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Don Bosco - Vita di S. Paolo apostolo
VITA DI S. PAOLO APOSTOLO DOTTORE DELLE GENTI
per cura del Sacer. BOSCO GIOVANNI
B
TORINO
TIP. DI G. B. PARAVIA E COMP.
1857. {1 [167]} {2 [168]}
INDEX
Capo I. Patria, educazione di s. Paolo; suo odio contro ai Cristiani............................................3
Capo II. Conversione e Battesimo di Saulo Anno di Cristo 34...................................................4
Capo III. Primo viaggio di Saulo. - Ritorna a Damasco; gli sono tese insidie. - Va in
Gerusalemme; si presenta agli Apostoli. Gli appare Gesù Cristo. - Anno di G. C. 35-6-7.........5
Capo IV. Profezia di Agabo. - Saulo e Barnaba ordinati vescovi. - Vanno nell'isola di Cipro. -
Conversione del proconsole Sergio. - Castigo del mago Elima. - Gian Marco ritorna in
Gerusalemme. - Anno di G. C. 40-1-2-3.....................................................................................6
Capo V. S. Paolo predica in Antiochia di Pisidia. Anno di Gesù Cristo 44................................7
Capo VI. S. Paolo predica in altre città. Opera un miracolo a Listri dove di poi vien lapidato e
lasciato per morto. Anno di Gesù Cristo 45.................................................................................9
Capo VII. S. Paolo miracolosamente risanato. Altre sue fatiche apostoliche. Conversione di S.
Tecla. .......................................................................................................................................... 10
Capo VIII. S. Paolo va a conferire con s. Pietro. Assiste al Concilio di Gerusalemme. - Anno
di Cristo 50.................................................................................................................................10
Capo IX. Paolo si separa da Barnaba - Percorre varie città dell' Asia - Dio lo manda in
Macedonia - A Filippi converte la famiglia di Lidia. - Anno di Cristo 51................................12
Capo X. S. Paolo libera una fanciulla dal demonio. - È battato con verghe. - Vien posto in
prigione - Conversione del carceriere e della sua famiglia. - Anno di C. 51.............................13
Capo XI. S. Paolo predica in Tessalonica - Affare di Giasone. Va a Berea ove è di nuovo
disturbato dagli Ebrei. Anno di Cristo 52..................................................................................15
Capo XII. Stato religioso degli Ateniesi - S. Paolo nell'Areopago - Conversione di s. Dionigi.
Anno di Cristo 52.......................................................................................................................16
Capo XIII. S. Paolo a Corinto - Sua dimora in casa di Aquila - Battesimo di Crispo e di
Sostene - Scrive ai Tessalonicesi - Ritorno ad Antiochia. Anno di Gesù Cristo 53-4...............18
Capo XIV. Apollo io Efeso - Il sacramento della Cresima - S. Paolo opera molti miracoli. -
Fatto di due esorcisti Ebrei - Anno di Cristo 55........................................................................19
Capo XV.Sacramento della Confessione - Libri perversi bruciati - Letterà ai Corinti -
Sollevazione per la dea Diana - Lettera ai Galati - Anno di Cristo 56-57.................................21
Capo XVI. S. Paolo ritorna a Filippi - Seconda lettera ai fedeli di Corinto - Va in questa città -
Lettera ai Romani - Sua predica prolungata in Troade - risuscita un morto. - Anno di Cristo 58.
................................................................................................................................................... 22
Capo XVII. Predica di s. Paolo a Mileto - Suo viaggio fino a Cesarea - Profezia di Agabo. -
Anno di Cristo 58.......................................................................................................................24
Capo XVIII. S. Paolo si presenta a s. Giacomo - Gli Ebrei gli tendono insidie - Parla al popolo
- Rimprovera il sommo Sacerdote. Anno di Cristo 59..............................................................25
Capo XIX. Quaranta Giudei si obbligano con volo di uccidere s. Paolo; - Un suo nipote scopre
la trama. - È traslocato a Cesarea - Anno di Cristo 59...............................................................27
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Capo XX. Paolo dinanzi al governatore Felice. - I suoi accusatori e la sua difesa. Anno di
Cristo 59.....................................................................................................................................28
Capo XXI. Paolo dinanzi a Festo. - Sue parole al re Agrippa. Anno di Cristo 60....................29
Capo XXII. S. Paolo è imbarcato per Roma - Soffre una terrìbile burrasca, da cui è salvato co'
suoi compagni. Anno di Gesù Cristo 60....................................................................................30
Capo XXIII. S. Paolo nell'isola di Malta; è liberato dal morso di una vipera; è accolto in casa
di Publio, di cui guarisce il padre - Anno di Cristo 60..............................................................32
Capo XXIV. Viaggio di san Paolo da Malta a Siracusa - Predica in Reggio - Suo arrivo in
Roma - Anno di Cristo 60..........................................................................................................33
Capo XXV. Paolo parla agli Ebrei e predica loro G. C. Progresso del Vangelo in Roma. Anno
di Cristo 61.................................................................................................................................34
Capo XXVI. S. Luca. - I Filippesi mandano sussidii a S. Paolo. - Malattia e guarigione di
Epafrodito. - Lettera ai Filippesi. - Conversione di Onesimo. Anno di G. C. 61......................35
Capo XXVII. Lettera di s. Paolo a Filemone. Anno di Gesù Cristo 62.....................................36
Capo XXVIII. S. Paolo scrive ai Colossesi, agli Efesini ed agli Ebrei. Anno di Cristo 62.......37
Capo XXIX. S. Paolo è messo in libertà. - Martirio di s. Giacomo il Minore. Anno di Cristo
63...............................................................................................................................................38
Capo XXX. Altri viaggi di s. Paolo - Scrive a Timoteo e a Tito - Suo ritorno a Roma - Anno di
Cristo 68.....................................................................................................................................39
Capo XXXI. S. Paolo è di nuovo messo in prigione - Scrive la seconda lettera a Timoteo - Suo
martirio - Anno di Cristo 69-70.................................................................................................40
Capo XXXII. Sepoltura di s. Paolo - Maraviglie operate alla sua tomba - Basilica a lui
dedicata......................................................................................................................................42
Capo XXXIII. Ritratto di S. Paolo. - Immagine del suo spirito. - Conclusione........................43
Indice.........................................................................................................................................44
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Capo I. Patria, educazione di s. Paolo; suo odio contro ai Cristiani.
S. Pietro è il principe degli Apostoli, primo Papa, Vicario di Gesù Cristo sopra la terra.
Egli fu stabilito Capo della Chiesa; ma la sua missione era particolarmente diretta alla
conversione degli Ebrei. San Paolo poi è quell'Apostolo che fu da Dio in maniera straordinaria
chiamato a portare la Luce del Vangelo ai Gentili. Questi due gran Santi sono dalla Chiesa
nominati le colonne e le fondamenta della Fede, principi degli Apostoli, i quali colle loro fatiche,
coi loro scritti e col loro sangue c' insegnarono la legge del Signore; - Ipsi nos docuerunt legem
tuam, Domine. Per questo motivo alla vita di s. Pietro facciamo succedere quella di s. Paolo. È
vero che questo apostolo non è da annoverarsi nella serie {3 [169]} dei papi; ma le fatiche
straordinarie da lui sostenute per aiutare s. Pietro a propagare il Vangelo, lo zelo, la carità, la
dottrina lasciataci ne' sacri libri, ce lo fanno parer degno di essere posto a lato della vita del
primo Papa, come forte colonna su cui si appoggia la Chiesa di Gesù Cristo.
S. Paolo era Giudeo della tribù di Beniamino. Otto giorni dopo la sua nascita fu
circonciso e gli fu imposto il nome di Saulo che fu di poi cangiato in quello di Paolo. Suo padre
dimorava in Tarso, città di Cilicia, provincia dell'Asia Minore. L'imperatore Cesare Augusto
concedette molti favori a questa città e fra gli altri il diritto di cittadinanza romana. Onde s. Paolo
essendo nato a Tarso era cittadino romano, qualità che portava con sè molti vantaggi; perciocchè
si poteva godere dell' immunità dalle leggi particolari di tutti i paesi soggetti o alleati al romano
impero, ed in qualunque luogo un cittadino Romano poteva appellarsi al senato od all'
imperatore per essere giudicato.
I suoi parenti essendo agiati lo mandarono a Gerusalemme per dargli una {4 [170]}
educazione conveniente al loro stato. Il suo Maestro fu un dottore di nome Gamaliele, uomo di
gran virtù, di cui abbiamo già parlato nella vita di s. Pietro. In quella città ebbe la ventura di
trovare un buon compagno di Cipro, chiamato Barnaba, giovane di gran virtù, la cui bontà di
cuore contribuì molto a temperare l' animo focoso del condiscepolo. Questi due giovani si
conservarono sempre leali amici e noi li vedremo a divenire colleghi nella predicazione del
Vangelo.
Il padre di Saulo era Fariseo, vale a dire professava la setta più severa fra gli Ebrei, la
quale faceva consistere la virtù in una grande esterna apparenza di rigore, massima affatto
contraria allo spirito di umiltà del Vangelo. Saulo seguitò le massime di suo padre, e poichè il
suo maestro ora eziandio Fariseo, così egli divenne pieno di entusiasmo per accrescerne il
numero e togliere di mezzo ogni ostacolo che si opponesse a tale scopo.
Era costume presso gli Ebrei di far imparare ai loro figliuoli un mestiere mentre
attendevano allo studio della Bibbia. Ciò facevano affine di preservarli {5 [171]} dai pericoli che
seco porta li oziosità; ed anche per occupare il corpo e lo spirito in qualche cosa che potesse
somministrare di che guadagnarsi il pane nelle gravi congiunture della vita: Saulo imparò il
mestiere di conciatore di pelli e specialmente a cucir tende. Egli si segnalava sopra tutti quelli di
sua età pel suo zelo verso la legge di Mosè e le tradizioni de' Giudei. Questo zelo poco illuminato
lo rese bestemmiatore, persecutore e feroce nemico di Gesù Cristo.
Egli eccitò i Giudei a condannare santo Stefano, e fu presente alla sua morte. E poichè la
sua età non gli permetteva di prender parte all' esecuzione della sentenza, così egli quando
Stefano era per essere lapidato custodiva le vestimenta de' suoi compagni e li eccitava con furia a
scagliare pietre contro di lui. Ma Stefano vero seguace del Salvatore fece la vendetta dei santi,
cioè si mise a pregare per coloro che lo lapidavano. Questa preghiera fu il principio della
conversione di Saulo; e s. Agostino dice precisamente che la Chiesa non avrebbe avuto in Paolo
un apostolo, se il Diacono Stefano non avesse pregato. {6 [172]}
In quei tempi fu suscitata una violenta persecuzione contro alla Chiesa di Gerusalemme e
Saulo era colui che mostrava una smania feroce per disperdere e mandare a morte i discepoli di
Gesù Cristo. A fine di fomentare meglio la persecuzione in pubblico ed in privato si fece a tal
uopo autorizzare dal principe dei sacerdoti. Allora egli divenne qual lupo affamato che non si
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sazia di sbranare e divorare. Entrava nelle case dei Cristiani, li insultava, li malmenava, li legava
o li faceva caricare di catene perchè fossero di poi strascinati in prigione, li faceva battere con
verghe; insomma adoperva ogni mezzo per costringerli a bestemmiare il santo nome di Gesù
Cristo. La notizia delle violenze di Saulo si sparse anche in paesi lontani di modo che il solo suo
nome incuteva spavento fra i fedeli.
I persecutori non si contentavano di incrudelire contro alle persone dei Cristiani, ma,
come fu sempre usato dai persecutori, li spogliavano ancora dei loro beni e di quanto
possedevano in comune. La qual cosa faceva che molti erano indotti a campar la vita colle
limosine che i fedeli delle Chiese lontane {7 [173]} loro inviavano. Ma avvi un Dio che assiste e
governa la sua Chiesa, e quando che meno ci pensiamo egli viene in soccorso di chi in lui
confida.
Capo II. Conversione e Battesimo di Saulo Anno di Cristo 34.
Il furore di Saulo non poteva saziarsi; egli non respirava che minacce e stragi contro ai
discepoli del Signore. Avendo inteso che in Damasco, città distante circa cinquanta miglia da
Gerusalemme, molti Giudei ave ano abbracciata la fede, si sentì ardere di furibondo desiderio di
recarsi colà a farne strage. Per fare liberamente quanto gli fosse per suggerire il suo odio contro
ai Cristiani, andò dal principe dei sacerdoti e dal senato che con lettere lo autorizzarono di andare
in Damasco, incatenare tutti i Giudei che si dichiarassero Cristiani e quindi condurli in
Gerusalemme ed ivi punirli con una severità capace di arrestare quelli che fossero stati tentati
d'imitarli. {8 [174]}
Ma sono vani i progetti degli uomini quando sono contrari a quelli del Cielo! Dio, mosso
dalle preghiere di s. Stefano e degli altri fedeli perseguitati, volle manifestare in Saulo la sua
potenza e la sua misericordia. Saulo colle sue lettere commendatizie pieno di ardore divorando la
strada era vicino alla città di Damasco, e già. gli sembrava di avere i Cristiani fra le mani. Ma
quello era il luogo della divina misericordia.
Nell'impeto del suo cieco furore, verso il mezzodì una gran luce, più risplendente che
quella del sole, lo circonda con tutti quelli che l'accompagnavano. Sbalorditi da quel celeste
splendore caddero tutti a terra come morti: nel tempo stesso intesero il rumore di una voce
solamente compresa da Saulo. Saulo, Saulo, disse la voce, perchè mi perseguiti? Allora Saulo
ancora più spaventato ripigliò: Chi siete voi, che parlate? Io sono, continuò la voce, quel Gesù
che tu perseguiti. Ricordati che è cosa troppo dura il trar calci contro allo sperone, il che tu fai
resistendo ad uno più potente di te. Perseguitando la mia Chiesa, tu perseguiti me stesso; ma
questa diverrà {9 [175]} più fiorente, e non farai male che a te stesso.
Questo dolce rimprovero del Salvatore accompagnato dall' unzione interna della sua
grazia raddolcì la durezza del cuore di Saulo e lo cangiò in un uomo affatto nuovo. Pertanto tutto
umiliato: Signore, esclamò, che volete che io faccia? Come se dicesse: Quale è il mezzo di
procurare la vostra gloria? Io mi offro a voi per fare la vostra santissima volontà.
Gesù Cristo ordinò a Saulo di levarsi su e andare nella città ove un discepolo avrebbelo
istruito intorno a ciò che doveva fare. Dio, dice s. Agostino, rimettendo a' suoi ministri
l'istruzione di un apostolo chiamato in una maniera così straordinaria ci ammaestra che bisogna
cercare la sua santa volontà nell' insegnamento dei Pastori, che egli ha rivestiti di sua autorità per
essere nostre guide spirituali sopra la terra.
Saulo essendosi alzato non vedeva più nulla, sebbene tenesse gli occhi aperti. Quindi fu
d'uopo dargli mano e condurlo a Damasco, come se Gesù Cristo volesse condurlo in trionfo. Egli
prese alloggio {10 [176]} nella casa di un negoziante nominato Giuda; ivi dimorò tre giorni
senza vedere, senza bere e senza mangiare, ignorando tuttora ciò che Dio volesse da lui.
Eravi a Damasco un discepolo nominato Anania molto stimato da' Giudei per la sua virtù
e santita. Gesù Cristo gli apparve e gli disse: Anania! ed egli a lui: Eccomi, o Signore. Il Signore
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soggiunse: Levati su e va nella via chiamata Diritta, e cerca di un certo Saulo nativo di Tarso; tu
lo troverai mentre fa orazione. Anania, sentito il nome di Saulo, tremò e disse: Deh! Signore,
dove mai mi mandate! Voi ben sapete il gran male che ha fatto ai fedeli in Gerusalemme; ora si
sa da tutti che egli è venuto qua con pieno potere di legare tutti coloro che credono nel vostro
Nome. Il Signore replicò: va pure tranquillo, non temere, perchè quest'uomo è un istrumento
scelto da me per portare il mio nome ai gentili, dinanzi ai re e dinanzi ai figliuoli d'Israele;
perciocchè io gli farò vedere quanto egli debba patire pel mio nome. Mentre Gesù Cristo parlava
ad Anania mandò a Saulo un' altra visione in cui gli apparve un {11 [177]} uomo, chiamato
Anania, che avvicinandosi a lui, gl' imponeva le mani per ridonargli la vista. La qual cosa fece il
Signore per assicurare Saulo che Anania era colui che mandava per manifestargli i suoi voleri.
Anania obbedì, andò a trovare Saulo, gl'impose le mani e gli disse: Saulo fratello, il
Signore Gesù che ti apparve nella strada, per cui venivi a Damasco, mi ha mandato a te, affinchè
ricuperi la vista e sii ripieno dello Spirito Santo. Parlando così Anania e tenendo le mani sul
Capo di Saulo soggiunse: apri gli occhi. In quel momento caddero dagli occhi di Saulo certe
scaglie come squame, ed egli ricuperò perfettamente la vista.
Quindi Anania soggiunse: ora levati su e ricevi il Battesimo, e lava i tuoi peccati
invocando il nome del Signore. Saulo si levò tosto per ricevere il Battesimo; quindi tutto pieno di
gioia ristorò la sua stanchezza con un po' di cibo. Passati appena alcuni giorni coi discepoli di
Damasco, si mise a predicare il Vangelo nelle sinagoghe dimostrando colle sacre Scritture che
Gesù era figliuolo di Dio. Tutti quelli che lo ascoltavano erano {12 [178]} pieni di stupore e
andavano dicendo: non è egli costui che in. Gerusalemme perseguitava coloro che invocavano il
nome di Gesù e che è venuto a bella posta a Damasco per condurli colà prigionieri?
Ma Saulo aveva già superato ogni rispetto umano; egli nulla più desiderava che
promuovere la gloria di Dio e riparare lo scandalo dato; perciò lasciando che ognuno dicesse di
lui quel che voleva, confondeva gli Ebrei e con intrepidezza predicava Gesù Crocifisso.
Capo III. Primo viaggio di Saulo. - Ritorna a Damasco; gli sono tese
insidie. - Va in Gerusalemme; si presenta agli Apostoli. Gli appare
Gesù Cristo. - Anno di G. C. 35-6-7.
Saulo alla vista delle gravi opposizioni che gli si facevano da parte degli Ebrei, stimò
bene di allontanarsi da Damasco per passare qualche tempo cogli uomini semplici della
campagna ed anche per recarsi nell'Arabia a cercare altri popoli meglio disposti a ricevere la
fede. {13 [179]}
Dopo tre anni credendo cessata la tempesta ritornò a Damasco ove con zelo e forza
diedesi a predicare Gesù Cristo; ma gli Ebrei non potendo resistere alle parole di Dio, che pel
suo ministro loro si predicavano, presero il partito di farlo morire. Per meglio riuscire in tale
divisamento lo denunziarono ad Areta re di Damasco, rappresentandogli Saulo come
perturbatore della pubblica tranquillità. Quel re troppo credulo ascoltò la calunnia e comandò che
Saulo fosse condotto in prigione, e perchè non fuggisse pose guardie a tutte le porte della città.
Queste insidie però non poterono tenersi così occulte, che non ne venisse notizia ai discepoli ed
allo stesso Saulo. Ma come mai poterlo liberare? Que' buoni discepoli lo condussero ad una casa
che corrispondeva sopra le mura della città, e messolo in una cesta giù lo calarono per la
muraglia. Così mentre le guardie vegliavano a tutte le porte, e si faceva rigorosissima ricerca in
ogni angolo di Damasco, Saulo liberato dalle loro mani, sano e salvo prende il cammino di
Gerusalemme. Sebbene la Giudea non fosse il campo affidato al suo zelo, era però santo il {14
[180]} motivo di questo suo viaggio. Egli riguardava come suo indispensabile dovere il
presentarsi a Pietro dal quale non era ancora conosciuto, e così dar conto della sua missione al
Vicario di Gesù Cristo. Saulo aveva impresso terrore sì grande del suo nome ai fedeli di
Gerusalemme che non potevano credere alla conversione di lui. Cercava egli di accostarsi ora
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agli uni, ora. agli altri, ma tutti paurosi lo fuggivano senza dargli tempo di spiegarsi. Fu in quella
congiuntura che Barnaba si dimostrò vero amico. Appena udì raccontare la prodigiosa
conversione di questo suo condiscepolo si recò tosto da lui per consolarlo; andato poscia dagli
Apostoli raccontò loro la prodigiosa apparizione di Gesù Cristo a Saulo, e come esso istruito
direttamente dal Signore non altro desiderava che pubblicare il santo nome di Dio a tutti i popoli
della terra. A così liete novelle i discepoli lo accolsero con gioia, e S. Pietro lo tenne parecchi
giorni in sua casa ove non lasciò di farlo conoscere a' più zelanti fedeli. Durante quel tempo egli
si adoperò per riparare lo scandalo che in quella capitale aveva dato colle sue {15 [181]}
violenze contro ai fedeli; nè lasciavasi sfuggire occasione alcuna per rendere testimonianza a
Gesù Cristo in quei luoghi medesimi in cui l'aveva bestemmiato e fatto bestemmiare.
