Don_Bosco-Severino


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Don Bosco – Severino, ossia avventure di un giovane alpigiano
SEVERINO OSSIA AVVENTURE DI UN GIOVANE ALPIGIANO
RACCONTATE DA LUI MEDESIMO ED ESPOSTE DAL SACERDOTE
GIOVANNI BOSCO
TORINO
TIP. DELL' ORATORIO DI S. FRANC. DI SALES
1868. {1 [1]}
PROPRIETÀ DELL'EDITORE {2 [2]}
INDEX
Capo I. Chi fosse Severino. Quali cose abbiano dato motivo a questi racconti..........................2
Capo II. Severino parla delle industrie di suo padre pel bene della famiglia..............................2
Capo III. Severino parla dell'indolenza di sua madre..................................................................4
Capo IV. Severino racconta un grave disastra avvenuto in famiglia...........................................5
Capo V. Severino parla delle fatiche del padre...........................................................................6
Capo VI. Severino racconta la morte del padre...........................................................................7
Capo VII. Parla de' suoi trattenimenti nell'Oratorio....................................................................9
Capo VIII. Severino racconta parecchi ameni episodi..............................................................10
Capo IX. Severino parla de' suoi studi.......................................................................................12
Capo X. Severino parla della sua caduta nel protestantesimo...................................................14
Capo XI. Severino parla della sua partenza da Torino e della morte del b. Pavonio................15
Capo XII. Severino parla dello studio fatto sull' origine de' Valdesi.........................................16
Capo XIII. Severino parla della valle di Luserna e della vera origine dei Valdesi...................18
Capo XIV. Severino espone la diffusione dei Valdesi e la loro unione coi Protestanti............19
Capo XV. Severino parla delle variazioni della dottrina valdese..............................................20
Capo XVI. Severino parla di alcuni curiosi episodi della dottrina Valdese..............................22
Capo XVII. Severino racconta della sua partenza per Ginevra e del suo arrivo sul Gran s.
Bernardo.....................................................................................................................................25
Capo XVIII. Severino parla di alcuni incidenti sul Gran s. Bernardo.......................................26
Capo XIX. Severino parla di Ginevra e di Calvino...................................................................29
Capo XX. Severino parla delle vicende del Cattolicismo in Ginevra.......................................31
Capo XXI. Severino parla della sua dimora in Ginevra............................................................32
Capo XXII. Severino parla della morte di un suo amico e va alla chiesa dei cappuccini.........34
Capo XXIII Severino parla del suo viaggio a Torino, e della sua nuova vita in famiglia.........36
Capo XXIV. Severino racconta una conferenza animatissima tra un prete ed il ministro
Valdese.......................................................................................................................................38
Capo XXV. Severino racconta il suo traslocamento e la sua guarigione inaspettata................39
Capo XXVI. Ultimi anni di Severino: morte della madre.........................................................41
Conclusione...............................................................................................................................42
Appendice sulla morte di Severino............................................................................................43
Indice.........................................................................................................................................44
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Capo I. Chi fosse Severino. Quali cose abbiano dato motivo a questi
racconti.
Severino ebbe i suoi natali in un paese posto ai pie' delle Alpi. Dopo una serie di strane
avventure egli ritornò in patria travagliato da una malattia che lo aveva condotto sull'orlo della
tomba. Molti parenti ed amici si recavano con premura a visitarlo e udivano con gran gusto il
racconto delle cose cui egli aveva preso parte o ne era stato testimonio. Un giorno fu dai
medesimi invitato a raccontar loro con ordine le vicende di sua vita. Noi verremo volentieri ad
ascoltarvi, soggiunsero, {3 [3]} e con noi verranno eziandio altri amici, i quali certamente
saranno al par di noi ricreati.
Sebbene Severino fosse molto affranto per la malattia sostenuta, nulladimeno godeva
assai delle visite di persone oneste, da cui udiva o alle quali raccontava con bel garbo cose
amene o morali. Poichè vi piace così, loro rispose, io vi esporrò di buon grado i casi strani della
mia vita e questo fo volentieri, perchè vi porgerò motivo di venirmi a visitare, e dal canto mio
avrò un' occasione di riparare almeno in parte lo scandalo dato; ma più ancora affinchè le mie
sciagure servano ad altri d'avviso per evitare gli scogli che conducono alla rovina tanta inesperta
gioventù. Debbo per altro premettervi che per ragionevoli motivi dovrò tacere il nome di luoghi
e di persone che forse andrebbero esposte a dimande inopportune. Che se qualche volta voi mi
vedrete commosso ed anche versar lagrime sulle passate mie sventure datemi benigno
compatimento. {4 [4]} Sono uomo e sento vivamente quello che onora o degrada la povera
umanità; potete non di meno essere certi che in mezzo a' miei detti non vi sarà sillaba che non si
appoggi sopra la verità di quanto vi verrò esponendo.
Sparsa la notizia che Severino avrebbe raccontate le sue avventure intervenne un gran
numero di uditori, tra cui molti giovanetti del vicinato, perchè tutti sapevano che Severino aveva
studiato e letto molto e ne' lunghi suoi viaggi aveva avuto parte a curiose vicende.
Vedendo Severino la sua camera piena di gente fe' cenno ad ognuno di sedersi e poi
incominciò a raccontare i casi della sua vita coll'ordine che segue.
Capo II. Severino parla delle industrie di suo padre pel bene della
famiglia.
Giacchè cosi vi piace e per questo scopo, o cari amici, vi siete qui raccolti, intraprenderò
{5 [5]} l' esposizione delle avventure a cui presi parte nella mia vita.
Come vi e ben noto, io nacqui in un paese alquanto elevato e posto dove le alpi
cominciano ad appellarsi montagne. I miei genitori erano buoni cristiani e si adoperarono per
educarmi ed istruirmi nella cristiana religione. Io era il maggiore di cinque fratelli. Non avevamo
molte sostanze, ma mercè il lavoro e l'industria potevamo procacciarci onoratamente il pane
della vita. Mia madre attendeva agli affari domestici, procurava che fossero per tempo coltivati
que' campi e que' castagneti che formavano la parte principale delle nostre sostanze. Mio padre
da giovanetto cominciò ad esercitare un piccolo commercio in oggetti di maglia, di tela, di lana,
di filo e di cotone. Lungo l'estate promuoveva i lavori di questo genere e comperava cose alla
spicciolata or qua or là; nell'autunno poi si recava nelle città per farne spaccio. Con questo mezzo
egli animava l'industria nella patria, e faceva {6 [6]} sì che molti nell'autunno potessero vendere
con facilità i prodotti delle loro fatiche e quindi provvedersi di que' commestibili di cui difettano
i paesi alpestri. Mio padre si era acquistala buona riputazione e col discreto patrimonio di stabili,
e con un sufficiente capitale in commercio procacciavasi mezzi per fare del bene al suo simile, e
perciò era da tutti amato ed onorato.
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Mentre attendeva a' suoi materiali interessi non dimenticava i doveri del buon cristiano.
Appena la figliolanza giunse all'età capace si diede premura d'inviarla alle scuole. Egli stesso la
faceva da ripetitore e spesso consacrava i momenti destinati al riposo per rivederci i temi della
scuola e farci recitare le lezioni assegnate o spiegare le difficoltà che in quella età ad ogni linea
soglionsi incontrare. Talvolta nel tempo stesso che desinava facevanni recitare o declamare un
brano di qualche libro. Quando fui promosso alla quarta elementare dovetti applicarmi in {7 [7]}
cose non ancora insegnate quando egli frequentava le scuole. Esso allora mi cercò un buon
ripetitore che facesse da maestro nella scienza e nella moralità.
Siccome mia madre non si occupava gran fatto dell'educazione de' suoi figliuoli, vi
suppliva mio padre. Io toccava appena i sette anni, e già soleva condurmi seco alle sacre funzioni
parochiali. Mi ricordo che per la piccola statura non potendo bagnare le dita nell'acquasantino,
egli mi alzava affinchè ci potessi giungere, guidavami la mano nel fare il segno della santa croce,
poi facevami mettere in ginocchio accanto a lui assistendomi nel modo più amorevole.
All'epoca della mia prima comunione volle egli medesimo prepararmi, e tutto il mese che
precedette a quel memorando giorno soleva mattino e sera farmi leggere un capo del libretto
Gesù al cuor del giovane aggiungendovi quelle osservazioni che egli giudicava per me adattate.
Nel mattino fissato pella comunione stette meco {8 [8]} quattro ore in chiesa. Mi assistè nel
confessarmi, nel prepararmi, nel comunicarmi e fare co' miei compagni il dovuto ringraziamento.
« Severino, dissemi nel condurmi a casa, per l'avvenire richiama alla memoria la gioia di questa
giornata. Ma ricordati che tu puoi conservare nel tuo cuore le delizie di un si bel giorno fino a
tanto che l'offesa di Dio non allontanerà dal tuo cuore la sua santa grazia. Aveva la
commendevole abitudine di recitare le ordinarie preghiere colla famiglia. Al mattino tutti ci
levavamo di letto ad un' ora determinata, quindi con mia madre, co' miei fratelli e sorelle, colle
persone di servizio e talvolta con parenti ed amici ci mettevamo ginocchioni; egli stesso guidava
la preghiera pronunziando e facendoci pronunziare le parole in maniera pia, divota e
distintamente. La sera faceva lo stesso; ma prima che si andasse a letto voleva sempre che fosse
fatta un po' di lettura intorno alla vita del santo di quel giorno. {9 [9]}
Che dirò poi della carità e della limosina del mio buon padre? Egli sapeva guadagnare e
risparmiare ed a suo tempo sapeva anche spendere. Soleva più volte raccontare in famiglia, come
egli con sulle spalle un canestro pieno di tela di varie qualità andava di paese in paese per
effettuarne lo spaccio. Caldo, freddo, sudore, fame e sete erano quasi sempre i suoi compagni
indivisibili. Ne' suoi viaggi per lo più camminava a piedi. Alberghi, osterie, caffè non erano da
lui nè abitati e nemmeno visitati. Il mio pranzo ordinario, diceva, era un tozzo di pane con un
pezzetto di cacio, acqua fresca e talvolta un bicchiere di vino offertomi da qualche generoso
compratore.
Mio padre pertanto mettendo così insieme i minuti guadagni del commercio coi prodotti
del bestiame e de' suoi poderi potè in breve tempo aumentar notabilmente la sua fortuna a bene
proprio ed altrui. Niun mendico bussava alla porta di nostra casa senza che ottenesse, se non {10
[10]} danaro, almeno minestra o pane. Presso di lui lo stanco trovava riposo; il debole era
ristorato; il cencioso veniva vestito, il pellegrino bene accolto. Che più? Giunse talvolta a dare
ricetto in casa sua a poveri ammalati che faceva assistere e curare a proprie spese. Non parlo
delle sollecitudini che si dava per soccorrere famiglie indigenti, specialmente quelle in cui si
trovassero infermi. La limosina, soleva dire, non fa diventar povero; i miei affari cominciarono
ad andar bene quando ho cominciato a largheggiare in limosine. Il Salvatore disse: Date ai
poveri, e Dio ne darà a voi; ed io provai col fatto che Dio anche nella presente vita dà il centuplo
di quanto facciamo per amor suo. Mio padre pertanto godeva la stima de' suoi compatrioti,
l'amore di tutti i buoni. Le sue sostanze lo avevano collocato fra i cittadini più benestanti e
accreditati, e fu due volte eletto sindaco del paese. Ma in mezzo a tante benedizioni la
Provvidenza gli aveva seminate pungenti spine. {11 [11]}
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Capo III. Severino parla dell'indolenza di sua madre.
Gli affari di mio padre riuscivano prosperamente, ed ogni impresa per lui era un
guadagno; ma una grande tribolazione aveva in colei che avrebbe dovuto essergli di aiuto e di
conforto. Mia madre non corrispondeva alle sollecitudini del marito. Io parlo di lei con amore e
con rispetto, ma ad onore del padre mio debbo disapprovare non poche azioni di lei; tanto più
che espongo cose a voi note, così che io non fo altro che ricordarle.
Emilia, è il nome di mia madre, apparteneva a famiglia di civile condizione alquanto
decaduta. Nello sposare mio padre pensavasi di migliorare fortuna, e certamente la sua
aspettazione sarebbesi avverata, se corrispondendo allo zelo del marito avesse operato da vera
madre di famiglia. Pretendeva vestir con eleganza oltre alla sua condizione, cosa che al sommo
{12 [12]} dispiaceva al padre mio. Emilia, le diceva talvolta, ricordati che è meglio andar vestiti
di cenci senza debiti, che portare abiti eleganti, ma ancora da pagarsi al mercante.
Non si contentava dell'ordinario apprestamento della mensa. Una bottiglia di vino, un
manicaretto, un confetto, un pane semolato, un fiaschetto di liquore erano i nascondigli suoi. Se
andava al mercato od alla fiera difficilmente visitava la chiesa; ma il caffè e qualche volta anche
l'osteria non erano dimenticati. Mio padre sapeva tutto, più volte l'avvisò, ed a fine d'impedirla
teneva il danaro sotto chiave. Essa allora usando con maestria l' industria dei ghiottoni, aspettava
che il marito fosse lontano di casa, e poi dava di piglio ora ad un sacchetto di frumento, ora di
ceci, di fagiuoli, oppure ad alquanto di burro, di vino, di pollame e giunse fino ad involare alcune
merci depositate da corrispondenti in casa del padre mio. Queste cose vendeva per lo più a
prezzo vile per {13 [13]} provvedersi abiti, o per appagare la sua ghiotternia. Voleva parimenti
che i suoi figliuoli andassero ben vestiti. Mio padre un giorno la corresse severamente e la
minacciò per fino di cacciarla di casa. Ella promise emendazione, ma non fu verità.
Un giorno mia zia con un bel garbo le richiamò a memoria gli avvisi e le minacce di mio
padre, e studiava di farle mettere testa a partito. Voi parlate bene, rispose, mio marito ha ragione,
ma io la penso diversamente. Si vive una volta sola, Dio ci dà le sostanze per servircene, e non
per adorarle; l'avarizia è un brutto vizio che non voglio in casa mia.
Sorella, rispose mia zia, voi parlate a sproposito. Si vive una sola volta, e perciò
dobbiamo servirci di questa vita per farri del bene e non per darci all'intemperanza. Dio ci dà le
sostanze per farne buon uso per noi, per la famiglia, e pel nostro prossimo. Voi siete obbligata a
conservare le sostanze ed a farne risparmio pei vostri figliuoli; siete obbligata a cooperare con
{14 [14]} vostro marito al loro bene. Voi non volete essere avara e fate bene. Ma passa grande
differenza tra l' avarizia e lo scialacquo. Vostro marito non è avaro, non è scialacquatore; è un
uomo che lavora e suda per procacciare onesto sostentamento alla famiglia e beneficare il suo
simile. Voi dovreste imitarlo.
Poco badando a questi riflessi continuava a spendere senza regola. Certi abiti che per lei
erano sufficienti, giudicavali non più adattati: scarpe, guanti, orecchini, cuffie e simili ornamenti
donneschi voleva che fossero tutti alla moda. Quindi voi, o amici, avrete non di rado veduta una
contadina colla fronte rugata e colle gote magre ed abbronzate, abbigliata da signorina. La quale
cosa moveva a riso quanti la osservavano ed eccitava a sdegno il povero mio padre che spargeva
sudori di sangue per migliorare la sorte di sua famiglia.
Un giorno mio padre parti pe' suoi affari di commercio, ma a cagione di alcune carte
dimenticate ritornò indietro inaspettato. {15 [15]} Egli colse mia madre al momento che partiva
per la fiera di un paese vicino. Al rimirare lo strano abbigliamento, Emilia, le disse, fai la più
brutta figura del mondo; sembri proprio una maschera da carnovale. Che cosa porti a vendere?
Niente, rispose, vado soltanto a far compera di alcuni abiti indispensabili per la famiglia. Ma ciò
dicendo e tremolandole la mano, formavasi una specie di corrente fatta dalla farina che essa
teneva nascosta in un taschetto e che scorreva fino a terra, svelando così la menzogna e il furto di
lei. Altra volta essendo in simile guisa sorpresa, mentre secondo il solito voleva negare, lasciò
cadere a terra un fiasco d'olio che intendeva portare al mercato per venderlo arbitrariamente.
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Sebbene mio padre fosse d'indole mitissima e preferisse quel danno piuttosto che eccitare
discordie in famiglia, tuttavia, dopo di averla più volte invano minacciata, un giorno trasportato
da giusto sdegno la percosse non leggermente, e le cose sarebbero {16 [16]} state condotte più
avanti se io e mia sorella piangendo genuflessi ai piè di lui non ne avessimo calmato lo sdegno e
così impedite più triste conseguenze.
Malgrado questi disturbi e questi scialacqui mio padre colla vigilanza, coll'attività, colla
fatica, o dirò meglio, colla benedizione del cielo, potè giungere ad un florido stato di fortuna.
Godeva quelle consolazioni che sono proprie di chi vede la propria figliuolanza crescere
nella sanità, nell'onore e nella moralità. Queste cose facevano pronosticare un felice avvenire per
sè e per la sua famiglia, quando un tristo avvenimento ci gettò tutti nella più squallida indigenza.
Capo IV. Severino racconta un grave disastra avvenuto in famiglia.
Mio padre aveva un cuore fatto per beneficar quanti poteva. Raccomandazioni, lettere,
ospitalità, servigi, soccorsi ai poveri, {17 [17]} assistenze agli ammalati erano cose che egli
faceva ogni giorno col massimo piacere. Aveva soltanto ripugnanza a prestar il suo nome per
sicurtà. Amo meglio, soleva dire, dare assolutamente quello che posso, piuttosto che dar sicurtà
pei contratti altrui.
Tuttavia un giorno venne un suo corrispondente a pregarlo di impedire la rovina del
proprio commercio. Se non pago, diceva l'amico, o non presento un mallevadore, tutte le mie
merci vanno all'incanto, sarà chiuso il negozio e la mia famiglia ridotta alla mendicità. Con una
parola, o Gervasio, (è il nome di mio padre) voi potete salvare l'onor mio e togliere la sventura
dalla mia famiglia. Ho una cambiale di somma uguale che mi sarà infallantemente fra tre mesi
pagata. Ben lo sapete che le cambiali sono danaro contante; non vi domando altrochè due linee di
malleveria. Esitò più giorni mio padre; ma finalmente si arrese. Non ho mai voluto essere sicurtà,
diceva, è questa la prima {18 [18]} volta; mi arrendo per fare un'opera buona, succeda quello che
a Dio piacerà. Firmò e si rese mallevadore pel debito dell'amico.
Momento fatale! La buona volontà del principale non bastò: i suoi crediti divennero
inesigibili, mio padre dovette egli stesso pensare al pagamento.
Il buon genitore conobbe allora il cattivo passo; ma era troppo tardi. Si aggiunga per
sopra più che il debito in realtà era assai maggiore di quanto si diceva; inoltre ogni cosa doveva
pagarsi entro brevissimo termine. Perciò egli fu costretto a precipitar la vendita di alcune merci,
a farsi anticipare esazioni, disfarsi di vari capitali: tutte queste cose non bastavano. Fu
giuocoforza porre in vendita anche un corpo di casa ed una cascina che con duri stenti si era
procacciata. In fine diversi creditori, vedendo volgere in male i suoi affari, levarono pretese per
fargli sistemare gravi interessi prima del tempo convenuto. Ciò non potendosi fare legalmente,
addussero il timore di fallimento e posero {19 [19]} il sequestro su tutti gli stabili del debitore.
Per tal modo abbattuto e bersagliato dalla fortuna, Gervasio non si perdè di animo e tentò di
liquidare quanto ancor possedeva per ripigliare il primitivo commercio in una sfera più ristretta;
ma non riusci. Niuno più voleva fargli credito e i tempi cangiati rendevano molto difficile lo
spaccio di merci a contanti. Quell'uomo cristiano alzò allora gli occhi al cielo ed esclamò: Dio mi
ha data la fortuna, Dio l'ha tolta, così a lui piacque, così fu fatto, sia sempre ed in ogni cosa
benedetto il suo santo nome.
Una sera recitate colla famiglia le solite preghiere disse: Domani andremo tutti a fare la
nostra confessione e la nostra comunione; pregheremo Dio che ci illumini e ci apra una strada
per poterci in qualche modo guadagnare il pane della vita.
Tutti acconsentimmo e la stessa mia madre, che fino a quel punto parve insensibile, restò
commossa e promise che {20 [20]} di buon grado sarebbesi anch'essa associata agli altri per
recarsi in chiesa ad invocare la misericordia del Signore.
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Compiuti quei religiosi doveri, il buon genitore radunò la famiglia e facendosi animo per
non rompere in troppo gravi commozioni prese a parlar così:
Miei cari, la mano del Signore ha pesato sopra di noi. Avevamo poco e coll'aiuto del
cielo avevamo acquistato di che vivere onestamente. Ora tutto è perduto. Questa casa non è più
nostra, i nostri poderi appartengono ad altri padroni, l'esercitar il solito commercio mi è
impossibile. Ma Dio padre nostro non ci abbandonerà. Nella mia gioventù ho fatto qualche
tempo il muratore e farò ritorno all'antico mestiere. Tu, Severino, porterai calce e mattoni, io
sarò bracciante da cazzuola. Il guadagno sarà scarso, ma chi ha saputo guadagnar molto saprà
vivere con poco. Tu, Emilia, abbi cura degli altri ragazzi. Tu, sono costretto a dirlo, hai anche
avuto parte a questa sventura. {21 [21]} La tua ambizione, la tua indolenza.... Ma tiriamo un velo
sopra rimembranze troppo dolorose ed inutili. Tu rimarrai in patria e mediante una stretta
economia, col sussidio che noi t'invieremo ogni mese potrai avere il pane quotidiano. Ma perchè
piangi, o Emilia? - Io piango, rispose, pel vostro avvenire; non è possibile che voi e Severino
possiate reggere a cotanto dure fatiche, perciò è impossibile che mi mandiate sussidio.
Se confidiamo nelle nostre forze, soggiunse il buon Gervasio, faremo niente e morremo
di fame. Che se Iddio provvede agli uccelli dell'aria, ai pesci del mare, ai gigli del campo, non
provvederà eziandio per noi? Riponiamo in lui la nostra fiducia e facciamo quanto possiamo per
addolcire le amarezze di un tristo avvenire. Coraggio adunque, economia, lavoro, preghiera siano
il nostro programma. Che se ci toccasse di sostenere gravi privazioni, non importa: noi cristiani
sappiamo per fede che i patimenti della vita giovano {22 [22]} efficacemente per giungere
all'eterna felicità del cielo.
Capo V. Severino parla delle fatiche del padre.
Pochi giorni dopo mio padre partiva alla volta di Torino conducendo seco il povero
Severino che doveva cangiare i libri e la penna colla secchia e col cestino. Io era sano, robusto ed
in breve ho potuto abituarmi ai pesanti lavori di mastro muratore. Mio padre a motivo dell'età
trovò da prima non piccole difficoltà; ma per fortuna incontrò un valente muratore che se lo
prese per coadiutore nella costruzione di un grande edifizio. Di modo che tra la sua buona
volontà, la sofferenza e l'ammaestramento dell'amico potè ben presto divenire capace di
guadagnarsi una discreta giornata.
Una sera per altro trovandosi molto stanco strinse tra le sue mani le mie, e {23 [23]} al
rimirarle incallite e livide per le insolite fatiche, osservando la mia faccia tutta abbronzala ed
annerita dal sole, sospirando esclamò: Povero Severino, miglior sorte era serbata per te. Caro
padre, tosto risposi, io son contento di lavorare anche di più, purchè vi possa recare qualche
conforto. Una, domenica a sera lo vidi nuovamente afflitto più del solilo; diedemi la consueta
cena, ma egli non gustò cibo di sorta. Io vedeva sulla sua fronte descritta l'intensità del dolore,
ma non ardiva dimandargliene la cagione.
