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Don Bosco - Cenni storici sulla vita del chierico Luigi Comollo
CENNI STORICI SULLA VITA DEL CHIERICO LUIGI COMOLLO
MORTO NEL SEMINARIO DI CHIERI AMMIRATO DA TUTTI PER
LE SUE SINGOLARI VIRTÙ
Scritti da un suo Collega.
TORINO
DALLA TIPOGRAFIA SPEIRANI E FERRÈRO
vicino alla Chiesa di s. Rocco
1844
INDEX
Ai signori seminaristi di Chieri....................................................................................................2
Capo primo. Fanciullezza di Luigi Comollo...............................................................................2
Capo secondo. Va a studiare in Chieri.........................................................................................4
Capo terzo. Veste l’abito Chiericale va nel Seminario di Chieri.................................................7
Capo quarto. Circostanze che precedono la sua Malattia..........................................................11
Capo quinto. Diviene infermo, muore.......................................................................................12
Capo sesto. Suoi Funerali..........................................................................................................18
Capo settimo. Conseguenze di sua morte..................................................................................18
Indice.........................................................................................................................................20
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Ai signori seminaristi di Chieri
Siccome l'esempio delle azioni virtuose vale assai più di un qualunque elegante discorso,
così non sarà fuor di ragione, che a voi si presenti un cenno storico sulla vita di colui, il quale
essendo visuto nello stesso luogo, e sotto la medesima disciplina che voi vivete, vi può servire di
vero modello perché possiate rendervi degni del fine sublime a cui aspirate, e riuscire poi un dì
ottimi leviti nella vigna del Signore.
È vero che a questo scritto mancano due cose molto notevoli quali sono uno stile forbito,
un'elegante dicitura; perciò ho indugiato finora, perché penna migliore che la mia non è, volesse
assumersi un tale incarico; ma scorgendo vana la mia dilazione, mi son determinato di farlo io
stesso nel miglior modo a me possibile, indotto dalle replicate instanze fattemi da diversi miei
colleghi, e da altre persone ragguardevoli, persuaso che la tenerezza che verso questo degnissimo
compagno vostro mostraste, e la distinta vostra pietà sapranno {3[3]} condonare, anzi
suppliranno alla pochezza del mio ingegno.
Benché però non possa allettarvi colla bellezza del dire, mi consola assai il potervi con
tutta sincerità promettere che scrivo cose vere, le quali tutte ho io stesso vedute; o udite, o
apprese da persone degne di fede, del che ne potrete giudicare anche voi che pur ne foste in parte
testimonii oculari.
Che se scorrendo questo scritto vi sentirete animati a seguire qualcheduna delle accennate
virtù, rendetene gloria a Dio, al quale, mentre lo prego vi sia ognor propizio, questa mia fatica
unicamente consacro. {4[4]}
Capo primo. Fanciullezza di Luigi Comollo
Nacque Luigi Comollo il 7 aprile 1817, nel territorio di Cinzano, in una borgata detta la
Pra, da Carlo e Gioanna Comollo, i quali sebbene di non molto distinta condizione, hanno però
quei beni assai più delle ricchezze pregievoli i veri caratteri di pietà, e di timor di Dio. Sortì il
nostro Luigi dalla natura un'anima buona, cuore arrendevole, indole docile, e mansueta. Giunto
appena all'uso di ragione tosto si videro allignare in lui quei primi semi di pietà, e divozione che
mirabilmente spiegò in tutto il corso del viver suo. Come potè apprendere a pronunziare i SS.
nomi di Gesù e di Maria, gli furono ognor l'oggetto di sua tenerezza, e riverenza; non mostrava
già quella nausea, o svogliatezza nel pregare che {5[5]} è propria dei ragazzi; anzi quanto più
erano prolungate le preghiere, tanto più erane allegro, e contento. Apprese con facilità a leggere
e scrivere, e se ne servì ben tosto a proprio, e altrui spirituale vantaggio, giacché nei giorni
festivi, principalmente, che quelli di sua età andavano qua e là a trastullarsi, egli raccoltine alcuni
insieme si tratteneva coi medesimi leggendo, e spiegando loro quel tanto che sapeva, oppure
raccontando un qualche edificante esempio. Questo gli procurò la stima, e la venerazione dei
coetanei in guisa, che, lui presente, niuno ardiva prorompere in parole sconcie, o men che oneste,
il che se inavvedutamente avveniva, tosto l’un l'altro avvertiva: «zitto che c'è Luigi che sente »
sopraggiungendo egli, ogni discorso men buono era interrotto. All'udire parole disdicevoli ai
buoni costumi, o alle cose di religione «non parlar così, tosto» colla ammirabile sua affabilità
diceva, «questo non istà bene nella bocca di un giovane Cristiano.» Secondochè esigeva la
condizione sua, conduceva bestiami al pascolo, ma sempre lontano da persone {6[6]} di diverso
sesso, e con libretti spirituali tra le mani che leggeva da se solo, o con altri. Con questo tenor di
vita mentre edificava i suoi compagni, era l'ammirazione delle persone provette, le quali
stupivano a tanta virtù in un giovanetto di prima età.
« Io aveva un figlio, afferma un padre, di cui non sapeva più che farmene, l'aveva trattato
con dolcezza, e con rigore, e tutto indarno; mi venne in mente mandarlo con Luigi, se mai gli
fosse riuscito di renderlo alquanto docile, e più non mi fosse cagione di amaro disgusto. Il mio
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monello da prima mostravasi ritroso nel dover frequentare chi sì poco secondava le sue mire, ma
ben presto allettato dalle attrattive di Luigi gli divenne amico, e compagno delle sue virtù, in
guisa, che al presente dimostra ancor la morigeratezza e la docilità che ebbe da quell'anima
buona succhiata. »
Singolare era l'obbedienza verso i suoi genitori; sempre pronto, e attento a quanto veniva
da loro ordinato, da ogni lor cenno pendeva anzioso, studiandosi con tutta {7[7]} sollecitudine di
prevenire anzi i comandi che gli dovevano imporre. Qualora al sopravvenire di qualche siccità,
grandine, o perdita di bestiami i suoi parenti mostravansi afflitti, Luigi era colui che li confortava
a prendere come favor del Signore quanto accadeva; «anche di questo avevamo bisogno, egli
diceva, ogni qualvolta la mano del Signore ci tocchi son sempre tratti di sua bontà, è segno che si
ricorda di noi, e vuole che noi pure ci ricordiamo di lui.» Non era mai che si allontanasse da' suoi
genitori senza l'espressa loro licenza, di cui ne era tanto geloso osservatore, che una volta
essendo andato a visitare certi parenti con limitata licenza, essi, (allettati dall'amabilità del suo
edificante parlare) non permettendogli di partirsene per tempo, si ritirò in disparte a piangere nel
vedersi a disubbidienza costretto, e come giunse a casa, tosto dimandò perdono della
disubbidienza suo malgrado commessa. Si assentava alle volte dalla presenza altrui, e questo
affine di ritirarsi in qualche cantuccio a pregare, o far meditazione. Più {8[8]} volte il vidi, mi
afferma una persona che fu con lui allevata, mangiare in fretta, sbrigarsi di alcune occupazioni
impostegli, e mentre altri godevano un pò di ricreazione, sotto qualche pretesto andarsi a
nascondere in fosso da vite se era in campagna, sul fenile se era in casa, per ivi trattenersi in
preghiere vocali, o leggere libretti di meditazione. Tanto è vero che anche fra le glebe Iddio sa
guidare i rozzi, e gli indotti per le sublimi vie della virtù.
A questi bei semi di virtù andavano strettamente uniti i veri caratteri di divozione, e
grande tenerezza per le cose di religione. Il che dimostrò fin da che fece la sua prima
confessione. Fatto un accurato esame di sua coscienza, si presentò al Confessore, innanzi a cui,
tra per la confusione, congiunta colla riverenza a quel Sacramento, e l’apprensione che per le sue
colpe provava, (se pur colpa aveva) sì grave dolore lo assalì, che proruppe in un profluvio di
lagrime, ed ebbe bisogno di conforto a dar principio, e continuare la dichiarazione di sue colpe.
Con pari edificazione {9[9]} degli astanti partecipò la prima volta del Corpo di Cristo. Dal qual
tempo in poi tanto si affezionò a questi due Sacramenti, che nello accostarvisi provava la più
grande consolazione; nè mai lasciava sfuggire occasione senza che ne approfittasse; ma siccome
per quantunque frequente gli si permettesse l'uso della Comunione non bastava a saziare l'amore
onde tutto ardeva per Gesù, trovò modo di provvedervi bellamente colla Comunione Spirituale,
al quale proposito anche quando già Chierico trovavasi nel Seminario udivasi più volte a dire: fu
per l'insigne opera di s. Alfonso che ha per titolo: visite al SS. Sacramento, che imparai a fare la
Comunione spirituale, la quale posso dire essere stato il mio sostegno in tutti i pericoli, cui
andava soggetto finché fui vestito da secolare.
Alla Comunione spirituale, e Sacramentale univa frequenti visite a Gesù sacramentato,
dell'amore di cui talmente sentivasi penetrato che ben sovente giungeva a passare ore intiere
sfogando i suoi fervorosi e teneri affetti coll'amato suo Gesù. {10[10]} Spesso era mandato in
Chiesa a far quelle cose di cui suo zio Prevosto gli dava incumbenza, spesso egli medesimo visi
recava sotto pretesto avervi che fare, ma non ne usciva mai senza prima trattenersi alquanto col
suo Gesù, e raccomandarsi alla cara sua madre Maria. Non correva solennità, non si faceva
catechismo, o predica, non si dava benedizione, nè altra funzione facevasi in Chiesa a cui egli
non intervenisse con animo allegro, e contento a prestar quei servizi di cui era capace.
L'essere il Comollo alieno affatto dalle bambolinaggini che son proprie di quell'età,
sofferente, e tranquillo a cheecchè potessegli accadere, affabile cogli uguali, modesto, e
rispettoso con chiunque gli fosse superiore, ubbidiente, tutto dato alla divozione, prontissimo nel
prestare quei servigi che in Chiesa gli erano permessi; tutto questo insieme era bel presagio che il
Signore lo voleva a stato di maggior perfezione. Su di che già più volte aveva consultato il suo
direttore spirituale, e avutane risposta per quanto potevasi conoscere, averlo Iddio chiamato allo
stato Ecclesiastico {11[11]} ne rimase al sommo contento, essendo pur tale la sua
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determinazione. Il suo zio Rettore di Cinzano (di cui Luigi ne andava ognor copiando le virtù) al
vedere rampollo sì vigoroso, e che prometteva sì bei frutti, volle pure secondarlo nelle sue
risoluzioni. Chiamatolo pertanto a sè un giorno: hai dunque, gli disse, vera volontà di farti prete?
È appunto questo che io desidero e null'altro, rispose. E perchè? Perchè essendo i preti quelli che
aprono il paradiso agli altri, spero che lo potrò poi anche aprire per me.
