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Don Bosco - Una famiglia di martiri
UNA FAMIGLIA DI MARTIRI OSSIA VITA DE' SANTI
MARIO, MARTA, AUDIFACE ED ABACO E LORO MARTIRIO CON APPENDICE SUL
SANTUARIO AD ESSI DEDICATO PRESSO CASELETTE per cura del Sacerdote BOSCO
GIOVANNI
TORINO
TIP. G. B. PARAVIA E COMP.
1861 {1 [57]} {2 [58]}
INDEX
Capo I. Fonti da cui ricavansi le memorie riguardanti a questi santi...........................................2
Capo II. Genitori de' Ss. Audiface ed Abaco. - Educazione data alla loro figliuolanza. - Loro
venuta a Roma.............................................................................................................................3
Capo III. Mario colla sua famiglia va a venerare i corpi ilei Santi, soccorre i prigionieri,
seppellisce i corpi de' martiri.......................................................................................................3
Capo IV. Mario colla sua famiglia dà sepoltura a S. Cirino, indi è accolto in una adunanza di
Cristiani........................................................................................................................................4
Capo V. S. Valentino confessa la fede di G. Cristo e dà la vista ad una fanciulla cieca.............5
Capo VI. Conversione, martirio di s. Asterio e della sua famiglia..............................................6
Capo VII. Martirio di s. Valentino. Mario colla sua famiglia davanti all'Imperatore.................8
Capo VIII. Mario, Marta, Audiface ed Abaco disprezzano le minacce e le promesse di
Musciano, perciò sono battuti con verghe e posti sopra l’eculeo................................................9
Capo IX. Mario, Marta, Audiface ed Abaco sottoposti al fuoco, agli uncini, sono loro troncate
le mani. Parole di s. Marta e di s. Abaco...................................................................................10
Capo X. Mario, Marta, Audiface ed Abaco condotti per Roma incatenati; in fine sono tutti
coronati del martirio...................................................................................................................11
Capo XI. Trasporto delle reliquie dei Ss. Martiri Mario, Marta, Audiface ed Abaco in varie
chiese di Roma...........................................................................................................................12
Capo XII. Trasporto delle reliquie de' medesimi santi in altri paesi.........................................13
Capo XIII. Trasporto delle loro reliquie in Germania insieme con quelle di s. Marcellino e
Pietro martiri..............................................................................................................................14
Capo XIV. Miracoloso riconoscimento delle reliquie dei santi Mario, Marta, Audiface ed
Abaco.........................................................................................................................................15
Appendice sul santuario dedicato a Sant'Abaco presso Caselette.............................................16
Titolo I. Origine di questo Santuario.....................................................................................16
Titolo II. Stato della Cappella di s. Abaco sul monte di Caselette in varie epoche...............18
Titolo III. Visita delle Regine Maria Teresa, e Maria Adelaide di Savoia alla Cappella di san
Abaco. - Stabilimento della Via Crucis.................................................................................19
Titolo IV. Continuazione dei lavori ed ampliazione..............................................................20
Titolo V. Grazie speciali ottenute ad intercessione di s. Abaco dai divoti che gli si
raccomandarono. Breve di S. S. Pio IX.................................................................................21
Titolo VI. Esercizio di divozione per la novena e festa di S. Abaco e de' suoi compagni
siccome si celebra ogni anno con rito solenne il 19 gennaio nel Santuario presso Caselette.
............................................................................................................................................... 25
Indice.........................................................................................................................................27
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Capo I. Fonti da cui ricavansi le memorie riguardanti a questi santi.
Se è cosa pregevole esporro la vita di quegli uomini che vissero virtuosamente sopra la
terra, deve esserlo assai più per ogni fedel cristiano il conoscere le azioni gloriose di que'
valorosi eroi del Cristianesimo, i quali dopo avere in mille guise beneficata la misera umanità,
ora ci proteggono dal Cielo e invocano sopra di noi grazie e benedizioni. Con questo pensiero ho
deliberato di scrivere la vita di una santa famiglia di martiri, il cui nome è Mario, Marta,
Audiface ed Abaco. I molti miracoli che da questi Santi si operarono e l'estensione del loro culto,
un Santuario ad essi dedicato nelle vicinanze di Caselette, paese distante otto miglia a ponente di
Torino, mi furono di eccitamento ad intraprendere {3 [59]}questo lavoro. Affinchè leggami con
maggior fiducia le cose che sarò per iscrivere, stimo bene di accennare i fonti o meglio i
documenti da cui ne furono ricavate le notizie. Questo sono tanto più tenuto di fare in quanto che
alcuni autori, per altri titoli assai stimati, gettarono qualche dubbio sugli atti che contengono le
azioni che si riferiscono a questa gloriosa famiglia. Credo che codesti scrittori non abbiano fatto
le dovute indagini per accertarsi della verità de' fatti che essi intraprendevano ad esporre.
Accenneremo adunque i principali autori che possono consultarsi da coloro i quali volessero
viepiù erudirsi su questo argomento. Sono adunque: Il Martirologio ed il Breviario Romano nel
giorno 19 di gennaio.
Molano, Belino, Maurolio, e Beda scrittore del secolo ottavo, ed altri parlano di questi
santi fissandone la festa al 20 di gennaio.
Usuardo, Rabano, Vot-Kero, il Martirologio di Adone, scrittore del 10 secolo; il
Martirologio di S. Girolamo, che si giudica del 5 secolo e molti manoscritti la celebrano al
giorno 15 dello stesso mese.
Lorenzo Surio rapporta gli atti del martirio di questa santa famiglia al giorno 14 di
febbraio mentre parla di S. Valentino. {4 [60]}
Il Cardinale Baronio riferisce pure vari tratti delle azioni de' nostri Santi nel tomo 2o
all'anno 270.
I Bollandisti nel giorno 19 di gennaio trattano copiosamente del culto prestato a S. Abaco
e a' suoi compagni martiri. Dopo di avere attentamente esaminato gli atti del martirio e i
documenti che ne somministrano le memorie conchiudono: Quae hic damus, fide dignissima
ducimus. Le cose che siamo per riferire le giudichiamo degnissime di fede.
Prima però di cominciare il racconto è bene che io noti eziandio alcune altre cose.
Gli autori che parlano di questi martiri ne rapportano il giorno della festa in tempi diversi,
e ciò deriva da che alcuni fanno solenne il giorno di loro morte, altri il giorno della loro
sepoltura, altri infine il giorno in cui le loro reliquie furono altrove trasportate dal luogo della
primitiva tumulazione.
É pur bene di notare che S. Abaco è da tali autori chiamato con nome alquanto variato.
Egli è detto Abacon, Ambaco, Abacum ed Abacuc; e questo deriva da che essendo questo nome
persiano fu variamente pronunziato dagli autori che lo scrissero {5 [61]} in altre lingue. Ma il
nome adottato dalla Chiesa Cattolica è quello di Abaco; siccome apparisce dall'ufficiatura del 19
gennaio fissata per la commemorazione di questa gloriosa famiglia.
Finalmente S. Abaco essendo stato martirizzato in assai giovanile età, le azioni di lui si
confondono di sua natura con quelle de' suoi genitori e di suo fratello contemporaneamente
coronati del martirio.
La religione cristiana che in tempi i più calamitosi ebbe tanti eroi, i quali consacra¬rono
ingegno, sostanze e vita per la fede, abbia tra noi fedeli seguaci; che, se non hanno occasione di
dare la vita per la fede, almeno siano fedeli osservatori di quello stesso Vangelo che ne' primitivi
tempi fu sostenuto col sangue di que' gloriosi eroi, che ora invochiamo e che ci proteggono dal
cielo.
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Capo II. Genitori de' Ss. Audiface ed Abaco. - Educazione data alla
loro figliuolanza. - Loro venuta a Roma.
I capi di questa famiglia di martiri appartenevano alla casa dall'imperatore di Persia {6
[62]} che è un regno vastissimo nelle parti orientali dell'Asia. Il padre chiamavasi Mario ed era
figlio dell'Imperatore Maromeno. La madre nominavasi Marta ed era figlia del vicerè Cusinite. I
buoni genitori oltre la loro dignità avevano grandi ricchezze, di cui facevano l'uso che Dio
comanda nel Vangelo, cioè impiegavano a favore dei poveri quel tanto che sopravanzava al
proprio loro bisogno. Dio benedisse quel matrimonio e concedette loro due figliuoli. II primo
chiamarono Audiface, il secondo Abaco.
Mario e Marta erano intimamente persuasi che la prima ricchezza della figliuolanza è il
santo timor di Dio, e che senza di questo sono un nulla tutte le grandezze della terra. Per la qual
cosa mentre impiegavano santamente quei beni che la divina provvidenza aveva loro concessi,
davansi la più grande sollecitudine per insegnare le verità della religione ai loro figli per farli
crescere nella virtù intanto che andavano crescendo negli anni. I due giovanetti corrispondevano
alle cure de' genitori: la scienza delle lettere, l'adempimento dei propri doveri verso de' genitori,
l'ubbidienza, la pietà erano le virtù che rendevano i due giovanetti cari a Dio ed agli uomini. {7
[63]} Per eccitare nei loro cuori pensieri di soda pietà, i genitori li conducevano di quando in
quando ne' luoghi che in quei tempi si conoscevano più celebri per divozione e miracoli.
Dai tempi più remoti della Chiesa fu sempre gran concorso di fedeli a venerare i luoghi
celebri per magnificenza di culto o per segni della potenza divina ivi manifestata. Nella legge
antica era tenuto in grande venerazione il tempio di Salomone edificato in Gerusalemme. Dopo
la venuta del Salvatore fu la tomba de' Ss. Apostoli. Da paesi lontanissimi si intraprendevano
penosi viaggi pei venire a Roma, comunemente detta città eterna, perchè da Dio scelta per centro
del Cattolicismo, e sede del Vicario di Gesù Cristo, la cui religione deve dorare in eterno. Fra le
tombe venerate in Roma la più celebre era quella di S. Pietro posta ai piedi del monte Vaticano.
Tutti credevano che con una visita a quel maraviglioso sepolcro si ottenesse indulgenza plenaria,
cioè la remissione di tutta la penitenza che si dovrebbe fare pei peccati commessi nella vita
passata.
Tali santuari e tali pellegrinaggi sono raccomandati da S. Paolo allorchè disse {8 [64]}
che l'uomo dalle cose sensibili della terra viene sollevato a conoscere e gustare le cose spirituali
ed invisibili del Cielo. Mario e Marta coi loro figliuoli Audiface ed Abaco risolvettero di fare
uno di questi pellegrinaggi dalla Persia a Roma. Preparata ogni cosa, forniti del danaro
necessario sia per le spese della famiglia ed anche per largheggiare in opere di beneficenza
secondo la loro condizione, intrapresero quel lungo cammino. Giunsero a Roma mentre
governava la S. Sede s. Dionigi ed era Imperatore Claudio II, persecutore dei Cristiani.
Capo III. Mario colla sua famiglia va a venerare i corpi ilei Santi,
soccorre i prigionieri, seppellisce i corpi de' martiri.
Principale oggetto del viaggio de' nostri Santi era di andare a far preghiere sulla tomba di
San Pietro. Questo principe degli Apostoli era stato crocifisso sul monte Gianicolo, ma dopo il
martirio il suo corpo fu portato ad essere sepolto a' piedi del monte Vaticano vicino alle mura dai
giardini di Nerone, S. Anacleto fece costruire {9 [65]} una piccola chiesa su questa tomba che
coll'andare del tempo divenne la famosa Basilica di S. Pietro in Vaticano che è il più maestoso
tempio del mondo.
Soddisfatta la loro divozione Mario e la sua famiglia si fecero a cercare coloro che
pativano nelle carceri o seppelliendo i corpi di quelli che erano morti per la fede. Mentre con
sollecitudine facevano quelle ricerche, vennero al di là del Tevere presso di una carcere detta
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Castel - Vecchio. Colà seppero che tra i detenuti trovavasi un venerando vecchio di nome Cirino,
il quale per la sua fermezza nella fede era stato spogliato di ogni avere, cacciato in prigione, e
sottoposto a molte battiture. Appena poterono giungere fino a lui si prostrarono a' piedi suoi e co'
più grandi segni di venerazione lo supplicarono a voler pregare Dio per loro. Quella santa
famiglia provava tanta consolazione a vivere con quel confessore della fede, che con licenza del
carceriere rimase nel carcere medesimo otto giorni. In questo tempo somministrarono quanto
faceva bisogno a Cirino e a quelli che erano con lui carcerati, prestando loro ogni più umile
servizio. Intanto la persecuzione infieriva viepiù contro ai Cristiani: {10 [66]} chiunque fosse
come tale riconosciuto era tosto punito colla morte. Per incutere maggior terrore ai seguaci di
Gesù Cristo, si eseguivano le sentenze ora sulle piazze, ora nelle carceri od altrove senza neppure
ascoltare le ragioni degli accusati. Divulgato quell'editto furono subito presi 260 cristiani e
condotti fuori di Roma per la via Salaria. Là erano condannati a scavar terra, a portare sabbia per
formare vasi. Quando si videro a sopportar con gioia ogni fatica, ma sempre costanti nella fede,
furono dapprima sottoposti a molte pene, indi trasportati nell'Anfiteatro romano vennero tutti
uccisi a colpi di saetta.
Allora che Mario, Marta e i loro figli seppero l'orrendo strazio fatto di quei servi di Dio
ne furono grandemente rattristati.
Il dolore però si cangiò tosto in consolazione al pensiero che queglino avevano lasciato i
loro corpi fatti a brani sulla terra, ma le loro anime erano volate gloriose al Cielo. Quindi con un
santo Sacerdote di nome Giovanni essi vennero al luogo dove erano stati martirizzati. Colà giunti
trovarono i corpi de' martiri collocati sopra un mucchio di legna, cui già erasi appiccato fuoco.
Tolsero Insto dal fuoco gli avanzi de' corpi {11 [67]} di quei servi di Dio, li avvolsero in
lenzuola, e con grande rispetto li portarono a seppellire nella cripta ovvero chiesa sotterranea,
nella via Salaria, nella discesa di un colle detto Cucumero. Con qne' santi martiri fu eziandio
sepolto un tribuno di nome Blasto che pure era morto per la Fede. Data la sepoltura ai cadaveri
fecero molte preghiere, digiuni, limosine con altri esercizi di pietà, certamente per suffragare, se
ancora ne fosse bisogno, le anime di coloro che ivi erano sepolti.
