenderà il suo posto, avrà cura
di voi e della salvezza eterna delle vostre anime. Ascoltatelo, amatelo,
obbeditegli, pregate per lui come avete fatto per me ».
Scrivendo queste parole Don Bosco pensava senza dubbio a Don
Rua; e nello stendere la sua prima circolare Don Rua non poteva averle
dimenticate.
Diventare Rettor Maggiore significava per lui mettersi nella scia del
fondatore per continuarne il governo e le imprese.

9.7 Page 87

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9.8 Page 88

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PARTE SECONDA
IL RETTOR MAGGIORE

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9.10 Page 90

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CAPO I
La successione
Tutti erano persuasi che, morto Don Bosco, il suo vicario Don Rua
ne avrebbe preso automaticamente il posto. Non vi erano difficoltà o
incertezze da parte di nessuno. Più tardi si seppe che il decreto del 7
novembre 1884 che lo nominava Vicario Generale della Congregazione,
gli conferiva anche il diritto alla successione.
Ma quando, fatti i funerali di Don Bosco, e assicurata la sua sepol-
tura nel collegio di Valsalice, si cercò il decreto, non lo si trovò. Forse
non era mai arrivato all'Oratorio, dove per via indiretta se n'era cono-
sciuto il tenore e le disposizioni.
Si passarono infarti e si ripassarono accuratamente le lettere e copie
di lettere scambiate in quell'occasione tra il Cardinale Alimonda,
Arcivescovo di Torino, e il Cardinale Nina, protettore della Congrega-
zione Salesiana, ma non si trovò traccia del decreto.
I1 tono di quelle lettere dissipava comunque ogni dubbio. I1 cardi-
nale Nina scriveva: « Sua Santità ha gradito molto la scelta fatta da Don
Bosco e resta tranquillo sapendo che, ne1 caso il fondatore venisse a
mancare, l'awenire della Società è assicurato per il fatro che Don Rua
ne assumerebbe il governo ». E il Cardinale Aìimonda, ringraziando il
Cardinale Nina per i buoni uffici interposti per regolare la questione,
rispondeva: Ringrazio l'Eminenza Vostra della lettera cortese con cui
..+ Ella mi informa della nomina di Don Rua a Vicario Generale di Don
Bosco con diritto di successione ».
Le testimonianze non ammettevano dubbi; la mancanza però del
documento ufficiale rendeva perplesso il Beato nell'assumere il governo
della Congregazione.
Ne riferì al Cardinal Alimonda e questi, pur togliendogli ogni dubbio
sul contenuto del decreto, consigliò un ricorso a Roma, A c h é Leone
XIII volesse benevolmente esprimere il suo pensiero in merito.

10 Pages 91-100

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10.1 Page 91

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Beatissimo Padre - concludeva Don Rua - considerando la mia
debolezza e incapacità sono spinto a far umile preghiera di voler portare
su altro soggetto più adatto il sapiente sguardo di Vostra Santità, e
dispensarelo scrivente dall'arduo ufficio di Rettor Maggiore;assicurando
però che, con l'aiuto del Signore, non cesserò di prestare, con tutto
l'ardore, la debole opera mia in favore della nostra Pia Società, in qua-
lunque condizione venissi collocato >>.
I membri del Consiglio Superiore della Congregazione, con Mons.
Cagliero in testa, indirizzavano però nel contempo una loro lettera
al Cardial Parocchi, nuovo Protettore della Società. È la più aurore-
vole apologia che si potesse fare di Don Rua in quello storico momento
della vita salesiana.
Dal canto nostro noi, umili sottoscritti - dicevano i firmatari -
saremmo lietissimi che il Santo Padre confermasse a nuovo Rettor
Maggiore ossia a Superiore Generale dell'umile Società di San Fran-
cesco di Sales, il prelodato Sac. Michele Rua, disignato già e proposto
a suo Vicario da Don Bosco medesimo, dopo invito ricevuto per
parte di Sua Beatitudine, che nella sua patema bontà desiderava
vedere in tal modo assicurato il benessere della Congregazione Sale-
siana; anzi, siccome annoverati tra i primi Superiori noi conosciamo
le disposizioni degli animi non solo degli elettori, ma di tutri i Soci,
così siamo in grado di assicurare con la più intima persuasione del
cuore che la notizia, la quale portasse che il Santo Padre nomina a
nostro Superiore Generale il Sac. Michele Rua, sarebbe accolta non
solamente con profonda sottomissione, ma con sincera e cordialis-
sima gioia.
<<Aggiungiamdoi più: anche se si addivenisse all'atto di una elezione
secondo la Regola, è sentimento comune che Don Rua sarebbe l'eletto
a pieni voti e ciò in ossequio a Don Bosco che lo ebbe sempre quale sua
primo confidente e braccio destro, ed anche per la stima che tutri ne
hanno per le sue esimie virtù, per la sua particolare abilità nel governo
dell'Istituro, e per la sua singolare destrezza nel disbrigare gli affari,
di cui diede già luminose prove, sotto la direzione dell'indimenticabile
e carissimo nostro fondatore e Padre ».
L'l1 febbraio 1888 il Papa confermava il decreto de11'84 e designava
Don Rua nuovo Superiore Generale della Congregazione Salesiana per
lo spazio di dodici anni, a partire da quella data.
I1 Cardinai Parocchi notificò immediatamente la decisione pontificia,
scrivendogli: N Lieto di aver ottenuto da Sua Santità l'esaudimento della

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giusta brama di V. S. Ill.ma e dei suoi degnissimi Confratelli, mi af-
fretto a parteciparle, Monsignore carissimo, l'awenturata novella.
Sia lodato il Signore ».
La nomina di Don Rua sventava un progetto che si andava ventilando
in alcuni ambienti vaticani, dove si temeva che la scomparsa di Don
Bosco avrebbe messo in pericolo la vita della giovane Congregazione.
Il rimedio sembrava semplicissimo: fonderla con un'altra più antica,
avente le stesse finalità.
Fortunatamente in quei giorni si trovava a Roma Mons. Manacorda,
Vescovo di Fossano. Fedele ammiratore di Don Bosco e della sua
opera, appena ebbe sentore di questi progetti si mise all'opera per
allontanare il pericolo di fusione. Dopo colloqui con eminenti prelati,
si incontrò anche con il Cardinale Bartolini, che era il più caldo fautore
del progetto di fusione.
I1 Cardinale Bartolmi lo abbordò energicamente:
- Ma insomma, Monsignore, crede realmente che la Congregazione
Salesiana possa avere lunga vita? Non ci procurerà piuttosto delle noie ?
Avrà in sé la forza di scongiurare il pericolo della dissoluzione?
- Eminenza - rispose il Vescovo di Fossano - la Congregazione
Salesiana durerà dei secoli; dico dei secoli, mi comprenda. Ho cono-
sciuto Don Bosco, conosco i Salesiani, sono vissuro parecchio tempo in
mezzo a loro e godo di rutta la loro confidenza. Don Bosco non ebbe mai
segreti per me. Ebbene, le ripeto e le garantisco quello che le ho detto.
- Garantirebbe cioè il suo awenire?
- Mi rendo garante di tutto, della smetta unione fra i suoi soci,
del loro valore personale e dell'awenire dell'opera nella Chiesa di Dio.
-
siglio,
Quando è
non trovo
pcioùsìn-ullacodnacloubsieetitlaCrea-rd.inLalaem-inmacic&iadeora
al suo con-
scomparsa.
A rinsaldare la posizione della Società intervenne l'udienza ponti-
ficia concessa da Leone XIII a Don Rua, non appena il Beato poté
scendere a Roma per ringraziare il Santo Padre della bontà dimostrata
verso i figli di Don Bosco e per mettere, seguendo l'esempio del Padre,
il suo rerrorato sotto la benedizione del Papa.
L'udienza si svolse il 21 di febbraio. Leone XIII accolse Don Rua
con la massima cordialità: « Ah, siete voi il successore di Don Bosco!

10.3 Page 93

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Partecipo vivamente al vostro dolore per la perdita che avete subito, ma
nello stesso tempo mi rallegro: Don Bosco era un santo, dall'alto dei
cieli non mancherà di proteggervi D.
« Santissimo Padre - rispose Don Rua - Vi ringrazio per queste
consolanti parole, che mi infondono coraggio. Poiché ho la felicità,
questa mattina, di prostrarmi per la prima volta ai Vostri piedi in qualità
di Rettor Maggiore, permettetemi di cogliere l'occasione per ofirirvi
i miei omaggi e quelli della nostra Pia Società. Tutti i Salesiani desid
derano essere figli rispettosi, devoti e dezionati alla Santità Vostra e
alla Chiesa, continuando a lavorare per la maggior gloria di Dio e per
il bene delle anime, e a sostenere le opere iniziate dal loro Santo Fonda-
tore ».
« Bene - disse Leone XIII. - Continuate le sante imprese del
Padre, ma per adesso accontentatevi di dare consistenza a quelle già
iniziate. Per qualche tempo non pensate a espandervi ma ad affermarvi e
a consolidarvi >>.
« La Vostra raccomandazione - rispose Don Rua - coincide con
una di quelle che mi lasciò Don Bosco sul letto di morte. In un pro-
memoria che mi consegnò qualche settimana prima di morire, egli ma-
nifestava il medesimo desiderio: sospendere l'apertura di nuove case per
completare il personale di quelle già aperte D.
«Sì, sì, fate così voi Salesiani e altrettanto le Figlie di Maria Ausi-
liatrice. Non vorrei che capitasse a voi quel che è accaduto a un Istituto
di mia conoscenza: volle estendersi con troppo rapidità e non è più
riuscito a sostenersi. Si fondavano case con due o tre soggetti e si
lasciavano andare avanti cosi, alla buona. Il risultato è stato disastroso >>.
«Santissimo Padre, a norma delle nostre Costituzioni, ogni nostra
casa deve avere non meno di sei confratelli >>.
« Così va bene. Abbiate cura soprattutto che il personale possegga
una solida educazione religiosa. A questo scopo devono mirare spe-
cialmente le case di formazione. Voi fate regolarmente il Noviziato, non
è vero? Quanto dura? 2.
« U n anno per gli aspiranti al sacerdozio, due per i confratelli
coadiutori >>.
((Benissimo, raccomandate caldamente ai maestri dei novizi di la-
vorare assiduamente alla loro riforma. Entrando in noviziato, si sa,
essi portano un po' di scorie: bisogna purificarli. Ognuno di essi deve
impostare la sua vita su un piano nuovo: un piano di sacrificio, di ubbi-
dienza, di umiltà e di semplicità. Se non riescono a correggersi non

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esitate a licenziarli: è meglio averne qualcuno di meno che molti, ma
senza spirito religioso n.
« V i ringrazio dal profondo del cuore, Santissimo Padre, per questi
consigli. Li custo remo gelosamente soprattutto perch6 provengono
dal Capo della Chiesa, dal Vicario di Gesù Cristo verso il quale Don
Bosco, fin dalla più tenera infanzia, ci inculcò ubbidienza, rispetto,
devozione senza limiti. Nel corso della malattia che lo portò alla tomba
continuava a infondere in tutti questi stessi sentimenti. Lo sento
ancora mentre ci ripeteva, poche ore prima della morte: l1 Papa, il
Papa! I Salesiani sono per la difesa dell'autorità del Papa, ovunque e
sempre D.
«Come si vede che Don Bosco era un Santo! - esclamò
Leone XIII - Mettete in pratica le ultime volontà del vostro padre e
Iddio non mancherà di benediwi, come lo faccio io in questo mo-
mento ».
Quando uscì dal Vaticano, Don Rua era raggiante: una nuova forza
animava il suo spirito.
Il giorno dopo riprendeva la strada per Torino, dove si preparava
il funerale di trigesima per Don Bosco. L'Arcivescovo Cardinale Ali-
monda tessé l'elogio funebre dello scomparso e a mezzogiornodivise con
i Salesiani il frugale pasto. Durante il pranzo, domandò a Don Rua se,
dopo la scomparsa del fondatore, le autorità civili continuavano a
mostrarsi benevole verso le loro attività, e se dal Cielo, Don Bosco
continuava a prendersi cura dei suoi figli.
« Eminenza, da quando Don Bosco è andato in Paradiso - rispose
Don Rua -egli non si è mai mostrato tanto attivo. Racconto un fatto,
tra i tanti, che lo prova. Lo stesso giorno della sua morte dovevamo
pagare trenta mila franchi a Parigi per l'acquisto della nostra casa di
Ménilmontant. Non c'era un soldo in cassa: potevamo sperare solo in
una proroga da parte del proprietario dell'immobile o in un intervento
della Provvidenza. Ricordo che quel giorno arrivavano pacchi di tele-
grammi di condoglianze. In mezzo a quell'ondara di messaggi ne trovai
uno proveniente da Parigi. Diceva: 'Una persona che dispone di una
certa somma chiede a chi indirizzarla'. Immediatamente telegrafai:
'Consegnate sacerdote Ronchail, via Boyer 28, Parigi'. Due giorni dopo
i1 direttore della nostra casa di Ménilmontant riceveva una donna

10.5 Page 95

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dall'aspetto modestissimo, la quale gli consegnò da parte di Don Rua
una busta chiusa. I1 plico conteneva trenta biglietti da mille: l'am-
montare esatto della somma che dovevamo versare ».
Le condizioni economiche della Società non erano floride. L'8
febbraio 1888, Don Rua spediva ai direttori delle case salesiane una
circolare che terminava così: «Una cosa ancora debbo dirvi: fra le
memorie che il tanto previdente nostro Padre lasciò al sottoscritto,
una ve n'è che riguarda il modo di far fronte ai debiti lasciatici e al di-
ritto di successione, che si dovrà fra non molto pagare. Eccola: siano
sospesi i lavori di costruzioni, non si aprano nuove case (e s'intende
pure non si assumano nuovi impegni delle case esistenti che importino
necessità di maggiore personale o di spesestraordinarie), non si decantino
i debiti; ma si usino comuni sollecitudini per pagare la successione,
estinguere le passività, completare il personale delle case esistenti.
Tanto per norma a tutti i Salesiani ».
Lo stesso Leone XIII aveva richiamato Don Rua a queste misure di
prudenza. Bisognava consolidarsi sulle proprie basi economiche e mo-
rali prima di fare altri passi avanti. Anche Don Rua ne sentiva il bisogno,
vista la gravità della situazione finanziaria della Congregazione.
La costruzione della chiesa e della casa del Sacro Cuore, a Roma,
divorava somme ingenti: all'inizio di gennaio era giunto un mazzo di
fatture per seicento mila lire. Le Missioni Salesiane in pieno rigoglio
richiedevano forti somme, mentre la mattina in cui mori Don Bosco
in cassa non c'era neanche di che pagare il pane del giorno.
Sfortunatamente, poche settimane prima di Don Bosco, era morto
anche il suo più grande benefattore, l'uomo generoso che aveva versato
a più riprese circa tre milioni, il conte Colle di Tolosa. Sembrava che
non ci fosse più nulla da sperare.
Malgrado ciò, certi giornali stamparono in quei giorni che Don
Bosco aveva lasciato una ingente eredità a Don Rua. Ignoranza o cat-
tiveria? In ogni modo, Il Bollettino Salesiano dovette smentire la falsa
diceria per non compromettere ancora di più le finanze già stremate
della Società.
- «Don Bosco, maneggiando i milioni della pubblica carità, visse
povero e mori povero - scrisse il Bollettino Salesiano. E in quello
stesso giorno che spirava, non vi era in casa tanto denaro da pagare il
pane giornaliero. Don Michele Rua ebbe, sì, una bella e carissima ere-

10.6 Page 96

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dità: gli innumerevoli orfanelli lasciatigli dal nostro fondatore. In
questa dolorosa circostanza ognuno prevede per quanti motivi si vada
incontro a maggiori ristrettezze. Ma Don Rua, ma noi, non rinunce-
remo a questa eredità. C'è la Divina Provvidenza, ci sono i nostri
Cooperatori, e ciò basta D.
Le speranze non furono deluse; la Prowidenza intervenne in modo
tangibile. Dopo la morte di Don Bosco si notò una leggera diminuzione
delle elemosine, ma gradatamente esse ripresero a crescere, sino a
raggiungere e oltrepassare la media che si era avuta f i o ad allora. La
carità fornì a Don Rua il necessario per una casa che alimentava ogni
giorno novecento persone e per estinguere i debiti più urgenti. Era
scomparso un grande benefattore, ma altri sorgevano a sostituirlo.
Alleggerito, almeno in parte, delle preoccupazioni economiche,
Don Rua seppe utilizzare questo periodo di sosta per rinforzare il
personale degli istituti secondo i desideri espressi da Don Bosco e con-
fermati dal Papa. In quegli anni, le vocazioni nei noviziati salesiani ab-
bondavano in misura confortante. La casa di formazione di Foglizzo,
nel 1888-89, poteva contare su oltre cento novizi. Don Rua era così
in grado di prowedere ai bisogni delle case esistenti e di pensare anche
alle Missioni.
I Salesiani, infatti, penetravano sempre più nelle regioni inesplo-
rate del sud Argentino e del Cile, verso la Terra del Fuoco dove, nel
marzo e nel settembre di quell'anno, Don Rua inviò la tredicesima e
quattordicesima spedizione missionaria a partire dal 1875.
Contemporaneamente, Don Rua attuava un altro progetto, acca.
rezzato da lungo tempo e gradito a1 Pontefice. NeII'ottobre deI1'88, due
fra i migliori Salesiani venivano inviati a Roma per frequentami l'Uni.
versità Gregoriana. Questi due studenti, i confratelli Festa e Giuganino,
erano l'avanguardia di una falange che andò aumentando di anno in
anno: tra coloro che frequentavano la Gregoriana sotto il governo del
primo successore di Don Bosco, la Congregazione contò tre vescovi,
tre arcivescovi e un cardinale.

10.7 Page 97

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CAPO I1
Espansione nel mondo
I1 rettorato di Don Rua durò ventidue anni. Fu il piiz lungo di quanti
ebbe la Congregazione fino ad oggi, escluso il Fondatore. E a carat-
terizzare quei due decenni furono la vitalità e la forza di espansione del-
l'albero salesiano.
« I n breve tutti furono persuasi - testimoniò Don Barberis - che
la Provvidenza aveva inviato Don Bosco per fondare la Congregazione e
compiere cose straordinarie, Don Rua per assestarle e consolidarle >>.
Può bastare il raffronto tra due cifre. Don Bosco nel 1888 lasciava
sessantaquattro case; nel 1910 Don Rua le aveva portate a trecentoquat-
tordici, estendendole si può dire a tutto il mondo.
Alla fine del 1889 un inviato speciale del Governo di Colombia
venne a Torino per trattare l'apertura di una casa in quella nazione.
Don Rua ubbidiente alle raccomandazioni del Papa e di Don Bosco,
rispose negativamente. Alle insistenze del delegato, si limitò a
osservare:
- Non posso far nulla; il Papa stesso desidera che ogni progetto
di nuove fondazioni venga tramandato.
- Se è così - disse il diplomatico - andrò a Roma e cercherò
di ottenere da Leone XIII quello che non è possibile ottenere a
Torino.
Dodici giorni dopo Don Rua riceveva dal suo procuratore generale
a Roma una lettera che lo invitava ad accogliere favorevolmente le ri-
chieste del Governo colombiano. « I1 Santo Padre - diceva in sostanza
la lettera - commosso dalla relazione del generale Velez, ambasciatore
di Colombia a Roma, ci fa sapere, per mezzo del Cardinal Rampolla,

10.8 Page 98

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che Egli vedrebbe con piacere partire i Salesiani alla volta di quella
Repubblica ».
Dato che l'ordine veniva da Colui che aveva consigliato quel periodo
di sosta, ubbidendo si poteva esse certi che Iddio avrebbe benedetto
la nuova partenza.
In realtà Egli la benedisse, e largamente.
Infatti, di anno in anno le fondazioni di nuove case si moltiplica-
rono a vista d'occhio. Fino al 1889 la Congregazione si era impiantata
soltanto in Italia, in Francia, in Spagna, in Inghilterra e nelle tre re-
pubbliche del Sud-America: Argentina, Cile e Uruguay. D'ora innanzi
la si vedrà drizzare le sue tende un po' dappertutto.
Alla fine del 1889 la Congregazione varca le Alpi, al nord, e si sta-
bilisce in Svizzera, nel Canton Ticino. All'inizio dell'anno seguente i
suoi missionari sbarcano in Colombia.
Nel 1891 i Salesiani aprono una grande scuola professionale nel
Belgio, a Liegi, e gettano le fondamenta di una parrocchia.
Lo stesso anno mettono piede nel continente africano e prendono
dimora a Orano, in Algeria; in seguito riescono ad entrare nell'Asia
Minore raccogliendo, in Palestina, dalle mani di un santo sacerdote,
Don Belloni, tre istituti di educazione per la gioventù.
Nel 1892 è la volta dell'America del Nord con l'apertura di una
casa nella capitale del Messico.
Due anni dopo entrano a Lisbona, e, solcando per la terza volta
l'Atlantico penetrano nel Perù e nel Venezuela, fatti oggetto a cordiali
accoglienze.
Nel 1895 vanno in Bolivia, mentre in Europa, spingendosi verso
Oriente, si stabiliscono in Austria. In Africa, a Tunisi, si gettano le
basi di una importante parrocchia.
Dal nord di questo grande continente, cioè da1l9Egittodove han già
preso dimora nel 1896, fanno un salto h o alla parte più meridionale,
al Capo di Buona Speranza, aprendo a Città del Capo una scuola di arti
e mestieri; e poi varcando ancora una volta l'Oceano Atlantico portano
le tende nel Paraguay e negli Stati Uniti.
L'America Centrale li vide arrivare nel 1897; e in quello stesso
anno essi apersero le prime case in Polonia, ove li attendeva una messe
feconda.

10.9 Page 99

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Nel 1903 finalmente penetrano di nuovo in Turchia, fondando un
istituto nella stessa Costantinopoli.
Caratteristica di queste fondazioni è che una volta installate in una
regione, vi si propagano in tutte le direzioni. Così awiene in Italia,
e così awiene in Francia, in Spagna e da per tutto. In Spagna, ad esempio,
da due istituti che si avevano nel 1890, se ne contavano trenta nel 1910.
E questa attività rivestiva le forme più diverse. Se in un primo tempo si
erano iniziati oratori festivi, scuole professsionali, ospizi per fanciulli
poveri, in seguito, pur attenendosi fedeli al programma primitivo, si
allargava il campo di azione con l'abbracciare nuove forme di aposto-
lato. E così sorgevano a fianco dei collegi per giovani studenti, le colonie
agricole, gli esternati, i doposcuola, gli istituti di beneficenza per
orfani, piccoli seminari, case per vocazioni tardive, e via via tutto un
complesso di opere prowidenziali escogitate dalla carità cristiana per
beneficare in tutti i modi possibili i figli del popolo. Si aggiunsero anche
le parrocchie; sì, poiché se in principio non si riputò conveniente ac-
cettarne, in seguito bisognò piegarsi alle nuove necessità dei tempi e
accogliere favorevolmente le reiterate insistenze di molti vescovi.
Particolare attenzione Don Rua rivolse al campo sterminato delle
Missioni.
Il 10 aprile 1886, mentre era a Barcellona aveva ricevuto una con-
fidenza da parte di Don Bosco. Nella notte precedente egli aveva fatto
uno dei suoi sogni. Gli era apparsa la divina Pastorella che sui nove
anni gli aveva precisato la missione da portare a termine: ora, al termine
della vita, veniva a indicare il campo di lavoro aperto ai suoi figli.
D'un tratto gli parve di trovarsi ai piedi delle Cordigliere, a San-
tiago del Cile e a Valparaiso, sul Pacifico; poi si trovò tra le boscaglie
l
l
l
delltAfrica; quindi a Pechino.
l
Per quanto grande fosse la sua fede Don Bosco stentava a credere a
se stesso. Come percorrere quelle enormi distanze ed evangelizzare i po-
poli di quelle terre? La scarsità del personale e dei mezzi gl'impediva
quelle conquiste.
- Non preoccuparti - gli mormorava la dolce Signora. - Non
saranno solo i tuoi figli a compiere queste imprese; ma i figli dei tuoi
figli, e quelli che verranno dopo di essi.
l

10.10 Page 100

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Don Rua non dimenticò mai il sogno di Barcellona, destinato a illu-
minare e a confortare la espansione missionaria della Congregazione.
Ricordava pure gl'incoraggiamenti profetici che Don Bosco, sul
letto di morte, dava al primo missionario Mons. Cagliero, e ai suoi
figli dediti già all'evangelizzazione degli infedeli: «Coraggio! Con la
protezione del Papa andrete in Africa, l'attraverserete, penetrerete in
Asia, in Mongolia e in tanti altri luoghi.
Quando egli prese le redini del governo le Missioni Salesiane erano
limitate alla Pampa e Patagonia e alle estreme regioni magellaniche
argentino-c'i1ene.
Anno per anno, nonostante la scarsezza del loro numero, la povertà
dei mezzi disponibili, l'ingratitudine del suolo, i molti nemici che li
ostacolavano e le delusioni d'ogni genere, i missionari erano riusciti
a conquistare lentamente tutto lo sconfinato territorio; e con la con-
quista venivano fugate le « ombre di morte », in cui giacevano da secoli
quei popoli, e diffusa la luce del Vangelo. Tutto questo avveniva nello
spazio di quindici anni. Nel 1892 infatti quella terra non era più un
deserto, ma si trasformava in una fresca aiuola di vita cristiana, ove
fiorivano le più belle virtù.
Nel 1895 la S. Sede offri a Don Rua l'evangelizzazione dei feroci
Chivari dell'Equatore, ai quali non erano ancora pervenute né la luce
della fede, né il progresso della civiltà. I1 Beato accettò con premura e
in quelle selve amazzoniche fu eretto il Vicariato Apostolico di Méndez
e Gualaquiza, affidato al terzo vescovo salesiano Mons. Giacomo
Costamagna.
Qualche mese innanzi i Salesiani del Brasile, dove grandeggiava la
figura dell'intrepido Mons. Luigi Lasagna, secondo vescovo della Con-
gregazione, erano penenati nel cuore del Muto @osso: le tribù degli Indi
Bororos attendevano anch'essi la predicazione del Vangelo e i primi
rudimenti della vita civile.
Prima ancora delle due grandi imprese missionarie, che allargavano
nei rispettivi paesi l'apostolato dei collegi e degli oratori festivi, in
Colombia i Salesiani avevano preso la cura pastorale dei lebbrosi di
Agua de Dios.
L'eroico Don Michele Unia si era spontaneamente offerto a quel-
l'impresa, e Don Rua approvando i suoi piani di azione, ritirò l'ordine
che già gli aveva dato di recarsi nel Messico.

