Laura Vicuña

JOSEPH AUBRY

LAURA VICUNA

EROINA PER AMORE

A 13 ANNI



UNA FAMIGLIA ANDINA

La storia di Laura del Carmen è allo stesso tempo tenera e tragica. Bella più di un romanzo di avventure. Rivela il destino di una linearità perfetta. Come dice l'iscrizione di marmo della sua tomba, all'istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice di Bahia Bianca, è "un poema di purezza, di sacrificio e di amore filiale".

I primi nove anni in famiglia

Laura ha passato gli ultimi cinque anni della sua vita in Argentina, ma era cilena, nata da genitori cileni il 5 aprile 1891 nella capitale Santiago. La storia delle sue origini è circondata di ombra e di mistero, e, su alcuni punti, le noti­zie che possediamo restano incerte. In particolare, conoscia­mo pochissime cose di suo padre, José Domingo Vicuna. Si sa che era di nobile ascendenza e che scelse la carriera mili­tare, fino a diventare capitano. Ma lasciò l'esercito dopo cinque anni di servizio, perché coinvolto nei contraccolpi politici e nella guerra civile che scuotevano il Cile in questo periodo. Sembra che verso il 1885 sia sceso a 500 km. a sud di Santiago, nella regione di Temuco, dove incontrò Merce­des Pino. Nonostante numerose ricerche, non si è mai trova­to un atto ufficiale che attestasse il loro matrimonio civile o religioso. Coabitarono per qualche tempo, poi si separarono: non si sa né dove, né quando, né perché.

Laura fu dunque una figlia naturale e, per queste ragio­ni, più tardi, la sua richiesta di essere accolta tra le suore salesiane sarà rifiutata. Ci si può persine chiedere se abbia conosciuto suo padre... A ogni modo, al processo di Viedma

per la beatificazione, sua sorella Amanda affermerà di "non ricordare assolutamente niente di lui".

La mamma non ha mai firmato se non "Mercedes Pino", come d'altronde l'hanno chiamata tutti i contemporanei. Né ella, né le due figlie ebbero rapporti con la famiglia Vicuna. Si sa solo che Domingo e Mercedes abitarono a Santiago nel 1891, anno della nascita di Laura e del suo battesimo, avve­nuto il 24 maggio nella parrocchia di Sant'Anna, di cui entrambi erano riconosciuti "parrocchiani".

Dopo il 1891, il padre sparisce dalla scena. Secondo una testimonianza tardiva, sarebbe stato assassinato per motivi politici, nella zona di Temuco. Questa fu la triste situazione familiare della beata Laura, trascinata in qualche modo già dalle sue origini in un mistero di redenzione, sostenuta però dalla potenza della grazia, che le darà ciò che la natura le aveva rifiutato.

La madre, Mercedes Pino, evidentemente ci è più nota, ancorché non si conosca la data esatta della sua nascita (tra il 1864 e il 1870), probabilmente a Collipulli, presso Temu­co. Quando diede alla luce Laura, aveva tra i 21 e i 26 anni. Ridiscesa da Santiago a Temuco alla fine dell'anno 1891, mise al mondo la seconda figlia, Mia Amanda il 22 maggio 1892.

Mercedes è sempre apparsa ai contemporanei come una persona colta, fine ed elegante, di buon carattere e simpati­ca, che sapeva cantare bene e suonare la chitarra, esperta nel mestiere di sarta e modista. Le sue debolezze si spiegano in buona parte per le situazioni difficili nelle quali si è trovata. Fu una donna coraggiosa, totalmente dedita all'educazione delle sue due figlie. Significativo il giudizio dato su di lei da Amanda: «Ho sempre creduto che mia madre fosse una san­ta»; e quello del salesiano padre Zaccaria Genghini che fu il suo confessore a Junin: «Nel ciclo solo potremo valutare i meriti di Mercedes».

Quanto ad Amanda, di quattordici mesi più giovane di Laura, apparve presto l'opposto della sorella maggiore, sia

per l'aspetto fisico che per quello morale: un po' bruna e forte, il volto deciso, vivace e birichina, le piaceva ridere e fare scherzi; più intelligente della sorella, di carattere felice, non privo di tenerezza. Un poco "sventata", non si rese con­to delle tragedie della sua famiglia. Più tardi, ancora in età avanzata, si appassionerà per il teatro, rivelandosi attrice molto valida, e morirà all'età di 89 anni!

Laura appariva, al contrario, tranquilla e riflessiva, volto rotondo, leggermente roseo, grandi occhi neri, sorriso ama­bile ma contenuto, capelli neri abbondanti ma sempre petti­nati. Fin dalla nascita si era rivelata di salute fragile.


IN VIAGGIO
VERSO L'ARGENTINA

Dalla fine del 1891 all'inizio del 1899, Mercedes visse nella grande borgata di Temuco sulle Ande, non lontano dalla frontiera argentina, tutta occupata per la buona crescita e per l'educazione delle figlie ancora piccole. Vi si era inse­rita come sarta e poi ebbe l'opportunità di aprire e gestire un modesto negozio di merceria. Ora, ecco che nel maggio 1898, accade un fatto imprevisto che orienterà il seguito dell'esistenza della piccola famiglia: un primo incontro con le Figlie di Maria Ausiliatrice. Infatti l'infaticabile missio­nario salesiano padre Domenico Milanesio aveva fondato pochi anni prima (1884) una missione a Junfn de los Andes, sul versante argentino, costruendovi una cappella, la casa dei missionari, un piccolo orfanotrofio e una modestissima scuola-esternato. Sognava di sviluppare quest'opera promet­tente, e ottenne dai superiori l'invio di alcune Figlie di Maria Ausiliatrice: qui avrebbero fondata una scuola per ragazze e offerto prestazioni domestiche ai salesiani. Alla fine del 1838, valicando la Cordigliera, andò a cercarle a Santiago. Ritornò a fine di aprile, effettivamente accompa­gnato da una suora, una novizia e due postulanti e fece tappa a Temuco. Lì il gruppetto fu bloccato e costretto a una sosta forzata di otto mesi, a causa dell'inverno prematuro, che aveva coperto la cordigliera di nevi abbondanti e rendeva impossibile la traversata.

