Don_Bosco-Fatti_contemporanei


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Don Bosco - Fatti contemporanei esposti in forma di dialogo
FATTI CONTEMPORANEI ESPOSTI IN FORMA Dl DIALOGO
TORINO, 1853
TIPOGRLFIA DIR., DA P. DE-AGOSTINI
Via della Zecca, N. 25. {1 [51]} {2 [52]}
[è premesso alle opere dubbie]
INDEX
Al lettore......................................................................................................................................2
Dialogo I. Una promessa.............................................................................................................2
Dialogo II. La caduta...................................................................................................................3
Dialogo III. Il ravvedimento........................................................................................................5
Dialogo IV. L' inferno..................................................................................................................7
Dialogo V. Il punto di morte........................................................................................................9
Dialogo VI. La madre cruciata..................................................................................................10
Dialogo VII. La buona accoglienza...........................................................................................11
Racconto....................................................................................................................................14
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Al lettore
La materia contenuta in questo fascicolo sono fatti storici che vidi io stesso o furono
riferiti da persone che ne furono testimoni oculari. Io non ho fatto altro che esporli in forma di
dialogo.
Per motivi ragionevoli ho stimato di ommettere i nomi di alcune persone a cui si
riferiscono.
Io mi raccomando ai padri ed alle madri di famiglia, affinché facciano leggere e
spieghino alla loro figliuolanza questi fatti, che potranno servire di norma nell'operare e di
preservativo nelle critiche circostanze in cui l'incauta gioventù in questi procellosi tempi si trova.
{3 [53]} {4 [54]}
Dialogo I. Una promessa.
Ministro protestante B. e Giovanni.
Gioanni. Riveritissimo, signor Ministro, potrei parlargli un tantino?
Ministro B. Salute, amico; venite pure avanti, sedetevi; mi sbrigo soltanto di una
commissione che riguarda ai miei ragazzi ed a mia moglie, e poi sarò da voi.
Gio. Faccia, signor Ministro; io attendo.
Min. Ecco, fatto: sono ai vostri cenni; vi potrei servire in qualche cosa?
Gio. Io sono uno sventurato senza religione, e vorrei farmi protestante.
Min. Oh! sia ringraziato il cielo; il Signore vi comincia ad illuminare: date gloria a Dio;
ma, ditemi: per lo innanzi a quale religione apparteneste?
Gio. Alla religione cattolica; ma non l'ho mai osservata.
Min. Perchè ora vorreste farvi protestante?
Gio. Perchè i preti cattolici non hanno carità, lasciano perire di stento e di miseria, {5
[55]} e non danno mai un soldo di limosina.
Min. Proprio così, avete ben ragione; quei clericali1 non danno mai nulla; purchè possano
impinguar se stessi, delle miserie altrui non si danno fastidio.
Gio. Immaginatevi, signor Ministro; io sono un emigrato, che vuol dire persona di onore,
fui alquanto ammalato, pure lo credereste? vado a dimandare qualche cosa al mio parroco, e non
mi dà che sei soldi per volta; un altro prete mi dà qualche otto soldi, talvolta un altro me ne dà
dieci. Ricevo bensì qualche cosa dall'emigrazione; ma come poter vivere onestamente con queste
tenui entrate?
Min. Senza dubbio non si può: specialmente una persona di condizione come mi
sembrate voi. Vitto, vestito, alloggio, un po’ di caffè, qualche partita, di certo non si può andare
avanti.
Gio. Egli è per questo che io voglio farmi protestante; così spero d'incontrare maggior
carità. {6 [56]}
Min. Ah! qui notate bene, che noi non diamo cosa alcuna affinchè uno si faccia
protestante.
Perciocchè ci stanno sempre alle prese per censurarci, quasicchè noi ci facciamo dei
seguaci coll'oro; queste sono calunnie dei giornali clericali.
1La parola clericale significa propriamente un individuo appartenente al Clero Cattolico: ma i protestanti ed i
malevoli cattolici sogliono usarla in senso di disprezzo.
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Gio. Ma come va questo? mi dicono che i protestanti hanno tanta carità, e voi mi dite che
danno niente.
Min. Voi non mi comprendete: noi non diamo danaro perchè un individuo si faccia
protestante, ma lo soccorriamo quando si è fatto.
Gio. Ho capito; dunque io voglio farmi appunto protestante.
Min. Prima di abbracciare questa nuova religione, è indispensabile che voi per qualche
tempo frequentiate le nostre prediche per farvi istruire.
Gio. Ma io ho bisogno di esserlo presto.
Min. Perchè?
Gio. Perchè ho bisogno di una somma per un certo affare di grande urgenza.
Min. Caro mio, non possiamo darvi niente finchè non siate protestante, e non vi potete
fare protestante senza che abbiate almeno sentita alcuna delle nostre prediche. Tuttavia, ditemi:
in che {7 [57]} cosa consiste questo vostro grande bisogno?
Gio. Questo mio bisogno consiste nella somma di 43 franchi, i quali debbo al padrone di
casa per fitto.
Min. Stando le cose così, possiamo aggiustare l'affare altrimenti. Noi non diamo i danari
a voi, ma andremo noi stessi a pagare questo debito; in questa maniera i clericali non potranno
calunniarci che noi diamo danaro per farci seguaci.
Gio. Benissimo, signor Ministro; oh, l'ho sempre detto che i protestanti sono pieni di
carità! studiano fino il modo di fare il bene per non compromettersi: che santa religione è mai la
vostra!
Min. Voi però siate accorto a non far parola di questa determinazione; perchè noi
protestanti nel fare le opere di carità non vogliamo che la mano sinistra sappia quello che fa la
mano destra; e poi se taluno venisse a scoprire tali cose, interpreterebbe tutto al rovescio.
Gio. Lasci far da me, che so il mio mestiere; sono assai pratico in questi affari.
Min. Ditemi adunque il vostro nome.
Gio. Gioanni B. di Lodi.
Min. Dove dimorate? {8 [58]}
Gio. Contrada dell'Arco, No N.
Min. Così basta: ora andate pure tranquillo; per quel vostro affare ci penseremo noi; siate
soltanto frequente alle nostre prediche, e poi ...
Gio. Tante grazie, signor Ministro; vi sarò sempre mai riconoscente.
Min. Buon giorno; bisogna ch’io vada; i miei ragazzi mi chiamano.