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11.1 Page 101

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Ad Agua de Dios e in altri due lebbrosari i Salesiani compirono
opere egregie. Basti ricordare il Servo di Dio Don Luigi Variara che,
proprio ad Agua de Dios fondò una speciale Congregazione, le Suore dei
Sacri Cuori di Gesù e Maria, oggi fiorenti in Colombia e nell'Equatore.
Don Rua però, come voleva la prudenza, a due riprese cercò di
contenere lo slancio di quella vitalità che, nell'albero salesiano, faceva
pullulare rami in tutti i sensi. Gli eccessi possono riuscire pericolosi
anche trattandosi di opere buone.
Quella liifa esuberante di giovinezza, a volere alimentare molti
rami, si sarebbe, presto o tardi, esaurita. Era prudente, nell'interesse
della pianta, comprimerla e raccoglierla; e il solerte giardiniere non
mancò di farlo.
Nel 1900 fu prescritta una sosta a tutta la Congregazione. Era quello
un anno giubilare. I1 popolo ebraico usava in tali anni lasciar riposare
la terra. Don Rua richiamò in onore l'antica usanza onde prescrivere
ai suoi figli una parentesi alla loro attività.
I1 21 gennaio 1898 scriveva: Desidero che il 1900, anno giubilare,
sia per noi Salesiani veramente anno di riposo quanto a nuove fonda-
zioni. Perciò fin d'ora raccomando caldamente di non prendere impegni
di fondazioni, riservando il personale, che sarà disponibile, a rinforzare
le case che se ne troveranno più bisognose >>.
Sei anni dopo ripeteva identica disposizione, ma per un altro motivo.
I1 Capitolo Generale della Congregazione, nel 1904, aveva posto su
solide basi la formazione intellettuale dei chierici: era stato fatto ob-
bligo a tutti gli Ispettori della Congregazione di far seguire ai chierici un
corso biennale di filosofia ed uno quadriennale di teologia, lontano dal
campo del lavoro in studentati. Una simile decisione creava naturalmente
dei vuoti considerevoli nel personale attivo dei collegi salesiani, poiché
fino allora buona parte dei giovani confratelli abbinavano i loro studi
personali con l'ufficio di insegnanti e assistenti. Per facilitare l'applica-
zione progressiva di queste misure, alla fine del 1905, Don Rua decise
che per cinque anni non si accettasse nessuna nuova fondazione di case
e nessun progetto d'ingrandimento di quelle già esistenti.
Lungi dall'inceppare la marcia della Congregazione Salesiana, queste
disposizioni, apparentemente rigorose, parvero infonderle una nuova
forza.

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Passati questi due periodi di riposo la Congregazione prese uno
slancio ancor più gagliardo. Quando Don Rua ne aveva assunto il go-
verno non c'erano che sei Province o Ispettorie; nel 1902, orto anni
prima della sua morte, ce n'erano ventisette; e nel 1910, poco prima
della sua morte, era1 già trentaquattro.
Questi progressi meravigliosi li constatava nel 1905 lo stesso Don
Rua, e li spiegava a modo suo, un modo non esagerato, se pure incom-
pleto.
<< Quando mi viene fra mano il catalogo della nostra Pia Società io
mi sento commosso, ed una fervida preghiera mi spunta sul labbro.
Coll'enumerare tutti gli Istituti Salesiani il catalogo mi dà la prova più
evidente che la nostra Congregazione è opera di Dio, ch'Egli non ostante
la nostra pochezza, si degna servirsi di noi come strumenti per salvare
molte anime. Svolgendo quelle pagine io vedo awerate le predizioni
di Don Bosco, e più si fa in me la speranza, che nel giudizio che pronun-
zierà la Chiesa sulla santità del nostro fondatore, non sarà argomento
di poco peso il rapido propagarsi della sua religiosa famiglia ».
Senza dubbio, l'intercessione potente di Don Bosco dal paradiso
entrava nello sviluppo della Congregazione; ma si deva anche aggiun-
gere, come causa efficiente, lo zelo instancabile, la prudenza illuminata
e tutte le qualità di capo del suo primo successore.
Per completare il quadro missionario salesiano ai tempi del Beato
converrà aggiungere che, nonostante le restrizioni e limitazioni imposte,
i Salesiani giungevano nel 1906 a Tanjore in India, e a Macao, alle
porte della Cina, che Don Bosco aveva sognato negli ultimi anni della
sua vita.
Alla testa del primo gruppo giunto in Estremo Oriente erano Don
Luigi Versiglia e il marsigliese Don Lodovico Olive. Questi chiuse
presto i suoi giorni, logorato dalle fatiche apostoliche. Don Versiglia
divenne il primo Vicario Apostolico di Shiu-Chow e il 25 febbraio
1930 cadeva, in luce di martirio, sotto i colpi di una banda di pirati
e di rivoluzionari cinesi.
I1 27 febbraio poi del 1910 il Cardinale Mercier, tornando da Roma,
si fermava a Torino e in nome del governo Belga chiedeva a Don Rua
l'invio di alcuni Salesiani nel Congo.
Egli trovò il successore di Don Bosco inchiodato a letto e vicino
a morire. Ormai non gli restavano che poche setrimane di vita; era

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un'ombra il suo corpo; ma il pensiero vegliava sempre vigile e pronta.
Conosciuto il desiderio dell'Arcivescovo di Malines, impegnò la sua
parola di Rerror Maggiore, promettendo che l'anno appresso un
primo gruppo di Salesiani belgi sarebbe partito per il Katanga.
Don Rua poté così chiudere gli occhi alla scena di questo mondo
con la certezza che la profezia di Don Bosco era in via di attuazione:
« Andrete in Africa, penetrerete in Asia ».
Era cosa fatta, o quasi. Sui due continenti la pona stava socc usa;
non c'era che da sospingerla, un po' per anno, per lasciar entrare gli
operai della salvezza, a porrare la luce della fede cristiana.

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CAPO 111
Le fondamenta del grande edificio
Lo slancio preso dalla Pia Società Salesiana sorto il rettorato di
Don Rua non derivava soltanto dall'ardore giovanile dei suoi membri;
era anche effetto di un nutrimento spirituale appropriato: nutrimento
che Don Rua sapeva distribuire con sapienza e in ogni occasione ora
suggeriva una determinata forma di pietà, un'altra volta segnalava un
pericolo appena delineato, un'altra ancora sapeva cogliere utili lezioni
di vita da awenimenti tristi e lieti.
Sempre vigilando sulle necessità del momento, il Beato indicava ai
suoi religiosi nuovi orizzonti di attività, attento a cogliere i segni che
potevano minacciare qualche organo essenziale della società.
Fin sull'orlo della tomba Don Rua ebbe questa duplice cura: pre-
servare i Salesiani da ogni eventuale pericolo di dissoluzione e man-
tenere costantemente dinanzi ai loro occhi l'ideale da raggiungere.
In un grosso volume sono state raccolte le circolari inviate alla
Congregazione dal 1888 al 1910: insieme costituiscono il saggio di
quella che è l'essenza dello spirito salesiano, sobrio, chiaro, lieto,
pratico, meno astratto che sia possibile, come si conviene a uomini
dediti a un'attività continua, febbrile; bisognosi, perciò, più di norme
pratiche che di considerazioni speculative.
I Salesiani sono in primo luogo religiosi; hanno emesso i voti con
cui si sono consacrati a Dio. Questo dà modo a Don Rua di ricordare,
ad ogni occasione, i principi fondamentali che giustificano e rafforzano
il distacco dalle cose del mondo per seguire più da vicino Gesù Cristo.
Ma la sua mente positiva trova, ne1 loro stesso genere di vita, argomenti
speciali per rendere più efficaci le sue raccomandazioni.
Così, Don Rua inculca ai suoi figli la necessità di mantenersi po-
veri di spirito e di non sciupare nulla dei beni messi a loro disposizione.
Scriveva: « Non si deve 'credere che quanti vengono in aiuto alle nostre

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opere siano persone facoltose: è necessario si sappia che molti fra i no-
stri benefattori, poveri essi medesimi o appena modestamente agiati,
si impongono gravissimi sacrifici per poterci aiutare. Quante volte
vorrei avervi a testimoni di certe conversazioni, nella quali i buoni
cooperatori svelano candidamente le sante industrie con cui vien
loro fatto di raggranellare l'obolo che mi presentano. Se mi fosse dato
di leggervi certe lettere intime! Allora sì, comprendereste quanto dob-
biamo amare la povertà e praticare l'economia! Con quale cuore im-
piegheremmo quel denaro a procurarci comodità non adatte alla nostra
condizione? Sprecare il frutto di tanti sacrifici, anche solo spenderlo
inconsideratamente, è una vera ingratitudine verso Dio e verso i nostri
benefattori ».
Per stimolare i Salesiani a essere docili, a compiere con gioia il
dovere, a praticare la regola con esattezza, Don Rua ricorda natural-
mente le basi ascetiche della virtù dell'obbedienza, ma richiama di
preferenza la loro attenzione sull'utilità pratica che trarrà la loro auto-
rità, nel sottomettersi filiaimente ai superiori:
Deve starci altamente scolpito nella memoria che la comunità non
abbisogna solo di insegnamenti, ma di buoni esempi. Vi tomi spesso a
mente che la vita del superiore è il libro in cui i confratelli leggono le
norme del vivere. Quando voi rispettate l'autorità dei superiori mag-
giori, quando vi sottomettete alle loro decisioni, anche con qualche
sacrificio, rendete veneranda e più forte la vostra stessa autorità. Se
voi desiderate che siano osservate nella vostra casa le nostre sante
Regole, siate voi i primi ad osservarle D.
Onde animare poi i membri della Società ad austero controllo di sé
nella diacile arte dell'educazione, il Beato non teme di raccontare
un episodio, senza dubbio eccezionale, da cui traspaiono i pericoli che
si possono correre.
- « Pochi anni fa scrive - furono condotti a uno dei nostri istituti
due fratelli che fin dal primo giomo della vita di collegio, si segna-
larono per cattiva condotta, per ignoranza in fatto di religione e per
la loro avversione ad ogni pratica di pietà. Per buona ventura incontra-
rono un direttore che, formato alla scuola di Don Bosco, s'awide
subito essere quella una propizia occasione di strappare due anime al
demonio. Fortunatamente egli fu compreso e secondato con zelo dai
maestri ed assistenti, che senza mai scoraggiarsi delle difficoltà si pro-
posero di raddrizzare quelle due pianticelle si male inclinate. Dio bene-
disse i loro sforzi, e così riuscirono poco a poco a trasformare i due
piccoli scapestrati. Poco alla volta i due collegiali presero gusto allo

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studio, s'dezionarono ai superiori, e seguendo l'esempio dei compagni
cominciarono a frequentare i Santi Sacramenti. Fu allora che gusta-
rono la gioia d'una coscienza tranquilla: gioia che poi traspariva sulle
loro fronti aperte, sui loro volti, si direbbe, quasi trasfigurati. Venne
il momento di lasciare il collegio e di recarsi in famiglia per le vacanze
autunnali. 11 maggiore nel congedarsi dal direttore, lo ringraziò sentita-
mente della carità usatagli, poi versando lacrime abbondanti soggiunse
che non sapeva come perdonare a suo padre la colpa orrenda che aveva
commesso. Incoraggiato dal Superiore, egli continuò svelando come
l'indegno genitore, uomo senza fede, avesse mandato lui ed il fratello
in collegio raccomandando loro di adoperare ogni arte per indurre i
maestri ed assistenti ad usare loro sevizie e più ancora a commettere
atti contro la moralità. Era quindi suo intento accusarli alla giustizia,
. trascinarli davanti ai tribunali e menare alto scalpore contro sacerdoti e
religiosi.. ».
Passando ora alla missione caratteristica della Congregazione è in-
teressante osservare come Don Rua, nelle sue circolari, insiste spe-
cialmente su due delle molteplici opere educative che assorbono l'atti-
vità salesiana: l'oratorio e l'associazione degli ex allievi, la più antica
e la più nuova delle creazioni di Don Bosco. Più di venti volte egli
ribadì la necessità di aprire Oratori nei grandi centri urbani. 11suo sogno
era che ogni collegio salesiano ne avesse uno, perché l'oratorio fu la
prima opera iniziata dal fondatore e quella che gli stette maggiormente
a cuore. Per awiarlo non occorrono molte cose, ciò che non deve
mancare è lo spirito di sacrificio.
Voi potreste credere che si possono contare liete cose solamente
di quegli Oratori che possiedono locali adatti, cioè una cappella conve-
niente, un vasto cortile, un teatrino, attrezzi per ginnastica, giochi
numerosi ed attraenti. Certamente son questi, mezzi efficacissimi per
attirare numerosi i giovanetti agli Oratori, e perché i buoni principi,
seminati nei loro cuori, mettano profonde radici. Tuttavia, debbo dirvi
con la più viva gioia che in più luoghi lo zelo dei confratelli ha supplito
alla mancanza di questi mezzi. Essi cominciarono dagli Oratori, in
quel modo stesso che tenne Don Bosco al Rifugio: una scuola! o una
misera sala serviva da cappella, mentre un piccolo spazio di terreno
senza riparo serviva di cortile e a tutto: sembrava impossibile conti-
nuare, eppure i giovanetti, allettati dalle belle maniere dei Salesiani,
accorsero numerosi. L'interessamento che loro si mostrava strappò loro

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dalle labbra queste parole: altrove noi troveremo vaste sale, ampi conili,
bei giardini, giochi d'ogni fatta; ma noi amiamo venir qui ove non c'è
niente, ma sappiamo che ci si vuol bene ».
Don Rua si rallegra quando nei suoi viaggi vede Oratori con tre-
cento, cinquecento, mille e anche millecinquecento ragazzi, come
gli capitò d'incontrare in Spagna. La cosa più importante è di non
trascurare la loro formazione spirituale e fare tutto il possibile perché
perseverino nel bene, nell'esercizio della preghiera e nella pratica
dei sacramenti. « A d esempio di Don Bosco, invitate sovente questi
giovani a frequentare i sacramenti, e procuratene loro tutta la comodità.
Voi ben lo sapete, poco varrebbero da se stesse le nostre povere parole,
ma, se essi ricevono sovente con le dovute disposizioni Gesù nella Santa
Eucarestia, Egli opererà nei loro cuori meravigliosi cambiamenti e ra-
pidi progressi nella virtù D.
Nelle sue circolari, Don Rua faceva presente ai Salesiani l'esigenza
di aggregare i giovani a qualche circolo operaio cattolico o di fondare
nel medesimo Oratorio altre compagnie e circoli, in modo da mettere
i giovani stessi in grado di far fronte ai pericoli che aumentano sempre
con il crescere dell'età e con l'accesso al mondo del lavoro.
Le attenzioni di Don Rua, perciò, non si rivolgevano soltanto a co-
loro che accorrono normalmente agli istituti salesiani: oratori, ospizi,
convitti. Egli si preoccupava del numeroso esercito di giovani che, a
corso terminato, abbandonano dehitivamente l'istituto. Bisogna ben
provvedere al giorno in cui essi passeranno da un luogo sicuro e pro-
tetto ai pericoli delle passioni, della strada, del lavoro.
Questa preoccupazione suscitò l'idea di una nuova istituzione, la
« Associazione degli ex allievi », la cui organizzazione e il cui sviluppo
gli stettero sempre particolarmente a cuore. Spesse volte, però, queste
associazioni si rivelarono aride e infruttuose: tutte le attività si esauri-
vano in un convegno annuale con messa e un discorso di circostanza
ricco di dolci ricordi, ma quanto mai vago, indeterminato riguardo ai
propositi.
Don Rua, invece, voleva che esse fossero attive e operose nel campo
del bene. Per raggiungere lo scopo bisognava che si trasformassero
in opere di carità, di assistenza e anche di insegnamento. Per tutto

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il periodo del suo rettorato, egli non lesinò gli sforzi e le cure per
incanalarle in questa direzione. « Salviamo i nostri alunni, questi no-
stri cari figliuoli, e persuadiamoci che con lo stringerli in società non
salveremo solamente loro, ma molti anche dei loro congiunti, amici,
conoscenti, centuplicheremo il bene, daremo maggior gloria a Dio ».
E continuava: « In alcuni luoghi si riunirono in fraterno congresso
questi antichi allievi con ottimi risultati di reciproche e più strette re-
lazioni, di vittoria sul rispetto umano, d'incoraggiamento al bene.
In altre case si formularono brevi e semplici regolamenti per tenerli
sempre uniti nello spirito di pietà e di carità reciproca. Altri direttori
trovarono modo di utilizzare la loro attività con applicarli a fare il cate-
chismo nelle parrocchie e oratori, e farne ascrivere alle Conferenze di
San Vincenzo e ad altre pie e caritatevoli società. Altrove si ottenne
da loro una esemplarefrequenza ai Sacramenti, con qual profitto per loro
e per le loro famiglie, non è chi non veda. Molti s'iscrissero fra i Co-
operatori Salesiani, e mi mandarono la loro quota di concorso per
sostener le molteplici Opere nostre. Anzi, uno dei più zelanti fece,
nel suo entusiasmo per l'associazione, la proposta che la Società degli
antichi alunni di Don Bosco abbracciasse il mondo intero e diventasse
universale ».
Quel sogno oggi è una realtà. I giovani usciti dalle case salesiane
si sono dapprima raggruppati fra loro, poi hanno costituito federa.
zioni nazionali e queste si sono fuse in una associazione mondiale che
ha il suo presidente, il suo Statuto, la sua sfera d'azione. In conformità
ai desideri di Don Rua, ogni sezione si mostra viva e operosa. Queste
associazioni moltiplicano le loro iniziative, in margine e al centro del-
l'attività salesiana, ispirate sempre alla più schietta carità fraterna.
Don Rua sapeva bene che questa forma di vita spirituale, così
positiva e pratica, doveva essere messa in opera da tutti i direttori delle
case salesiane, se voleva che essa nutrisse tutti i suoi figli. Per questo,
una cura particolare era dedicata dal successore di Don Bosco alla forma-
zione del direttore ideale, quale si viene configurando nelle sue molte-
plici circolari.
Dovendo essere guida ai suoi confratelli, il buon esempio dovrà
essere il suo primo dovere, cui dovrà seguire la paterna sollecitudine
nei riguardi dei giovani appena usciti dal noviziato o dallo studentato.

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Nei loro confronti, il direttore dovrà essere padre vigile, attento ai bi-
sogni, prodigo di consigli, d'incoraggiamenti, di tenerezza.
I1 direttore è una sentinella vigile che deve eliminare dalle file degli
allievi gli elementi inadatti. Per farsi amare e guadagnare la confidenza
dei giovani confratelli dovrà star loro vicino, sia in chiesa che nei
momenti di ricreazione. I1 suo ufficio dovrà essere sempre aperto, ad
ogni ora. I giovani dovranno essere trattati con rispetto e con bontà,
in tutte le manifestazioni ordinarie della vita, perché ogni casa salesiana
mira a ricostituire l'ambiente di famiglia. E una cura particolare dovrà
essere dedicata da ogni direttore, memore di quanto diceva Don Bosco,
affinché la frequenza ai Sacramenti conservi, o faccia recuperare, I'in-
nocenza. E quando un giorno l'allievo lascerà il collegio per entrare
nella vita, il direttore non reputerà terminata la sua missione: continuerà
a vegliare sul giovane, lo farà iscrivere fra i Cooperatori salesiani e nel-
l'Associazione ex allievi perché la sua virtb sia salvaguardata.
Per compiere degnamente il suo compito, al direttore non bastano
ingegno, virtù e zelo: occorre anche una mente da amministratore
diligente e accorto, i suoi progetti dovranno sempre essere proporzionati
ai mezzi disponibili.
Un'altra delle costanti preoccupazioni di Don Rua era quella delle
vocazioni. Ricevendo da Don Bosco il governo della Congregazione,
egli si era impegnato anche a conservarne e ad accrescerne il numero, con
l'impegno costante di cercare, coltivare, proteggere le vocazioni in
germe nei vari istituti. Don Rua scriveva ai Salesiani: « Voi non vi me-
raviglierete se io vi confesso che, formato alla scuola di Don Bosco, ,
non so chiamare vero zelo quello di un religioso o d'un sacerdote il
quale si tenesse pago d'istruire ed educare i giovani del suo istituto
o della sua scuola e non cercasse d'awiare verso il santuario quelli
l
... in cui scorgonsi segni di vocazione e che sogliono essere i migliori
Dovunque ho veduto che sono molto apprezzate e desiderare le Opere
salesiane e dappertutto si ha grande venerazione pel loro fondatore, il
nostro buon Padre Don Bosco. Oltre lo sviluppo che vanno prendendo
tali opere, appunto per la simpatia ed appoggi di cui godono, in tutte le
parti ricevevo istanze per nuove fondazioni. E questa era la pena che
turbava alquanto la mia contentezza, il dover sempre rispondere che si
avesse pazienza, perché manca il personale. Quanto desideravo che si
moltiplicassero i confratelli! Mi consolava, però, il vedere lo zelo che
da parecchi si spiega per coltivare le vocazioni. Fra i giovani studenti

11.10 Page 110

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e artigiani e anche col promuovere l'associazione dei Pigli di Maria,
da cui tanto bene sperava il nostro buon Padre Don Bosco che l'aveva
così cara... Sono grandi i nostri bisogni di buoni preti, buoni chierici
e buoni coadiutori! Ora, per soddisfare questi bisogni è necessario la-
vorare tutti con ardore all'opera delle vocazioni ecclesiastiche e re-
ligiose ».
In verità non si sarebbe potuto trovare un più valente reclutatore
di operai apostolici. Senza posa ripeteva: «Volete suscitare in mezzo
ai vostri giovani vocazioni sicure, destinate a prendere il vostro posto
nel campo dell'azione salesiana? Stimolateli allo studio del latino,
create nelle vostre case un'atmosfera di sana e profonda pietà, vigi.
late sulla purezza, curate le compagnie religiose, fateli accostare spesso
all'Eucarestia, sorgente di ogni spirito di sacrificio. E offrite agli occhi
dei vostri giovani l'esempio e il modello costante di una vita d'abnega-
zione e di santa allegria. Nulla attira tanto i cuori, quanto il vedere la
gioia che emana dalla virtù ».
I continui richiami del Successore di Don Bosco riportavano la gio-
vane Congregazione a contatto con lo spirito del fondatore e la tene-
vano in costante allenamento spirituale, moltiplicandone le opere.
Lo stesso Don Rua ne fu talora meravigliato e commosso. Di ritorno
da un lungo viaggio all'estero scriveva:
« Sento come il bisogno di partecipare a tutti i confratelli sale-
siani la consolazione che procurò al mio cuore la visita di varie nostre
case fatta in questi ultimi mesi. Fui appieno soddisfatto dell'ordine che
in esse ho trovato, dell'attività che quasi tutti spiegano per l'educazione
dei giovani alle loro cure affidati e dello zelo con cui si sforzano di con-
servare lo spirito del nostro venerato Padre Don Bosco.
«Se ho dovuto constatare con pena non lieve che il personale è
scarso in tutti i nostri istituti e insufìiciente al molto lavoro, mi fu dolce
compenso il vedere come alcuni, anzi molti Confratelli, con immenso
sacrificio abbracciano l'insegnamento, l'assistenza, la predicazione ed
altri lavori ancora. Mi parve di assistere di nuovo allo spettacolo che
offrivano certi salesiani nei primi tempi della nostra Congregazione,
quando presentandosi un'occupazione, senza troppo badare alle dif-
ficoltà e ad altri impegni assunti, ciascuno si ofiiva prontamente a
compierla; specialmente mi fu soave conforto il vedere che in vari

12 Pages 111-120

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12.1 Page 111

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luoghi l'esempio veniva dall'alto, poiché incontrai ispettori e diret-
tori, che non paghi del grave lavoro della direzione, vollero essi medesimi
incaricarsi di parte dell'insegnamento, come pure altri superiori che
discesi dalla loro carica si applicarono agli uffici inferiori con lo stesso
amore e diligenza dei primi tempi della loro vita religiosa.
«Si degni il Signore benedire e conservare questa meravigliosa
attivi& e santa induferenza, che sarà per le nostre case la salva-
guar a della moralità ed una prova irrefragabile che i Salesiani non
cessano di essere figli di quell'indefesso lavoratore che fu sempre
Don Bosco D.