Attesa provvidenziale, perché è ben chiaro che l'equipe salesiana non sarebbe rimasta a braccia incrociate. Padre Milanesio si offrì come vicario della parrocchia, dove il suo zelo fece meraviglie. Le suore, senza tardare, misero in pie-di un oratorio, dove affluirono ragazze e ragazzi della città; e persine un piccolo collegio per ragazze povere. La gente era incantata, e particolarmente Mercedes Pino e le sue ragazzine di sei e sette anni. Furono conquistate, e Mercedes non sognava più altro che di poter un giorno affidare a que­ste suore tanto capaci e simpatiche l'educazione delle figlie. Nel gennaio 1899 il gruppetto salesiano lasciava Temu­co, con grande disappunto di tutti, e intraprendeva la traver­sata della Cordigliera per la via più diretta, quella del sud. Furono dodici giorni di avventure per arrivare a Junfn (oggi il tragitto si compie in quattro ore di macchina). L'entrata delle suore su cavalli focosi fece sensazione: donne, bambi­ni, autorità erano presenti per accoglierle. E poi si aspettava­no delle suore piuttosto anziane; erano invece giovani: suor Angela Piai, la futura direttrice, aveva 38 anni, suor Rosa Azocar, la novizia che aveva professato a Temuco, 23 anni, le due postulanti Carmen e Francesca 20 anni. Si stabilirono nella poverissima casetta preparata per esse. Era il 29 gen­naio 1899, allora festa di san Francesco di Sales. E l'opera salesiana femminile prese la sua partenza, assai umilmente ma nella gioia...

Direzione nord

Mercedes aveva deciso di lasciare Temuco per dimenti­care il suo passato cileno, andare anche lei a Junfn e affi­dare l'educazione delle figlie alle suore salesiane. La solu­zione più semplice era inserirsi nella carovana di padre Milanesio. Se non lo fece e scelse la strada del nord, è per­ché voleva passare per il suo paese natale Collipulli per salutarvi la propria famiglia e regolare i suoi affari in territo­rio cileno. Purtroppo non immaginava i rischi e le prove di una simile pazza avventura, faticosa per lei e più ancora per le bambine di sette e otto anni. Invece di dodici giorni, impiegherà quasi un anno per raggiungere Junfn! Partì prò-babilmente verso la fine di gennaio, affidandosi, di tappa in tappa, a carovane dirette al nord, costituite da commercianti o da militari o da coloni che avevano appena iniziato la col­tivazione degli immensi territori ancora incolti della Patago-nia (è solo nel 1883 che il governo argentino aveva preso possesso di quei territori fino allora nelle mani delle tribù Araucane). La prima tappa in territorio argentino fu Nor-quin, miserabile paesino dove rimase solo qualche giorno. La seconda fu Las Lajas, grosso villaggio di 1400 abitanti, dove si fermò per qualche mese, trovando lavoro e mandan­do le figlie al catechismo. È lì che incontrò per la prima volta un certo Manuel Mora, ricco terriero di circa qua-rant'anni, che coltivava terre nella valle Chapelco vicina a Junin, e aveva alle sue dipendenze numerosi operai coltiva­tori, guardiani di greggi, e loro famiglie. Manuel aveva pre­visto una partenza verso Junin verso la fine di maggio: Mer­cedes gli domandò di poterlo accompagnare, oppure lui stes­so gliene fece la proposta? Fatto è che partì con lui per un lungo e fastidioso viaggio di due mesi, su piste scomode, in paesaggi desolati, con notti freddissime. Quante fatiche per Mercedes e più ancora per Laura e Amanda!... Arrivata alla metà di luglio a S. Ignacio, a 30 km. circa da Junin, la caro­vana fu bloccata da una terribile inondazione come mai se ne erano viste: nevi abbondanti che fondevano sotto un calo­re insolito e piogge diluviane facevano straripare i fiumi e trasformavano le valli in laghi di acqua e di fango. Mercedes e le sue figlie riuscirono a trovare rifugio nel casale di Casas Viejas, presso un certo Carlos Richter, commerciante, che offrì loro una generosa ospitalità per un mese, in attesa della decrescenza delle acque. Mercedes allora ebbe un primo contatto con le suore di Junfn, purtroppo impedite di riceve­re subito le bambine perché tutta la missione era stata dan­neggiata dall'inondazione. Nel frattempo le suore si indiriz­zarono a un loro amico, personaggio influente e uomo di cuore, il capitano in pensione Mariano Fosbery. Questi, alla fine di agosto, ricevette le tre viaggiatrici nella sua grande estancia di Chapelco, a sud di Junfn, e fu stipulato che Mer­cedes vi sarebbe stata come donna di servizio. Avevano finalmente un po' di tranquillità, almeno per qualche mese, e, meglio ancora, un contesto di vera amicizia e di vita di famiglia (i Fosbery avevano quattro figli).

Questa felicità purtroppo fu breve. Alla fine dell'anno, in maniera del tutto imprevista, il capitano ricevette l'ordine di riprendere servizio, a partire dal 12 marzo seguente, a San Martin de los Andes, dove di conseguenza doveva stabilirsi. Non poteva lasciare Mercedes nell''estancia, né accettarle nella sua nuova dimora. Giungeva quindi il momento cru­ciale di prospettare un nuovo avvenire. Per le due bambine, una soluzione felicissima si presentava: sarebbero state accettate al collegio salesiano di Junfn. Ma per lei? Le fatto­rie dei dintorni erano quelle di Manuel Mora, in particolare quella di Quilquihué, la più vicina a Junfn. Andò a trovarlo e convenne con lui che l'avrebbe presa al suo servizio e avrebbe pagato la pensione delle due ragazzine. Mercedes conosceva male Mora: sperava di aver trovato un protettore, si consegnava in realtà nelle mani di un tiranno che avrebbe fatto di lei la sua prigioniera. Il suo calvario stava per inco­minciare, e la sua piccola Laura sarebbe stata la sua libera­zione, a prezzo però della sua stessa vita.


1900-1904: AL COLLEGIO SALESIANO DI JUNIN

Un nuovo ambiente molto familiare

II 21 gennaio 1900, giorno della festa di Sant'Agnese, Mercedes e le sue figlie partivano a cavallo daWestancia Fosbery fino a Junm. Era ancora il tempo delle vacanze, e la scuola sarebbe iniziata solo il primo aprile. Ma Mercedes voleva assicurarsi al più presto dell'entrata delle sue figlie dalle suore, che accettarono di iscriverle. Dopo di che, tor­narono per tre settimane ^Vestanola.

17 febbraio: momento decisivo per la famiglia Vicuna. Madre e figlie, singhiozzando, diedero l'addio ai Fosbery, e partirono in carretta verso Junm, portando tutto quello che possedevano. Passando a Quilquihué, Mercedes vi depose la sua roba, poi le tre viaggiatrici proseguirono la strada fino al collegio tanto desiderato. Furono accolte da padre Augusto Crestanello, direttore-sostituto dell'insieme del collegio, e da suor Angela Piai, direttrice della sezione femminile, dal sorriso permanente di bontà. Presentandole Laura, la mam­ma le disse: «Non mi ha mai causato qualche pena. Sin da piccolina si è mostrata docile e coraggiosa». Per la prima volta nella loro vita le due ragazzine si separavano dalla mamma: Amanda scoppiò in singhiozzi, Laura rimaneva tri­ste e pensierosa. Poi Mercedes, piena di speranza, le lasciò per raggiungere la fattoria Mora di Quilquihué.