Severino, mi disse con voce agitata, va presto a dormire e riposa tranquillo, giacchè
dimani avrai molto a faticare. Ubbidii prontamente, ma la costernazione dell'amato genitore
allontanò il sonno dagli occhi miei, cosicchè io stava in letto con lo sguardo segretamente rivolto
a lui.
Persuaso che io dormissi egli cominciò a passeggiare per la camera sospirando e
lacrimando. Se io fossi solo, diceva, sentirei meno il peso della sventura, ma {24 [24]} la
moglie... i miei figli morranno di fame. Di poi dando in dirotto pianto, si gittò ginocchioni
davanti ad un crocifisso: Mio Dio, esclamò, se voi non mi aiutate io son perduto, abbiate
misericordia di me. A quel trasporto di dolore, a quella specie di disperazione del padre mio non
potei più reggere. Balzai di letto e corsi ad inginocchiarmi davanti a lui dicendo: Padre mio, caro
padre, che mai avete, ditemelo, io procurerò di consolarvi e se non posso far altro dividerò con
voi le lagrime ed il dolore.
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- Caro Severino, nuove sventure cadono sopra di me, tu va, dormi quieto.
- E impossibile che io possa dormire, se non so la cagione dei vostri affanni.
- Severino, sono due mesi da che noi lavoriamo e ci priviamo quasi del necessario
alimento per inviare qualche soldo a tua madre, ma oggi ricevo lettera con una cambiale
concernente alla fatale mallevadoria, in forza di cui mi è minacciata la cattura se non pago cento
franchi fra {25 [25]} tre giorni. In questa guisa è consumato il poco danaro che con due mesi di
fatiche e di privazioni abbiamo guadagnato.
- Abbiate pazienza, caro padre, il destino non sarà sempre avverso, io saprò lavorare e
guadagnare, e spero che in poche settimane potremo raggranellare altro danaro. Intanto date pace
ai vostri affanni, venite, andiamo a riposo; Dio ci aiuterà.
Si mostrò egli alquanto consolato da queste parole, e asciugandosi le lagrime diedemi un
amorevole bacio e andammo ambidue a letto. La divina Provvidenza venne di fatto in nostro
aiuto. La sanità ci favorì, io aiutava mio padre nel miglior modo possibile, e nella esecuzione di
un lavoro affidatoci a nostro rischio e guadagno siamo riusciti a porre insieme una discreta
somma di danaro che servì a provvedere alle più urgenti strettezze della famiglia. Anzi mio
padre ripigliando poco per volta la sua antica energia venne fatto assistente di alcune opere di
maggior {26 [26]} importanza con più vistoso guadagno. È vero che egli non era molto pratico
dei nuovi pesi e delle nuove misure di capacità che si andavano introducendo, ma io aveva già
acquistate quelle cognizioni nelle scuole percorse, sicchè alla sera notava e talvolta correggeva
quanto era del caso. Una cosa poi che mi torna sempre di cara rimembranza si è che in mezzo a
tante fatiche mio padre non trascurò mai i suoi religiosi doveri. Certe sere giungevamo a casa
cadenti per la stanchezza; avevamo ancora il boccone tra i denti e già il sonno ci opprimeva;
nulladimeno levandosi di tavola ponevasi meco ginocchioni per recitar le preghiere e fare alcuni
minuti di lettura di un libro che egli aveva sempre seco intitolalo: Pascolo quotidiano dell'anima
divota.
Nei giorni festivi conducevami a cantare i divini uffizi in una confraternita; alla predica
adavamo sempre nella chiesa di s. Francesco d'Assisi. Non meno di una {27 [27]} volta al mese
conducevami seco a ricevere i santi sacramenti.
Non dimenticarti giammai, dicevami, o caro Severino, che nel mondo tutto si può perdere
per le disgrazie, ma la virtù, il merito delle opere buone, la religione non possono esserci rapite
dalla sventura. Altra volta soggiunse: Noi siam diventati poveri, ma ricordati che saremo sempre
ricchi se ci manterremo nel santo timor di Dio. Questo tesoro non ci può essere dagli uomini
tolto senza nostro consenso!
Capo VI. Severino racconta la morte del padre.
Terminava quell'anno di dure prove e mio padre faceva ritorno alla famiglia co' suoi
risparmi. Potè con essi provvedere segala, meliga, castagne con altre cose di maggior necessità, e
ciò sembrava dargli novella vita. Ma nel mese di gennaio gli sopraggiunsero nuove passività {28
[28]} da estinguere, ed egli non sapendo più dove trovar danaro cadde di nuovo in una tetra
malinconia. Un suo amico gli disse di pubblicare il fallimento, a fine di non essere più tenuto a
pagare i debiti prima contratti. Egli per altro con fermezza rispondeva: I fallimenti per non
pagare i debiti sono un vero ladroneccio, e non mai da proporsi ad un uomo onesto. Vivrò nella
miseria, morrò negli stenti, ma ho detto di pagare e finchè avrò un centesimo lo porterò ai miei
creditori. Amo meglio morir povero onorato e colla coscienza pura, che vivere agiato a danno
altrui.
Sebbene mio padre facesse grandi sforzi per dimostrarsi rassegnato e fidente in un
miglior avvenire, tuttavia era scomparsa dal suo volto quella giovialità con cui rallegrava parenti
ed amici. Qualche volta prendeva parte a discorsi ameni che lo movevano al gaudio ed al
piacere, ma non rare volte al lieve sorriso succedevano le lagrime e i sospiri. Di notte eziandio
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{29 [29]} invece di dormire udivasi spesso tramandare gemiti e lamenti. Qualche volta lo vidi
interrompere il pranzo per dare sfogo agli affanni. Queste cose lo ridussero a grave debolezza
che egli invano studiava di nascondere.
Si aggiunse che un giorno ha voluto portare sulle spalle un pesante cestone di
commestibili da un paese alquanto lontano. La lunghezza del cammino, la sua debolezza, il peso
fecero sì che arrivasse sfinito di forze e molle di sudore cui egli non badò a riparare. Di qui ebbe
origine una costipazione, una tosse con febbre, che lo costrinsero a mettersi definitivamente a
letto.
Il medico facevagli animo assicurando essere il suo male di niuna conseguenza. Alcuni
giorni di riposo, gli diceva, con qualche leggero rimedio vi restituiranno la primiera sanità: ma
egli continuava ad asserire che i suoi mali erano molti, e le sue forze esauste, per ciò avere poca
speranza di guarigione. A fine di prevenire {30 [30]} le conseguenze di una morte non preveduta
mandò me a chiamare il paroco che di buon grado venne a fargli visita. Si trattenne assai con lui
per sistemare affari di comune interesse. Perciocchè nelle sue dolorose circostanze mio padre
aveva a lui fatto ricorso per varie somme piccole, ma che unite insieme formavano un debito
assai notabile. Signor prevosto, diceva mio padre, io veggo la morte avvicinarsi a grandi passi, e
non so come io a la mia famiglia potranno pagare i debiti che io ho verso di voi. È danaro sacro
che voi mi avete imprestato ed è troppo giusto che vi sia restituito. Ma....
- Non parlate di questo, rispose il degno paroco, ho già provveduto ad ogni cosa: ecco qui
i foglietti su cui avete voluto farmi le obbligazioni. In presenza vostra e di tutta la famiglia ne fo
altrettanti pezzi e niuno vi farà più domanda a questo proposito. Di più quel vostro creditore che
faceva tante istanze, ieri l'ho soddisfatto colla somma di cinquanta lire, {31 [31]} e di queste
pure voi non vi dovete più prendere alcun fastidio.
- Signor prevosto, interruppe mio padre, voi recate al mio cuore la più grande
consolazione che io possa provare in questo mondo! siatene mille volte ringraziato e Iddio
centuplichi sopra di voi quel bene che fate a me ed alla mia famiglia. Ora nulla più mi rimane
che provvedere all'anima mia.
Aggravandosi ognor più il male, ricevette i conforti di nostra santa cattolica religione
colle più edificanti disposizioni; di poi chiamò tutta la famiglia intorno al letto e disse: Miei cari,
i mali che mi aggravano mi convincono che non potrò più avere se non pochi giorni di vita. Mi
rassegno ai decreti del cielo, e sono pieno di fiducia che le pene della vita mi daranno qualche
giovamento per l'eternità. Dio mi diede molte consolazioni e molte tribolazioni, ma sia tutto a
sua maggior gloria e pel bene dell'anima mia. Tu intanto, Emilia, pensa più da senno al buon {32
[32]} essere della famiglia. Io non potrò più assistervi; vi assisterà Iddio se lo amerete e
praticherete la sua santa legge. Il nostro paroco ci ha fatto gran bene, nè mancherà di aiutarvi per
l'avvenire, perciò non dipartitevi mai da' suoi prudenti consigli.
Tu poi, o Severino, qual maggiore dei fratelli tuoi, non cessar mai di dar loro buon
esempio colla pratica della virtù. Ricorda ognora che il loro padre amò meglio essere ridotto
all'indigenza, che tradire i doveri dell'uomo onesto e del buon cristiano.
Avvi poi una cosa che mi fa temere assai del tuo avvenire. È questa la tua grande avidità
di leggere come che sia, senza badare se siano buone o cattive letture. Procura adunque di evitare
i cattivi libri ed i cattivi giornali, e nello stesso tempo quei compagni che cercassero di
allontanarti dal sentiero della virtù.
Padre mio, l'interruppi piangendo, siate sicuro che i vostri consigli non saranno giammai
dimenticati.
Dopo qualche ora mi chiamò di nuovo, e {33 [33]} non senza grave stento mi disse:
Severino, se puoi fa del bene a tutti, ma non renditi mai mallevadore dei pagamenti altrui.
Voleva ancora proseguire il discorso, ma non potè più. Il prevosto veniva a visitarlo più volte al
giorno, ed una sera, fu l'ultima di sua vita, scorgendolo in pericolo di prossima morte, volle
vegliarlo nel corso della notte. Noi eravamo tutti raccolti intorno al letto dell' infermo. Il paroco
pregava con noi e di tanto in tanto suggerivagli qualche giaculatoria. Giunta la mezzanotte ci
siamo accorti che mio padre voleva dir qualche cosa. Con grande sforzo proferi queste sue
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Don Bosco – Severino, ossia avventure di un giovane alpigiano
ultime parole: pregale per me in questo terribile momento; dimani è giorno della Purificazione di
Maria Santissima ed ho fiducia che questa madre di misericordia mi assista al tribunale di Gesù
Cristo. Non ci vedremo più nella vita presente, ma spero che ci rivedremo nella beata eternità.
Mentre così parlava tenevami strette le mani: Coraggio, mi disse con voce appena intelligibile,
coraggio, Severino, sii {34 [34]} fermo nella religione dì tuo padre fino alla morte.
In quel momento mi lasciò libere le mani, diede uno sguardo a noi quasi dicendo, addio:
rimirò il prevosto come per ringraziarlo; lasciò cadere il crocifisso che si teneva davanti, e
mentre si recitavano le preghiere degli agonizzanti, quell' anima cara saliva in seno al Creatore.
Ciò avveniva il 2 febbraio nella buona età d'anni 47. O padre sempre amato, perchè mi
abbandonaste nel tempo che io aveva maggior bisogno di voi! Ma Iddio vi chiamava al
godimento dei veri beni. Nè voi mi abbandonaste, perciocchè dal cielo pregaste per me e mi
otteneste di poter uscire dall'abisso in cui mi era sventuratamente precipitato.
Capo VII. Parla de' suoi trattenimenti nell'Oratorio.
Trista in vero era la condizione di mia famiglia, ma bisognava prendere qualche
risoluzione per provvedere almeno le cose {35 [35]} più necessarie alla vita. Alcuni parenti si
presero cura de' miei fratelli più piccoli; mia madre sembrò risentirsi a tanti colpi di avversa
fortuna, e si mise a lavorare da sarta secondo che aveva imparato nel tempo di sua educazione. Io
poi, secondo il consiglio di mio padre, mi posi la secchia sulle spalle e feci ritorno a Torino. Fino
allora era sempre stato guidato dalla prudenza di mio padre, ma in quel punto io mi trovava come
un poliedro non buono ad altro che a correre e saltellare sbadatamente e con pericolo di
rovinarmi. I pericoli nelle grandi città sono gravi per tutti, ma sono mille volte maggiori per
l'inesperto giovanetto.
L'anno antecedente mio padre mi aveva fatto conoscere un certo Turivano Felice uomo di
molta carità ed esemplare in religione. Io mi recai tosto da lui per avere direzione e consiglio.
Questi mi cercò un padrone che mi dava pane e lavoro per tutti i giorni feriali. Ma come passare i
giorni festivi? Talvolta egli mi conduceva {36 [36]} seco alla messa, ai divini uffizi, alla predica
e poi mi lasciava in libertà. Quindi alcuni compagni mi invitavano a giuocare, a far partita alla
bettola o al caffè, dove è inevitabile la rovina morale di un par mio che appena toccava gli anni
quindici. Una domenica il buon Turivano, Severino, mi disse, non udisti mai a parlare di un
Oratorio, ovvero di un giardino di ricreazione, in cui va una moltitudine di giovanetti a
trastullarsi nei giorni festivi?
- Qualche cosa mi avete già detto voi l'anno scorso. Anzi m' avevate promesso di
condurmivi, ma non l'avete mai fatto.
- Quest'Oratorio una volta era nella nostra chiesa di s. Francesco d'Assisi, ed ora venne
traslocato in altro angolo della città.
- Che cosa si fa in quest'Oratorio?
- In quest' Oratorio ciascuno soddisfa ai suoi religiosi doveri, di poi vi si trattiene in
piacevole ricreazione.
- Qual genere di ricreazione?
- Salti, corse, giuoco delle bocce, delle {37 [37]} pallottole, delle piastrelle, delle
stampelle, cantare, suonare, ridere, scherzare, e mille altri trastulli.
- Perchè non mi avete mai condotto? lo interruppi pieno di ansietà. Dove si passa per
andarvi?
- Ti condurrò io stesso altra domenica, e ti raccomanderò al direttore di quei trattenimenti
affinchè ti usi speciale riguardo.
I giorni di quella settimana mi parvero anni; e nel lavoro, nel mangiare, e nello stesso
sonno mi sembrava sempre di udir la musica, vedere salti, giuochi d' ogni genere.
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Venne finalmente la domenica e alle 8 del mattino giunsi al sospirato Oratorio. Credo che
voi, miei buoni amici, ascolterete con piacere un cenno intorno alle cose che qui ho veduto. Era
un prato dove oggidì appunto avvi una fonderia di getto ovvero di ghisa; una siepe di bosso lo
cingeva. Eranvi circa trecento giovanetti divisi in tre categorie; gli uni si trastullavano; gli altri
stavano ginocchioni intorno al direttore {38 [38]} che seduto sopra una riva nell'angolo del prato
li ascoltava in confessione; molti poi, terminata la confessione, si arrestavano a qualche distanza
a pregare.
Venuto alla domenica nel luogo sospirato, io restai sbalordito. Non voleva interrogare
nissuno, perchè era estatico di maraviglia come chi si trova in un mondo nuovo pieno di cose
curiose, desiderate ma non ancora conosciute. Un compagno accorgendosi che io era novizio tra
loro, mi si avvicinò e in un modo garbato, amico, mi disse, vuoi giuocare con me alle piastrelle?
Questo era il mio giuoco prediletto, perciò con trasporti di gioia accettai la proposta. Avevamo
terminato la partita quando il suono di una tromba impose silenzio a tutti. Ognuno lasciando i
trastulli, si raccolse intorno al direttore. Giovani cari, disse questi ad alta voce, è ora della santa
messa, questa mattina andremo ad ascoltarla al monte dei cappuccini, dopo la messa avremo una
piccola colezione. Quelli a cui mancò tempo {39 [39]} di confessarsi oggi potranno confessarsi
altra domenica: non dimenticate che ogni domenica avvi comodità di confessarvi.
Detto questo, suonò di nuovo la tromba e tutti si posero ordinatamente in cammino. Uno
dei più adulti cominciò la preghiera del rosario, a cui tutti gli altri rispondevano. La camminata
era quasi di tre chilometri, e sebbene non osassi associarmi cogli altri, tuttavia spinto dalla novità
li accompagnava a poca distanza, prendendo parte alle comuni preghiere. Quando eravamo per
intraprendere la salita che conduce a quel convento si cominciarono le litanie della B. V. Questo
mi ricreò assai, perciocchè le piante, gli stradali, il boschetto che coprono le falde del monte
facevano eco al nostro canto e rendevano veramente romantica la nostra passeggiata.
Venne celebrata la messa in cui parecchi compagni si accostarono alla santa comunione.
Dopo breve sermone e fatto sufficiente ringraziamento andammo nel {40 [40]} cortile del
convento per fare la colezione. Non ravvisando alcun diritto alla refezione dei miei compagni, io
mi ritirai aspettando di accompagnarli nel loro ritorno, quando il direttore avvicinandosi mi parlò
così:
- Tu come ti chiami?
- Severino.
- Hai presa la colezione?
- No, signore.
- Perchè?
- Perchè non mi sono nè confessato, nè comunicato.
- Non occorre nè confessarti, nè comunicarti per avere la colezione.
- Che cosa si ricerca?
- Niente altro che l'appetito e la volontà di venirla a prendere. » Ciò detto mi strinse la
mano e mi condusse al cesto dandomi in abbondanza pane e ciriegie. Dopo il mezzodì vi sono
ritornato e con tutto mio gusto ho preso parte alla ricreazione fino a notte. Per un mese non ho
più potuto recarmi all'Oratorio e quando vi ritornai ho trovato un notabile cangiamento. {41
[41]} L'Oratorio era stato trasferto in Valdocco propriamente nel sito dove in appresso fa fondata
la chiesa e la casa nota sotto al nome di S. Francesco di Sales. Qui la località essendo più adattata
si poterono più regolarmente introdurre gli esercizi di pietà, la ricreazione, i trastulli, le scuole
serali e domenicali.
Capo VIII. Severino racconta parecchi ameni episodi.
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Don Bosco – Severino, ossia avventure di un giovane alpigiano
Non è mio scopo di esporvi la storia, il regolamento, le vicende che accompagnarono
l'origine, il progresso di questa instituzione; intendo solamente di esporvi alcuni dei molti episodi
che accaddero a me stesso o di cui sono stato io medesimo testimonio.
Frequentava da qualche mese quest'Oratorio, partecipando alla ricreazione, ai trastulli ed
anche alle funzioni religiose, come sono messa, catechismi, vesperi, {42 [42]} predica; anzi
quando si cantavano salmi, inni o laudi sacre io prendeva parte con tutto il mio gusto e cantava
con quanto aveva di voce. Non mi era peraltro ancora accostato al sacramento della confessione.
Non aveva alcun motivo per non andarvi, ma avendo lasciato trascorrere un po' di tempo non
sapeva più come risolvermi a ritornarvi. Qualche volta il direttore mi aveva amorevolmente
invitato ed io aveva subito risposto di sì; ed intanto ora con un pretesto, ora con un altro studiava
di eludere que' paterni inviti. Un giorno tuttavia egli seppe cogliermi in modo veramente
grazioso. Ascoltate: una domenica a sera era tutto intento in un giuoco che tra noi si chiamava
bara rolla. Io vi era attentissimo e a motivo della calda stagione stava in manica di camicia. Tra
l'ansia e il gusto del giuoco, e tra il caldo e il prolungamento del trastullo io appariva fuoco e
fiamma. Nel bollore del giuoco, mentre non sapeva {43 [43]} se io fossi in cielo o in terra, il
direttore mi chiama dicendo:
- Severino, mi aiuteresti a fare una cosa di qualche premura?
- Con tutto piacere, quale? dissigli.
- Forse ti costerà un po' di fatica.
- Non importa; fo qualunque cosa, sono assai forte.
- Mettiti il farsetto col camiciotto e vieni meco.
Il direttore precedeva, io l'ho seguito fin nella sacristia giudicando fosse ivi qualche
oggetto da traslocare.
- Vieni meco in coro, continuò il direttore.
- Eccomi, signor direttore.
- Mettiti qua in ginocchio.
- Ci sono, ma che cosa vuole?
- Confessarti.
- Oh questo sì, ma quando?
- Adesso.
- Adesso non son preparato.
- Lo so che non sei preparato, ma te ne do tutto il tempo: io reciterò una {44 [44]} parte
considerevole del breviario, dopo farai la tua confessione.
- Giacchè le piace così, mi preparerò volentieri, e non avrò più da darmi briga per cercare
il confessore.
Mi sono confessato con assai più di facilità di quello che mi aspettassi, perchè il
caritatevole e bene esperto confessore mi aiutò mirabilmente con le sue saggie interrogazioni.
Da quel giorno ben lungi dal provare ripugnanza per andarmi a confessare provava anzi
gran piacere tutte le volte che poteva accostarmi a questo divin sacramento, cosicchè cominciai
ad andarvi con molta frequenza.
La chiesa poi, debbo dirlo, non era una chiesa, ma parte di un meschino edifizio. Una
rimessa bassa, assai lunga, accomodata sotto di una tettoia era la magnifica nostra basilica. Fu
d'uopo abbassare il pavimento di due gradini, affinchè un uomo entrando non urtasse nel soffitto.
Appunto in questo sito si facevano funzioni {45 [45]} per noi le più care e maestose. In
un angolo di essa era una cattedra sopra cui non tutti potevano ascendere per predicare. Era per
altro molto adattata al celebre Teol. Gioanni Borelli, che essendo di assai bassa statura vi si
accomodava a maraviglia e faceva ogni sera dei giorni festivi una predica con molto zelo e con
molta soddisfazione dei giovanetti che numerosi intervenivano ad ascoltarlo.
In quell'anno Monsignor Franzoni arcivescovo di Torino venne ad amministrare il
Sacramento della Cresima in questa chiesuola. La funzione era cominciala quando il vescovo
salendo all'altare doveva secondo il rito mettersi la mitra, ma ne fu impedito perchè urtava colla
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volta della chiesa. Da questo Oratorio si facevano amenissime camminate alla Madonna di
Campagna, a Stupinigi, al monte dei cappuccini, a Sassi, a Superga ed altrove.
Queste camminate si facevano nel modo seguente:
Se era di mattino i giovani partivano {46 [46]} schierati e per la strada si pregava o si
cantavano inni e laudi sacre. Giunti al luogo stabilito si compievano le pratiche di pietà, di poi
fatta la colezione ognuno se ne andava pei fatti suoi.
Le camminate del dopo mezzodì erano più amene e brillanti: valga per esempio una di
quelle che più volte abbiamo fatto a Superga. Prendevamo due od anche tre somarelli carichi di
varie specie di commestibili. Seguiva la musica istrumentale che allora consisteva in un violino,
in una chitarra, in una tromba con un tamburino. I giovani non erano schierati, ma raccolti
intorno al direttore, che li ricreava raccontando qualche interessante storiella. Quando esso era
stanco di parlare, ripigliava la musica ora vocale ora istrumentale. Unendo poi il canto ed il
suono alle ovazioni ed alle grida facevamo uno schiamazzo da finimondo. Giunti a Superga
visitammo quella monumentale basilica e dopo breve preghiera ci radunammo nel cortile dove il
direttore raccontò la storia {47 [47]} prodigiosa di quel Santuario. Quindi una stupenda merenda
in cui e per l'ora alquanto avanzata, e pel viaggio sostenuto i giovani ad ogni colpo d'occhio
facevano scomparire una intera pagnotella. Fatto alquanto riposo si andò in chiesa dove abbiamo
preso parte ai vesperi, alla predica e benedizione. Soddisfatti per tal guisa i nostri doveri
religiosi, abbiamo visitato le particolarità di quel maestoso edifizio, cioè la galleria dei Papi, la
biblioteca, le tombe dei reali di Savoia, l'alta cupola e simili. All'avvicinarsi poi della notte fu
dato un suono di tromba e tutti si raccolsero intorno al direttore. E qui cominciò il solito canto,
suono e schiamazzo per tutto il cammino da Superga a Torino.