Ma i nemici di Dio trovansi ovunque pronti ad impedire le opere buone; essi riferirono
tosto all'Imperadore che Mario e Marta ogni giorno facevano opere di carità a favore dei poveri
cristiani. Il tiranno comandò che quella famiglia fosse immediatamente condotta alla sua
presenza. Ma niuno la potè scoprire, perchè sapendo queglino di essere cercati a morte
studiavansi di esercitare segretamente la loro carità. {12 [68]}
Capo IV. Mario colla sua famiglia dà sepoltura a S. Cirino, indi è
accolto in una adunanza di Cristiani.
Un giorno Mario e Marta coi loro figliuoli andarono di nuovo al di là del Tevere per fare
una visita a s. Cirino che giudicavano essere tuttavia rinchiuso in carcere. Ma nol trovarono più.
Eravi soltanto un sacerdote, di nome Pastore, che loro raccontò quanto era avvenuto di lui. Notte
tempo, loro disse, vennero qua i carnefici, lo presero, gli tagliarono la testa, lo gettarono nel
Tevere e per buona ventura il suo corpo rimase nell'isola Licaonia, detta oggidì isola Tiberina o
di s. Bartolomeo. Udite queste parole andarono di notte con s. Pastore in quel luogo, raccolsero il
corpo di s. Cirino e lo portarono a seppellire nel Cimitero di s. Calisto nella cripta o camera di s.
Ponziano, così detta dal nome di questo Pontefice che fu ivi sepolto.
Dopo quelle cose Mario colla famiglia, continuando le loro passeggiate di divozione al di
là del Tevere, giunsero ad un luogo dove udirono una moltitudine di Cristiani che cantavano lodi
al Signore. Si avvicinarono {13 [69]} con gioia a quella casa e trovandola chiusa si misero a
bussarne la porta. Quelli che erano dentro pensandosi che fossero persecutori furono spaventati e
niuno osava aprire. Ma un vescovo di nome Calisto, che per evitare la persecuzione erasi
anch'egli rifugiato a Roma, confortò quei fedeli dicendo: Animo, non temere; è Gesù Cristo che
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bussa alla porta. Apriamo la nostra bocca e confortandoci a vicenda lodiamo il Signore, perchè è
desso che ci chiama. Ciò detto, corse ad aprire la porta. Mario, Marta, Audiface ed Abaco
vedendo il venerando prelato gli si gettarono ai piedi. Da questo atto di divozione i fedeli
radunati conobbero cho i novelli ospiti erano cristiani, perciò diedero l'uno all'altro il bacio di
pace.
In quel momento s. Calisto trasportato dalla gioia innalzò gli occhi e le mani al Cielo e
fece questa orazione: «O Dio padre del nostro Signor Gesù Cristo, il quale raduni le cose
disperse e le cose radunate conservi, accresci la fede e la confidenza nel cuore de' tuoi servi per
mezzo di Gesù Cristo Signor Nostro che vive con Dio padre Onnipotente e collo Spirito Santo
pei secoli dei secoli». Tutti i fedeli colà radunati risposerò: {14 [70]} Amen, così sia. Quel luogo
essendo alquanto appartato dal centro della città sembrava sconosciuto ai persecutori, perciò
Mario colla famiglia vi dimorò nascosto due mesi.
Capo V. S. Valentino confessa la fede di G. Cristo e dà la vista ad una
fanciulla cieca.
L'Imperatore Claudio non potendo trovare Mario colla sua famiglia faceva cercare altri
cristiani e riuscì ad avere tra le mani un santo sacerdote di nome Valentino. Egli lo fece legare
con catene e condurre dinanzi a lui nel palazzo vicino all' anfiteatro. Appena gli fu innanzi
l'Imperatore lo interrogo dicendo: «Perchè non ti curi della nostra amicizia e rifiuti di vivere
come vivono gli altri sudditi del nostro impero? Mi fu detto, che i cristiani possedono grande
sapienza, e se tu sei sapiente perchè ti lasci al par degli altri strascinare da una vana
superstizione?»
Valentino rispose: «O principe, se mai sapessi quanto siano preziosi i doni del Signore, tu
e tutti i tuoi sudditi provereste la medesima consolazione, rigettereste il culto dei demonii, e gli
idoli fatti {15 [71]} dalle mani degli uomini, confessereste un solo Dio padre Onnipotente, e
Gesù Cristo suo figliuolo, il quale creò il Cielo e la terra, il mare e tutte le cose che in quelli si
trovano». A quelle parole l'Imperatore parve maravigliato, e mentre faceva riflessione su quanto
aveva udito, un giureconsulto ovvero avvocato prese la parola in luogo dell'Imperatore e disse ad
alta voce a san Valentino: «Che cosa dici del Dio Giove e del Dio Mercurio?»
Valentino rispose: «Io non dico altro di costoro se non che li ravviso per uomini miseri,
che nella loro vita mortale vissero nelle immondezze; che se tu conoscessi la serie delle loro
azioni, vedresti quanto sia stata abbominevole la loro maniera di vivere».
L'avvocato gridò ad alta voce: «Costui ha bestemmiato contro a' nostri Dei e contro ai
patroni dell'Impero».
L'Imperatore per altro ascoltava con calma le parole di s. Valentino, e rivoltosi a lui
disse: «Se il tuo Gesù Cristo è Dio, perchè tosto non mi manifesti la verità?» Valentino ripigliò:
«Volentieri ti espongo la verità purchè tu mi voglia ascoltare. Se tu, o principe, seguirai la verità
che ti propongo, {16 [72]} accrescerai il tuo impero, saranno spenti i tuoi nemici, sarai in ogni
cosa vincitore e godrai un regno glorioso nella vita presente e nella tutura. Ma per riuscire in ciò
bisogna che ti penta del sangue fatto spargere ai servi del Signore, creda in Gesù Cristo, quindi
ricevendo il Battesimo salverai l'anima tua in eterno».
Claudio rivolse il discorso agli astanti e disse: «Ascoltate, o cittadini Romani e magistrati
della repubblica, ascoltate e ammirate quanto sia sana la dottrina di costui!»
Il prefetto, di nome Calpurnio uomo scostumato, per impedire il frutto delle parole di
Valentino alzò egli pure la voce e disse: «Attento, o Principe, tu ti lasci ingannare da costui; ti
par giusto l'abbandonare quegli Dei che abbiamo fin dalla nostra fanciullezza onerato ed
adorato?»
L'Imperatore allora per rispetto umano ebbe vergogna di darsi vinto dall'evidenza, e si
limitò di consegnare Valentino al prefetto Calpurnio dicendogli: «Ascolta costui con pazienza e
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se propone una dottrina non sana tu gli applicherai le leggi stabilite contro i sacrileghi: che se la
sua dottrina è buona, tu lo lascierai in libertà». {17 [73]}
Calpurnio pertanto prese Valentino e lo diede ad un principe di nome Asterio con queste
parole: «Ti raccomando questo uomo. Se con buone parole tu riuscirai a fargli cangiar modo di
pensare, riferirò le cose all'Imperatore nel senso più favorevole; così tu diverrai amico di lui e
moltiplicherai le tue ricchezze». Asterio condusse Valentino in sua casa disposto ad eseguire gli
ordini dati. Ma la grazia offerta all'Imperatore ed a' suoi assessori era rifiutata, e con tremendo e
sempre adorabile giudizio Dio la toglieva agli empi per darla ad altri meglio disposti a riceverla.
Appena Valentino entrò in quella casa si pose in ginocchio e cosi pregò: «Dio padrone di tutte le
cose visibili ed invisibili. Creatore del genere umano, che mandasti il tuo figliuolo Gesù Cristo
Signor Nostro per liberarci dalle tenebre del mondo e condurci alla luce della verità, quel Gesù
Cristo che disse: - O voi tutti che siete oppressi dalla fatica e dalla stanchezza, venite a me ed io
vi rinforzerò; - Tu, o Signore, converti questa casa e donale il lume della verità, affinchè conosca
per vero Dio Gesù Cristo Signor nostro che vive e regna nell’unità dello Spirito Santo. Così sia».
{18 [74]}
Il principe Asterio udendo quella preghiera disse a Valentino: «Io ammiro la tua sapienza
e mi piace di udire che il vostro Gesù Cristo è vera luce».
Valentino a chiara voce rispose: «E veramente così: il nostro Signor Gesù Cristo il quale
è nato da Maria Vergine per opera dello Spirito Santo è la vera luce che illumina ogni uomo che
viene in questo mondo».
Asterio interruppe il discorso dicendo: «Se Gesù Cristo è Dio che illumina ogni uomo, ne
farò la prova; e se sarò appagato crederò a quanto mi dici; altrimenti rigetterò i tuoi sofismi.
Sappi adunque che ho una figliuola cui porto tutto il mio affetto. Questa infelice è cieca da due
anni. Io la condurrò qui da te; se tu la guarirai, io crederò e farò qualunque cosa sarai per dirmi».
Soggiunse tosto Valentino: «Va pure, e in nome del Signor nostro Gesù Cristo mena qua
la tua figlia». Asterio si mise a correre e con grande ansietà condusse la fanciulla a s. Valentino.
Il fedele martire di Gesù Cristo alzando le mani al Cielo cogli occhi lagrimanti fece
questa preghiera: «Sonore Iddio {19 [75]} Onnipotente Padre del Signor Nostro Gesù Cristo,
padre delle misericordie, che mandasti in terra il figliuolo tuo Signor Nostro Gesù Cristo,
affinchè dalle tenebre del peccato ci conducesse alla vera luce della grazia, io sebbene peccatore
indegno invoco la tua potenza. Tu vuoi che ogni anima si salvi e nessuna perisca, perciò supplico
e scongiuro la tua misericordia a fare si che tutti conoscano, che tu sei Dio Padre e Creatore di
tutti. E poichè tu apristi gli occhi al cieco nato, e richiamasti a nuova vita Lazzaro che già era
fetente nel sepolcro, io invoco te che sei il vero lume e il Signore di tutti i principi e di tutta le
potestà. Non si faccia la mia volontà, ma si faccia quanto tu vuoi intorno a questa tua serva. Così
se è di tua maggior gloria degnati illuminarla col lume della tua intelligenza». Finita la preghiera
s. Valentino pose la sua mano sopra gli occhi della fanciulla dicendo: «Signor G. Cristo, illumina
la tua serva, perchè tu sei la vera luce». Non erano ancora dette queste parole che si aprirono gli
occhi di lei e riacquistò perfettamente la vista. {20 [76]}
Capo VI. Conversione, martirio di s. Asterio e della sua famiglia.
Appena Asterio rimirò la sua figlia guarita dalla cecità si prostrò con sua moglie ai pie di
s. Valentino dicendo: «Per amore di Gesù Cristo, per cui conosciamo la luce, ti preghiamo di far
quanto sai per salvare le anime nostre».
S. Valentino soggiunse: «Se volete salvare le anime vostre, credete con tutto il cuore nel
nostro divin Salvatore, spezzate tutti gli idoli, digiunate, pentitevi delle vostre colpe, e facendone
umile confessione ricevete il Battesimo e così sarete salvi».
Di poi Valentino ordinò un digiuno di tre giorni. Intanto Asterio, che aveva molti
Cristiani in sua custodia, donò a tutti la libertà. Compiuti quei tre giorni essendo domenica,
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giorno dedicato al Signore, battezzò Asterro con tutta la sua famiglia. Per compiere l'opera del
Signore, s. Valentino chiamò s. Calisto perchè venisse a prendere parte ai tratti di misericordia
che il Signore usava a quella casa. Venne egli infatti ed amministrò il Sacramento della Cresima
ad Asterio e a tutta la sua famiglia in numero di 46. {21 [77]}
Mario e la sua famiglia eransi tenuti nascosti per qualche tempo. Ma quando udirono che
s. Valentino aveva dato la vista ad una cieca, e che per quel miracolo tutta la casa di Asterio
aveva creduto in Gesù Cristo, vennero con grande allegrezza alla casa di Asterio per ringraziare
il Signore della misericordia usata. Essi dimorarono in quella casa per lo spazio di 32 giorni.
Poco dopo avendo Claudio ricercato Asterio, gli fu annunzito come la figliuola di lui
aveva acquistato prodigiosamente la vista e che per quel miracolo egli con tutta la sua famiglia
avevano ricevuto il battesimo nel nome di Gesù Cristo. Fieramente sdegnato rnandò tosto a
prendere quei novelli cristiani con ordine di condurli tutti alla sua presenza. Egli portò un severa
sguardo sopra Mario, Marta, Audiface ed Abaco, e dal loro atteggiamento giudicandoli
personaggi illustri li separò dagli altri, e comandò che Asterio colla sua famiglia fosse condotto
in Ostia, città distante 15 miglia da Roma, per assoggettarlo colà a rigoroso esame. Claudio
aveva allontanato quei fedeli da Roma pesandosi che la lontananza dai parenti e dagli amici, la
privazione delle dignità e delle ricchezze avessero forza a {22 [78]} farli prevaricare. Furono
pertanto consegnati ad un giudice di nome Gelasio, che li fece tutti chiudere in prigione. Dopo
venti giorni di carcere e di patimenti quel giudice li sottopose al seguente interrogatorio:
«Sapete voi quali siano i comandi dei padroni dell'Impero?»
Risposero ad una voce: «Noi non sappiamo».
Gelasio continuò: «Ecco quali sono gli ordini imperiali: - chiunque farà sacrifizio agli
Dei viva felice, e gli si conceda piena libertà, e sia colmo di ricchezze. Chi poi ricuserà di
umiliarsi davanti alla maestà de' nostri Dei sia con diversi generi di pene messo a morte».
Asterio rispose: «Facciano pur sacrifizio agli Dei e con essi periscano pure coloro che
sono s mili ad essi. Io dico solamente che noi ci offriamo tutti in sacrifizio a Dio onnipotente ed
al Signor Nostro Gesù Cristo figliuolo di lui».
Gelasio incollerito a quella risposta comandò che Asterio fosse collocato sopra l'eculeo e
sottoposto ai tormenti; tutti gli altri poi fossero battuti con verghe. Quei coraggiosi Cristiani ben
lungi dal lasciarsi intimidire pregavano così: «O Signore {23 [79]} Nostro Gesù Cristo, che
spegnesti le fiamme ardenti ed avvampanti intorno ai tre fanciulli nella fornace, fa eziandio
andare a vuoto le minacce di questo tiranno, aftinchè non abbia a vantarsi di aver vinto i tuoi
servi, e fa che niuno di noi abbia a separarsi dal nostro padrone Asterio.»