Regalo della Provvidenza: nella serata di questo stesso giorno giungevano alla missione, oltre a padre Milanesio che ritornava da viaggi, due nuovi salesiani: il padre Zacca-ria Genghini (30 anni), e un chierico di 19 anni, Félix de Valois Ortiz che sarà il confidente di Laura e il suo primo "propagandista".

Due cose sono da precisare per capire in quale contesto si svolgeranno i quattro anni di presenza di Laura in questo nuovo ambiente salesiano. In primo luogo, "collegio" è una parola troppo imponente per meritare di essere applicata a quella scuola tenuta dalle suore! Evoca abitualmente, oggi, un grande e bel palazzo, con cortili ampi, dove affluiscono centinaia di ragazzi e ragazze. Per Junm, in quella zona per­duta delle Ande, bisognerebbe piuttosto parlare di baracca! Si fa fatica a immaginare l'estrema povertà e precarietà del­le costruzioni e delle condizioni di vita. Quando arrivò Lau­ra, il Collegio "Maria Ausiliatrice", preparato con difficoltà l'anno precedente, era solo all'inizio del suo funzionamento e, sotto molti aspetti, era ancora in fase di impostazione. È a poco a poco che padre Milanesio gli fornirà tutto il necessa­rio in materiale scolastico e di cucina, in oggetti per il culto, e in risorse alimentari, a prezzo di fatiche eroiche, perché sul posto, a Junfn, umile paesino di 300 abitanti, non si tro­vava niente! La costruzione esigua non poteva ospitare più di una quindicina di interne; le aule scolastiche accoglieva­no anche una ventina di esterne; e il personale educativo contava non più di otto persone: cinque suore, due postulan­ti, un'aspirante. In totale, nelle ore di piena attività, una qua­rantina di persone, e una ventina quando le esterne ritorna­vano a casa: insomma, una "grande famiglia". Sarà abitual­mente così durante i quattro anni di soggiorno di Laura.

La seconda cosa da precisare è che il "Collegio Don Bosco" e il "Collegio Maria Ausiliatrice" formavano un'unica entità educativa in due sezioni, e le costruzioni stesse un unico insieme: fabbricato dei salesiani a sinistra e fabbricato delle suore a destra, collegati da un'unica cappel­la, che serviva per tutti e due. Meglio ancora: le due comu­nità, anche se chiaramente identificate, formavano una spe­cie di unica famiglia, dai legami stretti, dove regnava l'accordo perfetto delle anime, dei cuori e dell'azione. Sul piano della vita religiosa, tutte le pratiche di pietà si faceva­no insieme: meditazione e messa quotidiana, buona notte, benedizioni del Santissimo, novene, esercizi spirituali annuali comuni degli allievi. Le suore avevano certo la loro cappellina privata, ma solo per la presenza eucaristica e per l'adorazione. Si capisce allora che un unico e stesso spirito profondamente salesiano animava tutto questo insieme, e che i salesiani intervenivano liberamente e Spontaneamente per l'animazione spirituale delle suore e delle allieve.

L'anno felice

In questo clima di famiglia, Laura e Amandina si senti­rono subito a loro agio, avendo trovato nelle suore salesiane altrettante mamme affettuose, sempre presenti al loro fian­co: suor Angela Piai, italiana, 39 anni, direttrice intrapren­dente e tutta bontà; suor Rosa Azocar, cilena, 25 anni, sem­pre di buon umore, assistente e insegnante di grande compe­tenza e dedizione; suor Luisa Grassi, italiana, 20 anni, cuoca e guardarobiera, incaricata specialmente delle esterne; suor Manetta Rodriguez, cilena, 25 anni, la suora tutto-fare, infermiera e insegnante di catechismo; infine, a partire dal 1901, suor Anna Maria Rodrfguez, colombiana, 42 anni, di una estrema sensibilità spirituale, educatrice nata, seconda assistente, insegnante di Laura: avremo da parlare ancora di lei, perché ebbe su Laura un influsso decisivo. Insomma, una équipe educativa giovane, entusiasta, pronta a tutte le dedizioni.

Della trentina di compagne, alcune, esterne, venivano da Junin; altre, interne, venivano dalle estancias vicine o dai ranchos della Cordigliera, in buona parte piccole indiane, ancora un po' selvagge, ben poco abituate a una vita regola­re. Con loro Laura sarà sempre di una estrema gentilezza, senza alcuna pretesa, pronta a rendere servizio. Ma la sua preoccupazione maggiore andava alla turbolenta sorellina, di cui si sentiva responsabile: «Mi dava consigli come una mamma, più che come una sorella, nonostante la nostra poca

differenza di età». Consigli non sempre ascoltati: Laura ne soffriva e più volte si spazientiva. Le due sorelle entrarono insieme in prima elementare. Avevano tutto da imparare. Intelligenti tutte e due, progredirono nel sapere senza cono­scere bocciature scolastiche. Amanda ebbe sovente voti migliori. Ma per il lato "condotta e applicazione" Laura ottenne sempre 10 su 10, Amanda mai!

Tra le discipline insegnate tenevano un buon posto il cucito, la tenuta di casa, il canto (Laura aveva una bellissi­ma voce), e soprattutto il catechismo, in cui Laura, spiritual­mente predisposta, trovò le sue delizie. Compiuta la lezione, ne assaporava il contenuto e cercava come applicarlo alla propria vita.

Qui si pone una domanda: in quale momento Laura pre­se coscienza della situazione irregolare di sua madre? In questo primo anno di scuola, ella aveva solo nove anni! Aveva già riflettuto sui rapporti anormali tra sua madre e suo padre? Si era già resa conto di quale tipo di uomo era Manuel Mora, con il quale la piccola famiglia aveva fatto buona parte del viaggio dell'anno precedente, e che costui era ormai il datore di lavoro di sua madre? È molto difficile rispondere. Forse bisogna riconoscerle una capacità d'intui­zione e una maturazione di spirito superiore alla sua età. Fatto è che suor Rosa, sua insegnante di catechismo, ha lasciato questa testimonianza: «La prima volta che ebbi da spiegare il sacramento del matrimonio, Laura svenne, senza dubbio perché allora scoprì che sua mamma viveva in uno stato di colpevolezza». Si può pensare che si trattasse sol­tanto di un primo shock, seguito poi da una seria inquietudi­ne. Moltiplicava la sua preghiera, e, nelle vacanze successi­ve, supplicherà la mamma di trovare il modo di regolarizza­re la sua situazione. Nella semplicità del suo cuore, era pie­na di speranza. Insomma, in questo primo anno di scuola nel suo caro collegio, Laura era stata felice. Anche se il dramma della sua vita era già iniziato.