E siccome egli troppo caldamente stringeva gli Ebrei e confondevali in pubblico ed in
privato, questi gli si levarono contro risoluti di torgli la vita. Per la qual cosa i Fedeli lo
consigliarono a partire da quella città. La medesima cosa gli fece conoscere Iddio, per mezzo di
una visione. Un giorno mentre Saulo faceva orazione nel tempio gli apparve Gesù Cristo e gli
disse: parti presto da Gerusalemme, perchè questo popolo non crederà a quello che tu sei per dir
di me. Paolo rispose: Signore, eglino sanno come io fui persecutore e bestemmiatore del vostro
santo nome, se sapranno ch' io mi sono convertito, certo seguiranno il mio esempio e si
convertiranno anch'essi. Gesù soggiunse: non è. così: essi non presteranno fede alcuna alle tue
parole. Va, io ti ho scelto a portare il mio Vangelo in lontani paesi fra i gentili (Att. apost. cap.
22).
Deliberata così la partenza di Paolo i discepoli lo accompagnarono a Cesarea, {16 [182]}
e di là lo inviarono a Tarso sua patria, colla speranza che avrebbe potuto vivere con minor
pericolo tra i parenti e gli amici e cominciare anche in quella città a far conoscere il nome del
Signore.
Capo IV. Profezia di Agabo. - Saulo e Barnaba ordinati vescovi. -
Vanno nell'isola di Cipro. - Conversione del proconsole Sergio. -
Castigo del mago Elima. - Gian Marco ritorna in Gerusalemme. - Anno
di G. C. 40-1-2-3.
Mentre Saulo a Tarso predicava la divina parola, Barnaba si pose a predicarla con gran
frutto in Antiochia. Alla vista poi del gran numero di quelli che ogni giorno venivano alla Fede,
Barnaba stimò bene di recarsi a Tarso per invitare Saulo a venirlo a coadiuvare. Vennero difatti
amendue in Antiochia, e quivi colla predicazione e coi miracoli guadagnarono un gran numero di
fedeli.
In que' giorni alcuni profeti, cioè alcuni fervorosi cristiani che illuminati da Dio
predicevano l'avvenire, vennero da Gerusalemme ad Antiochia. Uno di essi di {17 [183]} nome
Agabo, inspirato dallo Spirito Santo, predisse una gran carestia che doveva desolare tutta la terra,
come difatti avvenne sotto all'impero di Claudio. I Fedeli per prevenire i mali, che questa carestia
avrebbe cagionato risolsero di fare una colletta e così ciascuno secondo le proprie forze mandar
qualche soccorso ai fratelli della Giudea. La qual cosa fecero con molto buon risultato. Per avere
poi una persona di credito presso a tutti, scelsero Saulo e Barnaba e li mandarono a portare tal
limosina ai sacerdoti di Gerusalemme perchè ne facessero la distribuzione secondo il bisogno.
Compiuta la loro missione Saulo e Barnaba ritornarono in Antiochia.
Dimoravano pure in questa città altri profeti e dottori, tra i quali un certo Simone
soprannominato il Nero, Lucio da Cirene e Manaem fratello di latte di Erode. Un giorno mentre
essi offerivano i Santi Misteri e digiunavano, apparve lo Spirito Santo in maniera straordinaria e
disse loro: separatemi Saulo e Barnaba per l'opera del sacro ministero a cui li ho eletti. Allora fu
ordinato un digiuno con pubbliche preghiere {18 [184]} e avendo loro imposto le mani, li
consacrarono vescovi. Questa ordinazione fu modello di quelle che la Chiesa Cattolica suole fare
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ai suoi ministri: di qui ebbero origine i digiuni delle quattro tempora, delle preghiere e altre
cerimonie che sogliono aver luogo nella sacra ordinazione. Saulo era in Antiochia quando ebbe
una maravigliosa visione nella quale fu rapito al terzo cielo, cioè fu sollevato da Dio a
contemplare le cose del Cielo più sublimi di cui sia capace un uomo mortale. Egli medesimo
lasciò scritto che ha veduto cose le quali non si possono esprimere con parole, cose non mai
vedute, non mai udite, e che il cuor dell'uomo non può nemmeno immaginare. Da questa celeste
visione Saulo confortato partì con Barnaba e. andò direttamente a Seleucia di Siria, così
chiamata per distinguerla da un'altra città dello stesso nome che è situata in vicinanza del Tigri
verso la Persia. Avevano eziandio seco loro certo Giovanni Marco, non Marco l'Evangelista.
Esso era figliuolo di quella pia vedova nella cui casa erasi rifuggito S. Pietro quando fu
miracolosamente da un angelo liberato di prigione. Egli era cugino di {19 [185]} Barnaba ed era
stato condono da Gerusalemme in Antiochia nell'occasione che andarono colà a portar le
limosine.
Seleucia aveva un porto sul Mediterraneo; di là i nostri operai evangelici si imbarcarono
per andare all'isola di Cipro patria di S. Barnaba. Giunti a Salamina, città e porto considerevole
di quell'isola, cominciarono ad annunciare il Vangelo ai Giudei, e di poi ai Gentili che erano più
semplici e meglio disposti a ricevere la fede. I due Apostoli predicando per tutta quell'isola
vennero a Pafo capitale del paese dove risiedeva il proconsole ossia il governatore Romano di
nome Sergio Paolo. Qui lo zelo di Saulo ebbe occasione di esercitarsi a motivo di un mago
chiamato Bar Jesu o Elima. Costui fosse per guadagnarsi il favore del proconsole, o cavar danaro
dalle sue truffe, seduceva la gente e allontanava Sergio dal seguire i pii sentimenti del suo cuore.
Il proconsole avendo udito a parlare dei predicatori che erano venuti nel paese da lui governato,
li mandò a chiamare, affinchè andassero a fargli conoscere la loro dottrina. Andarono tosto Saulo
e Barnaba ad esporgli le verità del Vangelo; ma Elima {20 [186]} al vedersi togliere la materia
de' suoi guadagni, temendo forse peggio, si mise a guastare i disegni di Dio, contraddicendo alla
dottrina di Saulo e screditandolo presso al Proconsole per tenerlo lontano dalla verità. Allora
Saulo tutto acceso di zelo e di Spirito Santo gli gittò addosso gli sguardi: scellerato, gli disse,
arca di empietà e di frode, figlio del diavolo, nemico d'ogni giustizia, non li arresti ancora dal
pervertire le diritte strade del Signore? Or ecco la mano di Dio pesare sopra di te: fin da questo
momento tu sarai cieco, e per quel tempo che Dio vorrà non vedrai più la luce del sole.
All'istante gli cadde sugli occhi una caligine da cui toltagli la facoltà di vedere, egli andava
attorno tentone cercando chi gli desse la mano.
A quel fatto terribile Sergio riconobbe la mano di Dio, e mosso dalle prediche di Saulo e
da quel miracolo credette in Gesù Cristo ed abbracciò la fede con tutta la sua famiglia. Anche il
mago Elima atterrito da questa repentina cecità, riconobbe la potenza divina nelle parole di
Paolo, e rinunziando all'arte magica, si convertì, fece penitenza ed abbracciò {21 [187]} la fede.
In quest' occasione Saulo prese il nome di Paolo sia in memoria della conversione di quel
governatore, sia per essere meglio accolto fra i Gentili, perciocchè Saulo era nome ebreo, Paolo
in vece era nome romano.
Raccolto in Pafo non piccolo frutto della loro predicazione, Paolo e Barnaba con altri
compagni s'imbarcarono alla volta di Perga città della Pamfilia. Ivi rimandarono a casa Giovanni
Marco che fino allora erasi adoperato in loro aiuto. Barnaba lo avrebbe volentieri ancor tenuto;
ma Paolo scorgendo in lui una certa pusillanimità ed incostanza pensò di rimandarlo a sua madre
in Gerusalemme. Noi vedremo fra breve questo discepolo a riparare la debolezza or ora
dimostrata e divenire fervososo predicatore.
Capo V. S. Paolo predica in Antiochia di Pisidia. Anno di Gesù Cristo
44.
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Da Perga S. Paolo andò con S. Barnaba ad Antiochia di Pisidia, così detta per
distinguerla da Antiochia di Siria che {22 [188]} era la gran capitale dell' Oriente. Avevano quivi
i Giudei, siccome in molte altre città dell'Asia, la loro sinagoga dove ne' giorni di sabato si
radunavano per ascoltare la spiegazione della legge di Mosè e dei Profeti. Intervennero anche i
due apostoli e con essi molti ebrei e gentili che già adoravano il vero Dio. Secondo l'uso degli
ebrei i. dottori della legge lessero un brano della Bibbia che diedero di poi a Paolo con preghiera
di dir loro qualche cosa di edificante. Paolo che non altro aspettava che l'opportunità di parlare si
levò in piedi, indicò colla mano che facessero tutti silenzio, e prese a parlare cosi: «Figliuoli
d'Israele, e voi tutti che temete il Signore, poichè mi invitate a parlare, vi prego di udirmi con
quell'attenzione che merita la dignità delle cose che sono per dirvi.»
«Quel Dio che ha scelto i nostri padri quando erano nell'Egitto e con una lunga serie di
prodigi ha fatto di essi una nazione privilegiata, ha in particolar maniera onorata la stirpe di
Davidde promettendo che da questa farebbe nascere il Salvatore del mondo. Quella grande
promessa confermata da tante profezie, si è finalmente {23 [189]} adempiuta nella persona di
Gesù di Nazaret. Giovanni, cui certamente voi credete, quel Giovanni, le cui sublimi verità
fecero credere per Messia, gli ha reso la più autorevole testimonianza dicendo che egli non si
giudicava degno di sciogliere nemmeno i legacci de' suoi calzari. Voi oggi, o miei fratelli, voi
degni figli d'Abramo, e voi tutti adoratori del vero Dio, di qualunque nazione o stirpe siate, voi
siete quelli ai quali è particolarmente indirizzata la parola di salute. Gli abitanti di Gerusalemme
ingannati dai loro capi non hanno voluto riconoscere il Redentore che a voi predichiamo. Che
anzi gli diedero la morte; ma Iddio onnipotente non ha permesso, siccome aveva predetto, che il
corpo del suo Cristo provasse nel sepolcro la corruzione. Pertanto nel terzo giorno dopo la morte
lo fece risorgere glorioso e trionfante.
Fino a questo punto voi non avete colpa alcuna, perchè la luce della verità non era ancor
giunta fino a voi. Ma tremate d'or in avanti se mai chiuderete gli occhi; tremate di provocar sopra
di voi la maledizione fulminata dai profeti contro a chiunque non vuole riconoscere {24 [190]}
la grande opera del Signore, il cui compimento deve aver luogo in questi giorni.»
Finito il discorso, tutti gli uditori si ritirarono in silenzio meditando le cose udite da S.
Paolo.
Erano però diversi i pensieri che occupavano le loro menti. I buoni erano pieni di gioia
alle parole di salute loro annunziate, ma gran parte de' giudei sempre persuasi che il Messia
dovesse ristabilire la potenza temporale della loro nazione, e vergognandosi di riconoscere per
Messia colui che i loro principi avevano condannato a morte ignominiosa, accolsero con dispetto
la predica di Paolo. Tuttavia si mostrarono soddisfatti ed invitarono l'Apostolo a ritornare nel
seguente sabato con animo però ben diverso. I malevoli per apparecchiarsi a contraddirlo, e
quelli che temevano il Signore, israeliti e gentili, per meglio istruirsi e confermarsi nella fede.
Nel giorno convenuto si radunò immenso popolo, per udire questa nuova dottrina. Appena S.
Paolo si pose a predicare, subito i dottori della sinagoga si levarono.contro di lui. Opposero
dapprima delle difficoltà; quando poi si accorsero di non poter resistere {25 [191]} alla forza
delle ragioni con cui S. Paolo provava le verità della fede, si abbandonarono agli schiamazzi, alle
ingiurie, alle bestemmie. I due apostoli vedendosi soffocata la parola in bocca con forte animo ad
alla voce esclamarono: «a voi si doveva in primo luogo annunziare la divina parola; ma giacchè
volete chiudere dispettosamente le orecchie, e con furore la rigettale, vi rendete indegni
dell'eterna vita. Noi pertanto ci rivolgiamo ai gentili per compiere la promessa fatta da Dio per
bocca del suo Profeta quando disse: «io ti ho destinato per luce dei gentili e per la salute di essi
fino all'estremità della terra.»
I Giudei allora vie più mossi da invidia e sdegno eccitarono contro gli Apostoli una fiera
persecuzione.
Servironsi di alcune donne che godevano credito di essere pie ed oneste e con esse
invitarono i magistrati della città, e tutti insieme gridando e schiamazzando costrinsero gli
Apostoli ad uscire dai loro confini. Così costretti Paolo e Barnaba partirono da quello sventurato
paese, e nell'atto della loro partenza secondo il comandamento di Gesù Cristo scossero {26
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[192]} la polvere dei loro piedi in segno di rinunziare per sempre ad ogni commercio con essi,
come uomini riprovati da Dio e colpiti dalla divina maledizione.
Capo VI. S. Paolo predica in altre città. Opera un miracolo a Listri
dove di poi vien lapidato e lasciato per morto. Anno di Gesù Cristo
45.
Paolo e Barnaba cacciati dalla Pisidia si recarono nella Licaonia, altra provincia dell'Asia
Minore, e si portarono ad Iconio che ne era la capitale. I Ss. Apostoli cercando solo la gloria di
Dio, dimenticando i mali trattamenti che avevano ricevuto in Antiochia dagli Ebrei si diedero
subito a predicare il Vangelo nella sinagoga. Qui Iddio benedisse le loro fatiche, ed una
moltitudine di ebrei e di gentili abbracciarono la fede. Ma quelli tra gli ebrei che restarono
increduli e si ostinarono nell'empietà mossero un' altra persecuzione contro gli Apostoli. Gli uni
li accoglievano come uomini mandati da Dio, gli altri li proclamavano impostori. Per la qual
cosa essendo stati avvisati che {27 [193]} molti di loro, protetti dai principi della sinagoga e dai
magistrati, li volevano lapidare, andarono a Listri e poi. a Derbe città non molto distanti da
Iconio. Queste città e i paesi vicini furono il campo ove i nostri zelanti operai si diedero a
seminare la parola del Signore. Fra i molti miracoli che Dio operò per mano di san Paolo in
questa missione fu luminoso quello che siamo per riferire.
Era in Listri un uomo storpio fin dalla nascita che non aveva mai potuto fare un passo co'
suoi piedi. Avendo udito che S. Paolo operava miracoli strepitosi sentissi nascere in cuore viva
fiducia di poter anche egli per tal mezzo avere la salute come tanti altri l'avevano già ottenuta.
Ascoltava le prediche dell'Apostolo, quando egli mirando fissamente quell'infelice e dal volto
penetrando le buone disposizioni dell'animo: alzati, gli disse ad alta voce, e sta diritto sopra i tuoi
piedi. A un tal comando lo storpio si alzò e cominciò a caminare speditamente. La moltitudine
che era stata presente a tal miracolo si sentì trasportata da entusiasmo e da maraviglia: Costoro
non sono uomini, si andava a tutte le {28 [194]} parti esclamando, ma sono Dei rivestiti di
sembianze umane discesi dal Cielo in mezzo a noi. E secondo tale erronea supposizione
chiamavano Barnaba Giove, perchè lo scorgevano di sembiante più maestoso, e Paolo che
parlava con maravigliosa facondia, chiamavano Mercurio, il quale presso ai gentili era
l'interprete e messaggero di Giove e il dio dell'eloquenza. Giunta la notizia del fatto al sacerdote
del tempio di Giove, che era fuori della città, esso giudicò suo dovere di offrire ai grandi ospiti
un solenne sacrifizio ed invitare tutto il popolo a prendervi parte. Preparate le vittime, le corone,
e quanto facesse d' uopo per la funzione, portarono ogni cosa avanti la casa ove albergavano
Paolo e Barnaba volendo in tutti i modi far loro un sacrifizio, I due Apostoli accesi di santo zelo
si gettarono nella turba e in segno di dolore lacerandosi le vesti gridarono: Olà, che fate, o
miseri? Noi siamo uomini mortali simili a voi, noi appunto con tutto lo spirito vi esortiamo di
convertirvi dal culto degli Dei al culto di quel Signore, il quale ha creato il cielo e la terra, e che
sebbene pel passato abbia tollerato che i gentili seguissero le loro {29 [195]} follie, ha però
somministrati chiari argomenti dell'esser suo e della sua infinita bontà con opere che lo fanno
conoscere supremo padrone di ogni cosa.
A così franco parlare gli animi si acquetarono e abbandonarono l'idea di fare quel
sacrifizio. I sacrificatori non avevano ancora totalmente ceduto, e stavano perplessi se dovessero
desistere quando sopraggiunsero da Antiochia e da Iconio alcuni Ebrei deputati dalle sinagoghe
per venire a turbare le sante imprese degli Apostoli. Quei maligni tanto fecero e tanto dissero che
riuscirono a rivoltare tutto il popolo contro i due Apostoli. Così coloro che pochi giorni prima li
veneravano come Dei, ora li gridano malfattori, e poichè S. Paolo aveva singolarmente parlato,
perciò la rabbia fu tutta rivolta contro di lui. Gli scaricarono addosso tale tempesta di sassi che
credendo di averlo ucciso lo strascinarono fuori della città. Vedi, o lettore, qual conto devi fare,
della gloria del mondo! Coloro che oggi ti vorrebbero innalzare al di sopra delle stelle; domani
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forse ti vogliono nel più profondo degli abissi! Beati coloro che ripongono in Dio la loro
confidenza. {30 [196]}
Capo VII. S. Paolo miracolosamente risanato. Altre sue fatiche
apostoliche. Conversione di S. Tecla.
I discepoli con altri fedeli, avendo saputo, o forse veduto ciò che era stato fatto a Paolo, si
radunarono intorno al corpo di lui piangendolo come morto. Ma ne furono presto consolati;
perciocchè o Paolo fosse veramente morto, o fosse soltanto tutto pesto nella persona, Iddio in un
istante lo fece ritornare sano e vegeto come prima, a segno che egli potè levarsi da se medesimo,
e attorniato dai discepoli ritornare alla città di Listri tra quei medèsimi che poco prima l'avevano
battuto a morte.
Ma l'altro giorno uscito da quella città passò a Derbe, altra città della Licaonia. Quivi
predicò Gesù Cristo e fece molte conversioni. Paolo e Barnaba visitarono molte città dove
avevano già predicato, e osservando i gravi pericoli cui trovavansi esposti coloro che da poco
tempo erano venuti alla fede, ordinarono Vescovi {31 [197]} e Sacerdoti che avessero cura di
quelle chiese.
Fra le conversioni operate in questa terza missione di Paolo è molto celebre quella di S.
Tecla. Mentre egli predicava in Iconio, questa giovine lo andò ad ascoltare. Per lo innanzi ella
erasi applicata alle belle lettere e allo studio della filosofia profana. Già i suoi parenti l'avevano
promessa ad un giovane nobile, ricco e molto potente. Trovatasi un giorno ad ascoltare S. Paolo
mentre predicava intorno al pregio della verginità, si sentì innamorare di questa preziosa virtù.
All'intendere poi la grande stima che ne aveva fatto il Salvatore ed il gran premio che era
riserbato in Cielo a coloro che hanno la bella sorte di conservarla, si sentì ardere di desiderio di
consacrarsi a Gesù Cristo e rinunziare a tutti i vantaggi delle nozze terrene. Al rifiuto di quelle
nozze, agli occhi del mondo vantaggiose, i parenti di lei fortemente se ne sdegnarono e d'accordo
collo sposo tentarono ogni strada, ogni lusinga per farla cangiar di proposito. Tutto inutile:
quando un' anima è ferita dall'amor di Dio, ogni sforzo umano più non riesce ad allontanarla
dall'oggetto che {32 [198]} ama. Di fatti i parenti, lo sposo, gli amici cangiando l'amore in
furore, eccitarono i giudici ed i magistrati d'Iconio contro alla S. Verginella e dalle minacce
passarono ai fatti.
Ella viene gettata in un serraglio di bestie affamate e feroci; Tecla unicamente armata
della confidenza in Dio fa il segno della Santa Croce, e quegli animali depongono la loro ferocia
e rispettano la sposa di Gesù Cristo. Si accende un rogo entro a cui ella è precipitata; ma fatto
appena il segno della Croce si estinguono le fiamme ed intanto essa conservasi illesa. Insomma
fu esposta ad ogni genere di tormenti, e da tutti fu prodigiosamente liberata. Per le quali cose le
fu dato il nome di protomartire, cioè prima martire tra le donne, come santo Stefano fu il primo
martire tra gli uomini. Ella visse ancora molti anni nell'esercizio delle più eroiche virtù, e morì in
pace in età molto avanzata. {33 [199]}
Capo VIII. S. Paolo va a conferire con s. Pietro. Assiste al Concilio di
Gerusalemme. - Anno di Cristo 50.