A tal fine fu mandato a fare il corso di Grammatica in Caselle presso Ciriè, dove
perfezionando sempre più le accennate virtù, fu della più grande ammirazione a tutti quelli che in
qualche modo ebbero occasione di conoscerlo; quivi spiegò particolarmente uno spirito di
mortificazione. Già da piccolino soleva far fioretti alla Madonna coll'astinenza di qualche
porzione di cibo, o di frutta che gli si donava per companatico; questo diceva, bisogna regalarlo
a Maria. Quivi in Caselle andò più avanti; oltrecchè offriva ogni settimana digiuni {12[12]} a
Maria, nei pranzi stessi, e nelle cene, sovente sotto specioso pretesto si toglieva da tavola nel
meglio del mangiare; bastava portare a tavola qualche pietanza che fosse di special suo gusto,
perché non ne mangiasse, e questo sempre per amor di Maria.
Capo secondo. Va a studiare in Chieri
Sul cominciare dell'anno scolastico 1835 trovatomi in una casa di pensione in Chieri, udii
il padrone a dire: «mi fu detto, che a casa del tale vi deve andare uno studente santo ». Io feci un
sorriso prendendo la cosa per facezia. «È appunto così, soggiunse, ei deve essere il nipote del
Prevosto di Cinzano, giovine di segnalata virtù ». Non feci gran caso allora di queste parole, ma
un fatto assai rimarchevole me le fece assai bene ricordare. Erano già più giorni che io vedeva
uno studente (senza saperne il nome) che tanta compostezza, e modestia dimostrava camminando
per le contrade, tanto affabile, e cortese con chi gli parlava, che io ne {13[13]} era del tutto
maravigliato. Crebbe poi questa meraviglia allorchè osservava l'esattezza colla quale interveniva
alla scuola, dove appena giunto si metteva al suo posto, nè più mai si muoveva, se non per fare
cosa, che il proprio dovere gli prescrivesse. Egli è consueto costume degli studenti di passare il
tempo d'ingresso in ischerzi, giuochi, e salti, alle volte anche pericolosi; a ciò pure era invitato il
Comollo; ma esso sempre si scusava col dire che non era pratico, non aveva destrezza; nulla
meno un giorno un suo compagno gli si avvicinò, e colle parole, e con importuni scuotimenti
voleva costringerlo a prender parte di quei salti smoderati che nella scuola si facevano; «no, mio
caro, dolcemente rispondeva Luigi, non sono esperto, mi espongo a far topica. » Indispettito
l'impertinente compagno, quando vide che non voleva arrendersi, con insolenza intollerabile gli
diede un gagliardo schiaffo sul volto. Io raccapricciai a tal vista, e siccome l'oltraggiatore era
d'età, e di forze inferiore all'oltraggiato, attendeva che gli fosse resa la pariglia; ma fu ben altro lo
{14[14]} spirito del Comollo; egli rivolto a chi l'avea percosso si contentò di dirgli «se sei pago
di questo, vattene pure in pace che io ne son contento ». Questo mi fece ricordare di quanto
aveva udito, che vi doveva venire un giovane santo alle scuole, e chiestane la patria, e il nome,
conobbi essere appunto quello di cui aveva sì lodevolmente inteso a parlare.
Come poi nel rimanente si diportasse in fatto di studio e di diligenza, io nol saprei meglio
esprimere che colle parole stesse dell'ottimo suo Professore, il quale si degnò scrivermi del
seguente tenore:
« Benchè il carattere, e l'indole dell'ottimo giovane Comollo possano essere meglio
conosciuti a V. S. che l'ebbe per condiscepolo, e potè più da vicino osservarlo, di quello che non
lo siano a me stesso, tuttavia assai di buon grado le mando in questa lettera il giudicio che io me
n' era formato infin d'allora quando l'ebbi a scolare pel corso de' due anni 1835, e 1836 nello
studio dell'Umanità, e della Rettorica nel Collegio di Chieri. Esso fu giovine d'ingegno, e
fregiato dalla {15[15]} natura di un'indole dolcissima. Coltivò con ammirabile diligenza lo
studio, e la pietà, e sempre si mostrò attentissimo ad ogni insegnamento, ed era così scrupoloso,
e vigilante nell'adempimento del suo dovere, che non mi ricordo di averlo mai avuto a
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rimproverare della benché menoma negligenza. Egli poteva essere proposto ad esemplare ad
ogni giovane per la intemerata sua condotta, per l'ubbidienza, per la docilità; onde io meco stesso
m'aveva fatto un ottimo augurio allorchè seppi che era entrato nella carriera Ecclesiastica. Nol
vidi mai altercare con alcuno dei suoi compagni, il vidi bensì alle ingiurie, ed alle derisioni
rispondere coli' affabilità, e colla pazienza. Io lo guardava come destinato a confortare la
vecchiaia del venerando suo zio, il degno Prevosto di Cinzano, che lo amava teneramente, ed
aveva così di buon ora saputo seminare nel cuore di lui tante rare, e singolari virtù. Mi giunse
perciò oltremodo dolorosa la notizia della sua morte, e solo mi confortai nel pensiero che in
breve tempo aveva con le sue virtù compiuta anticipatamente una {16[16]} lunga carriera,
mentre Iddio forse lo volle a se chiamare con immatura morte, perché lo vedeva oltre la sua età
provveduto di buoni meriti, e noi dobbiamo, in ciò venerare la divina volontà. Ella mi chiede che
io le dica qualche singolarità in lui osservata, ma quale cosa potrò io dirle che sia più singolare
della sua uniformità, e costanza in una età che è tanto leggiera, e vaga di novità e mutazioni? Dal
primo giorno che entrò nella mia scuola sino all'ultimo pel corso di due anni egli fu sempre a se
stesso uguale, sempre buono, e sempre intento ad esercitare la sua virtù, la sua pietà, la sua
diligenza »... Così il suo Professore.
Nè queste belle doti erano meno esercitate fuori di scuola. «Io conobbi, dice il padrone di
sua pensione, nel giovane Comollo il complesso di tutte le virtù proprie non solo dell'età sua, ma
di persona lungo tempo nelle medesime esercitata. D'umore sempre uguale, ed allegro,
imperturbabile ad ogni avvenimento, non dava mai a conoscere quello che fosse di special suo
gusto, sempre contento di {17[17]} quanto se gli offriva, non mai si sentì da lui profferire,
questo è troppo salso, o troppo insipido, oppure fa molto caldo, o molto freddo; non mai si udì
dalla sua bocca una parola meno che onesta, o moderata; parlava volentieri delle cose di
religione, e se qualcheduno metteva fuori discorso, o racconto spettante alla religione pretendeva
sempre che si parlasse con massima riverenza e rispetto dei sacri ministri. Amantissimo del
ritiro, non mai usciva senza licenza, dicendo il tempo, il luogo, e il motivo per cui si assentava.
In tutto il tempo che dimorò in questa casa, fu di grande stimolo per gli altri a vivere da virtuoso,
e riuscì a tutti di gran dispiacere allorchè dovette cangiare luogo per vestire l'abito chiericale, e
recarsi nel Seminario, privandoci colla sua persona di un raro modello di virtù. »
Io pure posso dire lo stesso, giacchè in varie occasioni, che gli parlai, o trattai insieme,
non l'udii mai querelarsi delle vicende del tempo, o delle stagioni, del troppo lavoro, o del troppo
studio; anzi qualora avesse avuto qualche tempo vacante, {18[18]} tosto recavasi da qualche
compagno per farsi rischiarire alcune difficoltà, o conferire qualche cosa spettante allo studio, o
alla pietà.
Non minore era l'impegno per le osservanze religiose, e per la vigilanza in tutto ciò che
riguardava alle cose di pietà: ecco quanto scrive il signor Direttore spirituale delle scuole, che di
certo potè intimamente conoscerlo. «Mi ha fatta inchiesta la S. V. di darle notizie di un figliuolo
del quale mi è carissima la memoria, e dolcissima cosa il risponderle. Non è il giovane Comollo
Luigi un di quelli, in riguardo di cui io debba usare espressioni evasive, oppure che io tema di
esaggerare nel rendergliene la più lodevole testimonianza. Ella ben sa che appartenne ad una
classe fra le altre distinta di studenti dati alla pietà, ed allo studio, ma tra questi brillava, e
primeggiava il nostro Comollo; mi rincresce che ci tocchi già lamentare la morte del Prefetto
delle scuole, il quale e dello studio, e della regolarissima sua condotta anche fuori di collegio
potrebbe farne le più belle testimonianze. {19[19]} Quanto a me oltre il poterla rassicurare di
non avere mai avuto motivo di rimproverare alcuna mancanza nemmeno leggiera, posso
asserirle, che assiduo alle congregazioni, compostissimo, sempre attento alla divina parola,
divotissimo nell'assistere alla santa messa, ed ai divini uffizi, frequente ai santi sacramenti della
Confessione, e Comunione, veramente diligentissimo ad ogni dovere di pietà, esemplarissimo in
ogni atto di virtù, l'avrei di buon grado proposto a tutti gli altri studenti qual luminoso specchio,
e raro modello di virtù. Per quanto lo comportava la sua classe, l'anno di Rettorica fu nominato a
carica, quale si concede solamente a' studenti più distinti per pietà, e studio; si desiderava allora,
e si desidera ancora al presente un giovane studente, d'indole, e costumi simile al Comollo Luigi.
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Il nostro s. Luigi ricordava nel suo nome, e pareva che molte sue virtù volesse ricopiare nei fatti.
Non mi si dimandò mai notizia di altro studente, che più volentieri io abbia reso di questa; posso
dirle tutto il bene possibile in un giovine. {20[20]} Raptus est ne malitia mutaret intellectum
eius. Spero che ora in Cielo preghi per me. » Sin qui il suo Direttore spirituale.
Io non saprei più che aggiungervi alle sovra esposte dichiarazioni, se non quel tanto che
nella sua condotta esterna ho osservato. Terminati appena gli esercizi di pietà che nei giorni
festivi nella capella della congregazione si facevano, ben lungi dall'andarsene al passeggio, o a
qualche altro lecito divertimento, egli tosto portavasi al catechismo dei fanciulli solito a farsi
nella Chiesa dei PP. Gesuiti, al quale, come pure a tutte le altre sacre funzioni, divotamente
assisteva. Quella stessa curiosità, ed anzietà di vedere, e sentire generalmente comune a tutti
quelli che da paesi vengono nelle città, il che d'altronde è proprio di quell'età, o fosse benefizio
dell'indole felice sortita dalla natura, o merito di virtù, pareva che in lui fosse affatto estinta.
Quindi il suo andare, e venire dalla scuola era tutto raccoglimento, e modestia, nè mai andava
qua, e là vagando o collo sguardo, o colla persona; eccettochè per prestare il debito rispetto
{21[21]} ai Superiori, alle Chiese, a qualche immagine, o pittura della B. V., dinanzi cui non fu
mai che passasse, senzachè con rispetto non si traesse il capello.
A tal proposito più volte nell'accompagnarlo mi avvenne che il vedeva scoprirsi il capo
senza saperne il perchè; ma guardando poscia attento scorgeva quinci, o quindi in qualche muro
dipinta l'immagine della Madonna. Era ormai sul finir del corso di Rettorica, che io l'interrogava
sulle cose più curiose, o sui monumenti più ragguardevoli della Città, ed egli rispondeva di non
ne essere punto informato, come se fosse stato del tutto forestiero. Quanto più poi era alieno
dalle vicende, e occupazioni temporali, tanto più era informato, e instrutto delle cose di Chiesa.