12.2 Page 112

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CAPO IV
Viaggiatore instancabile
La paternità spirituale di Don Rua, oltre che dalle circolari e let-
tere edificanti indirizzate alla Congregazione, traspare dalle continue
visite alle opere, da poco impiantate o in pieno sviluppo. Non gli bastò
far arrivare la sua parola dappertutto: volle essere presente sul campo
d'azione dei suoi figli.
Dire che Don Rua fu un viaggiatore instancabile, e in certo senso
prodigioso, è toccare un aspetto della sua personalità d i Rettor Maggiore
e di uomo di governo.
Dal 1889 al 1909, vale a dire dai cinquarituno ai settantun anno di
età, non lasciò passare mesi senza intraprendere qualche viaggio in
Italia o all'estero.
I1 tempo più propizio per le sue visite incominciava in generale a
metà della primavera e terminava tre mesi dopo. Ebbe modo così di
visitare diciotto nazioni: fu sette volte in Francia, quattro nel Belgio
e in Inghilterra, tre in Spagna, due in Olanda, Svizzera, Germania, Po-
lonia, Austria, Portogallo, Turchia, Palestina ed Egitto, una volta in
Grecia, Siria, Tunisia e Algeria. Rimangono poi tutti i viaggi, lunghi
e brevi, in Italia.
Difficilmente Don Rua si esimeva da una visita che gli permettesse
di avvicinare i suoi figli, gli alunni, gli ex allievi, i Cooperatori e d'in-
fondere nuovi impulsi di bene alle loro anime e alle loro opere.
A voler seguire il Beato, anno per anno, n d e sue continue peregri-
nazioni si prova un senso di viva ammirazione per il suo coraggio, la
sua fortezza e costanza, l'immenso desiderio che aveva di far del bene.
Non può dispiacere al lettore uno sguardo panoramico di tali viaggi;
lo aiutano a capire lo spirito alacre di Don Rua, mentre gli fanno

12.3 Page 113

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vedere la Congregazione Salesiana si andava propagando in Europa e
nel vicino Oriente.
Nel 1889, agli inizi del rettorato, Don Rua si accontenta di un
viaggio breve sino a Parma e Faenza. Nel 1890 invece si reca prima a
Roma, poi intraprende un viaggio attraverso il mezzogiorno della
Francia, passa in Spagna e si spinge fino a Madrid e Siviglia. Torna mo-
mentaneamente a Torino, e riparte di nuovo per Parigi e Londra, ri-
tornando per la via del Belgio.
Nel 1891 fa una puntata fino a Trento, allora sotto il dominio del-
l'Austria, e al ritorno rifà il percorso a zig-zag, toccando Venezia e Parma.
Al 31 dicembre di quell'anno egli aveva percorso 10.200 chilometri.
Nel 1892 riparte per Roma, attraversa lo stretto di Messina, per-
corre la Sicilia e rientra a Torino costeggiando l'Adriatico. Nel 1893,
Roma lo attira di nuovo: vi si reca in primavera, e riparte in autunno
alla volta di Londra. Dall'Inghilterra sbarca ad Anversa, visita il Belgio,
entra in Francia e tocca Lilla, Parigi e si spinge h o in Bretagna.
Nel 1894 si dirige prima in Svizzera; poi in Alsazia, fermandosi a
Strasburgo e a Metz; quindi va a Liegi e penetra in Olanda: passa a
Rotterdam, discende a Bruxelles per Anversa e Maliies, e torna a To-
rino. Due mesi dopo, una breve puntata in Lombardia.
Nel 1895, ai primi di febbraio, s'imbarca a Marsiglia, e va in Egitto:
sbarca ad Alessandria, e per GiafFa entra in Palestina e la percorre da
sud a nord. Al ritorno si ferma al Cairo e ad Alessandria. Dopo un
mese di riposo a Torino, verso la fine di aprile, si mette di nuovo in
treno per Bologna, Modena e Milano.
L'anno 1896 lo passò a percorrere l'Italia in tutti i sensi, toccando
Verona e Vicenza ad est, e Napoli a sud.
E siamo così a 32.500 chilometri.
Negli anni 1897 e 1898 non va all'estero; sono le varie regioni d'Italia
che hanno la fortuna di goderlo. Nel febbraio del 1899, attraversa
le Alpi per la strada che porta a Grenoble, e visita il mezzogiorno della
Francia; quindi si reca in Spagna, entra in Portogallo, e ritorna sui
suoi passi per imbarcarsi ad Almeria alla volta di Orano. Rientra a To-
rino passando per Marsiglia; e subito dopo riparte per Roma e Ancona.
I1 nastro si allunga; e alla fine di quell'anno misura 43.400 chilo-
metri.
L'anno 1900 lo vede, fin da febbraio, ridiscendere a Roma, ritornare
a Firenze e poi sbarcare in Sicilia una seconda volta, facendo anche
una puntata a Malta. Da Marsala s'imbarca alla volta di Tunisi; e al
ritorno, quasi attratto dall'isola degli ardenti entusiasmi, percorre di

12.4 Page 114

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nuovo la Sicilia in tutti i sensi, da Palermo a Catania, da Agrigento a
Siracusa. Risale a Torino per la via dell'Adriatico, per la Romagna e il
basso Piemonte. Questo viaggio, il più lungo di tutti, era durato tre
mesi, e aveva raggiunto i 52.700 chilometri.
Una puntata a Milano chiude i viaggi del 1900. Nel febbraio 1901
parte per Nizza, dove presiede ai festeggiamenti per il 25' di fondazione
di quella casa salesiana.
Più tardi, tutta una serie di feste e di inaugurazioni lo chiama a
Milano, a Parma, a Bologna. Nell'autunno si reca a Gorizia, e di li in
Polonia a salutarvi per la prima volta i suoi figli; al ritorno passa per
Trieste.
Nella primavera del 1902 va in Svizzera, torna a Torino, e riparte
per Londra. Nel viaggio di ritorno, visita tutte le case salesiane del
Belgio. Riposatosi appena da così lungo viaggio, va a Livorno, ove
s'imbarca per la Sardegna a visitarvi un istituto che Io aspetta da lungo
tempo.
Nel 1903 è la volta di tutte le case salesiane delllItalia settentrionale
h o a Trento, e dell'Italia centrale h o a Napoli.
Con questo viaggio egli ha percorso ben 71.700 chilometri.
Sul finire del 1904 altro viaggio in Polonia; di va in Alsazia e Lo-
rena, e quindi nel Belgio, ove l'attendono manifestazioni commo.
venti.
Nel maggio 1905 rivede ancora Roma, e nell'ottobre successivo
accorre in Calabria a lenire le lacrime dei colpiti del terremoto.
I1 1906 fu l'anno più movimentato. In febbraio va a Londra, e al
ritorno visita Francia, Spagna e Portogallo. Rientra a Torino; ma ne
riparte, sullo scorcio di aprile, alla volta della Sicilia, donde fa un salto
h o a Malta. Al ritorno s'indugia molto tempo in Sicilia, e poi per
Ancona, Spezia e Milano, fa ritorno a Torino.
Nel 1907 viaggia soltanto in Italia, ma in tutte le direzioni. In pri-
mavera veleggia verso la riviera ligure; poi va in Toscana, nel17Emilia,
nel Veneto, con una breve digressione in Svizzera, nel Canton Ticino.
La registrazione dei chilometri percorsi, a questo punto, raggiunge la
cifra di 86.500.
Nel 1908, a compimento d'un voto fatto in un'ora burrascosa della
Congregazione Salesiana, Don Rua partiva una seconda volta per la
Palestina. Raggiungeva Costantinopoli con I'Orient-express; di passava
a Smime, Efeso, Beirut, Damasco e Caifa; dove, sbarcato, percorreva
come pellegrino penitente, la Galilea, la Samaria e la Giudea. Al ritorno,

12.5 Page 115

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un'ultima tappa ad Alessandria d'Egitto, e quindi partenza per Malta
e Sicilia. Ritornava a Torino costeggiando l'Adriatico e passando per
Milano.
Finalmente poteva concedersi un po' di riposo.
Nessuno potrà dire quanto costassero di pene fisiche a Don Rua i
suoi viaggi. Non riuscì mai ad abituarsi ai viaggi di mare, cosicché ogni
traversata era per lui un vero tormento.
Si aggiungano le faticose notti passate sui treni, in terza classe; il
continuo cambiar letto, i cibi nuovi, gli usi e costumi diversi cui bi-
sognava assuefarsi. Tutto costituiva per il suo fragile corpo una fatica
e una sofferenza da non potersi immaginare!
Tuttavia, h o ai sessant'anni le cose andarono discretamente. Ma
quando si manifestarono nella loro crudezza gli acciacchi dell'età, e
non dell'età soltanto, il viaggiare divenne per Don Rua un continuo mar-
tirio. Ma egli, malgrado la gonfiezza delle gambe, varicose e piagate,
le palpebre infiammate e cispose, il cuore debole, non esitava ogni anno
a riprendere il treno. Smise di viaggiare soltanto sei mesi prima della
morte, per espresso ordine dei medici.
11suo passaggio era salutato un po' dovunque come il passaggio d'un
santo. Le scene, già awenute intorno a Don Bosco, si ripetevano in-
tomo a Don Rua.
- In vari viaggi - attestò Don Barberis prese me per compagno,
e io fui testimone che dovunque era tenuto in fama di santità ».
Anche Don Francesia afferma: «Dopo i suoi viaggi in Francia,
Spagna e Belgio si levò una voce sola, che egli era un altro Don Bosco,
che le sue parole erano quelle di un santo, e che la carità e lo zelo del
primo successore di Don Bosco non erano inferiori a quelle del fondatore
dell'opera Salesiana ».
Anzi qualcuno in Francia arrivò a dire: «Tutto è miracoloso nella
vita e nelle opere di Don Bosco, ma questo perpetuarsi di Don Bosco
in Don Rua, sembra il più grande di tutti i miracoli ».
Ecco perché non solo i grandi del mondo e i rappresentanti della
Gerarchia sollecitavano le sue visite e la sua amicizia, ma la folla cre-
dente, che mostra spesso un intuito infallibile, correva a lui piena
di fede; e gli strappava pii ricordi, gli chiedeva una benedizione, un
consiglio, voleva awicinarlo, toccarlo, tagliuzzargli la povera talare.
In ogni suo viaggio, la venerazione pubblica lo aspettava all'uscita

12.6 Page 116

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dell'Oratorio di Valdocco, e gli faceva buona scorta h o al ritorno,
improwisando qua e dimostrazioni spontanee e ardenti di entusiasmo
e di fede.
*
Quali ragioni muovevano a viaggiare il Beato, che avrebbe potuto
starsene tranquillo in ufficio a sostenere il peso della carica di Rettor
Maggiore dei Salesiani ?
I motivi contingentierano numerosi: pose di prima pietra o inaugura-
zioni di nuovi istituti, vestizioni chiericali e professioni, ragguagli
d'ufficio alle Autorità romane, anniversari e celebrazioni straordinarie,
disastri e calamità.
Più spesso però Don Rua si mette in viaggio, mosso unicamente dal
desiderio di vedere i propri confratelli, incoraggiarli e stimolarli al
bene; di incontrarsi coi benefattori, ringraziarli, e stimolarli a qualche
nuova impresa di bene. Altra volta, assillato dai suoi innumerevoli
bisogni, egli fa come Don Bosco: prende il cappello, un biglietto di
terza classe e parte per la Francia, per il Belgio, e là, lui cosi timido e ri.
servato, tende coraggiosamente la mano ai suoi fedeli amici.
Nel visitare una casa salesiana. Don Rua guardava, osservava, e poi,
o a voce al momento dell'addio, o per iscritto qualche giorno dopo, non
mancava di comunicare al direttore la sua soddisfazione, temperata da
osservazioni giuste ed espresse sempre con la più grande delicatezza.
Una delle sue cure più vive, nei viaggi, era di mantenere desto
i1 fuoco dell'ennisiasmo nella grande famiglia dei Cooperatori, di parlare
con ciascuno di loro, e di accrescerne il numero. Non accadeva mai che
egli si fermasse in qualche città senza riunire in una chiesa centrale e
frequentata questi collaboratori benemeriti, che gli aveva affidati Don
Bosco sul letto di morte. Ricordava allora le parole che il buon padre
soleva spesso ripetere: «Non aver paura di battere sovente alla loro
porta. Non sono essi che ti fanno la carità; sei tu che la fai a loro. La
loro elemosina è un70pera di misericordia di cui essi ti saranno grati ».
La sua camera era naturalmente aperta ai Cooperatori, ai confratelli
e ai giovani; e le udienze non finivano mai. Quanti cuori furono con-
solati, quante vocazioni decise, quante volontà raddrizzate, quante
borse furono aperte e anche vuotate, quanti progetti di bene furono con-
cepiti e abbozzati, nel mondo, per questa sola ragione che qualcuno
ebbe l'idea di andare a consultare quest'uomo di Dio!
Tutte le fatiche che gli costavano i lunghi viaggi, le molte conferenze,
le udienze interminabili, egli le sopportava con perfetta serenità sosten-

12.7 Page 117

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nuto dal desiderio ardente di mantenere lo spirito salesiano e di esten-
derne l'influsso. Questa grande famiglia religiosa, affidata da Dio alle
sue cured,iegli voleva a costo di ogni sacrificio non solo che non venisse
meno, ma che vivesse di una vita sempre più rigogliosa.
Non impunemente però si percorrono, coi mezzi di allora, più di
100.000 chilometri in vent'anni.
Il fragile corpo di Don Rua nel 1908 appariva estenuato e incapace
ormai di sopportare nuovi strapazzi. La sua mente si manteneva fresca
la memoria tenace; ma il cuore veniva meno e le gambe rifiutavano il
loro servizio.
Un ultimo sforzo fu fatto quell'anno per recarsi ancora una volta
a Roma. Anche per Don Bosco era stato così.
Nel 1887 il Santo aveva voluto assistere alla consacrazione del tempio
eretto presso la stazione Termini in onore del Sacro Cuore, e ricevere
la bene zione di Leone XIII.
Nel 1905 San Pio X aveva invitato Don Rua a costruire ai piedi del-
llAventino, in un quartiere turbolento ed operaio, una chiesa a Santa
Maria Liberatrice.
11tempio era sorto. Don Rua, benché stanco e affaticato dai lunghi
viaggi, volle assistere alla consacrazione, che ebbe luogo il 29 novembre
1908.
Pochi giorni dopo Don Rua era in Vaticano per offrire al Sommo
Pontefice, che celebrava il suo giubileo sacerdotale, quel dono della
famiglia salesiana.
Salendo per l'ampia gradinata, che da1cortile di San Damaso conduce
agli appartamenti pontifici, egli dovette ricordare, che, venti anni prima
aveva sostenuto Don Bosco che calcava quei gradini per un ultimo
omaggio di fedeltà alla Cattedra di Pietro.
Adesso era la sua volta! E veniva, come un buon servitore, a prender
commiato, dal Vicario di Cristo prima d'intraprendere, dopo tanti
viaggi sulla terra, quell'ulrimo che, finalmente, lo avrebbe introdotto
nella pace di Dio.

12.8 Page 118

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CAPO V
Azione sociale
Tra le virtù che Don Rua aveva ereditato da Don Bosco spiccava
un senso di caldo affetto per il ceto degli operai e una spiccata sim.
paria per ogni forma organizzativa di protezione e difesa dei loro
interessi. Come meravigliarsi di una simile predilezione? Le file
degli operai non sono forse ingrossate di anno in anno dagli alunni che
provenivano dalle scuole professionali salesiane ? Le loro organizzazioni
d'altronde non potevano che apparire come preziosi strumenti di
apostolato popolare.
Era dawero un magnifico ideale quello di raggruppare in un unico
organismo imponente e disciplinato quelle forze, con il preciso intento
di far penetrare Cristo nelle officine, cooperare alla elaborazione di
una legislazione sociale ispirata ai principi evangelici, ottenere quel
grado di benessere favorevole alla pratica delle virtù cristiane, e neu-
tralizzare contemporaneamente l'influsso e la crescente minaccia rap-
presentata dalle dottrine atee e materialiste.
Un simile progetto poteva non interessare Don Bosco? Fin dal 1875,
egli stringe amicizia con Leone Harmel, autorevole capo del movimento
cattolico operaio, e, sebbene rifiuti di immischiarsi direttamente nel la-
voro di organizzazione, la sua simpatia e la sua approvazione sono to-
tali e incondizionate, mentre dalle sue case ogni anno arrivavano nuovi
rinforzi alle formazioni operaie.
Nel 1887, pochi mesi prima della sua scomparsa, Don Bosco aveva
desiderato ancora una volta essere presente a un ennesimo incontro con
gli operai francesi che si recavano in pellegrinaggio a Roma. Proprio
per mezzo di Don Rua, non potendo più farlo personalmente, aveva
manifestato loro la sua ammirazione e il suo plauso.
In quella occasione, Don Rua non interpretò solamente il pensiero

12.9 Page 119

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del Santo, ma espresse anche il suo sentimento personale verso la classe
operaia: in realtà, Iddio doveva riservargli, nei loro riguardi, una
missione oscura, forse, ma molto efficace.
Infatti due anni dopo quel prirno appuntamento in compagnia di
Don Bosco, il 7 novembre 1889, Don Rua portava la sua paterna bene-
dizione a un treno di operai francesi diretti a Roma. All'arrivo del treno il
Beato è sulla banchina della stazione di Torino: gli operai scendono, gli
si fanno incontro, lo circondano festanti, tributando all'umile succes-
sore di Don Bosco una manifestazione di rispetta e di venerazione.
Sono duemila pellegrini, conquistati da quel prete che sorride a tutti,
a tutti rivolge una parola amorevole nella loro lingua: in lui sentono di
aver trovato un amico. E quando il treno riparte, dopo un'ora, sono
ai finestrini a salutarlo con un selva di ewiva, di berretti levati, di grida
di giubilo, mentre il fragile prete sulla banchina continua a sorridere
e a benedirli,
Passano meno di due anni e l'incontro si ripete. Nel settembre 1891,
addirittura sette treni speciali carichi di quattromila operai pellegrini
organizzati da Leone Harmel sono diretti a Roma, onde ringraziare il
pontefice per la enciclica Rerum Novarum.
La prima tappa del viaggio in Italia è Torino, dove Leone Harmel
voleva o&ire ai pellegrini l'occasione di una sosta presso la tomba
del loro grande amico Don Bosco, i1 Santo degli apprendisti e dei
giovani operai.
Nel collegio salesiano di Valsalice quel mattino del 17 settembre
si son dati convegno, oltre ai superiori della Congregazione, numerosi
delegati delle associazioni operaie di Torino. FU una manifestazione
entusiastica, commovente. Al canto del Magnificat,i pellegrinientrarono
nella cappella dove il loro direttore tracciò a grandi linee la vita di quel
grande operaio di Dio che fu Don Bosco, amico degli umili, dei lavo-
ratori, educatore dei loro figliuoli. E quelle migliaia di operai, giunti
da così lontano, sfilarono commossi davanti alla tomba del Santo.
Alla fine del pranzo, consumato all'ombra dei grandi platani del
cortile dell'istituto, Don Rua manifestava ai presenti rutto il suo affetto.
Ricordò il ruolo importantissimo che il lavoro e l'operaio cristiani,
avevano occupato nella vita di Don Bosco. Espresse la sua ammirazione
per il movimento sociale e religioso che rappresentavano e si rallegrò
per la nuova testimonianza di amicizia fra la Francia cattolica e la So-

12.10 Page 120

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cietà Salesiana. Infine, come presidente onorario dei circoli operai
cattolici della sua parrocchia, li assicurò che il suo ricordo e la sua pre-
ghiera li avrebbe sempre seguiti e sorretti nell'arduo cammino della loro
vita e della loro testimonianza cristiana.
Pochi anni dopo Don Rua trovò modo di manifestare in maniera
inequivocabile il suo profondo interessamento per la classe operaia,
adoperandosi al successo di un sindacato cattolico delle lavoratrici
della moda.
È una storia singolare. A Torino, una signorina dell'alta società,
Cesarina Astesana, aveva fondato nella parrocchia di Santa Barbara un
patronato per fanciulle, che ne raccoglieva circa trecento. La fondazione
prosperava e faceva del bene, ma la signorina Astesana lamentava la
poca perseveranza delle più grandi fra le ragazze, che man mano abban-
donavano il gruppo. Studiando la causa di quelle defezioni, essa la
trovò di indole sociale. 11 capriccio di un orario lavorativo arbitrario
spesso sottraeva le giovani al controllo della famiglia e le esponeva a
compagnie pericolose.
Non c'era nulla di più arbitrario che le esigenze di una grande sartoria
o di una casa di moda. Ogni giorno si lavorava fino a tardi, per dodici
o anche quattordici ore, per preparare una sfilata, per accogliere la ri-
chiesta di un cliente di lusso, mentre il giorno dopo cominciava talora
un periodo di magra. Orari infami, non regolati da alcuna norma che
tutelasse le lavoratrici. Come si poteva porre rimedio a tale situa-
zione? La signorina Astesana, dopo aver cercato e chiesto consiglio,
adottò un piano di azione sociale. Per agire efficacemente sui poteri
pubblici non è sufficiente una singola voce, pur stimabile: onde rime-
diare a quel triste stato di cose era necessario raccogliere, se non la
massa, almeno una gran parte di quelle sastine. Ma come attirarle e
unirle insieme ?
Il problema fu risolto in due tempi. Si cominciò con il lanciare nel.
l'ambiente dei sarti e delle sartine diecimila inviti per una conferenza
sociale che si doveva tenere in Santa Barbara con l'intervento del rino-
mato oratore salesiano Don Stefano Trione. Accorse una vera folla,
e le parole del conferenziere entusiasmarono talmente l'uditorio che
quella sera stessa venne fondata la << Società di mutuo soccorso tra le gio-
vani operaie cattoliche ».I1 locale era già pronto ad accogliere i primi
nuclei dell'associazione.

13 Pages 121-130

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13.1 Page 121

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Era un buon inizio, un promettente auspicio per l'awenire. Ma per
consolidare l'opera ci voleva che le prime arrivate perseverassero nei
buoni propositi e facessero attiva azione di propaganda.
Anzitutto si cercò di non caricarle troppo di pratiche di pietà,
si adottò perciò un'insegna che non significasse un aspetto strettamente
religioso. La direzione restò nelle mani delle fondatrici, donne esperte
che ben sapevano trattare e interessare, anche con forme di diverti-
mento, quella gioventù.
Infine, awicinandosi la stagione estiva, vennero fondate due colonie,
l'una sulle Alpi, l'altra al mare. Come riuscirono salutari e divertenti
quelle tre settimane di vacanza per le sassanta sartine anemiche e fragili
per il genere di vita condotto fino allora! Al ritorno erano propagan-
diste accese del movimento, al quale portarono centinaia di nuove
adesioni.
La battaglia era vinta, le lavoratrici passarono all'attacco. Si comin-
ciò a bussare alla porta di questo o quel deputato, s'inviarono petizioni
ai ministeri competenti, si cercò di muovere l'opinione pubblica. E
sotto lo sforzo convergente anche di altre forze operaie, i lavoratori
cristiani ottennero il primo grosso rishulitato: 11 Parlamento votò la
Legge Luzatti sulla protezione del lavoro della donna e del fanciullo.
Non era tutto quello che si era chiesto, ma si era ottenuto almeno la s o p
pressione del lavoro notturno, il riposo festivo, l'istituzione degli ispet-
tori del lavoro.
La porta era socchiusa, all'occasione buona sarebbe stata aperta
del tutto. E questa si presentò subito, perché la legge venne applicata
solo nei grandi magazzini.
La Società di mutuo soccorso cattolica » ritornò alla carica presen-
tando seimila firme alle autorità per c edere l'estensione ai piccoli
laboratori dei benefici di quella legge. La vittoria fu assicurata.
Erano gli anni, dal 1900 al 1908, in cui il socialismo trionfava e
si credeva sicuro della conquista delle classi popolari. Ma proprio al-
lora appunto sorse quell'organizzazione creata da una donna di squisito
spirito cristiano, 19Astesana,che si proponeva di trovare la soluzione
dei rapporti tra capitale e lavoro, non nella proposta singola, ma nella
forma dell'organizzazione; non con l'odio, ma con la ragione e i prin-
cipi del Vangelo. Fu dawero una bella battaglia quella condotta in

13.2 Page 122

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quegli anni a Torino da questa associazione, e se la fondatrice
non conobbe scoraggiamenti, fu perché nell'ombra, un cuore di
padre e una volontà di apostolo vegliavano e operavano a favore
dell'iniziativa.
Don Rua, dal giorno in cui la signorina Astesana aveva iniziato il
suo patronato, mise a disposizione un religioso con il titolo di Cappel-
lano, oArì le due case delle Figlie di Maria Ausiliatrice, l'una a Giaveno
e l'altra a Varazze, per le vacanze. Sempre e ovunque consigliò e in-
coraggiò l'opera che si andava sviluppando, rivolgendosi alla sua fon-
datrice con una frase che era una sferzata, un ordine a proseguire sulla
via intrapresa: «Vada avanti, senza paura; l'opera sua è santa e Iddio
è con lei ».
Anche un'altra volta, nell'estate del 1906, Don Rua mostrò con
efficacia la sua simpatia verso la classe operaia. Nel maggio un violento
sciopero investì la manifattura Poma. I1 fondatore dello stabilimento,
Anselmo Poma, era un cattolico di vecchio stampo, amico personale di
Don Rua e cooperatore salesiano. Nella sua officina lavoravano un
migliaio fra operai e operaie, e nell'insieme il personale era affezionato
al lavoro e al proprietario.
I1 signor Poma, era tutto sommato un brav'uomo, attivo, intelligente,
esemplare padre di famiglia, benefico nei confronti dei bisognosi;
ma, molto autoritario, non voleva lasciarsi imporre la volontà altrui.
Era l'errore sociale del tempo.
I1 lavoratore poteva avere giuste rivendicazioni da fare, ma come
presentarle perché fossero accolte se non mediante un'associazione
professionale? In quegli anni, però, organizzazioni operaie che si ispi-
rassero ai principi del Vangelo ancora non ne esistevano, ed era il so-
cialismo che dilagava infiltrandosi in tutte le fabbriche.
Questo era awenuto anche nella filanda Poma, e con azione lenta
aveva finito con l'esacerbare l'animo dei lavoratori. Un giorno uno
sciopero improvviso bloccò il lavoro: gli operai rivendicavano, sul-
l'esempio di quanto era stato accordato agli stabilimenti dello stesso
tipo, la riduzione del lavoro, da undici ore e mezzo a dieci. I1 pro-
prietario ordinò la ripresa immediata del lavoro, promettendo che la
richiesta sarebbe sfata discussa in seguito. E quando se ne parlò,
la riduzione venne quasi subito accordata, ma parimenti anche i sa-

13.3 Page 123

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lari vennero ridotti in proporzione. Allora fu proclamato un altro
sciopero, che doveva durare cinquanta giorni con scene di violenza
inaudita.
Appena scoppiato il conflitto, la Camera del lavoro socialista in-
tervenne nella disputa e, forte delle sowenzioni accordate agli sciope-
ranti, assunse la direzione della resistenza. Dopo cinque settimane
di sciopero, alcune operaie, ormai a corto di mezzi, fecero sapere a
Poma di essere disposte a tornare al lavoro, e avuta l'autorizzazione,
penetrarono nello stabilimento. Quando la notizia si seppe, la folla
dei lavoratori in sciopero bloccò le uscite e le donne furono costrette a
restare chiuse all'interno, dormendo su brande, mangiando un po' di
pane che si era trovato in un vicino forno.
La situazione, al cinquantesimo giorno, era al culmine della ten-
sione, rasentava la tragedia. I1 proprietario era risoluto a non cedere
di fronte alla violenza, gli operai rivendicavano i loro diritti, e non
volevano ritornare in fabbrica se non con orario di dieci ore e senza
riduzione di salario.
A più riprese Don Rua e il suo vicario Don Rinaldi erano inter-
venuti presso il loro amico per indurlo alla conciliazione, ma tutto era
stato inutile. Finalmente, la domenica 8 luglio, Don Rua tornò all'at-
tacco in una riunione nell'ufficio del signor Poma in cui si trovavano il
segretario di prefettura, Don Rinaldi, la signorina Astesana e altre
personalità.
Le parole di Don Rua, ispirate ai più schietti sentimenti di
carità cristiana, dovettero avere quella volta particolare efficacia e
forza di persuasione, e riuscirono finalmente a far recedere dalla sua
posizione irremovibile il padrone.
Don Rinaldi redasse in pochi minuti il testo di una circolare
che la signorina Astesana spedì a tutte le scioperanti per invitarle
a riprendere il lavoro alle nuove condizioni, mentre il prestigio
del proprietario era fatto salvo perché egli aderiva ai nuovi patti
- disse, - «Visto il coraggio e l'attaccamento delle operaie
che avevano voluto riprendere di loro iniziativa il lavoro ». I1 giorno
dopo le sciopero era finito, si chiudeva con una nota di oblio reci-
proco per certe asprezze precedenti e in un'amichevole conciliazione
generale.