Dopo le fatiche e i patimenti sofferti da Paolo e da Barnaba nella loro terza missione,
contenti delle anime che loro era riuscito di condurre all'ovile di Gesù Cristo ritornarono ad
Antiochia di Siria. Colà si fecero a raccontare ai fedeli di quella città le maraviglie da Dio
operate nella conversione dei Gentili. Il Santo Apostolo fu ivi consolato con una rivelazione
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nella quale Dio gli comando di portarsi a Gerusalemme per conferire con s. Pietro intorno al
Vangelo da lui predicato. Dio aveva ciò comandato affinchè s. Paolo riconoscesse in s. Pietro il
Capo della Chiesa, e così tutti i Fedeli comprendessero come i due principi degli Apostoli
predicavano una medesima fede, un solo Dio, un solo battesimo, un solo Salvator Gesù Cristo.
Paolo parti in compagnia di Barnaba conducendo {34 [200]} seco un discepolo di nome
Tito, guadagnato alla fede nel corso di questa terza missione. Questi è quel famoso Tito che
divenne un modello di virtù, fedele seguace e coadiutore del nostro santo Apostolo e di cui noi
pure avremo più volte da parlare. Giunti in Gerusalemme si presentarono agli apostoli Pietro,
Giacomo e Gioanni che erano considerati come le principali colonne della Chiesa. Fra le altre
cose fu colà convenuto che Pietro con Giacomo e Gioanni si applicherebbe in maniera speciale
per condurre i Giudei alla Fede; Paolo e Barnaba attendessero principalmente alla conversione
de' Gentili.
Dimorò Paolo quindici giorni in quella città dopo cui ritornò co' suoi compagni in
Antiochia. Ivi trovarono i fedeli molto agitati per una questione derivata da ciò, che i Giudei
volevano obbligare i Gentili a sottomettersi alla circoncisione e alle altre cerimònie della legge di
Mosè, che era lo stesso come dire essere necessario divenire prima buon Ebreo per divenire di
poi buon Cristiano. Le contese andarono tanto oltre che non potendosi altrimenti acquetare fu
risoluto di inviare Paolo e Barnaba in Gerusalemme per consultare {35 [201]} il Capo della
Chiesa affinchè così da lui fosse decisa la questione.
Noi abbiamo già raccontato nella vita di s. Pietro come Iddio con una maravigliosa
rivelazione aveva a questo principe degli Apostoli fatto conoscere che i Gentili venendo alla fede
non erano obbligati alla circoncisione, nè alle altre cerimonie della legge di Mosè; tuttavia
affinchè la volontà di Dio fosse da tutti conosciuta, e fosse in modo solenne sciolta ogni
difficoltà, Pietro radunò un concilio generale che fu il modello di tutti i concili che vennero
celebrali ne' tempi avvenire. Colà Paolo e Barnaba esposero lo stato della quistione che fu da s,
Pietro definita e confermata dagli altri Apostoli nella maniera seguente: «Gli Apostoli e gli
anziani ai fratelli convertiti dal gentilesimo, che dimorano in Antiochia e nelle altre parti della
Siria e della Cilicia. Avendo noi inteso che alcuni venuti di qua hanno turbato ed angustiato le
vostre coscienze con idee arbitrarie, è sembrato bene a noi qui radunati di scegliere e mandare a
voi Paolo e Barnaba, uomini a noi carissimi, che sacrificarono la loro vita pel nome di nostro
Signor Gesù Cristo. Con essi mandiamo {36 [202]} Sila e Giuda, i quali consegnandovi le nostre
lettere vi confermeranno a bocca le medesime verità. Imperciocchè fu giudicato dallo Spirito
Santo e da noi di non imporvi altra legge eccetto quella che dovete osservare, cioè astenervi dalle
cose sacrificate agli idoli, dalle carni soffocate, dal sangue e dalla fornicazione, dalle quali cose
astenendovi farete bene. Statevi con Dio.» Quest'ultima cosa, cioè la fornicazione, non occorreva
proibirta essendo affatto contraria ai dettami della ragione e proibita dal sesto precetto del
Decalogo. Fu però rinnovata tale proibizione riguardo ai Gentili, i quali nel culto de' loro falsi
Dei pensavano che fosse lecito, anzi cosa gradita a quelle immonde divinità.
Giunti Paolo e Barnaba con Sila e Giuda in Antiochia pubblicarono la lettera col decreto
del concilio, con cui non solo acquetarono il tumulto, ma riempirono i fratelli d'allegrezza
riconoscendo ognuno la voce di Dio in quella di s. Pietro e del concilio. Sila e Giuda
contribuirono molto a quella comune allegrezza, perciocchè essendo essi profeti, cioè ripieni
dello Spirito Santo e dotati del dono della divina {37 [203]} parola e di una grazia particolare per
interpretare le divine scritture, ebbero molta efficacia per confermare i fedeli nella fede, nella
concordia e nei buoni proponimenti.
S. Pietro, essendo stato informato dei progressi straordinarii che il Vangelo faceva in
Antiochia, volle anch'egli venire a visitare que' fedeli cui egli aveva già per più anni predicato e
tra cui aveva per sette anni tenuta la Sede Pontifìcia.
Mentre i due principi degli Apostoli dimoravano in Antiochia avvenne che Pietro per
compiacere agli Ebrei praticava alcune cerimonie della legge mosaica; la qual cosa era cagione
di una certa avversione per parte de' Gentili senza che s. Pietro ne fosse consapevole. S. Paolo
venuto a notizia di questo fatto avvisò pubblicamente s.Pietro, il quale con ammirabile umiltà
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ricevette l'avviso senza proferire parole di scusa; anzi d'allora in poi divenne amicissimo di s.
Paolo e nelle sue lettere non soleva chiamarlo con altro nome se non con quello di fratello
carissimo. Esempio degno di essere imitato da quelli che in qualche maniera sono avvisati dei
loro difetti. {38 [204]}
Capo IX. Paolo si separa da Barnaba - Percorre varie città dell' Asia -
Dio lo manda in Macedonia - A Filippi converte la famiglia di Lidia. -
Anno di Cristo 51.
Paolo e Barnaba predicarono qualche tempo il Vangelo nella città di Antiochia
adoperandosi eziandio per diffonderlo nei paesi vicini. Non molto dopo venne a Paolo in
pensiero di visitare le chiese a cui aveva predicato. Disse pertanto a Barnaba: par mi bene che
ritorniamo a rivedere i fedeli di quelle città e terre dove abbiamo predicato, per vedere come tra
loro vadano le cose di religione. Nulla stava più a cuore a Barnaba, e per ciò fu tosto d'accordo
col Santo Apostolo; ma gli propose di condurre anche seco quel Giovanni Marco che avevali
seguiti nell'antecedente missione, e li aveva poi lasciati a Perga. Forse esso desiderava di
cancellare la macchia che si era fatta in quell'occasione, perciò voleva di nuovo essere in loro
compagnia. S. Paolo non giudicava così: tu vedi, diceva a Barnaba, che costui non è {39 [205]}
uomo da potersene fidare; certamente ti ricordi come giunti a Perga della Pamfilia ci abbandonò.
Barnaba tenera fermo dicendo che si poteva ricevere e adduceva buone ragioni. Non potendo i
due Apostoli andare d'accordo deliberarono di separarsi l'un dall'altro e andare per istrada
diversa.
Così Iddio fece servire questa diversità di sentimento a sua maggior gloria; perchè così
separati portarono la luce del Vangelo in più luoghi, il che non avrebbero fatto andando amendue
insieme.
Barnaba andò con Giovanni Marco nell'Isola di Cipro e visitò quelle chiese dove aveva
con s. Paolo predicato nell` antecedente missione. Questo Apostolo lavorò molto per dilatare la
fede di Gesù Cristo e finalmente fu coronato del martirio in Cipro sua patria. Giovanni Marco
questa volta fu costante, e lo vedremo poi fedele compagno di s. Paolo che ebbe a lodar molto lo
zelo e la carità di lui.-
S. Paolo preso seco Sila, colui che eragli stato posto per compagno a portare gli atti del
concilio di Gerusalemme in Antiochia, intraprese il suo quarto viaggio e andò a visitare varie
chiese da lui fondate. Si recò dapprima a Derbe, di poi {40 [206]} a Listri, dove alcun tempo
addietro il santo Apostolo era stato lasciato per morto. Ma Iddio voleva questa volta compensarlo
di quanto aveva prima sofferto.
Egli trovò colà un giovanetto da lui convertito nell'altra missione, di nome Timoteo.
Paolo aveva già conosciuta la bell'indole di questo discepolo, e nell'animo suo aveva designato di
farne un cooperatore del Vangelo, cioè consacrarto prete e prenderselo per compagno ne' suoi
lavori apostolici. Prima però di conferirgli la sacra ordinazione Paolo ne dimandò informazioni
dai fedeli di Listri, e trovò che tutti levavano a cielo questo buon giovane magnificando la sua
virtù, la modestia, il suo spirito di orazione; e ciò dicevano non solo que' di Listri ma eziandio
quelli d`Iconio e delle altre città vicine, e tutti presagivano in Timoteo un zelante sacerdote ed un
santo Vescovo.
A queste luminose testimonianze Paolo non ebbe più alcuna difficoltà di consacrarlo
sacerdote. Paolo adunque preso seco Timoteo con Sila continuò la visita delle chiese,
raccomandando a tutti di osservare e tenersi fermi alle decisioni del concilio di Gerusalemme.
Così avevano {41 [207]} fatto que' d'Antiochia e così fecero in ogni tempo i predicatori del
Vangelo per accertare i fedeli di non cadere in errore; stare ai decreti, agli ordini de' concili e del
Romano Pontefice successore di s. Pietro. Paolo co' suoi compagni traversò la Galazia e la Frigia
per portare il Vangelo nell'Asia, ma lo Spirito Santo glielo vietò. Per facilitare l'intelligenza delle
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cose che siamo per raccontare è bene qui notar di passaggio come per la voce Asia in senso largo
s'intenda una delle tre parti del mondo. Suole poi appellarsi Asia Maggiore tutta l'estensione
dell'Asia ad eccezione di quella parte che si appella Asia Minore oggidì Natolia, che è quella
penisola compresa fra il Mare di Cipro, l'Arcipelago e il Mar Nero. Fu eziandio chiamata Asia
proconsolare una parte dell'Asia Minore più o meno estesa secondo il numero delle province
affidate al governo del proconsole Romano. Qui per Asia, ove divisava di andare s. Paolo,
intendesi una porzione dell'Asia proconsolare posta attorno ad Efeso e compresa fra il monte
Tauro, il Mar Nero e la Frigia. S. Paolo allora pensò di andare nella {42 [208]} Bitinia che è
un'altra provincia dell'Asia Minore un po' più verso il Mar Nero, ma neppure ciò gli fu da Dio
permesso. Per la qual cosa ritornò indietro e andò a Troade che è una città e provincia ove
anticamente era una famosa città appellata Troia. Dio aveva riserbato ad altro tempo la
predicazione del Vangelo a que' popoli; per ora lo voleva inviare ad altri paesi.
Mentre s. Paolo era nella Troade gli apparve un Angelo vestito da uomo ad uso dei
Macedoni, il quale stando in piedi innanzi a lui si fece a pregarlo così: Deh! abbi pietà di noi;
passa nella Macedonia e vieni in nostro soccorso. Da questa visione s. Paolo conobbe la volontà
del Signore, e senza più si preparò a passare il mare per recarsi in Macedonia.
Nella Troade si unì a s. Paolo un suo cugino di nome Luca che gli riuscì di grande aiuto
nelle sue fatiche apostoliche. Egli era un medico di Antiochia di grande ingegno, che scriveva
con purezza ed eleganza il greco. Egli fu per Paolo quello che S. Marco era per S. Pietro; e al
pari di lui scrisse il Vangelo che noi leggiamo sotto il nome di Vangelo secondo Luca. Anche
{43 [209]} il libro intitolalo Atti degli Apostoli da cui noi ricaviamo quasi tutte le cose che
diciamo di S. Paolo, è opera di S. Luca. Da che egli si pose per compagno del nostro Apostolo
non vi fu più nè pericolo nè fatica nè patimento che abbia potuto scuotere la sua costanza.
Paolo adunque, secondo l'avviso dell'angelo, insieme con Sila,Timoteo e Luca s'imbarcò
da Troade, navigò l'arcipelago (che divide l'Europa dall'Asia) e con prospera navigazione arrivò
all'isola di Samotracia, quindi a Napoli, non la capitale del regno di Napoli, ma una piccola città
sul confine della Tracia e della Macedonia. Senza punto arrestarsi l'Apostolo andò direttamente a
Filippi città principale, così nominata perchè fu edificata da un Re di quel paese nominato
Filippo. Colà si fermarono per qualche tempo.
In quella città gli Ebrei non avevano Sinagoga, sia che ne fossero proibiti, sia che fossero
troppo pochi in numero. Avevano solo una Proseuca ovvero luogo di orazione, che noi
chiamiamo Oratorio. In giorno di sabato Paolo co' suoi compagni uscì dalla città sulla riva di un
fiume ove trovarono una proseuca con entro alcune {44 [210]} donne. Si posero tosto a predicare
il regno di Dio a quella semplice udienza. Una mercantessa di nome Lidia fu la prima ad essere
da Dio chiamata; sicchè essa e la sua famiglia ricevettero il Battesimo.
Questa pia donna, grata ai benefizi ricevuti, così pregò i maestri ed i padri dell'anima sua:
se voi mi giudicate fedele a Dio non mi negate una grazia appresso quella del Battesimo che da
voi riconosco. Venite in casa mia, dimorate quanto vi piace e consideratela come vostra. Paolo
non voleva accondiscendere, ma ella fece tali istanze che egli dovette accettare. Ecco il frutto che
produce la parola di Dio quando è bene ascoltata. Essa genera la fede; ma deve essere udita e
spiegata dai sacri ministri, siccome diceva il medesimo S. Paolo: fides ex auditu, auditus autem
per verbum Christi. {45 [211]}
Capo X. S. Paolo libera una fanciulla dal demonio. - È battato con
verghe. - Vien posto in prigione - Conversione del carceriere e della
sua famiglia. - Anno di C. 51.
S. Paolo co' suoi compagni andavano or qua or là spargendo il seme della parola di Dio
per la città di Filippi. Un giorno andando alla proseuca ebbero ad incontrare una pitonessa che
noi diremmo maga o strega. Ella aveva indosso un demonio che parlava per bocca di lei e
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indovinava molle cose straordinarie; la qual cosa dava molto vantaggio a' suoi padroni; poichè la
gente ignorante l'andava a consultare e per farsi astrologare doveva pagare bene i consulti. Costei
adunque si mise a seguitare S. Paolo e i suoi compagni gridando loro dietro così: questi uomini
sono servi dell'altissimo Iddio; essi vi mostrano la strada della salute. S. Paolo la lasciò dire
senza por mente, finchè annoiato e sdegnato si volse a quello Spirito maligno, che parlava per
bocca di lei e disse in tuono minaccioso: In nome di {46 [212]} Gesù Cristo ti comando che tu
esca sull'istante da questa fanciulla. Il dire e il fare fu una cosa sola, perchè costretto dalla
potente virtù del nome di Gesù Cristo, dovette uscire da quel corpo, e per la sua partenza la maga
rimase senza magia.
Voi, o lettori, comprenderete la ragione per cui il demonio lodava S. Paolo, e questo
santo apostolo ne abbia rifiutate le lodi. Lo Spirito maligno voleva che S. Paolo lo lasciasse in
pace, e così il volgo credesse che fosse la medesima dottrina quella di Paolo e le indovinazioni di
quella indemoniata. Il santo Apostolo volle dimostrare che non eravi alcun accordo tra Cristo e il
demonio, e rifiutando le sue adulazioni dimostrò quanto fosse grande la potenza del nome di
Gesù C. sopra tutti gli spiriti dell'inferno.
I padroni di quella fanciulla avendo veduto che col demonio era andata ogni speranza di
guadagno, si sdegnarono fortemente contro S. Paolo, e senza aspettare sentenza alcuna presero
lui e i suoi compagni e li condussero al Palazzo della Giustizia. Giunti alla presenza de' giudici
dissero: questi uomini di razza Ebrea mettono sossopra la nostra città per introdurre {47 [213]}
una religione nuova che certamente è un sacrilegio. Il popolo sentendo che era offesa la religione
montò in furore e si scagliò contro di loro da tutte le parti.
I medesimi giudici si mostrarono pieni di dolore e stracciandosi di dosso le vesti, senza
fare alcun processo, senza esaminare se vi fosse delitto o no, li fecero battere fieramente con
verghe, e quando furono o sazii o stanchi di batterli, ordinarono che Paolo e Sila venissero
condotti in prigione, imponendo al carceriere di guardarli colla massima diligenza. Costui non
solo li serrò nella prigione, ma per vie più assicurarsi strinse i loro piedi tra i ceppi. Quei santi
uomini nell'orrore della carcere, coperti di piaghe, lungi dal lamentarsi, giubilavano di allegrezza
e lungo la notte andavano cantando lodi a Dio. Gli altri prigionieri ne erano maravigliati.
Era la mezzanotte e cantavano tuttora e benedicevano Iddio, quando d'improvviso sentesi
un fortissimo terremoto che con orribile scroscio fa tremar fin dalle fondamenta quell'edifizio. A
questa scossa cadono le catene ai prigionieri, si rompono i loro ceppi, le porte della prigione si
{48 [214]} aprono, e tutti i ditenuti si trovano posti in libertà. Si destò il carceriere e correndo
per sapere che fosse avvenuto, trovò aperte le porle. Allora egli più non dubitando che i
prigionieri fossero fuggiti, e perciò forse egli stesso dovesse pagarla colla testa, nell'eccesso del
dolore corre, sfodera una spada, l'appunta al petto e già sta per uccidersi. Paolo, o pel chiaror
della luna o al lume di qualche lampada, veduto quell'uomo in tal atto di disperazione, fermati, si
pose a gridare, non farti alcun male, eccoti siamo qui tutti. Rassicurato da queste parole si
acqueta alcun poco, e fattosi portar lume entrò nel carcere e trova i prigioneri ciascuno a suo
posto. Preso da maraviglia e mosso da un interior lume della grazia di Dio, tutto tremante si getta
a' piedi di Paolo e di Sila dicendo: signori, che debbo io fare per esser salvo?
Ognuno può immaginarsi quanta allegrezza abbia provato Paolo in suo cuore a tali
parole! egli si volse a lui e rispose: credi nel Figliuol di Dio Gesù Cristo e sarai salvo tu e tutta la
tua famiglia.
Quel buon uomo senza frapporre indugio condusse in casa i santi prigionieri, lavò {49
[215]} loro le piaghe con quell'amore e riverenza che avrebbe fatto a suo padre. Radunata di poi
la sua famiglia furono ammaestrati nelle verità della fede. Ascoltando essi con umilta di cuore la
parola di Dio, impararono in breve quanto era necessario per diventare cristiani. Sicchè s. Paolo
vedendoli pieni di fede, e della grazia dello Spirito Santo, tutti li battezzò. Quindi si posero a
ringraziare Iddio dei benefizi ricevuti. Quei nuovi fedeli vedendo Paolo e Sila sfiniti e cadenti
per le battiture e pel lungo digiuno, corsero tosto ad apprestar loro la cena, colla quale furono
ricreati. I due Apostoli provarono maggior conforto per le anime che avevano guadagnate a Gesù
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Cristo; laonde pieni di gratitudine verso Dio ritornarono in prigione aspettando quelle
disposizioni che la divina Provvidenza avrebbe fatto conoscere a loro riguardo.
Intanto i magistrati si pentirono di aver fatto battere e chiudere in prigione coloro ai quali
non avevano potuto trovare colpa di sorta, e mandarono alcuni uscieri a dire al carceriere che
lasciasse in libertà i due prigionieri. Lietissimo di tale notizia il carceriere corse tosto a
comunicarla agli {50 [216]} Apostoli. Voi, disse, potete sicuramente andarvene in pace. Ma a
Paolo sembrò doversi fare altrimenti. Se fossero così di nascosto fuggiti sarebbesi creduto esser
eglino colpevoli di grave misfatto, e ciò con danno del Vangelo. Egli pertanto chiamò a sè gli
uscieri e disse loro: i vostri magistrati senza aver cognizione di questa causa, senza alcuna forma
di giudizio, hanno pubblicamente fatto battere noi che siamo cittadini romani; ed ora di nascosto
ci vogliono mandar via? Certo non sarà così: vengano essi stessi e ci conducano fuori della
prigione. Quei messi portarono ai magistrati questa risposta; i quali avendo inteso che erano
cittadini romani furono presi da forte timore, imperciocchè il battere un cittadino romano era
delitto capitale. Per la qualcosa vennero tosto alla prigione e con benigne parole si scusarono di
quanto avevano fatto, e trattigli onoratamente di prigione li pregarono di voler uscire dalla città.