Non facevasi esposizione delle Quarantore, o di altra funzione di Chiesa che egli nol sapesse, e
se il tempo gliel permetteva non v'intervenisse. Aveva il suo orario per la preghiera, lettura
spirituale, visita a Gesù sacramentato, e ciò era scrupolosamente osservato. Alcune mie
circostanze vollero che per più mesi ad {22[22]} ora determinata mi recassi al Duomo, e questa
era appunto l'ora che il Comollo andava a trattenersi col suo Gesù. Piacemi pertanto descriverne
l'atteggiamento; ponevasi in qualche canto presso l'altare quanto poteva, ginocchione colle mani
giunte, e incrocicchiate alquanto prostese, col capo mediocremente inclinato, cogli occhi bassi, e
tutto immobile della persona; insensibile a qualsivoglia voce, e rumore. Non di rado mi
occorreva che compiuto quello che toccavami fare, voleva invitarlo che meco venisse per essere
da lui accompagnato a casa; pel che aveva bel far cenno col capo, passandogli vicino, o tossire
perchè egli si movesse, ma era sempre lo stesso, finché io non mi accostava toccandolo; e allora
quasi si risvegliasse dal sonno tutto si scuoteva, e sebbene a mal in cuore aderiva al mio invito.
Serviva molto volentieri alla santa Messa anche ne'giorni di scuola quanto poteva, ma nei giorni
di vacanza servirne quattro o cinque era cosa ordinaria.
Benché poi fosse cosi concentrato nelle cose di spirito, non vedevasi mai rannuvolato
{23[23]} in volto, o tristo, ma sempre ilare, e contento rallegrava colla dolcezza del suo parlare,
e suoleva dire che gli piacevano grandemente quelle parole del profeta David: Servile Domino in
laetitia; parlava volentieri di storia, di poesia, delle difficoltà della lingua latina o italiana, e
questo in maniera docile, e gioviale, sì, che mentre profferiva il proprio sentimento, mostrava
sempre di sottometterlo all'altrui.
Aveva un compagno di special confidenza per conferire di cose spirituali, il trattare, e
parlare delle quali gli era di grande consolazione. Parlava con trasporto dell'immenso amor di
Gesù nel darsi a noi in cibo nella santa Comunione: quando discorreva della Madonna, tutto si
vedeva compreso di tenerezza, e dopo d'avere raccontato, o udito raccontare qualche grazia
concessa dalla Madonna a favore del corpo, egli sul finir tutto rosseggiava in volto, e alle volte
rompendo anche in lagrime esclamava: se Maria cotanto favorisce questo miserabile corpo,
quanti non saranno i favori che sarà per concedere a pro delle anime di chi la invoca? {24[24]}
Tanta era la stima che aveva delle cose di religione, che non solo non poteva patire se ne
parlasse con disprezzo, ma nemmeno con indifferenza; a me stesso una volta accadde che
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scherzando, mi servii di parole della sacra scrittura, e ne fui vivamente ripreso, dicendomi non
doversi faceziare colle parole del Signore.
Quando alcuno voleva raccontare qualche cosa riguardante i Sacerdoti, tosto premetteva
o doversene parlar bene, o tacere affatto, perché erano Ministri di Dio. In simil guisa andava il
nostro Luigi preparandosi alla vestizione Chiericale, e quando ne parlava mostravasi tutta gioia,
e contento. «Possibile suoleva dire, che io miserabile guardiano di buoi, abbia a diventare Prete
pastore delle anime? eppure a niun'altra cosa mi sento inclinazione, questo mi dice il Confessore,
mel dice la volontà, solo i miei peccati mi dicono il contrario; n'andrò a subire l'esame, l'esito del
quale mi sarà qual arbitro della volontà Divina sulla mia vocazione ». Si raccomandava anche
spesso ad alcuni suoi colleghi che pregassero, perché il Signore {25[25]} lo illuminasse, e gli
facesse conoscere se fosse, o no chiamato allo stato Ecclesiastico. Così fra la stima dei
compagni, fra l'amore dei superiori, onorato, e tenuto da tutti qual vero modello d'ogni virtù
compiva il corso di Rettorica l'anno 1836.
Capo terzo. Veste l’abito Chiericale va nel Seminario di Chieri
Come ebbe subito l'esame suddetto, e sortitone favorevole esito, si preparava per la
vestizione. Qui io non saprei come chiaramente esprimere tutti gli affetti di tenerezza che ebbe a
provare in tal circostanza. Pregava egli, faceva pregare altri per lui, digiunava, prorompeva
sovente in lagrime, si tratteneva molto in Chiesa, sinchè giunto il giorno di sua festa (così
chiamava il giorno di sua vestizione chiericale) fece la sua confessione, e comunione, e contento
assai più che se fosse sublimato a qualunque più onorevole carica, tutto compreso di santa
apprensione, tutto concentrato {26[26]} in sentimenti di religione, raccolto, e modesto che
pareva un angioletto, fu insignito del tanto rispettato, e desiderato abito ecclesiastico. Tal giorno
fu sempre mai per lui memorando, e suoleva dire essersi il suo cuore totalmente cangiato, di
pensoso, e rannuvolato, divenuto tutto ilare, e gioviale, e che ogni qual volta rammentava un tal
giorno sentivasi di tenera gioia innondare il cuore.
Venne intanto il giorno dell'apertura del Seminario, dove egli puntualmente recandosi
fece campeggiare le sue non istraordinarie, ma compiute virtù. Quello poi che in ispecial modo
lo distinse, fu un esatto adempimento de' suoi doveri di pietà, e studio, un ardente spirito di
mortificazione. Aveva letto nella vita di sant' Alfonso, come esso aveva fatto quel gran voto di
non perdere mai tempo, la qual cosa era al Comodo motivo di alta ammirazione, e studiavasi con
tutto l’impegno d' imitarlo; perciò fin dal suo primo entrare nel Seminario, s' appigliò con tal
diligenza alle cose di studio, e di pietà, che di tutte le occasioni, e di tutti i mezzi {27[27]}
approffittava, che al suo scopo tendessero, all'esatta occupazione del tempo. Suonato il
campanello subito interrompeva checchè facesse per rispondere alla voce di Dio (così chiamava
il suono del campanello) che lo chiamava al suo dovere, e m'accertò più volte, che dato un tocco
il campanello gli era impossibile il continuare ciò che aveva fra le mani, perchè rimaneva tutto
confuso, e non sapeva più che si facesse. Tanto radicata era in lui la virtù dell'ubbidienza. Non
parlo dei Superiori, ai quali ubbidiva ciecamente senza mai dimandar conto, o ragione di ciò che
gli era ingiunto; ma agli stessi colleghi assistenti, anche agli uguali mostravasi attento, docile ad
ogni loro ordine, e consiglio non altrimenti che ai Superiori medesimi. Dato il segno di studio
puntualissimo v' interveniva, e in raccolto atteggiamento composto si applicava in maniera che a
qualunque rumore, chiacchera, leggerezza, che da altri si facesse; pareva fosse insensibile, nè
punto più della persona si moveva, se non al segno del campanello. Un dì, che {28[28]} un
compagno passandogli dietro gettogli a terra il mantello; esso si contentò di fargli un semplice
motto, acciocchè meglio si guardasse altra volta, il compagno indispettito rispose con viso
alterato, e con parole offensive; allora il Comollo s'appoggiò di nuovo sulla tavola, e tutto
tranquillo si pose a studiare, come se nulla a lui fosse stato detto o fatto.
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Nella ricreazione, nei circoli, nei tempi di passeggiata desiderava sempre discorrere di
cose scientifiche, anzi suoleva in tempo di studio formarsi nella mente una serie delle cose che
meno intendeva per quindi tosto comunicarle in tempo libero ad un compagno, con cui aveva
special confidenza, onde averne nel miglior modo possibile, la dichiarazione.
Nel mentre che animava le conversazioni con varie utili ricerche, e racconti, osservava
tuttora in pratica quel non mai abbastanza encomiato tratto di civiltà: di tacere quando taluno
parlava: pel che non di rado avvenivagli di troncare a mezzo la parola, onde dar campo che altri
liberamente parlasse. {29[29]}
Abborriva grandemente lo spirito di critica, o di censura sulle persone altrui, parlava dei
Superiori, ma sempre con riverenza, e rispetto; parlava dei compagni, ma sempre con carità, e
moderazione; parlava dell'orario delle costituzioni, o regolamenti del Seminario, degli
apprestamenti di tavola, ma sempre con espressioni di soddisfazione, e di contento; di modo che
io posso con tutta schiettezza affermare, che nei due anni e mezzo che lo frequentai nel
Seminario, non lo intesi mai a proferire parola, che fosse contraria a quel principio che fisso
teneva nella sua mente: degli altri o parlarne bene o tacerne affatto. Qualora poi fosse stato
costretto a dare il proprio giudizio sui fatti altrui, procurava sempre interpretarli nel senso
migliore, dicendo avere imparato dal suo zio, che un'azione di cento aspetti, novantanove cattivi,
uno buono, si doveva prendere sotto l'aspetto buono e giudicare bene di tale azione. Per l'opposto
parlando di se stesso, taceva tutto quello che poteva tornare in sua lode, non faceva mai parola di
carica, onore, o premio {30[30]} a lui compartito, che anzi avvenendo che taluno il lodasse,
mettevane la lode in facezia, abbassando così se stesso mentre altri l'esaltava.
Quei bei fiori di tenera divozione onde noi l'abbiamo veduto adorno tra le glebe, e i
pascoli; negli studi, ben lungi dall'appassire cogli anni, pervennero a mostrarsi in tutta loro
bellezza, e compiuta perfezione. Dato il segno della preghiera, o di qualunque altra sacra
funzione, accorreva immantinente colla più esatta diligenza, e composto nella persona, col
massimo edificante raccoglimento di tutti i suoi sensi, si faceva a favellare col Signore, nè mai si
ravvisò nel Comollo il menomo rincrescimento a portarsi in Capella, o altro luogo ad assistere a
cose di divozione. Bensì il mattino al primo tocco del campanello tosto si alzava da letto, e
aggiustato quanto era di dovere, recavasi un quarto d'ora prima degli altri in Chiesa a preparare
l'anima sua per l'orazione.
I seminaristi nei giorni festivi, o anche feriali in cui assistessero alle solenni funzioni di
Chiesa, solevano essere dispensati {31[31]} dal recitare la corona della B. V.: il Comollo non
seppe mai astenersi da siffatta special divozione, ma terminate le funzioni di Chiesa, mentre che
ognuno passava il tempo nella permessa ricreazione, egli con un altro compagno si ritirava in
Capella a pagare, come suoleva dire, i debiti alla sua buona Madre colla recita del SS. Rosario.
Ne' giorni di vacanza e particolarmente nelle ferie del SS. Natale, di carnovale, delle solennità
Pasquali, egli anche più volte al giorno lontano dai suoi comuni divertimenti andava col solito
compagno a recitare, quando i salmi penitenziali, quando l’ufficio dei defunti, o quello della B.
V., e questo in suffraggio delle anime del purgatorio.