Vacanze a Quilquihué

In questa parte dell'emisfero sud, gennaio e febbraio sono i mesi di vacanza, in piena estate. Nel gennaio 1901, le due sorelle tornarono dunque presso la mamma nella fattoria di Quilquihué, 15 km. circa a sud di Junin. Povere ragazzi­ne! Venute là per povere vacanze! Le uniche gioie furono la presenza della mamma e una certa bellezza dell'ampio pae­saggio verdeggiante, presso il fiume, nell'aria pura. Per il resto, un ambiente diametralmente opposto a quello del col­legio: niente cappella, nessuna amicizia, contatto con perso­ne piuttosto grossolane, e soprattutto la presenza di Manuel Mora, sebbene non continua. Singolare personaggio questo Manuel Mora. Era il figlio maggiore di una famiglia ricca e molto buona, ma molto diverso dai suoi cinque fratelli e sorelle, con i quali non andava d'accordo. Bell'uomo di 40 anni (Mercedes ne aveva allora più o meno 35), tipo del gaucho argentino, brillante cavaliere, intraprendente, non era proprietario, ma ricchissimo fittavolo di un immenso ter­ritorio di allevamento di grande e piccolo bestiame e di terre coltivate lungo i numerosi fiumi. Aveva costruito, dissemi­nate su questo territorio, una decina di fattorie: ranchos, luo­ghi di raduno del personale e delle mandrie, magazzini e negozi per la compra-vendita di tutta una serie di prodotti.

Questa ricchezza economica faceva di lui un uomo conosciuto, rispettato e temuto in tutta la regione. Il luogo della sua residenza era l'estenda di Caleufu, molto più a sud, ben costruita, e Mercedes probabilmente vi soggiornò alcune volte, mentre le altre fattorie-ranchos erano oggetto di visite e controlli. Quella di Quilquihué fu certamente la residenza più abituale di Mercedes, perché la più vicina a Junin. Qui lavorava come cuoca, venditrice e altri impieghi, ma certamente non bene sistemata. Ma si guadagnava la vita e la pensione delle figlie.

Dopo un po' di tempo, la povera colomba si trovò pri­gioniera del "falcone" (così la gente chiamava Mora) e fu costretta a una certa coabitazione. Ebbe da conoscere umi­liazioni e brutalità da parte del suo padrone, uomo senza religione né scrupoli, despota violento, millantatore e arro­gante, traboccante di ingiurie e grossolanità, con alterni momenti di galanteria e di generosità.

Laura si rese conto... e capì l'inestricabile difficoltà del­la sua santa impresa: convertire e liberare sua madre. Infatti ciò che la faceva soffrire di più non erano le brutalità este­riori subite, bensì la situazione della sua anima, lontana da Dio! Mercedes sembrava aver abbandonato la preghiera; e diceva alle sue figliole: «Potete pregare, ma quando Manuel Mora è nei dintorni, fatelo di nascosto, se no si irriterebbe». Così passarono le vacanze, tristemente serene, anche se non sembra che si sia lasciato andare, allora, a gesti di aggressi­vità.

1901: SCELTE

E AMICIZIE SPIRITUALI

II primo marzo, Laura e Mandina tornarono in collegio, "mio paradiso", diceva Laura. Due avvenimenti di notevole portata spirituale segneranno questo nuovo anno scolastico: la prima comunione il 31 maggio, e l'entrata nel gruppo del­le "Figlie di Maria" l'8 dicembre. Tuttavia, prima di parlar­ne, occorre dire qualcosa sulle persone che intervennero allora più specialmente nella salita di Laura verso le som­mità. In primo luogo, padre Crestanello, suo confessore e padre spirituale, di cui suor Angela, la direttrice, riassume l'influsso dicendo: «Non si accontentò di ammirare la bel­lezza di quest'anima: per quattro anni la coltivò con saggez­za sacerdotale e paternità salesiana». La sua presenza conti­nua fu per Laura un dono eccezionale della Provvidenza; d'altronde anche per noi, poiché egli sarà il suo primo bio­grafo. Padre Crestanello infatti aveva ricevuto dalla natura e dalla grazia un notevole insieme di doni e di virtù: uomo di ampia cultura, intraprendente: all'occasione muratore e car­pentiere; o artista, musico e pittore, oppure infermiere, eccellente organizzatore, predicatore accattivante, ma soprattutto temperamento forte e dolce a un tempo; sempre sereno, di una fede robusta e di una estrema sensibilità spiri­tuale. Eccelleva specialmente nell'arte di guidare le anime, comprensivo senza cessare di essere esigente. Laura, che si confessava da lui ogni settimana, fu capita, aiutata e costan­temente sostenuta nel suo difficile cammino di santità.

Un secondo regalo della Provvidenza, in particolare in questo secondo anno di collegio, fu la nuova arrivata, suor Anna Maria Rodriguez, colei che fra le suore salesiane ebbe su Laura l'influsso più profondo, anche se questa conobbe Laura e stette con lei solo per otto mesi, perché, arrivata malaticcia, morì prima della fine dell'anno all'età di 42 anni. Donna di esperienza (era diventata salesiana a 39 anni), maestra diplomata, temperamento ardente, si dedicò corpo e anima ai suoi compiti di assistente, insegnante e catechista della classe di seconda elementare. Le sue allieve l'adorava­no, incantate dai suoi talenti di educatrice, impressionate dalle sue virtù: gentilezza, pazienza, semplicità. Nel cortile diventava come una compagna, e soprattutto faceva traspari­re l'amore di Dio e di Maria in tutti i suoi gesti e parole. Laura fu come affascinata, e la prese in qualche modo come modello per il suo avvenire. È stata suor Anna Maria, in par­ticolare, a preparare Laura, con tanto fervore, alla prima Comunione. La sua morte repentina (per peritonite acuta), scolpì nei cuori per sempre il suo irradiante ricordo.

Felix e Merceditas

Oltre alla paternità spirituale di padre Crestanello e alla maternità di suor Anna Maria, il Signore fece dono a Laura di due meravigliose amicizie fraterne. In primo luogo quella del giovane chierico Félix Ortiz, purtroppo ignorato dalle biografie abituali. La sua permanenza a Junfn coincide esat­tamente con quella di Laura: arrivò al collegio lo stesso giorno di lei, e ripartì due mesi dopo la sua morte per andare a prepararsi al sacerdozio: dunque quattro anni di stupenda amicizia spirituale tra quel giovane chierico di 19-23 anni e quella ragazzina di 9-13 anni.