Gli Apostoli vennero tosto alla casa di Lidia, ove trovarono i compagni immersi in costernazione
a cagione di loro; e ne furono grandemente consolati al vederli posti in libertà. Dopo di che
partirono dalla città di Filippi. Così quei {51 [217]} cittadini rigettarono le grazie del Signore per
le grazie degli uomini.
Capo XI. S. Paolo predica in Tessalonica - Affare di Giasone. Va a
Berea ove è di nuovo disturbato dagli Ebrei. Anno di Cristo 52.
Paolo co' suoi compagni partì da Filippi lasciando ivi le due famiglie di Lidia e del
carceriere guadagnate a Gesù Cristo. Passando egli per la città di Anfipoli e di Apollonia
pervenne a Tessalonica, città principale della Macedonia molto famosa pel suo commercio e pel
suo porto sull'Arcipelago. Oggidì è della Salonicchio. Ivi Iddio aveva apparecchiato al santo
Apostolo molti patimenti e molte anime da guadagnare a Cristo. Egli si mise a predicare, e per
tre sabati continuò a provare colle sacre Scritture che Gesù Cristo era il Messia, il Figliuolo di
Dio, che le cose a lui avvenute erano state annunziate dai Profeti, perciò doversi o rinunziare alle
profezie o credere alla venuta del Messia. A tale predicazione alcuni credettero ed abbracciarono
la Fede; {52 [218]} ma altri, specialmente Ebrei, si mostrarono ostinati e con grande odio si
levarono contro di s. Paolo. Postisi alla testa di alcuni malvagi della feccia del popolo si
radunarono, e a squadre a squadre misero a rumore tutta la città. E poichè Sila e Paolo avevano
preso alloggio presso un certo Giasone, corsero tumultuando alla casa di lui per trarli fuori e
condurli davanti al popolo. I fedeli se ne accorsero per tempo e riuscirono a trafugarli. Non
potendoli più trovare presero Giasone insieme con alcuni fedeli e li strascinarono dinanzi ai
Magistrati della città, gridando a gran voce: questi turbatori del genere umano sono venuti anche
qua da Filippi; e Giasone li accolse in casa sua; ora costoro trasgrediscono i decreti e violano
la maestà di Cesare affermando esservi un altro Re, cioè Gesù Nazareno. Queste parole
riscaldarono i Tessalonicesi e fecero montare in furore i medesimi magistrati. Ma Giasone
avendoli assicurati che non si volevano fare tumulti, e che qualora avessero chiesti que'
forestieri, egli li avrebbe loro presentati, si mostrarono paghi; e si acquetò il tumulto. Ma Sila e
Paolo vedendo inutile ogni fatica in quella città {53 [219]} seguirono i consigli de' Fratelli e si
recarono a Berea, altra città di quella provincia.
A Berea Paolo si mise a predicare nella Sinagoga degli Ebrei, cioè si pose nello stesso
pericolo, da cui poco prima era stato quasi per miracolo liberato. Ma questa volta il suo coraggio
fu largamente ricompensato. I Bereesi con grandissima avidità ascoltarono la parola di Dio.
Paolo allegava sempre quei tratti della Bibbia che riguardavano a Gesù Cristo, e gli uditori
correvano tosto a riscontrarli e a verificare i testi da lui citati; e trovandoli corrispondere con
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esattezza, si piegavano alla verità e credevano al Vangelo. Così faceva il Salvatore cogli Ebrei
della Palestina quando li invitava a leggere attentamente le Sacre Scritture. Scrutamini
scripturas, et ipscæ testimonium perhibent de me.
Però le conversioni avvenute in Berea non poterono stare nascoste, tanto che non ne
pervenisse notizia a quelli di Tessalonica. Gli ostinati Ebrei di questa città corsero in gran
numero a Berea per guastar l'opera di Dio e impedire la conversione de' Gentili. S. Paolo era
principalmente {54 [220]} cercato come colui che sosteneva in particolar maniera la
predicazione. I Fratelli veggendolo in pericolo il fecero da persone fidate accompagnare
segretamente fuori della città e per vie sicure lo condussero ad Atene. Rimasero però in Berea
Sila e Timoteo. Ma Paolo nel licenziare coloro, che l'avevano accompagnato, raccomandò loro
con gran premura che dicessero a Sila e a Timoteo di venirlo a raggiungere il più presto
possibile. I santi Padri nell'ostinazione degli Ebrei di Tessalonica ravvisano quei Cristiani i quali
non paghi di non approfittare eglino stessi dei benefizi della religione, cercano
allontanarne gli altri, la qual cosa fanno o calunniando i sacri ministri, o disprezzando le cose
della medesima religione. Il Salvatore dice a costoro: a voi sarà tolta la mia vigna, cioè la mia
religione, e sarà data ad altri popoli che la coltiveranno meglio di voi e riporteranno fruiti a suo
tempo. Minaccia terribile, ma che pur troppo si è già avverata e si va avverando in molti paesi
ove un tempo fioriva la cristiana religione i quali presentemente vediamo immersi nelle folle
tenebre {55 [221]} dell' errore, del vizio e del disordine - Dio ci scampi da questo flagello!
Capo XII. Stato religioso degli Ateniesi - S. Paolo nell'Areopago -
Conversione di s. Dionigi. Anno di Cristo 52.
Era Atene una delle più antiche, più ricche, più commercianti città del mondo. Ivi la
scienza, il valor militare, i filosofi, gli oratori, i poeti furono sempre i maestri del genere umano.
Gli stessi romani avevano mandato in Atene per raccogliere leggi che portarono a Roma come
oracoli di saggezza. Eravi inoltre un Senato d'uomini considerati specchio di virtù, giusti: e
prudenza; essi erano chiamati Areopagiti da Areopago luogo dove avevano il tribunale. Ma con
tanta scienza giacevano immersi nella più vergognosa ignoranza delle cose di religione. Le selle
dominanti erano quella degli Epicurei e quella degli Stoici. Gli Epicurei negavano a Dio la
creazione del mondo e la Provvidenza, nè ammettevano premio o pena {56 [222]} nell'altra vita,
perciò ponevano la beatitudine nei piaceri della terra. Gli Stoici riponevano il sommo bene nella
sola virtù, e facevano l'uomo in alcune cose maggiore del medesimo Iddio, perchè credevano di
avere la virtù e la sapienza da se medesimi. Tutti poi adoravano più dei, e non vi era delitto che
non fosse favorito da qualche insensata divinità.
S. Paolo, uomo oscuro, tenuto a vile perchè Giudeo, doveva a costoro predicar Gesù
Cristo anche Giudeo, morto in croce, e ridurli ad adorarlo per vero Dio. Perciò Dio solo poteva
fare che le parole di s. Paolo potessero cangiar cuori così inveterati nel vizio e alieni dalla vera
virtù, e fare che abbracciassero e professassero la santa cristiana religione.
Mentre Paolo stava aspettando Sila e Timoteo, provava in suo cuore compassione per
quei miseri ingannati, e secondo il solito mettevasi a disputare cogli Ebrei e con tutti quelli che si
abbattevano in lui ora nelle sinagoghe, ora nelle piazze. Gli Epicurei e gli Stoici vennero
anch'essi con lui a disputa, e non potendo resistere alle ragioni andavano dicendo: che vorrà {57
[223]} dire questo ciurmadore? Altri dicevano:pare che costui ci voglia mostrare qualche nuovo
Dio. Il che dicevano perchè udivano nominar Gesù Cristo e la risurrezione. Alcuni altri volendo
operare con maggior prudenza invitarono Paolo a recarsi nell'Areopago. Come giunse in quel
magnifico Senato, gli dissero: si potrebbe sapere qualche cosa di questa tua nuova dottrina?
Imperciocchè tu ci suoni all'orecchio cose non mai da noi udite. Desideriamo di sapere la realtà
di quanto insegni.
Alla notizia che un forestiere doveva parlare nell'Areopago accorse gran calca di gente.
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Convien qui notare che fra gli Ateniesi era severamente proibito di dire la minima parola
contro alle loro innumerevoli e stupide divinità, e riputavano delitto capitale il ricevere od
aggiungere tra di loro qualche Dio forestiero, che non fosse attentamente esaminato e proposto
dal Senato. Due filosofi di nome Anassagora l'uno, Socrate l'altro, solo per aver lasciato
conoscere che non potevano ammettere tante ridicole divinità, dovettero perdere la vita. Da
queste cose intendesi facilmente il pericolo in cui era s. Paolo predicando il vero Dio {58 [224]}
a quella terribile assemblea e cercando di atterrare tutti i loro dei.-
Il santo Apostolo adunque vedendosi in quell` augusto Senato e dovendo parlare ai più
sapienti degli uomini, giudicò bene di prendere uno stile e un modo di ragionare assai più
elegante che non faceva. E poichè quei Senatori non ammettevano l'argomento delle scritture,
egli pensò di farsi strada a parlare colla forza della ragione. Levatosi pertanto in piedi e fattosi da
tutti silenzio così incominciò:
«Uomini Ateniesi, io vi vedo in tutte le cose religiosi fino allo scrupolo. Imperocchè
passando per questa città e considerando i vostri simulacri ho trovato anche un altare con questa
iscrizione: al Dio Ignoto. Io adunque vengo ad annunciarvi quel Dio che voi adorate senza
conoscere. Ègli è quel Dio che ha fatto il mondo e tutte le cose che in esso esistono. Egli è il
padrone del Cielo e della terra, perciò non abita in templi fatti dagli uomini. Nè egli è servito
dalle mani dei mortali quasi avesse bisogno di loro; che anzi egli è colui che dà a tutti la vita, il
respiro e tutte le cose. Egli fece che da un uomo solo discendessero tutti gli altri, la cui {59
[225]} discendenza si estese ad abitare tutta la terra; Egli fissò i tempi e i confini della loro
abitazione perchè cercassero Dio se mai lo avessero potuto trovare quantunque Egli non sia
lontano da noi.
Imperciocchè in lui viviamo, ci moviamo e siamo, come anche taluno dei vostri poeti1 ha
detto. Perciocchè siamo anche discendenza di lui. Essendo adunque noi discendenza di Dio non
dobbiamo stimare che egli sia simile all'oro o all'argento, o alla pietra scolpila dall'arte o
dall'invenzione degli uomini. Iddio però nella sua misericordia chiuse i suoi occhi per lo passato
sopra tale ignoranza; ma adesso intima che facciamo penitenza. Poichè Egli ha fissato un giorno
in cui giudicherà con giustizia tutto il mondo per mezzo di un uomo stabilito da lui come ne ha
fatto fede a tutti con risuscitarlo da morte.»
Fino a questo punto quegli uditori leggeri, i cui vizi ed errori erano stati attaccati con
molta finezza, avevano serbato buon contegno. Ma al primo annunzio del dogma straordinario
della risurrezione, {60 [226]} gli Epicurei si alzarono e in gran parte uscirono beffandosi di
quella dottrina che certamente a loro incuteva terrore. Altri più discreti gli dissero che per quel
giorno bastava, e che lo avrebbero ascoltato altra volta sopra il medesimo argomento. A questo
modo fu accolto il più eloquente degli Apostoli da quella superba assemblea. Differirono di
approfittare della grazia di Dio, e questa grazia non leggiamo che sia poi stata da Dio loro
concessa un'altra volta.
Dio però non lasciò di consolare il suo servo col guadagno di alcune anime privilegiate.
Fra le altre fu Dionigi uno dei giudici dell' Areopago, e una donna per nome Damari che credesi
di lui moglie. Di questo Dionigi si racconta che alla morte del Salvatore rimirando quell` ecclisse
per cui le tenebre eransi sparse sopra tutta la terra esclamò: o il mondo si sfascia, o l'Autore della
natura patisce violenza. Appena egli potè conoscere la cagione di quell' avvenimento, si arrese
tosto alle parole di S. Paolo. Si racconta pure che essendo andato a visitare la madre di Dio, egli
ne fu così sorpreso di tanta bellezza e maestà, che si prostrò {61 [227]} a terra per venerarla,
asserendo che l'avrebbe adorata come una divinità, se la fede non lo avesse accertato esservi un
Dio solo. Esso venne poi da S. Paolo consacrato vescovo di Atene e morì coronato dei martirio.
1 Arato famoso poeta della Cilicia
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Capo XIII. S. Paolo a Corinto - Sua dimora in casa di Aquila -
Battesimo di Crispo e di Sostene - Scrive ai Tessalonicesi - Ritorno
ad Antiochia. Anno di Gesù Cristo 53-4.
Se Atene era la più celebre città, per la scienza, Corinto era considerata la prima pel commercio.
Colà concorrevano negozianti da tutte le parli. Ella aveva due porti sull'istmo del Peloponneso,
uno chiamato Cenero che guardava l'Arcipelago; l'altro detto Acheo e riguardava l'Adriatico. Il
disordine e l'immoralità erano ivi portate in trionfo. Niente spaventato per tali ostacoli S. Paolo
appena giunto in questa città si pose a predicare in pubblico ed in privato.
Egli prese alloggio in casa di un giudeo per nome Aquila. Era questi un fervoroso {62
[228]} cristiano che per evitare la persecuzione pubblicata dall'imperatore Claudio contro i
cristiani, era fuggito dall' Italia con sua moglie di nome Priscilla, ed era venuto a Corinto.
Esercitavano essi l'arte medesima che Paolo da giovane aveva appresa, cioè di far tende per uso
dei soldati. Per non essere di troppo aggravio ai suoi ospiti il santo Apostolo si diede anche egli
al lavoro, e spendeva nella bottega tutto quel tempo che gli rimaneva libero dal sacro ministero.
Ciascun sabato però si portava alla sinagoga e si sforzava di far conoscere agli Ebrei che le
profezie risguardanti al Messia avevano avuto adempimento nella persona di Gesù Cristo.
Giunsero frattanto Sila e Timoteo da Berea. Essi partirono per Atene dove intesero che
Paolo n'era già partito e lo andarono a raggiungere a Corinto. Al loro arrivo Paolo sì diede con
maggior coraggio a predicare ai Giudei; ma crescendo ogni giorno la loro ostinazione, Paolo non
potendo più soffrire tante bestemmie e tale abuso di grazie, così mosso da Dio annunziò loro
imminenti i divini flagelli con queste parole: Il vostro sangue {63 [229]} sarà sopra di voi; io ne
sono innocente. Ecco che io mi rivolgo ai Gentili, e in avvenire sarò tutto per essi.
Fra i Giudei che bestemmiavano Gesù Cristo erano forse alcuni che lavoravano nella
bottega di Aquila, perciò l'Apostolo a fine di evitare la compagnia dei malvagi abbandonò la casa
di lui, e si trasferì a quella di un certo Tito Giusto da poco tempo venuto dal gentilesimo alla
fede. Vicino a Tito dimorava un certo Crispo prefetto della sinagoga. Costui istruito
dall'Apostolo abbracciò la fede con tutta la sua famiglia.
Le grandi occupazioni di Paolo in Corinto non gli fecero dimenticare i suoi diletti fedeli
di Tessalonica. Quando Timoteo giunse di colà avevagli raccontate grandi cose del fervore di
quei cristiani, della grande loro carità, della buona memoria che di lui conservavano, e
dell'ardente desiderio di rivederlo. Non potendo Paolo recarsi in persona, come desiderava,
scrisse loro una lettera, la quale si crede esser la prima scritta da S. Paolo. In questa lettera egli
molto si rallegra coi Tessalonicesi della loro fede e della loro carita, di poi li esorta a guardarsi
dai {64 [230]} disordini sensuali e da ogni frode. E siccome l'ozio è la sorgente di tutti i vizi,
così egli li incoraggisce a darsi seriamente al lavoro reputando indegno di mangiare chi non vuol
lavorare. Si quis non vult operari nec manducet. Conchiude poi ricordando loro il gran premio
che Dio tiene preparato in Cielo per la minima fatica tollerata nella vita presente per amore di
lui.
Poco dopo questa lettera ebbe altre notizie dei medesimi fedeli di Tessalonica. Erano essi
grandemente inquieti per alcuni impostori che andavano predicando imminente il giudizio
universale. L'Apostolo scrisse loro la seconda lettera avvisandoli di non lasciarsi ingannare dai
loro fallaci discorsi. Nota essere certo il giorno del giudizio universale; ma prima debbono
apparire moltissimi segni tra i quali la predicazione del Vangelo in tutta la terra. Gli esorta a
tenersi fermi alle tradizioni che loro aveva comunicate per lettera e a viva voce. Finalmente si
raccomanda alle loro preghiere e inculca molto di fuggire i curiosi e gli oziosi, che sono
considerati come la peste della religione e della società. {65 [231]}
Mentre S. Paolo confortava i fedeli di Tessalonica insorsero contro di lui tali persecuzioni
che sarebbesi indotto a fuggire da quella città se non fosse stato da Dio confortato con una
visione. Gli apparve Gesù Cristo e gli disse: Non temere, io sono con te, niuno potrà farti alcun
male: in questa città è grande il numero di coloro che per tuo mezzo si convertiranno alla fede.
Incoraggito da tali parole l' Apostolo dimorò in Corinto diciotto mesi.
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La conversione di Sostene fu tra quelle che recarono grande consolazione all'animo di
Paolo. Egli era succeduto a Grispo nella prefettura della sinagoga. La conversione di questi due
principi della loro setta irritò fieramente i Giudei, e nel loro furore presero l'Apostolo e lo
condussero dal Proconsolo, accusandolo d'insegnare una religione contraria a quella de' Giudei.
Gallione, tale è il nome di quel governatore, udendo che si trattava di cose religiose non volle
mischiarsi a farla da giudice. Egli si contentò di rispondere così: se si trattasse di qualche
ingiustizia o di qualche pubblico misfatto, io vi ascolterei volentieri, ma trattandosi di questioni
{66 [232]} appartenenti alla religione pensateci voi altri, io non ne voglio giudicare. Quel
proconsolo reputava che le questioni e le differenze spettanti a religione dovessero essere
discusse e definite dai Sacerdoti e non dalle autorità civili, e per questo rapporto fu savia la
risposta di lui.
Sdegnati i Giudei di tale repulsa si rivolsero contro a Sostene, eccitarono eziandio i
ministri del tribunale ad unirsi con loro per batterlo sotto gli occhi del medesimo Gallione, senza
che egli li proibisse. Sostene tollerò con invitta pazienza quell'affronto, e appena lasciato in
libertà si unì a Paolo e gli diventò compagno fedele ne' .suoi viaggi.
Vedendosi Paolo come per miracolo liberato da così grave burrasca fece a Dio un voto in
rendimento di grazie. Quel voto era simile a quello de' Nazarei, il quale consisteva
particolarmente nell'astenersi per un dato tempo dal vino e da qualunque altra cosa atta ad
ubbriacare, e di lasciarsi venir lunghi i capelli, il che presso gli antichi era segno di lutto e di
penitenza. Quando era per terminare il tempo del voto dovevasi fare un sacrifizio nel tempio con
varie {67 [233]} cerimonie prescritte dalla legge di Mosè.
Adempiuta una parte del suo voto san Paolo in compagnia di Aquila e di Priscilla si
imbarcò alla volta di Efeso città dell'Asia minore. Secondo il suo costume Paolo andò a visitare
la Sinagoga e disputò più volte cogli Ebrei. Pacifiche furono queste dispute, anzi gli Ebrei lo
invitarono a fermarsi di più; ma Paolo voleva proseguire il suo viaggio a fine di trovarsi in
Gerusalemme e compiere il suo voto. Diede però parola a quei Fedeli di ritornarvi, e quasi per
caparra del suo ritorno lasciò appresso di loro Aquila e Priscilla. Da Efeso s. Paolo s'imbarcò per
la Palestina e giunse a Cesarea ove sbarcando s' incamminò a piedi verso a Gerusalemme. Andò
a visitare i Fedeli di questa Chiesa, e adempiute le cose, per le quali egli aveva principalmente
intrapreso questo viaggio venne ad Antiochia, ove fece qualche tempo dimora.
Tutto è degno di ammirazione in questo grande Apostolo. Noi notiamo qui solamente una
cosa che egli caldamente raccomanda ai Fedeli di Corinto. Per dar loro un importante avviso con
cui {68 [234]} mantenersi fermi nella fede: o fratelli, egli scrive, per non cadere nell' errore,
tenetevi alle tradizioni imparate dal mio discorso e dalla mia lettera. Itaque, fratres, state et
tenete traditiones quas didicistis sive per sermonem sive per epistolam nostram. Colle quali
parole s. Paolo comandava di avere la medesima riverenza per la parola di Dio scritta e per la
parola di Dio tramandata per tradizione siccome insegna la Chiesa cattolica.