Allora Gelasio comandò che fossero deposti dall'eculeo e chiusi di nuovo in prigione
dicendo: «A costoro devono prepararsi più gravi tormenti.» Intanto invitò tutto il popolo a
trovarsi di buon mattino per assistere allo spettacolo; ordinò che gli fosse preparato un
padiglione nell'anfiteatro, e che Asterio con tutti i suoi compagni fossero condotti innanzi al suo
tribunale.
Quando furono tutti radunati al luogo stabilito, il Giudice rivolse questo discorso ad
Asterio: «O Asterio, abbandona una volta la pazza tua dottrina e promettimi di fare un sacrifizio
agli Dei, per impedire che tu non vada a finire la vita tra' tormenti, e insieme con te tutti costoro
non abbiano a perire miseramente».
Santo Asterio rispose: «Questo appunto di cuore noi tutti desideriamo. Siccome il
Salvator Nostro Gesù Cristo patì per nostri peccati, così è ben giusto che noi pure {24 [80]} per
promuovere il suo onore e la sua gloria sosteniamo questi tormenti; e così purgati dalle sozzure
di questo secolo meritiamo di giungere sicuri al desiderato regno dei Cieli».
Per questa risposta Gelasio vie più adirato comandò che in quello stesso momento fossero
gettati alle fiere. I carnefici tosto li presero, li condussero ad un luogo detto Orsario vicino ad un
tempietto d'oro presso al quale eravi un serraglio di bestie feroci. Mentre i Santi confessori
entravano nel serraglio, fu subito data libertà alle fiere perchè loro si avventassero e li
sbranassero. Ma santo Asterio trovò un mezzo per vincere la ferocia di quegli animali. Fatto il
segno della s. Croce, a chiara ed alta voce affinchè fosse udito da' suoi compagni cominciò a
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pregare così: «Signore Iddio Onnipotente che mosso a compassione verso di Daniele profeta
chiuso in un serraglio di leoni lo confortasti per mezzo del tuo servo Abacuc, parimente visita i
tuoi servi per mezzo di qualche tuo s. Angelo. Quelle fiere che si mostravano affamate, così
volendo Iddio, deposero la loro ferocia e cominciarono a venerare s. Asterio e gli altri confessori.
Gelasio vedendo quel miracolo {25 [81]} disse furioso al popolo: «Vedeste come costoro sanno
usare l'arte magica e con essa rendere mansuete le medesime fiere?»
Molti però andavano dicendo che il Dio di quei Cristiani li aveva liberati. Gelasio di poi
comandò che fossero tratti fuori del serraglio e bruciati vivi. Allora s. Asterio incoraggio i suoi
compagni dicendo: «Animo, compagni, e non temete, perchè quell'Angelo stesso che si trovò
presente a liberare dal fuoco i tre giovanetti ebrei di Babilonia, quell'Angelo stesso trovasi con
noi». In quell'istante si estensero le fiamme per molo che ogni parte del loro corpo rimase illesa.
Gelasio scorgendo inutile ogni prova comandò che fossero condotti fuori delle mura della città di
Ostia, e colà subissero la sentenza capitale, altri poi fossero lapidali. In questa maniera Asterio
con tutta la famiglia riportarono un glorioso martirio.
Capo VII. Martirio di s. Valentino. Mario colla sua famiglia davanti
all'Imperatore.
Il santo sacerdote Valentino che tanto aveva faticato per incoraggiare i cristiani {26 [82]}
a rimanere fermi nella fede, e per cui egli medesimo aveva già patito gravi tormenti, in fine fu
egli pure condannato a morte. Usciva di Roma verso la via Flaminia passando per quella porta
che ora dicesi Porta del popolo. Egli ebbe tronca la testa il giorno 14 febbraio. Il suo corpo fu
con venerazione sepolto nel luogo stesso del suo martino. Intorno alle reliquie di s. Valentino,
dicono gli atti del suo martirio, si operarono molti miracoli a maggior gloria di Dio e a lode del
suo santo nome.
Mario, Marta, Audiface ed Abaco seppero la morte dei loro compagni, e mentre
procuravano di recar loro soccorsi spirituali, si preparavano colla preghiera e con opere di carità
al martirio. L'Imperatore aveva voluto che questa famiglia fosse da ogni fedele separata sia
perchè fosse atterrita dai supplizi e dai tormenti degli altri, ed anche per giudicarli egli medesimo
con grande solennità. Cominciò ad interrogarli così: «Onde siete voi?» Audiface loro
primogenito rispose con semplicità: «Noi siamo Persiani».
Claudio ripigliò: «Di che stirpe siete, e quale relazione avvi tra voi?» Audiface continuò
il discorso e indicando i genitori rispose {27 [83]} all'Imperatore: «Io ed Abaco in quanto al
corpo siamo figliuoli di costoro».
Claudio: «Per qual motivo avete intrapreso un sì lungo viaggio e siete venuti a Roma?»
Audiface: «Noi siamo venuti alla capitale del Romano Impero spinti dal desiderio di
andare a far orazione sulla tomba dei santi Apostoli».
Claudio: «Dove prendeste il danaro necessario per sostenere tante gravi spese quante si
ricercano in così lungo viaggio? E quali sono i vostri natali?» Audiface non era forse in grado di
dare esatta risposta all'Imperatore, perciò Mario prese egli la parola e disse: «Dio Onnipotente lo
sa, che noi apparteniamo a nobile famiglia. E affinchè tu conosca i nostri natali, ti diremo, che io,
Mario, sono figlio dell'Imperatore Maromeno, e costei, mia moglie, è figlia del Vicerè Cusinite».
A queste parole Claudio assai maravigliato ma con aria di rispetto loro disse: «Se voi
appartenete a così alta nobiltà perchè non professate la religione del vostro paese? Perchè
abbandonate gli Dei che i vostri parenti hanno sempre adorato, e ciò fate per andare in cerca di
morti da sepellire, {28 [84]} e quel che è più venerate un uomo morto che voi dite risuscitato a
nuova vita?»
Mario rispose: «Non occorre qui che io ti risponda per quale ragiene noi non adoriamo gli
Dei: ti dirò solamente che noi siamo servi di Gesù Cristo e siamo venuti a Roma per far
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Don Bosco - Una famiglia di martiri
preghiera ai piedi degli Apostoli servi di lui, affinchè essi intercedano per noi presso al Signore
Iddio».
A Claudio non gradiva molto il disputare di religione; a lui stava a cuore di sapere se
quella santa famiglia aveva seco ricchezze o no. Sì volse adunque a Mario e lo interrogò
dicendo: «Avete con voi i vostri tesori?»
Mario rispose :«I nostri tesori furono già dati a Nostro Signor Gesù Cristo che ce li aveva
per poco tempo affidati a solo fine di promuovere il suo onore e la sua gloria.» Claudio da quel
discorso conobbe che era deluso nella sua aspettazione, e perciò con aria di sprezzo li consegnò a
Musciano suo Vicario dicendo: «Prendi costoro, menali via di qua; se non faranno sacrifizio agli
Dei ed abbandoneranno la loro superstizione farai loro soffrire ogni genere di tormenti». {29
[85]}
Capo VIII. Mario, Marta, Audiface ed Abaco disprezzano le minacce e
le promesse di Musciano, perciò sono battuti con verghe e posti
sopra l’eculeo.
Musciano, come ebbe tra le mani quella cristiana famiglia, provò piacere nel suo cuore
reputando quella un'occasione favorevole per acquistarsi la benevolenza dell'Imperatore con
aumentare di stipendio e di carica. Perciò in quel medesimo giorno diè opera ad eseguire
fedelmente gli ordini del suo Sovrano. Comandò che gli fosse apparecchiato un alto tribunale in
un tempio dedicato alla Dea Fellure. Affinchè poi potesse colle sue parole far maggiore
impressione sopra que' confessori, volle che appresso al suo tribunale si tenessero pronti tutti gli
strumenti, tutte le macchine che solevano usarsi per atterrire o per tormentare i cristiani. Di poi
fatto condurre a sè Mario colla sua famiglia, con tetra voce prese a parlar così: «Sapete già che
cosa vi abbiano ordinato i nostri principi, i padroni dell'Impero?»
Audiface con voce calma rispose: «No, non lo sappiamo». {30 [86]}
Musciano: «Volete adunque conoscere quale sia il decreto imperiale?»
Mario e Marta risposero: «Noi desideriamo di sapere da te che cosa ti sia stato comandato
a nostro riguardo».
In quel momento Musciano fece venire colà i carnefici con in mano gli strumenti con cui
solevansì tormentare i cristiani; poscia voltosi a que' pazienti disse: «Ora vi dirò quali siano gli
ordini dell'Imperatore a vostro riguardo: date uno sguardo sopra tutti questi generi di tormenti,
tutti saranno messi in opera contro di voi, se non eseguirete gli ordini imperiali». Di poi
Musciano si calmò alquanto, e fingendo avere interessamento per loro soggiunse: «Che se voi
eseguirete gli ordini dei nostri principi, sarete fortunati, la nobiltà dei vostri natali vi sarà
conservata, alte cariche ed onorevoli vi renderanno più illustri nel nostro impero, ma per essere
loro amici bisogna che facciate un sacrifizio agli Dei».
Audiface rispose: «Ci hai fatto una stolta proposizione, e noi per nessun conto possiamo
ammetterla».
Musciano finse di non aver udito e riputando quella risposta fuori di proposito si {31
[87]} volse a Mario, a Marta e ad Abaco per interrogarli se fossero del medesimo parere
dicendo: «Che dite voi di quanto vi ho proposto?» Tutti risposero: «Ciò che disse Audiface è
pure nostro pensiero ed è lo stesso come se tutti avessimo con una sola bocca parlato».
Musciano accorgendosì che le parole a nulla riuscivano, pensò di venire ai fatti e
comandò che fossero spogliati delle loro vesti, battuti con bastoni e per eccesso di crudeltà volle
che Marta fosse presente alla flagellazione del marito e de' suoi figliuoli. Il tiranno credevasi che
Marta commossa alla vista de' tormenti cui erano esposti il marito ed i figli, li avrebbe forse
persuasi a rinnegare la fede; o almeno ella stessa avrebbe dato segno di prevaricare. Mentre
queglino erano aspramente battuti, alcuni assessori andavano di quando in quando dicendo:
«Non vogliate disprezzare i comandi de' nostri principi».
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Marta mirava intrepida il marito ed i suoi figli sottoposti alla flagellazione, e ben lungi
dal lasciarsi sbigottire sentivasi il cuore pieno di gioia e andava dicendo:«Miei figli, coraggio,
siate costanti nella fede».
Mario dal canto suo ringraziava Iddio e {32 [88]} lo glorificava con queste parole: «Sia
gloria a te, o Signor mio Gesù Cristo.» Musciano confuso per la indifferenza con cui tolleravano
que' ripetuti tormenti venne ad altra prova facendoli togliere da quei flagelli e collocarli sopra
l'eculeo. É l'eculeo un modo di tormentare i pazienti con dolori assai sensibili. Era una specie di
cavalletto formato con due travicelli alle cui estremità stavano fisse due girelle ovvero carrucole.
A queste erano attaccate delle funi che legavansi ai piedi ed alle mani del martire. Facendosi
muovere le girelle si tendevi no le braccia e il rimanente del corpo dei martiri a segno che quasi
le giunture si scomponevano e il sangue usciva talvolta dalle parli più deboli del corpo, come
dagli occhi, dalle orecchie e dalla bocca. Ad un certo punto si lasciavano poi andar liberi quei
due travicelli ed allora i pazienti rimanevano sospesi pei piedi e per le mani. Mentre inquesta
maniera venivano tormentati Audiface ad alta voce andava esclamando: «Sia gloria a te, Signor
Nostro Gesù Cristo, il quale ti sei degnato di annoverarci tra i tuoi servi.» {33 [89]}
Capo IX. Mario, Marta, Audiface ed Abaco sottoposti al fuoco, agli
uncini, sono loro troncate le mani. Parole di s. Marta e di s. Abaco.
Pare che la vista di tanti atroci tormenti sostenuti da quei santi martiri avrebbe dovuto
produrre sentimenti di compassione, o meglio ancora far penetrare la verità nel cuore di
Musciaco. Ma non fu così. Invece di riconoscere la forza della grazia di Dio nel coraggio de'
martiri, egli attribuiva tutto a magia. Laonde vie più sdegnato accrebbe tormenti a tormenti;
quando poi vide i loro corpi fatti lividi dalle battiture e dalle torture dell'eculeo feceli spogliare
con ordine che intorno ai loro fianchi fosse acceso un ardente fuoco. Quindi rallentò le corde
dell'eculeo sicchè rimasero sospesi pei piedi e per le mani. Allora nuovi tormenti. I carnefici
presero alcune verghe e li battevano aggiugnendo piaghe a piaghe. Di poi con uncini di ferro si
strappavano le carni a brani, per modo che i loro corpi erano coperti di lividure, lacerati,
grondanti di sangue.
A quei replicati tormenti non fecero un lamento, non mandarono un sospiro; ma {34
[90]} confortati dalla grazia del Signore, e contenti di patire per amor di Dio andavano con gioia
dicendo: «Gratias tibi agimus, Domine. Vi rendiamo grazie, o Signore, che ci avete fatti degni di
soffrire qualche cosa per la gloria del vostro Santo Nome.»
Musciano non comprendendo la ragione di tanta costanza volle dare ancora un assalto
alla loro fermezza; unendo la crudeltà alla barbarie. Ordinò che fossero tutti slegati e deposti
dall'eculeo; di poi ad esempio del crudele Antioco nella strage dei sette Maccabei, fece schierare
Mario, Audiface ed Abaco dinanzi a Marta con ordine che alla medesima di lei presenza loro
fossero tagliate le mani.