Sempre amante e devoto di Gesù sacramentato oltre il fargli frequenti visite, e
comunicarsi spiritualmente, approffittava pure di tutte le occasioni per comunicarsi
sacramentalmente, il che faceva con grande edificazione dei circostanti. Premetteva alla
Comunione un giorno di rigoroso digiuno in onore di Maria SS.; dopo la confessione non voleva
più parlare d'altro, che {32[32]} di cose concernenti alla grandezza, alla bontà, all'amore del suo
Gesù che si preparava a ricevere nel dì seguente, e giunta l'ora d'accostarsi alla sacra mensa, io lo
scorgeva assorto nei più alti, e divoti pensieri, e composta la persona nel più divoto
atteggiamento, a passo grave cogli occhi bassi dando in frequenti scuotimenti di santa
commossione avvicinavasi a ricevere il Santo dei Santi. Ritiratosi poscia a suo posto pareva
fosse fuor di se, tanto vivamente vedevasi commosso, e da viva divozione penetrato. Pregava,
ma ne era interrotto da singhiozzi, interni gemiti, e lagrime, nè poteva acquetare i trasporti di
tenera commozione, se non quando terminata la Messa si cominciava il canto del mattutino.
Avvertito da me più volte a frenare quegli atti di esterna divozione, come quelli che potevano
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dare nell'occhio altrui, mi sento, rispondevami, mi sento una piena di tal contento nel cuore, cui
se non permetto qualche sfogo pare mi voglia togliere il respiro. Nel giorno della comunione
diceva altre volte, mi sento sì ripieno di dolcezza, e di contento, che {33[33]} nè so capire, nè
spiegare. Da ciò ognun vede chiaramente come il Comollo fosse avvanzato nella via della
perfezione, giacché quei movimenti di tenera commozione, di dolcezza, di contento per le cose
spirituali sono un effetto di quella fede viva, e carità infiammata, che altamente gli era radicata
nel cuore, e costantemente lo guidava in tutte le sue azioni.
A questa divozione interna andava strettamente congiunta un'esemplare mortificazione di
tutti i suoi sensi esteriori. Modesto qual era negli occhi spesso gli avveniva di far passeggiate in
giardini, o ville, senza che egli avesse menomamente veduto quello di più rimarchevole che tutti
gli altri aveano osservato; non vagava mai qua e là collo sguardo, ma cominciato col suo
compagno qualche buon discorso, attento il continuava, non mai badando a checché occorresse,
e tal volta accadde, che dopo il passeggio interrogato dal compagno se avesse veduto suo padre,
che pur gli era passato vicino, e l'aveva salutato, rispose di non averlo veduto. Sovente era
visitato da alcune sue cugine di Chieri, e questo {34[34]} gli era un grave cruccio, dovendo
trattare con persone di diverso sesso, onde appena detto quello che la stretta convenienza, e il
bisogno voleva, raccomandando loro con bella maniera di venirlo a trovare il meno possibile,
tosto da loro si licenziava. Richiesto alcune volte se quelle sue parenti (colle quali trattava con
tanto riserbo) fossero grandi, o piccole, o di straordinaria avvenenza, rispondea che all'ombra gli
parevano grandi, che più oltre nulla sapeva non avendole mai rimirate in faccia. Bell'esempio
degno di essere imitato da chiunque aspira o trovasi nello stato ecclesiastico!
Era assueffatto d'incroccicchiar l'una coll'altra le gambe e di appoggiarsi col gomito
quando gli veniva bene fosse a tavola, nello studio, o in iscuola. Per amor di virtù anche di
questo si volle correggere, e per riuscirvi pregò instantemente un compagno, il quale ogni volta
l'avesse veduto nelle succitate posizioni, acremente il dovesse ammonire, e rampognare,
dandogli special penitenza. Ecco onde procedeva quell'esteriore compostezza per cui in Chiesa,
nello {35[35]} studio, in iscuola o in refettorio innamorava ed edificava chiunque il rimirasse.
Le mortificazioni circa il cibo erano quotidiane: d'ordinario quando più sentivasi bisogno
di far colezione era appunto allora che se ne asteneva. A tavola era parco al sommo, beveva poco
vino, e quel poco adacquato. Talvolta lasciava pietanza, e vino contentandosi di mangiare pane
inzuppato nell'acqua sotto lo specioso pretesto che gli tornava meglio per la corporal sanità, ma
in realtà per ispirito di mortificazione; giacchè avvertito che un simile cibo poteva cagionargli
male di capo, o di stomaco, rispondeva: a me basta che non possa nuocere all'anima. Nel sabbato
d'ogni settimana digiunava per amor della B. V. nelle altre vigilie, nel tempo quaresimale, anche
prima che fosse per età tenuto, digiunava con tal rigore, principalmente nella piccola refezione
della sera, che un compagno, il quale eragli accanto a mensa, disse più volte che il Comollo
voleva uccidersi. Tali sono i precipui atti di penitenza esterna che mi sono noti, dai quali lieve
cosa sarà argomentare quello che ei {36[36]} nudrisse in cuore, giacchè se le azioni esteriori
derivano sempre dall'abbondanza di cuore, bisogna pur dire che l'animo del Comollo fosse di
continuo occupato in teneri affetti d'amor di Dio, di viva carità verso il prossimo, e di ardente
desiderio di patire per amor di Gesù Cristo.
La vita che il Comollo tenne nel Seminario diede sempre (così si esprime un suo
Superiore) ottima e santa idea di lui, mostrandosi in ogni occorrenza esattissimo nei suoi doveri
sì di studio che di pietà, esemplare affatto nella sua moral condotta, così che tutto il suo contegno
dimostrava un' indole la più docile, ubbidiente, rispettosa, e religiosa. Egli era gradevole nel
parlare, epperciò chiunque fosse in tristezza, conversando con lui ne rimaneva consolato;
modesto, edificante nelle parole, e nei tratti sì che anche i più indiscreti erano obbligati
riconoscere in lui uno specchio di modestia, e di virtù, e un suo compagno ebbe a dire, che il
Comollo era per lui una continua predica; che era un mele che raddolciva i cuori, e gli umori
anche i più bizzarri. Un altro {37[37]} compagno disse più volte che voleva adoperarsi a tutta
possa per farsi santo, e per riuscirvi non erasi fissato altro che seguire le traccie del Comollo; e
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benchè si vedesse di gran lunga indietro da lui, nulla meno essere assai contento di quel tanto che
veniva in lui ricopiando.
Il tempo di vacanza per lui in quanto alla morale sua condotta era quello stesso del
Seminario. Assiduo nella frequenza dei Ss. Sacramenti, nell'esercizio delle sacre funzioni, nel
fare il Catechismo ai ragazzi in Chiesa, (il che faceva già sin da quando era ancora vestito da
laico) ed anche per le vie quando gli avveniva d' incontrarne.
Ecco come egli stesso esprime il suo orario in una lettera diretta ad un amico. «Ho già
passati circa due mesi di vacanze, i quali anche con questo caldo eccessivo m' hanno fatto assai
bene per la corporale sanità. Ho già studiato quegli avvanzi di logica e d'etica che si sono
ommessi nel decorso dell'anno; leggerei volentieri la storia sacra di Giuseppe Flavio che mi
suggerisci, ma ho già incominciata la storia delle eresie, onde verrà a mancarmi il {38[38]}
tempo. Del resto la mia stanza, è tuttora l’ameno paradiso terrestre; quivi entro, salto, rido,
studio, leggo, canto, e non vi vorrebbe altro che tu per far la battuta; a tavola, in ricreazione, a
passeggio sempre mi godo la compagnia del caro mio zio, il quale sebbene cadente pegl’anni è
sempre giulivo, e lepido, e mi racconta ognor cose una più bella dell'altra locchè mi contenta
all'estremo.
Ti attendo pel tempo stabilito, stammi allegro; e se mi vuoi bene prega il Signore per me
etc. »
Affezionatissimo qual era a tutte quelle cose che riguardavano l'ecclesiastico ministero,
godeva molto quando vi si poteva occupare, sicuro segno che il Signore lo chiamava allo stato a
cui aspirava. Suo zio Prevosto per coltivare sì prezioso terreno, e secondare l'ottima inclinazione
del nipote l'impegnò a fare un discorso in onore di Maria SS., ed ecco come egli esprime i suoi
sentimenti in un'altra lettera scritta allo stesso succitato suo compagno.
« Debbo significarti un affare, che da un canto mi consola, dall'altro mi confonde.
{39[39]} Il mio zio mi diede incumbenza di fare un discorso sulla gloriosa assunzione di M. V.
L'essere eccitato a parlare di questa mia cara Madre tutto mi riempie di gioia il cuore. Dall'altro
canto conoscendo la mia insufficienza, veggo pur chiaro quanto io sia lungi dal saperne tessere
condegnamente gli encomii. Checchè ne sia, appoggiato all’aiuto di colei di cui debbo favellare
mi dispongo ad ubbidire; l'ho già scritto, e mediocremente studiato; lunedì sarò da te onde
l'ascolti recitare, e mi facci le osservazioni che stimerai a proposito sia riguardo al gesto, come
riguardo alla materia.
Raccomandami all'Angelo Custode pel buon viaggio:... addio »
Io tengo presso di me questo discorso, nel quale quantunque siasi servito di alcuni autori,
nulla meno la composizione è sua; e vi si scorgono espressi tutti quei vivi affetti onde ardeva il
suo cuore verso la gran Madre di Dio. Nello esporlo poi vi riuscì mirabilmente. « Sul punto di
comparire alla presenza del popolo, scriveva egli, io mi sentii mancare la forza, la {40[40]} voce,
e le ginocchia non mi volean più reggere; ma tostochè Maria mi porse la mano divenni all'istante
vigoroso e forte; di maniera ehe lo cominciai, lo proseguii sino alla fine senza il menomo
intoppo; questo lo fece Maria, io non già, sia lode a lei. » Di lì a qualche mese essendomi recato
in Cinzano, richiesi ad alcune persone che loro paresse della predica del Chierico Comollo, al
che tutti mi risposero lodevolmente. Il suo zio disse che vedeva l'opera di Dio manifestata nel
suo nipote: predica da santo, mi diceva taluno; oh, diceva un'altro pareva un angelo da quel
pulpito, tanto era modesto, e franco nel ragionare! altri: che bella maniera di predicare... ciò
dicendo ripetevano alcuni sentimenti e per fino le stesse parole che fisse ancora avevano nella
memoria.
Senza dubbio sarebbe stato grande il bene che avrebbe fatto nella vigna del Signore un
coltivatore di così buona volontà. Tale appunto era l'aspettazione del vecchio suo zio, tale la
speranza dei genitori, tale pure il desiderio di tutti i suoi compatriotti, de'suoi superiori, de'suoi
{41[41]} compagni; se non che Iddio già lo vedeva abbastanza maturo per lui, e perchè la
malizia del mondo non venisse a cangiare il suo intelletto, volle compensare la sua buona
volontà e chiamarlo a godere il frutto dei meriti già acquistati, e di quelli che vieppiù bramava di
acquistare.
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Capo quarto. Circostanze che precedono la sua Malattia
Non è mio scopo di esporre cose a cui io attribuisca del soprannaturale; io dirò solo i fatti
nella maniera che sono avvenuti colla più scrupolosa esattezza, lasciando ognuno in libertà di
farne quel giudizio che gli paia migliore.
Correva l'anno 1838, lorchè nelle vacanze autunnali trovatomi con lui sur un colle, ed
osservando la scarsezza dei raccolti, che si vedeva in campagna: l'anno venturo, presi io a dirgli,
il Signore ci donerà più abbondante vendemmia, e faremo miglior vino; lo beverai tu, rispose.