Capo XIV. Apollo io Efeso - Il sacramento della Cresima - S. Paolo
opera molti miracoli. - Fatto di due esorcisti Ebrei - Anno di Cristo 55.
S. Paolo dimorò qualche tempo in Antiochia, ma vedendo quei fedeli abbastanza
provveduti di sacri pastori deliberò di partire per visitare di nuovo i paesi ove egli aveva già
prima predicato. Questo è il quinto viaggio del nostro Santo Apostolo. Egli andò nella Galazia,
nel Ponto, nella Frigia e nella Bitinia; dipoi, secondo la promessa fatta, ritornò ad Efeso dove
Aquila e Priscilla lo aspettavano. {69 [235]} Ovunque fa accolto, come scrive egli stesso, quale
angelo di pace.
Fra la partenza ed il ritorno. di Paolo in Efeso si recò in questa città un Giudeo di nome
Apollo. Esso era un uomo eloquente e profondamente istruito nella Sacra Scrittura. Adorava il
Salvatore e lo predicava eziandio con zelo, ma non conosceva altro Battesimo se non quello
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predicato da s. Giovanni Battista. Aquila e Priscilla si accorsero che egli aveva un' idea assai
confusa dei Misteri della Fede, e chiamandolo a sè lo istruirono meglio nella dottrina, vita, morte
e risurrezione di Gesù Cristo.
Desideroso costui di portare la parola di salute ad altri popoli, deliberò di passare
nell'Acaia cioè nella Grecia. Gli Efesini che da qualche tempo si specchiavano nelle sue virtù e
che cominciavano ad amarlo come padre, vollero accompagnarlo con una lettera, in cui lodavano
molto il suo zelo, e lo raccomandavano ai Corinti, Egli difatti fece gran bene a quei Cristiani.
Quando l'Apostolo giunse in Efeso trovò parecchi fedeli istruiti da Apollo, e volendo conoscere
lo stato di queste anime, egli {70 [236]} dimandò se avevano ricevuto io Spirito Santo; vale a
dire se avevano ricevuto il Sacramento della Cresima, che solevasi in quei tempi amministrare
dopo il Battesimo e in cui conferivasi la pienezza dei doni dello Spirito Santo. Ma quella buona
gente rispose: noi non sappiamo nemmeno che vi sia uno Spirito Santo. Maravigliato l'Apostolo
di tale risposta, e avendo inteso che avevano ricevuto soltanto il Battesimo di s. Giovanni
Battista, comandò che fossero nuovamente battezzati col Battesimo di Gesù Cristo, cioè nel
nome del Padre, del Figliuolo, dello Spirito Santo. Dopo di che Paolo imponendo le mani
amministrò loro il Sacramento della Cresima, e quei nuovi fedeli ricevettero non solo gli effetti
invisibili della grazia, ma eziandio i segni particolari e manifesti dell' onnipotenza divina, il che
rendevano manifesto parlando speditamente le lingue che prima non intendevano, predicendo le
cose future, e interpretando la sacra scrittura.
S. Paolo predicò per tre mesi nella sinagoga confortando gli Ebrei a credere in Gesù
Cristo. Molti credettero, ma parecchi mostrandosi ostinati bestemmiavano {71 [237]} per fino il
Santo nome di Gesù Cristo. Paolo e per l' onor del Vangelo da questi empi deriso e per fuggire la
compagnia dei malvagi cessò dal predicare nella sinagoga, ruppe ogni comunicazione con loro e
si ritirò a casa di un gentile cristiano di nome Tiranno che faceva il maestro di scuola. S. Paolo
fece di quella scuola una Chiesa di Gesù Cristo, ove predicando e spiegando le verità della fede
attirava Gentili ed Ebrei da tutte le parti dell'Asia.
Dio aiutava l' opera sua confermando con prodigi inuditi la dottrina dal suo servo
predicata. I pannilini, gli asciugatoi e le fasce che avevano servito o toccato il corpo di Paolo
erano portate qua e là e poste sugli infermi e sopra gli indemoniati, e ciò bastava perchè tosto
fuggissero le maiattie e gli spiriti immondi. Fu questa una maraviglia non mai udita, e Iddio volle
certamente che un tal fatto fosse registrato nella Bibbia per confondere coloro che hanno tanto
declamato e tuttora declamano contro alla venerazione che i Cattolici prestano alle sacre reliquie.
Forse vogliono essi condannare di superstizione que' primi {72 [238]} Cristiani, i quali
applicavano sopra gli ammalati i fazzoletti che avevano toccato il corpo di Paolo? Cose che s.
Paolo non aveva mai proibito e che Dio dimostrava di approvare con miracoli?
Per l'invocazione del nome di G. Cristo a far miracoli avvenne un fatto assai curioso. Fra
gli Efesini erano molti che pretendevano di cacciare i demonii dai corpi con certe parole magiche
oppure usando radici di erbe, o profumi. Ma i loro risultati riuscivano sempre poco favorevoli.
Anche gli esorcisti Ebrei al vedere che fino le vesti di Paolo cacciavano i demonii, ne furono
presi da invidia, e si provarono, come faceva s. Paolo, di usare il nome di G. Cristo per cacciare
il demonio da un uomo. Io ti scongiuro, andavano dicendo, o spirito malvagio, e ti comando di
uscire da questo corpo per quel Gesù che è predicato da Paolo. Il demonio sapeva le cose meglio
di loro e per bocca dell'indemoniato rispose: Io conosco Gesù e so altresì chi è Paolo; ma voi
siete impostori. Qual diritto avete sopra di me? Ciò detto si avventò sopra di loro, li malmenò e li
percosse in guisa che due di loro a stento potèrono {73 [239]} fuggire tutti feriti, e cogli abiti
fatti a pezzi. Questo fatto strepitoso essendosi divulgato per tutta la città cagionò gran timore, e
niuno più ardiva nominare il Santo nome di Gesù Cristo se non con rispetto e venerazione.
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Don Bosco - Vita di S. Paolo apostolo
Capo XV.Sacramento della Confessione - Libri perversi bruciati -
Letterà ai Corinti - Sollevazione per la dea Diana - Lettera ai Galati -
Anno di Cristo 56-57.
Iddio sempre misericordioso sa ricavare il bene dai medesimi peccati. Il fatto dei due esorcisti
così malmenati da quell' indemoniato mise gran paura in tutti gli Efesini e tanto gli Ebrei quanto
i Gentili si affrettavano di rinunziare al demonio e di abbracciare la fede. Fu allora che molti di
quelli, i quali avevano creduto, venivano in gran numero a confessare e a dichiarare il male
commesso nella loro vita per ottenerne il perdono. Veniebant confitentes et annuntiantes actus
suos. Ad. 19. È questa una chiara testimonianza della Confessione sacramentale {74 [240]}
comandata dal Salvatore e praticata fin da' tempi apostolici.
Primo frutto della confessione e del pentimento di quei fedeli fu di allontanare da sè le
occasioni del peccato. Perciò tutti quelli che avevano libri perversi, cioè contrarii a' buoni
costumi o alla religione, li consegnavano perchè fossero bruciati. Tanti ne portarono, che, fattone
un mucchio sulla piazza, ne fecero un falò alla presenza di tutto il popolo, reputando cosa
migliore bruciare quei libri nella vita presente per evitare il fuoco eterno dell'inferno. Il valore di
quei libri formava una somma che corrisponde quasi a cento mila franchi. Niuno però cercò di
venderli, perciocchè sarebbe stato un porgere ad altri occasione di far male, la qual cosa non è
mai permessa.
Mentre queste cose succedevano, giunse da Corinto in Efeso Apollo con altri
annunziando essere nate discordie tra que' fedeli. Il s. Apostolo si adoperò a porvi rimedio con
una lettera, in cui raccomanda loro l'unità di Fede, l'ubbidienza ai proprii pastori; la carità
vicendevole e specialmente verso i poveri. Inculca ai ricchi di non imbandire lauti banchetti ed
abbandonare {75 [241]} i poveri nella miseria. Insiste poi che ciascuno purifichi la sua coscienza
prima di accostarsi al corpo e al sangue di Gesù Cristo, dicendo: colui che mangia quel corpo e
beve quel sangue indegnamente, mangia il proprio giudizio e la propria condanna. Era pure
accaduto che un giovine aveva commesso grave peccato con sua matrigna. Il Santo per farne
apprendere il debito orrore comandò che quello fosse per qualche tempo separato dagli altri
fedeli affine di farlo ritornare in se stesso. È questo un vero esempio di scomunica, come
appunto pratica ancora la Chiesa Cattolica, quando per gravi delitti scomunica, ossia dichiara
separati dagli altri quei Cristiani che ne sono colpevoli. Paolo mandò il suo discepolo Tito a
portare questa lettera a Corinto. Il fruito pare che ne sia stato molto copioso.
Egli era in Efeso quando si destò contro di lui una terribile persecuzione per arte di un
orefice chiamato Demetrio. Costui fabbricava piccoli templi d' argento entro cui si poneva una
statuetta della dea Diana, divinità venerata in Efeso e in tutta l'Asia. Ciò gli produceva
commercio e gran guadagno. Perciocchè la maggior parte dei {76 [242]} forestieri che venivano
alle feste di Diana portavano via seco loro questi segni di devozione. Demetrio ne era l'artefice
principale, è con ciò somministrava lavoro e sostentamento alle famiglie di molti operai. Di
mano in mano che cresceva il numero de' Cristiani diminuiva quello dei compratori delle
statuette di Diana. Laonde un giorno Demetrio radunò un gran numero di cittadini, e dimostrò
come non avendo essi altri mezzi per vivere, Paolo li avrebbe tutti fatti morir di fame. Almeno,
egli soggiungeva, non si trattasse che del nostro privato interesse; ma il tempio della nostra gran
Dea così celebrato in tutto il mondo è per essere abbandonato. A queste parole viene interrotto da
mille diverse voci che gridavano colla più furiosa confusione: la gran Diana degli Efesini! La
gran Diana degli Efesini! Tutta la città si pone sossopra; corrono schiamazzando in cerca di
Paolo e non potendolo tosto trovare strascinano seco loro due suoi compagni di nome Gaio ed
Aristarco. Un Giudeo per nome Alessandro volle parlare. Ma appena potè aprire la bocca, che da
tutte parti si misero a gridare con voce ancor più forte: La gran Diana degli Efesini: {77 [243]}
quanto è mai grande la Diana degli Efesini. Il quale grido fa ripetuto per due ore intiere.
Paolo voleva avanzarsi in mezzo al tumulto per parlare, ma alcuni fratelli conoscendo che
sarebbesi esposto ad una certa morte, glielo impedirono. Dio però, che ha in mano il cuore degli
uomini, restituì piena calma tra quel popolo in un modo inaspettato. Un uomo savio, un semplice
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segretario, e da quanto appare, amico di Paolo, riuscì a calmare quel furore. Appena potè parlare:
e chi è, si fece a dire, chi è che non sappia avere la città di Efeso una divozione ed un culto
particolare verso la gran Diana figliuola di Giove? Essendo tale cosa da tutti creduta, voi non
dovete turbarvi nè appigliarvi a così temerario rimedio, quasi possa cadere in dubbio tal
divozione da tutti i secoli stabilita. Quanto a Gaio ed Aristarco vi dirò che eglino non sono
convinti di alcuna bestemmia contro a Diana. Che se Demetrio ed i suoi compagni hanno
qualche cosa con essi, portino la loro causa dinanzi al tribunale.Che se noi continoviamo in
queste pubbliche dimostrazioni saremmo accusati di sedizione. A quelle parole il {78 [244]}
tumulto si acquietò, ed ognuno fece ritorno pei fatti suoi.
Dopo questa sommossa Paolo voleva tosto partire per la Macedonia, ma dovette ancora
sospendere la sua partenza a motivo di alcuni disordini avvenuti tra i fedeli della Galazia. Alcuni
falsi predicatori si diedero a screditar s. Paolo e le sue predicazioni asserendo che la dottrina di
lui era diversa da quella degli altri Apostoli e che la circoncisione e le cerimonie della legge di
Mosè erano assolutamente necessarie.
Il santo Apostolo scrisse una lettera in cui dimostra la conformita di dottrina tra lui e gli
altri Apostoli; prova che molte cose della legge di Mosè non erano più necessarie per salvarsi;
raccomanda di guardarsi bene dai falsi predicatori e gloriarsi solamente in Gesù, nel cui nome
augura pace e benedizioni.
Spedita la lettera ai fedeli della Galazia egli partì per la Macedonia dopo d'essere
dimorato tre anni in Efeso, cioè dall'anno cinquantesimo quarto all'anno cinquantesimo settimo
di G. Cristo.
Durante il soggiorno di s. Paolo in Efeso Dio gli fece conoscere in ispirito che lo {79
[245]} chiamava nella Macedonia, nella Grecia, in Gerusalemme e a Roma.
Capo XVI. S. Paolo ritorna a Filippi - Seconda lettera ai fedeli di
Corinto - Va in questa città - Lettera ai Romani - Sua predica
prolungata in Troade - risuscita un morto. - Anno di Cristo 58.
Prima di partire da Efeso, Paolo convocò i discepoli e fatta loro una paterna esortazione li
abbracciò teneramente, indi si pose in viaggio verso la Macedonia. Desiderava di fermarsi
qualche tempo a Troade, ove sperava pure di incontrar il suo discepolo Tito; ma non avendolo
trovato, mosso dal desiderio di presto intendere da lui lo stato della Chiesa di Corinto, partì da
Troade, attraversò l'Ellesponto, che oggidì chiamasi stretto dei Dardanelli e passò nella
Macedonia, ove dovette molto patire per la fede.
Ma Dio gli preparò una grande consolazione coll'arrivo di Tito che lo raggiunse nella
città di Filippi. Quel discepolo espose al santo Apostolo come la sua letterà {80 [246]} aveva
prodotto salutari effetti tra i Cristiani di Corinto, che il nome di Paolo era carissimo a tutti e che
ognuno ardeva del desiderio di presto vederlo.
Per dare in certa maniera sfogo ai paterni sentimenti del suo cuore l'Apostolo scrisse da
Filippi una seconda lettera nella quale si dimostra tutta tenerezza verso di quelli che si
conservavano fedeli, e riprende alcuni che cercavano di pervertire la dottrina di G. Cristo.
Avendo poi inteso che quel giovane, scomunicato nella sua prima lettera, si era sinceramente
convertito, anzi udendo da Tito che il dolore lo aveva quasi spinto alla disperazione, il santo
Apostolo raccomandò di usargli riguardo, lo assolvette dalla scomunica, e lo restituì alla
comunione dei fedeli. Colla lettera raccomandò molte cose a viva voce da comunicarsi per
mezzo di Tito che ne era il portatore. Accompagnarono Tito in questo viaggio altri discepoli tra i
quali s. Luca da alcuni anni Vescovo di Filippi. S. Paolo consacrò s. Epafrodito Vescovo per
quella città e così s. Luca divenne nuovamente compagno del Santo suo maestro nelle fatiche
dell'Apostolato.
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Dalla Macedonia Paolo si porto a Corinto, {81 [247]} dove ordinò quanto riguardava la
celebrazione dei santi misteri, siccome aveva promesso nella sua prima lettera, il che si deve
intendere di quei riti che in tutte le Chiese comunemente si osservano, come sarebbe il digiuno
prima della Santa Comunione ed altre cose simili che riguardano l'amministrazione dei
Sacramenti.
L'Apostolo passò l'inverno in questa città adoperandosi a consolare i suoi figliuoli in
Gesù Cristo, che non si saziavano di ascoltarlo e di ammirare in lui un zelante pastore ed un
tenero padre.
Da Corinto estese pure le sue sollecitudini ad altri popoli e specialmente ai Romani già
convertiti alla fede da s. Pietro con molti anni di fatiche e di patimenti. Aquila con altri suoi
amici, avendo inteso che era cessata la persecuzione, eransi di nuovo recati a Roma. Paolo seppe
da loro, che in quella metropoli dell'impero erano insorte dissensioni tra Gentili ed Ebrei. I
Gentili rimproveravano gli Ebrei perchè non avevano corrisposto ai benefizi ricevuti da Dio,
avendo ingratamente messo in croce il Salvatore; gli Ebrei dal loro canto facevano rimproveri ai
Gentili perche {82 [248]} avevano seguito l'idolatria e venerate le più infami divinita. Il santo
Apostolo scrisse la sua famosa lettera ad Romanos tutta piena di sublimi argomenti che egli tratta
con quell'acutezza d'ingegno, che è propria di un uomo dotto e santo e che scrive inspirato da
Dio. Non è possibile di abbreviarla senza pericolo di variarne il senso. Essa è la più lunga, la più
elegante di tutte le altre e più piena di erudizione. Ti esorto, o lettore, di leggerla attentamente,
ma colle debite interpretazioni che soglionsi unire alla volgata. Essa è la sesta lettera di s. Paolo e
fu scritta dalla città di Corinto l'anno cinquantesimo ottavo di G. Cristo. Ma pel grande rispetto,
che in ogni tempo si ebbe per la dignità della Chiesa di Roma, è annoverata la prima tra le
quattordici lettere di questo s. Apostolo. In questa lettera s. Paolo non parla di s. Pietro perchè
esso era occupato nella fondazione di altre chiese. Essa era portata da una diaconessa ovvero
monaca di nome Feba, che l'Apostolo raccomanda molto presso ai fratelli di Roma.
Volendo s. Paolo partire da Corinto per avviarsi a Gerusalemme venne a sapere che gli
Ebrei studiavano di tendergli insidie {83 [249]} nel cammino; perciò, in luogo di imbarcarsi nel
Porto Cencreo per Gerusalemme, Paolo tornò indietro e continuò il viaggio per la Macedonia. Lo
accompagnarono Sosipatro figliuolo di Pirro di Berea; Aristarco e Secondo di Tessalonica, Caio
di Derbe, e Timoteo di Listri, Tichico e Trofimo di Asia. Costoro vennero in compagnia di lui
fino a Filippi, dipoi, ad eccezione di Luca, passarono a Troade con ordine di aspettarlo colà
mentre egli sarebbesi trattenuto in questa città fin dopo le feste pasquali. Passata questa solennità
Paolo e Luca in cinque giorni di navigazione giunsero a Troade e vi si fermarono sette giorni.
Accadde che la vigilia della partenza di Paolo, era primo giorno della settimana, cioè
giorno di Domenica, in cui i fedeli solevano radunarsi per ascoltare la parola di Dio ed assistere
ai divini sacrifizi. Fra le altre cose facevano lo spezzamento del pane, cioè celebravano la Santa
Messa, a cui partecipavano i fedeli ricevendo il corpo del Signore sotto alla specie del pane. Fin
d' allora la Messa giudicavasi l' alto più sacro e più solenne per la santificazione del giorno
festivo. {84 [250]}
Paolo, che era per partire all'indomani, prolungò il discorso a notte alquanto avanzata e
per illuminare il cenacolo erano state accese molte lampade. Il giorno di Domenica, l'ora
notturna, il cenacolo nel terzo piano della casa, le molte, lampade accese attrassero immensa
folla di gente. Mentre tutti erano intenti al ragionamento di Paolo, un giovanetto di nome Eutico,
o per desiderio di vedere l'Apostolo o per poterlo meglio ascoltare era montalo sopra una finestra
e si assise sul davanzale. Óra sia pel caldo che ivi faceva; sia per l'ora tarda o forse per la
stanchezza, fatto sta che quel giovanetto si addormentò; e nel sonno abbandonandosi al peso del
proprio corpo cadde giù sul lastrico della pubblica strada. Si ode un lamento a risuonare per
l'assemblea; corrono e trovano il giovane senza vita.
Paolo discende subito a basso, e postosi colla persona sopra il cadavere, lo benedice, lo
abbraccia e col suo fiato o piuttosto colla viva fede in Dio lo restituisce a nuova vita. Operato
questo miracolo, senza badare agli applausi che da tutte parti si facevano, egli montò di nuovo
nel {85 [251]} cenacolo e continuò a predicare fino a giorno.
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La grande sollecitudine dei fedeli di Troade per assistere alle sacre funzioni deve servire
di eccitamento a tutti i Cristiani a santificare i giorni festivi con opere di pietà, specialmente
coll'udire divotamente la Santa Messa e coll'ascoltare la parola di Dio anche con qualche
incomodo.
Capo XVII. Predica di s. Paolo a Mileto - Suo viaggio fino a Cesarea -
Profezia di Agabo. - Anno di Cristo 58.