Mentre eseguivasi l’orrido spettacolo Marta raddoppiò il coraggio e sollevando i suoi
pensieri a Dio e richiamando a memoria la fermezza della madre de' giovani Maccabei, avrà di
certo fatto animo a santo Abaco con queste parole:
«Coraggio, figlio mio, coraggio. È un momento quello che devi patire, ma eterno è quello
che dovrai godere. Rimira il cielo, la terra e tutte le cose che in essi vi sono. Tutto fu creato dal
Signore. Gli uomini pure furono tutti da lui creati, perciò non {35 [91]} temere nè tormenti, nè
carnefici, nè tiranno. Imita la fermezza di tuo padre e di tuo fratello. Temi Dio solo. Patisci di
buon animo per lui. Tu darai per lui la presente viti mortale, ma egli ti ricompenserà con una
felicità che non avrà più fine. Coraggio, Abaco, Dio è con noi, e noi morendo per lui di qui a
pochi momenti saremo da lui accolti nella beata Eternità.»
Abaco la interruppe dicendo: «Non temere, o madre, io seguirò costante l'esempio di mio
padre e di mio fratello; le battiture, gli uncini, il ferro, il fuoco, e la stessa morte non mi
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cagioneranno timore di sorta; nè mai mi allontanerò dalla legge del Signore. No: non sarò mai
per obbedire all'iniqua legge del tiranno, ma sarò sempre fermo nella legge del Signore.» Non
obedio proecepto regis, sed proecepto legis quoe data est nobis. Macch. lib. 2, c. 7.
Intanto gli ordini del tiranno erano stati eseguiti: a Mario, ad Audiface ed al piccolo
Abaco essendo state barbaramente troncate le mani, sgorgava in copia il sangue dalle mutilate
braccia. A questa vista Marta inorridì e già quasi cadeva di svenimento; ma tosto pensando che
quel sangue spargevasi per amore di Gesù Cristo, fu dalla divisa grazia {36 [92]} confortata, e
superando i vincoli della natura colligens sanguinem mariti et filiorum suorum, caput suum
liniebat cum gaudio. Vale a dire: corse a raccogliere il sangue che grondava dalle mani del
marito e dei figliuoli suoi, e con gioia ungevasi il proprio capo. Volendo con ciò indicare che ella
non solo era risoluta a lasciarsi mutilare le mani per la fede, ma a lasciarsi tagliar anche la testa.
Act. Martir, etc.
Capo X. Mario, Marta, Audiface ed Abaco condotti per Roma
incatenati; in fine sono tutti coronati del martirio.
Musciano vedendo che i barbari suoi ritrovati non valevano a far prevaricare gli intrepidi
servi di G. C., volle almeno che quel supplizio incutesse terrore agli altri cristiani, e a quelli che
avessero desiderato abbracciare la fede. Fatte prendere le tronche mani che erano cadute a terra,
ordinò che quelle venissero con funi legate al collo di ciascuno. Di poi feceli condurre per le vie
della città. Mentre camminavano un banditore andava loro innanzi gridando: «Non vogliate
bestemmiare gli Dei.» {37 [93]}
Mario confondeva il banditore ed incoraggiava i suoi figli con queste parole: «No, non
sono Dei, ma sono demoni, che condurranno alla perdizione voi ed i medesimi vostri principi».
Musciano accorgendosi che ogni prova ed ogni dilazione era inutile sia perchè i martiri si
mostravano costantemente intrepidi in mezzo ai tormenti, sia perchè il popolo comprendeva
ognor più la vanità degli Dei, anzi molti venivano alla fede, perciò diede ordine che sul momento
si conducessero al luogo del supplizio e fosse loro troncata la testa.
I motivi addotti nella sentenza di morte sono due: Il primo perchè esercitavano la magia,
imperocchè i gentili chiamavano opere dell'arte magica i miracoli che ogni giorno si andavano
operando dai Cristiani. Il second motivo perchè erano nemici degli Dei dell'Impero. La qual cosa
è totalmente vera; poichè la religione cristiana, che è la sola vera, non ammettendo che un Dio
solo creatore del cielo e della terra, e di tutte le cose che in essi trovansi, non può a meno che
rifiutarsi di fare sacrifizio agli Dei che sono miserabili creature per lo più rappresentati con
istatue fatte dalle mani degli uomini. {38 [94]}
Come un cervo sitibondo desidera colla massima ansietà di giungere alla fonte di acqua
viva, così i gloriosi eroi della fede contenti di patire per la fede, e per dare onore e gloria al divin
maestro Gesù, erano impazienti di giungere al luogo che doveva dar termine ai loro patimenti per
unirli in eterno con Gesù Cristo. Furono condotti per la via Cornelia a 13 miglia lungi dalla città
ad un tratto di via detto allora Ninfe di Catabasso, e che credesi quel luogo stesso che oggidì
appellasi s. Ninfa.
Lungo la strada innalzavano a Dio calde preghiere affinchè col suo potente aiuto li
rendesse fermi nella fede. Nello stesso tempo si esortavano a vicenda a dare intrepidamente la
vita per andare tutti insieme a godere con Gesù Cristo in Cielo.
Giunti al luogo stabilito pel supplizio Mario, Audiface ed Abaco furono, decapitati.
Marta dopo aver assistito ed incoraggiato marito e figli al martirio, fu condotta alquanto in
disparte, e compiè il suo martirio coll'essere precipitata in un pozzo. Musciano volle incrudelire
verso dei santi martiri anche dopo la loro morte, e comandò che i loro corpi fossero bruciati e
così andassero privi di sepoltura. Tuttavia {39 [95]} una ricca matrona romana, di nome Felicita,
che impiegava le sue sostanze e la sua vita in opere di carità, trovò modo di rapire alle fiamme
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Don Bosco - Una famiglia di martiri
quelle venerande reliquie già bruciate per metà e le portò a seppellire in un suo podere. La
medesima Felicita andò in cerca del corpo di Marta, lo trasse dal pozzo in cui era stato gettato e
lo portò nel medesimo luogo ove erano i corpi di Mario, Audiface ed Abaco. Queste cose
compievansi il giorno 19 di gennaio nell'anno 270. - V. Bar., anno citato.
Presso al luogo dove subirono il martirio i nostri santi scorgonsi ancora oggidì gli avanzi
di un'antica chiesa sotto cui si diramano parecchi sotterranei a guisa di Catacombe.
Gli atti dei martiri, dai quali abbiamo tratto le notizie intorno a questa celebre famiglia.,
terminano con parole che dimostrano quanto sia antico nella chiesa Cattolica il culto verso le
reliquie dei martiri, e come Iddio abbia in ogni tempo concesso speciali favori a coloro che
andarono sulla tomba de' suoi servi per interporre la loro mediazione presso al divin suo trono.
Le parole sono queste: «Colà dove furono sepolti i corpi di Mario, Marta, {40 [96]} Andiface ed
Abaco cominciò a farsi grande concorso di fedeli, ed il nostro Signore Iddio ha concesso, e
tuttora concede grandi benefizi, mentre regna il nostro Signore Gesù Cristo, che vive e regna col
Padre e collo Spirito Santo ne' secoli dei secoli. Amen.»
Capo XI. Trasporto delle reliquie dei Ss. Martiri Mario, Marta, Audiface
ed Abaco in varie chiese di Roma.
Le reliquie dei santi Martiri furono in tutti i tempi oggetto di speciale venerazione presso
i fedeli, massime quando la memoria ancor fresca della loro costanza nel confessare la fede di
Gesù Cristo attirava i Cristiani a rinvigorire il fervore sulla loro tomba. Le catacombe ed i
sepolcri di quelli che si erano mostrati più coraggiosi erano i luoghi da' fedeli più frequentati.
Quando poi non ebbero più a temere le minacce de' persecutori, continuarono egusimente ad
intervenire a quei sepolcri per impetrarvi celeste aiuto contro agli spirituali nemici, e grazie nelle
temporali calamità. Si fu allora che la Chiesa, fatta libera di esercitare pubblicamente la
religione, {41 [97]} trovò conveniente di estrarre dai sotterranei molte di quelle sante spoglie che
ricevevano speciale venerazione, quindi a maggior onore di que' santi, ed a miglior comodo dei
fedeli le collocò in sontuosi Templi e ne arricchì le Basiliche più frequentate.
Questo pure avvenne delle Reliquie dei Ss. Martiri Mario, Marta, Audiface ed Abaco.
Nell'anno 817 dell'era cristiana sotto il pontificato di Pasquale I esse vennero estratte da quel sito
ove erano state riposte presso al luogo del loro martirio, e furono trasportate nella città di Roma.
Parte di esse fu collocata nella Basilica di s. Prassede, come si ricava dalla lapide
marmorea che in essa chiesa fu posta, e che si appella tavola di s. Pasquale. Questa ricorda il
trasporto ivi fatto di 2300 martiri estratti dalle catacombe ed ivi riposti per mano dello stesso s.
Pontefice. Di molti ce ne ricorda i nomi, fra' quali si leggono i nostri Ss. martiri Mario, Marta,
Audiface ed Abaco. In essa leggesi quanto segue: «In nome dei Signore Iddio Salvator nostro
Gesù Cristo ai tempi del santissimo e beatissimo Apostolico signore Pasquale Papa furono
introdotti in questa santa e venerabile Basilica della Beata Vergine di Cristo {42 [98]} Prassede i
corpi di molti santi martiri, che il predetto Pontefice avendo tolti dai cimiteri e dalle catacombe,
dove giacevano, colle proprie mani, con somma diligenza ripose sotto questo sacrosanto altare.
Nel mese di luglio nel giorno 20, indizione decima.»
Vengono quindi espressi i nomi di vari santi Pontefici, sacerdoti e di altri martiri tra cui
sono Mario, Audiface, Abaco ed ottocento compagni i cui nomi sa solo Iddio ... ed altri, i nomi
de' quali sono scritti nel libro della vita. Di più i nomi delle vergini, e delle vedove Prassede,
ecc... Marta ...
Un'altra porzione fu collocata nella chiesa di s. Adriano, come apparisce da un'altra
iscrizione che si legge nella stessa chiesa, quale iscrizione, come dice il Baronio, vi fu posta
nell'anno 1228. Quest'anno è il primo del Pontificato di Gregorio IX che ci lasciò questo
documento in testimonianza perenne che in detto anno si fossero trovate in questa chiesa le
reliquie dei Ss. Mario e Marta e di altri, delle quali ivi si lasciò la maggior parte, e il rimanente fu
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Don Bosco - Una famiglia di martiri
dallo stesso Gregorio collocato sotto al maggiore altare1. Inoltre nel 1590 mentre per {43 [99]}
ordine di Agostino Cusano Cardinale Diacono di questa chiesa si stava rifacendo l'altare
maggiore, queste reliquie si ritrovarono. Il Baronio, il quale ciò appunto scriveva nel 1590,
aggiunge essere persuaso che in s. Adriano vi fossero solamente le reliquie dei Ss. Mario e
Marta, e che quelle dei figliuoli Audiface ed Abaco si conservassero in s. Giovanni Calibita
nell'isola Tiberina. Per altro nel 1600, mentre si ristorava la chiesa di s. Giovanni Calibita, si
trovò un'urna marmorea, sopra cui erano scolpiti i nomi dei Ss. Mario, Marta, Auuiface ed
Abaco. La qual cosa indicherebbe non dei soli figliuoli, ma almeno in parte si racchiudessero
anche le ossa del padre e della madre.
Il culto a questi santi martiri per lo addietro era assai esteso in Roma, e la memoria delle
loro glorie più viva. Di ciò si riscontra una prova negli antichi a freschi che tuttora in questa città
si vedono nella chiesa di s. Stefano Rotondo. Ivi sono dipinti i più segnalati trionfi dei primi eroi
{44 [100]} della Chiesa, e l'artistico pennello seppe con mirabile vivezza porre sott'occhio le
svariate carnificine, colle quali quei generosi furono tormentati. La scelta dei soggetti è fatta tra
quelli che ebbero maggior rinomanza; nel numero di questi trova una speciale commemorazione
il martirio dei nostri Ss. Martiri Mario, Marta, Audiface ed Abaco con a piedi del quadro questa
iscrizione:
CLAUDIO IMPERATORE
MARIUS ET MARTHA CONJUGES
CUM FILIIS
AUDIFACE ET ABACHUM
POST VARIOS CRUCIATUS
NECANTUR.
Cioè: Sotto Claudio II Imperatore Mario e Marta coniugi co' loro due figliuoli Audiface
ed Abaco dopo aver sostenuto varii generi di tormenti, riportano glorioso martirio.
Capo XII. Trasporto delle reliquie de' medesimi santi in altri paesi.
Iddio aveva destinato che il culto a questi Ss. Martiri non rimanesse ristretto nella {45
[101]} sola città di Roma; perciò dispose che la loro gloria, fatta più chiara con singolari
miracoli, destasse in molti luoghi il desiderio di possederne le reliquie. Così di queste se ne
portarono in Germania, nelle Fiandre ed in altri paesi della Cristianità.
Fino dall'anno 826, nove anni dopo che Pasquale I le aveva estratte dalle catacombe,
porzione di esse fu trasportata da Roma a Mulinheim, ora Seligenstadt, città della Diocesi di
Magonza, unitamente ai corpi dei Ss. Martiri Marcellino e Pietro. Eginardo ad onore
specialmente di questi ultimi innalzò colà una sontuosa chiesa e vi fondò una celebre abazia dei
PP. Benedettini.
Nel 1130 i PP. Benedettini di Cremona ne arricchirono pure il proprio Monastero, e fu
Lamberto abate di s. Lorenzo che se le procurò da Roma, e nella chiesa di s. Lorenzo le ripose
insieme con quelle di s. Urbano Pontefice, e Quirino martiri; le quali tutte nel 1462 furono
collocate in una elegante urna di marmo.
Nel 1137 Arnulfo abate del Monastero di Gemblours nel Belgio ne recò da Roma quando
vi fu consacrato da Innocenzo II, ed in quella chiesa le portò. {46 [102]} Nel 1590, allora che
furono in Roma ritrovate nella chiesa di s. Adriano, il Cardinale Agostino Cusano ne mandava a
Monsignor Wendewil Vescovo di Tournai, il quale le pose nella chiesa di Courtrai.
1Ecco l'iscrizione: - In nomine Domini. Anno domini MCCXXVIII, Pontifìcatus domini Gregorii Papae, indictione
V, Mense Januario, die XVIII, inventa sunt corpora Beatorum martyrum Marii et Martbae -
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Don Bosco - Una famiglia di martiri
Finalmente (come appare dai Bollandisti nell'appendice del 19 gennaio) se ne conservano
nell'antico Monastero di Prüm, città della Prussia Renana, Diocesi di Treviri ove esisteva un
altare dedicato ai santi Mario, Marta, Audiface ed Abaco, ed in cui ciascuno vi aveva la propria
statua.