13.4 Page 124

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I buoni &ci di Don Rua a favore degli umili, dei lavoratori avevano
trionfato pienamente un'altra volta.
I1 successore di Don Bosco resterà fedele fino al termine della
sua vita a questa forma così moderna e attuale di aposrolato po-
polare.
Ancora pochi giorni prima della morte mormorò al suo succes-
sore questa frase significativa che equivale a una preghiera, al prose-
guimento di un'azione condotta prima di lui ancora da Don Bosco:
« T i raccomando in modo particolare di curare tutte le nostre opere
sociali ».

13.5 Page 125

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CAPO Vi
Consolazioni e conforti
11lungo rettorato di Don Rua, se da una parte fu colmo di lavoro e
di fatiche, non mancò di soddisfazioni e di gioie.
Le prime gli vennero dallo sviluppoveramente prodigiosodella Con-
gregazione, che egli aveva visto sorgere dal nulla e che, proprio a partire
dagli inizi del suo governo, si era andata diffondendo nel mondo.
Anno per anno le case si moltiplicavano in un fiorire che dava im-
pressione d'inesauribile primavera. I noviziati rigurgitavano di belle e
promettenti vocazioni sbocciate un po' dappertutto; lo zelo dei suoi
figli scopriva e dava vita a nuove forme di apostolato; il nome e lo
spirito di Don Bosco si dermavano sempre più.
Don Rua ne era meravigliato e commosso: in cuor suo ringraziava
Dio e scopriva, nei successi della Società, la protezione e l'aiuto di
Maria Ausiliatrice.
Come Don Bosco aveva visto fiorire all'oratorio le virtù eroiche di
Domenico Savio, Don Rua ebbe la gioia di constatare che l'ascetica
salesiana, da qualcuno giudicata scarsa di forme e di pratiche, produ-
ceva invece frutti meravigliosi di santità.
L'8 aprile del 1893, nel collegio salesiano di Alassio, in Liguria,
moriva in odore di santità il principe Augusto Czartoryski, sacerdote
salesiano. Senza spasimi, senza agonia, si spegneva, nelle prime ore di
una tiepida notte di primavera, dopo cinque anni di dure sofferenze,
mormorando: Domine, Jesu Christe!... come se salutasse Colui che
veniva ad aprirgli le porte della gloria.
Poco dopo, nel 1897 - il 30 dicembre - nel collegio salesiano di
Valsalice, nei dintorni di Torino, vicino alla tomba di Don Bosco,
spirava quell'emulo della grande Santa Teresa e di Santa Maria Madda-
lena de' Pazzi, che fu Don Andrea Beltrami, giovane sacerdote di 27

13.6 Page 126

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anni, il cui motto era: V i v e r e per soffrire. Per sei anni, senza mai perdere
il suo dolce sorriso, senza smettere un istante di pregare e di lavorare,
egli aveva asceso il più penoso dei calvari.
Vero serafino d'amore, si era offerto in sacrificio di espiazione,
vittima per i peccati del mondo. Dopo la sua morte, gli trovarono in-
dosso, c uso in un astuccio sospeso al collo, un atto di offerta scritto
di suo pugno e firmato col suo sangue.
Ne trascriviamo qualche tratto per mostrare a quali altezze di eroismo
l'avesse sollevato il suo ardente amore per Gesù e per le anime.
O Cuore dolcissimo di Gesù, voi mi avete dato un amore cocente,
più forte della morte e dell'inferno, verso gli agonizzanti e le anime sante
del Purgatorio. Ascoltate la mia orazione. Io mi offro vittima volontaria,
capo emissario, agnello di espiazione, pronto ad essere gettato in mare
come Giona, per i poveri agonizzanti... per ciascuno di essi sono pronto
. ad agonizzare in croce h o al giorno del giudizio.. a portare la corona
di spine in capo... a portare le cinque piaghe nel mio corpo, ad essere
flagellato, insultato, deriso, sputacchiato e fatto ludibrio dell'uni-
verso.. .».
Quando morirono l'uno e l'altro, corse unanime la voce: È morto un
santo! E questa voce varcò subito la cinta dei due collegi, si sparse per
l'Italia e nel mondo. Incominciarono ad affluire i pellegrini alle loro
tombe, sbocciarono i miracoli vicino alle loro spoglie mortali, e la
Chiesa ne tratta le Cause di beatificazione per portare all'onore degli
altari i due Servi di Dio.
Questi due fiori di santità Don Rua li aveva visti nascere, crescere,
spandere la corolla, poi piegar il capo, e morire quasi sotto i suoi occhi.
I1 pensiero che essi avevano trovato nell'atmosfera salesiana, l'ambiente
favorevole al loro sviluppo, riempiva la sua anima d'una gioia dolce e
profonda.
Altra gioia, non meno viva di queste, procurava a Don Rua la cre-
scente stima che la Congregazione Salesiana godeva presso la S. Sede.
A tre riprese, infatti, nel volger di pochi anni, essa sceglieva tre salesiani
per elevarli alla pienezza del sacerdozio.
Nel 1893, era stato nominato vescovo da Leone XIII, il salesiano
Don Luigi Lasagna, uno dei primi e più ardenti missionari. Quest'uomo
intraprendente aveva impiantato opere salesiane nell'uruguay e nel
Paraguay; e ora si disponeva a varcare le frontiere di queste due repub-

13.7 Page 127

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bliche per stabilirsi nel Brasile. Per facilitargli l'impresa, la S. Sede lo
eleva alla dignità episcopale.
Due anni dopo, nel 1895, uguale onore conferiva a Don Giacomo
Costamagna, incaricandolo dell'evangelizzazione dei Chiuari, sparsi
nella regione di Mendez e Gualaquiza, nel13Equatore.
Finalmente, nel 1909, il successore di Leone XIII, Pio X - che nu-
triva per Don Rua una stima pari a quella che Pio IX aveva per Don
Bosco - eleggeva alla sede di Massa Carrara, il Procuratore Generale
della Pia Società a Roma, Don Giovanni Marenco, del quale aveva
potuto apprezzare personalmente, in varie circostanze, le alte qualità di
mente e di cuore.
Ov'era più il tempo in cui si trepidava per la vita della giovane
Società, al punto da volerla fondere con altro ordine religioso più an-
tico? Ora, il Sommo Pontefice prelevava da lei i custodi del suo gregge.
fu minore il conforto che venne d'animo di Don Rua du-
rante la celebrazione del primo Congresso Salesiano tenutosi a Bologna
nel 1895.
Fu organizzato dai Cooperatori salesiani della città per un triplice
scopo: studiare l'Opera salesiana nelle sue molteplici manifestazioni,
cercare i mezzi migliori per aiutarla, preparare a Bologna la fondazione
di un istituto salesiano.
L'iniziativa riscosse un enorme interesse ed ebbe l'incondizionato
appoggio dell'Arcivescovo Cardinale Svampa. Quattro cardinali e
ventuno fra arcivescovi e vescovi parteciparono alle sedute, alle quali
prendeva parte anche il noto sociologo cristiano professar Toniolo.
Cinquantotto giornali, fra italiani, francesi, spagnoli, austriaci, tede*
schi, inglesi e svizzeri, avevano mandato i loro inviati a seguire i lavori,
a riprova dell'interesse che il Congresso suscitava.
Con la lettura di un messaggio di Leone XIII si diede inizio alle riu-
nioni che durarono tre giorni, in un crescendo di entusiasmo e di
simpatia per la Pia Società e per le sue iniziative. Tutte le relazioni,
le discussioni, le delibere si ispirarono al concetto espresso dal gio-
vane Arcivescovo di Milano, Cardinal Andrea Ferrari: nella restaura-
zione cristiana del mondo, Dio riserva una bella parte di lavoro alla
Congregazione Salesiana, perché essa porti, sulle tracce del suo fonda-
tore, un rimedio efficace lavorando all'educazione religiosa della gio-
ventù e rivolgendosi di preferenza alle classi lavoratrici.

13.8 Page 128

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In un voto conclusivo di indole sociale, i Cooperatori salesiani
che fossero nelle condizioni di datori di lavoro, erano invitati a re-
tribuire gli opheriai secondo il principio del salario familiare accennato
quattro anni prima da Leone XIII nella sua enciclica Rerum Novarum.
La sera della chiusura, la chiesa di San Domenico, capace di quattor-
dici mila persone, non poté accogliere tutti i fedeli accorsi, e il giorno
dopo, 26 aprile, cinquantamila bolognesi salirono dietro i cardinali e i
vescovi la collina della Guardia per cantare, dinanzi all'iminagine della
Madonna di San Luca, il Te Deum della gratitudine.
Al ritorno a Torino, Don Rua partecipava a tutta la Congregazione
la sua gioia: Vi farà forse meraviglia se vi fu chi, trasportato dallo
entusiasmo, c amò questo Congresso in trionfo, un'apoteosi della
Congregazione Salesiana?
«Io non avrei osato neppure riferirvi tale parole, che sembra ferire
quella modestia che ogni Salesiano dovrebbe praticare, se non fosse per
ricordarvi che pare ciò fosse predetto da quel sogno che ebbe Don
Bosco nella notte dal 10 all'll settembre 1881. Dopo averci santamente
spaventati descrivendo i pericoli che correrebbe la Congregazione per il
rilassamento di alcuni suoi membri, Don Bosco ci rinfrancava dicendo:
circa il 1895 gran trionfo. Dolcissimo Padre, la vostra parola si è av-
verata! P.
Otto anni dopo Don Rua pregustava una gioia ineffabile di paradiso:
la solenne incoronazione di Maria Ausiliatrice nel santuario di VaIdocco.
Convinto che Maria SS.ma fosse la Fondatrice e sostenitrice delle
opere e missioni affidate alle sue cure, la onorò soprattutto nel tempio
che, come tante altre cose del mondo salesiano, egli aveva visto sorgere
dal nulla.
Ne aveva curato già la decorazione a scioglimento di un voto fatto
in morte di Don Bosco, onde ottenere il privilegio di poterne tumulare i
resti nella casa di Valsalice.
Nel 1903 ottenne da Leone XIII la grazia di poter coronare la tauma-
turga immagine che il pittor Lorenzone aveva eseguito sotto la guida
di Don Bosco.
Nel dare l'annuncio del Breve pontiiicio con cui Leone XIII decretava
l'incoronazione dell'immagine di Valdocco da farsi in suo nome e per
sua autorità, Don Rua, sempre così misurato nelle parole, ha dell'iper-
bolico: Quando nel 31 gennaio 1888 -scrive a cooperatori e coopera-
trici sul Bollettino Salesiano - vi comunicavo la perdita del nostro caro

13.9 Page 129

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Don Bosco, ricordo che vi dicevo essere quello l'annunzio più doloroso
che vi avessi dato o vi potessi dare in vira mia. Ebbene, sia lodata e
benedetta la bontà del Signore! Questo è il giorno in cui mi pare di
poter dire: Eccowi la notizia più bella e più consolante che io abbia mai
dato o possa darvi, dovessi pur rimanere lunghi anni sulla terra ».
Dopo espressioni di viva riconoscenza al Papa, entrando nel merito
dell'incoronazione stessa, stabilita per il 17 maggio di quell'anno, in con-
comitanza con il Terzo Congresso Generale dei Cooperatori Salesiani,
Don Rua proseguiva: « Per noi Maria SS.ma Ausiliatrice è tutto. È dessa
che ispirò e guidò prodigiosamente il nostro Don Bosco in tutte le sue
grandi imprese; è dessa che continuò e continua tuttodi tale materna
assistenza sulle nostre opere, per cui possiamo ripetere con Don Bosco
che tutto ciò che abbiamo, lo dobbiamo a Maria SS.ma Ausiliatrice. Quindi è
che il nuovo splendore che il Breve pontificio irradia sulla venerata
Immagine di questa nostra pietosissima Madre, mi ha profondamente
commosso ».
La commozione del Servo di Dio toccò il vertice dell'esrasi nel
momento felicissimo dell'incoronazione, allorché agli applausi scro-
scianti della folla assiepata nel Santuario si unì il canto dell'antifona:
Corona aurea super caput eiw. « Che meraviglia - scrive egli stesso -
se a tale dimostrazione di fede, di pietà, di amore a Maria scorressero
abbondanti le lacrime dagli occhi?Altro non posso dirvi- soggiunge ai
figli della Congregazione - poiché le parole non valgono ad esprimere la
gioia di quel momento; l'estasi soavissima in cui tutti i cuori sono as-
sorti; il tumulto degli affetti, l'ardore delle preghiere che s'innalzano
alla dolcissima nostra Madre D.
Il pianto di Don Rua in quell'ora solenne è confermato da testimoni
oculari << Quando vide posarsi sul capo del Bambino e della Madonna le
. sacre corone.. -depone Don Melchiorre Marocco -scoppiò in pianto
dirotto: cosa che ci meravigliò non poco, conoscendo la padronanza
assoluta che egli aveva di sé >). La sera innanzi egli era salito sul palco
eretto davanti alla icona per la cerimonia dell'incoronazione, « e dopo
aver pregato alcuni istanti in ginocchio, s'era levato a baciare con
atteggiamento serafico il volto della Madonna e del Bambino, con gli
occhi pieni di lacrime »,pregustando la gioia dell'indomani.
A settant'anni, sullo scorcio della vita, un'altra consolazione doveva
provare Don Rua, certo una delle più grandi per il suo cuore di figlio.

13.10 Page 130

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I1 24 luglio 1907 la S. Congregazione dei Riti emanava il decreto
che, secondo le prescrizioni canoniche del tempo, dic arava Don
Bosco Venerabile. Era il primo passo ufficiale verso l'onore degli altari.
A questo trionfo Don Rua lavorava, si può dire, da quasi mezzo
secolo.
Nel 1860 per sua iniziativa s'era formata all'Oratorio una com-
missione incaricata di non lasciar cadere in dimenticanza gesti, detti,
- fatti, di Don Bosco. «Vedendo - racconta Don Francesia come
Don Bosco apparisse ogni dì più portentoso. Don Rua, divenuto
sacerdote, credette suo dovere raccogliere i chierici più avanzati
nello studio e affezionati alla casa, e manifestare ad essi il pensiero
che non si lasciassero perdere le cose memorabili che accadevano
sorto i loro occhi ».
Nella prima riunione della singolare coiiiinissione- sempre secondo
il Francesia - Don Rua così precisò il suo pensiero: « Le dori grandi e
luminose che risplendono in Don Bosco, i fatti straordinari che av-
vengono in lui e noi ammiriamo, il suo modo singolare di condurre i
giovinetti per le vie ardue della virtù, i grandi disegni che egli mostra di
rivolgere in capo intorno all'awenire, ci rivelano nella sua persona
qualche cosa di soprannaturale e fanno presagire giorni più gloriosi
per lui e per l'Oratorio. Tutto ciò impone a noi uno stretto dovere di
gratitudine, un obbligo d'impedire, che nulla di quello che appartiene
a Don Bosco cada in oblio, affinché risplenda, un dì, qual luminosa
face ad illuminare tutto il mondo a pro della gioventù D.
Nel 1874 Don Rua creò una seconda commissione allo stesso scopo,
e awenuta la morte del Padre e Fondatore, si mise all'opera per av-
viarne i processi di Beatificazione e Canonizzazione.
Quattro settimane dopo i funerali di Don Bosco, il Beato riuniva i
suoi consiglieri per trattare l'argomento.
Da Roma lo stimolava ad agire Sua Em. il Cardinal Parocch'i, proter-
tore della Congregazione; Mons. Caprara, promotore della Fede, lo
aveva messo al corrente sulla forma migliore e più rapida di procedere
per condurre a termine la grande impresa. Si trattava solo d'incomin-
ciare.
A questo scopo si nominò subito il postulatore della causa nella
persona di Don Bonetti.
I1 Cardinal Alimonda, Arcivescovo di Torino, inforinato del pro-
getto, pregò quei figli impazientidi voler differire di alcuni mesi l'apertura
del Processo. Nel maggio del 1890, doveva riunirsi a Torino tutto 1'Epi-
scopato subalpino, e l'Arcivescovo intendeva sollecitarne il parere.

14 Pages 131-140

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14.1 Page 131

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L'approvazione fu unanime. I venti vescovi furon del parere che la
Congregazione Salesiana dovesse iniziare al più presto i lavori prepara-
torii della causa.
Questi lavori e il processo diocesano che ne seguì, benché condotti
sollecitamente, durano più di sette anni: furono tenute cinquecentoses-
santadue sedute, e Don Rua per conto suo, depose ben settantadue
volte.
I trenta volumi dell'incartamento furono spediti a Roma nel 1898, e
quindici anni dopo si aveva l'atteso decreto per l'Introduzione della
Causa, con il titolo di Venerabile al grande Servo di Dio.
Quando la sera del 31 luglio 1907 Don Rua ebbe tra le mani il testo
del decreto pontificio, una gioia indicibile gl'inondò il cuore.
Scrisse ai Salesiani con l'animo pieno di commozione: (( Don Bosco è
Venerabile! Questa è la fausta novella che da tanti anni noi sospiravamo
e che finalmente sulle ali del telegrafo giunse la sera del 24 luglio tesré
trascorso. È il felice annunzio che ripetuto in tutte le lingue per mezzo
dei giornali ha rallegrato il cuore di innumerevoli amici ed ammiratori
di Don Bosco. Sono sicuro che per quanto remota possa essere la di-
mora di molti nostri missionari li raggiunse la notizia di questo gio-
condissimo avvenimento. Tuttavia non volli darvene ufficiale comunica-
zione prima di potere leggere coi miei occhi il decreto della Sacra Con-
gregazione dei Riti, e baciare con trasporto di gioia la firma dell'augusto
Pontefice Pio X che si degnò confermarne il voto.
«Don Bosco è Venerabile! Quando mi toccò notificare con mano
tremante a tutta la famiglia salesiana la morte di Don Bosco, io scrivevo
che quell'annunzio era il più doloroso che avessi mai dato o potessi
dare in vita mia; ora invece la notizia della Venerabilità di Don Bosco è
la più dolce e soave che io possa darvi prima di scendere nella tomba.
« A questo pensiero un inno di gioia e di ringraziatnento erompe dal
mio petto. Se vedemmo per tanti anni il nostro buon Padre accasciato
sotto il peso di indicibili pene, sacrifici e persecuzioni, com'è consolante
vedere la Chiesa Cattolica intenta a lavorare per la sua glorificazione
anche in faccia al mondo! Se mai ci avesse sorpreso qualche dubbio che
la nostra Pia Societi fosse l'opera di Dio; ora il nostro spirito può
riposare tranquillo dal momento che la Chiesa col suo magistero
chiama Venerabile il nostro Fondatore ».
Più che mai tornava di attualità in quel momento l'assidua racco-
mandazione del Beato ai membri della Congregazione: Facciamo in
modo che la santità dei figli provi quella del Padre D.

14.2 Page 132

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CAPO VI1
Croci e spine
Alle gioie, nella vita di Don Rua, s'intrecciarono le spine. Nel giorno
della suaprima Messa, ricordando forse le parole di mamma Margherita
a lui: Ricordati che cominciare a dir messa vuol dire cominciare a
soffrire »,Don Bosco gli aveva detto: « Per arrivare alla Terra Pro-
messa bisogna attraversare il mar Rosso e il deserto: avrai molto
da lavorare e molto da soffrire ».
I1 Beato non si fece illusioni: anch'egli doveva pagare il suo tributo
alla Croce.
Per Don Rua una grossa croce fu la sua rielezione a Rertor Mag-
giore.
Nel 1898 si tenne l'ottavo Capitolo Generale della Congregazione. A
norma delle Costituzioni l'assemblea doveva discutere i problemi più
importanti e vitali della Società ed eleggere i componenti del Consiglio
Centrale.
I1 Beato era in carica da dieci anni. Leone XIII l'aveva nominato
Superiore Generale per dodici anni. A rigore di termini il suo mandato
sarebbe scaduto soltanto nel 1900. Don Rua però, onde evitare spese
alla Congregazione, impetrò dalla Santa Sede di potersi dimettere dalla
carica due anni prima della normale scadenza.
In vista dell'importante elezione, che si compiva per la prima volta
nella storia salesiana, si radunarono a Torino duecentodiciassette
capitolari. Erano i consiglieri del Capitolo superiore uscente; i due
vescovi Mons. Cagliero e Mons. Costamagna; il Procuratore generale,
il Maestro generale dei novizi, tutti gli ispettori e provinciali, quasi
tutti i direttori delllAntico Continente, e alcuni del Nuovo, accom-

14.3 Page 133

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pagnati da un delegato per ogni casa. L'assemblea si riuniva a Valsa-
lice, presso la tomba di Don Bosco, evidentemente sotto la presidenza
di Don Rua.
I1 29 agosto, seduta di apertura; e la mattina del 30, seduta per l'ele-
zione del Rettor Maggiore.
Don Rua pregò uno dei segretari di leggere all'assemblea una nota
scritta di suo pugno. Essa pregava gli elettori di volerlo escludere dai
loro voti, per eleggete un Superiore Generale più giovane di lui, e quin-
di più idoneo a disimpegnare un ufficio che il continuo sviluppo della
Società rendeva ogni giorno più difficile. Assicurava altresì l'assemblea
che nel più umile ufficio che gli avesse affidato l'ubbidienza, avrebbe
fatto del suo meglio per lavorare alla gloria di Dio e alla salvezza
delle anime.
Terminata questa lettura, Don Rua discese dal seggio della presi-
denza e prese posto in mezzo agli elettori. I suoi figli ebbero un bel
supplicarlo perché riprendesse il suo posto d'onore e dirigesse lo scru-
tinio: fu inutile. Allora si passò ai voti. L'elezione fu quello che tutti
si aspettavano. Dei duecentodiciassette voti, ben duecentotredici
furono per il successore di Don Bosco che dovette immediatamente
riprendere il posto di presidente tra un'ovazione che pareva non do-
vesse finire.
Qualche settimana dopo Don Rua umilmente scriveva ai suoi
figli: « La quasi unanimità, con cui mi si volle rieleggere, malgrado
la mia pochezza, mi persuade sempre più della vostra venerazione
per il nosero arnatissimo fondatore Don Bosco, che mi aveva eletto
suo Vicario negli ultimi anni della vita, come pure del vostro pieno
ossequio al Vicario di Gesù Cristo, che subito dopo la morte di
lui si degnò designarmi al suo successore. Questa vostra fiducia mi
anima sempre più ad occuparmi con coraggio del bene della nostra
Congregazione N.
in realtà il Beato sapeva e sentiva che il voto dell'assemblea capitolare
l'aveva legato a una pesante croce.
Croci minori non gli erano mancate fino a quel momento del suo
governo ed altre si sarebbero avvicendate sino alla fine, nell'ultimo
1
1
decennio della vita. Tanto che il Beato, alludendo anche alla sua per-
i

14.4 Page 134

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sona, soleva ripetere ai Salesiani: «Iddio fa andare avanti la nostra
Pia Società un po' con le buone, un po' con le brusche D.
Del resto in ogni circostanza Don Rua affrontò il dolore con fiducia
in Dio e piena rassegnazione, e quando le prove si fecero più frequenti
e prolungate, quando si arrivò a vera tempesta, il Beato mostrò di qual
tempera fosse fatto, e come la sua adamantina fortezza fosse intrisa di
eroismo.
All'inizio del 1896 egli stesso aveva confidato ai suoi figli che il
' '95 era stato apportatore alla Congregazione di gioie e dolori. Al-
l'apertura di nuove case, all'invio di oltre cento missionari, allo
splendido Congresso di Bologna al felice e tempestivo svolgimento
dei processi informativi di Don Bosco, alla consacrazione del terzo
vescovo salesiano, avevano fatro riscontro avvenimenti tragici e
luttuosi.
I1 primo era avvenuto a Catanzaro, dove nell'episcopio uno squili.
brato aveva ucciso Don Francesco Dalmazzo, uno dei Salesiani più
in vista in Italia.
Don Dalmazzo era quel fanciullo che si confessava da Don Bosco
la mattina in cui lo si venne ad avvertire che il panettiere non inten-
deva fornire il pane per quel giorno se prima non si fosse saldato il
debiro. Quella confessione per lui doveva essere l'ultima col Santo,
poiché aveva deciso di abbandonare l'oratorio e tornare a casa; ma,
avendo assistito, siibito dopo, alla prodigiosa moltiplicazione delle
pagnottelle nelle mani di Don Bosco, cambiò parere e pregò i suoi
di lasciarlo all'Oratorio.
Compì i suoi studi presso Don Bosco, del quale divenne presto un
prezioso collaboratore. Nella nascente Congregazione le sue rare qualità
lo designarono per tempo ad alte cariche: e di fatto fu successivamentedi-
rettore del collegio di Valsalice, fondatore dell'opera salesiana a Londra,
rettore della chiesa di San Giovanni Evangelista in Torino, primo
Parroco e Procuratore generale della Società a Roma, e finalmente, su
richiesta di un Vescovo di Calabria, superiore del Seminario di Catan-
zaro.
A questa missione egli si consacrò con tutto l'ardore del suo animo;
e in breve mise ordine e disciplina, fece fiorire la pietà e amare gli studi.
I1 suo temperamento era di quelli che sanno affrontare le diffcoltà
senza ricorrere a vie traverse. Di qui la collisione con un povero squili-