Entrando poi in città si fece silenzio e ognuno si mise schierato, e di mano in mano che
giungeva al sito più vicino al proprio domicilio ciascuno si separava dalle file e si recava a casa
sua. In quella guisa quando il direttore arrivava all'Oratorio aveva appena seco alcuni giovani che
{48 [48]} gli facevano compagnia. A gloria di queste camminate voglio notare che con tanti
giovanetti non legati da alcuna disciplina, nulladimeno non avveniva il minimo disordine. Non
una rissa, non un lamento, non il furto di un frutto, quantunque il numero fosse talvolta di sei o
settecento.
In quel tempo io pensava che queste camminate si facessero per puro divertimento, ma
dopo ne conobbi lo scopo ed il vantaggio.
Mentre quei giovanelli si ricreavano in cose lecite, tenevansi lontani dai pericoli che
specialmente la gioventù operaia suole incontrare nei giorni festivi ed in pari tempo erano avviati
all'adempimento dei doveri del cristiano, sicura caparra della moralità pel corso della settimana.
Queste camminate allettavano talmente i fanciulli, che ogni edifizio diveniva ristretto a
segno che non trattavasi più di andare in cerca di giovani, ma dovevasi limitare il numero di
quelli che ardevano del desiderio d'intervenirvi. {49 [49]}
Capo IX. Severino parla de' suoi studi.
All'età di dodici anni io aveva terminate le classi elementari, ma un' ansietà di sapere ed
una smania di leggere mi avevano portato alla lettura di molti libri. Tutti i compendi di storia
sacra che ho potuto avere furono da me più volte non letti ma divorati. Il Royamont, Soave,
Secco, Farini, Calmet, Giuseppe Flavio e la stessa Bibbia tradotta dal Martini erano stati da me
direi quasi studiati. Non vi era momento più caro di quello che poteva passare nella lettura di
qualche libro storico. M'è talvolta avvenuto di passare l'intera notte sopra libri di lettura. Ma
dopo aver letti i sacri, mi sentiva vivo trasporto pei profani ed anche pei giornali, che sebben non
irreligiosi, nulla di meno erano inopportuni alla mia età.
Il direttore dell'Oratorio vegliava attento sul mio carattere focoso e studiava di
correggerlo {50 [50]} dandomi a leggere libri ameni ed utili. Quando per altro si accorse del
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Don Bosco – Severino, ossia avventure di un giovane alpigiano
pericolo cui mi esponeva la smania di leggere, pensò di applicarmi al disegno, all'aritmetica e al
sistema metrico. Ma pigliando io poco gusto in tali studi, egli pensò di istradarmi a scienze più
gravi, come sono la lingua latina e la lingua italiana. Queste, dicevami, sono le lingue dei dotti,
se tu ci riescirai, ne avrai non piccolo vantaggio. Questi nuovi studi non poterono appagare la
mia insaziabile fantasia; io mi sentiva trasportato alla scienza, ma in modo instabile e leggero,
perciò abborriva la fatica di mente e tutte le cognizioni che esigessero seria o lunga applicazione.
In questo tempo, ahi troppo fatale! alcuni fallaci amici appagarono le mie brame e mi
somministrarono libri e giornali di ogni sorta. Dopo di che cominciai a trovare fastidiose le
buone letture, quindi rallentai le preghiere e la frequenza dei sacramenti. {51 [51]}
Accortosene il direttore dell'Oratorio mi fece vari progetti e vari inviti vantaggiosi e mi
animò alla frequenza della confessione. Ma il mio cuore si andava guastando, nè sapeva più
risolvermi a fare il bene che amava e a fuggire il male che altamente detestava. In me si avverava
quello che raccontasi di Medea : « Veggo il miglior ed al peggior m'appiglio. » Non potendo più
allora sopportare i rimproveri del direttore presi la pessima decisione di abbandonar l'Oratorio.
L'abbandonar l'Oratorio e trovarmi senza danaro fu una sola cosa. Venuto l'autunno
desiderava di recarmi a casa dove era atteso; imperocchè i muratori sogliono andar a passare
l'inverno in patria portando alla famiglia il fruito de' sudori dell'estate. Ma trovandomi sfornito di
danaro non osai andarmi a presentar alla madre che sapeva versare in gravi strettezze. Intanto si
avanzava a gran passo l'invernale stagione ed io era sprovveduto di danaro, di alimenti e di
vestimenta. In que' pericolosi {52 [52]} momenti una caritatevole persona mi accolse in casa sua.
Mi vestì, mi alloggiò, mi nutri, mi mandò a scuola fino alla primavera; e se avessi secondato i
suoi suggerimenti io sarei stato un giovane onorato e felice. Ma venuta la primavera, indotto
dall'invito degli antichi compagni, in modo indegno abbandonai la casa del mio benefattore. Di
qui principiò la serie de' mali che mi condussero all'abisso dell'empietà.
Passai quell'anno nel lavoro, nella lettura e nel giuoco, e per conseguenza giunsi
all'autunno privo di tutto e carico di debiti. Io era stimolato, anzi minacciato dai miei creditori;
nè più osava presentarmi al solito benefattore, cui aveva troppo malamente corrisposto. Che fare
adunque ?
O cielo! se in quel momento avessi avuto un amico che mi avesse dato un buon consiglio
mi avrebbe salvato dal disonore e dal delitto. Quest'amico vi era, io ben lo conosceva, ma quel
solo che avrebbe posto rimedio a' miei mali, era il solo cui non voleva avvicinarmi. Un
compagno {53 [53]} mi fece tentar la sorte del giuoco, ma ciò contribuì soltanto ad accrescere il
peso della mia sventura. Possibile, andava tra me dicendo, che Severino un tempo così diligente,
laborioso, onorato ed anche benestante, ora debba morir di fame o mettersi per la via del
disonore ? Che io non possa più ritirarmi dall'abisso che mi si para dinanzi? - Un amico
sciagurato, informato del punto disperato cui era ridotto, Severino, mi disse, avrei un mezzo a
suggerirti per liberarti dalle angustie in cui li trovi.
- Quale?
- Quello che ho praticato io stesso.
- Quale?
- Vieni con me.
- Dove?
- Alla chiesa.... dei protestanti.
- Forse per farmi protestante ? Piuttosto morir di fame, ti rinunzio da amico; io che ho
sempre combattuto contro alle massime dei protestanti, io che sono intieramente persuaso che
costoro sono fuori {54 [54]} della vera religione, io farmi protestante? Andrò mendicando,
morrò di fame, ma non verrò mai a questo eccesso.
- Questo fervore ti passerà, diceva lo stesso, ma pensa alla tua miseria, agii impegni; e poi
si può fingere.
- Nemmeno questo. Sarò uno scellerato, ma uno scellerato sincero e non mai finto.
- Badaci bene, con un po' di simulazione puoi avere danaro, onori, impieghi, altrimenti
pensa all' avvenire che ti sta aspettando.
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Capo X. Severino parla della sua caduta nel protestantesimo.
Voi, o amici, che mi ascoltate, compatite l'infamia di cui ho macchiato l'onor mio e
quello di mio padre. Ho resistito molto tempo e sembravami di essere pronto a qualunque mule
piuttosto che darmi ai protestanti; tuttavia il giuoco, gli amici, {55 [55]} le miserie mi hanno
strascinato a quell'eccesso.
Se non vuoi farli protestante, mi disse un giorno l'astuto compagno, va almeno da qualche
ministro. Io ti raccomanderò ; e chi sa che non ti somministri quanto occorre per liberarti dalla
tua cattiva situazione?
Dopo molti riflessi, dopo seri combattimenti di affetti opposti andai dal ministro
protestante, non per motivo di religione, ma per chiedergli qualche soccorso. Fui accolto colla
massima cortesia, e tenni con lui i seguenti discorsi :
Ministro. Quale motivo vi conduce qui? Ditelo pure, e voi troverete in me un vero fratello
in Gesù Cristo.
- Io mi trovo in calamitosa situazione; alcune sventure mi fecero incontrar debiti che non
posso pagare; desidererei di percorrere gli studi letterari, e mi mancano i mezzi. Potreste voi
sollevarmi e aprirmi una via per conservar l'onor mio e quello di mia famiglia ? {56 [56]}
- L' uno e l'altro si può con facilità ottenere, ma prima di tutto è indispensabile che voi
frequentiate il nostro tempio e vi facciate....
- Ma io non intendodi farmi protestante.
- Fatevi solamente istruire.
- E poi?
- E poi? Se voi conoscete che la riforma professi la vera fede, rifiuterete forse di
abbracciarla ?
- Se trattasi solamente di andar all'istruzione io ci vado. Intanto potreste voi togliermi dal
grave fastidio di un debito?
- Di quanto?
- Di ottanta franchi.
- Avrete questo sussidio, passate dimani dall'evangelista N. e vi darà questo danaro.
Fatevi animo, la provvidenza è grande, abbiate fede in lei.
Il dì seguente mi recai dalla persona indicata che mi diè realmente la somma promessa.
La presi, pagai il mio debito, e la sera ritornai dal ministro per ringraziarlo. Gli era piaciuta assai
la mia {57 [57]} schiettezza ; col mio compagno aveva detto che sperava di illuminarmi purchè
avessi frequentato le sue lezioni, nè egli avrebbe risparmiato alcuna cosa per farmi progredire
negli studi. Se egli studia sopra fonti pure, conchiudeva, certamente diverrà un buon propagatore
del vangelo.
- I miei ossequii, signor ministro, gli dissi, vi ringrazio della bontà che mi avete usata.
- Le opere di carità non vogliono ringraziamenti, anzi noi dobbiamo fare queste opere in
modo, che la sinistra non sappia quello che fa la destra. Ora avete voi sempre la intenzione di
fare i vostri studi?
- Ne ho vivissimo desiderio.
- Se voi volete sul serio appigliarvi alla carriera degli studi, vi accompagnerò con una
lettera alla valle di Luserna, e là avrete agio di compiere le vostre scuole. Notate per altro che
non voglio obbligarvi a farvi protestante, o valdese; a me basta che studiate bene la vostra e la
nostra credenza, di poi sono sicuro che voi resterete {58 [58]} affatto convinto che la sola nostra
chiesa professa la religione di Gesù Cristo.
- Accetto la vostra proposta, e sono pronto a partire quando che sia.
- Passate di qui a tre giorni, vi darò una lettera da portare con voi, mentre un'altra vi
precederà per annunciare il vostro arrivo a chi di ragione. È tuttavia bene che vi prevenga di non
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manifestare questi vostri progetti ad alcun prete, perchè essi mettonsi tosto a disputare, empiono
la mente di scrupoli, quindi i lumi del Signore non possono più rischiarire le tenebre che
generalmente avvolgono la mente dei cattolici.
Io promisi quanto mi raccomandava e senza più parlar di andare al tempio, tre giorni
dopo io partii alla volta di Pinerolo. Camminava macchinalmente, nè sapeva distinguere se fosse
sogno o realtà quanto di me avveniva. Io aveva dato una parola e, secondo il mio carattere, avrei
giudicata colpa imperdonabile se l'avessi revocata. Andava pertanto nella valle di Luserna {59
[59]} sotto all' apparenza di fare un corso di studio, e nel tempo stesso istruirmi nella religione
cattolica e valdese.
Questo fatto, cari amici, è biasimevole, perchè dava esteriormente a divedere che voleva
farmi protestante: e poi andare tra i protestanti, leggere i loro libri, tener dietro ai loro
insegnamenti, mettermi nel prossimo pericolo di perversione sono una serie di gravi peccati, e
credo che appunto in pena di questi miei falli Dio abbia permesso che cadessi di abisso in abisso
fino a mettere in dubbio la vera religione, in cui aveva avuta la sorte preziosissima di essere stato
battezzato ed educato. Perdonatemi adunque lo scandalo dato. I libri, i giornali, il giuoco, la gola
ed i compagni congiurarono insieme per condurmi alla rovina. {60 [60]}
Capo XI. Severino parla della sua partenza da Torino e della morte del
b. Pavonio.
Colla lettera aveva eziandio meco un così detto evangelista. Gli evangelisti non sono
ministri, ma hanno fatto qualche studio, e dopo aver passata per lo più una parte della loro vita a
spargere libri protestanti, quasi in compenso del loro zelo, sono fatti evangelisti, cioè sono
incaricati di spiegare il vangelo secondo il loro spirito privato.
Per un buon tratto del viaggio si parlò soltanto di cose indifferenti, anzi egli cercava di
evitare discorsi religiosi. Ma giunti a Bricherasio, quegli prese un aspetto severo, e, qua, disse, su
questa piazza i nostri padri diedero segno di zelo e di coraggio evangelico.
- Che fu ? che avvenne ? ditelo ; così saremo sollevati dalla noia del cammino.
- Fu un tempo, ripigliò l'evangelista, che la forza brutale tentava d'imporre le {61 [61]}
credenze religiose; a tale scopo il Papa, fra gli nitri inviò il domenicano Pavonio. I nostri l'hanno
più volte avvisato di tacere e andarsene mentre era sano e salvo; ma rifiutando di arrendersi
dovettero venire ai fatti. Io non desisterò, diceva con baldanza, di predicare la cattolica religione
fino all'ultimo respiro della vita. Per questa sua ostinazione egli fu inseguito e assalito su questa
piazza a furia di popolo venne fatto a brani. Molti altri ostinati cattolici ebbero la medesima
sorte.
- Quel padre Domenicano combatteva colle armi alla mano?
- Non combatteva colle armi alla mano, ma predicava ostinatamente contro ai Valdesi.
- Mi pare che i Valdesi avrebbero dovuto opporre parole a parole, convincerlo de' suoi
errori, confonderlo colle dispute e non venire all' assassinio.
- Ma perchè egli non volle tacere dopo di essere stato tante volte avvisato? La sua
ostinazione gli meritò quel premio. {62 [62]}
- Giacchè siamo in viaggio ed abbiamo tempo a discorrere aggiungerò ancora qualche
cosa. Voi mi avete detto che i cattolici volevano imporre la religione, ma dalle vostre parole
sembra che i cattolici la volessero imporre colla predicazione, e che invece i Valdesi volessero
imporla colla violenza. Di più mi ricordo di aver letto che il p. Antonio Pavonio non fu trucidato
a furia di popolo, ma da alcuni forestieri valdesi inviati da altri luoghi, così che l'infamia di
questo misfatto non dovrebbe cadere sul popolo di Bricherasio, sibbene sopra i sicari che si
assunsero di compiere la malvagia azione e sopra quelli che li hanno inviati.
- Voi siete ancora giovane; a mano a mano che studierete, cadrà la benda dagli occhi e
vedrete più chiara la verità.
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Don Bosco – Severino, ossia avventure di un giovane alpigiano
Vi assicuro, o amici, che le millanterie del mio compagno mi spiacquero assai e poichè in
appresso mi sono procacciato sicure e più copiose notizie intorno a questo {63 [63]} fatto ve io
espongo ora letteralmente come è riferito dai più accreditati autori1.
Il b. Antonio Pavonio nacque in Savigliano, entrò nell'Ordine de' predicatori in giovanile
età. L'eresia di Pietro Valdo cercando dilatarsi ognor più nelle provincie di Pinerolo, il vescovo
di Torino inviò il b. Pavonio a Bricherasio perchè predicasse contro gli errori dominanti. Gli
eretici vollero tosto venire a dispute, ma restando ognora confusi risolsero di usare un mezzo de'
più nefandi per disfarsene, vale a dire assassinarlo.
Era la Pasqua dell' anno 1374 quando gli eretici vedendo le popolazioni in folla
abbandonare i loro errori per seguire il nostro Beato risolsero di compiere l'empio {64 [64]} loro
disegno. Sembra ch'egli nè abbia avuto qualche rivelazione, imperocchè sul finir della settimana
di Pasqua, mentre facevasi radere la barba, disse al barbiere: Acconciatemi bene, poichè sono
invitato alle nozze. Rispose il barbiere : Non avvi notizia che ne' nostri paesi debbansi celebrare
nozze di sorta. Non ne dubitate, conchiuse il Padre, vi dico il vero, io sono invitato a nozze. Di
quali nozze parlasse fu palese pochi giorni dopo.
Il 9 aprile, domenica in Albis, alle 9 del mattino celebrò Antonio la s. Messa nella chiesa
parochiale di Bricherasio, dopo cui recitò un fervoroso discorso. All'uscire della chiesa e sulla
pubblica piazza venne assalito da sette sicari che barbaramente lo trucidarono con una grandine
di colpi senza che egli cercasse di opporre la minima resistenza. Così egli andava alle nozze del
divino agnello cinto della palma del martirio2. {65 [65]}
Continuò la venerazione de' fedeli alla tomba del s. Martire fino all'anno 1854, in cui il
suo culto venne solennemente approvato dalla Chiesa ed il b. Antonio annoverato fra i martiri e
confessori della fede. Questo fatto accrebbe i miei dubbi intorno alle massime protestanti; ma la
mia posizione era tale da non potermi allontanare da loro senza avere almeno fatto qualche
studio sui motivi di credibilità della loro religione. {66 [66]}
Capo XII. Severino parla dello studio fatto sull' origine de' Valdesi.
Giunto alla valle di Luserna fui accolto colla più cordiale benevolenza. Severino, mi disse
un accreditato pastore Valdese, ringraziate il cielo che vi ha illuminato, qui tra noi avrete veri
amici. Certamente la vostra mente sarà stata imbevuta da non pochi pregiudizi della chiesa
Romana, ma vedrete che col tempo tutti svaniranno.
Veramente, io risposi, le mie idee sono imbevute di pregiudizi; fra gli altri avvi questo
che riguarda l'origine dei Valdesi, la quale tra noi si dice essere assai oscura ; e si va tuttodì
decantando che la fondazione della chiesa Valdese è totalmente dovuta a Pietro Valdo e fui mille
volle assicurato che prima di lui non si è mai parlato di Valdesi.
- Questa è una calunnia dei cattolici, prendete questo libro, leggetelo attentamente, {67
[67]} confrontatelo colla Bibbia e troverete che la nostra credenza è quella del Vangelo e che
cominciando dagli apostoli viene fino a noi.
1 Intorno alla vita e martirio del b. Pavonio abbiamo autentiche notizie nei seguenti documenti: atti della sua
canonizzazione pubblicati in Roma nell'anno 1856. Canonico Giacinto Gallizia Tom. 3 pubblicata nel 1759. P.
Enschenio, acta Sanctorum Tomo 1° pagina 857 e segg. Vegio presso i Bollandisti e la costante tradizione.
2 Per buona sorte gli emissari di quel misfatto non erano di Bricherasio ; la storia ne conservo i nomi a pubblica
esecrazione de' colpevoli. I loro nomi sono Giovanni Gabrelli, Giacomo Marmita, Francesco, Giacomo, Antonio
tutti tre di nome Tarditi, Giovanni e Pietro di cognome Buriasco. Il corpo del santo così mutilato dalle ferite venne
piamente raccolto e trasportato nel suo convento di Savigliano. Facendosi molto concorso di gente alla sua tomba e
pei molti miracoli che qui si andavano operando fu traslocato in un sepolcro più degno. Alla soppressione degli
ordini religiosi, nel principio di questo secolo, il Padre Priore Domenicano affidò le reliquie del Beato ai conti di
Viancino che le conservarono fino al 1854, epoca in cui furono trasportate nella chiesa della ss. Annunziata in
Racconigi.
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Il Pastore Valdese mi diede un grosso volume intitolato I Valdesi, ovvero i cristiani
cattolici della chiesa primitiva di Amedeo Bert, ministro del culto Valdese. L'autore difatto
intraprende a raccontare l'origine dei Valdesi e li fa direttamente discepoli di s. Paolo. Io sapeva
che leggeva un cattivo libro, e che per la pochezza dei miei studi non avrei potuto discernere
quanto di vero o di falso in quello si contenesse ; tuttavia malgrado il rimorso mi sono lasciato
portare a leggerlo più volte da capo a fondo.
Quel libro mi pose in una vera costernazione, perciocchè si appoggiava sopra autori
cattolici di gran credito. Per buona ventura la provvidenza mi venne in aiuto nel modo seguente.
Il mio Pastore mi condusse un giorno a visitare le scuole cattoliche di un paese vicino ed
essendosi egli occupato {68 [68]} in altri affari, lasciò tempo da potermi trattenere col paroco del
luogo.
- Signor prevosto, gli dissi tosto, che dicono i cattolici del libro di Amedeo Bert, I
Valdesi ecc. ?
- Caro giovane, rispose, verificate le fonti da cui attinse le notizie, e poi saprete voi
medesimo quale giudizio si debba fare dell'autore ; nè voi avrete più bisogno che altri ne faccia
la confutazione.
- Ma dove prendere i volumi degli autori che in quel libro si citano?
- Venite a casa mia, voi li avrete a piacimento.
Lo ringraziai, e siccome aveva alcune ore del giorno pienamente libere, così ho potuto
verificare quanto aveva letto nel libro che mi era stato dal pastore valdese proposto come un
secondo vangelo.
Io per altro posso assicurarvi di essere stato sbalordito per le inesattezze e falsificazioni
che ho riscontrate. Amedeo Bert, per dare credito al suo racconto cita un certo Policdorfio
celebre professore {69 [69]} di teologia, e gli fa dire : Trecento anni dopo Costantino il Grande
sorse un tale del paese Valdis il quale insegnò la povertà e fu propagatore della setta Valdese.
Ora ascoltate il testo dell'autore citato: Ottocento anni dopo s. Silvestro, ai tempi di papa
Innocenzo II, un certo Pietro Valdo leggendo, o udendo a leggere la sacra scrittura, s'immaginò
di rinnovare la vita apostolica.
Come ognuno vede qui si attribuiscono nomi, anni e fatti ad un autore il quale non li ha
mai immaginati.
Cita poi un altro autore di nome Marco Aurelio Rorengo priore di Luserna, cui fa
chiamare i Valdesi apostolici poi lo introduce a continuare così : « Della origine de' Valdesi non
si può ancora fissar bene l'epoca precisa ; nel secolo nono e decimo non era setta nuova ; sempre,
e ad ogni tempo esistettero nella valle di Angrogna. »
Io ho voluto consultare il testo di questo {70 [70]} autore, che ben lungi dal chiamare i
Valdesi Apostolici, ossia discendenti ed esistenti dai tempi degli apostoli, assicura che essi
cominciarono a comparire nel 1160.
È poi totalmente falso il far dire al priore Rorengo che della setta Valdese non si sapesse
ancora con certezza l'origine mentre chiaramente dice: I Valdesi per dimostrarsi antichi si
vogliono discendenti di Valdo il quale cominciò a formare la sua nuova dottrina nel 1160.
Amedeo Bert fa dire inoltre al detto priore che nel secolo nono e decimo i Valdesi non
erano setta nuova ; ma egli non bada che l'autore qui parla degli Iconoclasti o di altri eretici
senza far motto de' Valdesi.
Amedeo Bert mette in bocca al citato autore : Sempre ed in ogni tempo esistettero nella
valle di Angrogna.