Gioanni parte, e per istrada va ragionando così: i miei ragazzi, la mia moglie; che sorta di
preti son questi mai! mi pare che abbiano tutt'altro di mira, che insinuare il santo timor di Dio in
quelli che li vanno a trovare. E poi, che razza di carità è questa loro? non voler dar niente, se non
a condizione di farsi protestante! Comunque sia, mi ha promesso di pagarmi quei cinque mesi di
fitto. Esso dice che non vuol dare il danaro a me; questo nulla importa, purchè il mio debito sia
pagato. Io però ci credo niente al protestantismo; verrò nulla di meno una volta o due a queste
prediche, finchè m'abbiano pagato il debito, e poi tutto è finito.
Perciocchè io non voglio abbracciare una religione, i cui ministri hanno la casa piena di
moglie e di ragazzi; una {9 [59]} religione che non ha capo, non ha sacramenti, non presenta
alcun carattere della divinità.
Dialogo II. La caduta.
Felice ed un Amico.
Amico. Appena avrai tempo, o Felice, vorrei che mi raccontassi la storia della tua caduta
nel protestantismo.
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Fel. Volentieri, quando che sia: è un fatto doloroso, mi rattrista il solo pensarci; ma
poichè il Signore mi ha liberato da quella disgrazia, non ho alcuna difficoltà di appagarvi.
Am. Oggi abbiamo un ritaglio di tempo; possiamo spenderlo in questo.
Felice. Ed io darò principio. Prima di tutto debbo notarvi che da giovine ebbi la sventura
di perdere mio padre e mia madre, e sebbene io sia andato qualche tempo a scuola, ed abbia
discretamente imparato a leggere e scrivere, tuttavia nella religione fui trascurato a segno, che,
quando giunse il tempo di arruolarmi {10 [60]} al servizio militare, io sapeva nemmeno a qual
religione appartenessi.
Voi ben sapete che tra' militari se ne sentono delle bianche e delle grigie, e sebbene si
incontrino parecchi giovani buoni, appartenenti ad oneste famiglie, ciò non pertanto molti
parlano e vivono come se non ci fosse religione di sorta. Fra questi ultimi, mi vergogno il dirlo!
ci fui anch'io. In mezzo a tutte queste vicende ho un motivo di ringraziare il cielo, ed è che il
furto e la disonestà furono due vizi da me sempre abborriti, vizi che mi adoperai in tutte guise
per tenerli da me lontani.
Am. Tu mi racconti le tue imprese militari; io vorrei sentire come andò che tu ti sei fatto
protestante.
Fel. Ho stimato bene di darvi un cenno sul mio tenore di vita, per farvi comprendere che
io non era fervoroso cattolico, quando caddi nel laccio dei Protestanti. Ecco ora quello che mi
condusse ad un tale eccesso.
Finito il servizio militare, mi posi a lavorare di mia professione per campare la vita; ma in
mezzo alle dure fatiche del corpo, sentiva in me stesso un'ansietà, una inquietudine: non era
bisogno {11 [61]} di cibo nè di bevanda, e non sapendo quale cosa potesse appagare questo
bisogno, io mi trovava qual uomo che vive, ma così languido e sfinito, che la vita gli torna
piuttosto di peso, che di conforto.
Confidai queste mie interne afflizioni ad un amico, e questi saviamente mi osservò che
insieme col sostentamento del corpo l'uomo ha bisogno del conforto dello spirito, e che tale
conforto non si può altronde trovare se non nella reliligione, la quale sola può sollevare i pensieri
e gli affetti dell'anima ad un bene sublime e perfetto che nella vita presente non si trova.
Quivi era la gran difficoltà: non sapeva a qual partito appigliarmi, nemmeno quale
religione professare. In queste incertezze alcuni compagni mi condussero ad ascoltare le prediche
dei Protestanti. Siccome da lunga pezza io non aveva più sentito prediche, provai profonda
sensazione, e subito chiesi di parlare col ministro predicatore.
Am. Ebbene, come ti accolse quel ministro?
Fel. Egli mi accolse graziosamente, mi diede alcuni libri, la Bibbia del Diodati, {12 [62]}
e mi raccomandò di farmi coraggio e di frequentare le loro prediche.
Am. Che cosa hai notato in quelle prediche?
Fel. Quelle prediche a prima vista mi piacquero assai; due cose però mi davano materia
da pensare. La prima era, che in ogni predica risuonavano sempre espressioni accanite contro il
Papa e contro ai Cattolici, quasichè preti e papi fossero altrettanti gonzi, e che tutta la scienza
fosse nelle saccocce dei ministri protestanti; la seconda era, che avendo fatto alcune difficoltà,
mi furono spiegate in una maniera che non ho potuto comprendere cosa alcuna; ed io aveva
sempre sentito a dire che ne' loro catechismi tutte quante le difficoltà i preti cattolici spiegano
così chiaramente che qualsiasi uomo rozzo e privo d'istruzione potrebbe capirle.
Ciò non ostante, non conoscendo altra religione migliore, decisi di farmi protestante.
Am. Si suole usare qualche formalità quando un cattolico apostata dalla propria religione?
Fel. Nissuna formalità: mi dimandarono semplicemente se era persuaso che {13 [63]} il
Protestantismo fosse la vera religione di Gesù Cristo: ed io sciaguratamente risposi che credeva
di sì. Mi soggiunse allora di essere frequente alle loro prediche per potermi mantener fermo nella
fede; poscia, ohimè, mi cadono le lagrime!
Am. Che facesti di poi?
Fel. Di poi mi fu presentato un libro in cui sono notati tutti i Protestanti ed io mi feci pur
scrivere là, a mia eterna infamia: Vacca Felice d'Asti. Parole che io presentemente intendo di
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ritrattare, e che verserei tutto il mio sangue per cancellarle; la qual cosa sarebbe ancor poco,
perchè con quella firma ho rinnegata la santa Fede di Gesù Cristo.
Am. Quel ministro non ti diede alcun ricordo?
Fel. Me ne diede uno, che ho ancora vivamente impresso nella memoria.
Am. Quale?
Fel. Prima di licenziarmi, presemi per mano dicendo: ritornate da qui ad alcuni giorni e vi
daremo ciò che vi riguarda. Che cosa mi riguarda, io risposi? Noi, replicò l'altro, siamo soliti di
dare una qualche somma a tutti quelli che abbracciano la nostra religione. Io {14 [64]} non
voglio nulla, tosto ripigliai: io ho abbracciata questa religione per motivi unicamente religiosi e
voglio escludere ogni sorta d'interessi temporali.
Aveva già più volte sentito a dire che la predica più potente dei Protestanti era il danaro,
e non l'aveva mai potuto credere, finchè n'ebbi prova di fatto.