Ma siccome le reliquie de' nostri martiri furono riposte in tre urne, invece di quattro, il
volgo designolli coll'appellativo dei tre medici, a cagione del gran numero di guarigioni che
continuamente vi si operavano.
La estensione che prese il culto alle reliquie di questi santi è una prova evidente, che non
invano ricorsero i fedeli alla loro intercessione nelle maggiori necessità; e l'essersi Iddio degnato
di accordare speciali favori a chi fiducioso ebbe a loro ricorso è argomento certo per dimostrare
quanto piacesse al Signore di farne conoscere la Santità ed illustrarne la gloria. {47 [103]}
Capo XIII. Trasporto delle loro reliquie in Germania insieme con
quelle di s. Marcellino e Pietro martiri.
Sotto l'Impero di Lodovico detto il Pio, figlio di Carlo Magno, viveva Eginardo, scrittore
assai celebre di quel tempo tanto per l'importanza delle cose che narrò, quanto per la sagacia,
prudenza e verità con cui scrisse. Siccome fu testimonio dei fatti, così potè pur dare i caratteri
più sicuri di credibilità alla sua storia. Scrisse egli tra le molte cose la storia della traslazione
delle reliquie dei Ss. Marcellino e Pietro, e di altri Ss. martiri, fra le quali vi era anche parte di
quelle dei Ss. martiri Mario, Marta, Audiface ed Abaco. È notabile ciò che a questo proposito
osserva il Cardinale Baronio. Essere mirabile disposizione divina che la storia della traslazione
di questi santi martiri e la relazione dei miracoli in questa occasione da Dio operati sia stata
scritta da quello stesso che aveva narrato le gesta di Carlo Magno, di cui nessun altro scrittore di
quell'epoca si trova più veridico ad un tempo e più stimato: affinchè {48 [104]} il culto a questi
santi martiri restasse come scolpito su pietra presso i popoli presenti e futuri, e rimanesse cogli
argomenti più ampi e sicuri consegnato alla posterità2. {49 [105]}
Eginardo adunque narra di se stesso, come stanco degli onori del secolo negli ultimi anni di sua
vita, si fosse ritirato in una sua terra di Michlinstadt nella selva di Ottenvald tra il fiume Necker
ed il Meno. Qui fu sua prima cura di fabbricare una sontuosa Chiesa; e quando fu terminata
progettò di .arricchirla con le preziose reliquie di qualche santo, o martire, a cui dedicarla.
Occupato da questo pensiero, s'incontrò con un certo Deusdona, Diacono Remano, che era
venuto alla corte pe' suoi privati affari. Questi si mostrò propenso ad assecondarlo, ed assicurollo
che nella città di Roma avrebbe facilmente potuto soddisfare al pio suo desiderio; sè esser
possessore di molte preziose reliquie, ed essere dispostissimo a cedergliene parte, consegnandola
a quella persona che gli sarebbe stata indicata, e che a tale oggetto avrebbe potuto accompagnarsi
seco lui fino a Roma. Lieto Eginardo della promessa, diede incarico ad un suo confidente per
nome Ratleico di accompagnare il Diacono fino a Roma, e di riportargli il desiderato deposito.
Il viaggio di Ratleico, lo scoprimento dei corpi de' Ss. Marcellino e Pietro martiri, {50
[106]} il trasporto delle loro reliquie, ed i miracoli che furono operati lungo il cammino formano
2Eginardo nato di famiglia franca nelle Provincie di Starkerborgo nel Granducato di Assia, ebbe per maestro
Alcuino, da cui ricevette lezioni e scienza. Assai stimato da Carlo Magno divennegli segretario, ed aveva la
sopraintendenza delle case e dei palazzi imperiali. Alla morte di Carlo Magno, Ludovico il pio l'ebbe pure in grande
onore e stima. Aveagli affidata l'educazione del suo figlio Lotario, sel tenne in conto d'amico e confidente, e fattolo
suo consigliere, lo volle sempre ai fianchi, quando discutevansi nell'assemblea gl'interessi dello Stato. Eginardo avea
sposato Emma parente dell'Imperatore (alcuni la vogliono figlia di Carlo Magno) la quale viveva ancora nell'anno
815, e si ha un diploma di Ludovico, con cui concede ad Eginardo, ed a sua moglie Emma la terra di Michlinstadt,
luogo solitario nella selva di Ottenwald, tra il fiume Necker ed il Meno; e le due terre di Mulinheim superiore ed
inferiore, situate entrambe sul fiume Meno. Poco dopo Emma morì, ed Eginardo vestito l'abito di S Benedetto tutto
si occupò del servizio di Dio, ed a propagare la venerazione dei Santi, sebbene l'Imperatore l'abbia sempre voluto a
parte del suo consiglio.
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l'oggetto della citata storia della traslazione delle reliquie dei Ss. martiri Marcellino e Pietro.
Riguardo ai Ss. martiri Mario, Marta, Audiface ed Abaco è da ricordare, come al momento in cui
Ratleico stava per partire da Roma con seco i corpi de' Ss. Marcellino e Pietro, il Diacono
Deusdona gli consegnò un involto, contenente altre reliquie di santi martiri, destinate pure ad
Eginardo. Nel rimetterle a Ratleico lo avvertì, come queste reliquie dovessero tenersi nella stessa
venerazione che quelle dei Ss. Marcellino e Pietro, perchè gli uni e gli altri di questi santi, erano
di egual merito presso a Dio; e che facilmente Eginardo vi avrebbe creduto, quando i nomi ne
avesse conosciuto. Quali fossero nol volle dire a Ratleico, riservandosi di farli egli stesso
conoscere ad Eginardo quando si sarebbe recato da lui, come fece di lì a non molto.
Partitosi di Roma con quel sacro deposito Ratleico venne per Pavia, ove si fermò alcuni
giorni: quindi passate le Alpi discese a S. Maurizio nel Vallese, di là pel cantone e città di
Soleure calò pel Reno {51 [107]} fino a Strasborgo d’onde accompagnato da immensa
moltitudine di fedeli, che si recavano a venerare le sante reliquie, arrivò a Michlinstadt. Era
questo il luogo fissato per le sante reliquie che dovevano riporre nella chiesa recentemente da
Eginardo costrutta, ed in cui aveva destinato di conservarle.
Tale però non era la volontà di Dio, ed i santi martiri apparsi a varie persone in differenti
guise fecero conoscere chiaramente che volevano essere collocati non in questo luogo, ma in
Mulinheim superiore, altra terra situata sul Meno ove un'altra chiesa vi aveva eretta Eginardo.
Per la qual cosa Eginardo ordinato questo trasporto processionalmente con gran concorso di
popolo li accompagnò al sito indicato e ve li ripose il 17 gennaio dell'anno 827.
Terminata la funzione e disposta ogni cosa pel maggior decoro e riverenza delle sanie
reliquie stabili un certo numero di ecclesiastici, che facessero continua dimora aecanto al sacro
deposito e si occupassero in cantare le Divine Lodi. Date queste disposizioni, chiamato al R.
Palazzo dall'Imperatore Lodovico per assistere in {52 [108]} Aquisgrana alla Corte Imperiale, se
ne partì, ripieno di celestiali consolazioni. Molti sono i miracoli che furono da Dio operati in
questa chiesa; e grazie d'ogni maniera furono accordate a coloro che si recavano a visitare quelle
sante reliquie.
Cresceva ogni giorno il concorso; e siccome era più sovente discorso dei Ss. Marcellino e
Pietro, dei quali si conoscevano le reliquie, che non degli altri, volle Iddio con uno speciale
miracolo addimostrare, che egli si compiaceva pur anche della venerazione alle reliquie dei Ss.
martiri Mario, Marta, Audiface ed Abaco, che, come sopra si narrò, erano state portate da Roma
insieme coi corpi di S. Marcellino e Pietro. L'importanza di questo fatto è tale, che è meglio
udirlo dallo stesso Eginardo, scritto nel capitolo quinto della sopracitata storia.
Capo XIV. Miracoloso riconoscimento delle reliquie dei santi Mario,
Marta, Audiface ed Abaco.
«Dipartitomi adunque (dice Eginardo), mi recai alla Corte Imperiale: poichè l'Imperatore
{53 [109]} Lodovico, che in quel tempo dimorava nel palazzo di Aquisgrana (Aix la chapelle) vi
aveva nel cuore dell'inverno radunato il consiglio dei Grandi, a cui io pure doveva cogli altri
intervenire. Per lo che costretto a lasciare la vicinanza dei Ss. martiri, assai rincrescevole mi
riesciva il soggiorno nel Palazzo. Passato un mese dacchè io era costì venuto, spedii uno dei
nostri per nome Ellebardo con ordine di recarsi quanto più presto potesse alla tomba dei Ss.
martiri. Questi giunto colà vi si fermò tre giorni. Disponevasi al ritorno pel quarto, quando un
cieco di nome Albrico lo ritenne sul punto di sua partenza facendogli sentire, come egli prima di
riprendere il suo cammino doveva essere testimonio di un segno miracoloso, che riferito a me,
avrebbemi arrecato gaudio e contentezza somma. Soggiunse che quei santi martiri gli erano
apparsi nella notte, e gli avevano comandato di fare ricerca di un certo povero chiamato
Gifalberto. Costui aveva una enorme gobba sul dorso, che orribilmente l'opprimeva, e
costringevate a camminare ricurvo fino a terra, ed appoggiarsi su due corti bastoni per
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istrascinarsi. Aggiunsero che l'avrebbe trovato {54 [110]} nel cenacolo che è posto sopra del
portico della Basilica, e che rinvenutolo dovesse collocarlo presso alle sacre reliquie nel tempo in
cui i Monaci stavano recitando il mattutino. Perciocchè ivi quel meschino doveva pei meriti e
virtù di essi santi essere liberato, e dalla deformità della gobba, e dalla disgrazia del camminare
tutto incurvato e storpio. Ellebardo si arrese, e differì al dimane l'ora della partenza. Intanto il
cieco trovato quel povero che gli era stato indicato, lo condusse nella parte superiore della
chiesa, ed il lasciò presso alle predette reliquie, nel tempo appunto che recitavasi il mattutino,
giusta quanto gli era stato prescritto.
«Queste reliquie, che io ancora non conosceva, erano quelle del B. Mario martire, di sua
moglie e figli, cioè di Marta, Audiface ed Abaco, che erano bensì stati portati coi corpi dei Ss.
Marcellino e Pietro, ma non erano nemmeno conosciute da quella stessa persona che le aveva
portate, perchè colui che me le mandò, aveva promesso di recarsi in persona presso di me e di
svelarmi egli stesso i nomi dei santi a' quali appartenevano quelle reliquie, come fece dappoi.
{55 [111]}
«Erano i monaci alla lettura della seconda lezione dell'ufficio notturno, quando quel
povero, che dal cieco era stato condotto presso alle sante reliquie, diede un fortissimo grido, che
arrecò non poco spavento a quanti l'udirono. Tosto alcuni degli ecclesiastici insieme con quello
cui era stato imposto di tenergli d'occhio accorsero a lui, e lo trovarono prostrato e giacente a
terra presso all'altare, e la terra sopra cui stava appoggiata la bocca, tutta intrisa di sangue. Alzato
da terra, e fatto rinvenire con un poco di acqua, ebbero la gioia di vederselo raddrizzato della
persona, e sano di tutto il corpo, senza che neppure gli rimanesse ombra di quella mostruosa
gobba; e così affatto guarito lo ricondussero in fondo alla chiesa. Dopo questo miracolo
Ellebardo ritornatosene prontamente, mi riferì quanto egli aveva veduto, il che mi riempì di
sommo gaudio e consolazione. Poco dopo quello stesso Ratleico che aveva portato da Roma
quelle sacre ceneri, si recò da me con un libro che conteneva molti capitoli, e dissemi esser egli
venuto, perchè quel cieco di cui si parlò gli aveva imposto, a nome di questi martiri, di scrivere
quei capitoli e di portarmeli {56 [112]} affinchè ne prendessi conoscenza, e li leggessi allo stesso
Imperatore.» (Fin qui Eginardo nel suo libro, De Historia Translationis Ss. Marcellini et Petri.)
La fama di questi e moltissimi altri portentosi fatti che avvennero alla tomba di questi
martiri riuniti nella chiesa di Mulinheim cotanto si accrebbe, che questo nuovo Santuario
divenne la meta di pellegrinaggio d'immenso concorso di persone, che afflitte da disgrazie o
malattie venivano a cercarvi conforto ai loro malori. Le grazie si moltiplicarono a segno che il
borgo di Mulinheim (ove anche il piccolo primitivo Monastero aveva preso maggiori
proporzioni, ed era divenuto celebre abazia) lasciato il primo suo nome non più si chiamò
Mulinheim, ma sibbene Seligen - Stadt, ossia città dei Beati (Vedi Bolland, die secunda iunii).
{57 [113]}
Appendice sul santuario dedicato a Sant'Abaco presso Caselette.
Titolo I. Origine di questo Santuario.
Da quanto si disse nei precedenti capitoli è facile comprendere come rapidamente si
propagasse la venerazione alle reliquie di questi santi martiri. Si è veduto come molti Monasteri
dei PP. Benedettini procurassero di averne una qualche porzione; quindi si spiega come se ne
venerassero in tanti luoghi di Germania, delle Fiandre e di altri paesi, massime dove esistevano
conventi di quei Religiosi. Non farà però maraviglia se anche in Piemonte, nella valle per cui
scorre la Dora Riparia, dove i PP. Benedettini possedevano molte terre, e vi avevano celebri
abazie, siavi {58 [114]} stato portato il culto a questi santi, e che la divozione alla loro memoria
vi abbia gettato profonde radici.
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Sarà pertanto cosa gradevole al lettore il fare particolar menzione del Santuario di
Caselette in queste memorie, sia per la perseveranza con cui dai terrazzani di quel luogo e dei
vicini paesi si conservò in esso la divozione ai nostri Ss. martiri, sia più specialmente per
l'accrescimento che questa divozione ha preso in questi ultimi tempi, e per le singolari grazie
colle quali il Signore si degnò concedere a favore di coloro che divotamente e con fiducia vi
ricorrono.