Perchè? ripigliai: perchè, ei soggiunse, {42[42]} io spero di berne del migliore; strettolo a parlar
più chiaro, terminò con dire che sentivasi tutto ardere di desiderio di andare a gustar l' ambrosia
dei beati.
Sul finire delle stesse vacanze, recossi in Torino e dimorò più giorni in casa di una
persona di molto buon giudizio, da cui rilevo, e trascrivo le seguenti parole: «Noi fummo tutti
grandemente edificati dalla modestia di quel buon Luigi; cortese, affabile, semplice inspirava
pietà in ogni sua azione, ma specialmente quando pregava, pareva un san Luigi. Era nostro
piacere grande che si fosse trattenuto ancora qualche tempo con noi, ma ei se ne volle
assolutamente partire. Nell'atto che si licenziava, addio, gli dissi, forse non ci vedrem più; no...
no, rispose egli, non ci vedrem più; non è però a tuo riguardo che parlo così, io replicai, ma per
la mia età già di molto avanzata, che anzi voglio, e te lo auguro che tu venga a dir Messa nuova.
Allora egli con parole franche, e risolute, oh rispose, io non dirò Messa nuova; l'anno venturo
Ella vi sarà ancora, e io non vi sarò più. Preghi {43[43]} intanto il Signore per me, addio. Queste
ultime parole pronunziate con tanta franchezza da persona cotanto amata, ci lasciò tutti
vivamente commossi, e sovente andavamo dicendo: chi sa? che quel buon Luigi sappia di dover
morire? e poichè ci venne partecipata la nuova di sua morte: troppo bene ei la previde,
esclamammo! »
A questo racconto io vi presto tutta credenza, essendomi stato riferito da più persone
colla stessa precisione.
Finite queste ultime sue vacanze, e messosi in via per recarsi in Seminario, era giunto a
tal luogo, ove progredendo perdeva di vista il suo paese. Ivi soffermatosi, disse a suo padre: non
posso togliere lo sguardo da Cinzano, e interrogato che guardasse, se forse provasse
rincrescimento a recarsi in Seminario; anzi, disse, desidero di arrivarvi, presto in quel luogo di
pace; quel che guardo è il nostro Cinzano che lo rimiro per l'ultima volta; richiesto di nuovo se
non istesse bene in salute, se volesse ritornare a casa: niente, niente, rispose, sto benissimo,
andiamo allegri, il Signore ci aspetta. Queste parole, {44[44]} dice suo padre, le abbiamo più
volte in casa ripetute ed ogni qual volta passo in quel luogo, anche presentemente, a stento posso
trattener le lagrime. Il presente ragguaglio fu pure a me riferito prima della morte del Comollo.
Non ostante tutti questi presentimenti del fine del suo viver mortale, che il Comollo
aveva in più circostanze esternati, con la solita sua tranquillità, e pacatezza con aria sempre
uguale, e imperturbata continuò seriamente ad applicarsi a tutti i suoi doveri di studio, e di pietà,
talchè all'esame solito a subirsi alla metà dell’anno conseguì (come l'anno antecedente) il premio
che si suole compartire a quelli del corso che in modo speciale per scienza, e virtù si distinguono.
Io però che osservava tutti i suoi andamenti, lo vedeva oltre l'usato attento nella preghiera, e in
tutto il resto delle cose di pietà; voleva sovente discorrere dei martiri del Tonchino; «quelli,
diceva, sono veramente pastori del gregge di G. C., i quali danno la loro vita per la salvezza delle
pecore smarrite; quanta gloria sarà loro compartita {45[45]} in paradiso. » Altre volte diceva:
«oh potessi almeno, quando sarò per partire da questo mondo, sentirmi, sebben senza merito, dal
Signore un consolante euge serve bone.
Discorreva con grande trasporto di gioia del Paradiso; e fra le belle cose che suoleva dire
una fu questa; «sovente m'avviene di essere solo, e disoccupato, o di non potermi addormentare
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lungo la notte, ed è appunto in quel tempo che io faccio le amene, e deliziose mie passeggiate.
Suppongo trovarmi sur un'alta montagna, dalla cima di cui mi sia dato scoprire tutte le bellezze
della natura, contemplo il mare, la terra, paesi, città, con quanto di più magnifico in essi si trova;
levo quindi lo sguardo pel sereno cielo, miro il firmamento, che tutto di stelle tempestato forma
il più maraviglioso spettacolo; a questo vi aggiungo ancora l'idea di una soave musica, che a
voce, e a suono faccia eccheggiare di lieti evviva valli, e monti, e così deliziando la mente con
questa mia immaginazione, mi volgo in altra parte, {46[46]} alzo gli occhi, ed eccomi innanzi la
Città di Dio; la miro all'esterno, poscia mi avvicino, e penetro dentro, qui pensa tu alle cose, che
senza numero io faccio passare a rassegna »; e proseguendo nella sua passeggiata raccontava
cose le più curiose, ed edificanti che egli fingevasi di vedere nelle varie sessioni del Paradiso.
Fu pure in quest'anno che gli cavai il secreto come egli facesse lunghe preghiere senza
veruna distrazione; «vuoi che io ti dica, dicevami, come io mi metta a pregare, ella è
un'immagine tutta materiale che ti farà ridere: «chiudo gli occhi, col pensiero mi porto entro una
grande sala adornata nella maniera la piu squisita, in fondo alla quale si erge un maestoso trono
su cui siede l'Onnipotente, dopo di lui tutti i cori dei beati comprensori, quivi mi prostro, e con
tutto il rispetto a me possibile faccio la mia preghiera».
Questo dimostra secondo le regole dei maestri di spirito quanto la mente del Comollo
fosse staccata dalle cose sensibili, e {47[47]} quanto ei fosse padrone di raccogliere a
beneplacito le intellettuali sue facoltà.
Suoleva leggere in tempo di Messa nei giorni feriali le meditazioni sull'inferno del P.
Pinamonti, intorno a che l'udii più volte a dire «nel decorso di quest' anno lessi sempre in Capella
meditazioni sull'inferno, le ho già lette, e le leggo di nuovo, e benché trista e spaventosa ne sia la
materia, pure vi voglio persistere, affinché considerando mentre vivo l'intensità di quelle pene,
non le abbia ad esperimentare sensibilmente dopo morte.»
Coi sentimenti della più viva penetrazione nel corso della quaresima di quest'anno fece
altresì i santi spirituali esercizi; finiti i quali, quasi più nulla si dovesse aspettare in questo
mondo, dimostrava che il più grande di tutti i favori che il Signore gli potesse concedere era
quello degli esercizi spirituali. Ella è grazia la più grande, diceva con trasporto ai suoi compagni,
che Dio possa fare ad un cristiano accordandogli un tal mezzo onde trattare, e disporre delle cose
dell'anima sua con piena cognizione, con tutto l'agio, e con soccorso di circostanze {48[48]} sì
favorevoli, quali sono meditazioni, istruzioni, letture, buoni esempi. Oh quanto siete buono
Signore verso di noi; che ingratitudine non sarebbe mai per chi non corrispondesse a tanta bontà
di un Dio»!
Così mentre egli s'andava perfezionando nella virtù, e arrichiva l'anima sua di meriti
dinanzi al suo Signore, s'approssimava il tempo in cui doveva riceverne la ricompensa come pare
egli abbia in più guise antiveduto.
Capo quinto. Diviene infermo, muore
Un'anima sì pura, e di sì belle virtù adorna qual era quella del Comollo, direbbesi nulla
dover paventare, alt' avvicinarsi l'ora della morte. Eppure ne provò pur egli grande apprensione.
Ahi che sarà del peccatore se anche le anime buone temono pur cotanto al doversi presentare al
cospetto del divin Giudice a rendere conto dell'operato! Era il mattino del 25 marzo 1839,
{49[49]} giorno della SS. Annunziata, che io nell'andare in Capella lo1 incontrai pei corridoi che
mi stava aspettando, e come l'ebbi interrogato del buon riposo, mi rispose francamente essere per
lui spedita. Ne fui molto sorpreso, stante che il giorno avanti avevamo passeggiato buon tempo
insieme, e sentivasi in perfetto essere di salute; onde chiesta la cagione di un tal parlare «Sento,
rispose egli, sento un freddo che m'occupa tutte le membra, mi duole alquanto il capo, lo
1 Tutto ciò che quivi minutamente racconto è stato scritto parte durante sua malattia, parte
immediatamente dopo da un suo compagno.
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stomaco è impedito, del male però poco mi do pena, quello che mi atterrisce (ciò diceva con
voce seria) si è il dovermi presentare al grande Giudizio di Dio » Esortandolo io a non volersi
così affannare, essere queste certamente cose remote, e avere tutto il tempo a prepararsi,
entrammo in Chiesa. Ascoltò ancora la santa Messa, dopo la quale venne sorpreso da uno
sfinimento di forze, per cui dovette tosto mettersi a letto. Terminate che furono le funzioni di
Capella mi recai a visitarlo nella propria {50[50]} camerata, dove appena mi vide tra gli astanti,
fece segno che gli m'approssimassi e fattomi chinare il capo, come se avesse a manifestarmi cosa
di grande importanza, così prese a dire «Mi diceste; che era cosa remota e che eravi ancor tempo
a prepararmi prima d'andarmene, ma non è così; so certo che debbo presentarmi presto al
cospetto di Dio; poco tempo mi resta a dispormi; vuoi che ti dica di più? Abbiamo da lasciarci »
Io lo esortava tuttavia a non inquietarsi, e non affannarsi con tali idee; non m'inquieto,
interrompendomi disse, nè m'affanno, solo penso che debbo andare al gran Giudizio, e Giudizio
inappellabile, e questo agita tutto il mio interno. Tali parole mi colpirono al vivo, e mi resero
assai inquieto; perciò ogni momento desiderava sapere delle sue nuove, e ogni volta che io lo
visitava mi ripeteva sempre le stesse parole. S' avvicina il tempo che debbo presentarmi al divin
Giudizio, dobbiamo lasciarci » talmente che nel decorso di sua malattia mi furono non una, ma
più di quindici volte ripetute. Locchè sin dal primo giorno di malattia manifestò anche a
{51[51]} più altri suoi colleghi nell'occasione che da loro era stato visitato. Disse pure che il suo
male sarebbe inteso al rovescio dai medici, che operazioni, e medicine non gli avrebbero
prodotto verun giovamento; Il che tutto avvenne. Queste cose che dapprima io attribuiva a mero
timore dei Giudizi divini, al vedere poi che s'andavano avverando di tratto in tratto, le palesai ad
alcuni compagni, quindi allo stesso nostro signor Direttore Spirituale, il quale benchè sulle prime
ne facesse poco conto, rimase poi molto maravigliato dacché ne vide gli effetti.
Frattanto il Comollo si stette il lunedì febbricitante in letto, il martedì, e mercoledì
passolli fuori di letto, però sempre tristo, e melanconico assorto nel pensiero dei Giudizi divini.