Quante grazie, vi rendo, o grande Iddio, che mi avete cavato fuori da quell'abisso di
miserie in cui io era sgraziatamente caduto; senza un tratto di vostra infinita misericordia, io era
eternamente perduto.
Dialogo III. Il ravvedimento.
Am. Prendo vivissima parte a questa tua disgrazia, e lodo la divina misericordia che non ti
abbia abbandonato nel deplorabile stato in cui ti sei volontariamente, ma, direi quasi,
incautamente precipitato. Ora dimmi: qual fortunato incidente ti condusse di nuovo alla primiera
tua religione?
Fel. Prima di accennarvi la strada providenziale, che il Signore mi aprì {15 [65]} per
condurmi nuovamente al Cattolicismo, voglio farvi notare che io era niente affatto contento della
mia nuova religione: l'incertezza e l'inquietudine crescevano tutti i giorni.
Am. Perchè?
Fel. Perchè mi pareva impossibile che fosse buona una religione che era così malamente
osservata. Alcuni miei compagni si fecero pure protestanti, ma la loro vita perseverava nel
libertinaggio come prima.
Talvolta io faceva delle difficoltà, e mi erano spiegate in modo da essere più imbrogliato
di prima.
Il tempio, essendo la casa di Dio, dovrebbe essere tenuto col massimo decoro, ed in esso
ognuno dovrebbe diportarsi con tutto rispetto. All'opposto io vedeva le case dei ministri assai
meglio addobbate delle chiese loro. Si entrava e si usciva di chiesa con maggior indifferenza che
non si fa entrando in una bettola od in una bottega da caffè.
Voi avreste veduto uomini e donne, vecchi e fanciulli, entrare in quello che essi pure
dicono luogo santo, senza fare un segno di croce, non un inchino, non una genuflessione. {16
[66]}
Am. Almeno entrando avran fatto qualche preghiera?
Fel. Io non vidi mai alcuno a pregare. Giunto in chiesa, ciascun mette un momento la
faccia nel cappello: poscia, guarda qua e colà finchè giunge il predicatore, oppure se ne parte
senza più.
Almeno nelle loro chiese ci fosse qualche oggetto che potesse inspirare divozione, come
era quello degli Ebrei! perciocchè io leggeva nella Bibbia che nel tempio di Salomone tutti si
prostravano dinanzi all'Arca ivi accolta: colà un magnifico vaso per l'acqua benedetta, due belle
statue di Cherubini a' fianchi di un magnifico altare, per modo che quel tempio dava un aspetto
di Paradiso.
Niente di tutto questo in quelle chiese; non una croce, non una statua, non un altare;
insomma niuna di quelle cose che muovevano a divozione nelle chiese degli Ebrei, e niuna di
quelle che con assai più di espressione movono a religiosi affetti nelle chiese dei Cattolici. Una
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tavola, una cattedra, alcuni banchi, non per inginocchiarsi, ma solo per sedersi, sono il decoro e
l'ornamento del luogo destinato al culto della Divina Maestà.{17 [67]}
Am. Ebbene, caro Felice, che riflesso facevi tu sopra queste cose?
Fel. Io conchiudeva, che senza entrare in alcuna discussione religiosa, le pratiche
religiose del Cattolicismo lo rendeva più rispettabile e da preferirsi al Protestantismo.
Am. Hai ragione. Ma intanto che cosa facevi?
Fel. Intanto io era più che mai assiduo alle prediche ed alla lettura di libri protestanti, per
provare se mi riusciva di riconoscere la verità in quella religione cui mi era ascritto.
Mentre il mio spirito pareva che cominciasse a gustare qualche poco le pratiche della
chiesa riformata, un incidente, o, dirò meglio, Dio con un luminoso tratto di bontà e di
misericordia venne in mio soccorso.
Am. Questo appunto io desidero che mi racconti minutamente.
Fel. Ed io ve lo racconterò minutamente: un mio nipote un giorno portò a casa un libro
così intitolato: AVVISI AI CATTOLICI, ed era l'introduzione alle Letture Cattoliche. Io mi posi a
leggerlo con avidità, come appunto faceva dei libri protestanti; ma che! ogni linea mi faceva {18
[68]} nascere un dubbio, ed appena potei finire di leggerlo, che il mio cuore trovavasi nella
massima costernazione. Conobbi allora il bisogno di consultare qualche persona, e mi determinai
di andare da un prete, dicendo tra me o che egli non saprà sciogliere le mie difficoltà, ed allora
mi confermerò nel Protestantismo; o che egli mi appagherà nelle mie dimande, ed in questo caso
ritornerò alla Religione Cattolica. Qui tutto cangiò aspetto: il modo facile, affabile, tranquillo e
chiaro con cui venivano sciolti tutti i miei dubbi, fece tosto conoscere esservi qualche cosa nel
Cattolicismo, che non trovavasi nel Protestantismo.
Am. Avrei caro che ti spiegassi chiaramente su questo punto, perchè è di grave
importanza il conoscere la grande differenza che tu hai trovato tra le conferenze protestanti e le
conferenze cattoliche.
Fel. La differenza stava qui: 1° I ministri protestanti cercano di coprire le difficoltà con
molte parole; i Cattolici presentano le difficoltà nel loro vero aspetto, e poi le risolvono con
ragioni, dimandano se fu tutto inteso, e non vogliono {19 [69]} che rimanga alcun dubbio sopra
ciò di cui si ragiona.
2o I Protestanti, per rispondere a certe difficoltà, saltano da una questione in un'altra; ed il
loro più valevole argomento è gridar forte, e vibrare ingiurie contro ai Cattolici; i Cattolici
stanno fermi sul punto proposto, nè vogliono passare ad altro, finchè i dubbi siano pienamente
dilucidati; e ciò con calma e tranquillità, come se fosse una conversazione tra intimi amici, senza
adirarsi, senza schiamazzare.
3° I Cattolici dicono le cose col loro nome, ed i Protestanti fanno mille misteri; per
esempio, i Cattolici dicono subito, che ci vuole molto studio per capire la Bibbia, e che non tutti
sono capaci di comprenderla; i ministri protestanti dicono la Bibbia, essere chiara, e tutti poterla
capire; ed intanto pretendono che gli altri vadano ad ascoltarli, e seguano ciecamente le loro
spiegazioni.
Queste cose mi fecero ravvisare il Cattolicismo sotto ad un aspetto ben diverso da quello
che lo dipingevano i Protestanti.
Am. Nelle tue questioni, quale ti sembrò {20 [70]} di maggior rilievo, e che racchiudesse
maggiori difficoltà?