Io ho voluto verificare questo brano nel suo originale, ed ho osservato che dopo aver
accennata la comparsa di Pietro Valdo nel 1160 continua così: « Avvi chi {71 [71]} vuole
presupporre, che alcuni Valdesi o poveri di Lione, scacciati da quella città si fossero fin da
questo tempo (1160) sparsi nella valle di Angrogna, ma credo che si siano solamente trattenuti
nel Delfinato. » Il medesimo Bert si serve dell'autorità di Claudio Seyssel3. {72 [72]}
3 Claudio di Seyssel di famiglia illustrissima nacque in Savoia. Dottissimo ed elegantissimo giureconsulto, siccome
il dimostrano i molti libri di giurisprudenza e storia antica da lui pubblicati, Referendario e consigliere di Luigi XII
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In un libro intitolato disputa centro gli errori dei Valdesi Bert lo fa parlare così : «
Secondo il parere dei più essi traggono la loro origine da un tale Leone uomo religiosissimo ai
tempi di Costantino il Grande. »
Io vi assicuro, cari amici, che questo prelato dice tutto il contrario. Comincia la storia dei
Valdesi con Pietro Valdo, di poi continua in questo modo: « Ciò non ostante alcuni volendo farla
da campioni nel difendere questa eresia, per procacciarsi il favore del volgo che non sa di storia
favoleggiano, fabulantur, che questa setta discenda da un certo Leone che viveva ai tempi di
Costantino. Di tale invenzione quale cosa vi può essere di più falso? »
Come voi, o amici, ben potete rilevare, il brano dell'Arcivescovo di Torino è totalmente
falsificato ponendo in bocca dell'autore una cosa certa ch'egli chiama favola. Sebbene in quel
momento mi sentissi trasportato dall'impazienza, tuttavia {73 [73]} ho voluto con animo pacato
percorrere ancora alcuni altri autori riportati dal medesimo Bert, ma ho trovato ovunque la stessa
mala fede. Quello che mi ha vie più convinto della meschinità della storia Valdese, fu che in
generale tutti gli scrittori hanno seguite le medesime favole del ministro Bert per provare la loro
antichità4.
Dopo di aver letto questi scritti ho fatto tra me questo ragionamento. O che questi
ministri sono ben ignoranti, o che scrissero con mala fede. In ambidue i casi non devono essere
creduti, specialmente in cose di massima importanza, come quelle che riguardano alla salute
eterna. Che se costoro, che passano pei più dotti fra' Valdesi, vanno spargendo tante favole, che
cosa sarà degli inferiori e del povero volgo ?
Esposti gli errori sopra l'origine dei {74 [74]} Valdesi, spero ora che vi tornerà gradito il
sapere la vera storia di questa setta, secondo che ci fu tramandata dagli autori contemporanei o
quasi contemporanei5.
Capo XIII. Severino parla della valle di Luserna e della vera origine dei
Valdesi.
Comincerò dunque a darvi un breve cenno intorno alla valle di Luserna perchè possiate
meglio comprendere la vera storia dei Valdesi che vennero qui a stabilire la loro dimora.
Sotto il nome Lucerna o Luserna s'intende un antico borgo assai rinomato, posto ai piè
delle Alpi, distante sei miglia dalla città di Pinerolo e ventiquattro da Torino. {75 [75]}
Si vuole che Luserna derivi dalla parola tedesca Lucke che significa uscita, apertura, e
Luserna trovasi appunto allo sbocco ovvero all'apertura di una valle a cui dà il suo nome, che
delle pianure del Piemonte mette nel Delfinato in Francia. Nei tempi antichi Luserna era un
forum, ossia un amporio dei Romani, e per cagione del transito e del deposito delle merci
dell'Italia in Francia e dalla Francia in Italia, essa aveva molta importanza militare. La valle di
Luserna contiene vaghe pianue e colli ben coltivati; sorgono in essa vari paesetti come
Angrogna, Perosa, S. Martino, Torre Pellice e molti altri più o meno rinomati. Questa valle ed i
paesi confinati sono in gran parte abitati dai Valdesi dal loro autore Pietro Valdo, ricco mercante
francese della città di Leone. Questi sulle prime era cattolico; e un di un suo compagno mentre
di Francia, mandato a nome del medesimo re legato al concilio Lateranese, fu primieramente Vescovo di Marsiglia e
poscia arcivescovo di Torino. Prima che fosse eletto vescovo aveva qui con somma laude interpretato il diritto ; è
sepolto nella sacrestia della chiesa metropolitana, dove è onorato di una statua e del seguente epitaffio sulla tomba di
marmo: A Claudio Seyssel Referendario di Luigi XII re di Francia, e oratore eloquentissimo del medesimo, quasi
presso a tutti i principi cristiani ambasciatore e vescovo di Marsiglia, arcivescovo di Torino, giureconsulto
consumatissimo: il collegio dei canonici come a padre carissimo questo monumento posero. Morì alle calende di
giugno 1520.
4 Leger, Peyran, Muston, ed altri più celebri scrittori protestanti Valdesi hanno presso a poco le medesime
falsificazioni.
5 Su questo argomento si può consultar la commendevolissima opera di Monsig. Charvaz Arciv. di Genova, che
intitolò: Ricerche storiche sulla vera origine dei Valdesi, e sul carattere della loro dottrina primitiva.
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infuriato bestemmiava, e aggiugneva lo spergiuro alla bestemmia, cadde morto {76 [76]}
sull'istante. A sì terrible fatto, che era evidentemente una vendetta del cielo, Valdo restò
spaventato, e risolvette di abbandonare tutte le sue sostanze per condurre vita povera, penitente e
praticare ciò che il Divin Salvatore disse ad un giovane: Se vuoi essere perfetto, va, vendi quanto
possedi, donalo ai poveri e seguimi. Questo avveniva nel secolo decimosecondo verso l'anno
1160.
Fin qui non vi sarebbe stato nulla da rimproverare a Valdo. Ma il male fu quando gli saltò
il caproccio di farsi predicatore e proclamarsi apostolo mandato da Dio a predicare la povertà e
condennare quale peccato mortale il possedere delle ricchezze, benchè acquistate legittimamente.
Valdo aveva fatto poco studio, e perciò con gravissimo stento riusciva a far ricevere la nuova sua
dottrina. Non comprendendo per nulla il latino egli pensò di farsi tradurre e spiegare in lingua
volgare il Vangelo con alcune sentenze de' santi Padri. Di qui alcuni traggono la smania, che {77
[77]} hanno i Valdesi di avere la Bibbia e la liturgia in lingua volgare. Valdo studiò a mente
alcuni brani di codesti scritti, quindi cominciò a predicare per le piazze, per le città e pei villaggi.
Uomini e donne benchè ignoranti divennero valenti predicatori ; ma gli errori e gli
scandali seguivano ovunque i loro passi. Venuti quei disordini a notizia di Giovanni Bolismano,
arcivescovo di Lione, esortò Pietro e i suoi seguaci a desistere dalla folle impresa. Ma la loro
ignoranza cangiandosi in superbia, risposero all'Arcivescovo colle insolenze e colle villanie. Il
degno prelato non si perde di animo e pose in opera tutti i mezzi che la prudenza e la carità
sogliono suggerire in così gravi momenti. Cominciò ad avvisare Valdo in privato, poi denunziò
al pubblico la sua dottrina, e in fine condannò formalmente Valdo, i suoi seguaci e le loro
massime. Ben lungi Valdo dal ritrattarsi appellossi invece al giudizio del pontefice Lucio III.
Questi fece esaminare attentamente {78 [78]} la nuova dottrina, che trovando parimenti contraria
al Vangelo ed alla Chiesa confermò la condanna già pronunciata dall'arcivescovo di Lione, ed
invitò Valdo ed i suoi seguaci ad abbandonare quella nuova dottrina. Fu allora che Valdo
togliendosi la maschera scosse il giogo di ogni autorità e ricusò di obbedire allo stesso sommo
Pontefice. Quindi come ribelle ed ostinato alla Chiesa fu condannato e scomunicato. Ciò
succedette l'anno 1185.
All'apparire di questi nemici della fede molti dotti si levarono a combatterli coi loro
scritti. Il più antico scrittore che parli dei Valdesi è l'Abate di Fontecaldo contemporaneo a Pietro
Valdo. Scrisse egli un trattato contro ai Valdesi dove fra le altre cose dice : « Mentre governava
la Chiesa Lucio III sorsero i Valdesi, nuovi eretici, i quali furono poi condannati dal Papa in un
concilio tenuto nella città di Verona l' anno 1185. »
Serviranno a dare una più compiuta notizia sull'origine dei Valdesi le parole {79 [79]} di
Stefano Bellavilla, religioso domenicano, il quale fu pure contemporaneo a Pietro Valdo.
Ecco le sue parole : « I Valdesi furono così detti da Pietro Valdo primo autore della loro
eresia. Si dicono pure Poveri di Lione, perchè ivi cominciarono a professare la povertà. Eglino
stessi chiamatisi poveri di spirito, perchè il Signore disse : Beati i poveri di spirito. Ed essi il
sono veramente in quanto che sono poveri di ogni bene spirituale, di ogni grazia dello Spirito
Santo6. » {80 [80]}
Capo XIV. Severino espone la diffusione dei Valdesi e la loro unione
coi Protestanti.
6 Sembra che gli scrittori antichi dei Valdesi non vadano d'accordo nel fissare l'anno in cui essi ebbero origine,
perchè alcuni la fissano nel 1160, altri nel 1170, altri infine nel 1182 o 1185. La cagione di queste variazioni sta in
ciò, che alcuni scrittori prendono a parlar dei Valdesi da che Valdo cominciò a proporre le sue dottrine e ciò fu nel
1160 ; altri cominciarono la storia di Valdo dal tempo che egli prese a scorrere i paesi e le città co' suoi compagni
circa nel 1170; altri poi parlano di questi eretici quando furono condannati nel 1180 e 1185.
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Dopo la condanna pronunciata dalla santa Sede alcuni Valdesi di buon conto ritornarono
alla religione cattolica da cui incautamente eransi allontanati. Ma grande parte rimasero ostinati e
ribelli alla Chiesa. Costoro e come eretici e come pubblici perturbatori vennero dall' autorità
civile cacciati da Lione.
Alcuni allora si sparsero nella Provenza al mezzodì della Francia : altri, quali forestieri
erranti ed in cerca di ricovero, passarono le Alpi e si diffusero nelle valli di Pinerolo e
specialmente in quella di Luserna e nelle montagne vicine. Ciò avvenne circa l'anno 1220.
A bello studio essi portaronsi in quelle parti in mezzo agli abitanti delle montagne, che
per lo più sono poco istruiti nella religione. I Valdesi speravano di poter {81 [81]} facilmente
spargere tra que' popoli la falsa loro dottrina. Difatto i loro ministri chiamati Barbi, da cui venne
pure il nome di Barbetti7 a tutti i Valdesi, posero ogni studio per ingannare quelle buone
popolazioni: ma dopo molte turbolenze ivi cagionate a mano armata, tra cui l'assassinio del b.
Antonio Pavonio, furono frenati a forza dalle autorità governative.
I Principi di casa Savoia osservando infine che quegli eretici parevano starsene in pace nè
più immischiarsi nelle cose politiche, li lasciarono tranquilli nei loro dominii a condizione che
non uscissero dai confini loro assegnati; e così i Valdesi poterono rimanersi quivi quasi
inosservati circa tre secoli. In questo tempo però essi non avevano {82 [82]} alcuna chiesa,
sembravano più cattolici che altro, non ricusavano di ricorrere eziandio ai sacerdoti ed alle chiese
cattoliche, praticandone le massime e quasi tutte le usanze. In quel lungo spazio di tempo non
avendo chi fomentasse i loro errori i Valdesi avevano dimesso l'antico fervore, in generale erano
caduti in crassa ignoranza delle cose di loro religione e forse si sarebbero totalmente convertiti al
cattolicismo se non si fossero associati ad altri nemici della fede. Furono questi i protestanti,
ossia i seguaci di Lutero e di Calvino, di cui presto avrò occasione di parlarvi8. {83 [83]}
Circa l'anno 1536 i Calvinisti, i quali avevano la loro stanza in Ginevra, per accrescere il
numero dei loro seguaci e pel vantaggio che loro verrebbe dall'unirsi con una setta più antica
della loro si portarono nella valle di Luserna a fine di persuadere i Valdesi ad abbracciare la
dottrina di Calvino. Nella fiducia di riacquistar gloria al loro nome e protettori alla loro credenza
i Valdesi accolsero i Calvinisti quali amici.
Dimenticata pertanto la dottrina di Valdo cominciarono a professare quella di Calvino, e
da quell'epoca in poi i Valdesi fecero una cosa sola coi Calvinisti e deliberarono {84 [84]} di
mandare a Ginevra i giovani destinati a diventare loro ministri, ossia Barbi, affinchè si
imbevessero nei principii dell'eresia protestante.
Giova qui notare che i Barbetti dacchè divennero Calvinisti si mostrarono eziandio più
ostili al cattolicismo ed insubordinati all'autorità civile, cui parecchie volte si ribellarono, fino a
tanto che per poterli tenere in freno vennero confinati in paesi determinati di queste valli.
Capo XV. Severino parla delle variazioni della dottrina valdese.
In sul principio la dottrina dei Valdesi era nella maggior parte quella della Chiesa
cattolica.
7 Si crede che siano stati detti Barbetti dalla barba che portavano anticamente i loro ministri ; altri credono che siano
così chiamati dal vocabolo provenzale Barbs, Barba ovvero zio, che era il titolo dei loro maestri considerati come
zii o padri.
8 Si suole dare il nome di protestante a tutti coloro che ribellatisi dalla religione cattolica fanno scisma, e protestano
contro gli infallibili insegnamenti della s. Sede apostolica romana. Comunemente poi si dà questo nome in
particolare agli eretici Luterani e Calvinisti. L'Imperatore Carlo V vedendo la Germania dilantata dalle conseguenze
della crescente eresia luterana congregò nella città di Worms una dieta o assemblea nel febbraio del 1529 sotto la
soprintendenza del re Ferdinando a fine di comporre le discordie religiose che si andavano ognora aumentando. La
dieta propose tra le altre cose che i novatori si astenessero dal predicare in pubblico contro il Sacramento dell'altare,
nè si abolisse la Messa ecc. I principi luterani contro tale proposizione più che moderata emisero una protesta e da
ciò da quell'istante in poi furono chiamati protestanti.
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3.1 Page 21

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Don Bosco – Severino, ossia avventure di un giovane alpigiano
Solamente in progresso di tempo aggiunsero nuovi e più gravi errori. Primieramente
Pietro Valdo atterrito dal tristo caso accaduto all'amico condannava il giuramento {85 [85]}
anche fatto colle dovute condizioni, quindi insegnò che ogni giuramento è peccato.
In secondo luogo diceva che la povertà de' primi fedeli, i quali non avevano nulla in
proprio e vendevano le possessioni per darne il prezzo ai poveri, era assolutamente necessaria
alla salvezza. Che la volontaria povertà sia un mezzo efficace per meritarci la gloria del cielo, è
cosa insegnata dal Vangelo; ma il dire che Gesù Cristo l'abbia comandato è un errore, perchè
Gesù Cristo non condanna le ricchezze, ma solo proibisce d'acquistarle con mezzi illeciti e di
farne cattivo uso; consiglia la povertà volontaria, ma non la esige.
In terzo luogo condannava le oblazioni, i suffragi pei defunti.
In quarto luogo affermava che le civili potestà non hanno diritto di punire colla morte i
malfattori. Egli aveva il suo tornaconto in tale insegnamento, perchè dal potere civile aveva assai
da temere a cagione della biasimevole sua condotta. {86 [86]}
Non si arrestò Valdo a questi errori, e quando la Chiesa gli comandò di cessare dalla
stolta sua predicazione egli aggiunse ai orimi altri errori insegnando non doverti ubbidire ai
superiori ecclesiastici. Ma mentre Valdo negava di sottomettersi all'autorità ecclesiastica,
attribuiva a se ed a' suoi seguaci i poteri sacerdotali, amministrando i sacramenti, celebrando la
santa Messa, ascoltando le confessioni dei suoi e dando loro l'assoluzione e simili.
Questa fu per circa tre secoli la dottrina de' Valdesi. Ma dopo la modificarono, anzi la
cangiarono quasi affatto quando fecero lega co' Calvinisti.
Allora essi cominciarono a credere che i ministri della religione possono possedere de'
beni senza dannarsi, ammisero che il giuramento non è peccato, e che si possono punire di morte
i malfattori. I Calvinisti loro permisero di non più pregare pei defunti, e di non più digiunare nei
tempi prescritti; li costrinsero inoltre ad abolire il sacrifizio della Messa e tutti [87 [87]} i
sacramenti eccetto il Battesimo, ed invece della divina Eucaristia loro imposero una sterile
memoria della cena di Gesù Cristo, che si riduce a mettere in mostra e prendere un pezzetto di
pane e poche gocce di vino. I Calvinisti obbligarono ancora i Valdesi a credere che per salvarsi
basta la fede senza le buone opere, e a professare la orribile bestemmia che l' uomo non è più
libero, sibbene che opera il bene e anche il male costretto a ciò da Dio stesso. Adottarono inoltre
il principio generale dei protestanti, che ogni uomo è così illuminato dallo Spirito Santo da
intendere da se stesso la Sacra Scrittura, e non avere più bisogno di altra spirituale autorità per
conoscere i suoi doveri e regolare le sue azioni. In questa guisa i Valdesi abbandonarono la loro
meno perversa dottrina per abbracciarne un' altra assai peggiore e ammettere errori, i quali per lo
addietro non avevano nè professati nè conosciuti. Con queste continue variazioni, aggiunte,
rinnegazioni ne' punti più importanti {88 [88]} della religione, i Valdesi allontanaronsi sempre
più dalla vera Chiesa la quale è sempre la stessa ed ha sempre il medesimo Maestro come dice s.
Paolo: Christus heri et hodie9. {89 [89]}
9 Chi volesse più a lungo istruirsi intorno a questa materia legga la dotta opera dell'erudito Arciv. Andrea Charvaz
che ha per titolo: Guida del catecumeno Valdese, libri tre.
I Valdesi sono in numero di circa ventimila ed esercitano il culto calvinistico nel villaggio di Angrogna, di s.
Martino, di Perosa, s. Giovanni, Torre Pellice, ed altri luoghi. Le loro chiese sono in numero di quindici, ed ognuna
ha un pastore o ministro stipendiato dagli abitanti. Tutte queste chiese trovansi sotto la direzione di un Sinodo il
quale si compone di pastori in servizio, di pastori usciti di carica di tutte le valli, di deputati laici. Fa pure parte del
Sinodo la così detta Tavola che è un magistrato composto di tre ecclesiastici e di due laici appositamente eletti. Di
questi uno è detto Moderatore della valle che ne tiene la presidenza ed ha sotto di se il moderatore aggiunto ed il
segretario.
La Tavola è in esercizio nell'intervallo che passa tra un Sinodo e l' altro. Questi Sinodi si tengono per ordinario ogni
cinque anni, e vicendevolmente nella valle di Luserna ed in quella di s. Martino della Perosa. Primachè si dividano i
Sinodi viene eletta la nuova Tavola la quale in quel quinquennio vigila sempre affinchè si osservi la disciplina nelle
chiese, provvede ai bisogni, mantiene continua corrispondenza dentro e fuori delle valli, delibera sulle controversie,
e fa il riparto delle limosina nei templi. Il Moderatore ed il suo aggiunto convocano la Tavola secondo l'occorrenza
con una lettera circolare, e la Tavola, quando si offra l'opportunità, propone anche un Sinodo straordinario alle
chiese, e se queste aderiscono ricorre al governo per essere autorizzato a tenerlo. Il Moderatore fa la visita alle
chiese ogni cinque anni ed anche più sovente secondo il bisogno. Esso toglie di carica i pastori quando vi sono
giuste doglianze contro di essi, i quali per altro possono appellarsi al Sinodo secondo il caso. Il Moderatore mette a
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Don Bosco – Severino, ossia avventure di un giovane alpigiano
Capo XVI. Severino parla di alcuni curiosi episodi della dottrina
Valdese.
Ma quello che mi fece conoscere il Valdeismo per un fantasma di religione furono le
contraddizioni che ho osservate nelle attuali loro credenze. Io ve ne esporrò alcune di cui io
medesimo sono stato testimonio. {90 [90]}
Si separarono dalla Chiesa Cattolica, ricusando di ubbidire al capo stabilito da Gesù
Cristo, che fu sempre venerato e ubbidito da tutti i cattolici, cominciando da s. Pietro fino al
regnante Pio IX, e intanto si costituirono evangelisti, pastori, ministri, tavole e sinodo,
moderatore, tutte cose di cui non si è mai parlato nella Bibbia e nella storia prima della Riforma.
I Valdesi accusano i preti cattolici di essere retribuiti pel loro ministero; {91 [91]} ma intanto i
loro ministri o pastori hanno stipendi otto e dieci e anche assai più volte maggiori di quelli che
sono percepiti dai preti cattolici, e non movono per così dire un dito senza essere ben pagati. I
vostri preti, dicono ai cattolici, non fanno limosina ; ma io ho osservato che i ministri, i pastori,
gli evangelisti se danno qualche limosina, è tutta roba altrui; danno quello che si raccoglie dai
semplici, cui essi studiano di persuadere che trovansi nella buona religione, danno il danaro che è
loro inviato dall'Inghilterra; del quale danaro per lo più una particella rimane attaccata alle dita
dei distributori.
Dal mio canto per altro dico essere menzogna l'asserire che i preti cattolici non diano
niente. Io ne ho conosciuti dei centinaia che impiegano sostanze e vita pel bene del prossimo. Io
stesso, se non sono rimasto vittima della sventura, lo debbo ad un prete cattolico, che mi accolse
in casa sua e per più anni mi provvide di quanto mi occorreva per vitto, vestito ed {92 [92]}
istruzione. E il paroco del mio paese non fu sempre il sostegno di tutta la nostra famiglia? Ciò
che dico del mio paroco devesi dire di mille altri. Ma questi sacerdoti danno ciò che è roba loro,
danno quel danaro che potrebbero spendere a loro talento senza essere tenuti a renderne conto ad
alcuno.
Inoltre il lavoro più grave del pastore e del ministro protestante consiste nel sermone che
suole farsi nella domenica ; il rimanente della settimana è per loro un vero passatempo. Non così
dei preti cattolici; imperocchè nei giorni festivi essi confessano, predicano, fanno catechismi,
cantano i vespri, e nella settimana sono quasi ugualmente occupati. Io conosco sacerdoti che
passano talvolta otto, dodici ed anche quindici ore al giorno nel confessionale ; in certi giorni
predicano quattro o cinque volte, e tutti questi lavori sono gratuiti e senza essere minimamente
obbligati dal loro impiego, ma dalla sola carità che loro arde in cuore e che li spinge a tali {93
[93]} sacrifizi. Facciano i protestanti attenta considerazione sopra questi fatti, e poi dicano se la
religione cattolica o la pretesa riforma si debba chiamare religione dell'oro.
I protestanti gridano contro alla confessione ed intanto essi denunziano i colpevoli, e
nelle pubbliche adunanze dicono il nome dei medesimi, il male commesso e la penitenza che
loro s'impone. Essi vogliono solamente la Bibbia per regola di fede, e gridano contro ai cattolici
che la vogliono spiegare coi testi e colle note de' santi Padri, e intanto essi pretendono di
spiegarla a loro arbitrio e guai a chi non ammette le loro spiegazioni! Gridano contro ai cattolici
dicendo, che i loro Concilii, i Sinodi, i Vescovi, i Papi sono flagelli cui ognuno è costretto di
piegare le proprie convinzioni. Intanto i protestanti hanno i loro sinodi, ministri, pastori,
moderatori, evangelisti, i quali in opposizione ai loro stessi insegnamenti, discutono e decidono
riposo i Pastori con una pensione a carico de' comuni e degli altri Pastori. Aperto il nuovo Sinodo la Tavola è
disciolta. Ciascuna chiesa ha per altro il suo concistoro pastorale composto degli anziani, del diacono ossia economo
e del procuratore, e vi presiede il Pastore. Il concistoro deve vegliare all'amministrazione spirituale e temporale della
propria chiesa, ed al buon andamento delle scuole. Deve aver cura de' poveri del distretto e presentar ogni anno il
rendiconto agli amministratori. Nascendo qualche contesa, ad esso appartiene il farne relazione alla Tavola.