14.5 Page 135

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brato, giudicato non maturo per gli ordini sacri, e la conseguente tra-
gedia.
Don Rua ne fu afflitto come padre per l'immatura e insana perdita
di un figlio.
Cinque mesi dopo era la scomparsa in un tragico e misterioso in-
cidente ferroviario a Juiz de Fora, in Brasile, di Mons. Luigi Lasagna,
del suo segretario e di quattro Figlie di Macia Ausiliatrice, che si accin-
gevano a nuove fondazioni negli Stati interni di quell'immenso paese.
Fu la prima pagina di sangue negli annali delle Missioni salesiane.
Con Mons. Lasagna si spegneva una delle più belle speranze della
Società, poiché raramente si trovano raccolte nello stesso individuo
doti così eminenti, come quelle che egli possedeva. Nulla gli mancava per
il successo; prestanza e gagliardia di corpo, un volto radioso ed illu-
minato da perenne sorriso, cultura profonda, ardore d'iniziative, e
bontà inesauribile.
Senza dubbio avrebbe lasciato un'orma profonda nella storia delle
missioni cattoliche! E chi sa quali conquiste avrebbe operato fra le tribù
dei Bororos del Mato Grosso, egli che in meno di vent'anni aveva
impostato e consolidato l'Opera Salesiana nell'uruguay!
Quando arrivò a Torino il telegramma che recava la tragica notizia,
Don Rua si trovava nel vicino noviziato di Foglizzo. Il compito doloroso
di comunicarglielo lo ebbe Don Lazzero, che vi giunse col primo treno
del mattino.
- Che buon vento ri porta? - gli domandò il Servo di Dio ap-
pena lo vide. E vedendo Don Lazzero mantenere un viso serio e
I
preoccupato:
- Mi porti forse qualche brutta notizia?
- Purtroppo! Iddio ti domanda un sacrificio doloroso.
- Quale?
- Rassegniamoci ai suoi imperscrutabili disegni, e baciamo la
mano che ci percuote.
- Ma di che si tratta? Su parla!
l
- Preghiamo per l'anima del nostro caro Mons. Lasagna.
- Morto?
.. - Sì, morto ieri. E a poco a poco lo informò della tragedia.
A quel colpo improwiso Don Rua impallidì, e una lacrima gli im-
perlb gli occhi. Egli lo amava tanto il piccolo Lasagna, che aveva visto
i

14.6 Page 136

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crescere sotto il suo sguardo. Suonavano le sette: l'ora della Messa co-
munitaria.
Immerso nel suo dolore Don Rua scese a celebrare il santo sacrificio
in suffragio dell'anima del suo antico alunno di Mirabello e di Torino,
che il Signore gli aveva tolto nel fiore degli anni e del suo apostolato
missionario.
Se l'impensata morre di Mons. Lasagna paralizzò un awenire di liete
promesse nel Brasile, qualche anno più tardi, nel 1898, una eccezionale
inondazione cancellava in pochi giorni dieci anni di lavoro nelle Mis-
sioni della Patagonia, in Argentina, dove con indomito coraggio lavo-
rava Mons. Cagliero.
Piogge torrenziali e il simultaneo scioglimento delle nevi sulle
Cordigliere provocarono una piena tale dai fiumi Limay, Neuquén,
Negro, Colorado e Chubut, che l'immensa piana della Patagonia Set-
tentrionale fu invasa dalle acque per centinaia di chilometri.
Non si ebbero vittime; i disastri però furono immensi. Don Rua ne
rimase costernato.
Scriveva: ((Quanto fiorenti erano sei mesi fa, o benemeriti Co-
operatori, le nostre case di Viedma, Patagones, Pringles, Conesa, Roca,
Chos-Malal, Junin de 10s Andes e Rawson! Esse tutte, quasi orgogliose
piante, elevavano al cielo le loro palme, cariche di copiosi frutti; ma
ora più non sono, e quelle che in parte ancora sussistono sono squallide
e sfrondate d'ogni lor frutto. I1 Signore ha visitato le nostre missioni
di Patagonia con terribili inondazioni: sia anche in questa amarissima cir-
costanza benedetta la sua visita!
Egli però che non cessa di amarci anche quando ci visita con le tri-
bolazioni e sa trarre il bene dal male, sottoponendo a si grandi prove le
nostre Missioni, vuol far divenire ogni giorno più viva la nostra fiducia
nella sua provvidenza, ed aprire un campo più vasto alla vostra carità, o
benemeriti Cooperatori ».
E così il dolore per i suoi figli desolati e provati dall'awersità,
diventava solidarietà con i loro bisogni e ricerca di aiuti e di mezzi.
Qualche anno prima, nel 1896, c'era stata anche l'espulsione dei
Salesiani dall'Equatore, a dar pena e preoccupazioni all'animo paterno
di Don Rua.

14.7 Page 137

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Un moto rivoluzionario aveva messo il Governo di quel Paese in
mano di faziosi che subito presero di mira istituti e congregazioni reli-
giose, condannando i loro membri all'esilio.
La notte dal 23 al 24 aprile un plotone armato entrò anche nel
collegio salesiano di Quito e si diede a perquisire rutti i locali nella spe-
ranza di trovare, se non depositi d'armi, almeno tracce e documenti di
complotto.
Al termine dell'infruttuosa perquisizione furono condotti via otto sa-
cerdoti e un chierico e messi al bando.
All'alba, sotto scorta militare furono awiati, a piedi, alla volta del
Penì. Camminarono per venticinque giorni e venticinque notti, altra.
verso foreste vergini, in mezzo a paludi infette per sentieri impratica-
bili, per fiumi appena guadabili, sopportando le più aspre torture. Il
martirio fu tale, che uno di quegli sventurati, Don Milano, cadde per
non più rialzarsi. Sfinito dalla fame, dalia sete, dalla stanchezza, dalla
febbre, dovette essere ricoverato nell'ospedale di Guayaquil, dove
morì qualche giorno dopo.
Le altre case salesiane dell'Equatore, Cuenca, Riobamba, e Sagolqui,
subirono la stessa sorte. Le residenze missionarie nel paese dei Chivari,
invece, furono risparmiate.
Non tutti i mali però vengono per nuocere. Dio seppe cavare buoni
frutti da una persecuzione imprevista. I1 personale, rimasto disponi-
bile dopo la brutale espulsione, venne impiegato subito nelle ispettorie
salesiane del Perù e del Cile.
Grazie a questo rinforzo le fondazioni si moltiplicarono nelle due
repubbliche a tal punto che, tre anni dopo, quando cessò il vento ostile
non fu più possibile avere il personale per le case di Cuenca e di Rio-
bamba, che erano in condizioni di riaprire finalmente le porte alla gio-
ventù locale.
*
Un altro colpo crudele giunse a Don Rua dalla Francia, dove all'alba
del ventesimo secolo venne applicava la cosidetta legge delle Associa-
zioni, che negava ai religiosi il diritto di riunirsi per attendere all'educa-
zione e all'istruzione dei figli del popolo. Nessuna congregazione reli-
giosa si poteva costituire senza l'autorizzazione di una apposita legge che
determinasse le modalità del suo funzionamento.
Davanti a prospettive del genere non c'erano che tre vie: prendere la
strada dell'esilio, chiedere alla Santa Sede la secolarizzazione, domandare
l'autorizzazione del governo.

14.8 Page 138

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I Salesiani, riuniti attorno a Don Rua, scelsero di tentare ogni mezzo
pur di non abbandonare in Francia quelle gioventù e quell'opera di
apostolato che durava ormai da trent'anni. Per mezzo di alcuni deputati
cattolici che parlarono con il Cardinal Richard, arcivescovo di Parigi,
si diffusela speranza che il Governo sarebbe stato favorevole a quelle con-
gregazioni che avessero richiesto la sua autorizzazione.
Queste premesse infondevano una certa fiducia e con il consenso di
Don Rua venne chiesta l'autorizzazione. Ma la condanna era già de+
cretata e con centocinquantotto voti contro novantotto la richiesta dei
Salesiailifu respinta. Gli istituti furono chiusi, vendute all'incanto quelle
case di lavoro e di preghiera che racchiudevano ricordi e fatiche. E una
triste mattina d'autunno, i figli di Don Bosco presero la via dell'esilio.
Chi trovò rifugio in Belgio, chi rientrò in Italia, chi si recò in Spagna,
chi partì per le missioni in Cina e in America. Alcuni dovevano rientrare
solo dodici anni più tardi, il 5 luglio 1914, quando la patria in pericolo
fece appello a tutti i suoi figli.
Ma Don Rua non poté assistere alla fine consolante di quella tragica
vicenda perché lo colse la morte. Di quell'episodio gli toccò soffrire
la parte più dolorosa: la chiusura delle case, I'espulsione, la disper.
sione di quella gioventù che era affidata da anni ai suoi confratelli.
Maggiore strazio all'animo di Don Rua fu la disposizione della
Santa Sede che toglieva a tutti i superiori di case religiose, seminari e
istituti di educazione, la facoltà di ricevere le confessioni dei sudditi e
subalterni.
Era questa una delle più antiche tradizioni della Socierà. Sull'esempio
- di Don Bosco, ogni direttore era anche - o poteva essere il confes-
sore ordinario dei confratelli e degli alunni.
Don Bosco aveva visto il suo maestro San Giuseppe Cafasso operare
così nel Convitto Ecclesiastico di Torino, e ispirandosi a quell'esempio,
sulle ali del suo zelo, aveva sempre fatto altrettanto.
Don Rua non aveva creduto di fare diversamente; tanto più che,
accanto alla salma del fondatore, egli aveva giurato di mantenere
intatta la sua eredità spirituale.
Perciò quando, nei primi anni del secolo il decreto del Sant'Ufiicio
del 1899 fu esteso formalmente alla Congregazione Salesiana, Don Rua
ne soffrì amaramente.

14.9 Page 139

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Per alcune settimane la sua anima ne fu desolata, anzitutto perché
gli sembrava che quell'ingiunzione avesse il sapore di un biasimo; ed
essere biasimato da Roma era per lui, come per Don Bosco, il massimo
dei dolori; e poi perché egli credeva sinceramente che il buon andamento
delle sue case, e lo spirito di pietà che vi deve regnare, fossero legati
indissolubilmente a quel sistema.
Quelli che l'osservavano in quei giorni non sapevano spiegarsi quel-
l'aria afflitta del suo volto, quell'atteggiamento meditabondo, quel si*
lenzio prolungato, e quella maggiore intensità di preghiera.
Finalmente l'energia della sua anima prese il soprawento, e in una
lettera chiara e breve, trasmise a tutti i direttori delle case l'ordine
ricevuto.
Fu quello certamente uno dei colpi più duri al suo attaccamento
alla tradizione salesiana: soltanto la fede e l'obbedienza al Papa gli
diedero coraggio nell'ardua prova.
I1 Calvario di Don Rua era tutt'altro che terminato: lo attendevano
altre dolorose stazioni.
Nei primi anni del nuovo secolo Don Rua dovette anche affrontare
il distacco dalla Congregazione delle Figlie di Maria Ausiliatrice, la
seconda famiglia salesiana, fondata nel 1872 e trasmessa anche questa a
lui in eredltà, in quanto Don Bosco era stato anche il Superiore ufficiale
delle Suore di Maria Ausiliatrice.
Nel 1901 la Congregazione dei Vescovi e Regolari pubblicò un de-
creto che stabiliva in base a quali condizioni le congregazioni religiose
femminili potevano ottenere l'approvazione delle loro costituzioni da
parte della Santa Sede: una d i queste era appunto la piena indipendenza
da ogni Congregazione maschile avente eguali fmalità.
Le Figlie di Maria Ausiliatrice, che in quel tempo facevano le pratiche
per ottenere la loro approvazione apostolica, non poterono far altra
cosa che sottomettersi alla nuova norma.
I timori di Don Rua per questa brusca svolta nella vita della seconda
famiglia salesiana, svolta che avrebbe potuto causare qualche inconve-
niente riguardo alla disciplina interna della Congregazione, si rivela-
rono per fortuna infondati. Gli avvenimenti dimostrarono che le
Figlie di Maria Ausiliatrice, divenute pienamente autonome a partire
dal 1906, percorsero una strada parallela a quella dei Salesiani, giacché

14.10 Page 140

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i pensieri, le opere, lo spirito degli uni influirono naturalmente anche
sulle altre.
Quindici anni dopo, esse richiesero insistentemente a Roma la di-
rezione spirituale del Superiore Generale dei Salesiani. Benedetto XV
accolse favorevolmente la loro supplica e nominò il secondo successore
di Don Bosco, Don Paolo Albera, loro Delegato Apostolico, con il
compito di mantenere in mezzo a loro lo spirito del Santo fondatore,
di curare i bisogni spirituali, morali e intellettuali della Società, di sal-
vaguardarne, se necessario, gli interessi economici.
Un altro episodio, accaduto nel 1907, scosse dolorosamente il cuore
di Don Rua: il caso delle cosidette vacanze di Varazze. In questa citta-
dina ligure esisteva fin dal 1872 un istituto salesiano, dove settecento
alunni, dalle elementari, alle tecniche, al ginnasio, ricevevano la loro
istruzione.
Alla fine di luglio scoppiò lo scandalo architettato con subdola mal-
vagità. Un ragazzo di quindici anni, Carlo Marlario, un trovate110 adot.
tato dalla vedova Besson accusava i salesiani di atti d'immoralità e di
insulti pubblici alla famiglia reale e a Garibaldi.
I1 caso ebbe vasta risonanza in tutta Italia, con una speculazione
giornalistica, che sin dall'inizio, mostrò un piano ben architettato.
il collegio venne chiuso, gli alunni rimandati alle loro famiglie, e due
salesiani, un chierico e un coadiutore, incarcerati a Savona. Ma in due
settimane la macchiiazione, tendente a creare con quesce false accuse
una ondata di anticlericalismo in tutt'Italia e per questo alla laicizza-
zione di tutte le scuole, fu scoperta e battuta. Gli avvocati scelti da
Don Rua per difendere l'onore della Congregazione dimostrarono l'in-
fondatezza delle accuse, svelarono le falsità di quel piano, i medici
psichiatri, che esaminarono l'accusatore definirono nella loro perizia
il ragazzo uno psicopatico il cui stato mentale si era maggiormente
aggravato per la crisi della pubertà che attraversava >>, e il diario ac-
cusatore un tessuto d'invenzioni fantastiche ».
I1 sottoprefetto di Savona venne destituito, tre giornali calunniatori
condannati, il chierico e il coadiutore messi in libertà, e dopo innu-
merevoli dimostrazioni di simpatia e di solidarietà e numerose peti-
zioni, il ministro della Pubblica Istruzione decretava la riapertura del
collegio.

15 Pages 141-150

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15.1 Page 141

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Ma quel 1908 che si apriva con un inno di ringraziamento al Signore
si doveva chiudere per Don Rua con un nuovo dolore. Nella notte
fra il 27 e il 28 dicembre il terremoto distruggeva Reggio CalaBria e
Messina. Nell'immane catastrofe che causò lutti a migliaia di italiani,
una sorte crudele colpi anche i Salesiani. Nella distruzione del magni-
fico collegio, che la Congregazione aveva costruito a Messina, perirono
sei sacerdoti, due chierici, un coadiutore, trentanove alunni e quattro
persone di servizio. L'edificio era un ammasso di rovine, ci vollero otto
giorni per recuperare quei poveri corpi irriconoscibili, e dar loro sepol-
tura.
Sotto il peso di tante croci e fra le punture di tante spine Don Rua
si rivelò sempre uomo di Dio, imperturbabile nella sua calma e nel suo
lavoro.
Testimonia Don Francesia: << Nei venti e più anni di Rettorato egli
ebbe a passare per molte tribolazioni di vario genere: ma non lo intesi
mai proferire un lamento di sfiducia; aveva sempre e solo parole di
conforto. Era sua divisa la parola di Don Bosco: Nulla ti turbi ».
Aggiunge Don Barberis: «Egli sapeva sopportare e patire con
fortezza cristiana. È certo che in molte circostanze Don Rua bevette
fino all'ultima goccia calici amarissimi, e giunse fino alle più alte vette
del sacrificio, con una grandezza d'animo, una pazienza e una costanza
insuperabili ».

15.2 Page 142

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CAPO Vi11
L'uomo e il Santo
In Don Rua l'uomo e il santo si modellarono su Don Bosco. Da
natura ebbe i suoi doni come la tenacia di volontà, lo spirito d'iniziativa,
la precisione, la costanza di umore. Ma nella vita religiosa volle cam-
minare sulle orme del suo Padre.
La sua giornata di lavoro. Era piena e intensa. Alle quattro e mezzo
d'estate, e alle cinque d'inverno, era in piedi ed entrava per primo in
chiesa per la me tazione. Poi confessava oppure si ritirava nel suo
ufficio a sbrigare la corrispondenza. Alle otto e mezzo celebrava con
raccoglimento la Messa; compiuto il ringraziamento, sorbiva una taz-
zina di catfée dava inizio alle interminabili udienze che si protraevano fin
oltre mezzogiorno.
Dopo il pranzo passeggiava nel cortile, s'interessava a questo e a
quello, parlava con i confratelli. Alle due era di nuovo in ufficio e vi re.
stava fino alle sette. Prima della benedizione eucaristica che chiudeva
la giornata, riceveva i confratelli o presiedeva qualche adunanza capi-
tolare. Cenava con gli altri alle orto, poi diceva le preghiere della sera
con la comunità, quindi scendeva a passeggiare sotto i portici della
casa recitando il rosario. Verso le dieci compiva ancora una breve visita
in chiesa, per risalire poi nel suo ufficio dove trovava ad attenderlo
Don Lago, il suo vecchio segretario, che gli faceva firmare le lettere
in partenza.
Don Rua impartiva le ultime istruzioni per il giorno seguente, e
poco prima di mezzanotte si stendeva su un povero divano che ogni sera
si trasformava in letto.
Don Rua mantenne sino all'ultimo questa vita di lavoro intenso e
costante: mai una settimana di vacanza o un giorno di riposo, sempre
sulla breccia. Smdisie soltanto sei settimane prima di morire, perché i

15.3 Page 143

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suoi occhi s'erano ridotti in condizioni da non lasciargli più decifrare le
lettere dei suoi corrispondenti. Solo allora il volere dei medici ebbe
ragione della sua forza di volontà.
Vita di fede. La sua vita fu una perpetua, intima unione con Dio.
Prega sempre, ovunque, ad ogni occasione: in viaggio, durante le
visite alle case salesiane, nei momenti in cui la sua prodigiosa attività
lo lasciava libero di alzare il pensiero a Dio. « La preghiera è il cibo del-
l'anima » ripeteva di continuo.
La sua fede alimentava il suo desiderio di estendere il regno di Dio,
di far prosperare le missioni iniziare da Don Bosco. Avrebbe voluto che
in ogni residenza ci fosse un prete, un catechista, per moltiplicare i bat-
tesimi e intensificare la pratica della vita cristiana.
Sentiva un'attrazione particolare per l'innocenza dell'infanzia. Negli
asili si toglieva il cappello dicendo: « I bambini sono angeli del
Signore ».L'offesa a Dio lo feriva profondamente, lo intristiva, lui sem-
pre così sereno, allegro. Ai Salesiani raccomandava: ((Riguardate gli
allievi con l'occhio della fede, e tutto vi sarà facile ».
Speranza. Egli abbandonava completamente se stesso, anima e
corpo, nelle mani di Dio. Confidando nella bontà del Signore, ricor-
reva a lui per ogni bisogno, terreno e spirituale.
In molte occasioni fu messo alla prova: dalle ristrettezze materiali,
dall'urgente bisogno di grandi mezzi finanziari per fronteggiare le
numerose opere a cui poneva mano per lo sviluppo della Congregazione.
La sua speranza nella Provvidenza fu meravigliosa. Invocava Dio, e
attendeva un suo segno con fiducia. Diceva ai salesiani: « La Provvidenza
è una banca che non fallisce mai ».
Con questa speranza riusciva a infondere calma e pace in tutti
coloro che ricorrevano a lui oppressi da angustie disperate. Diceva:
«Ogni croce è pesante per chi la trascina. Per chi l'abbraccia con
amore e se la carica sulle spalle con generosità, diventa leggera ».
Carità verso Dio. Quanti lo conobbero sono concordi nel riconoscere
la perfezione con cui sempre si sforzava di adempire a ogni dovere, nei
minimi dettagli, animato dal proposito di evitare il più insignificante di-
fetto, la più piccola lacuna. E questi atti li compiva sempre con sorri-
dente felicità, e diceva: « Chi ama è sempre felice », « Amiamo Gesù e
ci saranno care le nostre fatiche e le nostre pene P.

15.4 Page 144

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Da Don Bosco aveva imparato la devozione verso Gesù in Sacra-
mento. Profonda devozione aveva anche per la Madre di Dio, regalava
a tutti immagini di Lei. Anche quando venne ricevuto alla Corte del
Portogallo: cavò dal suo povero portamonete due medagliette della
Madonna e le offrì con semplicità ai principi reali.
Per Don Bosco, poi, Don Rua aveva una devozione particolare. A
lui si diede fanciullo, per lui operò indefessamente tutta la vita, ne as-
similò lo spirito di carità, ne glorificò la memoria dopo la morte.
Forse nessun santo canonizzato ha avuto un seguace così devoto,
zelante, operoso come fu per San Giovanni Bosco Don Rua.
Verso il prossimo. Il suo ideale fu amare Dio e farlo amare ».Tutte
le sue cure paterne ebbero questo scopo: « Allontanare le anime dal pec-
cato, conservarle o rimetterle in grazia di Dio ».
La sua carità comprendeva tutti: coloro che gli avevano offerto le
gioie più belle, e coloro che gli avevano causato i dolori più acuti.
Ricordava: «Dio, come dice il Vangelo, fa levare il sole sopra i buoni
e i cattivi, e manda la pioggia per i giusti e per gli iniqui. Impariamo
perciò a non escludere dal nostro amore e dalla nostra carità neppure i
nostri nemici ».
Per gli afflitti aveva sempre una parola di carità che donava pace.
Con gli infermi era un fratello premuroso, ai poveri che incontrava sulla
via non faceva mai mancare l'elemosina (rinunciando, fin negli ultimi
anni, a spendere dieci centesimi per il tram al fine di soccorrerli). E
all'elemosina aggiungeva il conforto di una buona parola.
A nessuno mai negò una raccomandazione. Tanti disoccupati dovet-
tero a lui un posto di lavoro, tanti vecchi un letto in un ricovero.
Verso i Sulesiuni. Ai suoi figli spirituali Don Rua fu sempre vicino,
per partecipare alle loro pene con paterna sollecitudine. E questa stessa
carità, tenera ma vigilante, egli la inculcava anche negli altri superiori.
«L'Ispettore - era solito dire - sia padre e fratello maggiore
fra i fratelli diletti ».Suggeriva: «Calma, belle maniere e soprattutto
preghiera. Dolcezza e carità per attirarsi gli animi; pietà, prudenza e
calma per indirizzarli al bene ».Fu con questo metodo di governo che
Don Rua divenne re dei cuori P.
La sua arte di governare, derivata da una scrupolosa osservazione e
conoscenza dell'esempio e dello spirito del fondatore, era ispirata a
prudenza, vigilanza e carità. Egli precedeva gli altri con l'esempio e
quando doveva dare un comando, una disposizione, lo faceva come se

15.5 Page 145

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chiedesse un favore personale. Ma poi era irremovibile nell'esigere ciò
che comandava. Vigilava perché nessuno stesse in ozio, ma pure che
nessuno fosse sovraccarico di lavoro.
Un giorno credette opportuno manifestare ai suoi figli il suo amore
paterno, per assicurarli che avrebbero sempre trovato in lui accoglienza
afFettuosa, nell'ora del bisogno e del dolore. « Se nell'assumere la suc-
cessione di Don Bosco - disse - non ho ereditato le grandi virtù del
nostro fondatore, almeno il suo amore per i suoi figli sento che il buon
Dio me lo ha concesso. Di questo sono proprio sicuro. Tutti i miei
giorni, tutti i miei momenti li consacro perciò a voi, perché il Signore
vi ha affidato alle mie cure, alla mie preghiere, al mio lavoro; faccio come
farebbe un padre, una madre, per il suo unico figlio ».
Era deferente, ubbidiente ai superiori, grato ai benefattori: ed
era altrettanto giusto e affabile con gli eguali e gli inferiori. Con gli altri
superiori adoperava ogni riguardo per aumentarne il prestigio e l'auto-
rità, con i più anziani aveva un particolare riguardo, e delicatezze pa-
teme con tutti, indistintamente.
Non ebbe mai preferenze per alcuno (semmai, le espressioni di una
più spiccata amabilità erano dedicate ai più timidi, ai più bisognosi di
una guida paterna). Con il manto della prudenza e della carità coprì le
colpe altrui, ripetendo che se una persona ha novantanove difetti e un
solo lato buono, bisogna rilevare questo e tacere gli alcri.
L'impegno sociale. Sull'esempio di Don Bosco, era solito ricordare
a Cooperatori e amici delle Opere Salesiane la funzione evangelica
della ricchezza, in modo che ognuno sentisse il dovere di concorrere
all'elevazione morale e cristiana dei ceti popolari.
In certe circostanze, sentendosi di fronte a persone ostinate nel
oro egoismo, non esitava a ricordare loro che il grido della miseria di-
venta, nella società, sempre più imperioso. Usava allora parole di fuoco,
insolite sulla sua bocca, quasi in tono profetico, h o a minacciare un
oscuro avvenire se la generosità dei possidenti non fosse venuta in aiuto
ai bisognosi.
Parlando dei «giovani pericolanti », diceva un giorno: Se voi
pensate per tempo a soccorrerli, procurando loro una buona educa-
zione, diverranno cittadini onorati, rispettosi e amati del prossimo,
riconosciuti ai benefattori. Se invece non li aiuterete, forse da qui ad
alcuni anni si presenteranno sulle vie e sulle piazze armati di bastoni e
di picche, per fare man bassa nei negozi e nelle case private D.