Due fattori hanno reso possibile questa singolare espe­rienza: prima di tutto la situazione dei rapporti tra le comu­nità dei due collegi: ufficialmente assistente e insegnante nel collegio dei ragazzi, Félix interveniva frequentemente e in diverse forme nel collegio delle ragazze, accettato e ammi­rato sia dalle suore come dalle allieve.

Una personalità non ordinaria questo Félix! Di salute debole, molto sensibile, favorito da doni di musico, poeta, calligrafo, decoratore, scrittore valido, la parola facile e attraente, era, in mezzo a questo popolino di allievi e allieve, l'incarnazione della giovinezza: ottimista, attivo e pieno di iniziative, gentile e generoso. Nei due collegi fu l'animatore delle associazioni, l'organizzatore delle feste, l'apostolo fer­vente della confessione e della comunione frequente, e delle devozioni al Sacro Cuore e a Maria Ausiliatrice.

Egli, fin dall'inizio, si accorse delle virtù non comuni di Laura e ne fu impressionato. Da parte sua, Laura si affe­zionò a quel fratello maggiore che irradiava il fervore.

Un piccolo fatto significativo. A partire da un certo momento, Laura firmò i suoi compiti di scuola "la pazzerel-la di Gesù". Félix fu l'unico a riceverne la spiegazione. Una compagna, che non apprezzava alcune sue maniere troppo pie, le lanciò un giorno «Sei una pazza!». Ben lontana dall'offendersi per questa ingiuria, Laura vi scoprì una felice verità: «E^ vero, sono la pazzerella di Gesù, ed è per questo che alcune trovano strani certi miei modi di fare». Il chierico Ortiz ebbe la grazia di assistere alla morte di Laura e di rice­vere da lei altre ultime confidenze. E allora emerge un fatto importante, abitualmente ignorato: se questa ragazzina di un paesino sperduto delle Ande non è caduta nell'oblio, e se un giorno si è potuto intraprendere il suo processo di beatifica­zione, lo si deve a questo giovane salesiano! Fu infatti tal­mente convinto e talmente impressionato dalla santità di Laura, che, appena morta, scrisse su di lei due articoli per un periodico di Viedma e per il "Bollettino Salesiano" stampa­to a Torino. Nel febbraio compose per Laura una canzone popolare di 168 versetti, che le allieve di Junm cantarono con gioia per anni. Infine e soprattutto, insistette presso padre Crestanello perché stendesse una "Vida de Laura Vicuna", che uscì di fatto a Santiago nel 1911 (96 pagine) e alla quale aveva ampiamente collaborato. Inoltre, Laura beneficiò di un'altra amicizia, quella di una compagna di classe: Maria Mercedes Vera, familiarmente chiamata Mer-ceditas: vissero insieme come interne durante tre anni e mezzo. Merceditas aveva tre anni più di Laura, ma un'affi­nità spirituale le situava allo stesso livello. Le due compa­gne non avevano segreti tra di loro. Una santa emulazione le trascinava a compiere i loro doveri, a preparare e a celebrare le feste, a dedicarsi a mortificazioni anche imprudenti (ad esempio alzarsi di notte per pregare insieme). Una delle loro gioie più grandi fu di diventare insieme, nello stesso giorno, "Figlie di Maria".

Circondata da tante care presenze stimolanti, Laura in questo secondo anno fece grandi passi nel suo cammino di santità.

"Figlia di Maria"

Appena iniziato l'anno scolastico, fu annunciato a Laura che avrebbe potuto fare la prima Comunione anche se aveva solo 10 anni (allora la si faceva verso i dodici anni). Esultò e pianse di gioia, prendendo sul serio la preparazione immedia­ta, che durò tutto il mese di maggio, sotto la cura particolare di suor Anna Maria. Il grande evento era fissato per il 31 maggio. Alla vigilia, dona Mercedes arrivò da Quilquihué, certamente emozionata. Laura, abbracciandola, le chiese per­dono di tutti i dispiaceri che aveva potuto causarle. La festa fu solenne e raccolta. Ma all'immensa felicità di Laura si unì una forte delusione: quella di non vedere la mamma inginoc­chiarsi accanto a lei per comunicarsi. Felicità e delusione che segnarono la sua anima per sempre. Non possiamo dubitare: la prima Comunione fu per Laura un'esperienza mistica deci­siva, che orientò tutto il resto della sua vita secondo prospetti­ve precise di amore e di riparazione. Padre Crestanello, nel terzo capitolo della biografia, ha scritto: «Fece santamente la prima Comunione, e questo spiega tutto». Alla sera di questa giornata, scrisse nel suo quadernetto questi tre propositi, di una stupenda maturità spirituale, certamente ispirati a quelli di Domenico Savio, la cui biografia scritta da Don Bosco era ben conosciuta a Junin:

«O mio Dio, voglio amare e servire te solo, tutta la mia vita; ti do il mio cuore, la mia anima, tutto il mio essere:

  • Voglio morire piuttosto che offenderti con il peccato
    mortale.

  • Farò tutto il possibile perché tu sia conosciuto e ama­
    to, e per riparare le gravi offese che ricevi ogni giorno dagli
    uomini, e specialmente dai membri della mia famiglia.

  • Mio Dio, dammi una vita di amore e di sacrificio».

L'audacia singolare di quest'ultima domanda è signifi­cativa: l'amore che sua madre non da a Dio, essa stessa lo darà, in sovrappiù!

Per vivere tale programma, ha bisogno di un aiuto intc­riore: lo troverà in Maria. Cinque mesi più tardi, l'8 dicem­bre, dopo una generosa preparazione, fu ammessa, nono­stante la sua giovane età, a entrare nel gruppo delle "Figlie di Maria". La sua gioia era raddoppiata, poiché in questo stesso giorno vi entrava anche la sua amica intima Mercedi-tas. Ricevette la medaglia di Maria Ausiliatrice, sospesa a un nastro azzurro, e il manuale delle Figlie di Maria, che divenne ormai come il suo libro prediletto e la sua regola di vita. Era ben cosciente di ciò che significavano le parole del rito di ammissione: "Vergine concepita senza peccato, ti scelgo come madre e come protettrice. Voglio vivere come tua figlia nella santità della vita".

Certezza della presenza familiare di Maria e volontà di rassomigliarle e di piacerle furono i due tratti tipici di questa devozione mariana, vigorosamente fervente, per niente sen­timentale.

Vacanze tormentate

Nel gennaio 1902, Laura parte in vacanza per la fattoria di Quilquihué, presso la mamma. È cresciuta un poco, e questa volta attira lo sguardo del "falcone".