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Don Bosco – Severino, ossia avventure di un giovane alpigiano
le controversie come loro sembra, condannando {94 [94]} chi loro non si arrende; depongono
quelli che sono in carica, variano, aggiungono, tolgono ciò che loro talenta ai catechisimi.
Ditemi in buona grazia, o protestanti, chi vi ha fatti maestri di religione? Voi dovreste
soltanto dare la Bibbia ai vostri discepoli senza punto parlare nè di prediche, nè di spiegazioni;
poichè voi andate dicendo che la sola Bibbia è regola di fede e di costume. Mentre pertanto
vanno decantando l' uso e la lettura della Bibbia, si contraddicono coi fatti, perciocchè nei loro
libri di liturgia e di preghiera, e nei catechismi hanno mille sentenze e massime e preghiere che
sono niente affatto contenute ne' libri santi.
Un giorno io fui sorpreso mentre teneva in mano un libro di divozione che da fanciullo
aveva sempre avuto meco. Me lo strapparono con violenza, dicendomi che quel libro era pieno di
scempiaggini contrarie alla Bibbia. Voi, loro dissi risentito, mi strappate di mano un libro perchè
contiene {95 [95]} preghiere secondo voi non ricavate dalla Bibbia, e intanto perchè mi fate
insegnare un catechismo che non si contiene nella Bibbia? Tutta quella serie di preghiere che voi
avete nel vostro catechismo sono forse contenute ne' libri santi? Dunque, o ammettere i libri
cattolici, o se volete rifiutare quelli, dovete rigettare anche i vostri10.
Le nostre preghiere, mi risposposero, sono tutti pensieri ricavati dalla Bibbia; non così i
libri cattolici.
Voi dite così, soggiunsi, ed i cattolici dicono che i loro libri sono eziandio pensieri
ricavati dalla Bibbia consentanei a quanto è stato rivelato nei libri santi. Ma coi fatti voi
contraddite alle parole, perchè nei vostri libri io trovo preghiere che si devono dire prima e dopo
la comunione e queste preghiere sono forse contenute nei libri santi? {96 [96]}
Le contraddizioni mi si resero vie più manifeste quando mi recai ad ascoltare ora l'uno
ora l'altro dei pastori ne' loro sermoni domenicali. Qui io era testimonio di una vera Babilonia.
Ogni pastore spiega le cose come vuole ed a suo modo; spesso uno parla contro dell'altro; mi
avvenne più volte nel medesimo mattino udire un pastore insegnare che nella Santa Eucarestia vi
era il Corpo di Gesù Cristo e ascoltarne un altro che asseriva essere una semplice rimembranza
della passione e della morte del Salvatore, oppure contenere il corpo del Salvatore, mentre un
altro diceva che Gesù Cristo nella Eucarestia è soltanto transitoriamente, cioè nel momento della
consacrazione.
Un giorno sulla medesima cattedra fecero il sermone due Pastori; uno diceva le opere
buone essere necessarie per salvarsi adducendo la massima dei libri sacri che : Fides sine
operibus mortua est, la fede senza le opere è morta; l'altro in modo enfatico assicurava che basta
la fede per {97 [97]} salvarsi, comunque egli conduca una vita empia e scellerata. Insomma mi
sono convinto col fatto che ogni pastore, ogni ministro ha la sua religione, ogni padre segue una
credenza sua propria ed ogni membro della medesima famiglia segue la religione che gli torna
più gradita.
In questa confusione di opinioni e di idee ho pensato di andare da qualche Pastore per
farmi appianare alcune difficoltà. Se mai fosse permesso di scherzare intorno a cose serie vi
assicuro che qui avremmo da ridere non poco. Ascoltate. Un giorno dimandai di parlare ad un
Pastore che mi fece rispondere essere occupato in una partita la quale senza disagio non poteva
sospendere, ma che io poteva esporre ogni mia questione a sua moglie, la quale poi avrebbe a
miglior tempo comunicato ogni cosa a lui medesimo. Altra volta sono riuscito a parlare col
Pastore, ma in presenza della fantesca e della moglie intorniata da ragazzi che gridando, ridendo
e piangendo facevano un tumulto proprio di carnovale. {98 [98]} Immaginatevi se io osava tirar
fuori discussioni confidenziali in presenza di quel rispettabile uditorio!
La più bella scena per altro fu quella che mi avvenne la sera di un giorno festivo. Sul far
della notte mi recai dal Pastore per chiedergli schiarimenti intorno ad un suo sermone. Bussata
una e due volte la porta, mi venne ad aprire un grazioso fanciullino sui dodici anni. Entrate, mi
disse con volto alterato, presto correte, che mia madre ammazza mio padre. Entrato in casa vedo
una donna di robustezza erculea in furia contro al Pastore suo marito, che dopo avere spesi molti
danari in gozzoviglie, quella sera era ritornato a casa più ubbriaco che altro. Strettolo al collo per
10 V. Catéchisme de l'église évangélique Validoise, publié par Ordre du Synode 1859.
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la cravatta con ripetuti schiaffi, pugni ed urloni essa lo gettò a terra, e lo percuoteva con calci e
con un bastone in tutti i versi.
Mentre il povero Pastore dimandava alla furente donna pietà e misericordia, tutti i suoi
figliuolini singhiozzando supplicavano {99 [99]} la genitrice a non dare la morte al povero loro
padre.
All'inaspettata mia comparsa e all'udirsi alcuni vivi rimproveri quella si calmò, ed io
potei rialzare da terra il marito che era assai malconcio. Quello era il momento opportuno per
iniziare una conferenza morale o religiosa !
In mezzo a tante contraddizioni sull'origine e sulle credenze dei Riformatori, ho potuto
trovare un punto solo intorno a cui vanno tutti d'accordo: combattere la Chiesa cattolica. Loro
non importa che taluno viva Ebreo, Turco, Luterano, Calvinista od altro: purchè non sia
cattolico, e poi è sempre tenuto per galantuomo. Che se per avventura trasparisse in lui qualche
sintomo di volersi rendere cattolico, allora egli è scemo, è pazzo e per guarire dalla sua pazzia
non ha più altro rimedio se non rinunciare all'idea di farsi cattolico.
Niuno poi può immaginarsi le corbellerie che inventano sul conto dei cattolici a fine di
farli cadere nel ridicolo e nel {100 [100]} discredito. L'ignoranza, la mala fede, l'avarizia e simili
bagatelle, secondo essi, sono le doti di cui sono fregiati tutti i cattolici.
Per esempio essi predicano in tutti i toni che i cattolici sono idolatri, accusandoli falsamente di
adorare le immagini e le reliquie de' santi ed altre cose sacre. Un giorno essendomi trovato con
alcuni Pastori, un di loro prese a dire così : Credo che voi, Severino, siate molto contento perchè
vi siete finalmente allontanalo dall'idolatria della Chiesa Romana.
- In qual senso mi dite questo?
- Nel senso che tra noi non siete più obbligato ad adorare le immagini e le reliquie: e qui
chiamò con titoli del tutto sprezzanti le cose più venerande della religione.
- Signor Pastore, ripigliai alquanto risentito, io sono stato tanti anni coi cattolici, e mi
sono occupato assai della loro religione, ma non ho mai udito alcuno a predicare, nemmeno ad
insegnare cosa che {101 [101]} disdica a Dio creatore del cielo e della terra.
- Se non l'avete udito, meglio per voi, ma i libri cattolici sono ripieni di questi alti di
abbominevole idolatria.
- Scusate, ma in tutti i libri cattolici che ho avuto tra mano non mi avvenne mai di leggere
quanto mi dite.
- Pure i loro catechisimi...
- I loro catechisimi li ho letti ed in gran parte studiati per lo spazio di quindici anni; ma
non ho mai trovato le massime da voi accennate.
- Se queste cose non fossero insegnate, credereste voi che oseremmo asserirle, stamparle
e predicarle in tutti i luoghi e in tutti i sensi?
- Questo non è argomento per me; mostratemi un solo libro cattolico che dica doversi
adorare i santi, le immagini, le reliquie, e poi...
Mentre si facevano que' discorsi, uno di loro corse a prendere il catechisimo del
Bellarmino, del cardinale Costa, del Borglioni {102 [102]} ed alcuni autori di Teologia.
Guardarono, verificarono quanto loro piacque; ma rimasero pieni di confusione, quando in tutti
quei libri non si potè punto trovar parola che esprimesse quanto essi dicevano. Al contrario
quegli autori vanno perfettamente d'accordo nello usare i vocaboli divozione, venerazione,
ossequio, rispetto con cui i cattolici sogliono esprimere il culto che professano ai santi, alle loro
immagini e reliquie, imperocchè come tutti sanno la dottrina della Chiesa è che i santi meritano
onore come benefattori dell'umanità e modello di vita cristiana, amici di Dio e nostri benevoli
protettori presso di Lui in Cielo.
Questo atto rese mortificati que' Pastori che mi trattarono colle beffe. Voi, mi dissero,
siete giovane e perciò degno di compatimeno, la benda non v'è ancora totalmente caduta dagli
occhi. Facendo progresso negi studi, voi resterete senza dubbio consolato nelle vere credenze.
{103 [103]}
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In questa lusinghiera persuasione risovettero definitivamente di mandarmi a fare un corso
superiore di studi a Ginevra.
Capo XVII. Severino racconta della sua partenza per Ginevra e del suo
arrivo sul Gran s. Bernardo.
Negli anni di mia dimora nella valle di Luserna mentre coltivava la religione non ho
dimenticato lo studio letterario a segno che potei subire con buon esito l'esame di maestro
normale superiore, e per tre anni mi occupai nell'insegnamento. La mia posizione era assai
delicata, perciocchè tra i Valdesi io non era in buona fede e per dimorare tranquillo tra oro
doveva sempre tener celati gli interni miei intendimenti. Nella scuola perciò non insegnava mai
cosa favorevole alla credenza Valdese, neppure ho proferito sillaba contro all'antica mia
religione. Iaonde lasciava {104 [104]} che gli allievi studiassero i libri prescritti, ma nelle cose
religiose non parlava mai nè a favore nè contro ai Valdesi. È vero che nelle dispute era sempre
contro di loro, non di meno si mostrarono ognor soddisfatti della mia schiettezza. Col tempo, essi
dicevano, e collo studio Severino diventerà un buon credente. Pertanto i miei superiori come per
premiare le mie sollecitudini, o come dicevano essi, a fine di perfezionarmi nella scienza e nella
religione stimarono bene di mandarmi a Ginevra, dove sogliono andare quelli che aspirano a
divenire Evangelisti, Pastori o Ministri. Io per altro aveva in mente ben altri progetti. Nella mia
partenza mi diedero compagno un amico che doveva eziandio recarsi in quella città, e per dare
varietà al nostro cammino si pensò di farci prendere la via di Aosta e passare sul Gran s.
Bernardo. Giunti in Aosta ci siamo fermati un giorno per visitare le cose più memorabili di
quella città; e mentre andavamo appagando la nostra curiosità, ecco {105 [105]} verso le ore
ondici del mattino un simultaneo e inaspettato suono delle campane sorprenderci di maraviglia.
- Che cosa è questo? dimandai alla nostra guida.
- Questo, rispose, è il suono del mezzodì.
- Ma siamo soltanto alle undici del mattino ?
- Tra noi si suona il mezzo giorno alle undici ore.
- E perchè mai cosi strana singolarità !
- Questo ci ricorda un avvenimento assai glorioso. Fu un tempo in cui un eresiarca, di
nome Calvino, voleva introdurre tra noi i suoi errori. I padri nostri, che non solo erano e
volevano rimanere cattolici, ma ancora tramandare ai posteri la loro religione perchè la sola vera,
si opposero coraggiosamente ed energicamente all'empia insolenza di quel ribaldo. Se non che il
predicatore di Satana, ostinandosi nella sua baldanza, si associò alcuni sfaccendati per usare la
violenza e costringere i nostri avi ad adottare i suoi {106 [106]} errori. A quelle minacce tutto il
popolo si commosse, e si diede a suonare le campane per chiamar gente in aiuto e respingere il
comun nemico. Coll'aiuto di Dio vi riuscirono; imperciocchè cacciarono via Calvino e i suoi
compagni che erano uomini prezzolati e per lo più stranieri. E siccome l'ora in cui in cotale
occasione si suonarono le campane era quella delle undici del mattino, in memoria di questo
faustissimo avvenimento da allora in poi si è sempre tra di noi suonato e tuttora si suona il
mezzodì alle undici ore.
Queste parole tornarono niente gradite al mio compagno: ma io godeva in me stesso,
contentandomi peraltro di un sorriso di compiacenza. Fatto ancora un giro per la città,
indirizzammo i passi alla volta del Gran s. Bernardo oggetto dei nostri desideri. Questo giogo
delle Alpi Pennine era detto dagli antichi Mons Iovis, monte consacrato a Giove.
Dirigendoci verso tramontana ci vedemmo {107 [107]} comparire davanti quel monte
maraviglioso e di un'altezza sorprendente. E dopo notabile tratto di strada giungemmo ad un
seno dove esiste s. Remigio, paesello circondato da folta selva di lerici annosi, che si andavano
diradando di mano in mano che noi salivamo su pel monte. Questi alberi giovano moltissimo alla
salvezza del paese contro ai rovinosi ammassi di neve che giù precipitano massimamente in
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primavera. Da questo luogo sino all'ospizio del Gran s. Bernardo abbiamo dovuto trascorrere
oltre a sette chilometri per una salita ripida tortuosa e ricoperta di rottami de' sovrastanti dirupi.
Sono essi l'ultima traccia di una strada maestra ivi aperta dagli antichi Romani. A misura che
salivamo, ci accorgevamo del sensibile aumento della rigidezza del clima, e gli alberi
diventavano ognor più radi e meschini, finchè scompari quasi affatto la vegetazione. Soltanto
l'erba di alcuni tratti di prato sul pendio dei monti indicavano la stagione estiva, che quivi quasi
appena mostratasi {108 [108]} tosto fugge. Le nevi erano già cadute e apparivano sparse sopra le
aride rocce, che pendevano sulle gole dei monti.
Finalmente giungemmo al famoso piano cui gli antichi appellavano Summo Pennino, così
detto perchè qui appunto solevansi fare sacrifizi al Dio Penn.
Forma questo piano un alto e lungo vallone rinchiuso da balze molto elevate e
biancheggianti di nevi eterne. In quel momento e per la fatica del cammino sostenuto e per la
insufficienza degli abiti ci sentimmo correre per le membra un freddo vivissimo; di modo che
abbiamo sciolte le valigie e ci siamo raddoppiate le vestimenta.
Volgendo il guardo per quella singolare pianura, fummo non poco sorpresi a vedere quasi
nel centro un laghetto assai profondo.
È questa l'acqua che dà l'origine ad un fiumicello, che scorrendo per la china a mezzodì
del monte riceve il torrente detto Bautia ovvero Bauteggio, e di là comincia a chiamarsi Dora
Baltea, quel fiume che {109 [109]} dopo vari tortuosi giri va a versare le sue acque nel Po presso
Crescentino.
Sulle rive di quel lago, alle falde di un'alta rupe sta il celebre convento ovvero Ospizio di
s. Bernardo.
La prima origine di questo maraviglioso edifizio è antichissima. Dai libri che mi furono
somministrati da que' buoni religiosi ho potuto raccogliere che già esisteva nell'ottavo secolo.
Nel secolo decimo era di molto scaduto, quando Bernardo dell'illustre casato di Menthon venne a
ristorarlo o piuttosto a ricostruirlo dalle fondamenta. Questo uomo straordinario, che ancor
secolare già aveva praticato in modo esemplare tutte le cristiane virtù, era arcidiacono della
Cattedrale di Aosta. Profondamente commosso dall'ignoranza de' popoli che abitavano su quelle
alture e più ancora dagli infortuni che spesso colpivano i viaggiatori nel passare quel monte,
spinto da quella carità che soltanto mira al bene e non calcola nè difficoltà nè pericoli, risolse di
consacrare la sua {110 [110]} vita e le sue sostanze al dirozzamento di quelle genti. Combattè le
pagane superstizioni e l'idolatria che ancor ivi regnavano; rovesciò la statua di Giove, ed innalzò
in sua vece una chiesa al vero Dio. A fine poi di riparare ai disastri, cui erano ogni dì esposti i
passeggeri, fondò l'Ospizio che porta tuttora il suo nome.
Ne gettò le fondamenta nel novecentosessantadue, ed in breve condusse a termine quella
maravigliosa instituzione, che già da nove secoli ha costantemente mantenuto in fiore l' eroismo
della carità cristiana. Quei monaci hanno titolo di Canonici, e sono dell'ordine Agostiniano. Il
loro ufficio è di alloggiare e mantenere gratuitamente e prestare aiuto alle persone che colà
passano mettendo spesso a repentaglio la propria esistenza per salvare quella dei loro simili.
{111 [111]}
Capo XVIII. Severino parla di alcuni incidenti sul Gran s. Bernardo.
Io era tutto ansioso di girare e vedere le particolarità che circondano questo singolare
altipiano che forse è il luogo più alto che sia costantemente abitato dagli uomini, quando uno di
que' Monaci venne con premura ad avvisarci che andassimo tosto con lui nell'Ospizio. Il sudore,
ci disse, può tornarvi fatale a motivo del repentino cangiamento di atmosfera. Accettammo il
cortese invito e' lo seguimmo nell'ospitale edifizio. Passammo in fretta pel piano terreno, dove
sono la chiesa, il refettorio, le cucine e le ampie stanze in cui sono alloggiati i mendicanti, e
salimmo al piano superiore, ove dormono i religiosi e sono parecchie stanze pei viaggiatori di
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civile condizione. Accolti colla più squisita cordialità fummo condotti in un alloggio
bastantemente {112 [112]} caldo, dove ci venne amministrato un pranzo con cui potemmo assai
bene soddisfare all'appetito pel quale i cibi riuscirono oltre modo squisiti e gustosi; Dopo pranzo
abbiamo visitato il resto del locale e tra le altre cose ci rallegrò non poco il trovare in quei luoghi
quasi inabitabili una preziosa scelta di libri, di giornali italiani, francesi, con uno stupendo
pianoforte. Amantissimo della musica corsi tosto a far prova della bontà di quello strumento che
trovai di ottima composizione. A quel suono corsero monaci e forestieri, che si misero a cantare,
così che si formò una specie di concerto armonioso che servì a maraviglia per rendere amena
quella serata. Alle dieci suonò un campanello che indicava l'ora del silenzio e del riposo.
Ognuno, disse ad alta voce un religioso, reciti la preghiera e poi si ritiri nella cella assegnata, e
buon riposo a tutti. Assai di buon grado ce ne andammo a letto, ove la stanchezza ci immerse
tosto in un profondo sonno come l'appetito {113 [113]} aveva condite a maraviglia le vivande
dei pranzo.
Al mattino un canonico ci condusse a fare una passeggiata a qualche distanza dal
convento. Colà e nei dintorni non alligna albero od arboscello o filo d'erba che rallegri lo
sguardo dei passeggero; soltanto in mezzo alle rovine veggonsi poche erbe montane come sono i
licheni e la genziana.
- Qual è la vostra occupazione ? dimandai al buon religioso.
- Esercitare la carità verso il prossimo massime verso i forestieri, andar in cerca di chi
cade in pericolo della vita per salvarlo o almeno somministrargli i conforti della religione.
- Vi accade sovente di trovare gente in cotali pericoli ?
- Accade spessissimo. Allorchè i venti furiosi imperversano e trasportano la neve nelle
vie, oppure ammassi di ghiacci sono staccati dalle montagne, allora guai al viaggiatore che n'è
sorpreso! egli resta {114 [114]} come sepolto nella neve talvolta ad una spaventosa profondità.
- Che cosa potete mai fare di utile in simili accidenti?
- Quando accadono questi turbini, o trombe che sfigurano o coprono le strade, fattasi
appena un po' di calma, noi ci avviluppiamo in una specie di pelle, quindi con un fiaschetto di
liquori potenti, appoggiandoci sopra di un piccone che teniamo nelle mani, andiamo a visitar i
passi più pericolosi per vedere se per disgrazia qualche viandante sia colà rimasto coperto.
Certamente da noi soli non si riuscirebbe a grandi cose, ma la divina provvidenza ha disposto che
questi cani, che voi vedete, ci venissero in aiuto. Osservateli, e me ne additò due, questi animali
sono educati a seguire le pedate de' viaggiatori smarriti, e guidati dal finissimo loro odorato ci
precedono facendosi strada col corpo, oppure affrontando pioggia, ghiaccio e neve. E noi
seguitandoli percorriamo, non senza pericoli, quei sentieri, e spesse volte ci è {115 [115]}
riuscito di trar dalle fauci della morte uomini trasportati dalle valanche nei precipizi.
A quel racconto io rimasi profondamente commosso ed esclamai: Benedetta quella
religione che opera tali prodigi di carità !
- Venite qua, ripigliò l'ospitaliere cortese, giacchè prendete parte a questi racconti, vi
narrerò una disgrazia avvenuta non è gran tempo. Vedete questo grosso scheletro ? Esso
appartiene ad uno dei più fedeli nostri cani. Barrì era il nome con cui lo chiamavamo; esso ci
aiutò a salvare molti di quegli infelici. Quando le furie dei venti erano prolungate e violente, a
noi tornava impossibile uscir di casa senza rimaner coperti, o strascinati in qualche voragine.
Allora si metteva un canestrino al collo di Barrì con entro un fiaschetto di liquore, un altro di
vino ed un po' di pane. Con quella provvigione Barrì partiva e affrontando i venti e i turbini
percorreva tratti lunghissimi. {116 [116]} Facendosi strada col suo corpo, o strascinandosi sotto
la neve, come la talpa sotto terra, guidato dal maraviglioso odorato talvolta giunse a scoprir degli
infelici morenti. Barrì allora colle zampe allontanando le sostanze che li coprivano, loro si
adagiava vicino e se riusciva a vederlo a muoversi spingeva il canestro fuori del collo e poi
frettoloso ritornava a casa. Il dimenar della coda, il suo contegno allegro indicavano aver fatto
preda, e noi avevamo tracce sicure per andare in aiuto di qualche infelice che talvolta fu trovato
in piedi ristorato e già in atto di cercare la direzione del cammino. Dicci erano stati i passeggeri
salvati in questa guisa. Ma il povero Barrì fu vittima della sua operosità e bravura. Un giorno
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dopo un violentissimo uragano secondo il solito egli andò a girare per più ore, finchè giunse a
scoprire nell'angolo di una strada un uomo come morto. Barrì gli tolse l' alta neve che lo copriva,
e poi si adagiò sopra la persona come per comunicargli calore e {117 [117]} farlo ritornare a
vita. Di fatto in pochi minuti quell'infelice riacquistò l'uso dei sensi; ma alla vista di
quell'animale si spaventò e riputandolo una bestia feroce colà accorsa per divorarlo, gli sparò una
pistola. Barrì cadde morto sull' istante. Noi potemmo di poi raggiungere il povero forestiere e
condurlo al convento. Oh chi può esprimere il dolore di costui quando seppe di aver data la
morte a chi gli aveva salvata la vita? Egli ne fu inconsolabile, e per darsi qualche conforto e per
pagare una specie di tributo di riconoscenza al suo benefattore fece a sue spese imbalsamare quel
corpo, e dispose che fosse collocato in quella magnifica posizione come voi vedete.