15.6 Page 146

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Un doppio motivo spingeva Don Rua a questo impegno sociale.
Voleva anzitutto rendere, secondo il pensiero di Don Bosco, un servi-
zio ai ricchi, ricordando ai fortunati del mondo la funzione sociale
della ricchezza, e aiutandoli ad alleggerire il fardello della responsabilità.
Ma allo stesso tempo mirava a far convergere la carità pubblica verso le
opere di educazione popolare.
Con l'avanzare degli anni Don Rua era divenuto di un'audacia
incredibile. A Don Saluzzo, che partiva per Milano con l'incarico di
aprire una nuova casa, chiedeva:
- Hai denaro per il viaggio?
- Sissignore!
- Ne hai a sufficienza per te e per i tuoi compagni?
- I1 puro necessario!
- Bene, va' pure con fede. I1 Signore, Maria Ausiliatrice, e Don
Bosco che ti voleva tanto bene, ti aiuteranno: denaro ne troverai
man mano che ne avrai bisogno.
Parlando ai Cooperatori di Verona, un giorno diceva: <C È necessario
alzare un'altra ala di fabbricato, per accogliere nuovi alunni e awiarli
alle arti e mestieri. Ma non aspetteremo ad innalzare l'edificio quando
avremo tutti i denari. No; si inizierà la costruzione, e la Madonna pen-
serà a far venire il denaro. I buoni veronesi proveranno che i denari
posti in mano a Maria Ausiliatrice sono collocati bene e fruttano un
cospicuo interesse ».
La previdenza amministrativa d'un tempo si era trasformata in una
ansia di carità incontenibile.
C< Non è mai troppo quello che si fa per Dio n, predicava Don Rua;
e ripeteva con Don Bosco: << Cessino i cattivi dalle loro opere, cessi il
demonio dal fare il male, e io cesserò di fare il bene; ma siccome essi
non cessano, così neppure io ».
L'elemosina. Alle sue parole, la carità dei buoni non resisteva. Egli
non era oratore e non ricercava gli artifici della parola. Possedeva i1
gesto calmo, un dire piano, facile, disadorno. Ma aveva un volto d'a-
sceta, gli occhi bruciati da lunghe veglie, un dolce sorriso pieno di fede
e di umiltà che andava al cuore. Nessuno poteva sottrarsi al suo fascino
di C uomo di Dio ». E quando parlava di Don Bosco e illustrava la
sua missione prowidenziale raccontando vicende che portava im-
presse nel cuore, l'uditorio era conquistato. Poteva poi passare tra le
file serrate dei suoi ascoltatori, e raccogliere l'abbondante offerta della
loro carità.

15.7 Page 147

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Era solito dire: « Salvare la gioventù e portare il Vangelo in tutte
le parti del mondo, è impossibile senza l'aiuto dei buoni. E così anche
salvare la propria anima, forzare le porte del paradiso senza mostrarsi
generosi in terra, è un'impresa temeraria. La carità è un mezzo di
concordia sociale; invece il superfluo impiegato male scatena i di-
sordini ».
La forza di volontà. Fu la caratteristica principale dell'anima di
Don Rua. Ne è prova tutta la sua vita: il programma impeccabile, il
senso della misura, il gesto calmo, il parlare dolce, manifestavano una
vigilanza assidua su di sé. La sua perseveranza d'umore, l'osservanza
scrupolosa della regola, lo spirito di penitenza, tutta la sua vita intima
come tutto il suo governo, dimostrano l'energia della volontà.
Aveva esatta visione delle cose, e tendeva allo scopo per la via
più sicura, senza mai deviare. Era una volontà serena ma d'acciaio, di
quella che si accanisce contro l'ostacolo e finisce con il trionfare.
Mente equilibrata, cuore di padre, volontà di capo e animatore:
tale era Don Rua, e su di lui aleggiava un senso di santità non comune,
che faceva esclamare ai semplici, ai figli del popolo: Quello è un
Santo! », e a quel grande moralista e vecchio amico di Don Bosco
che fu Mons. Bertagna (Vescovo ausiliare di Torino): «Se per canoniz-
zare Don Bosco non si potessero per caso fornire le prove di tutte le
sue virtù eroiche, basterebbe soltanto osservare come egli ha formato
Don Rua ».
Fortezza. Don Rua fu santo perché volle essere santo: l'eroismo della
sua volontà nel perpetuo tendere alla perfezione era chiaro a tutti.
Egli mostrò una fortezza eroica per la costanza, il fervore e lo zelo con
cui operò.
E la sua fortezza apparve evidente nell'amore al lavoro e nella vastità
di opere intraprese, seguendo le sue massime preferite: C< In qualunque
stato si trovi l'uomo, ricco o povero, non importa, deve lavorare »,
e: << Chi passa i suoi giorni in ozio agisce apertamente contro il comando
di Dio », Don Rua divenne un martire del lavoro e della fatica.
Sopportava fatiche ed umiliazioni chiedendo elemosine in pubblico
e in privato; affrontava con calma e serenità qualunque difficoltà si
frapponesse alla sua missione; tollerava con animo generoso gli insuc-
cessi; non si lasciava abbattere nelle lotte e nelle prove più amare.
Ogni volta che gli si presentava una nuova impresa da tentare,
non badava se fosse difficile o gravosa: guardava solo se era di gloria a

15.8 Page 148

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Dio e se era possibile. Verificate queste due condizioni pregiudiziali,
intraprendeva senza indugio la nuova opera. Impavido come Don Bosco,
procedeva in avanti senza badare alle difficoltà.
Diceva: (< Procuriamo di far bene la volontà del Signore. Operiamo
sempre alla sua presenza, e se anche le nostre azioni non sono appro-
vate dagli uomini, stiamo tranquilli. Non facciamo caso dei loro giudizi,
perché il più delle volte quello che non piace agli uomini piace al
Signore 8 . Aggiungeva: «Nelle opere del Signore tutti i principi sono
di$cili, e prima di arrivare a compierle per ordinario si hanno a superare
molti gravi ostacoli ».
Altre prove della fortezza eroica di Don Rua sono fornite dal modo
con cui affrontò e sostenne le tribolazioni che incontrò, sempre umile
dinanzi alla volontà di Dio, senza un lamento, una perdita di coraggio,
una flessione di volontà: continuava instancabile a lavorare.
Ricordava ai confratelli: <<Vivetecome se si dovesse morire ogni
giorno, lavorate come se non dovreste morire mai ». Egli stesso spirò
sulla breccia, senza mai aver abbandonato il suo lavoro, la sua missione,
come se avesse fatto voto di non perdere mai un minuto del tempo che
Dio gli aveva concesso di vivere.
Umiltà. Fra i cento episodi che potrebbero illuminare questa sua
virtù, eccone soltanto uno, capitatogli un giorno in Portogallo. Egli
era sceso alla stazione di Braga per una delle consuete visite apostoliche.
Era venuto ad accoglierlo il fior fiore della città, per tributargli un
omaggio e per mettergli a disposizione eleganti carrozze per lo sposta-
mento in città.
A Don Rua non restava che l'imbarazzo della scelta. Ma in quel
momento vide un gruppo di monelli, scalzi e cenciosi, che stavano
a gustarsi lo spettacolo di quel vecchio povero prete circondato da tutti
i signori della città.
Don Rua si dirige verso di loro, tende le braccia, li invita a sé. I ra.
gazzi accorrono, parlano con lui che li interroga e li accarezza amore-
volmente. I monelli sono conquistati, e Don Rua si avvia a piedi verso il
collegio salesiano, tra il lieto vociare di adolescenti.
Era un ben curioso corteo: davanti, il vecchio prete pigiato da quel
nugolo di monelli: a pochi passi, indietro, l'aristocrazia di Braga; e in
coda le magnifiche carrozze vuote che chiudevano la fila.
La perfezione. <( Dobbiamo tendere alla perfezione - ripeteva Don
Rua a se stesso e ai confratelli - come cristiani, come religiosi, come

15.9 Page 149

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figli di Don Bosco P. Con questo proposito Don Rua non si stancò in
ogni tempo della sua vita di praticare con scrupolosa accuratezza tutti
i suoi doveri: fuggì l'ozio, le compagnie inurili, s'interdisse gli svaghi,
custodì severamente i sensi; osservò, come religioso, in modo eroico
la Regola.
Tre convinzioni profonde lo spronavano a questa fedeltà assoluta:
«Il Signore non vuole da noi cose straordinarie, ma la perfezione nelle
cose piccole, tant'è vero che per questo ci assicura la gloria del Para-
diso ».« Mai nessuna cosa deve dirsi piccola, dal momento che è conre-
nuta nelle regole. Ogni cosa nelle regole è importante e perciò non può
trascurarsi ». «Facendo bene tutte le cose, anche piccole, arriveremo
con sicurezza a innalzare un grande edificio di santità ».
Vivendo al suo fianco, i confratelli dicevano di lui: « In tanti anni
non abbiamo mai potuto scorgere in lui la più piccola mancanza, anzi
in tutte le occasioni lo trovammo sempre modello di perfezione P.
Testimonianze di santità. Disse di lui il Padre Antonio Maria, noto
predicatore francese: < Ho visto un miracolo, Don Bosco redivivo. Don
Rua non è soltanto il successore di Don Bosco, è un altro Don Bosco.
Ne possiede la dolcezza, l'umiltà, la semplicità, la grandezza d'animo,
la radiosa giovialità. Tutto è prodigioso nella vita e nelle opere di Don
... Bosco, ma la continuazione di Don Bosco in don Rua mi sembra il
più grande dei prodigi Don Bosco era una copia vivente di Cristo,
ma quando Don Rua parlava, conversava, ascoltava, avevo dinanzi
a me una nuova immagine del Redentore ».
I1 Cardinale Richelmy, Arcivescovo di Torino, che per più di
dieci anni fu in stretta amicizia con Don Rua, così scriveva subito dopo
la morte dell'amico: << Maestro incomparabile nel discorrere e nello
scrivere, egli fu anche più valente nella scuola dell'esempio, pur fug-
gendo con cura ogni singolarità che potesse attirare sopra di lui uno
sguardo indiscreto.
<Nella pietà più tenera, nell'osservanza più esatta di ogni regola,
nell'attenzione continua ad evitare ogni minimo difetto, nella disrri-
buzione scrupola delle ore e dei singoli istanri, nello studio incessante di
progredire nelle vie del bene, egli fu oggetto di ammirazione e di dolce
ammonimento a quanti furono testimoni del suo vivere, e in modo spe-
ciale a quelli nella sua Congregazione che più ebbero il bene di rimanere
al suo fianco. Facevano per lui le parole di Paolo che mai non uscirono
dalle sue labbra ma che inconsciamente pronunciava in ogni suo fatto:
"Siate miei imitatori, come io l o sono d'i Cristo" ».

15.10 Page 150

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San Pio X aveva conosciuto Don Rua. Poche settimane prima di
morire discorreva con Mons. Salotti, e dopo aver parlato di Giovanna
d'Arco e del Curato d'Ars, di Contardo Ferrini, Don Cafasso e Don
Bosco, prosegui: Spero bene che voi non dimenticherete Don Rua.
Vedo in lui quel complesso di virtù eroiche che fanno il santo. Che
cosa aspettano i Salesiani ad iniziare la Causa? Che grande servo di
Dio! La Chiesa un giorno se ne occuperà certamente ».
Nell'ombra di Don Bosco. Ricordiamo l'oscurità nella quale egli
volontariamente si relegò per oltre trent'anni, per lasciar figurare unica-
mente Don Bosco, che senza il suo aiuto, il suo sempre discreto a p
porto, avrebbe potuto compiere so10 metà dell'opera.
Alla morte del fondatore, quando Don Rua per forza di cose venne
in primo piano, non ebbe altra preoccupazione che camminare sulle
orme di Don Bosco, fare quello che egli aveva fatto, pensare, volere e
agire come lui. << La nostra cura principale- diceva- dev'essere quella
d'imitare il modello che Dio, nella sua infinita bontà, ci ha dato. È
questo il programma che mi impone la carica di Rettore Maggiore ».
E a tale programma fu fedele, per tutta la vita.
Per anni visse all'ombra del Padre, nascose la sua molteplice attività
nell'umiltà più profonda. Mentre altri al suo posto avrebbero impresso
la loro orma nelle opere svolte, Don Rua volle calcare con la massima
fedeltà le tracce di Don Bosco, tanto che la sua personalità ne fu eclis-
sata.
Continuava a ripetere, ai confratelli e ai benefattori, che se qualcosa
di buono poteva esserci in lui, era frutto dell'educazione ricevuta da
Don Bosco. La sua aspirazione, quando parlava con altri, era di poter
essere almeno La brutta copia di Don Bosco P.
Anche da Rettor Maggiore restò umile come l'ultimo dei Sale-
siani. Non tollerò mai alcuna preferenza, alcun riguardo verso la sua
persona per la carica che ricopriva, ma volle restare sempre fedelissimo
alla perfetta osservanza della vita comune.
Nei frequenti viaggi all'estero, quando vedeva le folle commuoversi
al suo passaggio, diceva: <<Quantoè amato Don Bosco! )>. E quando la
molritudine dimostrava entusiasmo e venerazione per la sua persona,
continuava a ripetere, come per schernirsi: ((Non sono mica Don
Bosco! ».
In realtà egli era il degno continuatore della vita, delle opere e della
santità del Padre e Fondatore.

16 Pages 151-160

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16.1 Page 151

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CAPO IX
Don Rua modello e maestro di powertù
Tra le virtù morali di Don Rua, la più amata, una delle caratte.
ristiche più costanti della sua vita e del suo governo, è senza dubbio
la povertà.
Don Rua fu povero di spirito secondo il Vangelo e la genuina tra-
dizione salesiana. E all'esercizio eroico della povertà seppe unire edi-
ficante semplicità ed allegria di spirito.
Il suo amore alla povertà era testimoniato dai suoi abiti, sempre
dimessi, dal suo ufficio, spoglio e disadorno, dal suo distacco da ogni
comodità e agiatezza.
Rigoroso con sé, non lasciava di richiamare gli altri al dovere della
povertà professata con voto entrando in Congregazione. Ripeteva:
« Facciamo, tutti d'accordo, ogni possibile economia. Coi nostri ri-
sparmi potremo fornire il pane a un giovane in più, dare alla Chiesa un
suo ministro, alle nostre missioni un buon operaio D.
Le testimonianze processuali dànno di Don Rua il ritratto del vero
povero per amore di Gesù Cristo. «11 suo esteriore - dice un testi-
- mone il suo vestito, la sua stanza, tutto in lui manifestava il suo
grande spirito di povertà p.
Don Barberis, che gli fu accanto per lunghi decenni e lo conobbe
nell'intimo dell'anima, derma: « D o n Rua amò immensamente la
povertà, che gli fu compagna sin da fanciullo, e ne possedette lo spirito
in maniera perfetta. Sentiva la vanità dei beni della terra, di cui non
faceva alcun conto se non erano usari a fin di bene >>.
« Mi ricordo -racconta il medesimo Don Barberis- che un anno,
mentre viaggiava all'estero, si mise a nuovo il pavimento della sua

16.2 Page 152

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camera, assai malandato e ancora in mattonelle di terracotta. Al ritorno
egli dimostrò rincrescimento, e udito che si era fatto quel cambiamento
per evitare la polvere e rimediare ai guasti del tempo, non accettò scuse:
< <pioveri non avrebbero rifatto quel pavimento, che poteva ancora
servire per qualche anno" ».
- - C< Con spirito di economia è ancora Don Barberis ad assicurarlo
vigilava perché non si
non erano necessarie:
sprecasse petrolio o gas,
teneva da conto i mezzi
sfpoegglinedviaclaertlauh.ciiI
dove
suoi
notes per appunti, conti, tracce di prediche o discorsi, erano cuciti
da lui e fatti con ritagli di lettere e altri fogli che giungevano alle
sue mani ».
Un giorno che gli avevano regalato un paio di scarpe di panno per
l'inverno, osservò: << Se oggi, vedessero Don Rua con scarpe di panno,
domani tutti le vorrebbero D; e non le volle calzare.
Era felice quando in visita alle case, le trovava nella più stretta po-
vertà. Nel 1908 a Costantinopoli, dopo aver fatto visita a benefattori e
amici dell'opera, tornò a casa con le gambe gonfie e doloranti. C ese un
paio di calze di lana e in casa non ne trovarono. Confortando i confra-
telli Don Rua esclamò: C< Questa è la vera povertà salesiana! ».
- (C Era - dice un teste la povertà ambulante D. Ed un altro:
(C Posso dire che aveva sposato la povertà. Questa traspariva dai suoi
abiti, puliti ma molto usati; dai viaggi, che voleva fare sempre in terza
classe; dall'assoluta mancanza di esigenze per la sua camera più che
modesta ».
- « Quando morì ricorda Don Rinaldi - portava ancora la man-
telletta che aveva già usato a lungo Don Bosco ».
Torna ora più facile capire Don Rua maestro di povertà. Ricordando
la promessa di Don Bosco, che Dio benedirebbe la Congregazione
finché in essa fosse regnato lo spirito di povertà, il 31 gennaio 1907,
(anniversario della nascita del fondatore, e tre anni prima del suo de-
cesso) indirizzò ai suoi figli una memoranda circolare sulla povertà.
Don Rua parte da considerazioni generali: La povertà in se stessa
non è virtù. È legittima conseguenza della colpa originale, destinata da
Dio all'espiazione dei nostri peccati e alla santificazione delle anime
nostre. È quindi naturale che l'uomo ne abbia orrore, la consideri una
sciagura e faccia quanto sta in lui per evitarla.

16.3 Page 153

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La povertà diventa virtù solo quando è volontariamente abbrac-
ciata per amore di Dio, come fanno coloro che si dinno alla vita reli-
giosa. Tuttavia, anche allora la povertà non cessa di essere amara;
anche ai religiosi la pratica della povertà impone gravi sacrifici, come
noi stessi ne abbiamo fatto mille volte esperienza. Non è perciò da stu-
pire se la povertà sia sempre il punto più importante e più delicato della
vita religiosa; se essa sia come la pietra di paragone per distinguere una
comunità fiorente da una rilassata, un religioso zelante da uno negli-
gente. Essa sarà purtroppo lo scoglio contro cui andranno a rompere
tanti magnanimi proponimenti, tante vocazioni che avevano del meravi-
glioso nel loro nascere e nel loro sviluppo.
Di qui la necessità per parte dei superiori di parlarne sovente,
e per parte di tutti i membri della famiglia salesiana di mantenerne
vivo l'amore e intatta la pratica. Cominciamo, come di dovere -esor-
tava Don Rua - col metterci alla scuola di Nostro Signore Gesù
Cristo ».
Poi Don Rua espone brevemente la dottrina cristiana su questa
virtù che si presenta come il primo dei Consigli Evangelici, il primo
atto che deve compiere chiunque voglia imitare più perfettamente il
Divino Modello ».
<< Quindi viene al Santo fondatore della Congregazione: I1 nostro
venerato Padre visse povero sino al termine della sua vita e nutriva un
amore eroico alla povertà volontaria. Godeva quando gli toccava
soffrire la penuria delle cose necessarie. Avendo avuto tra mano im-
menso denaro, non si vide mai in lui la minima sollecitudine di procu-
rarsi qualche soddisfazione temporale. Soleva dire: "La povertà bisogna
averla nel cuore per praticarla!".
«Dio lo ricompensò largamente della sua fiducia e della sua po-
vertà, sicché riuscì ad intraprendere opere che i prìncipi stessi non
avrebbero osato iniziare, e a condurle felicemente a termine.
((Spesse volte ci assicurò che la nostra Congregazione sarebbe stata
benedetta, sostenuta e resa prospera dal Signore se in essa fosse stata
sempre fiorente la povertà. E quando si avvicinò la sua fine e in forma
di testamento volle lasciare ai suoi figli gli ultimi, affettuosi ricordi, il
suo pensiero corse in modo speciale alla pratica dellapovertà: <'Vegliate
- disse - e fate che né l'amore del mondo, né l'affetto ai parenti, né
il desiderio di una vita più agiata vi muovano al grande sproposito
di profanare i sacri voti e così trasgredire la professione religiosa, con
cui ci siamo consacrati al Signore. Nessuno riprenda ciò che ha dato a
Dio...".

16.4 Page 154

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(C Basterebbe che noi ricordassimo e meditassimo seriamente queste
righe per amare e praticare la povertà ».
Don Rua scende poi a parlare delle sue pene di Superiore, della
realtà spesso drammatica che ogni giorno era chiamato a fonteggiare:
(C Mi sia lecito farvi una confidenza, come suole un padre con i suoi
diletti figliuoli. Forse molti Salesiani, vedendo che a nessuno di noi
venne mai a mancare il necessario, che le nostre opere vanno sempre
estendendosi, anzi, che nello stesso mondo commerciale noi godiamo
di un nome onorato, pensano che la nostra Società disponga di molti
mezzi e che perciò siano inopportune le mie ripetute e insistenti esor-
tazioni a fare economia, ad osservare la povertà. Quanto essi sono
lontanihdial vero!
C{ A costoro sarebbe facile presentare i rendiconti da cui risulta che
molte case sono gravate da debiti e ad ogni momento abbisognano
di soccorso. Loro si potrebbero mostrare parimenti quanti siano i
giovanetti che, per vitto, vestito, libri e simili, sono interamente oppure
in gran parte a carico della Congregazione.
«Chi segue con la mente lo sviluppo della nostra Società, può
rendersi ragione delle case e delle chiese che vi sanno edificando, dei
danni sofferti che occorre riparare, dei viaggi che si debbono pagare ai
missionari, degli aiuti che si mandano alle Missioni, delle spese immense
che bisogna sostenere per la formazione del personale. a tutto questo
penseranno solamente i Superiori; è dovere di ogni buon figlio prendere
a cuore gli interessi dell'intera famiglia.
«C unque non vivesse secondo il voto di povertà, chi nel vitto,
nel vestito, nell'alloggio, nei viaggi, nelle agiatezze della vita valicasse
i limiti che ci impone il nostro stato, dovrebbe sentirne rimorso d'avere
sottratto alla Congregazione quel denaro che era stato destinato a dar
pane agli orfanelli, a favorire qualche vocazione, ad estendere il regno
di Gesù Cristo. Pensi che ne dovrà rendere conto al tribunale di Dio ».
Dopo gli avvertimenti suggeriti dall'esperienza, sugli abusi da
estirpare in materia di povertà, il Rettor Maggiore conclude riandando
con commozione ai tempi e agli insegnamenti di Don Bosco:
Concluderò rievocando la memoria di quelli che noi chiamiamo
tempi eroici della nostra Società. In quegli anni era necessaria una virtù
straordinaria per conservarci fedeli a Don Bosco e per resistere ai
pressanti inviti che ci si facevano di abbandonarlo; e ciò per l'estrema
povertà in cui si viveva. Ma ci sosteneva l'amore intenso che noi porta-
vamo a Don Bosco.

16.5 Page 155

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«Ci davano forza e coraggio le sue esortazioni a rimanere fermi
nella nostra vocazione nonostante le dure privazioni, i gravi sacrifici.
Ond'io sono certo che, se più vivo sarà il nostro amore a Don Bosco,
più ardente la brama di conservarci degni suoi figli e di corrispondere alla
grazia della vocazione religiosa, si praticherà in tutta la sua purezza lo
spirito di povertà P.
Non è lontano dal vero il testimone che al processo Apostolico
del Servo di Dio affermò: << La sua Circolare sulla poveaà è un monu-
mento di ascetica religiosa che Don Rua eresse alla sua persona D.
Senza averne l'aria, aveva fatto il ritratto di se stesso.

16.6 Page 156

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CAPO X
Verso il tramonto
Le avversità e le croci degli ultimi anni, a partire dal 1900, a poco a
poco avevano fiaccato la salute di Don Rua, che si era sempre sobbarcato
a fatiche superiori alle sue forze.
Da quando poi, la sera del 31 dicembre 1908, annunciò alla comunità
dell'oratorio i1 disastro del terremoto di Messina, nel quale perdet-
tero la vita cinquantadue persone tra confratelli e giovani, il Beato
non era che l'ombra di se stesso.
Si sforzava di tenersi su, ma la lenta demolizione del suo organismo
progrediva di giorno in giorno inesorabilmente. A vederlo, quella sera,
magro e consunto, curvo sotto il peso di tante prove, e tuttavia così
rassegnato, pensavamo al santo Giobbe.
Malgrado tali dispiaceri e tante infermità, malgrado soprattutto lo
stato pietoso delle sue gambe, ridotte ormai a una sola piaga, sembrò
rimettersi nella primavera del 1909, ma senza illusioni di un migliora-
mento stabile.
Era costume all'Oratorio, nella ricorrenza di San Giovanni, il 24
giugno, festeggiare in onore di Don Bosco il suo successore. Quel*
l'anno si colse l'occasione per annunciargli che stava per incominciare
il suo anno giubilare. Infatti, il 29 luglio si compivano quarantanove
anni dalla sua ordiazione sacerdotale, e tutti, amici, cooperatori,
ex allievi, salesiani e giovani, intendevano celebrare degnamente le sue
nozze d'oro, dodici mesi più tardi. Un suo assiduo benefattore, il
barone Manno, presidente del comitato organizzatore delle feste,
venne a manifestargli il desiderio comune, e a pregarlo di volersi ri-
sparmiare in vista del grande awenimento.
Don Rua, ringraziando i suoi amici di quella commovente inizia-
tiva, promise di aiutarli nel loro pio disegno, ma né allora, né mai,
credette alla possibilità di raggiungere quella data.