La montagna di Caselette detta nelle antiche carte Mons. Asinarius o Monte Asinaro,
Musinaro o Musinè, è quella prima sommità che a poca distanza da Torino, alzandosi dalla
pianura della Dora Riparia, viene a formare il primo gradino di quell'alta giogaja, che sulla
sponda sinistra della Dora mano a mano si eleva, e va sopra Susa a terminare alle roccie
gigantesche che dominano il passaggio del Monte Cenisio. Su questa montagna esiste a mezzo
colle una antichissima cappella, che dal più giovane dei nostri Ss. martiri di s. Abaco si appella.
A questa ogni anno dai vicini {59 [115]} paesi muovono in folla i visitatori, i quali, se non
sempre attratti da spirito di divozione, giunti però alla meta del pellegrinaggio, non possono a
meno di non sentirsi spinti ad una preghiera verso quegli incliti Patroni, che da tempo
immemorabile sono con miracoloso successo invocati nelle maggiori necessità.
La fondazione di questa Cappella è molto antica. Le memorie che si sono potute rinvenire
ne parlano sempre come di fondazione immemorabile. È probabile, che la divozione a questi
santi siasi portata in queste contrade per opera dei PP. Benedettini i quali avevano in proprietà
moltissime terre nelle valli della Dora Riparia, ed una grande abazia possedevano alle falde del
Musinè, detta abazia diCamerletto, presso a Caselette.
Avvi una tradizione popolare, che fa salire questa fondazione al finire del secolo decimo;
quando cioè s. Giovanni di Ravenna lasciava quella sua sede Arcivescovile (ove ebbe per
successore Gerberto nel 998, il quale fu poi eletto Papa nel 999 col nome di Silvestro II), e
veniva a ritirarsi nella valle di Susa sulle montagne di Chiavrie sotto al monte Caprasio. Quivi
datosi a vita romitica più d'altro non si {60 [116]} occupava cho dell'orazione e della penitenza.
Avendo sommamente a cuore la gloria di Dio e de' suoi santi ne promosse il culto con erigere
Cappelle in loro onore sul dorso di quelle montagne, e cosi risvegliare nei popoli l'amore alla
Religione, e trovare loro dei possenti protettori nel Cielo. Il sito ove egli aveva fissato la sua
dimora è attualmente notevole per una vasta cappella scavata nel vivo sasso, in cui si venera
l'immagine di Maria Santissima. Quivi aveva pure la sua cella, e per molti anni vi condusse una
vita di mortificazione, e di sublime santità. Presso a questa sua antica cella si trova ora il piccolo
villaggio della Sella o Cella, che pare abbia preso il nome dalla cella del santo Eremita. Si narra
nella sua vita, che spinto dal desiderio di vedere in particolar modo venerato l'Arcangelo s.
Michele avesse stabilito di costruire a suo onore una Cappella, su quella stessa montagna ove
egli aveva dimora. Datosi a radunare e pietre e legnami e materiali d'ogni sorta, queste
provvisioni notte tempo scomparivano dal sito ove erano state collocate, nè più lasciavano
traccia di sè sopra quel luogo. Ricominciato il lavoro, e raccolta una nuova provvista, {61 [117]}
questa come la prima più non si trovava in sul dimane. Raccomandatosi il santo al Signore, ebbe
a conoscere essere volontà di Dio che la chiesa a s. Michele dovesse erigersi non sul dorso del
monte Caprasio, ma sibbene sulla cima del monte Pirchiriano che gli sta di fronte dall'altro lato
della Dora, ove per miracolo erano sfati trasportati i materiali dal santo preparati. Per lo che
abbandonato quel caro suo romitaggio passò dall'altra parte della valle, ove riunì l'opera sua a
quella di Ugone di Montboiscier. Fu ivi innalzata la superba mole detta Sacra di s. Michele.
Dice adunque la tradizione che un compagno di s. Giovanni non l'abbia seguito al monte
Pirchiriano, ma che inspirato da Dio si ritirò più verso le pianura del Piemonte sino al monte
Asinaro, ove trovò un sito adattato per fabbricare una Cappella dedicata ai santi martiri Mario,
Marta, Audiface ed Abaco. Egli si portò ivi ad abitare, mosso dal desiderio di vita solitaria e da
speciale divozione, che sentivasi pei nostri santi, di cui erano allora in Germania recenti i
miracoli e la cui fama senza dubbio era passata di Germania anche a quelli della valle di Susa.
Pare che vi {62 [118]} si possedesse solamente qualche reliquia di s. Abaco, come vi è ancora
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attualmente, che perciò fu chiamata la Cappella di s. Abaco, sebbene vi si venerino egualmente
ed i suoi Genitori, ed il suo Fratello martiri.
Titolo II. Stato della Cappella di s. Abaco sul monte di Caselette in varie
epoche.
Quale fosse la Chiesuola di s. Abaco sul suo principio, se più vasta o più modesta, se più
ricca o più povera, è vano il ricercare. Il certo si è che la divozione al piccolo Santuario quando
più, quando meno infiammata, marcò pure gl'ingrandimenti ed i ristauri, l'abbandono ed i
deperimenti della sacra Cappella.
Pare che nel 1735 si fosse d'assai raffreddato lo zelo dei fedeli, poichè si riscontra nelle
memorie della Parrochia di Caselette che un ottimo curato di quel luogo, il Reverendo D.
Gaspare Forto, siasi accinto a ravvivare la divozione a questi Santi nel cuore dei Caselettesi, ed a
questo oggetto abbia anche ricostituito su solide basi il priorato di quel Santuario, e ne abbia
formato un apposito regolamento. I conti della {63 [119]} Chiesetta si tennero quindi in poi dal
Priore, unitamente al signor Parroco, e per mezzo di questi conti resi per questa guisa ragolari si
può tener dietro alle varie fasi di questa fabbrica, e vi si scorge come con sole elemosine dei
fedeli, senza verun reddito fisso, si provvedesse al servizio della chiesa, ed alle necessarie
riparazioni. L’intento di quel zelante Pastore non andò fallito, ed egli riescì a riaccendere nei
cuori l'affetto e la confidenza verso dei santi Patroni, e, come si esprime nelle sue memorie, a far
rivivere nel luogo di Caselette quella pia divozione, che da tempo immemorabile radicata in
questo Comune era stata sorgente d'innumerevoli grazie, e di segnalati favori. La cresciuta
divozione ridonò nuova vita al Santuario, e coll'aumentato concorso dei fedeli si accrebbero pure
le scarse risorse. Questo si appalesa dalle maggiori spese che si poterono fare attorno a quelle
mura. Il Santuario fu munito di un piccolo campanile, da cui una modesta campana chiamava i
fedeli sopra quel sacro colle, ed un povero Eremita passava nell'annesso abituro la solitaria sua
vita a guardia del Santuario. Egli aveva cura della chiesuola, accoglieva i pellegrini, riceveva le
oblazioni. {64 [120]}
La Cappella aveva acquistato nuovo decoro e nuovi ornamenti, talchè nel 1760 attirata la
cupidigia di alcuni malviventi avidi di bottino, questi di notte tempo portatisi su quel colle,
sforzate le porte, derubarono quanto vi si trovava di ricco e di buono, anzi esportarono la stessa
campana, e per soprapiù maltrattarono il povero Eremita.
Se la chiesa restò nuovamente denudata, non per questo si raffreddò lo zelo dei fedeli che
accorrevano da ogni parte massime nel giorno dedicato ai Ss. Patroni. E qui è da notare quanto
viva siasi sempre palesata questa fiamma di zelo, quando si consideri che avvenendo questa
festiva ricorrenza dei Ss. martiri nel cuore dell'inverno, cioè nel giorno 19 del mese di gennaio,
nulla giammai valse a scemare il numero degli accorrenti, nè l'inclemenza della stagione, nè
l'asprezza delle vie, nè la ristrettezza della chiesa, per cui la maggior parte dei divoti accorsi
erano costretti a stersene al di fuori. Ognuno doveva contentarsi di entrare soltanto dopo la
funzione, quando, uscendo i primi entrati, davane luogo ai secondi.
Questo inconveniente faceva sentire grave bisogno di ampliare il sacro recinto, e si fu
{65 [121]} soltanto col raggranellarsi delle pie oblazioni che si pervenne a qualche buon
risultato.
Tra i notabili lavori vi è quello eseguito nel 1817. Uno dei più zelanti Priori, Antonio
Conti, tanto fece e tanto si adoperò che trovò mezzo a rinnovare quasi tutto il corpo dell'attuale
chiesetta. Anzi fu tale il suo zelo che di notte rinchiuso nel Santuario occupava il tempo destinato
al sonno in lavorare e preparare sabbia, purgando le vecchie macerie della demolizione che
pazientemente faceva passare al crivello. In questo lavoro la perdurò costante più mesi. Questa
ampliazione eseguita con isforzi di zelo, ma con deboli fondi, non ottenne la necessaria solidità.
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Laonde nel 1842 l'Amministrazione comunale di Caselette, animata dall'invito del Parroco,
concorse a ristorare una parte dell'edifizio che minacciava rovina.
Nel 1851, coll'aggiunta del coro, e di una piccola sacrestia che prima mancavano, quel
sacro recinto fu reso capace di contenere maggior numero di fedeli.
Questi ed alcuni altri lavori promossi dagli zelanti Teologo Matteo Tivano Prevosto, e
Teologo Domenico suo fratello e coadiutore ridestarono la divozione, la divozione {66 [122]}
accresciuta meritò nuove grazie, le nuove grazie attirarono maggior copia di pellegrini. Così
quell’ingrandimento che pareva sufficiente si trovò essere un nulla a petto del bisogno; laonde si
dovette nuovamente provvedere, come più sotto si vedrà.
Titolo III. Visita delle Regine Maria Teresa, e Maria Adelaide di Savoia alla
Cappella di san Abaco. - Stabilimento della Via Crucis.
Intanto sopravveniva l'anno 1854, anno memorabile pel popolo di Caselette, e che lasciò
di sè nell'animo di quei terrazzani incancellabili ricordi. Le due auguste Regine, Maria Teresa
vedova del Re Carlo Alberto, e Maria Adelaide moglie del Re Vittorio Emanuele II, lasciate le
ville Reali erano venute con tutta la Real famiglia a cercare la semplicità della campagna, e la
pace della solitudine nell'ameno castello di Caselette, del pio sig. conte Carlo Cays, frammezzo a
questa semplice popolazione, la quale non rifiniva dalle maraviglie nel vedere fra le proprie mura
questi augusti personaggi.
La luce delle loro eminenti virtù non tardò a farsi notare sfavillante, e fra quelle che {67
[123]} più colpiscono le rozze menti dei popolani, una soda divozione, una fede viva, ed un
ardentissimo interessamento a quanto riflette anche i più semplici atti di Religione. Il piccolo
Santuario di s. Abaco non poteva passare inosservato a quelle anime elette, le quali ricercavano
ogni occasione per onorare Iddio nei santi suoi.
I primi passi dell'Augusta Maria Teresa furono diretti all'elevato poggio ove s'innalza la
Cappella del Santuario, e se la Regina Maria Adelaide non potè seguirla nel religioso
pellegrinaggio, stante la sua mal ferma salute, volle peraltro esserne rappresentata da' suoi figli
nella divota visita.
I Reali Principi in nome della madre offerivano ricco dono ai comuni Patroni. Questo pio
atto di venerazione ai Ss. martiri della montagna, ripetuto più volte con religioso contegno,
arrecò inusitato stimolo alla già viva e sincera divozione del popolo di Caselette e de' paesi
confinanti.
In quest'anno pure si iniziò la costruzione delle cappellette della Via Crucis che ora
adornano la salita del monte. Una nobile signora afflitta per una grave malattia, da cui era affetto
il suo consorte, aveva nell'anno antecedente fatto promessa {68 [124]} a s. Abaco d'innalzare la
prima una delle cappellette della Via Crucis, qualora Iddio si fosse compiaciuto di ridonarle
entro quell’anno il marito in buona salute. La desiderata guarigione aveva tenuto dietro alla
promessa, e già nell'estate del 1854 si gettavano le fondamenta e si portava a termine la prima
delle dette cappellette. In questo tempo appunto l'augusta Maria Teresa ed i Reali Principi
visitavano per la prima volta la chiesuola di s. Abaco. Informatisi dello scopo di questa nuova
costruzione e vogliosi di cooperare al cristiano intento di stabilire le stazioni del Calvario lungo
la via che conduce alla divota cappella, offerivano quanto era necessario alla erezione di due
altre cappellette. A questo nobile esempio si mossero tutte le classi della popolazione. Alle
auguste persone, tennero dietro nobili matrone e signori, ecclesiastici e secolari, titolati e plebei,
uomini e donne, facoltosi e meno agiati, tutti chi più chi meno concorsero alla formazione di
alcune delle cappellette, come lo attestano i nomi dei singoli patroni, scritti su ciascuna di esse.
Persino i più poveri proprietari di Caselette non potendo da soli, formatisi in società, posero
insieme {69 [125]} con piccole somme riunite quel tanto che bisognava alla costruzione di due
cappelletto che si elevarono a testimonio dell'ammirabile buon volere della società degli uomini,
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e della società delle donne. Così senza il minimo concorso dei fondi del Santuario nel breve
spazio di tre anni si elevò sulla strada di s. Abaco questo monumento parlante della pietà e della
religione dei Caselettesi. Nè invano si ebbe tanta fiducia nei possenti Patroni di questa
popolazione, poichè mentre pareva che il malefico influsso del cholera morbus fosse per menare
grave strage, quasi per miracolo cessava, e pochissime furono le vittime che si ebbero a
deplorare.
Alle 14 cappellete per la Via Crucis una se ne aggiunse sul principiar della salita,
destinata alla orazione preparatoria per le stazioni. Questa fu dedicata a Maria SS. Consolatrice.
Siccome questa regina di tutti i santi è pure particolarmente invocata dai divoti visitatori del
Santuario, così fu pensiero di apporre ancora alle singole 15 cappellete altrettanti dipinti
rappresentanti i quindici Misteri del SS. Rosario. In guisa che coloro fra i pellegrini, che ignari
del modo di fare l'esercizio {70 [126]} della Via Crucis (che vi è canonicamente eretta, sia luogo
la strada, sia nell'interno della cappella), non fossero in grado di acquistare le indulgenze che vi
sono annesse, fossero almeno invitati ad accompagnare la salita colla recita del SS. Rosario, e
colla meditazione dei quindici suoi misteri3. {71 [127]}
Titolo IV. Continuazione dei lavori ed ampliazione.