Fel. Era la Confessione.
Am. Perchè?
Fel. Perchè nei libri, nelle prediche, nelle conversazioni, i Protestanti gridano sempre
contro a questo Sacramento, dicendo sempre che nel Vangelo non si parla mai di Confessione.
Am. Questa questione come ti fu sciolta?
Fel. In un modo lepido.
Am. Quale?
Fel. Eccolo: io misi in ordine tutte quante le difficoltà, ed anche tutte le parole più
insulse, con cui i Protestanti sogliono parlare della Confessione: dopo che io ebbi parlato circa
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mezz'ora, aspettava dal mio avversario qualche seria risposta analoga alle molte difficoltà da me
fatte; ed egli invece si pose a ridere. Perchè ridete, gli dissi, ho detto qualche sproposito?
Non rido nè per li tuoi spropositi, l'altro mi disse, nè per le difficoltà fatte; ma rido perchè
voglio che tu stesso sii lo scioglitore di tutte queste difficoltà; prendi e leggi. Mi diede il
Vangelo, e me lo aprì appunto in quel luogo, ove il Salvatore dopo la sua risurrezione comparve
agli Apostoli, {21 [71]} e disse loro: Ricevete lo Spirito Santo; quelli a cui rimetterete i peccati,
saranno rimessi; e quelli a cui li riterrete, saranno ritenuti. Indi soggiunse: leggi e medita, io vado
a pregare il Signore pel bene dell'anima tua; di qui a mezz'ora sarò nuovamente da te.
Oh, caro amico, egli fu in quel momento, che mi si tolsero le tenebre dalla mente!
Conobbi che quelle parole mi furono sempre tenute nascoste dai Protestanti: Che se Gesù Cristo
aveva dato agli Apostoli la facoltà di rimettere i peccati, è indispensabile, che, per ottenerne il
perdono, siano loro manifestati. Inoltre, per sapere quando devono rimettere o non rimettere i
peccati, cioè dare o non dare l'assoluzione, è necessario che formino un giudicio sulla qualità
della colpa e sulle disposizioni del penitente; ma come poter giudicare, se i peccati si tengono
nascosti nel cuore? se non si rendono manifesti? Il Signore illuminò la mia mente, la verità parve
luminosissima agli occhi miei.
Allora fui tutto commosso nel mio interno, le lagrime mi cadevano dagli occhi, nè
potendo più reggere alle sensibili agitazioni del mio cuore, m'inginocchiai dinanzi {22 [72]}
all'immagine di Gesù Crocifisso, gridando ad alta voce: mio Salvatore, vi ho rinnegato
perdonatemi. Giunse intanto il mio avversario, che da quel momento cominciai a chiamare mio
benefattore. E vedutomi là prostrato e piangente, che c'è, dissemi, che c'è? Io son cattolico,
esclamai, io son cattolico: ditemi quanto debbo fare per aggiustare le cose che riguardano
all'anima mia.
Eccovi, mio amico, in breve la dolorosa storia della mia caduta, ed il fatto per me sempre
glorioso del mio ravvedimento.
Dopo di ciò feci quelle cose che sono tutte a voi note, le quali perciò prescindo di
raccontare.
Am. Mi rallegro di tutto cuore con te, o caro Felice, pel trionfo che la divina grazia portò
del tuo cuore. Procura di corrispondere a questi segnalati divini favori; sii costante nel servizio
del Signore, ed io spero, che coloro i quali sgraziatamente ti seguirono nell'errore, seguiranno
pure il tuo esempio ritornando alla Santa Chiesa Cattolica, vero ovile di Gesù Cristo. {23 [73]}
Dialogo IV. L' inferno.
Un ministro protestante ed un inferno.
Infermo. Benvenuto, signor ministro, l'attendeva con ansietà.
Ministro. Ho fatto ogni possibile per venirvi a vedere; e come state?
I. Siamo a cattivo punto; da due giorni le cose vanno di male in peggio. Ora voglio
aggiustare le faccende dell'anima mia; c'è già venuto un prete, il quale voleva assolutamente
confesssarmi; io gli ho sempre risposto di no, dicendo che voleva confessarmi dal mio ministro.
M. Bravo! Ottimamente: quei preti sono così seccanti , che non solo molestano la gente
sana, ma vanno perfino ad inquietare gli ammalati. Fate coraggio; spero che guarirete ancora; vi
fa mestieri di qualche cosa?
I. lo l'ho mandato a chiamare a bella posta per confessarmi. Ho già fatto il mio esame e
mi sento assai male.
M. Prendete qui; c'è qualche cosa in un pacco per voi, ritornerò presto, fate coraggio. {24
[74]}
I. Ma, signor ministro, non mi capisce? io l'ho mandato a chiamare a bella posta per
confessarmi.
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M. Oh! Confessarvi .... vaneggiate, o dite per burla?
I. Sono assai male, ma non vaneggio e dico da vero; ho bisogno di confessarmi: vuol
rifiutarmi quest'opera di carità?
M. Ma non sapete che la Confessione è una favola inventata dai preti?
I. Se sia una favola inventata dai preti, io noi so; il certo si è che gli Ebrei nella legge
antica si confessavano2; nel Vangelo ho letto in più luoghi, che il Signore ha dato ai suoi
Apostoli la facoltà di rimettere i peccati; io so che frati e monache, preti, e fino i vescovi, si
confessano: e non sarebbero tanto minchioni di essere così assidui a questo Sacramento se non
ne fossero ben persuasi. {25 [75]}
M. Dio solo perdona i peccati; che bisogno avete voi di confessarvi? non basta
domandare perdono di cuore a lui?
I. Dimandare perdono al Signore, è cosa buona; ma se egli non volesse perdonarmi i
peccati senza che li confessi, posso io comandare al Signore, e farmeli altrimenti perdonare?
Altronde supponga, sig. Ministro, eh'io abbia uno scandalo da riparare, qualche danno recato alla
roba, alla persona, all'onore del mio prossimo, chi mi darebbe i consigli necessari? Chi mi
additerebbe le mie obbligazioni? Insomma, io sono oppresso dal male, non voglio disputare, ma
voglio confessarmi.
M. Bisogna che qualche prete vi abbia empiuto ben la testa; ma, ditemi: come va che in
questi due anni avete sempre frequentate le nostre chiese, e non avete cercato di Confessione?