Alla sera del mercoledì si pose di nuovo a letto come infermo per non levarsi più. Fra il giovedì,
venerdì, sabbato della stessa settimana (santa) gli furon fatti tre salassi, prese vari medicinali,
ruppe in copioso sudore, il che non gli recò alcun giovamento. Il sabbato a sera, vigilia di
Pasqua, andatolo a visitare, « poichè, mi {52[52]} disse, dobbiamo lasciarci, e fra poco io debbo
presentarmi al Giudizio, avrei caro che tu vegliassi meco questa notte, perciò dimanderò licenza,
e spero mi sarà concesso ». Come ebbe parlato col signor Direttore, il quale tosto conobbe alcuni
sintomi del peggio di sua malattia, mi diede licenza di passare coll'infermo la notte del 30 marzo
precedente al solenne giorno di Pasqua. Verso le otto mi accorsi che la febbre facevasi più
violenta, alle otto e un quarto l’assali un accesso di febbre convulsiva si gagliardo, che gli tolse
l'uso della ragione. Sulle prime faceva un lamento clamoroso, come se fosse stato atterrito da
qualche spaventevole oggetto; da li a mezza' ora tornato alquanto in se, e guardando fisso gli
astanti, proruppe in tale esclamazione, ahi Giudizio! Quindi cominciò a dibattersi con forze tali,
che cinque, o sei che eravamo astanti appena lo potevamo trattenere in letto.
Tali dibattimenti durarono per ben tre ore, dopo i quali ritornò in piena cognizione di se
stesso. Stette lunga pezza pensieroso, come occupato in seria riflessione, {53[53]} quindi
deposta quell'aria di mestizia, e terrore che da più giorni dimostrava pei Giudizi Divini,
comparve tutto tranquillo, e placido, parlava, rideva, rispondeva a tutte le interrogazioni, che gli
venivano fatte. Gli fu chiesto da che provenisse un tale cangiamento, poc'anzi sì tristo poscia sì
gioviale, e affabile. A tale dimanda mostrossi dapprima imbrogliato a rispondere, poscia rivolto
qua, e là lo sguardo se da nissuno fosse udito, prese a parlare sotto voce con uno degli astanti: «
fin ora paventai di morire pel timore dei Giudizi Divini; questo tutto m' atterriva, ma ora sono
tranquillo, e nulla più temo per le seguenti cose, che in amichevole confidenza ti racconto;
mentre era estremamente agitato pel timore del giudizio divino, parvemi in un istante essere stato
trasportato in una profonda, ed ampia valle, in cui lo squilibrio dell’aria, e le bufere del vento
furioso toglievano ogni forza, e vigore a chiunque colà capitava. Nel centro di questa valle v'era
un profondo abisso a guisa di fornace, onde uscivano fiamme avvampanti.... A {54[54]} tal vista
spaventato mi posi a gridare per timore di dovere in quella voragine precipitare. Quindi mi voltai
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all'indietro per fuggire, ed ecco un'innumerevole turba di mostri di forma spaventevole, e
diversa, che tentava urtarmi in quell'abisso.... Allora gridai più forte, e tutto confuso, senza
sapere che mi fare, feci il segno della santa Croce, alla qual vista quei mostri volevano chinare il
capo, ma non potevano, perciò si contorcevano scostandosi alquanto da me. Tuttavia non poteva
ancora fuggire, e liberarmi da quel mal'augurato luogo; allorchè vidi una mano di forti guerrieri
venire in mio soccorso. Essi assalirono vigorosamente quei mostri, alcuni dei quali rimasero
sbranati, altri stesi a terra, altri si diedero a vergognosa fuga. Liberato da tale frangente presi a
camminare per quella spaziosa valle, finché giunsi ai piedi di un' alta montagna, su cui solo si
poteva salire per una scala i cui scaglioni erano occupati da tanti serpenti, pronti a divorare
chiunque vi ascendesse. Non v'era altro passaggio che salire su quella scala, a salire la quale non
osava inoltrarmi, temendo essere da {55[55]} que'serpenti divorato; quivi abbattuto dalle
angustie, e dagli affanni, privo di forze già veniva meno, quando una donna che io giudico essere
la comune nostra Madre, vestita nella più gran pompa, mi prese per mano, fecemi rizzare in piedi
e dicendomi di andare con lei s'incamminava qual guida su per quella scala. Come essa pose il
piede sugli scaglioni tutti quei serpenti voltavano altrove la mortifera loro testa, nè si volgevano
verso di noi sinchè non fummo alquanto da loro lontani. Giunti in cima a quella scala mi trovai
in un deliziosissimo giardino, dove io vidi cose che non mi sono giammai immaginato che
esistessero. Questo appagò talmente il mio cuore, e mi rese sì tranquillo, che ben lungi dal
temere la morte, io la desidero che venga presto, affine di potermi unire col mio Signore.» Sin
qui l'infermo.
Checchè se ne voglia dire dell'esposizione del sovraesposto racconto, il fatto fu che
quanto grande era prima lo spavento, e il timore di comparire innanzi a Dio, altrettanto più
allegro mostravasi di poi, e desideroso che giugnesse un tal momento; {56[56]} non più
tristezza, o malinconia in volto, ma un aspetto tutto ridente, e gioviale, in guisa che sempre
voleva cantare salmi inni, o laudi spirituali. Intanto avvertito l'infermo essere cosa buona che in
quel giorno ricevesse i ss. Sacramenti, occorrendo appunto la solennità di Pasqua, « volontieri
ripigliò, e poichè dicono che il Signore risuscitò dal sepolcro in circa quest'ora (erano le quattro,
e mezzo del mattino) vorrei che risuscitasse anche nel mio cuore coll'abbondanza della sua
grazia. Non ho alcuna cosa di presente che m'inquieti la coscienza, nullameno atteso lo stato in
cui mi trovo, ho piacere di parlare col mio confessore prima di ricevere la santa comunione ». La
è pur questa cosa degna d' osservazione; un figlio vissuto nel secolo, sul vigore di sua età,
persuaso doversi fra poco presentare al giudizio, dire francamente nulla fargli pena alla
coscienza... essere tranquillo. Forza è pur dire che ben regolata sia stata la sua vita, puro il cuore,
e pura l'anima sua
Spettacolo poi veramente edificante, e maraviglioso fu la sua comunione. Terminata
{57[57]} la confessione, fatta la preparazione per ricevere il SS. Viatico, già il signor Direttore,
che ne era il ministro, seguito dai Seminaristi entrava nella camera d'infermeria; al suo primo
comparire, l'infermo tutto turbato, cangia colore, muta d'aspetto, e pieno di santo trasporto
esclama: «oh bella vista... giocondo vedere...! Mira come risplende quel sole! Quante belle stelle
gli fanno corona! Quanti prostrati a terra l’adorano e non osano alzar la chinata fronte, deh!
lascia che io vada inginocchiarmi con loro, e adori anch'io quel non mai veduto sole». Mentre
tali cose diceva, voleva rizzarsi, e con forti slanci tentava portarsi verso il SS. Sacramento; io mi
sforzava onde trattenerlo in letto; mi cadevan le lagrime dagli occhi per tenerezza, e stupore, non
sapeva che dire, nè che rispondergli; ed egli vieppiù si dibatteva onde portarsi verso il SS.
Viatico; nè s'acquetò finché non l'ebbe ricevuto. Dopo la Comunione tutto nei più affettuosi
sentimenti concentrato verso il suo Gesù, stette alcun tempo immobile, quindi ripieno di
meraviglia « oh.... portento {58[58]} d'amore, esclamava! Chi mai son io per essere fatto degno
di tesoro sì prezioso! oh! esultino pure gli Angeli del cielo, ma ben con più di ragione ho io di
che allegrarmi, giacchè colui che gli Angeli prostrati mirano rispettosamente in Cielo svelato, io
lo custodisco nel seno: quem Coeli capere non possunt meo gremio confero: magnificavit Deus
facere nobiscum; oprò il Signore con me le sue meraviglie, e ne fui di celeste gioia, e di divina
consolazione ripieno, et facti sumus laetantes ». Queste, ed altre simili giaculatorie andò
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pronunziando per buon tratto di tempo. In fine sommessa la voce chiamommi a se, e mi pregò a
non parlargli più d'altro che di cose spirituali, dicendo essere troppo preziosi quegli ultimi
momenti che gli restavano ancor di vita, doverli tutti impiegare a glorificare il suo Dio; perciò
non darebbe più alcuna risposta, qualora fosse intorno ad altre cose interrogato.
Difatti in tutto il tempo de' suoi convulsivi dibattimenti se veniva interrogato intorno a
cose temporali vaneggiava, se intorno {59[59]} alle cose spirituali dava le più sode risposte.
Il male intanto andava ognora più crescendo, si fece consulto, si proposero medicinali,
s'eseguirono varie operazioni, insomma si operò quanto l’arte dei medici, e dei chirurghi poteva,
ma tutto senza effetto, avverandosi cosi ogni cosa nel modo, e nelle circostanze dall'infermo
prenunziate.
In questo mentre trovandosi in libertà onde poter ragionare confidenzialmente con un suo
amico (giacché gli altri seminaristi erano andati tutti al Duomo) tenne un ragionamento, che per
essere tutto pieno di tenerezza e di religiosi sentimenti io trascrivo alla lettera tale quale mi viene
presentato «Con voce che indicava particolarità così prese parlare: Eccoci, diceva al suo amico,
eccoci adunque prossimi al momento in cui noi dobbiamo per alcun tempo lasciarci, ascolta
pertanto i ricordi che un amico può lasciare ad un altro amico. Non è solo dovere dell'amico, far
quello che l'amico richiede mentre ambi vivono, ma eseguire altresì quanto a vicenda
raccomandasi da effettuarsi dopo la morte. Perciò a seconda {60[60]} del patto che abbiamo
fatto colle più obbliganti promesse, cioè oremus ad invicem ut salvemur, non solo voglio che si
estenda sino alla morte dell'uno, o dell'altro, ma di ambidue; onde finché tu condurrai i tuoi
giorni quaggiù, prometti, e giura di pregar per me. Benchè in udir tali parole, asserisce l'amico,
mi sentimi forzato a piangere, pure frenai le lacrime, e promisi nel modo richiesto quanto voleva.
Or bene l'infermo proseguiva, ecco quello che io posso dire a tuo riguardo: Non sai ancora se
brevi, o lunghi saranno i giorni di tua vita; ma checchè ne sia sull' incertezza dell'ora, n' è certa la
venuta; perciò fa in maniera che tutto il tuo vivere altro non sia che una preparazione alla morte
al Giudizio.... Gli uomini pensano di quando in quando alla morte, credono che verrà quella non
voluta ora, ma non vi si dispongono, epperciò allorchè s' appressa il momento rimangono
confusi, e chi muore in confusione per lo più va eternamente confuso! Felici quelli che passando
i loro giorni in opere sante, e pie si trovano apparecchiati per quel momento. Se poi sarai
chiamato dal {61[61]} Signore a divenir guida delle anime altrui, inculca mai sempre il pensiero
della morte, del Giudizio, rispetto alle Chiese; poiché si vedono pur troppo anche persone d'abito
distinto che hanno poca riverenza alla casa di Dio, perciò alle volte avviene che un uomo della
plebe, una vil donniciuola stia colle più sante disposizioni, mentre il ministro del Santuario vi sta
svagato senza riflettere che si trova nella casa del Dio vivente!
Siccome poi per tutto il tempo che militiamo in questo mondo di lacrime, non abbiamo
patrocinio più possente che quello di Maria SS., devi perciò averle una special divozione. Oh! se
gli uomini potessero essere persuasi qual contento arrechi in punto di morte essere stati divoti di
Maria, tutti a gara cercherebbero nuovi modi con cui offrirle speciali onori. Sarà pur dessa, che
col suo figlio tra le braccia formerà la nostra difesa contro il nemico dell'anima nostra all'ora
estrema; s'armi pur tutto contro di noi l’inferno, con Maria in nostra difesa, nostra sarà la vittoria.