Mentre lo stabilimento della Via Crucis fiancheggiante la strada che conduce al Santuario
stava compiendosi mercè lo zelo e la cooperazione dei fedeli, l'amministrazione del Santuario,
confortata da altre offerte, ed animata dal sempre crescente bisogno di rendere più capace il
sacro recinto della chiesa della montagna, si accinse nel 1855 a raddoppiare l'area del coro con
un apposito prolungamento. Innalzata la parte corrispondente del tetto, ingrandì pure del doppio
la camera superiore al coro. Nuova balaustrata è nuovo pulpito offerti da pie persone aggiunsero
nuovo ornamento. I lavori che colassù si compievano erano opera di tutti. Più si lavorava e più si
desiderava di lavorare.
Il concorso della popolazione di Caselette era ammirabile. Grandi e piccoli, giovani e
vecchi, uomini e donne, tutti accorsero per quanto le loro forze il permisero. Era commovente
spettacolo, allorchè dovevano farsi pesanti, faticosi trasporti o di pietre, o di mattoni, o di travi, o
di tegole, o di calce, o di sabbia, o di acqua. Comune {72 [128]} era lo slancio, la gioia, e la
prontezza con cui tutti andavano a gara per faticare sotto al peso delle indossate materie, ripetere
più volte la faticosa salita, sempre lieti, sempre freschi, sempre contenti, sempre bramosi di
cooperare ai ristauri della cappella dei cari Patroni. Questi lavori furono precipua opera dei
giorni festivi, quando terminate le funzioni di Chiesa, il Santuario di s. Abaco era come un
convegno, ove a ristoro delle fatiche della settimana venivano quei buoni contadini ad offerire ai
loro Patroni in tenue tributo di venerazione la gratuita fatica di alcune ore. E poi quando tutti
erano giunti lassù, l'accalcarsi ai piedi del sacro altare, il sollevare gli occhi ed il cuore ai Ss.
Patroni, l'innalzare a Dio ed alla SS. Vergine una infuocata preghiera in comune accordo, a
vantaggio dei presenti, a conforto degli assenti, a sollievo degl'infermi, al bene di tutti, oh allora
il cuore ridondava di gioia, e si riempiva di fiducia! Non pochi sono coloro che ottennero da Dio
singolari favori.
3Ciascuna delle 15 cappellette porta il nome de l'oblatore che la fece costrurre. La l.a al cominciare della salita,
dedicata alla SS. Vergine della Consolata, è del conte Cays, insigne benefattore del Santuario e caldo promotore di
ogni opera di pubblica beneficenza. La 2.a in cui principia la Via crucis, e ne rappresenta la prima stazione, è della
contessa Gabriella Ferrere, e cavaliere Policarpo Piossasco. La 3.a è di Ignazio Bertolotto del luogo di Caselette. La
4.a è del teologo Matteo Tivano Prevosto, e fratelli teologo Domenico, e sacerdote Michele Tivano. La 5.a del capo
mastro del villaggio, Sanguinetti Felice. La 6.a di 4 oblatori, Garrone di Pianezza, Pacchiodo, Ronco, e Vittone. La
7.a della associazione degli uomini di Caselette. La 8.a del cavaliere Bergalli Lorenzo e cavaliere Benfà Carlo. La
9.a della associazione delle donne di Caselette. La 10.a del conte Carlo Cays. La 11.a del conte Luigi Cays suo
figlio. La 12.a del conte Eugenio Ponziglione. La l3.a delle loro Altezze i Reali Principi di Savoia. La 14.a di S. M.
la Regina Maria Teresa. La 15.a della contessa Adelaide Provana del Sabbione.
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Don Bosco - Una famiglia di martiri
I nuovi lavori del 1855 attorno al Santuario, e le cappellette della Via Crucis nel 1856
lungo la strada erano appena compiuti, quando l'amministrazione si accorse {73 [129]} che la
fatta ampliazione era ancora insufficiente al sempre crescente numero dei divoti che
specialmente nel giorno della festa da ogni parte vi convenivano. Il bisogno si toccava con mano,
il desiderio era vivo in ogni cuore. Ma dovendosi limitare la spesa alle scarse entrate non era
sperabile di poter appagare la brama comune, salvo dopo qualche spazio di tempo, che avesse
permesso d'ingrossare a questo fine il piccolo fondo coi proventi delle annue elemosine.
Senonchè Iddio, cui certamente piacque il pio desiderio, mandò ad un buon negoziante nativo di
Caselette, il signor Giovanni Battista Fassetta, la inspirazione di legare al Santuario di s. Abaco
una capitale somma di lire 500. Questo lascito fu una spinta che decise la costruzione del portico
che si vede esternamente alla chiesa, come pure della sovrapposta orchestra, non che del
campanile, e del corridoio laterale. Così a metà dell'anno 1860 si vide ultimato il vestibolo,
ricostruita e fatta più elevata la volta sopra l'altare, rinnovate le tinte a tutta la chiesa. Per ultimo
una nuova campana, dono di un erede di quel pio negoziante che già aveva fatto il legato
sopraenunciato, innalzavasi {74 [130]} sul nuovo campanile, appunto in quest'anno 1860 in cui
compievasi il centenario, dacchè l'altra campana era stata da mani sacrileghe involata.
A ricordanza dei fatti si apponeva ai muri del nuovo portico la seguente iscrizione:
LA PIETÀ DEI MAGGIORI
CHE QUESTO SACRO TEMPIO
IN REMOTI SECOLI ERESSE
EMULARONO I NEPOTI
RIPARATO ED AMPLIATO NEL 1817
RICEVEVA NEL 1851 E 1855 NUOVO DECORO
REALI AUGUSTI PERSONAGGI
POPOLO E MUNICIPIO
CASELETTESI E FORESTIERI
ACCORSERO CON PIA GARA
CON RACCOLTE ELEMOSINE, PRIVATE OBLAZIONI
E PIO LASCITO
E CAPPELLETTE E STRADA NEL 1856
E PORTICO ED ORCHESTRA NEL 1860
SI COMPIEVANO
E L'OFFERTO SACRO BRONZO
LE GLORIE DI S. ABACO CELEBRAVA FESTOSO
E LA FEDE DEI POPOLI. {75 [131]}
Titolo V. Grazie speciali ottenute ad intercessione di s. Abaco dai divoti che
gli si raccomandarono. Breve di S. S. Pio IX.
Una iscrizione, che si legge sul fregio del frontone, sta a testimonianza del possente
patrocinio, con cui questi venerati santi sempre favorirono coloro che alla loro intercessione
fiduciosi si rivolsero. La iscrizione dice:
Sanctis martiribus Abaco et sociis febricitantium Patronis
Cioè:
Ai santi martiri Abaco e compagni
Patroni di coloro che sono travagliati dalle febbri.
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Don Bosco - Una famiglia di martiri
Questo glorioso titolo accordato a s. Abaco e compagni si ritrova costantemente nelle
antiche memorie della cappella, ed al piede di una vecchia incisione, che è una copia del quadro
che nei tempi addietro ornava l'altare di essi santi si legge questo motto: {76 [132]}
Marius et Martha coniuges, Audifax et Abachum eorum filii, nobiles persae, sub Claudio
Imperatore Romae, martirium passi sunt. Febricitantium Patroni, magna cum populorum
frequentia ac devotione, Caselettis venerantur.
Questa iscrizione si può tradurre in italiano come segue:
«Mario, Marta coniugi, Audiface ed Abaco loro figliuoli nobili persiani, sotto Claudio
Imperatore furono in Roma coronati del martirio. Questi santi sono venerati presso Caselelte con
grande concorso di popolo e sono con grande divozione invocati e tenuti patroni di coloro che
sono travavagliati dalle febbri.» I fatti non mancano a comprovare la verità di questo elogio.
Basterebbe far cenno di quanti da molti paesi vengono con frequenza a ringraziare sul luogo
questi santi Patroni, dai quali riconoscono d'aver ricevuto chi la sanità, chi la vita. Nel tacere dei
più, giova almeno ricordarne alcuni, i quali vollero particolarmente esternare la loro
riconoscenza con raccontare le ricevute grazie, o col farle dipingere sopra votive tabelle. {77
[133]}
È per primo il fatto di una signora, la quale sorpresa nel corrente anno 1860 da
violentissime febbri, dopo inutili tentativi dei medici, vedendo che nulla valeva a sradicarle, anzi
minacciata da prossimo pericolo della vita ricorse a s. Abaco fiduciosa, e promise di visitare il
suo Santuario sul monte di Caselette. Tale fu la sua fede, che sebbene già sentisse i brividi ed il
tremito della irruente febbre, invece di perdersi di animo essa raddoppiò di speranza, ed alla fatta
promessa aggiunse anche questa di fare la salita del monte a piedi scalzi. Non era ancora finita la
preghiera, che già sentitasi libera dall'incominciato accesso mutò la prece di domanda in quella
di ringraziamento, e pochi giorni dopo si portò da ben sei miglia a compiere il voto, secondo la
fatta promessa.
Non è da passare sotto silenzio un altro fatto a cui testimonianza esiste nel Santuario
apposito quadro.
Nel 1854, fra quei pochi che furono attaccati dall'asiatico morbo vi ebbe una donna in
Caselette che già disperata dai medici, altri quasi più non aveva attorno al letto, che il sacerdote
chiamato ad assisterla {78 [134]} moribonda. Il sacro ministro la stava preparando all'estremo
passaggio. Buon per lei che quel pio consolatore, inspirato da Dio, pensò a suggerirle di
rivolgersi al Patrono della cappella della montagna. Il pericolo era imminente, ed a sperare una
guarigione bisognava voler proprio un miracolo. Avendo per altro detto il Signore che colui il
quale è armato di viva fede sarebbe capace di smuovere pur anco le montagne, non è maraviglia
se questa donna ottenesse il premio della sua fede, e che fra pochi giorni ridonata a salute abbia
potuto ringraziare Iddio del ricevuto favore, ed attribuire alla intercessione del glorioso s. Abaco
la grazia per cui lo aveva supplicato.
Moltissime altre tabelle appese a quelle sante mura ricordano consimili guarigioni. E per
lasciare le più antiche, delle quali si ha solamente quella memoria che ne desta l'appeso dipinto,
sono ancora presenti in Caselette le angoscie ed i timori di quella famiglia a cui appartenevano
due giovani infermi, accanto al cui letto piangevano e pregavano ad uno la madre, all'altro la
sposa. Di questi ridonati a salute parla ancora ai Caselettesi la fresca memoria, {79 [135]}
mentre ai posteri ne parleranno i due quadri appesi nel sacro tempio a ringraziamento ed a
riconoscenza.
È consolante il girare lo sguardo attorno a quelle pareti; e mentre questo rapido volgere di
occhi è sufficiente a forzare chicchessia a confessare quante giustamente appartenga a s. Abaco e
compagni il glorioso titolo di Patroni dei febbricitanti, chiaramente pure dimostra non esser
meno loro dovuto il titolo di protettori in ogni qualunque necessità. E questo lo sa bene il popolo
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di Caselette e di altri circostanti paesi che loro giammai non ricorse invano, sia quando il cielo di
bronzo pareva volesse negare la pioggia alle inaridite campagne, sia quando rotte le cataratta
stava sospirando la benefica serenità e calore. Oh è bello allora il vederlo salire
processionalmente al sacro Monte, prostrato dinanzi al venerato altare, pregare, supplicare ... ed
ottenere!
E poi che cosa vogliono indicare tanti altri dipinti, nei quali sono rappresentati ora uno
che precipita dall'alto di un fenile, ora un altro dal tetto di una casa, ora un terzo dalla cornice di
una chiesa? E qui costui che scampa dalla rovina di {80 [136]} un antico muro che gli precipita
addosso, e questi che sepolto sotto una enorme frana di terra n'esce con salva la vita in tanto
rischio? E quell'altro che rovesciato il carro si strascina carpone da sotto la catasta delle
ammonticchiate legna che gli pesano sopra? E quello che nell'istante di precipitare dal ponte in
un torrente, è salvato per ispeciale favore dall'imminente pericolo? E poi là sulla montagna quel
cacciatore a cui lo schioppo s'infiamma colla bocca al petto; e quello a cui la pistola scoppia
improvvisa fra le mani e per ultimo quel misero, che già travolto dalla corrente delle acque,
l'unica sua speranza ripone nella elevata cappella, che dalla montagna gl'inspira fiducia, e gli
promette salvezza? Coloro, che appesero questi votivi ricordi, sono altrettanti divoti, i quali
riconobbero la loro salvezza dalla protezione dei Patroni di questo Santuario.
Uno ve n'ha fra tutti, che per la gravezza del pericolo che rappresenta dà argomento ad
ammirare la grandezza del visibile ottenuto favore. Sono due minatori che nel basso di un
profondo pozzo lavorano a scavare il duro masso colle apprestate polveri. Rinchiusi fra quelle
mura di {81 [137]} macigno, vicini l'uno all'altro, non possono muovere addietro un passo, non
possono allontanarsi di un dito dal tremendo inevitabile scoppio che li minaccia entrambi. Nel
bel mezzo di essi si è improvvisamente infiammata la mina. Lo scoppio è immenso, micidiale,
tremendo. Il fuoco si sprigiona repentino dal sasso, ed insieme col fuoco una grandine di pietre e
di frantumi è scagliata all'intorno. Non v'è scampo pei miseri sepolti, e se ad annichilarli non
basta la terribile mitraglia che si solleva da sotto ai loro piedi, un secondo pericolo non meno
gravo, tuttora li minaccia. Le pietre scagliate all'insù dalle accese polveri ripiombano gravi e
micidiali sulle loro persone. Non vi è riparo, ne' mezzo a salute ... E pure sono salvi ed illesi:
nulla hanno sofferto; si trovano non solo vivi, ma quasi senza graffiatura in mezzo a tante
cagioni di morte! Estratti da quel profondo è un interrogarli, un domandare, che fu? che non fu?
Come mai salvi fra tanta rovina? ... Dessi non lo sanno. In tanto frangente non hanno nemmeno
avuto il tempo di ricorrere a Dio, nè il pensiero di stringersi al seno la medaglia di Maria SS. che
hanno appesa al {82 [138]} collo. La maraviglia è al colmo, ed è tanto più grande, in quanto che
a miracolo così evidente non si trova spiegazione di sorta, ed ognuno sente in cuore, che se Iddio
si è degnato di accordare ai due meschini un tanto favore si è perchè vi deve esser di mezzo
l'intercessione di qualche possente Patrono. Lo stupore si cangia in ringraziamento alla SS.