Quale fu esattamente il comportamento di Mora verso di lei, è difficile dire. È certo che la fece oggetto delle sue bur­le e dei suoi scherzi, come anche di qualche gesto non rispettoso; e Laura ne era infastidita. Andò oltre, fino ad attentare direttamente alla sua castità? Le biografie abituali lo affermano, riferendosi in particolare all'episodio del bal­lo. C'era ogni anno, alla fattoria, la grande fiera e festa della marcatura del bestiame. Si mangiava; si beveva abbondante­mente, c'erano giochi e corse, e soprattutto il ballo notturno. Allora Mora si fa avanti, sicuro di trionfare davanti alla folla degli spettatori: «Signorina, posso avere l'onore di questa prima danza?». Laura sa molto bene cosa significava questo invito che, in un altro contesto, avrebbe forse potuto accetta­re. «No, signore!». Mora reitera il suo invito, con un tono sempre più insolente: stessa risposta di Laura. Lui che ha fatto cedere la madre, sarebbe dunque incapace di piegare la figlia? Umiliato, adirato, le comanda di uscire: «Fuori! vat-tene! Fuori nella notte con i cani. Lì è il tuo posto!» Laura fugge, seguita dalla madre che ha visto e sentito tutto e alla quale Mora aveva chiesto di costringere sua figlia a rientrare e a ballare. Ma Laura dice di no. Allora Mora le raggiunge e si vendica sulla madre, percuotendola con la frusta. Occorre tuttavia sapere che questo episodio, raccontato sulla base di testimonianze tardive e sul quale i testimoni immediati sono muti, è messo in dubbio dal serio studioso padre Brugna.

Cedendo, forse inconsciamente, al desiderio di fare di Laura un'altra Agnese o un'altra Maria Goretti, i biografi hanno ritenuto di dare fede a queste testimonianze tardive per drammatizzare i fatti e accrescere i meriti di Laura. Ma è poco verosimile che un uomo di 40 anni, per giunta un capo, abbia veramente voluto ballare in pubblico con una ragazzi­na di undici anni.

È un fatto che questi due mesi di vacanze furono piutto­sto tormentati. È dimostrato che Mercedes, in altre circo­stanze fu legata a un palo e fustigata, e non è escluso che sia stata una qualche volta marchiata al ferro rosso. Così che, verso la fine delle vacanze, Mora dichiarò alla madre: «Ho deciso di non darti più un soldo per il collegio. Le figlie resteranno qui a lavorare». Avvertita, la direttrice del colle­gio mandò a dire a Mercedes: «Laura torni! L'accetteremo gratuitamente». Pagherà la sua pensione aiutando di più nei lavori domestici e divenendo in qualche modo "figlia di casa" (sembra che Mandina sia tornata in collegio solo durante l'anno).


1902: L'ANNO DECISIVO

Ecco dunque Laura tornare al suo "paradiso", ma dolo­rosamente segnata da tutto ciò che aveva visto, sentito e subito. Un grande avvenimento stava per segnare l'inizio di quest'anno: la prima visita pastorale e la missione popolare da più mesi intrapresa in tutta la zona dal vicario apostolico della Patagonia, monsignor Cagliero. Egli fu a Junin nel periodo pasquale per due settimane, e questa visita fu importante per Laura.

Dopo la prima Comunione e stimolata dall'esempio di suor Anna Maria e dai progetti dell'amica Merceditas, Laura aveva sentito spuntare in sé la chiamata alla vita religiosa: donarsi interamente a Gesù e dedicare le proprie forze all'educazione delle bambine povere. Si confida con la direttrice con entusiasmo. Ma ricevette un rifiuto: era ancora così giovane, mentre Merceditas aveva 14 anni, e poi sua madre non godeva di buona fama, e soprattutto la congrega­zione non poteva accettare le figlie illegittime. Per delicate che siano state le spiegazioni di suor Angela, questa risposta - scrive padre Crestanello -, "fu per Laura una delle pene maggiori della sua vita".

Un'altra delusione venne ad aggiungersi a questo dolo­re. Il sabato santo 29 marzo, monsignor Cagliero ammini­strava il sacramento della Cresima a tutto il gruppo di adulti e di fanciulli, tra cui Laura e Mandina. A questa celebrazio­ne venne ad assistere la mamma Mercedes. Non aveva par­tecipato alle prediche della missione, però Laura sperava che, questa volta, si inginocchiasse presso di lei alla mensa della santa Comunione. Speranza frustrata!

Terzo evento, che colmò il cuore di Laura allo stesso tempo di gioia e di tristezza: il martedì di Pasqua, 1 aprile, assisteva a due cerimonie toccanti: al mattino, tra le mani di monsignor Cagliero, suor Rosa Azocar rinnovò la professio­ne, e Maria Vera, sorella maggiore di Merceditas, ricevette da lui l'abito religioso, segno della sua entrata nel noviziato. E alla sera, Merceditas stessa entrava ufficialmente fra le Figlie di Maria Ausiliatrice ricevendo dal Cagliero la man­tellina di postulante. È facile immaginare quanti sentimenti sorgessero nell'animo di Laura. Ma, fortificata dallo Spirito della Cresima, accettò come volontà di Dio il sacrificio che le era imposto, senza peraltro rinunciare al suo progetto di consacrazione.

Padre Crestanello, nella "Vida", riferisce la preghiera che essa fece allora: «O Gesù, mi offro a Te e voglio essere tua anche se devo restare nel mondo». Si fece istruire dal confessore sul significato dei voti e, verso la metà dell'anno, sembra, ottenne da lui il permesso di fare i voti privati. Ma questa consacrazione era, in qualche modo, orientata. La sua pena maggiore non era quella di essere stata rifiutata al postulato; era di vedere sua madre perseverare in una situa­zione di irregolarità che la teneva lontana da Dio. Moltipli-cava preghiere e sacrifici, e niente cambiava... Allora ger­minò nel suo cuore un progetto audace: bisognava amare di più, dare di più, impiegare qualche potente mezzo che "costringesse" in qualche modo il cuore di Dio. Andò a tro­vare il confessore e gli disse: «Padre, mi permetta di offrire la mia vita al Signore e a Maria per la conversione di mia mamma». Padre Crestanello, uomo di molta prudenza, chie­se tempo per riflettere e pregare. Poi, davanti all'umile insi­stenza di Laura, disse di sì (egli stesso ha raccontato tutto questo nel decisivo cap. XIV della "Vida"). «Allora - scrive - corse a inginocchiarsi ai piedi dell'altare, e versando lacri­me di gioia, sperando di essere ascoltata da Dio, si offrì in olocausto a Gesù e alla sua cara madre Maria».