Mentre facevamo quei discorsi, intervenne il superiore dell' ospizio, che ha titolo di
Preposto.
- Vi fa molto onore, presi a dirgli, nella vostra età giovanile già meritarvi il grado di
superiore.
- Bisogna fare il superiore giovane, {118 [118]} mi rispose, perchè qui niuno giunge alla
vecchiaia. Per la rigidezza del clima se non sono inviati altrove dopo qualche tempo vanno alla
tomba. Perciò i nostri fratelli, passata l'età di trentacinque anni, sogliono essere inviati ad
occupare le parochie che appartengono al nostro ordine nel Vallese. Il freddo quivi si mantiene
ordinariamente da 28 a 30 centigradi sotto allo zero. Ora noi siamo solamente ai primi di agosto,
e il terreno è già coperto di neve. Rarissimamente godiamo un cielo veramente sereno. Questo
piccol lago sta gelato annualmente più di dieci mesi, perciò non alimenta pesci. Ora venite meco
nell'orto e vedrete la splendida nostra verzura. Poche rape, alcuni magri cavoli e qualche
erbaggio per insalata, ecco tutte le nostre splendidezze. Tutte queste cose rendono la sanità
cagionevole agli uomini della più robusta complessione. Soltanto ne' due mesi dell'estate non è
disaggradevole il vivere su quest'alto giogo. In quei due mesi appunto {119 [119]} passa all'
ospizio ogni sera il fiore de' viaggiatori d'Europa, e massimamente dell'Inghilterra, di Francia e
di Germania. Mentre il benevolo superiore ci tratteneva intorno alle specialità di quel soggiorno,
senza accorgerci avevamo fatto quasi un miglio di cammino. Ecco, egli ci disse, questa è la
cappella sotto cui giaciono le spoglie mortali di chi miseramente perisce in mezzo ai ghiacci ed
alle nevi. Di poi volgendo il passo alla volta del convento, noi, egli prese a dire, fummo anche
visitati da Napoleone I nel giorno 20 maggio del 1800. Quell' imperatore passò questa ardua
montagna e qui si trattenne buon tratto di tempo a discorrere coi religiosi e visitare l'ospizio.
Quel formidabile conquistatore restò commosso ad udire il tenore di nostra vita, prese molta
parte ai nostri bisogni e fece vistose offerte. Ogni soldato del suo numeroso esercito ebbe per
ristoro un bicchiere di vino.
- Ma dove prendete danari per tante spese? Mantenere voi, conservare i locali, {120
[120]} e provvedere quanto occorre per nutrire cotanti passeggeri?
- La divina Provvidenza provvede a tutto. Nella chiesa sta una cassetta in cui gli agiati
viaggiatori sogliono deporre qualche limosina. Si aggiungono le rendite di alcuni stabili che
l'ospizio possiede al di qua e al di là delle Alpi. La Svizzera ci manda altresì alcuni sussidi.
Continuavamo quei piacevoli discorsi, quando fummo avvisati essere giunta l'ora di
nostra partenza. Fatti pertanto i più vivi ringraziamenti a quegli incomparabili benefattori dell'
umanità per la cortesia ed ospitalità usataci, deposto anche il nostro obolo nella comune cassetta,
partimmo per la Svizzera. In quel momento sentivami commosso fine alle lagrime. Perchè,
diceva a me stesso, perchè tu vivi separato da una religione che produce così sublimi frutti di
carità? Perchè segui le massime di una credenza sterile in virtù, e che non ha altro stimolo al
bene che il principio {121 [121]} di una vantata, ma bugiarda filantropia11?
11 Intorno al Gran s. Bernardo vedi: Vita del b. Bernardo di Menthon. 1866, lett. catt. fasc. XI - Antonio o l'orfanello
di Firenze. 1858, fasc. VI - Casalis all'articolo: Gran s. Bernardo.
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Don Bosco – Severino, ossia avventure di un giovane alpigiano
Capo XIX. Severino parla di Ginevra e di Calvino.
Noi giungemmo a Ginevra sul far della notte che è l'ora in cui quella città fa la sua più
bella comparsa. Posta in amenissima situazione, cinta da considerabili fortificazioni, rivolta
sopra il lago che ne porta il nome, rischiarata da illuminazione per tutte le vie, Ginevra si
presentava ai nostri sguardi come un incantesimo. Lo scopo del mio viaggio essendo lo studio e
la religione, rivolsi il mio pensiero a conoscere lo stato religioso della città. Io sapeva che il
vangelo era stato quivi predicato dai primi tempi del cristianesimo e {122 [122]} sapeva anche
come l'eresia vi si era da più secoli introdotta. Dai libri che ho potuto avere mi riuscì di
raccogliere come nel secolo XVI Svinglio introdusse i principii della così detta Riforma12.
Nel 1530 i popoli del Cantone di Berna unitamente ai Ginevrini si armarono contro ai
Cattolici, gettarono a terra le croci, spezzarono le sacre immagini, calpestarono empiamente
{123 [123]} le ostie consacrate e le reliquie dei santi ed ordinarono che gli eretici predicassero
regolarmente nella città di Ginevra nella celebre cattedrale di s. Pietro, dove da tanti secoli erasi
predicato costantemente il cattolicismo. I cattolici che formavano almeno nove decimi della
popolazione cercarono di opporsi all'empietà, ma quei pochi, che' erano alla testa del governo,
proibirono ogni atto di culto cattolico e stabilirono che il solo protestantesimo fosse religione
dello Stato. Allora fu abolita la sede vescovile, proclamata la repubblica, cacciati i frati e le
monache. Così Ginevra divenne la Roma del protestantesimo, come la chiama taluno, volendola
in cotal modo paragonare alla città di Roma centro del cattolicismo. Ciò avveniva dopo che la
vera religione per lo spazio di circa mille cinquecento anni aveva fiorito, e procacciati molti santi
alla Chiesa e molte anime al cielo.
Ma il più famoso promotore di questa falsa Riforma in Ginevra fu Calvino di cui {124
[124]} io aveva cotanto udito a parlare. Ascoltate, o amici, e vi darò breve ragguaglio di questo
preteso riformatore, e ciò basterà a persuadervi dell'assurdità o meglio dell'empietà della dottrina
riformata.
Calvino Giovanni era nato in Noyon città di Francia; suo padre era procuratore, di nome
Couvin. Il vescovo di quella città, mosso a carità per lui, gli somministrò i mezzi per attendere
agli studi nella speranza che fosse per valersene in bene. Il padre riusci male ne' suoi affari ed
incorse in varie condanne; la madre era donna di cattiva fama. I fratelli e le loro mogli
terminarono nelle carceri od altrimenti nell'infamia. Calvino per riparare all'infamia di famiglia
determinò di cangiar nome e invece di Couvin chiamarsi Calvino; e così cominciò sotto mentito
nome a viaggiare di paese in paese. Ma la dissolutezza dei costumi lo accompagnava ovunque. A
Parigi per un delitto nefando fu processato, convinto e condannato al marchio del fiordaliso sul
dorso con un ferro arroventato. {125 [125]} E ciò per favore singolare del Vescovo e dei
magistrati, giacchè il rogo era la pena dalle leggi stabilita per quel delitto. Con tutto questo non si
corresse, ma divenne peggiore. Io peraltro tirando un velo sopra le sue nefandità dico soltanto
che il malvagio uomo stabilì una dottrina che rendeva leciti i più orribili misfatti, e si adoperò
per propagarla.
Le sue predicazioni perturbando ovunque la pubblica tranquillità, le autorità civili
mandarono a carcerare il predicatore. Quando esso senti gli sgherri a bussare alla porta, non
avendo più altro scampo, prese le lenzuola del letto, le tagliò a pezzi e rannodatili insieme si calò
con quelli dalla finestra, correndo a nascondersi nella casa di un vignaiuolo. Per fuggire di là
sconosciuto si vesti da povero contadino e con zappa e vanga sulle spalle potè ingannare i soldati
della giustizia e porsi in salvo.
12 I calvinisti e in generale tutti i protestanti soglionsi appellare Riformati, perchè col pretesto di riformare i supposti
abusi in fatto di religione si separarono dalla unità della Chiesa. I cattolici soglion chiamarli pretesi riformati e le
loro credenize pretesa Riforma perchè essi nella pretesa di riformare la Chiesa caddero in mille madornali errori.
Chi volesse leggere copiosamente quanto è accennato di Calvino e della Riforma, veda le opere De la Foresi.
Metodo d'istruzione per condurre i pretesi riformati alla Chiesa Romana. - Vita di Calvino. Tolosa, stamperia
Pradel e Blanc. - Boost. Storia della Riforma in Alemagna. - Ma sopra tutte le altre sono commendevoli le auree
opere dell'arciv. Andrea Charvaz: Difesa del cattolicismo, vol. 5. - Il P. Perrone: Il Protestantismo e la regola di
fede. - Il P. Franco: Risposte ecc.
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Don Bosco – Severino, ossia avventure di un giovane alpigiano
Un grave autore di nome Rouvrai, ministro Francese a Berna, parla di questo {126 [126]}
eresiarca nel modo che segue: « L'infame Calvino, uomo sordido, fiordalisato in Francia,
concubinario a Stransborgo, ladro a Metz, sodomita a Basilea, tiranno a Ginevra, Calvino, dico,
proclamava la libertà di religione, gridava contro ai magistrati cattolici chiamandoli Diocleziani
ovvero persecutori, perchè giudicavano gli eretici. Egli intanto imprecava, malediceva e se
poteva imprigionava e mandava a morte chiunque fosse stato contrario alle sue opinioni. Capitò
in Ginevra di passaggio uno spagnuolo di nome Michele Serve il quale non credeva come lui
intorno al mistero della SS. Trinità. Calvino lo fece mettere in prigione, di poi gli comandò o di
credere a modo suo, o che lo avrebbe fatto bruciar vivo. Serveto non volle arrendersi, perciò fu
condannato alle fiamme. »
Da Ginevra Calvino fece varie scorrerie in Italia, ma appena veniva conosciuto per uomo
perturbatore era ovunque cacciato via.
Vedendo che le sue fatiche tornavano {127 [127]} inutili, Specialmente dopo la cacciata
d'Aosta, tentò di aprire una missione in America. I novelli suoi missionari s'imbarcarono per
portare la peste della loro dottrina a quei popoli che erano ancora quasi ignari del Vangelo. Ma
siccome i riformati non hanno nè capo nè guida nelle quistioni religiose, così insorsero tosto
dispute interminabili sopra l'Eucaristia. Uno diceva di essere da Dio inspirato ad insegnare che
nella Eucaristia non vi è il corpo di Gesù Cristo; l'altro asseriva essere del pari inspirato lo
Spirito Santo a credere ed insegnare che nell'Eucaristia vi è realmente corpo, sangue, anima e
divinità di G. C. In mezzo a questi trambusti il capo di quella missione, di nome Durando,
conobbe l'assurdità della Riforma e nel 1558 abiurò pubblicamente il Calvinismo e professò la
fede cattolica che colla voce e cogli scritti difese finchè visse. Così ebbe fine la famosa missione
dei Riformatori mandati da Calvino in America.
Andate così fallite le sue imprese, Calvino pensò di consolidare la Riforma in Ginevra.
Riusci infatti a farsi capo del potere civile; ma tuttavia quando volle cangiare l'antica religione,
Calvino si trovò in grave imbarazzo.
Fateci vedere, andava dicendo il popolo, qualche segno, con cui possiamo essere
assicurati che voi siate mandato da Dio a riformare la religione. I profeti, gli apostoli
confermarono le loro parole colla santità della vita e coi miracoli. Provate anche voi la vostra
missione con qualche miracolo; così noi avremo un ragionevole motivo di credervi. Calvino
capiva la gravità della dimanda, ma la sua vita scostumata non gli permetteva di dire: Osservate
quello che faccio. Dunque la cosa era ridotta a questo punto: tentare di fare qualche miracolo od
essere tenuto da tutti per impostore. Si appigliò al primo partito, cioè tentar di operare qualche
cosa che valesse a farsi credere per miracoloso. Ascollate il fatto. Un povero ginevrino di {129
[129]} nome Brulleo in compagnia di sua moglie aveva fatto ricorso a Calvino per ottenere
limosina. Volentieri, loro rispose, verrò in vostro aiuto purchè in tutta prudenza e confidenza mi
prestiate mano a compiere un mio disegno. Quegli infelici stretti dalla miseria si dichiararono
pronti a tutto, e dietro le istruzioni del novello operatore di miracoli, il Brulleo si finse ammalato.
Calvino ordina che per una guarigione si facciano suppliche e preghiere nelle chiese, ma tutte
inutilmente; allora l'infermo dimostra di soccombere, e fingesi morto. Calvino segretamente
avvertito, dimostrando di nulla sapere, si fa accompagnare da molti amici sotto allo specioso
pretesto di una passeggiata. Giunto davanti alla casa dove la scena era preparata sente le finte
grida e gli urli della moglie ipocrita, che pareva in preda al dolore ed alla disperazione.
L'impostore dimandando che cosa fosse entra in casa, cade in ginocchioni con tutto il suo seguito
e prega Dio ad alta voce di voler mostrare la {130 [130]} sua potenza e rendere la vita a
quell'uomo: così avrebbe fatto risplendere la sua gloria in faccia di tutto il popolo e attestato che
esso, Calvino, era veramente da Dio inviato a riformare la Chiesa.
Finita la preghiera, Calvino con aspetto maestoso si avvicina al morto, e prendendolo per
mano gli dice: In nome di Gesù Cristo alzati e cammina. Il fililo morto non si muove. Replica
più volte il medesimo comando e infine corre la moglie, cerca di scuotere il marito, e lo trova
realmente morto. Immaginatevi le grida, le maledizioni della desolata moglie lanciate contro
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Don Bosco – Severino, ossia avventure di un giovane alpigiano
l'impostore. Rimproverò Calvino, e usci furiosa di casa, pubblicò il fatto per tutta la città. Questo
è il grande miracolo di Calvino.
Un uomo così scostumato, aiutato da uomini scostumati al par di lui non fece altro che
tirare a sè gente rotta ad ogni sorta di vizio a segno che i riformatori, vivendo tuttora i fondatori
della pretesa riforma, facevano conoscere i fruiti dell'empio {131 [131]} sistema protestante. Io
potrei citarvi quello che dicono i cattolici intorno ai disordini cagionati da quegli strani
missionarii; ma voglio limitarmi alle parole di un autore certamente non sospetto, cioè di Lutero,
degno maestro e collega di Calvino nella empietà. Al vedere i disordini a cui si abbandonavano i
riformatori esprimeva i suoi lamenti con queste parole: « La maggior parie dei nostri seguaci
vivono da Epicurei; non cercano che scorrere giorni gaudenti. Non si troverebbero al certo fra i
papisti di tali buffoni e di tai mostri. Chiamatisi riformati mentre in realtà sono demonii incarnati
.... sono bricconi pieni di orgoglio ed insozzati dall'avarizia quali non furono mai sotto il papato.
Il disordine giunge a tanto, che se a taluno piacesse contemplare una riunione di buffoni,
truffatori, usurai, dissoluti, ribelli, gente di mala fede, non avrebbe che ad entrare in una di quelle
città che si dicono evangeliche. Dubito che tra i pagani, Giudei, Turchi, {132 [132]} ed altri
infedeli, si possano trovar uomini cotanto testardi ed arroganti, in cui ogni onesto sentimento,
ogni virtù sia affatto estinta, e fra cui per nulla si tenga ogni sorta di peccati ecc. » Vedi Lutherus
in colloquiis, p. 234.
Capo XX. Severino parla delle vicende del Cattolicismo in Ginevra.
Nel 1536 Giovanni Calvino cacciato dalla Francia per nefandi delitti, come abbiamo
detto, ritirossi in Ginevra presso il Ministro Farel che lo nominò professore di Teologia senza
che mai l'avesse studiata.
Siccome Calvino insegnava dogmi conrari a quelli di Svinglio, così dapprima fu
biasimato e poi cacciato dalla stessa città. Esso e i suoi compagni nel decreto, che li condannava
al bando, sono detti empi e ribelli. Ma poco dopo Calvino ebbe mezzo di ritornare in Ginevra,
dove fu accolto e fatto Papa di Ginevra, come lo {133 [133]} chiama l'autore di sua vita.
Servendosi allora dell'inganno, della calunnia, della persecuzione e delle più detestabili barbarie,
egli riusci a strascinare nell'errore una gran quantità di cattolici, per modo che Ginevra divenne
una città quasi tutta protestante, e la Sede Vescovile dovette trasferirsi nella città di Annecy, il
cui Vescovo però continuò a chiamarsi Vescovo di Ginevra.
Poco dopo la morte di Calvino s. Francesco di Sales diede opera a ricondurre il Chiablese
alla Religione Cattolica, ed in quel tempo il numero dei cattolici crebbe assai anche in Ginevra, e
lo stesso s. Francesco di Sales fu fatto vescovo di quella diocesi. Per lo spazio di due secoli i
protestanti di Ginevra usarono continue violenze ai cattolici che fecero ogni sforzo per
conservare la religione dei padri loro; tuttavia il numero dei cattolici andò scemando a segno che
nel secolo scorso Ginevra non ne contava più che alcune centinaia. Ma la Divina Provvidenza
suscito {134 [134]} un uomo fatto secondo il cuore di Dio che risvegliò e fece rifiorire il
cattolicismo fra i Ginevrini. Fu questi il sacerdote Francesco Vuarin, nativo di Savoia ed eletto
curato di Ginevra nel 1808. La sua scienza, la sua prudenza e la sua pietà gli avevano procacciato
una fama europea, e per lo spazio di trentasei anni fu il martello degli eretici riformatori.
Cominciò a combattere l'errore colla carità, colla pazienza, colla predicazione, e ciò specialmente
per confortare que' cattolici che si erano fino allora conservati costanti nella fede. Quindi scrisse
libri, propose dispute ai protestanti, i quali non vollero mai lottare con un rivale da loro giudicato
di gran lunga superiore. Rifiutarono pertanto le sfide e si misero a tendergli insidie e forse
avrebbero rinnovato il fallo del b. Pavonio se la grande riputazione del curato non li avesse
trattenuti. A due gravi bisogni Vuarin doveva specialmente provvedere, cioè agli ammalati ed ai
fanciulli. I primi dovevano andate {135 [135]} negli ospedali protestanti, dove i sacerdoti
cattolici non potevano penetrare pei conforti della religione; i fanciulli poi erano costretti di
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frequentare le scuole protestanti. A porre rimedio a tanti mali l'abate Vuarin ricorse alla carità dei
cattolici, e alla protezione ancora delle potenze estere. Aprì un ospedale unicamente pei cattolici,
instituì delle scuole maschili, che affidò ai fratelli delle scuole cristiane, e delle scuole femminili
che affidò alle religiose, dette figlie della carità. L'abate Vuarin nelle sue grandi imprese fu
costantemente aiutato e diretto dai sommi Pontefici Pio VII, Leone XII, Gregorio XVI, i quali
non solamente secondarono il suo zelo, ma gli somministrarono considerevoli somme di denaro
per compiere e sostenere tante opere di carità.
Il benemerito Vuarin moriva il 6 settembre 1843 compianto da tutti i buoni. I suoi
funerali furono un vero trionfo. Trentamila cattolici della città e dei paesi vicini accompagnarono
in bell'ordine le sue spoglie {136 [136]} mortali attraverso di una folla attonita di oltre a
cinquantamila protestanti. Il ministro Cheneviere presente a quel cattolico spettacolo, che da
oltre a due secoli Ginevra non aveva più veduto, a quella commovente cerimonia esclamò:
l'Abate Vuarin vivendo ci ha fatto paura e morendo ci schiaccia.
Quando il Vuarin prese possesso della sua parrocchia, Ginevra contava appena ottocento
cattolici, ma alla sua morte erano dieci mila, vale a dire presso a un terzo della popolazione.
La tendenza dei Ginevrini alla religione dei loro avi non si arrestò alla morte dello zelante
pastore; ma continuò con non interrotti progressi specialmente per lo zelo del celebre abate
Mermillot. Questo venerando prelato colla predicazione, cogli scritti, coll'aiuto di zelanti
collaboratori guadagnò alla fede molti altri Ginevrini. Il regnante Pio IX rivolse eziandio le sue
paterne cure a pro dei Ginevrini, e rallegrandosi dei grandi progressi della {137 [137]} fede in
quella città pensò a ristabilirvi la residenza episcopale. Pertanto l'anno 1864 l'abate Mermillot
veniva consacrato vescovo con incarico di risiedere a Ginevra e quivi esercitare le funzioni
episcopali, e tra la giubilante moltitudine si recava tranquillo al possesso della Diocesi che la
divina Provvidenza gli affidava, essendo egli il primo Vescovo che da oltre tre secoli potè porre
in Ginevra la sua residenza.
Presentemente i Ginevrini cattolici oltrepassano i ventimila ed hanno tre chiese aperte al
libero esercizio della loro religione. Le scuole pei fanciulli cattolici si vanno ogni giorno
aumentando in numero, in regolarità e libertà dell'insegnamento. Tutto insomma fa presagire non
lontano il tempo in cui i desideri e le preghiere dei buoni saranno coronati da un completo ritorno
dei Ginevrini al catolicismo sotto al governo dei successore di s. Pietro, il Vicario di Gesù Cristo.
{138 [138]}
Capo XXI. Severino parla della sua dimora in Ginevra.
Io era in Ginevra per fare lo studio della Bibbia, del latino e del greco, ma a dir vero
questi studi, che da tanto tempo vagheggiava, erano troppo gravi e per la troppa vivacità del mio
carattere e per la mia età di 27 anni. Amava la scienza facile e a tutto preferiva la storia, i
ragionamenti e le materie religiose che oltre all'istruzione servissero a dar calma all'agitata mia
coscienza. I protestanti per secondarmi usaronmi molti riguardi.
Ma l'insegnamento della teologia, come essi chiamano, ben lungi dal rassodarmi nei
principi religiosi, mi faceva conoscere ognor più l'incertezza della pretesa loro riforma. Dai
medesimi loro ammaestramenti io traeva questa conseguenza: la religione riformata non esisteva
prima di Calvino e di Lutero, essi poi prima della loro prevaricazione {139 [139]} erano
cattolici. Chi li ha mandati a formare una nuova religione? Hanno essi operato miracoli ? Hanno
menato una vita commendevole per virtù e moralità? Niente di questo, perciocchè dalle azioni di
essi io scorgeva che la loro vita privata fu veramente biasimevole, e che non diedero mai alcun
segno di essere da Dio mandati a riformare la chiesa di Gesù C. Pertanto nei loro insegnamenti
ravvisava una credenza inetta a dare pace all'uomo dubbioso. È vero che la loro religione dà
all'uomo maggior libertà, ma questa maggior libertà conduce alla sfrenatezza delle passioni.
Onde un cattolico non si fa mai protestante per diventar migliore, bensì per diventar peggiore.
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Notava poi come essi condannano la tradizione, e intanto ricorrono alla tradizione per
trovare un argomento di credibilità per la Bibbia, pel simbolo degli Apostoli, per la
santificazione delle domeniche e delle altre pratiche religiose da loro osservate e non espresse
nei libri santi. {140 [140]}
Di più i protestanti ammettono che un buon cattolico può salvarsi; dunque perchè un
cattolico dovrà abbandonare la propria religione, in cui può salvarsi, per abbracciarne un'altra
che lo lasci nel dubbio spaventoso di sua salvezza? I miei maestri accorgendosi che più andava
avanti negli studi, più io restava convinto della necessità di fare un leale ritorno al cattolicismo,
procuravano di assistermi ovunque ed impedirmi di trattare da solo coi cattolici.