Sciolta quell'adunanza che aveva durato circa ventiquattro ore l'instancabile Apostolo
partì co' suoi compagni per Mitilene nobile città dell'isola di Lesbo. Di qui proseguendo il
viaggio in pochi giorni giunse a Mileto città della Caria, provincia dell'Asia minore. L'Apostolo
non avea voluto fermarsi ad Efeso per non essere obbligato daque' Cristiani, che teneramente
l'amavano, a sospendere di troppo il suo cammino. {86 [252]} Egli affrettavasi affine di giungere
a Gerusalemme per la festa di Pentecoste. Da Mileto Paolo mandò in Efeso a partecipare il suo
arrivo ai vescovi ed ai preti di quella città e delle province vicine invitandoli a venirlo a trovare
ed anche conferire con lui intorno alle cose della fede, seppure avesse fatto mestieri. Vennero in
gran numero.
Quando s. Paolo si vide circondato da que' venerandi predicatori del Vangelo, cominciò
ad esporre loro le tribolazioni sofferte giorno e notte per le insidie dei Giudei. «Ora io vado a
Gerusalemme, egli diceva, colà guidato dallo Spirito Santo il quale, in tutti i luoghi ove io passo,
mi fa conoscere le catene e le tribolazioni che in quella città mi aspettano. Ma nulla di ciò mi
spaventa, nè fo la mia vita più preziosa del mio dovere. A me poco importa vivere o morire,
purchè io termini la mia carriera rendendo gloriosa testimonianza al Vangelo che Gesù Cristo mi
ha affidato. Voi non vedrete più la mia faccia, ma badate a voi stessi e a tutto il gregge sopra cui
lo Spirito Santo vi ha costituiti vescovi per governare la Chiesa di Dio da lui acquistata col
prezioso {87 [253]} suo sangue.» Quindi passò ad avvisarli che dopo la sua partenza sarebbero
insorti lupi rapaci e uomini perversi per guastare la dottrina di Gesù Cristo. Dette queste parole si
posero tutti in ginocchio e fecero insieme orazione. Niuno poteva contenere le lagrime, e tutti si
gettavano sul collo di Paolo imprimendogli mille baci. Ed erano specialmente inconsolabili per
quelle parole, che non avrebbero più veduta la sua faccia. Per godere ancora alcuni momenti la
dolce di lui compagnia lo accompagnarono fino alla nave, e non senza una specie di violenza si
separarono dal loro caro maestro.
Paolo insieme co' suoi compagni da Mileto passò all'isola di Coo, molto rinomata per un
tempio dei Gentili dedicato a Giunone e ad Esculapio. Il giorno dopo giunsero a Rodi, isola
molto celebre specialmente pel suo colosso, che era una statua di straordinaria altezza e
grossezza. Di là vennero a Patara città capitale della Lidia, molto rinomata per un gran tempio
dedicato al Dio Apollo. Di qui navigarono fino a Tiro ove la nave doveva lasciare il suo carico.
Tiro è la città principale della Fenicia {88 [254]} ora detta Tor sulle rive del
Mediterraneo. Appena sbarcati trovarono alcuni profeti che andavano pubblicando i mali che al
santo Apostolo sovrastavano in Gerusalemme, e lo volevano distogliere da quel viaggio. Ma egli
dopo sette giorni volle partire. Quei buoni Cristiani colle mogli e co' loro ragazzi lo
accompagnarono fuori della città, ove piegate le ginocchia sul lido fecero secolui orazione.
Quindi scambiatisi i più cordiali saluti s'imbarcarono e vennero accompagnati dagli sguardi dei
Sidonesi finchè la lontananza della nave li tolse di vista. Giunti in Tolemaide si fermarono un
giorno per salutare e confortare quei Cristiani nella fede; continuando poscia il loro cammino
giunsero a Cesarea.
Ivi Paolo fu accolto con giubilo dal diacono Filippo. Questo santo discepolo dopo di aver
predicato il Vangelo ai Samaritani, all'eunuco della regina Candace e in molte città della
Palestina, aveva fissato il suo domicilio a Cesarea per attendere alla coltura di quelle anime che
egli aveva in Gesù Cristo rigenerate.
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Venne in quei tempi in Cesarea il profeta Agabo, e andato a far visita al {89 [255]} santo
Apostolo, gli tolse da dosso la cintura e legatisi con essa i piedi e le mani: ecco, disse, quanto lo
Spirito Santo apertamente mi dice: l'uomo a cui appartiene questa cintola, sarà in questa guisa
legato da' Giudei in Gerusalemme.
La profezia di Agabo commosse tutti gli astanti, perciocchè venivano sempre più resi
manifesti i mali che erano al santo Apostolo preparati in Gerusalemme; onde gli stessi compagni
di Paolo piangendo lo pregavano di non andarvi. Cui Paolo coraggiosamente rispondeva: Deh! vi
prego, non piangete. Con queste vostre lagrime non fate altro che accrescere afflizione al mio
cuore. Sappiate che io sono pronto non solo a patire le catene, ma ad incontrare anche la morte
pel nome di G. Cristo.
Allora tutti ravvisando la volontà di Dio nella fermezza del santo Apostolo dissero ad una
voce: sia fatta la volontà del Signore. Ciò detto partirono alla volta di Gerusalemme con un certo
Mnasone che era stato discepolo e seguace di G. Cristo. Egli aveva dimora fissa in Gerusalemme
ed andava seco loro per albergarli in casa sua. {90 [256]}
Capo XVIII. S. Paolo si presenta a s. Giacomo - Gli Ebrei gli tendono
insidie - Parla al popolo - Rimprovera il sommo Sacerdote. Anno di
Cristo 59.
Noi passiamo a raccontare una lunga serie di patimenti e di persecuzioni dal santo
Apostolo tollerate in quattro anni di prigionia. Dio volle preparare il suo servo a questi
combattimenti con farglieli molto prima conoscere; perciocchè i mali previsti cagionano minore
spavento e l'uomo è più disposto a sostenerli. Giunto Paolo e i suoi compagni a Gerusalemme,
furono accolti dai Cristiani di questa città coi segni della più grande benevolenza. Il giorno dopo
andarono a visitare il Vescovo della città, che era s. Giacomo il Minore, presso cui eransi pure
radunati i sacerdoti primarii della Diocesi. Paolo raccontò loro le maraviglie che Iddio aveva
operate pel suo ministero presso i Gentili. Di che tutti ringraziarono di cuore il Signore. {91
[257]}
Si fecero però premura di avvisare Paolo del pericolo che gli sovrastava. Molti Ebrei, gli
dissero, si convertirono già alla fede e di costoro parecchi sono tenacissimi della circoncisione e
delle cerimonie legali. Ora sapendosi che la dispensi i Gentili da queste osservanze avvi un astio
terribile contra di te. Fa mestieri adunque che dimostri come tu non sei nemico degli Ebrei. Fa in
questa maniera: nell'occasione che quattro Ebrei devono in questi giorni compiere un voto, tu
prenderai parte alla funzione e farai per loro le spese che occorrono per questa solennità.
Aderì prontamente Paolo al savio consiglio, e prese parte a quell'opera di pietà. Si recò
nel tempio e la funzione era sul finire, quando alcuni Giudei venuti dall'Asia eccitarono il popolo
contro di lui gridando: aiuto Israeliti, aiuto. Quest'uomo è colui che va per tutto il mondo
predicando contro al popolo, contro alla legge e contro a questo medesimo tempio. Egli non ha
dubitato di violarne la santità con introdurvi dentro de' Gentili.
Sebbene tali cose fossero una calunnia, tuttavia si mise a rumore tutta la città {92 [258]}
e fattosi gran concorso di popolo, presero s. Paolo, lo strascinarono fuori del tempio per metterlo
a morte come bestemmiatore. Ma il rumor del tumulto essendo giunto al tribuno Romano, questi
tosto accorse colle sue guardie. I sediziosi vedendo le guardie cessarono di percuotere Paolo e lo
consegnarono al tribuno, che fattolo legare ordinò che fosse condotto nella torre Antonia, che era
una fortezza ed un quartiere di soldati vicino al tempio. Lisia, tale era il nome del tribuno,
desiderava di sapere il motivo di quel tumulto, ma nulla potè sapere, perchè le grida e gli
schiamazzi del popolo soffocavano ogni voce. Mentre Paolo montava i gradini della fortezza, fu
mestiere che i soldati lo portassero sulle braccia per toglierlo dalle mani de' Giudei i quali non
potendolo aver in loro potere andavano schiamazzando: uccidilo, levalo dal mondo.
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Quando poi stava per entrare nella torre parlò così in greco al tribuno: mi è permesso dirti
una parola? Il tribuno si maravigliò che egli parlasse greco e gli disse: Sai tu il greco? Non sei tu
quell'Egiziano che poco fa eccitasti una {93 [259]} ribellione e teco nel deserto conducesti
quattro mila assassini? No certamente, rispose Paolo: io sono Giudeo, cittadino di Tarso, città
della Cilicia. Ma di grazia mi permetti di parlare al popolo? La qual cosa essendogli stata
concessa Paolo dai gradini della torre alzò alquanto la mano, aggravata dal peso delle catene, diè
segno al popolo di tacere e si fece ad esporre quello che riguardava alla sua patria, alla sua
conversione ed alla sua predicazione; e come Iddio lo aveva destinato a portare la fede tra i
Gentili.
Il popolo lo aveva ascoltato con profondo silenzio fino a queste ultime parole; ma quando
intese a parlare de' Gentili, come agitato da mille furie, proruppe in grida forsennate, e chi per
isdegno gettava a terra le proprie vesti, chi spargeva in aria la polvere, e tutti gridavano: costui è
indegno di vivere, sia tolto dal mondo.
Il tribuno che nulla aveva capito del discorso di s. Paolo, perchè aveva parlato in lingua
ebraica, temendo che il popolo venisse a gravi eccessi comandò a suoi di condur Paolo nella
fortezza, dipoi flagellarlo, e metterlo alla tortura per costringerlo così a svelare la cagione {94
[260]} della sedizione. Ma Paolo, che sapeva non essere ancora venuta l' ora, in cui dovesse
patire simili mali per amor di G. Cristo, si volse al centurione incaricato di far eseguire
quell'ordine ingiusto: e ti pare, gli disse, che sia lecito di flagellare un cittadino romano, senza
che sia condannato? Udendo tale cosa il centurione corse dal tribuno dicendogli: Qual cosa tu sei
mai per fare? Non sai che quest'uomo è cittadino Romano?
Il tribuno ebbe paura: perchè aveva fatto legare Paolo, la qual cosa portava pena di morte.
Si recò egli stesso da Paolo e gli disse: dimmi: sei tu veramente cittadino Romano? Egli rispose:
lo sono veramente. Io, soggiunse il tribuno, ho comperato a ben caro prezzo tal diritto di
cittadinanza romana. Ed io, replicò Paolo, ne godo per la mia nascita. Ciò saputo fece sospendere
l'ordine di mettere Paolo alla tortura, ed il tribuno stesso ne fu in apprensione, e studiò un altro
mezzo per sapere le accuse che si facevano dai Giudei contro di lui. Ordinò che il dì seguente si
radunassero il senato e tutti i sacerdoti Ebrei, indi, {95 [261]} fatte togliere le catene a Paolo, lo
fece venire in mezzo al concilio.
L'Apostolo fissati gli occhi in quella assemblea: io, disse, o fratelli, fino a questo giorno
ho camminato dinanzi a Dio con buona coscienza. Appena udite queste parole il Sommo
Sacerdote, di nome Anania, comandò ad uno degli astanti che desse a Paolo una forte guanciata.
L'Apostolo non giudicò di tollerare sì grave ingiuria; e colla libertà e zelo che usavano gli antichi
profeti: muraglia imbiancata, gli disse, Dio percuoterà te, siccome tu hai fatto percuotere me,
perchè fingendo di giudicare secondo la legge mi fai percuotere contro alla legge medesima.
Udite queste parole, tutti si risentirono. Olà, gli dissero, hai tu l'ardimento di maledire il sommo
Sacerdote. Perdonatemi, o fratelli, rispose Paolo, io non sapeva che questi fosse il principe de'
Sacerdoti, perciocchè ben conosco la legge che proibisce di maledire il principe del popolo.
Paolo non aveva conosciuto il principe de' sacerdoti o perchè egli non aveva le divise del
suo grado, o non parlava e non agiva colla dignità che a tal persona si conveniva. {96 [262]} Nè
s. Paolo malediceva Anania ma prediceva i mali che sarebbero per piombare sopra di lui come di
fatti avvennero. Per cavarsi in qualche maniera dalle mani de' suoi nemici Paolo unì la semplicità
della colomba alla prudenza del serpente, e sapendo essere l' adunanza composta di Saducei e di
Farisei, pensò di mettere divisioni tra di loro esclamando: Io, fratelli, sono Fariseo, figliuolo ed
allievo de' Farisei. Il motivo per cui sono chiamato in giudizio è la mia speranza nella
risurrezione de' morti. Queste parole fecero nascere gravi dissensioni tra gli uditori; chi era
contro di Paolo, chi a favore di lui.
Intanto si alzò un clamore che faceva temere gravi disordini. Il tribuno, temendo che i più
arrabbiati si avventassero contro di Paolo e lo facessero in brani, ordinò ai soldati che lo
togliessero dalle loro mani e lo riconducessero nella torre. Dio però volle consolare il suo servo
di quanto aveva patito in quella giornata. Nella notte gli comparve e gli disse: fatti animo: dopo
di avermi renduta testimonianza in Gerusalemme, tu farai altrettanto in Roma. {97 [263]}
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Capo XIX. Quaranta Giudei si obbligano con volo di uccidere s. Paolo;
- Un suo nipote scopre la trama. - È traslocato a Cesarea - Anno di
Cristo 59.
I Giudei veduto fallito il loro disegno passarono la seguente notte in varii progetti.
Quaranta di loro presero la disperata risoluzione di obbligarsi con voto a non più nè mangiare nè
bere prima che non avessero ucciso Paolo. Ordita questa congiura si recarono dai principi dei
Sacerdoti e dai seniori raccontando loro il fatto proponimento. Per aver quel ribaldo nelle mani,
soggiunsero: noi abbiamo trovata una via ben sicura; resta solo che voi ci diate la mano. Fate
sapere al tribuno in nome del Sinedrio che voi avete ancora da esaminare alcuni articoli della
causa di Paolo; e che però dimani ve lo presenti nuovamente. Egli di certo accondiscenderà a
questa dimanda. Ma state sicuri che prima che Paolo sia condotto dinanzi a voi, noi con {98
[264]} queste mani lo faremo a brani. I seniori lodarono il progetto e promisero di coadiuvarli. O
sia che qualcheduno de' congiurati non abbia serbato il segreto; o sia che non abbiano badato a
chiudere l'uscio quando ordirono il loro progetto, certo è che furono scoperti. Un figliuolo della
sorella di Paolo seppe ogni cosa e corso alla torre, ebbe modo di passare in mezzo alle guardie,
presentarsi allo zio, e raccontargli il filo di tutta la trama. Paolo instruì bene il nipote sulla
maniera di regolarsi. Chiamato poscia un uffiziale che gli stava per guardia dissegli: Ti prego di
condurre cotesto giovanetto al capitano, egli ha qualche cosa a comunicargli.
Il centurione il menò dal cspitano e gli disse: quel Paolo che è in prigione mi pregò di
condurti questo giovanetto perchè ha cosa importante a dirti.
Il capitano prese per mano il giovanetto e tiratolo seco in disparte, gli dimandò che cosa
volesse dirgli. I Giudei, egli rispose, si radunarono insieme per venirti a pregare dimani, che tu
voglia di nuovo condur Paolo nel concilio sotto colore di voler fare più sottile esame della {99
[265]} causa di lui. Ma tu non voler credere: sappi che gli tendono insidie, e quaranta di loro si
sono obbligati con voto orribile di non più mangiare nè bere finchè non l' abbiano ucciso. Ed ora
stanno apparecchiati per farlo in pezzi, passando dalla torre al concilio. Or tu sai quel che
bisogna fare. Bravo, disse, il capitano, hai fatto bene a dirmi tali cose. Ora vattene pure, ma non
dire ad alcuno che tu me l' abbia fatto sapere.
Da questa disperata risoluzione comprese Lisia che il ritenere più a lungo Paolo in
Gerusalemme era lasciarlo in pericolo, da cui forse non lo avrebbe potuto salvare.
Perciò senza mettere tempo in mezzo egli chiamò due centurioni e loro parlò cosi:
mettete all' ordine 200 soldati di armatura ordinaria e altrettanti armati di lancia con settanta
uomini a cavallo ed accompagnino Paolo fino a Cesarea. Preparate anche una cavalcatura per lui
onde sia condotto colà sano e salvo, e si presenti al governatore Felice. Il tribuno accompagnò
Paolo con una lettera al Governatore che è del tenor seguente: «Claudio Lisia all'ottimo
Governatore {100 [266]} Felice salute. Ti mando quest'uomo che, preso dai Giudei, era sul
punto di essere da loro ucciso. Sopravvenuto co' miei soldati lo tolsi dalle loro mani avendo
saputo che è cittadino romano. Volendo poi informarmi qual delitto avesse commesso lo
condussi nel Sinedrio, e trovai che egli era accusato per conto di certe gare di religione. Del resto
io non ho trovato in lui cosa alcuna che meriti morte o prigione. Ma essendomi or ora riferito che
gli è tramata la morte, ho pensato bene di mandarlo a te, invitando nel tempo stesso i suoi
accusatori che vadano a dire dinanzi al tuo Tribunale quanto loro occorre contro di lui. Sta sano.
In esecuzione degli ordini ricevuti quella medesima notte i soldati partirono con Paolo e
lo condussero ad Antipatride che è una città posta a metà cammino tra Gerusalemme e Cesarea.
A quel punto di strada non temendo più di essere assaliti dai Giudei, rimandarono 400 soldati a
Gerusalemme, e Paolo accompagnato dai soli 70 a cavallo giunse il dì seguente a Cesarea.
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Così Iddio in una maniera la più semplice liberava il suo Apostolo da un {101 [267]}
grave pericolo, e faceva conoscere che i progetti degli uomini tornano sempre vani quando sono
contrarii al' volere divino.
Capo XX. Paolo dinanzi al governatore Felice. - I suoi accusatori e la
sua difesa. Anno di Cristo 59.
Il dì seguente Paolo giunse a Cesarea, e fu presentato al Governatore colla lettera del
capitano Lisia. Letta la lettera, il Governatore tirò Paolo in disparte e. inteso come egli era di
Tarso, io, dissegli, ti ascolterò quando saranno giunti i tuoi accusatori. Intanto lo fece condurre
nella prigione del suo palazzo.
I quaranta congiurati quando si videro fallito il colpo rimasero sbalorditi. Giova credere
che senza badare al voto fatto siansi posti a mangiare e bere per continuare la loro trama.
D'accordo e insieme col sommo sacerdote, coi seniori e con un certo Tertullo, che aveva fama di
robusto oratore, partironsi alla volta di Cesarea, dove giunsero cinque giorni dopo {102 [268]}
l'arrivo di Paolo. Venuti tutti alla presenza del Governatore, Tertullo prese a parlare cosi contro
di Paolo. Abbiamo trovato quest'uomo pestilenziale che suscita rivoluzioni fra gli Ebrei per tutto
il mondo. Egli è il Capo della setta de' Nazarei. Costui ha altresì tentato di profanare il nostro
tempio, e noi avendolo colto volevamo giudicarlo secondo la nostra legge; ma sopravvenendo il
capitano Lisia ce lo cavò a viva forza dalle mani. Esso ordinò che gli accusatori di esso Paolo
dovessero a te presentarsi. Ora noi siamo qui. Da lui medesimo, esaminandolo, potrai avere
piena notizia dei delitti che noi gl'imputiamo. Quanto aveva asserito Tertullo fu tutto confermato
dai Giudei che si trovavano presenti.
Paolo avuta permissione dal Governatore di rispondere prese a difendersi così: Poichè,
ottimo Felice, da parecchi anni governi questo paese, tu sei certamente in grado di conoscere le
cose qui avvenute. Perciò di buon grado intraprendo a giustificarmi davanti a te. Credo che ti sia
noto non essere più di dodici giorni da che io venni a fare le mie divozioni in Gerusalemme. In
questo breve spazio di tempo niuno certamente può dire di avermi tròvato {103 [269]} nel
tempio, o nelle sinagoghe o in altro luogo pubblico o privato a disputare con alcuno, o radunar
gente, e tirarmi dietro concorso di popolo. Perciò essi non possono provare alcuna cosa di quanto
asseriscono. Ma io ti posso assicurare che credo con essi ai profeti, alla legge di Mosè, alla
risurrezione dei morti; perciò io servo a Dio Padre, e procuro sempre che la mia coscienza abbia
nulla a rimproverarmi nè davanti a Dio, nè davanti agli uomini. Dopo molti anni di assenza io
sono ritornato in Gerusalemme per portarvi le limosine altrove raccolte a favore dei poveri di
questi paesi e per adempire alcuni miei voti. I Giudei mi trovarono nel tempio occupato in tali
esercizi di pietà, purificato come comanda la legge senza radunar gente, nè cagionar tumulto.