Fermiamoci qui un istante per riflettere su quest'atto di eroismo. Come capire che la preoccupazione di una ragazzi­na di undici anni e mezzo sia costituita non dai propri mode-sti interessi personali presenti e futuri, ma dalla situazione spirituale di sua madre, prigioniera di un contesto da cui non ha il coraggio di uscire. Certo, c'è l'azione dello Spirito Santo, ma la grazia non cade nel vuoto, si inserisce in un contesto storico e psicologico. Per conto mio, vedo una sola spiegazione, e questa è salesiana: si viveva a Junin lo stesso clima di fede di Valdocco al tempo di Don Bosco; si respira­va il soprannaturale. Perché Don Bosco non era un educato­re diventato prete, ma un prete che per vocazione esercitava il suo sacerdozio nel campo dell'educazione. Certo, forniva ai suoi ragazzi tutti i beni necessari alla vita di questo mon­do: salute, cultura, professione, tempo libero... Ma l'essen­ziale, il bene supremo, da salvaguardare prima di tutto, era il loro stato di grazia, la loro comunione con Dio in Gesù, per questo mondo e per la vita eterna. Si trattava innanzitutto di "salvarsi l'anima" riscattata dal sangue di Cristo, e poi lavo­rare per salvare l'anima degli altri. Non dimentichiamo a quale punto Don Bosco aveva il senso della Redenzione. Leggiamo, nella "Vita di san Domenico Savio": «La prima cosa che gli venne consigliata per farsi santo fu di adoperar­si per guadagnare anime a Dio, perché non vi è cosa più san­ta al mondo che cooperare al bene delle anime, per la cui salvezza Gesù Cristo sparse fin l'ultima goccia del prezioso suo sangue».

Domenico Savio lo aveva perfettamente capito, e Laura dopo di lui. Pertanto, l'amore così profondo che nutriva per la sua mamma non poteva esprimersi che nel desiderio supremo di ricondurla alla grazia di Dio, persine a prezzo della sua vita.

Il restante periodo dell'anno scolastico trascorse senza rilevanti eventi esteriori. Ma Laura viveva il suo dramma segreto, ignorato da tutte le compagne, tranne da Mercedi­tas; e si mostrava più che mai fedele ai suoi umili compiti, amabile e servizievole verso tutti, raccolta in Dio. E mentre la sua salute cominciava a declinare, confermava l'offerta della sua vita per la conversione della mamma.

Il lento declino

Questa volta Laura ottenne di passare le vacanze di gen­naio e febbraio presso le suore, vivendo ore serene, piene di una vita spirituale intensa. Poi riprese la sua vita di scolara. Era, adesso, tra le più grandi del collegio. Mise le sue forze declinanti al servizio degli altri, nelle molteplici occupazioni domestiche, ma soprattutto divenendo l'assistente, la cate­chista e la "piccola mamma" delle nuove allieve. La sua felicità maggiore era quella di fare la sacrestana e così servi­re più da vicino il suo Signore e sua Madre Maria, vigilando perché tutto si presentasse sempre in ordine. Le umiliazioni non le furono risparmiate. Alcune compagne gelose si burla­vano di lei, chiamandola "la santina"; oppure, quando tenta­va di correggerle con dolcezza, la rimandavano bruscamen­te: «Vai a farti benedire con i tuoi consigli!». Fu persine afflitta da enurèsi, e si sa quanto nei collegi questo tipo di disturbo susciti beffe e parole offensive. Sopportò tutto sen­za lamentarsi: non era un aspetto del suo programma di redenzione? Gesù non era stato umiliato?

Durante l'anno, la sua salute continuò a declinare: dolo­ri al torace e una brutta tosse sembravano essere irreversibi­li, così che si dovette dispensarla sempre più da alcuni com­piti, e persino metterla a parte dalle sue compagne. L'inver­no è rigoroso a Junin, a 800 metri di altezza; e quell'anno lo fu in modo tutto particolare, segnato da inondazioni e da un freddo umido che si prolungava. Laura era pallida, dimagri­ta, scossa da una tosse implacabile. Ma a chi le chiedeva come stesse, rispondeva con un sorriso: «Un po' meglio, grazie!». Ella presentiva tuttavia che la morte non era lonta­na. All'inizio di settembre, ebbe ancora la grazia di parteci­pare agli esercizi spirituali annuali, predicati da don Cresta-nello.

Le suore avvertirono dona Mercedes della situazione, facendole capire che esse non erano più in grado di curarla come si doveva. Il 15 settembre la madre, inquieta, venne quindi a cercare la figlia per condurla a casa sua, a Quil-quihué, sperando di poterla curare meglio. Laura, col cuore affranto, lasciava per sempre il suo caro collegio. Nella fat­toria non avrebbe avuto più né cappella, né Eucaristia quoti­diana, né ambiente raccolto... In realtà vi rimase solo due mesi: aggravandosi il male, Mercedes capì che era meglio farla tornare a Junin, dove le medicine si trovavano più facilmente e dove era arrivato da poco un eccellente farma­cista-infermiere, un certo Ernesto Cordier, di origine france­se, che effettivamente la curerà con affetto e dedizione.

Con il permesso di Mora, che non intendeva affatto rinunciare ai suoi diritti di "padrone" e che pose le sue con­dizioni, affittò a Junfn una modestissima casetta con due camere, e vi si stabilì all'inizio di novembre con le figlie. Era anche per lei un primo passo verso la propria definitiva liberazione. Il suo mestiere di sarta le permetteva di guada­gnare per il sostentamento della piccola famiglia.

Gli ultimi due mesi a Junìn

Ecco dunque Laura tornata a Junìn, con tanta più gioia, in quanto la sua casetta era vicina al collegio delle suore. Nella misura delle sue forze, vi si recava con Mandina, che frequentava come esterna. E quando fu costretta a rimanere a casa, riceveva la gradita visita delle suore, delle compagne e dei vicini. Don Crestanello veniva a portarle la Comunio­ne. Tra le sue compagne, la più premurosa nelle visite, ogni giorno, fu una certa Carmen Ruiz, della stessa età e della stessa classe di Laura, che frequentava il collegio come esterna e la cui abitazione era molto vicina. Fu presente alla morte di Laura. Molto più tardi, scrisse su di lei un quaderno di ricordi di 39 pagine, che costituisce una tra le testimo­nianze dirette più preziose che abbiamo su Laura.