16.7 Page 157

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Un mese dopo, 29 luglio, anniversario della sua ordinazione, si
inaugurò solennemente l'anno giubilare. Quella mattina il tempio di
Maria Ausiliatrice rigurgitava di allievi, ex-allievi, benefattori, amici,
parrocchiani: tutti s'eran dati convegno attorno all'altare ove Don Rua
celebrava. Quell'dettuosa premura nel festeggiare con lui il più caro
dei suoi ricordi lo commosse fino alle più intime fibre del cuore; ma,
anche quel giorno, egli fece chiaramente capire che non avrebbe com-
piuto il cinquantesimo anno di sacerdozio. Don Bosco non c'era
arrivato; egli lo avrebbe imitato anche in questo. I1 suo vecchio amico
e confessore, Don Francesia, sospettando che sotto quel sorriso d'in-
credulità si potesse nascondere una certezza fondata su qualche profezia
di Don Bosco, gli domandò a bruciapelo:
- Dimmi un po' non sai proprio nulla circa la data della tua partenza
per l'altro mondo?
- Assolutamente nulla.
- Don Bosco non t'ha detto nulla? Non ti è mai apparso?
- Don Bosco mi è apparso una volta; o almeno, io credetti di
vederlo, e fu per suggerirmi il mezzo di liberarmi da una faccenda spi-
nosa, nella quale mi dibattevo da tre anni. «Come va che t u non hai
pensato, mi disse, di ricorrere al signor X ? Tu conosci bene quanta
simpatia nutre per le nostre opere ».11 giorno dopo scrissi a quel si-
gnore, e di a tre giorni l'dare era in via di accomodamento. Vedi che
Don Bosco non dimentica i suoi figli.
- Ma, credi che egli ti voglia così presto in Paradiso?
- Di questo non m'ha detto nulla. Andiamo dunque avanti con
fiducia.
Ed egli continuò ad andare e venire, ad attendere a tutti i suoi doveri,
benché di giorno in giorno sentisse crescere la sua debolezza.
Nell'autunno il Beato ebbe la forza di assistere a tutti i corsi di
esercizi spirituali dei confratelli.
Dall'll giugno al 20 novembre comparve pure ben trentadue
volte davanti al Tribunale ecclesiastico di Torino, ove si istruiva il
processo Apostolico per la Beatificazione di Don Bosco.
I1 21 ottobre, in compagnia di tutto il suo Consiglio, si recò nella
vicina casa di San Benigno per i lavori di preparazione del Capitolo Ge-
nerale della Congregazione, che doveva tenersi l'anno appresso. E
precisamente lo colpì la prima grave crisi che lo costrinse al riposo.

16.8 Page 158

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I1 23 ottobre, la sua volontà dovette piegarsi al suo povero corpo che
rifiutava qualunque servizio. Immediatamente fu portato a Torino ove
si mise a letto, senza tuttavia abbandonare le sue occupazioni.
Alcune settimane d'immobilità lo ristabilirono leggermente. Si alzò,
e sul principio di gennaio ridiscese in mezzo alla comunità. Fu solo per
poco tempo: il 13 febbraio dovette darsi per vinto, e per ordine dei
medici, mettersi a letto. Gli avevano consigliato anche di non celebrare
la Messa, ma il giorno dopo si alzò ugualmente, poiché voleva a tutti i
costi celebrarla un'ultima volta. Arrivò, però, a stento alla fine.
La mattina del 15, dopo di aver ricevuto a letto la S. Comunione,
e dopo il ringraziamento e un po' di colazione, si provò a leggere, a più
riprese, alcune lettere delle molte arrivate con la posta del mattino;
ma, fatti due o tre tentativi, dovette rinunciarvi: i suoi occhi si vela-
vano, e non riusciva a discernere nulla.
Raccolse tutta la corrispondenza e consegnandola all'infermiere gli
disse: «Prendi tutta questa roba e portala a Don Rinaldi. Dì che ri-
sponda lui; io non posso più! ».
Quel gesto triste e rassegnato, segnava la fine della sua lunga giornata
di lavoro; quel poco che gli restava di vita doveva essere tutto assorbito
dalla sofferenza e dalla preghiera.
Appena Don Rinaldi, prefetto generale, comprese la gravità del
male, partecipò a tutte le case salesiane la dolorosa notizia, invitandole
ad una ~reghieraintensa e collettiva per ottenere da Dio un miracolo.
Già il pubblico era informato dello stato di salute di Don Rua, e
gli amici accorrevano numerosi all'oratorio per manifestare al vene.
rato infermo tutta la loro simpatia. Egli li riceveva con quella buona
grazia, e con q ~ e l l ' a m a ~sloerriso che erano caratteristici nel suo modo
di accogliere. Si videro sfilare nella camera dell'infermo gli arcivescovi
di Vercelli e di Smirne, e vescovi di Aosta e di Asti, ex allievi, quelli
di Mondovì, Casale, Ivrea, l'ausiliare di Torino, il principe Gonzaga di
Milano, il marchese Crispolti, Mons. Vanneufville, e molte celebrità
nel campo cattolico. Anche tre cardinali di S. R. Chiesa considerarono
come un onore il salire fino alla sua camera.
I1 18 febbraio, fu la volta del Cardinal Richelmy, Arcivescovo di To-
rino, benefattore insigne dei Salesiani, legato al successore di Don
Bosco da stima e da amicizia ~rofondaA. ppena Don Rua lo vide sulla
soglia della sua modesta cella, si tolse la berretta e si effuse in devoti rin-

16.9 Page 159

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graziamenti. I1 prelato gli esternò i sensi della sua viva simpatia e i voti
più cordiali per la sua guarigione; e gl'imparti la benedizione apostolica,
accompagnandola con commosse parole. Questa benedizione apostolica
gli fu rinnovata dieci giorni dopo dal Cardinal Mercier, Arcivescovo di
Malines, che tornava da Roma. I1 27 febbraio l'illustre principe della
Chiesa si era fermato a Torino per chiedere a Don Rua, a nome del
Governo belga, alcuni missionari salesiani per il Congo. Ammesso alla
presenza dell'ammalato, incominciò con l'impartirgli la particolare bene-
dizione, di cui lo aveva incaricato Pio X, all'atto della sua partenza da
Roma. Prese quindi con trasporto la mano scarna dell'infermo e la
baciò più volte con rispetto e commozione. Scena muta, ma che diceva
in modo eloquentissimo la venerazione che il santo arcivescovo nutriva
per l'umile religioso.
Quindici giorni più tardi, 1'11 marzo, giungeva al capezzale di Don
Rua il Cardinal Pietro Maffi, Arcivescovo di Pisa, uno dei migliori amici
del Beato. Egli confortò il caro infermo con le buone notizie che gli
portò sull'Oratorio Salesiano, da poco tempo fondato a Marina di
Pisa. Quindi, aderendo al desideriodi Don Rua, lo benedisse; ma subito
dopo, inginocchiatosi ai piedi dell'umile letricciuolo, volle essere alla
sua volta benedetto dal Servo di Dio.
A Roma, il procuratore generale della Congregazione, notificava a
Pio X e alle piu alte gerarchie della Chiesa le gravi condizioni dell'in-
fermo, che non davano luogo a speranze.
«Son passato-scriveva-dal Cardinal Rampolla, che si è mostrato
addoloratissimo. Mi ha incaricato di scrivere ai Superiori che prende
viva parte al nostro cordoglio, e che desidera aver notizie tutti i giorni.
«Commoventissima la visita all'Em.mo Vives. Sua Eminenza mi
ha subito condotto nella sua cao+ o* ella o* rivata ed abbiamo o- reeato
Maria SS. Ausiliatrice e Don Bosco.
. «Ho Dure oartecioato la cosa al19Em.mo Cardinal Seeretario di
Stato, all'Em.mo Cardinal Vicario ed all9Em.mo Cardinal Gennari.
Tuttihanno manifestato il loro dispiacere e fanno voti per la preziosa
esistenza del caro infermo.
«In questa triste circostanza ho constatato, ancora una volta, di
quanta stima e venerazione sia circondato il nostro amarissimo su-
periore >>.

16.10 Page 160

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A breve distanza seguiva un biglietto di Mons. Giovanni Bressan,
segretario particolare del Papa. Diceva: «I1 Santo Padre, appresa con
vivo rammarico la notizia dell'infermità del rev.mo Superiore Generale
Don Michele Rua, mentre fa voti del ripristinamento della preziosa sua
salute, gli imparte con effusione di cuore la apostolica benedizione D.
Dal canto suo il Cardinal Rampolla del Tindaro, antico segretario
di Stato di Leone XIII, scriveva allo stesso Don Rua: <C Appresi con vivo
dispiacere la sua malattia e non mancai di far voti al Signore per la sua
pronta guarigione. Pregai poi il rev. Don Munerati che mi tenesse in-
formato continuamente dello stato di sua salute ed oggi sento con vivo
piacere il suo non lieve miglioramento. Prego caldamente Iddio che
voglia presto ridonarle la salute, a&ché per molti anni ancora Ella
possa continuare a guidare sulla via luminosa del bene i figli di Don
Bosco. Voglia poi gradire i sensi di distinta stima e particolare bene-
volenza coi quali godo riaffermarmi dezionatissimo nel Signore.
Mariano Card. Rampolla ».
In quei giorni l'umile cameretta di Don Rua fu testimone di scene
commoventi.
11 25 febbraio ricorreva l'anniversario della morte del piccolo Luigi
Rua, morto a Torino nel 1853. Quel fratellino, strappato così presto
al suo affetto, Don Rua non lo aveva mai dimenticato.
La sera di quel giorno egli diceva malinconicamente a Don Fran.
cesia: <C Pensavo che sarei morto quest'oggi, e che Luigi sarebbe venuto a
prendermi ».Erano passati cinquantasette anni da quella morte, e il
caro visetto era sempre vivo nel suo cuore! Sono i ricordi della prima
età! I più teneri, i più freschi, i più soavi!
Quello stesso giorno il Beato ricevette la visita del Frate1 Superiore
dell'lstituto San Giuseppe, accompagnato da un rappresentante degli
ex allievi dell'Istituto. L'atto gentile commosse profondamente l'in-
fermo. Egli stimava e venerava i Fratelli delle Scuole Cristiane. Dopo sua
madre erano stati loro a insegnargli l'amor di Dio. Anni indimenticabili
della sua prima fanciullezza, quando tutte le mattine egli andava a
scuola al San Giuseppe e allo svolto di Porta Palazzo incontrava spesso
Don Bosco!
I1 giorno precedente aveva ricevuto anche Don Angelo Rigoli, par-
roco di Somma Lombardo, presidente dell'Associazione degli ex al-
lievi salesiani di Lombardia, venuto a presentargli i voti di guarigione da

17 Pages 161-170

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17.1 Page 161

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parte di tutti i membri del19UnioneQ. uella visita procurò una dolce con-
solazione a Don Rua, che fu il creatore e l'animatore della organizza-
zione degli ex allievi. Da lui eran partite l'idea prima e le grandi diret-
tive dell'Associazione. La semente era stata buona, poiché, prima di
morire, il suo sguardo poteva contemplare la messe che biondeggiava
al sole. <<Ahg!li ex allievi,-disse al visitatore,- quanto bene, raggrup-
pati insieme, possono fare alle loro anime, alle loro famiglie, alle loro
nazioni! Vedo con gioia lo sviluppo della loro Associazione; e li bene-
dico con tutto il cuore! ».
I1 miglioramento a cui alludeva la lettera del Cardinal Rampolla
fu reale, ma breve! Verso la meti di marzo, apparve infatti nello stato di
salute di Don Rua un leggero miglioramento. La speranza si riaccese nel
cuore di tutti, tanto più che il morale dell'infezmo si manteneva sem-
pre altissimo.
Restando stazionarie le sue condizioni e sembrando vinta per il mo.
mento una recrudescenza del male, Don Rua non ebbe che una preoc-
cupazione: impiegare bene il suo tempo.
Chiamò il suo infermiere, il fedele Balestra, e gli disse:
- Prendi un foglio di carta e fammi il piacere di scrivere quello che
ti detto. E gli dettò uno schema di orario per la sua giornata d'infermo.
Come si vede, &o al termine Don Rua restò l'uomo della regola e
di un metodo di vita.
La speranza però di vederlo ristabilito e di poter celebrare il giubileo
d'oro sacerdotale, fu di breve durata.
La malattia - una miocardite senile, a detta dei medici, - seguiva i1
suo corso. Dopo i1 20 marzo l'ultimo bollettino dei sanitari che lo
assistevano era allarmante.
Perciò il 24 marzo, giovedì santo, per desiderio dell'ammalato gli
fu portato la Comunione in forma di viatico.
Alle sei e un quarto del mattino Don Rinaldi, accompagnato dai
confratelli della casa, recanti ceri accesi, compì la mesta cerimonia.
Nella sua estrema semplicità essa non poteva riuscire più solenne.
Appena il celebrante, con un profondo strazio al cuore e con lacrime
agli occhi, ebbe pronunciato il Misereatur e l'lndulgentiam, Don Rua fece
segno di voler parlare.

17.2 Page 162

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Lo sollevarono allora sui guanciali e con voce distinta disse:
« I n questa circostanza mi sento in dovere di indirizzarvi alcune
parole.
«La prima è di ringraziamento per le continue vostre preghierde.iI1
Signore vi rimuneri anche per quelle che continuate a fare.
«Un'altra parola voglio dirvi, perché non so se avrò occasione
di parlare ancora a tutti; vi raccomando che la presentiate anche agli
assenti. Io pregherò sempre Gesù per voi. Spero che il Signore esau rà
la domanda che faccio per tutti quelli che sono in casa, ora ed in av.
venire. Mi sta a cuore che tutti ci facciamo e conserviamo degni figli
di Don Bosco! Don Bosco al letto di morte ci ha dato un appuntamento a
tutti: 'Arrivederci in paradiso !'.È questo il ricordo che egli ci lasciò.
Don Bosco voleva con sé tutti i suoi figli: per questo ci raccomandò
tre cose:
1. Grande amore a Gesù Sacramentato;
2. Viva devozione a Maria SS. Ausiliatrice;
3. Grande rispetto, obbedienza ed affetto ai Pastori della Chiesa e
specialmente al Sommo Pontefice.
quesro il ricordo che anch'io vi lascio; procurate di rendervi
degni di essere figli di Don Bosco. Se il Signore mi accoglierà in paradiso
con Don Bosco, come spero, pregherò per tutti delle varie case e spe-
cialmente di questa ».
Nessun estraneo fu ammesso a questa scena commovente, eccettuato
il prof. Bettazzi, che l'aveva domandato come un favore. Tornando a
casa, sul registro dei visitatori, alla firma faceva seguire le parole:
felicissimo di avere assistito al Viatico d'un santo.
La sera di Pasqua, lo stato di Don Rua peggiorò notevolmente.
Verso le nove e mezzo i fenomeni di embolia puntiforme si manifesta-
rono in modo inquietante. A poco a poco perdette la parola e la cono-
scenza. In un batter d'occ o tutti i superiori della Congregazione
furono attorno al suo letto, mentre si telefonava d'urgenza al medico,
che accorse immediatamente. Quando egli arrivò, il pericoloera passato.
In vista però d'un nuovo attacco del male Don Rinaldi, dopo d'essersi
consigliato con gli altri superiori, si presentò all'ammalato e gli disse:

17.3 Page 163

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- Caro Don Rua, abbiamo provato tutti i rimedi senza ottenere
alcun risultato. Vuole ricevere l'Olio Santo? Chi sa che questo Sacra-
mento non possa riuscire efficace anche alla salute del corpo ?
- Volentieri, volentieri! - rispose. E indicando uno scaffale della
sua biblioteca:
- I1 rituale è lì, prendilo.
Volle che gli si leggessero tutte le rubriche e le preghiere prescritte
dalla Chiesa per l'amministrazione di quel Sacramento. Dopo di che,
Don Albera, Direttore spirituale della Congregazione, glielo amministrò
in presenza di tutti i membri del Capitolo Superiore.
Terminato il rito, Don Rua chiamò a il prefetto Don =naldi, e lo
ringraziò vivamente del pio awertimento che gli aveva dato.
Ormai non restava che attendere il trapasso.

17.4 Page 164

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CAPO XI
La fine
Dall'ultima decade di marzo, sentendo ogni giorno venir meno le
forze, Don Rua awerti di essere vicino al grande traguardo.
Le ultime raccomandazioni, gli ultimi ricordi, il frequente saluto:
« Arrivederci in paradiso >>, lasciavano chiaramente intendere che non
si faceva illusioni. I medici non davano speranze ed egli sentiva la grande
ora vicina.
Al direttore dell'Oratorio Don Marchisio, venuto una sera a visi.
tarlo, mormorò: « Dirai ai giovani che è una grazia grande che loro ha
fatto la Madonna nel farli venire in questa sua casa. Dì loro che se ne
rendano degni con lo studio, col lavoro, col buon esempio e con
la pietà. A quelli che vi sono ed a quanti verranno, raccomandate
sem-ure la frequenza ai Sacramenti e la divozione a Maria SS. Ausi-
liatrice >>.
I1 nrimo venerdì del mese d'au-rile, intrattenendosi con Don Rinaldi
per più di mezz'ora, lo incaricò di particolari ricordi, per i Salesiani,
le Figlie di Maria Ausiliatrice, e i Cooperatori.
Per i Salesiani ripeté gli awisi dati il giovedì santo, e aggiunse:
«Ai confratelli raccomando quanto dissi il giorno che ricevetti il
Santo Viatico e ricorda loro che sarà nostra fortuna l'essere stati
fedeli nel mantenere le tradizioni di Don Bosco e l'aver evitato le
novità >>.
Alle Figlie di Maria Ausiliatrice: «Dirai che esse sono molto amate
da Maria Ausiliatrice; procurino di conservare questa predilezione della
nostra cara Madre! »...
Ai Cooperatori, rinnovò con espressioni commoventi la sua pro.
fonda gratitudine: « Quando venga a morire - disse - non occorre
scrivere ai Cooperatori una lettera, come si fece per Don Bosco, tutta-
via desidero che si dica loro che conservo tutta la riconoscenza per

17.5 Page 165

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l'aiuto che hanno prestato alle opere nostre. Se Don Bosco asserì
che senza di loro avrebbe fatto niente, quanto di meno avrei fatto io
che sono un poveretto! Sono quindi obbligato di ricordarli in modo
particolare. Io pregherò per loro, per le loro famiglie ed amici, perché
il Signore li ricompensi in questa e nell'altra vita ».
In quegli ultimi giorni Don Rua non cessò dal ribadire la necessità di
nuovi operai evangelici per i bisogni delle case e delle missioni, e per
estendere il regno di Dio nel mondo.
«Vocazioni, Vocazioni! - ripeteva - Dio ce le dà; ma noi dob-
biamo curarle e soprattutto conservarle ».
Un confratello, suo confidenre, gli manifestò l'idea di comporre
una breve invocazione al Sacro Cuore, da recitarsi tutti i giorni dai
Salesiani, per supplicare il Padrone della messe ad inviare operai alla sua
messe, e a conceder loro il dono della perseveranza.
La preghiera fu composta. Don Rua l'ascoltò; la ripeté parola per
parola con accento di profonda pietà; poi volle che gliela ponessero
sotto il guanciale, per farsela rileggere e poterla ripetere, come ultimo
slancio della sua anima apostolica.
Don Bosco, morendo, esclamava: Avanti! Avanti!
Don Rua supplicava: Vocazioni! Vocazioni!
La stessa fiamma divina consumava, nel momento estremo, l'anima
del Padre e quella del Figlio primogenito, che ne aveva continuato la
missione.
Due parole uscite dalla bocca dell'infermo il 3 aprile rivelano
la lotta che si agitava nel segreto della sua anima tra l'ansia di sacri-
ficarsi ancora per la gloria di Dio e la piena sottomissione alla sua
volontà.
A un confratello che lo animava alla speranza della guarigione
e lo spingeva a chiedere anch'egli l'invocato e l'atteso miracolo:
«Eh! si! - esclamò - sarebbe forse il caso di ripetere con San Mar-
tino: Signore, se posso essere utile alla vostra gloria non ricuso il
lavoro e la fatica ».
Ma la sera di quello stesso giorno a Don Francesia che bonariamente
l o rimproverava di non unirsi alle comuni preghiere per la sua guari-

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gione, candidamente confessava: «Sì, sì; io ho pregato con voi, ma
non con le stesse intenzioni. Voi chiedete l'attuazione dei vostri desi-
deri; io intendo che si compia la volontà di Dio P.
La sua giornata: una lunga giornata di settantatré anni e quasi
cinquanta di sacerdozio, volgeva al termine.
I1 suo rettorato era stato fecondo e poteva ben lasciare ad altri il
governo della Congregazione, saldamente sviluppata nel mondo.
Don Bosco gli aveva lasciato settecento confratelli, con sessanta-
quattro case, sparse in sei nazioni. Egli consegnava, a chi avrebbe
dovuto prenderne il posto, quattromila Salesiani distribuiti in trecento-
quarantun case e in trenta nazioni.
I1 deposito atfidatogli, non solo era stato gelosamente custodito,
ma ingrandito anzi in proporzioni meravigliose.
La sera del 4 aprile, prima delle preghiere all'aperto, sotto le finestre
della sua cameretta i giovani dell'oratorio intonavano il canto a Don
Bosco, solito ad essere eseguito il martedì, giorno della sua morte.
I1 canto termina con le parole: «Don Bosco io vengo a Te! ».
L'eco delle ultime note sale mesta e solenne; il Servo di Dio apre
gli occhi quasi spenti, ma animati ancora da un dolce sorriso; e ripete
anch'egli con flebile voce, quasi a compimento di una cara promessa:
... ... «Sì, Don Bosco anch'io vengo a Te! Don Bosco, io vengo a
... Te! ».
La mattina del 5 aprile, dopo l'ultima comunione, Don Rua domanda
a Don Rialdi:
- Dimmi, come sto?
- Molto male, caro Don Rua.
- 11 mio stato è veramente grave?
- Purtroppo! Non ci sono più speranze.
- Avete fatto tutto ciò che si poteva?
. - Tutto, Don Rua. Non abbiamo risparmiato né medici, né me-
dicine, né preghiere.. .
- Allora, quando sarà la fine?
- Forse questa sera, forse tra qualche ora. Ma stia tranquillo,
Don Rua, noi l'awiseremo al momento opportuno.

17.7 Page 167

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- Bene. Allora lasciatemi tranquillo. Non entri nessuno, eccetto
Mons. Morganti che aspetto. Voglio dispormi a compiere la santa
volontà di Dio.
Quanta umanità e quanto spirito soprannaturale in questo dialogo.
È un santo che muore: un santo che ha conosciuto le battaglie del-
l'apostolato.
La parte superiore dell'anima anela all'amplesso di Dio, di Cristo,
della Vergine, di Don Bosco, che dall'altra parte del fragile tramezzo
che ancora li separa, sembrano attenderlo per dargli la meritata corona.
Eppure vi è una specie di rimpianto per il campo di lavoro, le lotte,
i dolori, le lacrime sparse nel servizio delle anime. La giornata apostolica
è stata faticosa, ma quanti raccolti per i granai del Signore. Quante
fatiche oscure, ma benefiche.
Il vecchio operaio le rivive e le rimpiange. Domanda al primo luogo-
tenente: «Avete fatto tutto quanto si poteva per mantenermi sul
campo del lavoro? ». Ma è pronto al grande viaggio.
Quel mattino arriva un telegramma dal Vaticano. Pio X conosce e
venera l'infermo, e in quell'ora suprema; per aiutarlo a compiere il
gran passaggio, lo conforta con la benedizione apostolica.
Gli si è appena impartita, che viene annunziato Mons. Morganti,
Arcivescovo di Ravenna. Al vederlo Don Rua svincola le braccia di
sotto le coperte e le tende verso il suo amato figliolo. - Oh! Come
son contento! Come son contento! - ripete, abbracciando tenera-
mente l'antico allievo.
Mons. Morganti lo prega di volerlo benedire, e Don Rua lo accon-
tenta subito. La sua voce è appena percettibile, quasi soffocata da un
singhiozzo.
- E ora a Te - mormora: e riceve umilmente la benedizione di
quel figlio, che tanto desiderava vedere prima di abbandonare la terra.
Nel pomeriggio la prostrazione si accentua.
A sera, la vista incomincia ad inrorbidirsi. Alle dieci entra in agonia,
calmissimo, e con intervalli di lucidità di mente.
Da tre giorni pregava quelli che l'avrebbero assistito negli ultimi
momenti di suggerirgli delle orazioni giaculatorie.
- Anche nel caso che io sembrassi senza conoscenza, diceva, fatelo
lo stesso, e ripetetemi spesso l'assoluzione.

17.8 Page 168

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I1 suo confessore Don Francesia, che gli sta sempre al capezzale,
non manca di esaudire il suo desiderio.
Verso l'una e mezza del mattino, ritorna un po' in sé, e Don Francesia
ne approfitta per dirgli all'orecchio:
- Siamo qui tutti, che preghiamo il Signore che ti apra le porte
del Paradiso. Ricordati di salutare per noi Don Bosco.
A quel nome il viso del morente s'illumina di un dolce sorriso.
Alcuni istanti dopo, Don Francesia gli mormora: Signore, d r e t -
tati a venirmi in aiuto.
- Oh sì, replica Don Rua: affrettati, affrettati.
Ogni giaculatoria lo toglie dal suo assopimento, ed egli la ripete con
fervore. L'ultima che riesce a esprimere è quella che aveva imparato
da Don Bosco, quand'era fanciullo: «Cara Madre Vergine Maria,
fate ch'io salvi l'anima mia! P.
- Sì, salvar l'anima - ripeté - salvar l'anima: è tutto, è tutto.
Furono le sue ultime parole.
Alle 8,15 l'ultimo bollettino medico toglieva ogni illusione.
Allora si svolse una scena commovente. I giovani che non avevano
potuto awicinare Don Rua durante la sua lunga malattia, furono am-
messi a baciargli la mano per l'ultima volta. Disposti in fila, - una fila
interminabile, - passarono uno dopo l'altro, presso il letto del mori-
bondo, ormai insensibile. Che strazio per quei cari figliuoli, coi quali,
appena sei mesi prima, Don Rua scherzava volentieri in cortile!
Le Figlie di Maria Ausiliatrice tennero dietro ai Salesiani e ai giovani,
e , dietro le suore, tutta la folla, che in chiesa pregava il Signore di al-
leviare le ultime sofferenze del suo servo.
La mesta sfilata durò più di un'ora. Appena finita alle 9,37, senza
un lamento, senza una scossa, quasi inawertitamente, la grande anima
del successore di Don Bosco se ne volava in seno a Dio.
I1 dottore Battistini si chinò per constatarne la morte; e poi si volse
. verso i Salesiani che interrogavano ansiosi con lo sguardo...
. Un gesto disse tutto.. Si udirono sommessi singhiozzi.. Una voce
intonò un primo De profundis, mentre il medico curante, chinandosi
di nuovo su Don Rua, baciava in fronte il cadavere del santo.