Un giorno mentre in compagnia de' miei maestri e di alcuni colleghi passeggiavamo per
la città incontrammo un sacerdote, che accompagnato da alcuni fedeli portava il viatico ad un
infermo. A quella vista, a quelle preghiere io richiamai alla memoria il doloroso momento in cui
simile commovente funzione erasi compita verso mio padre, mi tornarono assai vivide alla mente
quelle ultime parole del morente genitore: vivi da buon cattolico. Perciò quasi fuori di me, mio
padre, {141 [141]} dissi, amato padre, se siete in cielo, pregate per me. Ciò detto mi ritrassi sotto
il vestibolo di una porta, feci il segno della santa croce, mi inginocchiai supplicando Dio di
aprirmi la via della sua misericordia. Ciò videro i miei compagni e alla sera misero tutto in opera
per deridermi a cagione dell'ossequio prestato alla s. Eucaristia. Agitato in quell'istante dalla
commozione e dal dispetto risposì loro così: Da nove anni vo studiando la vostra religione, ma i
miei dubbi sono ognor più aumentati. Io adunque giudico il viatico un gran conforto per chi si
trova all'estremo della vita.
Voi poi siete in una vera contraddizione. Non credete nella Eucaristia e fate con solennità
la cena pasquale. Se credete che nella vostra cena vi sia il corpo del Signore, credetelo anche coi
cattolici che lo portano agli infermi; se non lo credete, che vale la vostra cena? Di più dalla
Bibbia e da quanto voi medesimi avete a me insegnato è certo che Gesù comandò {142 [142]} di
cibarci del suo corpo e di bere il suo sangue, diede questo suo corpo e sangue agli Apostoli sotto
la specie del pane e del vino e comandò agli Apostoli ed ai loro successori di rinnovare il
medesimo sacrifizio per la remissione dei peccati. Nè vale il dire che l'Eucaristia è una figura o
una rimembranza del sacrifizio del Calvario. Gesù Cristo sciolse egli stesso ogni dubbio quando
disse: Questo pane è il mio corpo, questa bevanda è il mio sangue, questo cibo è quel corpo che
per voi sarà sacrificato. Corpus quod pro vobis tradetur.
Niuno in quel momento stimò di farmi osservazioni, forse per non esacerbare di più
l'animo mio e si limitarono a dirmi che lo studio e la preghiera mi avrebbero meglio illuminato
nella fede; che cacciassi via la malinconia e vivessi allegramente.
Fin qui tanto i Valdesi di Luserna quanto i protestanti di Ginevra mi avevano trattato
bene, ed io faceva quanto era in me per corrispondere alla loro benevolenza {143 [143]}
occupandomi energicamente in lavori ora scientifici ora materiali che mi vennero affidati. Nè
mai alcuno aveva insultata la mia onestà. Ma tra loro vi fu uno scellerato, il quale mi spinse ad
una malvagia azione che io abbominerò finchè avrò vita. Ve la racconto, ma solo perchè ne
abbiate orrore. Vi prego insieme di dare benigno compatimento alla mia sciagura.
Si suole in Ginevra scrivere sopra un biglietto il luogo, il giorno e l'ora delle conferenze o
sermoni, come essi dicono: dipoi si spargono tra i protestanti e tra i cattolici invitandoli in tale
guisa ad intervenire. Un amico, che io reputava datomi per salvaguardia della moralità, mi invitò
ad andar seco in una conferenza speciale, per cui, diceva, non si erano diramati inviti stampati,
ma egli il sapeva e poteva condurre anche me, anzi mi assicurava che i nostri maestri l'avevano
incaricato di condurmi. Per poco che tu ci venga, soggiungeva, diventerai un ottimo evangelico.
Io vi andai, ma quell'infame mi {144 [144]}condusse ad essere vittima, della seduzione.
Era la prima volta che tale immoralità macchiava la mia coscienza. Io era nei ventisette
anni e la mia vita era sempre stata onorata ed onesta. Quindi sentiva tal rimorso per quella
malvagia azione che non aveva più pace nè giorno, nè notte. Ma quanto mai si crebbero le mie
ambasce quando mi accorsi che oltre all'offesa del Creatore aveva incontrato un malanno fisico
che faceva pronosticare funeste conseguenze al mio avvenire. I miei superiori mi fecero condurre
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da un valente dottore il quale mi prodigò ogni sorta di cura; ma dopo molte sollecitudini finì col
dirmi che il mio male era di lunga durata e non facile a guarirsi. A quella umiliante sentenza
divenni come furioso. Malediceva Ginevra, il compagno infame, i protestanti, i Valdesi,
detestava il momento in cui mi era dato nelle loro mani. Parole inutili.
I miei maestri per tormi da un paese {145 [145]} dove io recava loro danno col mio
sparlare e per far prova di un rimedio che potesse rendermi la perduta sanità secondarono il
consiglio del medico e deliberarono di mandarmi a Genova dove il clima ed alcuni celebri periti
dell'arie medica mi avrebbero potuto giovare assai.
Capo XXII. Severino parla della morte di un suo amico e va alla chiesa
dei cappuccini.
La varietà e la mitezza del clima, la ridente posizione di Genova in principio produssero
un notabile miglioramento nella mia sanità. Ma fu di breve durata e dopo alcuni giorni ricaddi
come prima.
Io era nell'ospedale dei protestanti dove nulla mancava di quanto poteva giovarmi.
Mancavami soltanto quell'unico conforto che avrebbe dato calma alla mia coscienza. Un giorno
mentre immerso in questo pensiero passeggiava per l'ospedale mi sentii chiamare per nome da un
infermo. {146 [146]}
- Chi mi domanda? risposi.
- Un tuo amico, Paolo Bordis, nol conosci più ?
- Bordis..... tu qui..... cotanto ammalato.....!
- La miseria, caro Severino, la miseria mi condusse a questo tristo passo, io mi sono fatto
protestante. Ora ne sento i più gravi rimorsi. Me misero ! piombato in questo letto non so dove
andare, nè come provvedere alla mia necessità.
- Il signor Charbonier che cosa dice ?
- Il sig. Charbonier nostro pastore viene quasi tutti i giorni a vedermi e non sa dirmi altro
se non fate coraggio, abbiate fede, abbiate fede; ma quelle parole non mi danno alcun conforto.
La coscienza mi rimorde; se muoio in questo stato son perduto e intanto qui non posso nè
confessarmi, nè comunicarmi. O Severino, Severino! Tu sei ancora a tempo, abbandona questo
luogo, non lasciarti sorprendere dalla morte in questo sito malaugurato.
- Non hai esposti i tuoi dubbi al pastore? {147 [147]}
- Qualche volta li ho esposti ed un giorno gli ho chiesto con istanza di potermi
confessare. Egli rispose che mi poteva confessare al Signore e che egli solo dava il perdono dei
peccati. Lo so benissimo, risposi, solo Iddio perdona i peccati; ma i preti mi aiutano a fare la
confessione; a nome di Dio mi assolvono dai peccati.
- Che cosa egli rispose?
- Egli fece un sorriso, poi soggiunse: abbiate fede e questa sola vi salverà. Queste son
buone parole; ma intanto io soffro mali orribili nell'anima e nel corpo. In quali sciagure io sono
mai caduto!
- Paolo, io prendo parte a' tuoi mali, perchè la mia coscienza al par della tua è
orribilmente travagliata. Noi fummo sempre amici, fummo educati insieme, a scuola insieme, al
lavoro insieme, non ti abbandonerò, mi adoprerò di cercare per me e per te quali he sollievo alle
nostre pene.
Io pensavo che la malattia del mio amico dovesse durare più lungo tempo, ma {148
[148]} nel di seguente mi accorsi che la sua vita era in grave pericolo.
- Caro Severino, mi soggiunse, non so se domani sarò ancora in vita: ricordati di dire a
mio fratello che gli domando perdono dello scandalo dato; di' anche all'antico nostro Direttore
spirituale che fui ingrato; che mi dia l'assoluzione, se può; digli che io sono lo sventurato Paolo
Bordis, cui egli ha raccomandato tante volte di non aspettare in punto di morte a fare una buona
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Don Bosco – Severino, ossia avventure di un giovane alpigiano
confessione; che non l'ho ascoltato; adesso vorrei confessarmi, e non posso. Misero me, parmi
già di sentire i demoni a strascinarmi nell'inferno: io morrò, e morrò dannato.
- Paolo, fatti coraggio, dimani andrò a domandare consiglio a chi può darcelo, e lo
seguiremo ambidue.
- Io non posso più vivere, sarò soffocato dalla tosse, questa notte è l'ultima di mia vita; oh
Severino.....
- Caro Paolo, datti pace, finchè c'è fiato, c' è vita; ma se per disgrazia venisse {149 [149]}
a trovarti in patito di morte, dimanda a Dio perdono de' tuoi peccati con tutto il fervore possibile,
e prometti di confessarti ai primo momento in cui ti sarà possibile. Facendo così, tu per certo
troverai misericordia nel cospetto di Dio.
Il tristo presagio si compi.
Il mattino andai per tempo dall'amico, ma era già cadavere. Colui che si trovò presente
alla sua agonia, mi assicurò che l'angoscia ed il rimorso l'hanno accompagnato fino all'ultimo
respiro.
Confuso e desolato allora io uscii dall'ospedale senza sapere nè dove andassi, nè che cosa
volessi fare. Entrai macchinalmente in una chiesa servita dai PP. cappuccini, mentre appunto uno
di loro andava a celebrare la santa Messa. Io l' ascoltai volentieri; ed era la prima cui assisteva da
molti anni. Portai quindi lo sguardo ad un confessionale intorno a cui era molta gente: a quella
vista mille pensieri mi corsero alla mente. Richiamava alla memoria la pace goduta quando con
regolarità {150 [150]} andava a confessarmi. Questo confessionale, diceva sospirando, potrebbe
darmi la pace che altrove cerco invano. Questo confessionale avrebbe potuto salvare l'anima del
mio amato Bordis. Misero Bordisi che ne sarà ora dell'anima di lui?
In quel momento feci alcuni passi verso il confessionale, ma la vergogna mi spinse
indietro. Mi andai a porre in un banco, e fra gli affanni e fra i sospiri diceva: La confessione non
mi costa niente; mi dà pace al cuore, e non mi fa alcun male. D'altronde è certo che il Salvatore
diede ogni facoltà ai suoi apostoli, e fra le altre cose disse: Quelli a cui rimetterete i peccati, sono
rimessi; quelli a cui li riterrete, sono ritenuti13. Dunque, conchiudeva tra me stesso, Dio ha
stabilito un mezzo per ottenere il perdono dei peccati, questo mezzo, ossia questo Sacramento
deve essere amministrato dai suoi ministri; i quali devono rimettere o ritenere i peccati, dare
{151 [151]} o differire l'assoluzione secondo le disposizioni del penitente. Inoltre affinchè siano
conosciute le interne disposizioni del penitente, bisogna che siano manifestate ovvero confessate.
E poi... mi sono confessato per tanti anni e sono sempre stato contento.
I rimorsi e le spine cominciarono appunto a farsi sentire in cuor mio da che ho lasciata la
confessione. Dunque io voglio andarmi a confessare; e poi avvenga di me quel che Dio vuole. -
Ma una difficoltà non lieve si opponeva al mio buon volere. Quando mi sarò confessato dove
andrò? Che cosa farò nel mio stato di sanità rovinata?
Così ragionando o meglio combattendo tra me stesso, mi avvicinai al confessionale. Fui
accolto con bontà veramente paterna; io aprii il mio cuore, e il buon confessore ascoltò tutto;
quindi mi diede alcuni santi consigli; ed in fine soggiunse: Caro amico, la divina provvidenza vi
condusse qui, Dio non vi vuole perduto. Non posso ancora darvi l'assoluzione, perchè prima di
ricevere questo Sacramento voi {152 [152]} dovrete abbandonare il luogo e le persone presso cui
dimorate.
- Dove andare, che cosa fare? soggiunsi.
- Abbiate fede nella bontà del Signore: io mi occuperò di voi; passate dimani a quest'ora
medesima, e spero potervi dare qualche buona direzione.
Un raggio di speranza, un pensiero di conforto allora si sollevò nel mio cuore; se non che,
ritornato all'ospedale, mi sentii talmente stremato di forze, che dovetti pormi immediatamente a
letto. Le commozioni sostenute, la morte straziante del mio amico, l'incertezza del mio avvenire
accrebbero fuori misura il mio male. Nello stesso giorno si manifestò di nuovo l'antica tosse, ma
con sintomi più violenti e febbrili.
13 San Gio. capo 20.
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Il medico veniva di frequente a visitarmi; ma scorgendo il mio male ogni giorno volgere
in peggio, disse che l'aria salina e troppo vibrata del mare sembravagli funesta per la mia
debolezza; che perciò mi consigliava ad un pronto cangiamento di clima. Dietro a queste parole,
il signor {153 [153]}
Charbonier risolse di secondare il consiglio del dollore; assicurando che non mi avrebbe
mai abbandonato, soggiunse: Avete qualche sito, ove di preferenza desideriate passare qualche
tempo? Io farò in modo che ci possiate andare.
- Andrei volentieri a Torino, risposi; da qualche tempo mia madre venne a dimorare in
quella città; e sebbene versi nelle strettezze, tuttavia mi ama assai, e desidera ardentemente di
avermi con se.
- Questo conforto l'avrete; scriverò a Torino a chi di ragione, e spero che avrete qualche
soccorso anche nella casa di vostra madre. Vi raccomando soltanto di essere fermo nella fede e
far onore alla società, a cui appartenete.
Capo XXIII Severino parla del suo viaggio a Torino, e della sua nuova
vita in famiglia.
La cura del medico riusci a sollevarmi alquanto da' miei mali, e dopo otto giorni {154
[154]} mi trovai in istato di mettermi in viaggio per Torino. La mia partenza fu accelerata pel
consiglio del medico, e assai più perchè il pastore aveva traveduto che io voleva abbandonare la
setta, cui aveva finto di dare il nome. Ciò eragli confermato da una persona, che, avendo
osservato quanto era avvenuto nella chiesa dei PP. cappuccini, ne aveva ragguagliato il Pastore
Evangelico. Inoltre dopo il fatale inganno di Ginevra, e la trista morte del Bordis, io non poteva
più trattenermi di biasimare le persone e le azioni di chi aveva impediti al mio amico i conforti
della religione. Una cosa mi cagionava rincrescimento, ed era di non poter più vedere il padre
cappuccino cui aveva promesso di ritornare. Ho pensato di compiere almeno una parte del mio
dovere scrivendogli il biglietto seguente:
Carissimo e reverendo padre,
Il peggioramento del mio male mi ha impedito di fare a voi ritorno. Ora debbo partire per
Torino senza potervi più rivedere; {155 [155]} ma consolatevi meco, le vostre parole non furono
senza frutto; io sono di nuovo Cattolico. Dove vado ho un sacerdote di tutta mia confidenza.
Egli, spero, mi aiuterà a compire l'opera che voi avete incominciata. Il mio male si aggrava ogni
di più, ed io corro a grandi passi verso la tomba; i medici non mi danno più speranza nè di
guarigione, nè di lunga vita. Pregate Dio per me affinchè io possa presto trovarmi in tale stato da
non più paventare l'ora della morte.
Forse non ci vedremo più in questo mondo; faccia Dio che ci possiamo vedere nella beata
eternità. - Addio. -
Appena ho potuto affidar ad un servitore il recapito di questa lettera che mi viene
annunziata l'ora della partenza. Non senza fatica condotto alla stazione, fui posto in un
compartimento della ferrovia con due Colportori ovvero venditori di libri evangelici, che
dovevano recarsi nella medesima città. Dio mi aiutò, e sostenni l'agitazione di tutto il cammino,
che fu {156 [156]} di sei ore. Smontato alla stazione di Porta Nuova, fui a braccetto collocato in
un carrozzino, che in un batter d'occhio mi portò a casa di mia madre. Questa buona donna e pei
molti anni da che non mi aveva più veduto, e pel cangiamento di fisionomia prodotto dall'età e
dal male, appena potè ravvisare in me l'antico suo Severino. Commozione, pianti, sospiri
mischiati con gioia furono affetti provati da amendue.
- Caro Severino, ella prese a dire, assai mi rincresce di non poterli usare i dovuti riguardi;
ma farò quanto potrò, perchè nulla ti manchi.
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- Dio non ci abbandonerà, o cara madre, mettiamo in lui la nostra speranza.
- Mi avevano detto che ti eri fatto protestante, e che avevi un impiego, in cui guadagnavi
molto danaro; è vero?
- Madre, non parliamo ora di questo, ho soltanto bisogno che......
In quell'istante si suona il campanello, {157 [157]} ed ecco entrar il Ministro, ovvero il
pastore Valdese.
- È questa, egli dice, l'abitazione del Signor Severino giunto testè da Genova ?
- Appunto, rispose mia madre. Giunse molto stanco, ora è a letto e prende un momento di
riposo.
- So che siete piuttosto nelle strettezze; prendete; qui c'è un poco di danaro; vi
manderemo il nostro medico e faremo in modo che nulla vi manchi. Ma badate bene di non
lasciare venir alcun prete a visitarlo, perchè essi mettonsi subito a parlare di confessione, della
Madonna, e che so io, e così bandiscono la quiete dell' ammalato, e talvolta gli fanno anticipare
la morte. Verrò sovente a vedervi; qui lascio un infermiere che vi porgerà soccorso ad ogni
occorrenza, di giorno e di notte.
Io di fatto aveva preso sonno e il Ministro non mi volle disturbare, ma quando mi svegliai
e mia madre mi raccontò l'avvenuto; conobbi che io era soccorso, ma {158 [158]} nel tempo
stesso tenuto come schiavo dai protestanti.
- Quanta bontà mi usò quel Signore, disse mia madre, mi diede danaro e mi promise di
portarmene ancora altra volta.
- Questo danaro lo vedo come veleno che ci attossica, come coltello che ci ferisce.
- Perchè mai ? il danaro è sempre buona cosa, venga da qualunque mano.
- Ma quel danaro è portato da un Ministro protestante, e ce lo dà affinchè io continui ad
esser protestante.
- Che importa? guarda, al mattino della Domenica vado alla nostra parochia, affinchè il
curato mi dia sussidio; alla sera poi vado al tempio de' protestanti per avere quel tanto che essi
sogliono dare a chi frequenta le loro adunanze.
- Male questo; ed è pessimamente fatto. L'uomo deve avere una faccia sola; se giudica
buona una credenza, non deve praticarne un'altra. Nè mai l'interesse materiale deve spingerci a
praticare una religione che non si reputi buona; nè vi {159 [159]} possono essere due religioni
egualmente buone. Il dire che voi andate nella chiesa de' Cattolici e dei protestanti è lo stesso
come servire a Dio ed al demonio.
- Io ho fatto così pel passato perchè non mi pensava che ci fosse tanto male; per
l'avvenire nol farò più. Ma come faremo a vivere?
- Sianto buoni cristiani, confidiamo in Dio, egli ci aiuterà. Intanto, o madre, io vorrei
parlare col nostro curato, perciocchè mi sento molto male; e desidero di morire nella religione, in
cui voi e mio padre mi avete istruito.
- Sta tranquillo, domani l'andrò a chiamare, egli verrà certamente.
Questo fu quasi l'unico colloquio che io abbia potuto liberamente tenere con mia madre.
Dopo non fui più padrone di me stesso: l'infermiere, o l'evangelista, o il pastore, o il Ministro
erano sempre accanto al mio letto, o nella camera vicina. Da quanto seppi di poi, mia madre
andò diffatto ad invitare il curato che venisse {160 [160]} a vedermi; egli venne e vennero anche
altri sacerdoti più volte; ma non fu mai loro concesso di giungere fino a me. Si dava a tutti per
risposta che io non voleva; che il mio male non era grave, che il medico lo aveva proibito.
Questo era menzogna ed inganno, poichè io desiderava ardentemente di vedere se non il
curato almeno qualche prete che mi aiutasse a prepararmi alla morte. Per la qual cosa temeva che
si volesse rinnovare in me quanto era avvenuto al povero Bordis; quindi cresceva in me ognora
maggior abborrimento per una credenza che pretende sostenersi coll'oro e coll'inganno.
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Capo XXIV. Severino racconta una conferenza animatissima tra un
prete ed il ministro Valdese.
Correva la quarta settimana da che io dimorava colla madre, ed il mio male sebbene non
minacciasse l'esistenza, tuttavia {161 [161]} mi costringeva a tenere il letto. Sempre mi si
prometteva la venuta di un prete, che finalmente potè giungere fino a me in un modo veramente
arrischiato. Eccone il racconto:
Un sacerdote di mia conoscenza, d'accordo col curato della parochia, dopo avere più
volte provato invano di venire in mia camera, andò dal mio antico Direttore dell'Oratorio e gli
raccontò ogni cosa. Questi pel grande affetto che nutriva per me, risolse di farmi una visita a
qualunque costo. Un giorno, alle due dopo il mezzodì, si porta con aria indifferente alla mia
abitazione, suona il campanello in tempo che appunto il Ministro Valdese erami a fianco. Egli
stesso va ad aprire.
- Chi cercate, signor abate?
- Cerco di parlare all'infermo Severino.
- Non si può, non può ricevere; ne è rigorosamente proibito dal medico.
- Farò una semplice commissione alla madre.
- Buon giorno, disse l'accorto sacerdote {162 [162]} a mia madre. Son venuto a prendere
notizie di Severino. - Ciò dicendo apre l'uscio di mia camera; e mentre il ministro gridava forte:
non si può, non si può, egli era già accanto al mio letto.
- Severino caro, mi disse.
- O chi vedo mai.....!
- Severino, come stai ? Ti ricordi ancora di me? mi conosci ancora?
- Si che vi conosco, voi siete l'antico amico dell'anima mia; voi mi avete dato tanti
consigli, che io ho dimenticati. Ho vergogna di rimirarvi in volto.
- Se mi conosci, se io sono il tuo amico, perchè temi?
- Temo non voi, che siete tanto buono; ma ho vergogna perchè vi fui ingrato, perchè ho
commesso molte nefandità.
- Signor abate, disse il ministro, vi prego di ritirarvi, perchè la commozione, che
cagionate all'infermo, può tornargli fatale. Questa è una sorpresa che gli fate, egli non voleva
ricevere nessuno, ora ha bisogno di niente da voi. {163 [163]}
- Severino, mi disse il prete, riposati alquanto, e non istancarti a parlare; mi fermerò
ancora un poco a tenerti compagnia.
- Vi dico di ritirarvi, disse il Ministro con accento risentito, voi non avete niente nè da
fare nè da dire con questo giovane.
- Ho molto da fare, ho molto da dire con questo mio figlio.
- Chi siete voi che vi mostrate cotanto ardito?
- Chi siete voi che comandate con tanta pretesa?
- Io sono il ministro Valdese, e voi chi siete?
- Io sono il Direttore dell'Oratorio....
- Che cosa volete da questo infermo?
- Voglio aiutarlo a salvarsi l'anima.
- Egli non ha più nulla da fare con voi.
- Perchè mai ?
- Perchè egli si è ascritto alla Chiesa Valdese, e non ha più relazioni religiose coi
Cattolici.
- Io l'ho inscritto prima di voi nel {164 [164]} catalogo de' miei figliuoli, ne sono stato, e
voglio esserne il vero padrone, e per questo motivo esso non ha più niente da fare, nè da dire co'
Valdesi.
- Ma voi, signor abate, parlando così, turbate la coscienza dell'infermo, e vi esponete a
certe conseguenze, di cui avrete forse a pentirvene.