Guardati però bene dall'essere di quei tali, che per recitare a {62[62]} Maria qualche preghiera,
per offrirle qualche mortificazione credono essere da lei protetti, mentre conducono una vita tutta
libera, e scostumata. A vece di essere di tali divoti, è meglio non esserlo, perché se si mostrano
tali, è puro effetto d'ipocrisia per essere favoriti nei loro cattivi disegni, e quello che è più, se
fosse possibile, farle approvare la loro vita sregolata. Sii tu sempre dei veri divoti di Maria
coll’imitare le di lei virtù e proverai i dolci effetti di sua bontà, ed amore.
Aggiungi a questo la frequenza dei sacramenti della confessione, e Comunione, che sono
i due istrumenti ossia le due armi colle quali si superano tutti gli assalti del comun nemico, e tutti
gli scogli di questo borrascoso mare del mondo. Avverti finalmente con chi tratti,parli,e chi tu
frequenti. Non parlo già delle persone di sesso diverso od altre persone secolari, che siano per
noi d'evidente pericolo, le quali si devono affatto fuggire; ma parlo degli stessi compagni
chierici, e anche seminaristi; alcuni di essi sono cattivi, altri non sono cattivi, ma non molto
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buoni, altri poi sono veramente buoni. {63[63]} I primi si devono assolutamente fuggire, coi
secondi solo trattare qualora si dia il bisogno, ma non formare alcuna famigliarità, gli ultimi poi
si devono frequentare, e questi sono quelli da cui si riporta l'utilità spirituale, e temporale. Egli è
vero, questi compagni sono pochi, ed è appunto per questo che devesi usare la più guardinga
cautela, e trovatine alcuni frequentarli, e formare quella spirituale famigliarità dalla quale si
ricava tanto profitto. Coi buoni sarai buono coi cattivi sarai cattivo.
Una cosa ho ancora da dimandarti, di cui ti prego cordialmente, cioè quando andrai al
passeggio, passando presso il luogo di mia tomba udrai i compagni dire qui sta sepolto il nostro
collega Comollo; allora tu suggerisci in prudente maniera a ciascheduno da parte mia che mi
recitino un pater ed un requiem; In tal guisa io sarò dalle pene del purgatorio liberato. Molte cose
ti direi ancora, ma m' accorgo che il male prende forza, e m' opprime, perciò raccomandami alle
preghiere degli amici, prega il Signore per me, Iddio ti accompagni e ti benedica, e ci rivedremo
quando egli vorrà. {64[64]} Questi sentimenti, esternati in quei momenti in cui si manifesta tutto
l'intrinseco del cuore formano il vero ritratto dell'animo suo. Il pensiero delle massime eterne,
frequenza dei sacramenti, tenera divozione verso la Madonna, fuggire i compagni pericolosi,
cercare quelli da cui sperava ricavare qualche giovamento per le cose di studio, e di pietà
formavano lo scopo di tutte le sue azioni.
Sorpreso verso la sera del giorno di Pasqua da violento accesso di febbre accompagnato
dalle più dolorose convulzioni, a stento si poteva trattenere; se non che trovossi uno spediente
efficacissimo per acquetarlo. Comunque fuori di se, e agitato dalla gagliardia del male: dettogli
appena: Comollo: per chi bisogna soffrire? Egli subito ritornava in se, e tutto gioviale, e ridente,
quasi tali parole gli alleviassero il male: per Gesù Crocifisso, rispondeva. In simile stato senza
mai profferire un lamento per l’intensità del male, passò la notte, e quasi intiero il giorno
susseguente. In questo frattempo fu visitato da suoi genitori, i quali conobbe appieno, e
raccomandò loro a rassegnarsi {65[65]} alla divina volontà, e non dimenticarsi di lui nelle loro
preghiere. Di quando in quando si metteva a cantare con voce ordinaria, e così sostenuta, che
l’avresti detto nel perfetto suo essere di salute; il suo canto era il Miserere, le litanie della
Madonna, l'Ave Maris Stella, laudi spirituali. Ma siccome il cantare di troppo lo stancava e gli
aumentava il male, si cercò anche un mezzo per farlo tacere, che fu di suggerirgli la recita di
qualche preghiera, e così egli cessava di cantare, e diceva quello che gli veniva suggerito.
Alle sette di sera 1. aprile andando le cose ognor in peggio, il signor Direttore spirituale
stimò bene amministrargli l'Olio Santo, nel qual tempo pareva perfettamente guarito; rispondeva
opportunamente a quanto abbisognava, talchè il Sacerdote ebbe a dire essere cosa del tutto
singolare, che mentre pochi momenti prima pareva in agonia potesse con tanta precisione far
l'assistente al ministro, rispondendo a tutte le preci e responsori che in tale amministrazione
occorrono. Lo stesso avvenne alle undici, e mezzo quando il signor Rettore al {66[66]} vedere
che un freddo sudore cominciava coprirgli il pallido volto gli comparti la papale benedizione.
Amministrati così tutti i santi sacramenti non pareva più un infermo, ma uno che stesse in
letto per riposo; era del tutto consapevole di se stesso con animo pacato, e tranquillo, tutto
allegro, altro non faceva che fervorose giaculatorie a Gesù Crocifisso, a Maria Santissima, ai
Santi; perlocchè il signor Rettore ebbe a dire che non abbisognava che altri gli raccomandasse
l'anima essendo sufficiente per se medesimo. Un' ora dopo la mezzanotte del 2 aprile, dimandò
ad uno degli astanti, quanto tempo v' era ancora: gli fu risposto: v'è ancor mezz'ora. C'è ancora di
più soggiunse l’infermo. Sì, ripigliò l'altro credendo che vaneggiasse; ancor mezz'ora, poi
andremo alla ripetizione. Eh, ripigliò l'infermo sorridendo, bella ripetizione!... v'è altro che
ripetizione. Richiesto da un compagno, se sarebbesi ricordato di lui quando fosse in paradiso,
rispose: mi ricorderò dì tutti, ma in modo particolare di quelli {67[67]} che m'aiuteranno ad uscir
presto dal purgatorio. Ad un tocco e mezzo benchè conservasse sempre la solita serenità nel
volto, apparve talmente estenuato di forze, che sembrava mancargli il respiro; rinvenuto poscia
un tantino, raccolto quanto di vigor aveva, con voce franca, con gli occhi elevati in alto proruppe
in tali accenti: «Vergine santa Madre Benigna, cara madre del mio amato Gesù, Voi che fra tutte
le creature sola foste degna di portarlo nel Vergineo ed immacolato Seno, Deh per quel amore
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con cui l'allattaste lo stringeste amorosamente fra le vostre braccia, per quel che soffriste allorchè
gli foste compagna nella sua, povertà, allorchè lo vedeste fra gli strapazzi, sputi, flagelli, e
finalmente spasimare morendo in Croce; Deh per tutto questo ottenetemi il dono della fortezza,
viva fede, ferma speranza, infiammata Carità, con sincero dolore dei miei peccati, ed ai favori
che mi avete ottenuti in tutto il tempo di mia vita, aggiungete la grazia che io possa fare una
santa morte. Sì cara Madre pietosa {68[68]} assistetemi in questo punto che stò per presentare
l'anima mia al Divin giudizio, presentatela Voi medesima nelle braccia del Vostro Divin Figlio;
che se tanto mi promettete, ecco io con animo ardito, e franco appoggiato alla vostra clemenza, e
bontà, presento per mezzo delle vostre mani, quest'anima mia a quella Maestà Suprema, la cui
misericordia conseguire spero». Tali furono le precise parole da lui pronunciate con tanta enfasi,
e penetrazione, che commossero tutti gli astanti, sino a trarre le lacrime.
Terminata questa fervorosa preghiera pareva venir sorpreso da un letargo mortale, onde
per tenerlo in sentimento gli dimandai se sapeva qual età avesse San Luigi, quando morì, alla
qual domanda scossosi, « S. Luigi, rispose, aveva ventitre anni compiuti, io muoio che non ne ho
ancora nemmen ventidue » Vedendolo intanto estremamente sfinito di forze, venirgli meno il
polso, m'accorsi appressarsi il momento che egli doveva dare l'ultimo abbandono al mondo, ed ai
compagni; perciò presi a suggerirgli quel tanto {69[69]} che venivami a proposito in simili
circostanze, ed egli tutto attento a ciò che gli si diceva, col volto, e colle labbra ridenti,
conservando l'inalterabile sua tranquillità fissi gli occhi nel Crocifisso che stretto teneva tra le
mani giunte innanzi al petto, si sforzava di ripettere ogni parola che gli veniva suggerita. Circa
dieci minuti prima del suo spirare chiamò uno degli astanti, se vuoi gli disse, qualchè cosa per
l'eternità, io.... addio me ne parto. Queste furono le ultime sue parole. Quindi per la durezza delle
labbra e lo spessore della lingua, non potendo più colla voce pronunziare le giaculatorie
suggerite le componeva, e articolava colle labbra. Eranvi altresì due Diaconi che gli leggevano il
proficiscere, il quale terminato, mentre l'anima sua si raccomandava alla Vergine Santissima,
agli Angeli onde fosse da loro offerta nel cospetto dell'Altissimo, nell’atto che si pronunciavano i
nomi di Gesù, e di Maria, sempre sereno, e ridente in volto, movendo egli un dolce sorriso a
guisa di chi resta sorpreso alla vista di un maraviglioso, e giocondo {70[70]} oggetto, senza far
alcun movimento l'anima sua bella si separò dal corpo volando, come piamente si spera, a
riposare nella pace del Signore; le due pomezzanotte prima che sorgesse l’aurora del due aprile
1839 in età d'anni 22 meno 5 giorni. Così morì il giovine chierico Comollo Luigi, il quale seppe
gettare nel suo cuore i semi della virtù nelle più rozze occupazioni, coltivarli in mezzo alle
lusinghe del mondo, perfezionarli con due anni, e mezzo circa di chiericato, facendoli venire a
tutta maturazione con una penosa malattia, e mentre che ognuno si stimava contento di averlo chi
per modello, chi per guida nei consigli, altri per amico leale, egli tutti lasciò nel mondo per
andarci a proteggere, come fondatamente si spera, in Cielo.