Quei che mi hanno trovato sono alcuni Giudei dell'Asia, i quali, se avevano qualche cosa a
deporre contro di me, dovevano venir qui per accusarmi. Neppure quelli che sono qui presenti
possono dire che io sia stato convinto di qualche colpa nel medesimo concilio: ad eccezione che
vogliamo chiamare colpa {104 [270]} l'aver detto che io credo alla risurrezione dei morti.» Fin
qui Paolo.
I suoi accusatori rimasero confusi, e guardandosi l'un l'altro non trovavano parole da
profferire. Il medesimo governatore, già inclinato a favore dei cristiani, sapeva come essi, ben
lungi dall'essere uomini sediziosi, erano i più docili e i più fedeli fra i suoi sudditi. Ma non volle
profferir sentenza e si riserbò di udirlo nuovamente quando il capitano Lisia fosse venuto da
Gerusalemme a Cesarea. Frattanto comandò che Paolo fosse meglio trattato e sciolto dalle catene
potesse essere visitato ed assistito da' suoi parenti e amici.
Qualche tempo dopo il Governatore forse per appagare sua moglie, che era Giudea, fece
venire Paolo alla sua presenza per udirlo a parlare di religione. L'apostolo espose così al vivo le
verità della fede, il rigore de giudizi che Dio sarà per fare degli empi nell'altra vita, che Felice
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Don Bosco - Vita di S. Paolo apostolo
spaventato e commosso: basta, disse, per ora. Ti ascolterò di nuovo a tempo più comodo. Diffatti
fece più altre volte chiamare l'apostolo, ma non per istruirsi nella fede; bensì colla speranza di
farsi dare qualche somma di danaro, onde lasciar {105 [271]} il santo apostolo in libertà. Perciò
sebbene egli conoscesse l'innocenza di Paolo, nulladimeno lo fece tener due anni prigione in
Cesarea. - Cosi fanno quei cristiani che o per temporal guadagno, o per piacere agli uomini
vendono la giustizia, e violano i più sacri doveri della coscienza e della religione.
Capo XXI. Paolo dinanzi a Festo. - Sue parole al re Agrippa. Anno di
Cristo 60.
Erano omai due anni da che il santo apostolo era tenuto prigione, quando a Felice
succedette un altro governatore di nome Festo. Tre giorni dopo del possesso di sua carica il
novello governatore andò in Gerusalemme e subito i principi de' sacerdoti ed i primari Giudei si
recarono a lui per rinnovare le accuse contro al santo Apostolo. Gli dimandarono come favore
particolare ch'egli lo facesse condurre a Gerusalemme, per essere giudicato nel sinedrio; ma ciò
dicevano con animo di farlo assassinare lungo la strada. {106 [272]} Festo, forse già avvisato di
non fidarsi di loro, rispose che egli doveva presto ritornare in Cesarea; quelli tra di voi, diceva,
che hanno qualche cosa da dire contro di Paolo, vengano anch'essi colà ed ascolterò le loro
accuse.
Dopo alcuni giorni Festo ritornò a Cesarea e con lui i Giudei accusatori di Paolo. Il dì
seguente fece venire il santo Apostolo davanti al suo tribunale, e i Giudei gli fecero molte gravi
accuse, senza però poterne addurre le prove. Paolo rispose loro con poche parole, e i suoi
accusatori si tacquero. Se non che Festo bramando di acquistarsi la benevolenza degli Ebrei, gli
dimandò se voleva andare a Gerusalemme per essere giudicato nel gran Sinedrio in sua presenza.
Accortosi Paolo che Festo inclinava a riporlo nelle mani de' Giudei: io, rispose, non ho fatto
alcun male contro agli ebrei, come tu hai benissimo inteso; che se in me avvi qualche colpa, fossi
anche reo di morte, non mi spavento, ma voglio essere giudicato al tribunale di Cesare, a lui mi
appello. Questo appello del nostro Apostolo era giusto e secondo le leggi romane; perciocchè
quel governatore dimostravasi {107 [273]} disposto a dare un cittadino romano, conosciuto
innocente, in potere degli Ebrei, che a qualunque costo il volevano morto. I santi padri riflettono,
che non il desiderio della vita, ma il bene della Chiesa, lo inspirò di appellarsi a Roma, dove per
divina rivelazione sapeva quanto doveva lavorare per la gloria di Dio e per la salute delle anime.
Festo dopo di aver conferito col suo consiglio rispose: ti sei appellato a Cesare, a Cesare
andrai.
Non molti giorni dopo venne a Cesarea il re Agrippa, figliuolo di quell'Agrippa che
aveva fatto morire S. Giacomo il maggiore e mettere in prigione S. Pietro. Egli era venuto con
sua sorella, di nome Berenice, a fare i dovuti complimenti al nuovo governatore della Giudea.
Essendosi ivi trattenuti varii giorni, Festo loro parlò del processo di Paolo. Agrippa dimostrò
desiderio di udirlo. Per appagarlo Festo fece addobbare una sala con molta pompa, e invitando
eziandio all'udienza i tribuni e gli altri magistrati fece condurre Paolo alla presenza di Agrippa e
di Berenice. Ecco, disse Festo, quell'uomo contro cui ricorse a me tutta la moltitudine de' Giudei,
protestando con {108 [274]} grandi clamori essere egli indegno di vivere; io però non ho trovato
in lui colpa di morte. Nondimeno essendosi appellato al tribunale dell' imperatore, io debbo
mandarlo a lui. Ma poichè non ho alcuna cosa certa da scrivere al nostro sovrano, ho giudicato
bene di condurlo davanti a voi, e principalmente avanti a te, o re Agrippa, acciocchè lo ascolti, lo
interroghi, e dipoi mi dica che cosa debba scrivere, non parendomi cosa conveniente mandare un
prigioniero a Roma senza dare informazioni intorno alla causa di sua prigionia.
Agrippa rivoltosi a Paolo disse: ti è permesso di parlare per tua difesa. Paolo cominciò a
parlare cosi: «io mi giudico veramente fortunato, o Re, che oggi mi sia dato di fare le mie difese
in tua presenza contro le accuse de' Giudei. Ti prego adunque di ascoltarmi colla solita tua bontà.
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tutti i Giudei sanno come nella mia gioventù ho professata la setta de' Farisei. Anche
presentemente io sono accusato dagli Ebrei perchè credo alla futura risurrezione. Io però secondo
i pregiudizi della mia setta giudicai di fare una crudel guerra contro di Gesù Nazareno. Il che
{109 [275]} feci primieramente in Gerusalemme, occupandomi a tutta possa per bestemmiare e
far bestemmiare il suo nome. Non solo nella Giudea ma nei paesi stranieri mi diedi a
perseguitare i cristiani. Per tale effetto colla facoltà dei principi dei sacerdoti io mi portava a
Damasco, quando, o Re, sul mezzogiorno, nella pubblica strada vidi a risplendere intorno a me e
intorno a quelli di mia compagnia una luce più viva di quella del sole. Tutti fummo gettati a
terra; io solo intesi una voce che nel mio linguaggio nativo diceva: Saulo, Saulo, e perchè mi
perseguiti? Qui avendo io dimandato chi egli fosse, mi udii replicare essere egl quel Gesù contro
al quale io promoveva il fuoco della persecuzione. Soggiunse essermi apparso per mandarmi a
portare la luce del Vangelo ai gentili, per aprire loro gli occhi, liberarli dalla potestà di Satana, e
condurli a Dio mediante la fede in lui e la penitenza.
Cosi confortato da Dio mi diedi a predicare in tutte le parti della Giudea e finalmente ai
gentili, ripetendo a tutti che facessero opere degne di penitenza. Unicamente per questa mia
predicazione {110 [276]} i giudei avendomi veduto nel tempio mi arrestarono e fecero ogni loro
sforzo per uccidermi. Ma coll' aiuto divino ho finora attestato in faccia a tutto il mondo come
Gesù Cristo ha patito, e morto e che di poi è risorto glorioso per non mai più morire, cose tutte
predette da Mosè e dai profeti.»
Festo interruppe questo discorso dell'Apostolo e ad alta voce esclamò: tu sei pazzo, o
Paolo, il molto studio e le molte lettere ti hanno sconvolto il cervello. A cui Paolo: io non son
pazzo, o ottimo Festo, nè questi miei discorsi sono da pazzo, ma di verità e di buon senso. Il Re,
alla cui presenza io parlo, deve essere certamente informato di tali cose. lo credo che egli le
sappia tutte, essendo succedute pubblicamente. Credi, o Re Agrippa, ai profeti? Io son certo, che
tu presti loro un'intera credenza.
Interruppe Agrippa dicendo: poco ci manca, o Paolo, che tu mi faccia cristiano. Ed io,
replicò Paolo, prego Iddio che nulla ci manchi, sicchè non solo tu, o Re, ma ancora tutti quelli
che mi ascoltano, in questo medesimo giorno divengano {111 [277]} come sono io, ma senza
queste catene.
Allora il Re, il Governatore, Berenice e gli altri assessori si alzarono, e ritiratisi in
disparte si consigliarono sul parere da proferire. Conchiusero tutti di non trovare in Paolo cosa
alcuna che meritasse o morte o catene nè alcun' altra benchè minima pena.
Agrippa disse chiaramente a Festo, che lo avrebbe potuto mettere in libertà se egli non si
fosse appellato a Cesare.
Così il ragionamento di Paolo, che avrebbe dovuto convertire tutti quei giudici, servi a
nulla, perchè essi chiusero il cuore alle grazie che Dio voleva loro compartire. È questa
un'immagine di quei cristiani che ascoltano la parola di Dio, ma non si risolvono di mettere in
pratica le buone inspirazioni che talora sentonsi nascere in cuore. {112 [278]}
Capo XXII. S. Paolo è imbarcato per Roma - Soffre una terrìbile
burrasca, da cui è salvato co' suoi compagni. Anno di Gesù Cristo 60.
Come fu da Festo deciso che Paolo sarebbe stato condotto a Roma per mare, venne
affidato insieme con molti altri prigionieri ad un centurione di nome Giulio. Con lui erano i suoi
due fedeli discepoli Aristarco e Luca. Montarono essi in una nave che veniva da Adrumeto, città
marittima dell'Affrica. Costeggiando la Palestina giunsero a Sidone il giorno seguente. Il
centurione, che li accompagnava, si accorse tosto che Paolo non era uomo volgare, e
ammirandone le virtù cominciò a trattarlo con riguardo, e sbarcati a Sidone gli diede piena
licenza di visitare gli amici, trattenersi con essi e ricevere qualche ristoro.
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Da Sidone navigarono lungo le coste dell'isola di Cipro, e poichè il vento era alquanto
contrario, traversarono il mare della Cilicia e della Panfilia, che è una {113 [279]} parte del
Mediterraneo, e giunsero a Mirra città della Licia. Quivi il centurione avendo trovato una nave,
che da Alessandria andava in Italia con carico di frumento, trasportò sopra di essa i suoi
passeggieri, ma navigando assai lentamente durarono gran fatica per giungere fino all'isola di
Creta, che oggidì si nomina Candia. Fermaronsi alquanto ad un luogo detto Boniporto vicino a
Salassa città di quell'isola.
Essendo la stagione molto avanzata, Paolo certamente inspirato da Dio esortava i
marinari a non arrischiarsi di continuare la navigazione per un tempo cosi pericoloso. Ma il
piloto ed il padrone della nave facendo niun conto delle parole di Paolo affermavano che nulla
eravi a temere. Partirono adunque affine di pervenire ad un altro porto di quell' isola detto
Fenice, sperando di poter colà passare con maggior sicurezza l'inverno. Ma fatto breve cammino
la nave fu scossa da un forte vento, cui non potendo resistere, i naviganti si videro costretti di
abbandonar se stessi e la nave a discrezione delle onde. Pervenuti a Cauda, che è un' isoletta
poco distante {114 [280]} da Candia, si accorsero di essere vicini ad un banco di sabbia, e
temendo di rompere la nave contro di esso, si sforzavano per prendere altra direzione. Ma
infuriando vie più la burrasca, ed agitandosi sempre più la nave, si trovarono tutti in gran
pericolo. Gettarono nelle acque le merci, di poi gli arredi e gli armamenti della nave per
alleggerirla. Tuttavia dopo parecchi giorni non apparendo più nè sole nè stelle, e la tempesta
imperversando maggiormente pareva perduta ogni speranza di salvezza. A questi mali si
aggiungeva che, o per la nausea del mare in burrasca, o per la paura della morte, niuno pensava a
mangiare. La qual cosa tornava di gran danno; perciocchè ai marinai mancavano le forze per
governare la nave. Si pentirono allora di non aver secondato il consiglio di Paolo, ma era tardi.
Paolo vedendo lo scoraggiamento tra i marinari e tra i passeggieri, animato dalla fiducia
in Dio li confortò parlando loro cosi: ecco fratelli, voi dovevate credere a me e non partirvi da
Creta; così avremmo risparmiato queste perdite e queste disgrazie. Nondimeno fatevi coraggio,
{115 [281]} credetemi, a nome di Dio vi assicuro, che nessuno di noi si perderà; solamente la
nave andrà in pezzi. Imperciocchè questa notte mi è apparso l'angelo del Signore e mi disse: non
temere, o Paolo, tu devi essere presentato a Cesare; e per tuo riguardo Dio dà la vita a tutti coloro
che navigano teco. Per la qual cosa fate cuore, o fratelli, ogni cosa avverrà come fu da Dio
promessa.
Intanto erano già scorsi quattordici giorni dacchè pativano tale burrasca, ed ognuno
credevasi da un momento all'altro di essere ingoiato dalle onde. Era la mezzanotte, quando nel
buio delle tenebre parve ai marinari di avvicinarsi a terra. Per accertarsene gettarono giù in mare
le àncore, ossia lo scandaglio, e trovarono l'acqua solo alta venti piedi, dipoi solamente quindici.
Temendo allora di dare in qualche scoglio gettarono giù quattro àncore per fermare la nave,
aspettando la luce del giorno che loro facesse vedere, dove erano.
In quel momento entrò in pensiero ai marinai di fuggire dalla nave e tentare di salvarsi su
quella terra che loro pareva vicina. Paolo sempre guidato da lume {116 [282]} divino voltosì al
centurione ed ai soldati disse: se costoro non rimangono, voi non potrete essere salvi, perchè Dio
non vuole essere tentato a far miracolo. A queste parole tutti si tacquero, e si tennero al consiglio
di Paolo. Sul far del giorno il santo apostolo diede un'occhiata a quelli che erano sopra la nave e
rimirandoli tutti spossati dalle fatiche e sfiniti dal digiuno si fece loro a parlare così: fratelli,
corre il decimoquarto giorno dacchè aspettando maggior tranquillità non avete più gustato cosa
alcuna. Ora vi prego di non lasciarvi così morir d'inedia. Io vi ho già assicurati, e vi assicuro
tuttora che neppure uno de' vostri capelli perirà. Coraggio adunque. Ciò detto Paolo prese del
pane, rese grazie a Dio, lo spezzò, e alla presenza di tutti si mise a mangiare. Allora tutti fecero
cuore, e mangiarono insieme con lui, ed erano in numero di 276.
Ma continuando la furia dei venti e delle onde furono costretti a gettare in mare anche il
frumento che avevano serbato per loro uso. Fattosi giorno parve loro di vedere un seno, e si
adoperavano per ispingere la nave colà e cercare salvezza, Ma sospinta dalla gagliardia {117
[283]} de' venti la nave andò a battere in una lingua di terra coperta dall'acqua, sicchè cominciò a
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rompersi e sfasciarsi. Vedendo l'acqua penetrare da varie fessure della nave, i soldati volevano
prendere il crudele partito di ammazzare tutti i prigionieri sia per alleggerire la nave, sia perchè
non fuggissero dopo essersi salvati a nuoto.
Ma il centurione, che amava Paolo e voleva salvarlo, non approvò tal consiglio, anzi
ordinò che quelli i quali sapessero nuotare, si gittassero in mare per giungere a terra; gli altri
furono fatti montare sopra alcune tavole o sopra frammenti di barca; e cosi giunsero tutti sani e
salvi al lido.
Capo XXIII. S. Paolo nell'isola di Malta; è liberato dal morso di una
vipera; è accolto in casa di Publio, di cui guarisce il padre - Anno di
Cristo 60.
Nè Paolo nè i suoi compagni avevano conoscenza della terra sopra cui eransi {118 [284]}
gettati dal mezzo delle onde. Informatisi dai primi che incontrarono seppero che quel luogo
appellavasi Melita oggidì Malta, che è un' isola del Mediterraneo posta tra l' Affrica e la Sicilia.
Alla notizia di quel gran numero di forestieri che a guisa di sorci e di pesci erano usciti dalle
onde del mare corsero quei popolani e sebbene barbari furono inteneriti al vederli cosi stanchi,
sfiniti e tremanti pel freddo, e a fine di riscaldarli accesero un gran fuoco.
Paolo altresì, sempre attento ad esercitare opere di carità, andò a raccogliere un fascio di
sarmenti. Or mentre li metteva sopra il fuoco, una vipera che era dentro intorpidita dal freddo,
scossa dal calore saltò fuori e coi denti si attaccò alla mano di Paolo. Quei barbari al vedere così
la bestia pendente dalla sua mano si fecero cattiva opinione di Paolo e andavano gli uni agli altri
dicendo: bisogna che costui sia un omicida o qualche gran scellerato; egli scampò appena dal
mare, ora la vendetta del cielo lo colpisce sopra la terra. Ma quanto dobbiamo guardarci dal
giudicare temerariamente del nostro prossimo! {119 [285]}
Paolo ravvivando la fede in Gesù Cristo, che aveva assicurato ai suoi Apostoli che nè
serpenti nè veleni avrebbero, loro recato alcun danno, Paolo, dico, scossa la mano, gittò la vipera
nel fuoco e non ricevette alcun male. Quella buona gente stava aspettando, che entrato il veleno
nel sangue di Paolo, egli dovesse gonfiare e cader morto fra pochi istanti, siccome accadeva a
quelli che avevano la disgrazia di essere morsi da quegli animali. Aspettarono un bel pezzo e
veduto che nulla gli avveniva di male, cangiato il giudizio in contrario, dicevano che Paolo era
un qualche Dio disceso dal cielo. Forse credevano che egli fosse Ercole creduto Dio e protettore
di Malta. Dicono le favole, che Ercole essendo ancora bambino abbia ucciso un serpente, detto
perciò ofiotico cioè uccisore di serpenti.
Iddio confermò questo primo prodigio con un altro ancora più strepitoso e permanente;
perciocchè fu tolta ogni forza di veleno ai serpenti di quell'isola, sicchè da quell'epoca in poi non
si ebbe più a temere il morso delle vipere. Che più? Si vuole che la medesima terra {120 [286]}
dell' Isola di Malta portata altrove sia rimedio sicuro contro ai morsi delle vipere e dei serpenti.
Il governatore dell' Isola, che era un principe di nome Publio, uomo molto ricco, come
seppe il modo maraviglioso con cui que' forestieri erano stati salvati dalle acque, e informato o
essendo stato testimonio del miracolo della vipera, egli mandò ad invitare Paolo e i suoi
compagni che erano colà approdali in numero di 276. Li accolse in casa sua e gli onorò per tre
giorni dando loro alloggio e vitto a sue spese. Dio non lasciò senza ricompensa la liberalità e
cortesia di Publio. - Egli aveva suo padre in letto travaglialo da febbri e da grave dissenteria che
lo avevano condotto al punto di morte. Paolo andò a vedere l'ammalalo, e dopo avergli dette
alcune parole di carita e di consolazione, si pose a pregare. Levatosi di poi in piedi si avvicinò al
letto, impose le mani sopra l'infermo che rimase sull' istante guarito. Cosicchè il buon vecchio
libero da ogni male con piena sanità corse ad abbracciar suo figliuolo benedicendo Paolo e quel
Dio che egli predicava. Publio, suo padre e {121 [287]} la sua famiglia (cosi assicura s.
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Giovanni Gris.) pieni di gratitudine verso il grande Apostolo si fecero ammaestrare nella fede e
ricevettero per mano di Paolo il battesimo.
Sparsa la notizia della guarigione miracolosa del padre di Publio, tutti quelli che erano
ammalati o avevano infermi di qualunque malattia andavano o si facevano portare ai piedi di
Paolo, ed egli benedicendoli in nome di G. C. li rimandava tutti sanati, benedicendo Iddio e
credendo al Vangelo. In breve tempo tutta quell'Isola ricevette il Battesimo, e abbattuti i templi
degli Idoli, furono consacrati al culto del vero Dio.
Capo XXIV. Viaggio di san Paolo da Malta a Siracusa - Predica in
Reggio - Suo arrivo in Roma - Anno di Cristo 60.