Laura si mise definitivamente a letto il 16 gennaio. Pochi giorni dopo, Mora fece la sua sinistra apparizione alla casetta di Junfn: «Voi tentate di ingannarmi! Domani matti­na ripartiamo per Quilquihué. E ho l'intenzione di passare qui la notte». Momento tragico! Laura supplica sua madre di mandarlo via: «Se rimane, me ne vado dalle suore!». La madre, impaurila, tergiversa: come reagirà il terribile padro­ne? E cosa penseranno e diranno le suore? Allora Laura si alza e, vacillante, si avvia verso la porta. Ma sua madre glie­lo impedisce e, perdendo la testa, giunge fino a picchiarla... Notevolmente impressionato, Mora se ne va. Laura aveva vinto, ma quest'ultima prova aveva sfibrato le sue ultime forze.

La morte si avvicinava, e venne il terribile momento dell'addio. Il 19 gennaio, la direttrice e padre Crestanello vennero a salutarla un'ultima volta, perché partivano per Santiago per gli esercizi spirituali.

Il 21, vigilia della sua morte, diede le sue ultime racco­mandazioni a Mandina: «Sii sempre molto buona con mam­ma! Ricordati dei poveri!». Ebbe un ultimo dialogo intimo con l'amica del cuore Merceditas. Ma le sue confidenze più intime le affidò al suo fratello spirituale, il chierico Ortiz, che per più notti aveva vegliato presso di lei.

Il 22 gennaio, ultimo giorno di vita, si confessò a padre Genghini, ricevette l'Unzione degli Infermi, e, poiché i conati di vomito erano miracolosamente cessati dopo l'invo­cazione a Maria Ausiliatrice, potè ricevere la Comunione.

Verso la cinque della sera, chiamò sua madre e, presente padre Genghini, ebbe luogo la scena sconvolgente della "rivelazione": «Sto per morire, mamma. L'ho chiesto io stesso a Gesù. Due anni fa gli ho offerto la mia vita per otte­nere il tuo ritorno a lui... Oh, mamma, sì, prima di morire, potessi avere la gioia di saperti in pace con il Signore!».

Mercedes crolla ai piedi del letto, sconvolta dai sin­ghiozzi, comprendendo come in un lampo tutti gli avveni­menti degli ultimi due anni e soprattutto la propria debolez­za: «Sono dunque io la causa delle tue sofferenze! Sì, Laura, te lo prometto, te lo giuro; farò ciò che chiedi!».

Laura bacia il suo Crocifisso e la sua Medaglia di Figlia di Maria: «Grazie, Gesù! Grazie, Maria! Adesso muoio con­tenta». E spira dolcemente. Sono le ore 18 del 22 gennaio 1904. Un venerdì, come aveva desiderato.

In serata, Mora fece una visita furtiva: «Poverina - disse davanti a Laura vestita di bianco - Quanto mi dispiace la sua morte!». E volle pagare in anticipo tutte le spese dei funerali.

L'indomani la povera Mercedes si confessò da padre Genghini; si comunicò alla messa del funerale della figlia, avendo trovato la forza di mantenere la sua promessa. Mora volle ricondurla alla fattoria di Quilquihué, minacciandola con la rivoltella. «Questa volta, basta!», gli fece dire da padre Genghini. Mercedes si nascose da amici, e si diede alla fuga, travestita, per tornare nel Cile con Mandina. Sotto il suo immenso dolore, la pace. Tornerà a Junfn quando saprà che Mora sarà morto. Morirà assassinato quattro anni dopo, nel 1908.


LA GLORIFICAZIONE DI LAURA

L'eroismo di Laura non poteva cadere nell'oblio. E Dio aveva i suoi disegni. Il 19 settembre 1955 si aprì a Viedma il processo ordinario in vista della beatificazione, con la parte­cipazione di testimoni diretti, tra cui Amanda, alcune suore educatrici e compagne di scuola.

Il 2 marzo 1956 i suoi resti mortali furono trasferiti a Bahia Bianca e fu sepolta nella cappella dell'istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice, dove le sue spoglie si trovano tuttora.

L'introduzione della "Causa di Beatificazione" avvenne a Roma il 15 febbraio 1982; e già il 5 giugno 1986 veniva riconosciuta l'eroicità delle virtù di Laura. Lo stesso anno si svolgeva a Santiago del Cile l'inchiesta diocesana sul mira­colo sensazionale presentato per la beatificazione. Il 24 maggio 1958 Laura con la sua intercessione aveva ottenuto la guarigione quasi istantanea di una giovane suora salesiana cilena di 26 anni, consumata da dieci anni di malattia, alla quale i medici avevano dovuto asportare metà di ciascuno dei polmoni, dichiarando infine la loro totale impotenza.

In quell'indimenticabile 3 settembre 1988, quando Gio­vanni Paolo II al Colle Don Bosco proclamava solennemen­te Laura "Beata", suor Ofelia era presente, felice di testimo­niare pubblicamente la santità di Laura anche con il suo ardore apostolico, poiché da trent'anni si è dedicata "a pieni polmoni" al suo lavoro di educatrice, e spera di poterlo fare ancora a lungo. E Laura veniva proposta al mondo intero, attraversato da una drammatica crisi della famiglia, quale esempio eroico di amore per ogni famiglia in difficoltà.


LA FAMIGLIA SALESIANA OGGI

La Famiglia Salesiana è stata ideata da Don Bosco stesso. Oggi comprende 27 gruppi che si rifanno, ciascuno con caratteristi­che proprie, alla sua spiritualità.

I Salesiani di Don Bosco (SDB) sono circa 17.500, diffusi in ogni parte dei cinque continenti. Oltre 800 di loro lavorano in 34 nazioni africane, presenti in 140 opere, espressione del «Progetto Africa».

Le Figlie di Maria Ausiliatrice (FMA), fondate da Don Bosco con la collaborazione di santa Maria Domenica Mazzarello, sono circa 17.000. Costituiscono ovunque, insieme ai Salesiani, una presenza dinamica e qualificata di pastorale giovanile.

Le Volontarie di Don Bosco (VDB) sono oltre un migliaio. Fondate da don Filippo Rinaldi, oggi beato, costituiscono un istitu­to secolare di laiche consacrate.

I Cooperatori Salesiani sono laici e sacerdoti che vivono il Vangelo nel mondo secondo lo spirito di Don Bosco, a servizio dei giovani e della Chiesa locale.

I numerosissimi Exallievi salesiani appartengono di diritto alla Famiglia Salesiana per la formazione ricevuta. Come associa­zione sono organizzati in Confederazione mondiale.

La pastorale è mandata avanti con la collaborazione dei laici e dei giovani stessi, uniti nel Movimento Giovanile Salesiano

(MGS).

La Famiglia Salesiana si ritrova ogni mese nelle pagine de II Bollettino Salesiano, rivista fondata da Don Bosco nel 1877, pubblicata oggi in oltre 40 edizioni mondiali.