Parrebbe sulle prime che un' anima buona, sì cristianamente vissuta qual si era quella del
Comollo, non avrebbe dovuto paventare tanto i giudizi divini; ma se ben si osserva, questa è la
condotta ordinaria ehe tiene Iddio co'suoi eletti, i quali all'idea di doversi presentare al rigoroso
{71[71]} Tribunale ne rimangono pieni di timore, e spavento; ma esso corre in loro soccorso, e
in vece che lo spavento del peccatore continua in agitazioni rimorsi, e disperazione, quello dei
giusti si cangia in coraggio, confidenza, e rassegnazione che produce nel loro cuore la più dolce
allegrezza; e questo è veramente il punto in cui Iddio comincia a far gustare al giusto il
centuplicato compenso delle opere buone che egli ha fatto secondo la promessa del Vangelo, con
raddolcire le amarezze della morte per via di una pacatezza, e tranquillità d'animo, di un
contento, e gaudio interno che ravviva la loro fede, conferma la speranza, infiamma la carità, a
segno che il male per dir così, rallenta il suo rigore, e vi sottentra un saggio anticipato del
godimento di quel bene che Iddio sta per compartir loro in eterno; il che solo, parmi dovrebbe
stimarsi guiderdone sufficiente pei travagli di tutta la vita, confortarci a tollerarli con
rassegnazione e regolare tutte le azioni nostre a seconda dei divini precetti. {72[72]}
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Capo sesto. Suoi Funerali
Fattosi giorno, e sparsasi la voce della morte del Comollo tutto il seminario rimase nella
più mesta costernazione; diceva taluno: in quest'ora Comollo è già in paradiso a pregare per noi;
un altro: quanto bene previde la sua morte! Questi: visse da giusto, morì da santo; quell'altro: se
dagli uomini si può giudicare che un'anima partendo dal mondo voli al paradiso, certamente si
può affermare di quella del Comollo. Quindi ognuno andava a gara onde avere qualche cosa che
fosse stata di sua pertinenza. Taluno fece il possibile per avere il suo Crocifisso, altri per avere
devote immagini; altri poi si stimavano grandemente contenti di poter avere qualche suo
librettino, e fuvvi persino chi, non potendo avere altro, prese il suo collare onde conservarsi
stabile memoria di tanto amato, e venerato collega.
Il signor Rettore del seminario, mosso pur egli dalle singolari circostanze che
accompagnarono {73[73]} la di lui morte, comportando a mal in cuore, che il di lui cadavere
fosse portato al cimiterio comune, appena giorno si recò a Torino dalle autorità civili, ed
ecclesiastiche, da cui ottenne ehe fosse sepolto nella chiesa di san Filippo aderente al Seminario
medesimo. Il professore della conferenza del mattino, cominciò la scuola all'ora solita, ma
venuto il tempo di spiegare, rimirando la mestizia che tutti gli uditori avevano dipinta in fronte,
fu egli pure talmente commosso, che prorompendo in lacrime, e singhiozzi dovette intralasciare
la scuola, non avendo più forza di proferir parola.
L'altro professore la sera venne pure in iscuola ma invece della solita spiegazione fece un
patetico discorso sulla morte del Comollo, nel qual discorso, diceva essere ben giusto il dolore
che ognuno esternava per la perdita di sì prezioso compagno, ma doversi dall'altro canto ognuno
di noi rallegrare nella dolce speranza, che una vita sì edificante, una morte sì preziosa dovesse
averci procurato un protettore in Cielo. Esortò tutti a proporselo per modello di {74[74]}
virtuosa, e costumata chiericale condotta. Definì inoltre in varie maniere la sua morte; morte di
un giusto, morte preziosa negli occhi del Signore, e finì con raccomandarci che ne serbassimo
sempre cara memoria, e procurassimo imitarne le virtù.
Il mattino del 3 aprile coll'intervento di tutti i seminaristi, di tutti i superiori, del signor
Canonico Curato colla sua comitiva fu il suo cadavere processionalmente portato per la città di
Chieri, e dopo lungo giro accompagnato con funerei cantici, e pie preghiere fu portato alla
suddetta Chiesa di San Filippo. Quivi giunti con lugubre musica, con nero, e pomposo apparato
si cantò Messa dal signor Direttore presente cadavere; terminata la quale venne deposto in una
tomba preparatagli vicino allo steccato che ne tramezza la balaustrata. Quasi che quel Gesù
sacramentato, verso cui mostrò tanto amore, e sì volontieri con lui si tratteneva, vicino pure lo
volesse anche dopo la morte.
Sette giorni dopo fecesi pure un solenne funerale con tutto il possibile apparato di
addobbamenti, e di lumi. {75[75]} Questi furono gli ultimi onori resigli dai suoi colleghi, i quali
oltremodo dolenti niente risparmiarono a favor di un compagno a tutti carissimo.
Capo settimo. Conseguenze di sua morte
Ella è verità veramente innegabile che la memoria delle anime buone non finisce colla
loro morte, ma viene tramandata a posteri con loro utilità. Una malattia, e morte accompagnata
da tanti belli esempi, e sentimenti di virtù e di pietà, risvegliò pure in molti seminaristi il
desiderio di volernelo imitare. Perciò non pochi s'impegnarono a seguitare gli avvisi, e consigli
loro dati mentre ancora viveva altri a tener dietro a' suoi esempi, e virtù, di modo che alcuni
seminaristi che prima non mostravano gran fatto di vocazione allo stato cui dicevano aspirare,
dopo la morte del Comollo si videro con le più ferme risoluzioni divenire modelli di virtù.
«Egli fu appunto alla morte del Comollo, {76[76]} dice un suo compagno, che mi sono
risoluto di menare una vita da bravo Chierico per divenire santo ecclesiastico, e quantunque tale
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determinazione sia stata finora inefficace, ciò nulla meno non mi rimango, anzi voglio
addoppiare vieppiù ogni giorno l'impegno.» Nè queste furono solamente determinazioni di primo
movimento, ma continua ancora oggidì farsi sentire il buon odore delle virtù del Comollo. Onde
il Rettore del Seminario alcuni mesi sono, m' ebbe a dire che «il cangiamento di moralità
avvenuto nei nostri Seminaristi alla morte del Comollo, continua ad essere tuttodi permanente.»
Qui sarebbe opportuno osservare che tutto questo avvenne principalmente dietro a due
apparizioni del Comollo seguite dopo la di lui morte; una delle quali viene testificata da
un'intiera camerata d'individui; come pure sarebbe conveniente parlare di alcuni favori celesti
che all'intercessione del medesimo furono ottenuti.
Io però tutto questo tralascio, contentandomi solo di chiudere questo comunque siasi
ragguaglio, con due fatti, ai quali {77[77]} atteso il carattere, e la dignità delle persone che li
affermano parmi potersi prestare tutta la credenza.
Una persona molto impegnata pel servizio di Dio era da lungo tempo tentata: quando con
un mezzo, quando con un altro aveva sempre riuscito a vincere la tentazione; un giorno poi fu sì
gagliarda, che pareva omai essere sgraziatamente vinta, e quanto più cercava d'allontanare le
cattive idee dalla sua fantasia, tanto più vi correvano. Secco, arido, non poteva muoversi a
pregare; allorchè volgendo lo sguardo sopra un tavolino, vide un oggetto che apparteneva al
Comollo che conservava qual grata memoria di lui; « allora mi posi a gridare, afferma la persona
medesima, se tu sei in paradiso, e mi puoi favorire presso il Signore pregalo che mi liberi da
questo terribile frangente. Gran cosa! dette appena tali parole quasi fosse mutato in un altro cessò
del tutto la non voluta tentazione e mi trovai tranquillo. D' allora in poi non tralasciai più
d'invocare in mio soccorso quell'Angioletto {78[7]} di costumi ne' miei bisogni, e ne fui ognor
favorito».
L'altro fatto io lo scrivo tal quale mi viene esposto da chi ne fu l’attore, e testimonio
oculato. « Un mattino fui chiamato a tutta fretta a raccomandare al Signore l’anima di un mio
amico il quale pativa l'ultima agonia. Là giunto lo trovai veramente qual erami stato detto; era
privo dell'uso dei sensi, e della ragione, aveva gli occhi acquosi, le labbra dure, e bagnate di
freddo sudore, le arterie sfinite, e mancanti sì, che avresti detto a minuto dovesse mandare
l'ultimo respiro; lo dimandai più volte, ma senza pro. Non sapendo più che mi fare, dirotte mi
cadevano le lacrime; e in tal frangente venutomi in mente il chierico Comollo, di cui eranmi state
riferite tante belle virtù, volli a sfogo del mio dolore invocarlo. Orsù, dissi, se tu puoi qualche
cosa presso il Signore, pregalo che sollevi quest'anima addolorata, e sia liberata dalle angosce di
morte. Questo dissi, e l'infermo tosto lasciato andare l'estremo del lenzuolo che stretto teneva tra
denti, si riscosse, {79[79]} e cominciò parlare quasi non fosse stato ammalato, e il suo
miglioramento fu tale, che passati otto giorni l’infermo si trovò totalmente guarito da una
malattia che esigeva più mesi di convalescenza, e potè ripigliare le primiere sue occupazioni.
Nel decorso di questo ragguaglio poco si parlò della virtù della modestia che era appunto
quella, che in modo particolare caratterizzava il Comollo. Un esterno così regolato, una condotta
tanto esatta, una compostezza sì edificante, una mortificazione sì compita di tutti i sensi e
principalmente degli occhi fanno arguire che egli abbia una tale virtù in grado eminente
posseduta: e a me pare non dire di troppo se affermo, e nutro costante opinione che egli abbia
portata all' altra vita la bella stola dell'innocenza battesimale. Questo io argomento non solo dalla
scrupolosa riserbatezza nel trattare, o parlare con persone di sesso diverso; ma molto più da certe
materie teologiche che egli niente affatto comprendeva, da certe interrogazioni ridicole che
talvolta faceva, il che mostrava la sua semplicità, e purezza. {80[80]} Mi conferma in questa
opinione ciò che rilevai dal suo Direttore di spirito, il quale dopo lungo discorso meco fatto sul
Comollo, conchiuse che aveva egli conosciuto in lui un Angioletto di costumi, che fervoroso, e
divoto di s. Luigi sempre si studiava d'imitarne le virtù; difatti tuttavolta che di questo santo
faceva parola, (oltrecchè gli offriva mattina, e sera special preghiera) parlavane sempre con
trasporto di contento, e di gioia; anzi gloriavasi perchè ne portava il nome. Son Luigi di nome,
diceva, ah potessi pure un giorno essere Luigi di fatti: che se studiavasi di seguire le virtù di S.
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Luigi gli avrà certamente tenuto dietro in quella che di tal santo è la caratteristica il candore, e
purità di costumi.
Dal fin qui esposto ognun facilmente comprende come le virtù del Comollo quantunque
non siano straordinarie, sono però nel loro genere singolari, e compite, di modo che parmi si
possa proporre per esemplare a qualunqué persona sia secolare, che religiosa: avendo per certo
che chi sarà seguace del Comollo, {81[81]} diventerà giovine virtuoso Chierico esemplare, vero,
e degno ministro del Santuario.
Ecco quel tanto che mi riesci di scrivere intorno al giovane Comollo Luigi, accertando
ognuno avere ciò fatto con animo di esporre niente altro che la pura verità, e appagare le varie
richieste fattemi da'Colleghi, e da altre persone. Contento d' altro canto, se penna miglior della
mia, servendosi di queste stesse memorie, che meschinamente ho esposte, aggiungendo, o
togliendo ciò che più le torna a grado tesserà un più grazioso, compito, e ordinato racconto.
L'autore di questi cenni non intende di dare ad essi altro peso, se non quello della fede
puramente umana. {82[82]}
Indice
Ai signori Seminaristi di Chieri
Capo I. - Fanciullezza di Luigi Comollo
Capo II. - Va a studiare in Chieri
Capo III. - Veste l’abito Chiericale va nel Seminario di Chieri
Capo IV. - Circostanze che precedono la sua Malattia
Capo V. - Diviene infermo, muore
Capo VI. - Suoi Funerali
Capo VII. - Conseguenze di sua morte
pag. 3
5
13
26
42
49
73
76
{83[83]}
{84[84]}
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Con permissione.
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