I. Quando era sano, badava a divertirmi e non pensava all'anima; ora mi trovo sul finire
della mia vita, e voglio usare tutti i mezzi per conseguire la mia eterna salvezza: voglio
confessarmi, ricevere il Viatico, ricevere l'Olio Santo, ricevere la Benedizione Papale. {26 [76]}
M. Ma queste cose sono inutili per la vostra eterna salvezza.
I. Orsù, finiamo ogni disputa: se io ricevo questi sacramenti faccio male?
M. Ma qui, vedete, io non voglio subito giudicare; ma però, almeno si potrebbe fare a
meno, perchè io giudico che siano cose inutili.
I. Io non dimando se siano cose utili od inutili: io dimando se ricevendo questi sacramenti
faccio male o no: rispondetemi una parola sola: SÌ o NO.
M. Ma poichè voi mi riducete a queste strettezze, io vi rispondo secondo che detta la mia
coscienza, e vi dirò, che ricevendo questi sacramenti, non fate alcun male.
I. Basta così: voi, signor Ministro, mi dite che non faccio alcun male ricevendo questi
sacramenti: i preti cattolici mi dicono, che se io non ricevo questi sacramenti sono eternamente
dannato dunque io voglio prendere la strada certa e riceverli: e poichè voi non credete a queste
cose, e perciò non volete confessarmi, andatevene in santa pace; io mi aggiusterò con un prete
cattolico.
L'Inf. solo. Ho veramente fatto una minchioneria a farmi protestante: quando {27 [77]}
uno è in sanità, si ride, e pare di stare tranquillo; ma al punto di morte, come si fanno sentire i
rimorsi d'aver rinnegato la propria religione! Voglio pregare mia madre affinchè vada a pregare
l'antico mio confessore; egli mi ha sempre voluto bene, e mi dava ottimi consigli egli è una
persona prudente, e saprà aggiustare le partite dell'anima mia.
Il Min. partendo. Questa non me l'aspettava; bisogna che qualche prete gli abbia
riempiuta ben la testa. Io me ne sono già accorto che quei cattolici, i quali si fanno protestanti,
sono i più deboli nella fede. Sono così imbevuti di quella Confessione, che appena cadono
ammalati, subito vogliono confessarsi: per finire tutti i guai, è meglio che si faccia un concilio di
ministri, e che si introduca anche tra di noi la confessione.
Però, fino ad un certo punto do ragione a questo infermo. E sebbene io giudichi inutili
queste pratiche dei cattolici, tuttavia non fa male chi ne fa uso; e se noti altro, datino un qualche
conforto all'ammalato. Adesso voglio andare da un altro infermo, che mi ha pure fatto chiamare:
ma quello là è più {28 [78]} fermo nella fede, e non mi accadrà più un giuoco somigliante.
2Mosè dopo di aver numerato vari casi, in cui gli Ebrei avrebbero potuto peccare, dice queste precise parole:
«quando alcuno del popolo peccherà in alcuni di questi casi, allora confesserà sopra di che ha mancato, offerirà il
sacrifizio della sua colpa al Signore e per opera del sacerdote sarà mandato dal suo peccato». (Levit., c. 4.)
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Dialogo V. Il punto di morte.
Un Ministro Protestante al letto di un moribondo.
Ministro. Fratel mio, come state? Come avete passata la notte?
Inferno. Male, sig. Ministro, male; io sono al fine di mia vita.
M. Non perdetevi di coraggio; siete ancora in buona età: ravvivate la vostra fede, e chi sa
che fra breve non siate fuor di letto.
I. Io soffro molto, e, quello che è più, i mali dello spirito superano quelli del corpo.
M. Qualche grave tentazione, non è vero? Sul fine dei nostri giorni il demonio fa quel che
può per tentare ed inquietare lo spirito.
I. Se sia tentazione, io nol so: il fatto sta, che l'incertezza di mia salute presentemente è il
maggiore de'miei mali. {29 [79]}
M. No, caro mio, ravvivate la vostra fede ... credete in Dio, egli vi aiuterà.
I. Appunto la Fede mi cagiona queste angustie. La Fede m'insegna, dover noi usare ogni
mezzo possibile per assicurarci la salute dell'anima; ed io penso che i Cattolici hanno molti
mezzi di salute che noi non abbiamo. I Cattolici in punto di morte confessano i proprii peccati,
ricevono l'Eucaristia accompagnata dai preti, e da altri cristiani che pregano per l'infermo; e
molte cose nelle chiese e nelle case dei privati si fanno in punto di morte e dopo morte a pro del
cristiano: ah, queste cose sono certamente di gran conforto! tra di noi non si amministra un
Sacramento, non si dà una benedizione, e non si fa una preghiera.
M. Su via, cessate da queste inquietudini: prendete; qui ci sono due monete, guardate
comè sono lucenti!
I. Queste cose rallegrano il cuore quando siamo in sanità: ma adesso mùovono piuttosto
al dolore ed al pianto, specialmente pensando al cattivo uso che feci del danaro pel passato.
Il ministro solo passeggiando per la camera. Mi pare che costui vacilli; bisogna che io lo
accudisca, altrimenti {30 [80]} mi viene qualche prete, e sotto all'aspetto dei grandi conforti che
i Cattolici porgono ai moribondi, me lo guadagna; non mi pensava che queste inezie avessero
tanta forza sull'immaginazione dell' uomo.
I. Signor ministro, venite qui; ho bisogno di chiedervi una cosa.
M. Sì, fratello; chiedete pure, sono ai vostri ordini.
I. In tutto quel tempo che voi siete vissuto nella Cattolica Religione, avete creduto che un
buon cattolico, probo, onesto, si potesse salvare?
M. Sì; certamente; io ho sempre creduto, finchè stetti nella Religione Romana.
I. E da che vi faceste protestante, avete ancora creduto che un buon cattolico, che osservi
fedelmente la sua legge, si possa salvare.
M. Se ha buona fede, e speri nei meriti di Gesù Cristo, certamente si può salvare.
I. Ohimè! voi dite che i buoni cattolici si possono salvare; ed i cattolici gridano
costantemente, che i Protestanti non si salvano nella loro religione. Povero me! in che tremendo
stato mi trovo {31 [81]} mai! Conosco ora la ragione, per cui, il nostro ministro Peyran, sebbene
abbia molto scritto e predicato a favore del Protestantismo, tuttavia in punto di morte fe'tutti li
suoi sforzi per morir cattolico.
M. Non affannatevi, caro fratello; voi fate delle difficoltà dove non ci sono; è vero che un
buon cattolico può salvarsi , ma possiamo salvarci anche noi, e forse con maggior facilità.