- Quando si tratta di salvare un'anima non temo alcuna conseguenza.....
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- Alto là, voi dovete allontanarvi di qui.
- Alto là, voi dovete allontanarvene prima di me.....
- Ma voi non sapete con chi parlate?
- So benissimo con chi parlo, e credo che anche voi sappiate con chi parlate.
- Non sapete... ho l'autorità....
- In fatto di religione rispetto tutti, ma non temo nessuno. E tanto meno io temo voi in
questo momento, perchè so che l'infermo è pentito d'aver dato il nome alla vostra credenza e
vuole morire cattolico.
- È questa una seduzione, una menzogna. {165 [165]} Non è vero, Severino, che voi
volete essere perseverante nella nostra Chiesa?
- Io voglio essere perseverante nella religione.....
- Adagio; badale bene a quello che dite.
- Signor ministro, disse il prete; parlate più con calma. Permettetemi soltanto che io
faccia un'interrogazione allo infermo. La risposta che darà servirà di regola ad ambidue.
Tacque allora il Ministro e tenendo gli occhi spalancati sopra il prete si pose a sedere. Il
sacerdote si volse a me con amorevolezza e parlò così: Ascolta, o Severino: questo signore ha
scritto un libro in cui dice ripetutamente che un buon Cattolico si può salvare nella sua religione;
dunque niun Cattolico deve abbracciare altra credenza per salvarsi. Tutti i Cattolici dicono
parimenti che osservando la propria religione certamente si salvano. Ma soggiungono che colui il
quale si ostina a stare nel protestantesimo, certamente si danna..... {166 [166]}
Ora dimmi tu se vuoi lasciare la certezza di salvarti ed esporti al dubbio, anzi secondo i
Cattolici, alla certezza di andare eternamente perduto?
No, e poi no, io risposi, e sempre no. Io son nato Cattolico, voglio vivere e morire
Cattolico - Questo fu l'ultimo ricordo di mio padre... Mi pento di quanto ho fatto.
Allora il ministro si alzò, prese il cappello, e voltosi al prete disse: In questo momento
non si può più ragionare: verrò a tempo migliore. Ma voi, o Severino, vi gettate in un abisso......
Ricordatevi che vi vogliono far confessare, e che la confessione invece di darvi la vita, vi
accelera la morte. Ciò detto pieno di sdegno parti.
Capo XXV. Severino racconta il suo traslocamento e la sua
guarigione inaspettata.
Dopo quei colloquii, che durarono due ore, io mi trovai oltre modo stanco; e sentiva tanto
la spossatezza, che temeva {167 [167]} di soccombere in quella notte medesima, perciò
dimandai tosto di potermi confessare. Avendo da fare con un Direttore che già conosceva la mia
giovinezza, tornò assai facile il manifestargli il resto di mia vita. E poichè non aveva mai nè
predicato nè scritto contro alla religione Cattolica, non occorreva che facessi alcuna pubblica
ritrattazione. Coll'assoluzione Sacramentale parmi che il Sacerdote mi avesse tolto di dosso un
enorme macigno. L'animo mio tornò a godere la calma che da dieci anni non aveva più goduta.
Stringeva, baciava e ribaciava la mano del sacro Ministro. Io era felice per quanto si può esserlo
in questo mondo.
Compiuta la mia Confessione, chiesi di ricevere il santo Viatico. Fatemi la carità, dissi al
Direttore, di andare dal nostro curato, chiedetegli scusa, perchè non l'ho accolto. Ditegliene la
cagione. Se giudica bene mi imponga qualsiasi pubblica penitenza o ritrattazione; io la farò
volentieri. Se mi reputa degno desidererei che {168 [168]} in questa sera mi fosse portato il
Viatico. Temo che questa notte sia l' ultima di mia vita.
Con trasporto di gioia il curato venne a visitarmi; assicurò che mi avrebbe assistito in tutti
i miei bisogni spirituali e temporali. Dipoi mi portò l'Ostia Santa, che pose colmo alla mia
consolazione. Dopo ciò io non desiderava più nulla sopra la terra. Ma nacque una difficoltà; pel
timore che i Valdesi non mi avessero lasciato tranquillo. In simili casi sogliono venire, ritornare,
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Don Bosco – Severino, ossia avventure di un giovane alpigiano
inviare, e servirsi anche delle civili autorità per tutelare, dicono essi, la libertà di coscienza. A
fine di evitare questi disturbi e le cattive conseguenze che ne sarebbero potuto derivare, fu
giudicato a proposito di trasportarmi altrove, e venni di fatto traslocato in una casa, in cui ogni
angolo, o dirò meglio ogni pietra è improntata dalla benedizione del cielo. Si temeva qualche
disastro nel mio trasporto, ma Dio era con noi, ed ogni cosa riuscì prosperamente. Il mio
confessore passò meco la {169 [169]} notte, e sul far del giorno, al suono dell' Angelus, abbiamo
fatto la preghiera insieme, di poi mi parlò così:
- Caro Severino, tu sei pronto a morire; è questa una grazia straordinaria del Signore. Ma
io mi sento nascere in cuore una speranza. Tu sei sempre stato divoto di Maria.....
- Sì, questa divozione non l'ho mai abbandonata, e credo proprio essere Maria che mi
abbia ricondotto sulla buona strada.
- Chi sa che questa Madre non ti voglia anche compensare nella vita presente?
- In qual modo mai?
- Coll'ottenerti la guarigione dal suo Divin Figlio; e ciò affinchè tu possa soccorrere tua
madre e assisterla in fatto di religione: imperciocchè tu sai che è debole di cervello, e senza di te
io temo molto di lei.
- Io sono nelle mani di Dio: ditemi quello che debbo fare e lo farò.
- Una novena a Maria Ausiliatrice.
- Con quale intenzione? {170 [170]}
- Per dimandar a Dio la tua guarigione, purchè non sia contraria al bene dell'anima tua.
- Io mi sento all'estremo della vita, ma se voi mi consigliate a dimandar questa grazia, io
lo faccio ben volentieri: ditemi pertanto quello che debbo fare in questa novena se vivo......
- In questa novena reciterai tre Pater, tre Ave, tre Gloria Patri al SS. Sacramento, con tre
Salve Regina a Maria Ausiliatrice.
- E se guarisco?
- Se guarisci ti occuperai per assistere tua madre, finchè vivrà, e non cesserai di
propagare la divozione della Beata Vergine in tutti quei luoghi, e fra tutte quelle persone presso
cui ne vedrai l'opportunità e l'utilità.
- Farò quanto mi dite e in ogni cosa sia sempre benedetto il Santo nome del Signore.
Mi diede allora la benedizione sacerdotale, e cominciai la novena proposta. Da quel
momento il mio male sembrò diventar {171 [171]} stazionario. Ogni giorno pregava, ogni
giorno il Direttore veniva a dimandarmi se stava meglio, e siccome non si scorgeva mai alcun
miglioramento, mi diceva sempre: preghiamo con fede; Dio ha qualche disegno sopra di te. Fede
e preghiera.
- Venne l'ottavo giorno; ebbene Severino, come stai, mi disse il direttore ansioso di mie
notizie.
- Sempre al solito, non peggio, non meglio, ma consumato dal male e senza forze.
- Fede e preghiera; Maria è Virgo potens: coraggio: dimani.... chi sa..... speriamo..... e
partì.
In quella notte non ho preso un momento di riposo, e sul far del giorno credeva
veramente di avviarmi all'eternità. Voleva chiamare qualcheduno, ma non poteva trar fuori la
voce. Io muoio, dissi, e col cuore recitai la giaculatoria: Gesù, Giuseppe e Maria spiri in pace con
voi l'anima mia.
Dipoi ho passato due ore senza sapere più se io fossi vivo o morto. Infine come {172
[172]} scosso da profondo sonno mi sveglio tutto molle di sudore. Penso a me stesso e non mi
accorgo più di aver male. Domando una bibita, dipoi una minestra, dipoi altra minestra. Io era
guarito.
Venne il confessore e appena lo vidi, io son guarito, gli dissi, ho già mangiato, ho già
bevuto. La grazia è compiuta, io sono guarito.
- Egli rispose con gioia: Sia sempre benedetta la somma bontà del Signore, e glorificata
per tutto il mondo la gran Madre del Salvatore ! Quanto mai sono belle e veraci le parole di s.
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Bernardo quando disse: Non si è mai udito al mondo che alcuno abbia fatto ricorso a Maria con
fiducia e non sia stato esaudito.
Capo XXVI. Ultimi anni di Severino: morte della madre.
Guarito nel modo maraviglioso, siccome vi ho raccontato, mi sono sentito abbastanza
{173 [173]} in forze di appigliarmi a qualche novella occupazione. Ciò io doveva far
prestamente per provvedere a me ed alla mia madre, che totalmente mancava di ogni bene di
fortuna. Un impiego vantaggioso si presentò nella città di Torino; ma i compagni, gli amici, i
luoghi che già mi furono cotanto fatali consigliarono di recarmi altrove. Neppure giudicai per
allora di ritornare in patria, dove rimembranze dolorose me ne avrebbero amareggiato il
soggiorno.
In queste titubanze il medesimo mio Direttore mi propose a maestro nel paese di..... dove
la mia vita anteriore non era per nulla conosciuta. Colà mi recai con mia madre. Tra lo stipendio
della scuola, un piccolo corrispettivo pel suono dell'organo parochiale ed alcune lezioni di
pianoforte potei raggranellare mezzi sufficienti per vivere agiatamente nella mia condizione.
Godeva assai del novello mio stato, non rifiniva di raccontare ai miei allievi e ad altri le glorie di
Maria Ausiliatrice. {174 [174]} La stessa mia madre, tristamente ammaestrata dalla esperienza,
si risolse a far senno con una vita temperante, morigerata e sinceramente cristiana. E siccome
ogni mezzo per campare era nelle mie mani, così io aveva una certa libertà per incoraggiarla, e se
era duopo anche a correggerla de' suoi difetti. Il modo di vivere cristiano di mio padre, di sempre
cara memoria, ritornò ad essere la vita della rinnovata famiglia; e mia madre assai di buon grado
veniva meco alle funzioni parochiali ed ai santi Sacramenti. I miei giorni ritornarono ad essere
sorgente di consolazione, provando col fatto che soltanto la pratica della religione può
consolidare la concordia nelle famiglie e la felicità di coloro che vivono in questa valle di
lagrime. Erano trascorsi tre anni in quella vita che io posso chiamare vita di pace e di
riparazione; e mi lusingava che fosse per durare assai, ma fu illusione. Niente è stabile sotto al
sole e chi oggi vive nel gaudio e nell' abbondanza, domani sarà immerso {175 [175]} nella
squallida miseria e nel pianto. Il colèra morbus infierì nel paese, che aveva scelto per dimora, e
fu micidiale. Mia madre ne fu spaventata; io studiava di farle coraggio in tutti i modi; nè
lasciavate mancar cosa alcuna che valesse ad assicurarne la sanità. Ma davanti a Dio era
decretato che mia madre morisse. Fu assalita dal morbo con tale violenza che in poche ore
dovette soccombere. - Ebbe appena tempo di ricevere i conforti della religione. Io potei assisterla
fino all'ultimo respiro. In mezzo al dolore fui non poco consolato da' pensieri cristiani che nella
sua breve malattia ha costantemente esternati.
Le sue ultime parole furono queste: Severino, Dio ha disposto che ti dessi la vita
temporale, ma tu mi dai la vita eterna; te ne ringrazio, spero di raggiungere tuo padre in cielo al
possesso di quei beni che non si perderanno mai più.
Io la piansi più giorni e pregai molto per lei.
Fatto così orfano di ambi i genitori io {176 [176]} stava meditando quale risoluzione
avrei potuto prendere pel mio avvenire. Dio pietoso volle egli stesso indicarmelo; la mia
missione era compiuta; mia madre era fuori di pericolo: io doveva seguirla alla tomba. Due
settimane dopo venni anch'io colpito dal morbo dominante, non però con sintomi minacciosi; ma
pochi giorni appresso la malattia si cangiò in tifo pernicioso. Mercè le vive sollecitudini del
medico e la più amorevole assistenza del paroco fu mitigata l'intensità del male, così che nello
spazio di pochi giorni mi trovai in istato di poter sostenere il viaggio sino al paese nativo. Così
dopo quattordici anni di assenza potei rivedere i congiunti e gli amici, i quali guidati da vero
spirito di carità nulla risparmiarono per provvedere in abbondanza a quanto può occorrere al
povero Severino, al figlio di Gervasio, la cui memoria vive tutt'ora onorata presso a quanti
ebbero occasione di conoscerlo. Nello stato in cui mi trovo, miei cari amici, non voglio farmi
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Don Bosco – Severino, ossia avventure di un giovane alpigiano
alcuna illusione, {177 [177]} il miglioramento della malattia non è altro per me che un breve
prolungamento di vita. Ma sia sempre ringraziato Iddio che mi condusse tra voi e vi sia largo
rimuneratore di quanto avete fatto per me.
Conclusione.
Ora, amici cortesi, dopo aver ascoltate le avventure che hanno travagliata questa povera
mia vita, vi prego di voler far meco alcuni riflessi ricavati da vent'anni di esperienza e di studio.
Che se dal solo studio del protestantesimo mi sono pienamente convinto che il cattolicismo
soltanto contiene la verità; quanto più dovrà consolidarsi nella fede colui che fa i suoi studi sopra
libri buoni e attinge le sue idee a fonti veraci ? Riteniamo adunque che la sola religione può
rendere l'uomo felice nella prosperità e nella sventura; ma che solamente la religione cattolica
può prestar questo celeste conforto. Tutte {178 [178]} le altre credenze vantano religiosi
conforti, ma non propongono se non mezzi esterni, i quali valgono a soddisfare i sensi, non mai a
raddolcire le ambascie dello spirito.
I protestanti meglio istruiti convengono che la loro origine non è antica. Si vada pure fino
a Calvino, fino a Lutero, fino a Pietro Valdo: più indietro non si trova un uomo che abbia
professata la loro religione. Dunque essi non possono per niun modo collegare la loro credenza
colla religione e colla Chiesa fondala da G. Cristo.
Nemmeno dopo la loro origine i protestanti hanno saputo intendersi intorno al sistema
religioso che pretendono di proporre. Fra tutti i loro libri che ho avuto nelle mani non ho potuto
comprendere in modo positivo che cosa essi intendano per protestantismo. Avendo pertanto fatto
ricorso ai catechismi e agli atti del loro governo ho trovato la conferma che il protestantismo non
ha nè principio, nè sistema religioso. Sia di esempio la definizione del Senato di Ginevra. L'anno
1824 {179 [179]} questo Senato si radunava per definire la religione riformata e conchiuse così:
Il protestantismo è un atto di indipendenza dell'umana ragione in fatto di religione. (V. Edilio
Sen. Gen. Febb. 1824).
Con questa definizione si toglie dalla religione tutto ciò che è sacro e divino. La propria
ragione è la religione riformata. Secondo questo principio si potrebbero sempre chiamare ottimi
protestanti quelli che negano i libri santi, Dio, anima, eternità, e tutto quello che è superiore
all'umana ragione.
Nell'Inghilterra poi il protestantismo è definito un atto con cui ciascuno crede quello che
vuole e professa quello che crede. Ciò posto, non vi è azione anche la più nefanda la quale non
sia approvata e permessa dal protestantismo. (V. Vatson presso Milner Contr. Relig. p. 3).
In un catechismo testè stampato e che si usa comunemente nell'Inghilterra si legge quanto
segue: Il protestantismo è una detestazione del papismo e del cattolicismo {180 [180]} ed una
esclusione dei papisti e dei cattolici da ogni impiego civile ed ecclesiastico. Quasi la medesima
definizione hanno i catechismi protestanti d'America14.
Secondo questa definizione non v'è credenza nel mondo che non possa collegarsi col
protestantismo. Turchi, ebrei, pagani, liberi pensatori diventerebbero ottimi protestanti senza
cangiar nulla di loro credenza purchè detestino i cattolici ed il cattolicismo.
È vero che in generale i Protestanti non seguono cotanto empi prinicipii; anzi ne ho
conosciuto molti pii, caritatevoli e pieni di onestà. Ma le buone qualità di costoro si devono
attribuire alle massime ed ai principii cattolici da essi tuttora a loro insaputa conservati; e non al
protestantismo che non ha principii, o se ne ha, sono quelli che noi abbiamo accennati, i quali
conducono ad una serie interminabile di errori e di empietà. {181 [181]}
Altro errore dissolutivo fra i protestanti è l'uso che fanno della Bibbia. Dicono che non
credono alla chiesa cattolica, e intanto essi da chi hanno ricevuta la Bibbia? Se vogliono avere
qualche certezza intorno ai libri santi non sono essi costretti di ricorrere alla Chiesa cattolica e
14 Vedi Perrone Praelectiones theologicae, tom. 1.
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Don Bosco – Severino, ossia avventure di un giovane alpigiano
così col fatto riconoscerla per l'unica depositaria della Bibbia, delle tradizioni e di tutte le altre
verità rivelate ? Quando i protestanti si separarono dalla Chiesa cattolica, non hanno essi ricevuta
la Bibbia da questa Chiesa stessa ? Mentre poi i protestanti vogliono che a ciascuno basti l' uso
della Bibbia, cadono in una opposta contraddizione. Perciocchè se basta la bibbia perchè fare
catechismi, perchè sermoni, perchè santificare la Domenica, perchè credere al Simbolo degli
Apostoli ? Forse queste cose sono contenute nella bibbia ?
Dopo questo i protestanti dicono che un buon cattolico si può salvare purchè pratichi la
sua religione; i cattolici dicono lo stesso. Ciò posto noi possiamo fare questa {182 [182]}
domanda: voi, o pastori riformati, perchè cercate di indurre i cattolici alla vostra credenza,
mentre secondo voi e secondo noi si possono salvare nella loro religione? Voi dovreste cessare
da ogni sorta di spiegazione della parola di Dio, oppure fare ai vostri amici questa sola predica:
Voi, o cattolici, state tranquilli nella vostra religione, procurate soltanto di praticarla e vi
salverete. Non fatevi protestanti, altrimenti vi esponete al grave rischio di andare dannati. Ai
vostri seguaci dovreste poi dire così: Voi correligionari valdesi o protestanti, volete assicurarvi la
salvezza dell'anima ? Fatevi cattolici. Volete vivere nel dubbio ? State protestanti.
Se i protestanti parlano diversamente tradiscono la loro missione, contraddicono a sè
stessi ed ingannano i loro seguaci.
Per questo motivo non si legge che alcun cattolico siasi fatto protestante per tener vita
migliore; non un cattolico che siasi fatto protestante in punto di morte. Al contrario abbiamo
migliaia d'uomini {183 [183]} pii e dotti che dal protestantesimo passarono ai cattolicismo per
condurre vita più cristiana, è moltissimi si convertirono in punto di morte per la piena
persuasione di meglio assicurare la loro eterna salvezza.
Ma mi accorgo che le forze mi mancano, perciò cesso di parlare contro ai protestanti.
Uniamoci piuttosto in un cuor solo ed in un'anima sola a pregare Iddio che usi a noi ed a loro
misericordia. Conceda la perseveranza ai cattolici; e conduca i traviati al buon sentiero. Così che
vengano tutti a rifugiarsi nel seno amoroso della vera Chiesa, sotto la guida del supremo Pastore
stabilito dal Salvatore quando disse: A te, o Pietro, darò le chiavi del regno de' cieli, tutto quello
che tu legherai in terra, sarà legato in cielo; e tutto quello che scioglierai in terra, sarà sciolto
anche in cielo. Tu sei Pietro e sopra questa pietra fonderò la mia Chiesa, e le porte dell' inferno
non prevarranno contro di essa. Ho pregato per te, o Pietro, affinchè la tua fede non venga mai
meno; e tu {184 [184]} quando sarai convertito conferma i tuoi fratelli. - Faccia Iddio che giunga
presto il giorno in cui vi sia un solo ovile ed un solo pastore sopra la terra, per radunare poi tutti
intorno al Pastore eterno, Cristo Gesù, nel regno della gloria per tutti i secoli.
Appendice sulla morte di Severino.
Correva allora Severino l' anno trentesimo primo di età. I suoi presagi sulla prossima di
lui morte pur troppo si avverarono. Tutti i ritrovati dell'arte nulla valsero per restituirgli la sanità.
Ricevette tutti i conforti della cattolica religione con grande divozione. L'antico suo prevosto
viveva ancora, e sebbene cadente per età non mancò di assisterlo in quei gravi momenti. Una
persona che si trovò presente al suo decesso dice che le sue ultime parole furono queste: Sia
benedetto {185 [185]} Iddio in ogni cosa, egli mi ha concesso molte consolazioni e molte
tribolazioni; ma queste contribuirono più che quelle al bene dell'anima mia. Io provo uno dei più
grandi conforti nell'essere assistito dal mio paroco. Esso mi fu direttore spirituale in tutta la mia
giovinezza, egli mi dirige, mi conforta e mi assiste in questi ultimi momenti di vita. Dio sia
benedetto. Io mi sono da lui allontanato, ma egli mi chiamò di nuovo a se. Lo ringrazio di avermi
creato nella cattolica religione. Se è possibile si faccia conoscere la mia vita a tutto il mondo
affinchè serva ad altri di esempio, e serva anche a me di riparazione allo scandalo dato. Gesù
mio, misericordia, santa Maria madre di Dio, pregate per me povero peccatore che mi trovo all'
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ora della morte. Nelle vostre mani, o Signore, raccomando lo spirito mio. In manus tuas,
Domine, commenda spiritum meum.
Con approvazione Ecclesiastica. {186 [186]}
Indice
Capo I. Chi fosse Severino. Quali cose abbiano dato motivo a questi
racconti
Capo II. Severino parla delle industrie di suo padre pel bene della famiglia
Capo III. Severino parla dell'indolenza di sua madre
Capo IV. Severino racconta un grave disastro avvenuto in famiglia
Capo V. Severino parla delle fatiche del padre
Capo VI. Severino racconta la morte del padre
Capo VII. Parla de' suoi trattenimenti nell'Oratorio
Capo VIII Severino racconta parecchi ameni episodi
Capo IX. Severino parla de suoi studi pag. 50
Capo X. Severino parla della sua caduta nel protestantesimo
Capo XI. Severino parla della sua partenza da Torino e della morte del b.
Favonio
Capo XII. Severino parla dello studio fatto sull'origine de' Valdesi
Capo XIII. Severino parla della valle di Luserna e della vera origine dei
Valdesi
Capo XIV. Severino espone la diffusione dei Valdesi e la loro unione coi
Protestanti
Capo XV. Severino parla delle variazioni della dottrina valdese
CAPOXVI. Severino parla di alcuni curiosi episodi della dottrina valdese
Capo XVII. Severino racconta della sua partenza per Ginevra e del suo
arrivo sul gran s. Bernardo
Capo XVIII. Severino parla di alcuni incidenti sul gran s. Bernardo
Capo XIX. Severino parla di Ginevra e di Calvino pag. 122
Capo XX. Severino parla delle vicende del cattolicismo in Ginevra
Capo XXI. Severino parla della sua dimora in Ginevra
Capo XXII. Severino parla della morte di un suo amico e va alla chiesa dei
cappuccini
Capo XXIII. Severino parla del suo viaggio a Torino e della sua nuova vita
in famiglia
Capo XXIV. Severino racconta una conferenza animatissima tra un prete
ed il ministro Valdese
Capo XXV. Severino racconta il suo traslocamento e la sua guarigione
inaspettata
Capo XXVI. Ultimi anni di Severino: morte della madre
Conclusione
Appendice sulla morte di Severino
pag. 3
5
12
17
23
28
35
42 {187
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55
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75
81
85
90
104
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[190]} {191
[191]}
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