17.9 Page 169

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CAPO XII
Onoranze trionfali
Chi si umilia sarà esaltato. Mai le parole evangeliche parvero meglio
inquadrare una vita, come nel caso di Don Rua.
Egli aveva cercato sempre di nascondersi, di scomparire e perfino di
chiamarsi in colpa. Durante i fatti di Varazze era giunto ad affermare
che il Signore aveva colpito gli innocenti per castigare la sua presunzione
nell'accettare e nel tenere fino allora la direzione suprema della Congrega-
zione. Al nome di Don Bosco aveva costantemente attribuito gli onori
resi alla sua persona.
In morte però si vide da che alone di stima era circondato Don Rua.
P a ~ aenzi che la Prowidenza cominciasse ad esaltarlo come prepara-
zione lontana alla gloria degli altari.
Non appena si poté sfollare la camera nella quale aveva consumato
il suo sacrificio, la veneranda salma fu religiosamente composta per la
pubblica esposizione.
Si rifiutò, come s'era fatto per Don Bosco, d'imbalsamarla, per
timore quasi di profanazione. La si rivestì della talare, di cotta e stola, e
le si mise tra le mani il crocifisso che Don Rua tante volte aveva baciato,
e l'umile corona che aveva recitato, dopo le preghiere della sera, pas-
seggiando lungamente sotto i portici de1liOratorio.
Poi fu trasportata ed esposta nella chiesetta di San Francesco di
Sales.
Quanti ricordi suscitava quella prima chiesa dell'oratorio. Con tanti
giovani della prima ora, agli inizi dell'oratorio, anche Michele Rua
aveva aiutato a costruirla, sessant'anni prima, scaricando mattoni e
portando tegole sul tetto. Dal 1865, su quel pulpito, aveva sostituito
Don Bosco per l'omelia domenicale ai giovani. Ma specialmente a
quell'altare il 29 luglio 1860 aveva celebrato la sua prima messa.

17.10 Page 170

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Chi avrebbe mai detto che la sua vita sacerdotale, cominciata sotto
quelle volte, si sarebbe chiusa lì, in una indimenticabile camera ardente,
nella quale il suo volto, pallido come cera, ma per nulla alterato dalla
morte, sembrava lievemente atteggiato a sorriso.
Subito cominciò il mesto pellegrinaggio.
Informati dalle edizioni speciali dei giornali, i fedeli accorsero in
folla a venerare e salutare i resti dell'uomo di Dio.
Passa gente d'ogni età e condizione: personaggi illustri, autorità
religiose, politiche e civili, rappresentanti della nobiltà e della cultura;
ma soprattutto popolo umile ed anonimo: madri di famiglia, operai che
tornano dal lavoro, religiosi, religiose, fanciulli che han finito la scuola
e rendono omaggio a chi li aveva tanto amati e beneficati.
Èuna folla che prega e mossa da viva devozione porge continuamente
oggetti religiosida far toccare alle mani giunte del buon Padre, che dorme
il sonno dei giusti. Anelli matrimoniali, rosari, libri di pietà, medaglie,
ognuno cerca su di sé qualche cosa, che sarà consacrata da quel con-
tatto.
Si avanza, tremando, un anziano, cava dal taschino il suo vecchio
orologio di rame brunito e lo porge al salesiano incaricato dell'ordine.
Le mamme sollevano i loro bambini al disopra della folla, perché essi
contemplino il volto del Servo di Dio e ne conservino il ricordo nella
vita: quel morto è così amabile che non fa loro paura. È su tutti i volti
un'aria di tenerezza e di commossa contemplazione: i visitatori si
allontanano a malincuore.
Quella fiumana non cesserà di scorrere per tre giorni consecutivi,
dalle nove del mattino alle nove di sera.
Sulla porta del tempio un registro aperto si riempie di firme: qui
come là, è la stessa confusione, ove s'intrecciano le classi sociali:
eleganti scritture di gente colta, e firme tremule, incerte, sghembe,
di gente del popolo, che esprime a quel modo riconoscenza e venera-
zione.
Nel pomeriggio di quello stesso giorno - 6 aprile 1910 - il Con-
siglio municipale di Torino rende omaggio alla memoria dello scom.
parso.

18 Pages 171-180

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18.1 Page 171

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Sono presenti settantun membri. La frazione dei consiglieri cat-
tolici è modesta; ma dinanzi alla figura dell'estinto le passioni politiche
tacciono, come per incanto: radicali e socialisti s'incbinano con rispetto.
All'inizio della seduta, prima d'annunziare l'ordine del giorno, il Sin-
daco della città, conte Teofilo Rossi, da la parola al prof. Riaudo, li-
bero docente all'università. È un antico alunno dell'oratorio che deve
molto a Don Bosco e a Don Rua.
Con voce pacata e tremante, l'illustre alunno del defunto, fa di Don
Rua un elogio così vero e commosso, che l'assemblea, a più riprese,
dimostra con l'applauso di vibrare all'unisono con l'oratore.
<( Onorevoli Colleghi, stamane si è spenta un'esistenza, che incarnava
non solo un uomo, ma una grande idea, anzi una grande missione,
l'educazione del popolo. Concedetemi, che io ve la ricordi, mosso
non solo dall'ammirazione, ma da profondo sentimento di riconoscente
amicizia per Don Michele Rua.
«Don Rua fu il santo ideale, che l'umanità nella sua vita travagliata
ricerca e sospira. D'una fede religiosa, limpida come il cristallo, resi-
stente come il diamante, ma non assorto in mistiche contemplazioni, fu
il vero santo operativo dell'età moderna. Dal 1845, quando di otto anni
per la prima volta sentì le carezze paterne di Don Bosco, fino al giorno
in cui la stanca fibra l'inc odò sul letto di morte, non ebbe un giorno
di riposo: sessantacinque anni di lavoro assiduo, fecondissimo.
« E quale simpatia di lavoro! Fu santa missione di Don Rua, de-
gnissimo continuatore di Don Bosco, il preparare le giovani generazioni
alla vita, educandole al sentimento del dovere, alla serenità del lavoro,
alla purezza del sacrificio.
« E consacrò il dovere con alta fede religiosa: ma chi, anche non
credente, non vorrà benedire una fede, che crea tanta grandezza di
anime 7
«Era figura di asceta operativo, che pareva camminasse rischiarato e
mosso da una lampada interiore, accesa dalla fede e dall'energia della
volontà; l'occhio sempre mite, buono, benevolo; la parola ad un tempo
risoluta e soave; d'una indulgenza materna. Nessuno lo vide irato;
nelle amarezze delle persecuzioni commoveva il suo volto placido e
l
sereno, che irradiava amore, pace e perdono.
«Torino deve essere gloriosa d'aver dato i natali a un sì grande
successore di Don Bosco. Torino, nel sentimento della sua missione
moderna, deve essere altera d'un figlio del suo popolo, che ai figli del
popolo di ogni terra e di ogni lingua disse la santa parola vivificatrice
del dovere, del lavoro, della bontà e della fratellanza umana ».

18.2 Page 172

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A nome della minoranza cattolica del Consiglio municipale il mar-
chese Corsi volle aggiungere alcune parole di ammirazione per l'uomo
e per la sua opera.
<<Eglfiu il compagno, l'interprete più fido e il continuatore più
saggio e zelante dell7Operadi Don Bosco, di quel complesso di istitu-
zioni che da anni diffonde pel mondo, coi mezzi più umili e più corag-
giosi, quelle ispirazioni e quegli esempi di carità cristiana che nobilitano
l'uomo e lo migliorano, che rawicinano le classi in contrasto e ddiffon-
dono fra loro le concordie, che preparano e fecondano così la pace
fra i popoli,..
« I cittadini di Torino in lui vedevano personificato il miracolo vi.
vente di una istituzione che, sorta dal nulla, senza sussidi di governo,
alimentata soltanto dalla carità e dallo zelo dei cooperatori particolar-
mente di questa città, si erge e mantiene in mtro il mondo civile, pro-
pugnando i principi di libertà, di uguaglianza sociale, di giustizia, di
amore, che sono l'essenza del Vangelo e la tradizione migliore del
nostro paese. L'ammirazione dei cittadini per il primo successore di
Don Bosco è ammirazione filiale di cui il Consiglio comunale deve ren-
dersi il primo e più alto interprete ».
I funerali si svolsero tre giorni dopo, 9 di aprile. Più di centomila
persone erano sfilate dinanzi alle sue spoglie, e decine e decine di
migliaia presero parte al corteo funebre.
L'orario era fissato per le sedici, ma fin dalle prime ore del pomerig-
gio, l'Oratorio, la Basilica e la piazza di Maria Ausiliatrice e i dintorni,
rigurgiravano di popolo. La folla accorsa dai sobborghi e quartieri di
Torino e dalle campagne era così densa che dai marciapiedi straripava
sulla strada.
Il corteo percorreva da un'ora le vie di Torino allorché il feretro
compame sulla porta del tempio di Maria Ausiliatrice, dove il mattino
Mons. Giovanni Marenco aveva solennemente pontificato la messa
da requiem.
Cinque vescovi, in mitra bianca, precedevano il carro funebre dei
poveri, senza fiori e senza corone. Dietro veniva il Consiglio Su-
periore della Congregazione Salesiana, rappresentanti delle autorità
civili, religiose, militari, una massa compatta di Salesiani e di Figlie
di Maria Ausiliatrice, e poi la folla, una folla interminabile.

18.3 Page 173

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Funerali umili e poveri, ma imponenti e grandiosi, permeati di
gravità e di raccoglimento. Popolazione immensa sul percorso; nel
corteo preci fervide di cuori riconoscenti; commozione profonda lungo
un tragitto di oltre due chilometri. Al disopra, un trionfo di cielo sereno
e limpido; e in tutti la convinzione che l'anima che vivificava quella
fragile spoglia gioiva felice nella luce di Dio.
Le cronache dei giornali aiutano a intravedere la grandiosità di
quel trionfo, a cui l'umiltà di Don Rua non poteva pensare.
Scriveva l'unione di Milano: «Una dimostrazione grandiosa,
immensa, commovente, come quella che Torino ha dato a Don Rua,
non fu certo mai vista, forse neppure in altre città d'Italia; era tutta
Torino che accorreva a dare l'« estremo saluto al cittadino illustre e
benemerito, al grande filantropo, al padre, all'amico, all'apostolo della
gioventu >>.
« Per avere un'idea esatta di quello che furono le funebri onoranze
rese oggi a Don Michele Rua - osservava "la Stampa"- occorre risa-
lire molto addietro nei ricordi di funerali imponenti, e richiamare alla
memoria le grandi e più spontanee dimostrazioni di affetto, che il po.
polo ha voluto tributare, in rare circostanze, a pochi illustri personaggi,
per i quali l'anima della folla, varia e molteplice, ha provato palpiti di
>>. riconoscenza. È stata la solenne cerimonia di oggi una splendida apo-
teosi dell'amore e della bontà
«Per la sepoltura di Don Rua - scriveva a sua volta il "Mo-
mento"- la cronaca vince con la sua grandiosità ogni nota di com-
mento. Intorno alta bara dell'umile sacerdote si sono trovate tutte le
rappresentanze ufficiali delle più alte autorità civili; ma dietro i cordoni
militari che trattenevano a stento la folla in chiesa, come in piazza,
come per i corsi, era tale un'immensa onda di popolo quale non si
ricorda d'aver visto eguale da lungo tempo... ».
Molti giornali ebbero parole di alto encomio, formando un coro di
ammirazione e profonda venerazione al santo, che « fece rivivere in sé il
grande spirito dell'Apostolo di Castelnuovo e ne continuò le opere.
Egli non solo difese e propagò i grandi ideali umanitari e cristiani, ma,
a somiglianza del suo predecessore, li incarnò pienamente e luminosa-
mente nell'intera sua vita rinnovando le eroiche virtù dei santi. E che
Don Rua fosse un santo è convinzione di quanti ebbero la fortuna di
avvicinarlo e di vederlo. La sua modesta cameretta di Valdocco fu

18.4 Page 174

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sempre mèta di continui pellegrinaggi di persone di ogni nazione, attirate
... dalla fama della sua santità. Quanti si accostarono a lui, uscendo da
quella cameretta, avevano una sola voce: 'Don Rua è un Santo' E
questa voce la ripeterono popoli intieri, i quali, tutte le volte che
l'umile sacerdote si volse per l'Itaiia e per l'Estero, si affollarono intorno
alla sua mistica figura di asceta, trasformando col loro spontaneo
entusiasmo le sue visite in veri viaggi trionfali... ».
Cosi scriveva l'Adone di Catania e tale fu la voce di cardinali, ve-
scovi, prelati, e di quanti, in ogni parte, dissero le lodi del Servo di
Dio dopo i riti solenni celebrati in suo suffragio.
L'indomani, 10 aprile, le spoglie di Don Rua erano trasportate
all'ultima dimora. Si era ottenuto di poterle inumare nel collegio
di Valsalice accanto alla tomba di Don Bosco. Padre e Figlio dove-
vano stare insieme anche nell'attesa della risurrezione, e forse della
gloria terrena, se la Chiesa li avesse giudicati degni dell'onore degli
altari.
All'apparire del cano funebre all'ingresso del grande cortile al-
berato di Valsalice, la folla di amici, benefattori, allievi, ex allievi,
confratelli e suore, che attendevano, fu pervasa da un senso di profonda
commozione.
La bara fu portata in cappella, ai piani superiori, per l'ultima as-
soluzione. Quindi si ridiscese per la scala grande e la si depose davanti
alla tomba di Don Bosco, come per un mistico incontro.
Prima dell'uiumazione si fece avanti Don Marchisio, direttore della
casa madre, per l'ultimo saluto.
Disse col pianto in gola: «In nome dei tuoi figli dellJOratorioe anche
di quelli sparsi nel mondo, io depongo, Padre venerato, sulla tua
bara l'estremo saluto dell'amore. Qui oggi noi prendiamo l'impegno
solenne di mantenerci fedeli al grande insegnamento di lavoro e pre-
ghiera che insieme con Don Bosco ci lasci. È questo il fiore che i figli
depongono sulla romba del Padre P.
Nel verbale di chiusura del feretro, deposto in tubo di vetro ai
piedi della salma, dopo gli accenni d'occasione e i dati biografici di
Don Rua, con intuito profetico era scritto: « Delle sue virtù ammirande

18.5 Page 175

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ed eroiche, specie del suo ardente zelo per la gloria di Dio e la sal-
vezza delle anime, e del compianto generale che suscitò nel mondo
civile la sua morte, dirà la storia ».
Seguiva un patetico commiato: « Riposa in pace, o salma benedetta,
presso quella di Colui che ti volle a parte della sue imprese come il tuo
nome vivrà unito a quello di Don Bosco, cosi il tuo spirito esulti ac-
canto al suo in eterno ».
Sulle due tombe però doveva spuntare, in tempi e con modalità
diverse, l'alba della gloria.

18.6 Page 176

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CAPO XIII
Sdla via degli altari
I1 giorno stesso della morte di Don Rua il professar Pietro Fedele,
docente di Storia all'università di Torino, confidava a un salesiano:
« Se fossimo nel Medioevo, domattina non si direbbe messa di suf-
fragio per Don Rua, ma la si canterebbe in suo onore, per esaltazione a
voce di popolo ».
La fama di santità che lo circondava risaliva alla sua giovinezza,
ed era venuta crescendo e dilatandosi con gli anni. << Questa fama -
dichiara Don Francesia - era motivata dall'esercizio costante e non
comune delle virtù... Noi lo reputavamo virtuoso come Don Bosco,
con la sola diierenza, che la santità del Servo di Dio era quella di un
giovane; la santità di Don Bosco, quella di u n maestro ». Anche il
gesuita P. Secondo Franco asseriva fui dal 1869 che non sapeva se dir
maggiore la virtù di Don Bosco o di Don Rua.
Certo a fomentare la voce comune sul conto d i Don Rua fu lo
stesso Don Bosco. Sue sono le due affermazioni: << Don Rua, se volesse,
potrebbe far miracoli »; e <<sela Madonna ha fatto tante grazie per
Don Bosco, ne farà ancor di più per Don Rua ».
Mentre era in vita raramente il Beato volle » far uso della sua
potenza d'intercessione presso Dio: i1 senso profondo del suo nulla
glielo vietava. Tuttavia in alcuni casi la sua preghiera fervida e devota
ottenne prodigi.
In tali casi però Don Rua s'indusrriava a ftapporre tra il miracolo
e l'ammirazione delle folle una barriera di protezione. Talora egli si
raccoglieva in preghiera nella sua camera per intercedere per colui che
sollecitava il suo intervento presso Dio, e i corpi guarivano a chilo.

18.7 Page 177

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Qualcuno restò meravigliato dei commenti e del commiato di
Don Rua. Ma tutto si chiarì qualche giorno più tardi, dopo I'improv.
visa scomparsa del professor Gambino.
In altre occasioni Don Rua squarciò il velo del futuro con profezie
awerate a puntino, e ottenne guarigioni che avevano del sorprendente
e miracoloso: e questo accrebbe in Italia e all'estero la sua fama di
santità.
A poco a poco - attesta Don Barberis, alludendo al tempo del
suo rettorato - si formò intorno a lui fama di santità straordinaria.
Alla sua camera accorreva ogni sorta di persone per chiedere la sua
benedizione. E questo non solo a Torino e in Italia; ricordo infatti che
viaggiando con lui in Belgio, non appena si seppe chi egli era, alcuni
viaggiatori vennero nello scompartimento a vederlo e a chiedergli la
benedizione, persuasi che fosse un santo ».
Tale fama ebbe una vera esplosione alla morte del Servo di Dio;
come si è visto nel capitolo precedente, e da allora andò allargandosi
e radicandosi più profondamente nell'animo di molti.
Io sono anziano - diceva il Cardinal Richelmy al Canonico Im-
berti - e non arriverò a vederlo; ma lei che è giovane potrà vedere Don
Rua sugli altari >>A. nche Pio X aveva detto confidenzialmente a Don
Tonelli: (C Tutte le volte che lo vedevo, mi pareva che lo si potesse
metter vivo su gli altari D.
La stima era generale. Nobili e popolani, sacerdoti e laici, autorità
civili e religiose, giovani ed anziani: tutti riconoscevano le straordinarie
virtù di Don Rua e lo proclamavano degno dell'onore che la Chiesa
concede in terra ai suoi figli migliori.
Due testimonianze sono meritevoli di speciale ricordo: quella di
Mons. Pasquale Morganti, Arcivescovo di Ravenna, e di Mons. Carlo
Salotti, allora avvocato della Causa di Beatificazione e Canonizza-
zione di Don Bosco.
Scrisse Mons. Morganti: Ho potuto trattare molto con Don Rua,
da ragazzo, da sacerdote e da vescovo: lo giudico santo nel senso cano-
nico della parola; un sacerdote, un religioso e un educatore incompara-
bile; una delle personalità più benemerite della Chiesa e della So-

18.8 Page 178

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cietà, paragonabile a illustri santi canonizzati; per cui confido nella sua
glorificazione da parte della suprema autorità della Chiesa stessa ».
(( Testimoni della santità di Don Rua - affermava a sua volta Mons.
Salotti - sono migliaia e migliaia di figli, di confratelli, di beneficati,
che in ogni parte del mondo, più che piangere il padre, celebrano il
santo. Se un giorno la Prowidenza disporrà che alla Causa di Don
Bosco tenga dietro quella di Don Rua, gli innumerevoli testimoni che
sfileranno davanti al Tribunale ecclesiastico di Torino, nel rammentare
gli eroismi dell'uomo, che oggi abbiamo perduto, o dovranno confes-
sare che l'uno fu degno dell'altro, o che forse sarà compito non lieve
determinare a chi dei due spetti il primato nell'esercizio di quelle virtù
cristiane, nelle quali entrambi si distinsero da eroi ».
Perdurando questa fama di santità, il 2 maggio 1922, l'arcivescovo di
Torino, C a r d i Agostino Richelmy, costituiva il Tribunale eccle-
siastico diocesano per i processi Informativi. L'esame dei testimoni si
protrasse per cinque anni, fino al 31 agosto 1927. Seguivano poi le
altre formalità, come la ricerca degli scritti del Servo di Dio, e il pro-
cessicolo de non cultu.
Nel 1936, con il benevolo assenso di Pio XI, la Causaera introdotta.
Subito si mise mano ai processi Apostolici; e passato il turbine della
guerra poterono aver luogo le rituali discussioni, sicché il 26 giugno
1953, sotto il pontificato di Pio XI, si poté avere il decreto della
eroicità delle virtù di Don Rua.
La via degli altari era così aperta al primo successore di Don Bosco.
Infatti mentre si svolgevano le ultime discussioni sulle virtù eroiche
del Servo di Dio, presso la Curia di Crema s'iniziava l'indagine aposto-
lica sulla guarigione miracolosa del sacerdote salesiano Andrea Pagliari.
E due anni più tardi, nel 1955-56, seguivano a Ferrara e a Torino altre
indagini apostoliche circa la guarigione di Benedetta Vaccarino.
Per dieci anni si protrassero gli studi tecnici e le discussioni teo-
logiche intorno a questi due casi presi in esame. Dal 1960 al 1970 sup-
plementi di istruttoria, ricerche e ulteriori discussioni, al vaglio di una
sottile critica, dimostrarono infine che si trattava di due fatti prodigiosi,
ottenuti per intercessione del Servo di Dio. E il 19 novembre 1970,
Sua Santità Papa Paolo VI promulgava il decreto di approvazione dei

18.9 Page 179

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miracoli proposti dagli Attori della Causa, riconoscendoli autentici e
validi per la solenne Beatificazione del Servo di Dio.
La guarigione di Don Andrea Pagliari, colpito da grave attacco di
pleurite, awenne nel dicembre 1951 improwisamente in seguita a fer-
vide preghiere rivolte a Don Rua. Il dottor Legatti, medico curante
del malato, dichiarò che <<laguarigione, così come è awenuta, è da
reputare istantanea e inspiegabile scientificamente ».E questa con-
clusione la Chiesa ha fatto propria dopo gli esami e le ricerche del
caso.
Anche la seconda guarigione miracolosa awenne nel 1951. Benedetta
Vaccarino, una fanciulla undicenne, era d e t t a da grave forma di epilesd
sia da circa quattro anni: inutili le cure e i rimedi della scienza. L'unica
via naturale di salvezza, forse, risiedeva in una difficile operazione
chirurgica alla testa che permettesse l'estirpazione del << focus >> parietale
destro del morbo.
La fanciulla e i genitori preferirono affidarsi all'intercessione di
Don Rua. Devoti frequentatori delta Basilica di Maria Ausiliatrice si
raccoglievano spesso in preghiera sulla tomba del Servo di Dio.
I1 24 maggio l'intera famiglia si rese in pellegrinaggio al santuario.
Dopo la Messa e la Comunione tutti scendono sulla tomba di Don
Rua invocando la guarigione della malata. « Anch'io pregai con fer-
vore - depose la giovane ai processi - e mi rialzai con la fiducia di
essere guarita. Da allora non ho avuto più alcun disturbo: ho sospeso
tutte le cure; le crisi non si sono più ripetute >>S.on passati oltre venti
anni da quel giorno. Benedetta Vaccarino si è sposata, è &venura madre:
l'epilessia resta solo un brutto, lontano ricordo, grazie all'interces-
sione di Don Rua.
La santità di Don Rua riconosciuta dagli uomini, confermata dalla
Chiesa, ha avuto nei miracoli il sigillo di Dio. E così l'umile figura del
Servo buono e fedele che ha fatto « sempre a metà col suo Padre e
Maestro Don Bosco, condivide con lui anche la gloria degli altari.

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Indice

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5 PARTE PRIMA ALLA SCUOLA DI DON BOSCO
7 Capo I. I primi incontri
12 Capo 11. Studio e lavoro
19 Capo 111. Tra i primi Salesiani
29 Capo IV. Con Don Bosco a Roma
39 Capo V. Sacerdote
45 Capo VI. L'oratorio nella «Età dell'oro »
52 Capo VII. Primo direttore salesiano-!i .IL .. %&
59 Capo VIII. Al1' o p e r ~ ,. , ,. . -.--
65 Capo IX. Prefetto Generale !tbc- i f 6 g @&A)
71 Capo X. Due Santi al lavoro
79 Capo XI. Il Padre muore
85 Capo XII. Due documenti
PARTE SECONDA IL RETTORE MAGGIORE
Capo I. La successione
Capo 11. Espansione nel mondo
Capo 111. Le fondamenta del grandezedificio
Capo IV. Viaggiatore instancabile
Capo V. Azione sociale
Capo VI. Consolazioni e conforti
Ca.po VII. Croci e spine
-C-apo VIII. L'uomo e il Santo
Capo IX, Don Rua modello e maestro di povertà
Capo X. Verso il tramonto
Capo XI. La fine
Capo XII. Onoranze trionfali
Capo XIII. Sulla via degli altari

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20.4 Page 194

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20.5 Page 195

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20.6 Page 196

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20.7 Page 197

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20.8 Page 198

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