I. Comprendo quello che volete dire; ma intanto è certo che un buon cattolico si salva, ed
è cosa almeno dubbia che un protestante si salvi. Se io avessi due anime, potrei lasciarne andare
una col dubbio all'altra vita; e se si perde, me ne rimane ancora una. Ma io ho un'anima sola, e se
la perdo, tutto è perduto eternamente per me.
Se voi me lo permettete , signor ministro, io vorrei farmi cattolico.
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M. Tacete, non è il momento di pensare a queste cose; voi non avete più la testa a posto.
Siete finora vissuto da uomo onesto, ed ora sul finire dei vostri giorni vorreste prevaricare?
I. Mi pare che non sia prevaricare quando un uomo lascia la strada del dubbio per
prendere quella della certezza. {32 [82]}
M. Vel dico di nuovo, tacete: volete dare questo scandalo ai vostri amici, i quali diranno
aver voi abbracciato il Cattolicismo sul finire di vostra vita?
I. Ma dovranno dire altresì, che ho fatto ciò per assicurare la salvezza dell'anima mia.
M. Come! osereste cagionar un tal disonore ai vostri parenti?
I. lo credo che sia per li miei parenti una gloria, quando si dica che mi son fatto cattolico
per assicurare la mia eterna salvezza; e poi dicano quel che vogliono dire: se io mi danno, niuno,
nè parente, nè amico, verrà a cavarmi dall'inferno. Ma ohimè! presto , signor ministro, mi manca
il respiro, andatemi a chiamare un prete: ohimè! Fatemi ... questa ... carità ... non siate tanto
crudele ... Queste furono le ultime parole dell'infermo, il quale tosto perdette l'uso dei sensi e
della ragione.
Allora quel ministro, secondo l'uso de'Valdesi, ordinò ad una persona di servizio di torre
il guanciale di sotto al capo dell'infermo, e lasciandolo così solo ansante e gemebondo, chiusero
tutte le entrate della camera, indi uscirono; nè più alcuno vi fece ritorno, finchè non ci {33 [83]}
furono indizi sicuri, che l'infermo aveva tramandato l'ultimo respiro. Abbiamo però da consolarci
nel nostro cuore, che sebbene quell'infermo non abbia potuto avere un sacerdote per compiere
quanto è necessario in simili circostanze, possiamo tuttavia sperare, che Iddio abbia appagato li
suoi buoni desiderii, e che siasi salvato.
Questo fatto fu letteralmente esposto quale venne riferito da chi fece parte di questa
dolorosa tragedia.
Chi poi volesse leggere fatti somiglianti, e ancor più tragici, può leggere le preziose
operette del Canonico Paolo Barone, e segnatamente quella intitolata Giuditta.
Dialogo VI. La madre cruciata.
Madre e Curato
Madre. Sig. Curato, io sono al colmo de'disgusti; il mio Luigi è divenuto tanto
scostumato, che non si può dire di più.
Curato. In verità è molto tempo che noi vedo più; che cosa fa?
M. Oh! vedete ... da sei mesi in qua è divenuto insolente, disubbidiente, risponde, {34
[84]} prende in casa quello che può. Non vuol più saperne di andare a con fessarsi, non va in
chiesa se non per forza; povera me! io sono sconsolata. Egli fu così buono fino a 48 anni , ed ora
vedermelo tutti i giorni divenir peggiore; già un suo compagno fu condotto in prigione. Ahimè!
io temo al solo pensare che una simil sorte possa avvenire a mio figlio.
C. Anch'io ebbi nuove non troppo buone di questo vostro figlio, ma non pensava che la
cosa fosse a questo punto. Egli era così buono, che io lo proponeva per esemplare agli altri
compagni. Povero giovine, mi rincresce assai.
M. Che dolore per una madre! Mi sono colanto adoperata per allevarlo bene, ho fatto
tante spese, l'ho sempre accudito e fatto accudire; e tutte le mie sollecitudini andarono al vento.
C. Spero che le vostre sollecitudini non siano ancora andate al vento, nè voglio che lo
supponiamo si presto perduto; ditemi: sapreste voi dirmi quale sia la cagione di questo
peggioramento?
M. Io noi saprei!
C. Frequenta egli cattive compagnie? {35 [85]}
M. In casa io non vedo nissuno, ma c'è sempre qualcheduno che lo chiama fischiando, ed
egli, dicendo di ritornare tosto, viene chi sa quando, ed io non so dove vada.
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C. Avete potuto scoprire che legga libri o giornali cattivi?
M. Non mi lascia più veder nulla; solamente un giorno nelle saccoccie dei calzoni vi
trovai questo libro, che io giudico essere un almanacco.
C. Lasciatemelo vedere.
M. Lo prenda, e sappia dirmi che cosa contenga.
C. Ahi! ahi! ahi! povero Luigi!
M. È forse un libro proibito?
C. Proibitissimo; voglio nemmeno dirvi il titolo; contiene la quinta essenza di quanto si
può dire contro la nostra santa religione. Questo libro è la sorgente di tutti i vostri mali.
M. Me povera donna! sono veramente una madre infelice! che cosa ho da fare? io vado a
casa, dirò tutto a mio marito, il quale, sapendo queste cose, o Dio buono! lo lascierà per morto.
C. No: in questo caso io stimo di usare altri mezzi. In così poco tempo io credo che
vostro figlio non sia divenuto tanto {36 [86]} malvagio, che le ragioni non gli possano più
giovare. Mandatemelo: parlandogli, spero di poterlo ridurre a buoni sentimenti. Perciocchè egli
mi amava assai, ed avendomi sempre ascoltato con piacere, neppure vorrà rifiutarsi di ubbidirmi
questa volta.
M. Questo va bene, ma egli non viene: so certo, che quando vi vede da una parte, egli
fugge da un'altra.
C. Studiate qualche modo, sotto pretesto di farmi qualche commissione ...
M. Per appunto: domani il vostro servo deve portare a casa la biancheria del bucato; ci
sono due grossi fagotti; egli può aspettare che mio tiglio sia a casa e poi lo inviti a portarne uno:
egli ignorando questa nostra intelligenza, di certo acconsentirà: così, così ... Io parlerò col vostro
servo. Voi intanto, sig. Curato, procurate di trovarvi a casa a mezzogiorno, sgridatelo o
prendetelo alle buone, io rimetto tutto alla vostra prudenza.
Dialogo VII. La buona accoglienza.
Curato e Luigi.
L. Ecco, sig. Curato, ho portato un fagotto di biancheria che il vostro servo {37 [87]}
aveva dato al bucato; dove debbo metterlo?