Vergine Maria, ed a s. Abaco, quando il proprietario del pozzo udito il caso portentoso è in grado
di annunziare che egli riconosce la salvezza dei due lavorieri dalla valida protezione di Maria SS.
e di s. Abaco, ai quali nel cominciarsi del pericoloso lavoro aveva raccomandato e l'opera ed i
lavoranti.
Così Iddio si piace di onorare la memoria dei suoi santi, e questi fatti per chi ha fede sono
abbastanza eloquenti. Non è dato all'uomo di leggere negli imperscrutabili disegni di Dio, ma
quando Egli si degna di manifestarsi così chiaramente è segno indubitabile che Egli vuole vedere
in particolar modo venerati quei santi che lo hanno servito mentre erano mortali sopra la terra.
Felice quel popolo che sa aprire gli occhi alla luce, e secondando i disegni di {83 [139]}
Dio, si fa strumento a viemeglio onorare, e propagare la gloria de' suoi santi; e della loro potente
intercessione si fa scudo non tanto contro le terrene disgrazie, quanto più specialmente contro le
eterne. Iddio per altro non ha solo parlato colle tante grazie di cui si è fatto cenno. Egli ha di più
parlato colla bocca del suo rappresentante in terra il sommo Romano Pontefice. La divozione a
questi santi, l'onorarli particolarmente nel piccolo Santuario di Caseletto, non solo è approvato
dal vicario di Gesù Cristo, ma è altresì arricchito di speciali spirituali favori. Giova finire queste
memorie col testo del Breve, con cui S. S. Papa Pio IX si degnò di accordare una indulgenza
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plenaria perpetua, a chi confessato e comunicato visita il Santuario di Caselette nel giorno
dedicato a questi santi Patroni.
PIO PAPA IX.
Ad perpetuam rei memoriam.
Ad augendam fidelium religionem, animarumque salutem, caelestibus Ecclesiae
thesauris, pia charitate intenti omnibus e singulis {84 [140]} atriusque sexus Christi fidelibus
vero poenitentibus et confessis ac s. Communione refectis, qui Ecclesiam in honorem Ss. Marii,
Marthae, Audifacis et Habacum mm. sitam intra fines Paraeciae loci - Caselette - nuncupati,
Taurinensis Diaec, die decimo nono mensis ianuarii, a primis vesperis usque ad occasum diei
hinusmodi singulis annis devote visitaverint, et ibi pro Christianorum Principum concordia,
haeresum extirpatione, ac s. Matris Ecclesiae exaltatione pias ad Deum preces effuderint,
pienariam omnium peccatorum suorum indulgentiam, et remissionem quam etiam animabus
Christifidelium, quae Deo in charitate coniunctae, ab hac luce migraverint, per modum suffragii
applicari posse, misericorditer in Domino concedimus. In contrarium facientibus non obstantibus
quibuscumque.
Praesentibus perpetuis futuris temporibus valituris.
Datum Romae apud s. Petrum sub annulo Piscatoris die XX decembris MDCCCLIX.
Pontificatus nostri anno decimo quarto.
Pro domino
Cardinale MACCHI,
Jo. B. BRANCALEONI CASTELLANI. {85 [141]}
Traduzione
PIO PAPA IX.
A perpetua memoria del fatto.
Ad accrescere lo spirito di religione tra i fedeli e a ravvivare ognora più in essi il
desiderio della salute delle anime, coi celesti tesori della Chiesa, mossi da caritatevole affetto a
tutti e singoli i Cristiani d'ambo i sessi, i quali veramente pentiti, confessati, e comunicati
visiteranno devotamente la chiesa eretta in onore dei santi Mario, Marta, Audiface ed Abaco
situata nei fini della parrochia del luogo detto di Caselelte della Diocesi di Torino, nel giorno
decimo nono di gennaio, dai primi vespri fino al tramontare del sole di questo giorno in ogni
anno, ed ivi pregheranno per la concordia dei Principi Cristiani, per l'estirpazione delle eresie e
per l'esaltazione di s. Madre Chiesa, noi concediamo in nome di Dio misericordioso una
indulgenza plenaria e remissione di tutti i loro peccati, {86 [142]} da applicarsi anche a quelle
anime dei fedeli che in grazia di Dio hanno già fatto passaggio da questa all'altra vita.
E ciò non ostante qualunque disposizione contraria alle presenti che devono aver forza in
perpetuo nei tempi futuri.
Dato in Roma presso s. Pietro sotto l'anello pescatorio il giorno 20 dicembre 1859, del
nostro pontificato decimo quarto.
Per S. E.
Il Cardinale MACCHI,
G. B. BRANCALEONI CASTELLANI
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Titolo VI. Esercizio di divozione per la novena e festa di S. Abaco e de' suoi
compagni siccome si celebra ogni anno con rito solenne il 19 gennaio nel
Santuario presso Caselette.
Se il tempo lo permette si può leggere ogni giorno un capo di questo libretto nel modo
seguente: giorno 1o capo 1° pag. 3. Giorno 2° capo 2° pag. 6 e se ne leggerà un capo in ciascun
giorno della novena. Il capo 10 servirà di lettura pel giorno della festa. {87 [143]}
Ogni giorno dopo la lettura si dirà la seguente coroncina spirituale.
Deus, in adiutorium meum intende.
Domine, ad adiuvandum me festina. Gloria Patri etc. Sicut erat etc.
1° O gloriosi martiri di Gesù Cristo, e specialmente voi, o s. Abaco, che dai più teneri
anni consacraste tutto il cuor vostro al Signore; deh! accogliete le nostre suppliche ed otteneteci
da Dio la grazia di poter consacrare i nostri cuori al divm servizio, e passare almeno il rimanente
di nostra vita nell'osservanza della santa legge del Signore.
Pater, Ave, Gloria etc.
2° Gloriosi martiri di Gesù Cristo, voi che rinunziaste agli onori, ai piaceri, alle vanità del
mondo per guadagnarvi un premio eterno; deh! vi preghiamo, esaudite le umili nostre suppliche
ed impetrateci da Dio fortezza e coraggio affinchè noi pure possiamo tenere a vile ogni terrena
vanità, e siamo pronti a dare ogni bene del mondo piuttostochè fare o dire alcuna cosa contraria
all'amore che dobbiamo al nostro salvatore Gesù Cristo.
Pater, Ave, Gloria etc.
3° Gloriosi nostri protettori che guidati dallo spirito di religione affrontaste i pericoli {88
[144]} d'un lungo e faticoso viaggio per visitare la tomba e le reliquie dei santi Apostoli;
otteneteci la grazia di poter anche noi fedelmente venire ai vostri piedi per implorare il vostro
celeste patrocinio; seguire i vostri esempi colla fuga del peccato e colla pratica della virtù.
Pater, Ave, Gloria etc.
4° Gloriosi modelli di santità, voi che oltre di visitare gli infermi ed i carcerati impiegaste
le vostre sostanze nel soccorrere i bisognosi, i sostenere quelli che pativano per la fede; Deh!
otteneteci i lumi necessari per fare buon uso di quelle sostanze che Dio ci ha date, cosicchè
possiamo impiegare ogni nostra sostanza, tutte le nostre forze nel soccorrere i poverelli e
sostenere coloro che nel sacro ministero lavorano per condurre anime al Cielo.
Pater, Ave, Gloria etc.
5° Gloriosi santi martiri, che in mezzo a spietati tormenti non mai cessaste di confessare
la santa fede di Gesù Cristo, deh! ascoltate le nostre preghiere, ed otteneteci la grazia di essere
pur noi costanti nella pratica di nostra santa Religione Cattolica fino alla morte.
Pater, Ave, Gloria etc. {89 [145]}
6o Gloriosi confessori della fede, che nella speranza dei beni celesti patiste prolungati
tormenti, sanguinose flagellazioni ed orrida carrtificina, deh! vi preghiamo, aiutateci dal cielo
affinchè noi pure possiamo tollerare con rassegnazione la perdita di ogni bene temporale e
qualunque tribolazione che a Dio piaccia mandarci nel corso di nostra vita mortale.
Pater, Ave, Gloria etc.
7o O fedeli e forti confessori della fede, che, terminando la vita fra i tormenti e cantando
inni di gioia, volaste gloriosi a godere la incomprensibile felicità del cielo; deh! umilmente vi
preghiamo ad ottenerci il Divino aiuto affinchè noi pure possiamo superare i.pericoli della
presente vita e infine spirare l'anima nostra pronunciando i dolci nomi di Gesù, di Giuseppe e di
Maria.
Pater, Ave, Gloria etc.
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8o O gloriosi e fortunati abitatori del cielo, voi che colla santità della vita, coi patimenti
sofferti vi siete guadagnato una felicità che godete da molti secoli e godrete in eterno; deh!
aiutateci, affinchè vi possiamo imitare nelle vostre virtù per essere poi un giorno partecipi della
medesima vostra gloria in Paradiso.
Pater, Ave, Gloria etc. {90 [146]}
9o Gloriosi santi martiri che foste dal Signore a noi dati per protettori nei bisogni
spirituali e temporali; deh! otteneteci da Dio la grazia di poter corrispondere ai benefizii ricevuti,
e così mediante il vostro potente patrocinio possiamo in avvenire tener una vita di buon
Cristiano, fere una santa morte e giungere un giorno all'immensa felicità del cielo per
ringraziarvi dei benefizii che ci avete fatti e nel tempo stesso benedire e lodare Iddio con voi in
eterno.
Pater, Ave, Gloria etc.
INNO.
Sanctorum meritis inclyta gaudia
Pangamus, socii, gestaque fortia:
Gliscens fert animus promere cantibus
Victorum genus optimum.
Hi sunt, quos fatue mundus abhorruit;
Hunc fructu vacuum, floribus aridum
Contempsere tui nominis asseclae,
Iesu Rax bone coelitum. {91 [147]}
Hi pro te furias, atque minas truces
Calcarunt hominum, saevaque verbera;
His cessit lacerans fortiter ungula,
Nec carpsit penetralia.
Caeduntur gladiis more bidentium:
Non murmur resonat, non quaerimonia:
Sed corde impavido mens bene conscia
Conservat patientiam.
Quae vox, quae poterit lingua retexere
Quae tu Martyribus munera praeparas?
Rubri nam fluido sanguine fulgidis
Cingunt tempora laureis.
Te, summa o Deitas unaque, poscimus,
Ut culpas abigas, noxia subtrahas,
Des pacem famulis, ut tibi gloriam
Annorum in seriem canant.
Amen.
Orate pro nobis, beati martyres Christi.
Ut digni efficiamur promissionibus Christi.
OREMUS
Exaudi, Domine, populum tuum cum Sanctorum tuorum patrocinio supplicantem: ut et
temporalis vitae nos tribuas pace gaudere, et aeterna reperire subsidium. Per Dominum. {92
[148]}
Versione
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INNO.
Dei Santi ai meriti solenni onori
Rendiamo unanimi e al forte oprar;
Con lieti cantici quei Vincitori
Il cor tripudia di celebrar.
L'empio abborrivali quai stolti un giorno:
Essi sprezzaronlo per Te, Signor;
Qual mondo sterile e disadorno
Di frutti ingenui, di eletti fior.
Per Te le furie degli empi e l'ire
Calcaro intrepidi con franco piè,
Nè d'unghie ferree l'aspro martire
Gli Spirti indomiti piegar potè.
Mentre si scannano quai pecorelle,
Non s'ode un gemito, non un sospir;
Con cuore impavido quell'alme belle
Sfidan l'orribile lungo soffrir.
Qual premio ai Martiri sia in Ciel serbato,
Gran Dio, degli uomini chi dir saprà?
Ecco al purpureo stuolo beato
Un serto fulgido già in fronte sta.
Te, somma Triade, preghiam ferventi
Deh! tu purifica la mente e il cuor;
E in tutti i sscoli de' dì vegnenti
Gloria a te cantisi, o gran Signor. {93 [149]}
Indice
Capo I Fonti da cui ricavansi le memorie riguardanti a questi santi
Capo II Genitori de' Ss Audi face ed Abaco - Educazione data alla loro
figliuolanza - Loro venuta a Roma
Capo III Mario colla sua famiglia va a venerare i corpi dei santi, soccorre i
prigionieri, seppellisce i corpi de' martiri
Capo IV Mario colla sua famiglia dà sepoltura a s Cirino, indi è accolto in
un'adunanza di Cristiani
Capo V S Valentino confessa la fede di G Cristo e dà la vista ad una
fanciulla cieca
Capo VI Conversione, martirio di san Asterio e della sua famiglia
Capo VII Martirio di s Valentino Mario colla sua famiglia davanti
all'Imperatore
Capo VIII Mario, Marta, Audiface ed Abaco disprezzano le minacce e le
promesse di Musciano, perciò sono battuti con verghe e posti sopra l'eculeo
Capo IX Mario, Marta, Audiface ed Abaco sottoposti al fuoco, agli uncini,
sono loro troncate le mani Parole di s Marta e di s Abaco
Capo X Mario, Marta, Audiface ed Abaco condotti per Roma incatenati; in
fine sono tutti coronati del martirio
Capo XI Trasporto delle reliquie dei Ss martiri Mario, Marta, Audiface ed
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Abaco in varie chiese di Roma
Capo XII Trasporto delle reliquie dei medesimi santi in altri paesi
Capo XIII Trasporto delle loro reliquie in Germania insieme con quelle di s
Marcellino e Pietro martiri
Capo XIV Miracoloso riconoscimento delle reliquie dei santi Mario, Marta,
Audiface ed Abaco
Appendice sul Santuario dedicato a s Abaco presso Caselette {95 [151]}
Titolo I Origine di questo Santuario
Titolo II Stato della Cappella di s Abaco sul monte di Caselette in varie
epoche
Titolo III Visita delle regine Maria Teresa e Maria Adelaide di Savoia alla
cappella di s Abaco - Stabilimento della Via Crucis
Titolo IV Continuazione dei lavori ed ampliazione
Titolo V Grazie speciali ottenute ad intercessione di s Abaco dai divoti che
gli si raccomandarono Breve di S S Pio IX
Traduzione del Breve
Titolo VI Esercizio di divozione per la novena e festa di s Abaco e de' suoi
compagni, siccome si celebra ogni anno con rito solenne il 19 gennaio nel
Santuario presso Caselette
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Con approvazione della Revisione ecclesiastica {96 [152]} {97 [153]} {98
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