C. Deponilo sopra questa sedia, poi verrai a riposarti un poco; sarai molto stanco, non è
vero?
L. No, sig. Curato, sono niente stanco, debbo trovarmi a casa per tempo; mia madre (una
bugia) mi ha detto di ritornare a casa subito.
C. Solamente alcuni minuti, per bere una volta e sapere delle tue nuove.
L. Ma io debbo andarmene; salute, sig. Curato.
C. Almeno dammi una stretta di mano.
L. Oh! questo sì; stia bene, si conservi.
C. Adesso che ti ho per mano voglio che tu mi dica se stai bene in sanità.
L. Sì, io sto benissimo.
C. Sei sempre stato bene da che io non ti ho più veduto?
L. Anche benissimo; ma io ho bisogno di recarmi a casa per tempo.
C. Luigi, io desiderava di parlarti perchè ho bisogno che mi presti un importante servigio.
L. Oh, se è per questo motivo, comandi pure; sa bene, che ho sempre fatto e faccio tuttora
quel che posso per compiacerlo. {38 [88]}
C. Caro Luigi, il servigio che ti domando è un affare di tutta confidenza, e ciò deve essere
unicamente tra me e te. Posso riposare tranquillo sulla tua parola, e se ti tornasse di qualche
incomodo, non sarai per rifiutarti?
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L. O sig. Curato: sa bene che io era il suo Luigi, e che appena mi comandava qualche
cosa, avrei dato la vita per farla, vuole che mi rifiuti in questo caso che mi domanda con tanta
sollecitudine?
C. Ti prego, mio caro Luigi, ti prego del favore di dirmi la ragione per cui da sei mesi
non vieni più a vedermi?
L. Oh! veda, sig. Curato, mi manca il tempo; nei giorni feriali ho da lavorare, nei dì
festivi mi manca pure il tempo; mia madre mi manda di qua, mio padre mi manda di là:
accompagnare i miei fratelli, sempre in commissione ... Basta ..., a dirla schietta, non mi pensava
che volesse farmi tale dimanda.
C. Mi hai dato la parola; sii galantuomo a mantenermela; ci sono ancora altri motivi più
essenziali, non celarmi cosa alcuna.
L. Per ora non ho più tempo; ritornerò un'altra volta e le dirò tutto. {39 [89]}
C. Luigi! ... sono 10 anni che io sono padrone del tuo cuore e dell'anima tua, ed ora vuoi
rifiutarti ad una cosa, da cui forse dipende la tua eterna salvezza?
L. Ebbene, io sono andato là, ed un compagno mi ha dato dei libri, éd io non ho più osato
a venire.
C. Deo gratias! cominci adirmi qualche cosa. Questo dà già qualche conforto al mio
cuore. Ora che mi hai detto il più, dimmi il meno; che cosa vuoi dire io sono andato là? in che
luogo sei andato?
L. A farmi scrivere nella società degli operai.
C. Che cosa ti hanno detto quando ti sei fatto scrivere in quella società?
L. Ci fu uno che fece una predica, ma tutta contro al Papa; dopo, prima di accettarmi, uno
mi disse: se vuoi essere dei nostri, bisogna che lasci di leccare la mano ai preti, che lasci !a
sacrestia ai frati ed ai preti, e che tu sii buon cittadino.
C. Tu, che cosa hai risposto?
L. Ho risposto di sì, senza sapere che cosa mi dicessi.
C. Chi era quel compagno, che Li condusse colà?
L. Quel compagno era un figlio non {40 [90]} tanto cattivo, ma l'aveva sempre coi libri e
coi giornali; adesso è un giovine sventurato.
C. Che fu di lui?
L. Giacche, sig. Curato, io lo vedo a trattare con me colla medesima bontà con cui mi
trattava prima, voglio raccontarle tutto schiettamente. Quel compagno fu quegli che mi condusse
a farmi scrivere nella società degli Operai. In quel medesimo giorno, eravi colà una grande
adunanza, ed uno, mettendosi a predicare, non fece altro che dire imprecazioni contro ai preti e
contro al Papa; conchiudendo che era tempo di finirla coi preti e coi frati, e pronunciò tali cose
che mi fanno ancora tremare adesso e che io non oso proferire. Usciti di là, io voleva andare alle
funzioni di chiesa secondo il solito, e quel compagno mi fece mille beffe, ond'io, per
compiacerlo, andai a divertirmi con lui, e con altri della stessa pasta. Non pratico delle truffe dei
giuocatori, perdei quasi tutto il mio danaro. Sicchè alla sera andando a casa, e perchè aveva
tralasciate le funzioni religiose, e aveva perduto il mio danaro, e perchè aveva sentito tutto il
giorno cattivi {41 [91]} discorsi e bestemmie, andai a casa tristo, come se fossi stato bastonato.
C. Fu qui tutto il tuo male?
L. Qui cominciò: quel mio compagno lungo la settimana mi era sempre attorno; nei giorni
festivi mi conduceva dove voleva, ma non mai in chiesa: adesso conosco che egli era uno
scapestrato; egli dimorava in casa con sua madre vedova, le tolse quello che potè e si mise a
vivere da sè. Mancandogli danaro, se ne faceva come poteva. Ali persuase un sabato a non dare
il guadagno di mia settimana ai miei genitori, suggerendomi di dar loro ad intendere che l'aveva
perduto, e nella domenica seguente lo scialacquai nel giuoco e ne'bagordi. Dopo mi consigliò a
prendere altri oggetti in casa; insomma le cose andarono di male in peggio; ma io lo assicuro,
sig. Curato, che lunedì ebbi una lezione ...
C. Che ti avvenne?
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L. Lunedì quel mio compagno, invece di andare al lavoro, il passò nei divertimenti; sulla
sera egli era senza danaro; nè avendo più di che pagare quello che aveva mangiato all'osteria,
cercò di rubare un utensile al proprio padrone. Ma il meschino fu sorpreso, condotto in prigione,
{42 [92]} dove se ne starà chi sa fino a quando. Un altro compagno che era pure con noi, ne fece
tante, che fu cacciato di casa, e lunedì, non essendosi recato al lavoro, il padrone non l'ha più
voluto accettare. Ora egli è fuori di casa, privo di lavoro e di danaro, poverino! fra breve temo
che se ne vada a trovar l'altro compagno in prigione.
C. Caro Luigi, io mi sento sensibilmente commosso al considerare la serie dei pericoli
che hai incorso. Ma fàtti coraggio: ringraziamo il Signore che non ti sia avvenuto maggior male;
siamo ancora in tempo per aggiustar tutto.
L. Sarei già venuto altre volte per parlarle, ma io temeva di essere sgridato; ora però
veggo che mi vuole ancora bene, perciò prometto che non l'abbandonerò mai più.
C. Con queste parole tu mi dai grande consolazione. Dal tempo che non ti vidi più, io fui
sempre in pena per te; adesso che ti rivedo, e ti rivedo con queste buone disposizioni; ah! non
posso esprimerti il piacere ch'io provo; lodo il Cielo che in mezzo a si gravi pericoli non ti sia
accaduto maggior male. Altrimenti l'onore, la riputazione, la roba, {43 [93]} l'anima tua! Povero
Luigi, chi sa, dove avrebbero terminato i tuoi mali!
L. Signor Curato, io vorrei confessarmi: io mi sento tali rimorsi di coscienza, che non li
posso acquetare senza confessarmi.
C. Per ora, nè io ne tu abbiam'tempo: altronde non sei punto preparato. La tua
Confessione pero è quasi fatta. Dopo dimani è giorno festivo, vieni e aggiusterai a dovere tutte le
faccende dell'anima tua. Caro Luigi, in questo momento io provo il più gran piacere: Domenica
poi questo medesimo piacere l'avranno gli Angioli tutti del paradiso, i quali, secondo le parole
del Vangelo, faranno festa, perchè tu ritorni a metterti in grazia di Dio.
L. Lo prometto, signor Curato, e in questi due giorni che cosa dovrò fare?
C. Prega il Signor Iddio, acciocchè tu possa prepararti a fare una buona Confessione. Va
a casa, e di'a tua madre, che ha'parlato con me, e che continuerai a venirmi a vedere come prima.
Metti sopra il fuoco ogni libro, ogni giornale, ogni scritto che non ti paia buono; è meglio
che vadano essi sulle {44 [94]} fiamme che andare poi l'anima tua a bruciare eternamente
nell'inferno.
Non va più in quei luoghi, dove c'è pericolo d'incontrare alcuno di quei compagni: se
l'incontri per istrada, non fermarti: un saluto in fretta, e non di più. Qualora poi qualcheduno
volesse trattenersi a parlare, rispondi subito, che hai qualche affare di premura da eseguire, e va
tosto pe'fatti tuoi. Domenica poi ti darò gli avvisi necessari perchè non ti accadano più tali
disgrazie, e ti possa conservare nel santo timor di Dio. Oh, quanto sono contento che tu sii
ritornato! tu certo non comprendi la consolazione che io provo!
L. Signor Curato, egli è stato il padrone ciel mio cuore e dell'anima mia dieci anni. In
questo momento io lo faccio nuovamente padrone del mio cuore e dell'anima, ma per tutta la
vita, e spero di tramandar l'ultimo mio respiro tra le sue braccia.
Intanto domenica di buon mattino sarò qui per fare la mia Confessione.
C. Buon giorno, caro Luigi, ti attendo. Il Signore ti accompagni.
Luigi parte, e per istrada tra sè parla così: Dicano quel che vogliono dei preti, {45 [95]}
ma questo nostro Curato è un galantuomo; sono dieci anni che gli reco disturbo, ed egli mi ha
sempre voluto bene. Ora lo aveva abbandonato di mala grazia, ed egli stesso sa che più volte
aveva anche parlato male di lui; pure egli mi accoglie come se nulla fosse stato, e pare che mi
ami ancor più; questi sono i veri amici. Si conosce proprio, che egli desidera il bene dell'anima
mia; tutti questi giorni che io vissi lontano da lui, il mio cuore non ebbe più pace; e la
contentezza che provo in questo momento, vale più di tutti i piaceri goduti in questi sei mesi.
Domenica, domenica voglio trovarmi per tempo, voglio aprirgli il mio cuore, dirgli tutto, seguire
li suoi consigli e non abbandonarlo mai più.
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Racconto
Un Carbonaio con moglie, sei figli, e più una sorella inferma non aveva altra risorsa, che
il tenue salario di sei franchi al mese, e qualche obolo dalla pubblica carità per provvedere ai più
urgenti loro bisogni. Malgrado però tanta miseria era questa una di quelle famiglie, {46 [96]}
nelle quali la religione è praticata fedelmente, ed i genitori danno ai loro figli l'esempio di tutte le
cristiane virtù. Una cosa rafforzava il loro coraggio, ed era di veder entrare il primogenito dei
figli in una fabbrica per farvi alcun guadagno. Così avvenne: il giovine vi trova lavoro, ed in
poco tempo arriva a guadagnare tre franchi alla settimana. Dopo d'allora si manifestò in quella
famiglia un miglioramento notevole; il fitto è più regolarmente pagato, ed i fanciulli vanno
osservando che le loro tortellino crescono a vista d'occhio. Con tutto questo però quel giovine
lavorante, che era la sola cagione di questo miglioramento, non si mostrava guari soddisfatto
della nuova condizione in cui si trovava. Egli era stato ben instrùito nella Dottrina Cristiana, ed
aveva coltivato una soda pietà; quindi soffriva molto di dover vivere colla gente di quella
corrotta fabbrica. Le bestemmie, li discorsi licenziosi, le eresie che risuonavano ai suoi orecchi
turbavano il buon giovine per modo, che gli toglievano la tranquillità: perciò egli se ne lagna
colla madre, la quale prontamente consulta saggie persone. Prima che il giovine fosse entrato
nella fabbrica, erale {47 [97]} stato parlato di un falegname probo, che aveva bisogno d'un
principiante; ma da principio non prometteva che la tenuissima mercede di mezzo franco la
settimana. Le persone consultate esitano perciò nel consigliare un cambiamento di lavorio, e
finalmente suggeriscono a quella buona famiglia di far ricorso alla preghiera per attingere in essa
quei lumi e quella forza di cui abbisognavano. Il giorno dopo quei poverini s'accostarono tutti
alla Mensa Eucaristica, dopo cui il sacrifizio fu risoluto. Il giovine abbandonò la fabbrica, ove la
sua virtù pericolava, e fu contento del minor guadagno: la famiglia s'impose nuove privazioni,
che tutti sopportano con quella calma, che è figlia d'una pura coscienza, e godono di quella pace,
che è il frutto d'un sacrifizio nobilmente compiuto ...
Questo fatto tanto commovente ci prova a maraviglia che il povero ed il tapino sono
eziandio maestri ed esemplari delle più belle virtù.
(Con approv. della Rev. Arciv.) {48 [98]} {49 [99]} {50 [100]}
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