I maltesi erano pieni di entusiasmo per Paolo e per la dottrina da lui predicata, per modo
che oltre di venire in folla alla fede andavano eziandio a gara {122 [288]} per somministrare a
lui e a suoi compagni quanto occorreva e pel tempo che dimorarono in Malta, e per fare il
viaggio fino a Roma. Paolo dimorò in Malta tre mesi, a motivo dell'inverno in cui il mare non è
navigabile. Si vuole comunemente che in quello spazio di tempo egli abbia avviato Publio nella
perfezione cristiana, e che prima di partire lo abbia ordinato vescovo di quell'Isola; il che
certamente a quei fedeli tornò di grande consolazione.
Venuta la primavera e decisa la partenza per Roma, il centurione Giulio si aggiustò con
una nave che da Alessandria andava verso l'Italia, e che per insegna aveva due dei chiamati
Castore e Polluce, che gli idolatri credevano protettori della navigazione. Con gran
rincrescimento dei Maltesi s'imbarcarono verso la Sicilia, che è un' isola molto vicina all'Italia, e
favoriti dal vento giunsero in breve a Siracusa, città principale di quest' Isola. Quivi il Vangelo
era già stato predicalo da s. Pietro, il quale vi aveva ordinato vescovo s. Marciano. Questo degno
Pastore volle albergare in sua casa il santo Apostolo e gli fece celebrare {123 [289]} i santi
misteri in una grotta con grande allegrezza di lui e di quei fedeli. Una Chiesa antichissima, che
sussiste ancora oggidì in quella città, è dedicata al nostro santo Apostolo e si crede che sia stata
innalzata sopra la grotta medesima ove s. Paolo aveva predicato la parola di Dio, e celebrati i
divini misteri.
Partendo da Siracusa costeggiò l'isola della Sicilia, passò il porto di Messina e giunse co'
suoi compagni a Reggio città e porto della Calabria, vicinissimo alla Sicilia. Quivi si fermò un
giorno.
Accreditati storici di quel paese raccontano molte cose maravigliose operate da s. Paolo
in quella breve dimora, tra cui io scelgo il fatto seguente. I Reggiani, che erano idolatri, avendo
udito essere approdato nel loro porto una nave coll'insegna di Castore e Polluce da loro molto
onorati, corsero affollati a vederla. Paolo volle approfittare di quel concorso per predicare G.
Cristo. Ma non lo volevano ascoltare. Onde egli mosso dalla fede in quel Gesù che per sua mano
aveva operate tante maraviglie trasse fuori un mozzicone di candela, di poi esclamò: Vi prego di
lasciarmi parlare {124 [290]} almeno per quel poco di tempo, che durerà questo pezzetto di
candela a consumarsi. Accolsero la condizione colle risa e si acquetarono.
Paolo pose quel cerino sopra una colonna di pietra posta sul lido. Di presente tutta la
colonna prese fuoco, e comparve una gran fiamma, che gli servi di torchia ardente. Egli ebbe
tempo abbondante da ammaestrarli, perciocchè quei barbari, sbalorditi a tal miracolo, stetterò
mansuetamente ad ascoltar Paolo quanto volle parlare; nè alcuno ebbe l'ardire di disturbarlo. La
fede vi fu ricevuta, e sopra il luogo del miracolo fu innalzata una magnifica Chiesa al vero Dio.
Sull'altare maggiore venne collocata quella colonna, e per conservare la memoria di quel
prodigio fu stabilita una solennità con uffizio proprio. Nella messa poi si legge un oremus che si
traduce così: O Dio, che alla predicazione dell'Apostolo Paolo, risplendente divinamente una
colonna di pietra, vi siete degnato di instruire i popoli di Reggio col lume della fede,
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concedeteci, ve ne preghiamo, che meritiamo di avere in cielo intercessore {125 [291]} colui
che abbiamo avuto predicatore del Vangelo in terra (Cesari; att. ap. v.2).
Dopo quel giorno invitati da un tempo favorevole Paolo e i suo' compagni s'imbarcarono
per Pozzuolo, città della Campania, distante nove miglia da Napoli. Quivi fu grandemente
consolato per l’ incontro di parecchi che avevano già abbracciata la fede loro predicata da san
Pietro alcuni anni prima.
Quei buoni cristiani provarono anch'essi grande consolazione e pregarono Paolo di
rimanere seco loro sette giorni. Paolo, avutane licenza dal Centurione, dimorò quel tempo, e in
giorno festivo parlò alla piena adunanza di quei fedeli.
Le novelle dell'arrivo del grande Apostolo in Italia erano già pervenute a Roma, ed i
fedeli di quella città, bramosi di conoscere in persona l'autore della famosa lettera che loro era
stata scritta da Corinto, vennero a incontrarlo fino al Foro di Appio, oggidì Fossa nuova, che è
una citta distante circa 50 miglia da Roma. Continuando il cammino, giunsero alle Tre Taverne
che è un luogo distante circa 30 miglia da Roma, dove {126 [292]} ne trovò molti altri che erano
venuti fin là per fargli festevole accoglienza.
Accompagnato da quel gran numero di fedeli che non si potevano saziare di specchiarsi
in quel gran ministro di G. C. egli giunse in Roma come condotto in trionfo. Ivi la fede cristiana,
come si è detto, era già stata predicata da san Pietro, il quale da diciotto anni vi teneva la sede
Pontificia.
Capo XXV. Paolo parla agli Ebrei e predica loro G. C. Progresso del
Vangelo in Roma. Anno di Cristo 61.
Paolo giunto a Roma fu consegnato al prefetto del pretorio, cioè al generale delle guardie
pretoriane, così appellate perchè era loro special cura di custodire la persona dell' imperatore. Il
nome di quell'illustre romano era Afranio Burro, di cui la storia fa molto onorevole menzione.
Giulio centurione si diè premura di raccomandare Paolo a quel prefetto che lo trattò con
singolarissima benignità. {127 [293]} Le lettere dei governatori Felice e Festo, che certamente
dovevano aver fatto conoscere la innocenza di lui, la buona testimonianza che gli rese il
Centurione Giulio fecero mettere Paolo in buona opinione e riverenza presso Burro. Il quale
diedegli piena licenza di vivere da solo dovunque gli fosse piaciuto, a sola condizione che fosse
guardato da un soldato, quando usciva di casa. Paolo però aveva sempre al braccio la catena
quando era in casa; che se usciva, la catena che legavagli il braccio, passava dietro a tenergli
seco legato il soldato che lo accompagnava; di maniera che quel soldato era sempre attaccato con
Paolo per la medesima catena. Il santo Apostolo affittò una casa, nella quale prese alloggio egli
co' suoi compagni, tra cui sono specialmente nominati Luca, Aristarco e Timoteo, quel fedele
suo discepolo di Listri.
Tre giorni dopo il suo arrivo egli mandò ad invitare i principali Ebrei che dimoravano in
Roma, pregandoli di venire a lui nel suo alloggio. Raccoltisi in buon numero egli loro parlò cosi:
io non vorrei che lo stato in cui mi vedete, e le catene da cui sono legato vi mettessero {128
[294]} cattiva opinione di me. Dio sa che ho fatto nulla contro al mio popolo, nè contro alle
usanze e leggi di mia patria. Fui incatenato in Gerusalemme, di poi messo in mano dei Romani.
Costoro mi esaminarono, e non avendo trovato in me cosa che meritasse castigo, volevano
rimandarmi libero; ma opponendosi fortemente gli Ebrei, fui costretto di appellarmi a Cesare.
Questa è la sola cagione per cui sono stato condotto a Roma. Io qui non voglio accusare i
miei fratelli, ma desidero di far sapere a voi il motivo della mia venuta, e nel tempo stesso
parlarvi del Messia e della Risurrezione che è appunto il motivo di queste catene. Sopra questa
materia desidero molto di potervi aprire l'animo mio.
A tali parole i Giudei risposero: veramente a noi nè furono scritte lettere dalla Giudea nè
alcuno venne a rapportarci cosa contro di te. Siamo anche noi nel più vivo desiderio di sapere i
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tuoi sentimenti, perciocchè noi sappiamo che la setta de' cristiani è contraddetta per tutto il
mondo.
Paolo accettò volentieri l'invito, e assegnando {129 [295]} loro un giorno si raccolse un
gran numero di Giudei nella casa di lui. Egli allora prese ad esporre la dottrina di Gesù Cristo, la
divinità della sua persona, la necessità della fede in lui, confermando ogni cosa colle parole de'
Profeti e di Mosè. Tale era il desiderio di ascoltare e tale l'ansietà di predicare, che il discorso di
Paolo fu prolungato da mattina fino a sera. Tra gli Ebrei che lo ascoltavano molti credettero ed
abbracciarono la fede, ma parecchi gli si opposero fortemente.
Il santo Apostolo vedendo tanta ostinazione da parte di coloro che avrebbero dovuto
essere i primi a credere, disse loro queste dure parole: di questa inflessibile ostinazione che io
scorgo qui tra di voi in Roma, come pure ho trovato in tutte le parti del mondo, la colpa è vostra.
Questa vostra durezza fu già predetta dal profeta Isaia, quando disse: vattene a questo popolo e
gli dirai: voi udirete colle orecchie, ma non intenderete, vedrete cogli occhi ma non ravviserete
nulla; perchè questo popolo è ingrassato e impinguato, e tiene turate le orecchie e chiusi gli
occhi. {130 [296]}
Statevi pur sicuri, proseguiva Paolo, che la salvezza che voi non volete, Dio non ve la
darà; anzi la porterà ai Gentili, che l'accoglieranno.
Le parole di Paolo furono quasi inutili agli Ebrei. Essi partirono da lui continuando le
gare e le vane discussioni sopra le cose udite senza aprire il cuore alla grazia che loro si offeriva.
Pel che altamente addolorato Paolo si volse ai Gentili che con umiltà di cuore lo andavano ad
ascoltare ed in gran numero abbracciavano la fede.
Il santo Apostolo esprime egli medesimo la grande sua consolazione pel progresso che
faceva il Vangelo durante la sua prigionia scrivendo ai fedeli di Filippi: Quando voi, o fratelli,
avete saputo che io era tenuto in prigione a Roma, ne avrete provato pena, non tanto pel conto
della mia persona, quanto per la predicazione del Vangelo. Sappiate adunque che è ben
altrimenti. Le mie catene sono tornate ad onore di G. C. e servirono a farlo meglio conoscere non
solamente a quelli della città che venivano da me per farsi istruire nella fede, ma nella corte e nel
palazzo del medesimo {131 [297]} imperatore. Di questo dovete meco rallegrarvi e ringraziare
Iddio.
Capo XXVI. S. Luca. - I Filippesi mandano sussidii a S. Paolo. -
Malattia e guarigione di Epafrodito. - Lettera ai Filippesi. -
Conversione di Onesimo. Anno di G. C. 61.
Quanto abbiamo finora detto delle azioni di S. Paolo fu quasi letteralmente ricavato dal
libro degli atti degli Apostoli scritto da S. Luca. Questo predicator del Vangelo continuò ad
essere fedele compagno di S. Paolo; egli predicò il vangelo nell'Italia, nella Dalmazia, nella
Macedonia, e terminò la vita col martirio in Patrasso città dell' Acaja. Egli era medico, pittore e
scultore. Ci sono molte statue e molte pitture della B. Vergine venerate in diversi paesi che si
attribuiscono a S. Luca. Ritorniamo a S. Paolo.
Due fatti sono specialmente memorabili nella vita di questo santo Apostolo mentre era
prigione in Roma. Uno riguardo ai fedeli di Filippi, l'altro alla conversione di Onesimo. {132
[298]}
Fra i molti popoli a cui il santo Apostolo predicò il Vangelo niuno gli diede maggiori
segni di affezione quanto i Filippesi. Essi gli avevano già somministrato copiose limosine
quando predicava nella loro città, in Tessalonica ed in Corinto.
Come poi intesero che Paolo era tenuto prigioniero a Roma, s'immaginarono che fosse
nel bisogno, perciò fecero una considerevole colletta; e perchè riuscisse più cara ed onorevole la
inviarono per mano di S. Epafrodito loro vescovo.
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Questo santo prelato giunto a Roma trovò Paolo che non solo aveva bisogno di sussidii
pecuniarii ma di assistenza personale; poichè egli era andato soggetto a grave infermita
cagionatagli dalla prigionia. Epafrodito si diede a servirlo con tanta sollecitudine, carita e fervore
che divenuto esso stesso ammalato già trovavasi in ponto di morte. Ma Dio volle ricompensare la
carità del santo e fare sì che non si aggiungesse afflizione sopra afflizione al cuore di Paolo, e gli
ridonò la sanita.
I Filippesi come seppero che Epafrodito era mortalmente ammalato furono immersi nella
più profonda costernazione. Per la qual cosa Paolo stimò bene di rimandarlo {133 [299]} a
Filippi con una lettera in cui significa il motivo che l'indusse a rimandar loro Epafrodito che
chiama suo fratello, cooperatore, collega e loro Apostolo. Gli esorta quindi a riceverlo con tutta
allegrezza e ad onorare ogni persona di simil merito che ad imitazione di lui sia pronta a dar la
propria vita pel servizio di Cristo. Dice anche ai Filippesi che avrebbe loro quanto prima
mandato Timoteo, affinchè gli portasse nuove precise di quella cristianità: dice eziandio che
sperava di esser posto in libertà, e di poterli ancora una volta vedere.
Epafrodito fu accolto dai Filippesi come un angelo mandato dal Signore e la lettera di
Paolo riempì il cuore di quei fedeli della più grande consolazione.
L'altro fatto che rende celebre la prigionia di S. Paolo fu la conversione di Onesimo servo
di Filemone ricco cittadino di Colosso città della Frigia. Questo Filemone era stato guadagnato
alla fede da S. Paolo, e corrispose così bene alla grazia del Signore che egli era considerato come
modello dei cristiani, e la sua casa era chiamata chiesa perchè era sempre aperta per le pratiche
di pietà e per {134 [300]} l'esercizio della carità verso i poveri. Egli aveva molti schiavi che lo
servivano, e fra essi uno di nome Onesimo. Questi essendosi dato sventuratamente ai vizi aspettò
l'occasione di farla franca e rubando una grossa somma di danaro al padrone fuggì a Roma. Colà
dandosi alla crapula e ad altri stravizzi consumò il danaro rubato, e in breve si trovò nella più
grande miseria. Casualmente egli udì a parlare di S. Paolo che forse aveva veduto e servito in
casa del suo padrone. La carità e benignità del santo Apostolo gli inspirarono confidenza, e
deliberò di presentarsi a lui. Andò e gettatoglisi ginocchioni ai piedi gli manifestò il suo fatto e lo
stato infelice dell' anima sua, e si commise tutto nelle sue mani. Paolo ravvisò in quello schiavo
un vero figliuol prodigo. L'accolse con bontà siccome faceva con tutti, e dopo d'avergli fatto
conoscere la gravezza del suo fatto e l'infelice stato dell'anima sua si diede ad istruirlo nella fede.
Quando conobbe in lui le disposizioni necessarie per fare un buon cristiano lo battezzò nella
medesima carcere. Il buon Onesimo come ebbe ricevuta la grazia del battesimo rimase {135
[301]} pieno di gratitudine e di affetto verso il suo padre e maestro, e cominciò a dargliene segno
servendolo lealmente nelle necessità di sua prigionia. Paolo desiderava di tenerlo presso di sè,
ma egli non volle farlo senza il permesso di Filemone. Pensò pertanto di mandare Onesimo
stesso dal suo padrone. E poichè esso non osava presentarsi a lui, Paolo volle accompagnarlo con
una lettera dicendogli: prendi questa lettera e va dal tuo padrone, e sta sicuro che tu otterrai più
di quanto desideri.
Capo XXVII. Lettera di s. Paolo a Filemone. Anno di Gesù Cristo 62.
La lettera di s. Paolo a Filemone è la più facile e più breve delle altre lettere di questo s.
Apostolo, e poichè per la bellezza dei sentimenti può servire di modello a qualsiasi cristiano,
perciò si offre intera al benevolo lettore. È del tenore seguente:
«Paolo prigioniero per la fede di G. C. {136 [302]} e Timoteo suo fratello al nostro caro
Filemone, nostro cooperatore, ad Appia nostra sorella carissima, ad Archippo compagno delle
nostre fatiche ed a tutti i fedeli che sogliono radunarsi in tua casa. Dio Padre e G. C. Signor
nostro vi accordino la grazia e la pace.
Ricordandomi continuamente di te nelle mie orazioni, o Filemone, io rendo grazie al mio
Dio nell'udire la tua fede e la tua grande carità verso di tutti i fedeli. Ringrazio pure Iddio
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nell'udire la liberalità proveniente dalla tua fede cotanto manifesta agli occhi di tutti, per le opere
buone che si praticano nella vostra casa per amore di G. Cristo. Noi, o fratello carissimo, fummo
ricolmi di allegrezza e di consolazione sapendo che i fedeli hanno trovato tanto sollievo dalla tua
bontà. Quindi sebbene io possa prendermi in G. C. un'intera libertà di ordinarti una cosa che è di
tuo dovere; pure atteso l'amore che ti porto, voglio piuttosto supplicarti, ancorchè io sia quale io
sono a tuo riguardo, vale a dire, ancorchè io sia Paolo già vecchio e attualmente prigioniero per
la fede di Gesù Cristo.
La preghiera che io ti fo è per Onesimo {137 [303]}mio figliuolo da megenerato nelle
mie catene, il quale altre volte ti fu inutile, ma che ora sarà utilissimo così a me come a te. Io te
lo mando e ti prego di riceverlo come mie viscere. Aveva pensato di ritenerlo presso di me,
affinchè esso mi prestasse qualche servigio in vece tua, trovandomi nelle catene che porto per
amore del Vangelo; ma nulla ho voluto fare senza il tuo consenso, perchè desidero che il bene
che li propongo sia pienamente volontario, non già sforzato. Egli forse è stato per qualche tempo
separato da le affinchè tu lo riacquisti per sempre, e non lo riacquisti come semplice schiavo, ma
come quello che di schiavo è divenuto uno dei prediletti nostri fratelli. Che se egli è caro a me,
quanto non lo deve essere a te, appartenendoti e secondo il mondo e secondo il Signore.
Se dunque mi riguardi come strettamente unito con te, ricevilo come riceveresti me
stesso. Se egli ti ha recato qualche danno o se ti è debitore di qualche cosa mettilo a mio conto.
Io Paolo che ti scrivo di propria mano, io te la restituirò, per non dirti che tu mi sei debitore di te
stesso. Sì, o fratello, mi aspetto {138 [304]} di ricevere da te tal gioia nel Signore. Dammi questa
sensibile consolazione a nome del Signore! Ti scrivo questo, appoggiato alla confidenza che ho
in te, perchè sono persuaso di ottenere più che non dimando. Ti prego altresì di prepararmi un
alloggio, perchè io spero che Dio pel merito delle vostre preghiere, mi restituirà un'altra volta a
voi.
Epafra che è al par di me prigioniero per amor di G. C. ti saluta insieme con Marco, con
Aristarco, con Dema, con Luca che sono i miei aiuti e i miei compagni. La grazia di Nostro
Signor G C. sia col vostro spirito. Amen.» Fin qui la lettera.
Epafra di cui parla qui s. Paolo era stato da lui convertito alla fede, quando predicava
nella Frigia. Divenuto poi Apostolo di sua patria fu creato vescovo di Colosso. Andò egli a
Roma per visitare s. Paolo e fu posto con lui in prigione. Essendo poi stato messo in libertà
ritornò a governare la sua chiesa di Colosso, dove finì la vita colla corona del martirio.
Marco, di cui qui si favella, è Giovanni Marco, che dopo aver faticato molto con s.
Barnaba nella predicazione del Vangelo {139 [305]} erasi dipoi unito a s. Paolo e così aveva
lungamente riparata la debolezza dimostrata quando abbandonò s. Paolo e s. Barnaba per recarsi
a casa.
Giunto Onesimo a Colosso si presentò colla lettera al suo padrone che lo accolse colla
massima amorevolezza, contento di ricuperare non uno schiavo, ma un cristiano. Gli diede
ampio perdono, e poichè dalla lettera del santo Apostolo aveva conosciuto che Onesimo
avrebbegli potuto rendere qualche servigio, lo rimandò a lui con mille saluti e con mille
benedizioni.
Questo servo si mostrò veramente fedele alla vocazione di cristiano. S. Paolo vedendolo
adorno delle virtù e della scienza necessaria per fare un predicatore del Vangelo, lo ordinò prete
e più tardi lo consacrò vescovo di Efeso. Egli riportò la corona del martirio e la Chiesa cattolica
ne fa memoria il 16 febbraio. {140 [306]}
Capo XXVIII. S. Paolo scrive ai Colossesi, agli Efesini ed agli Ebrei.
Anno di Cristo 62.
Lo zelo del nostro Apostolo era instancabile, e poichè le sue catene lo tenevano a Roma,
egli s'ingegnava o di mandare i suoi discepoli o scriveva lettere ovunque ne avesse conosciuto il
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bisogno. Fra le altre cose fu a lui riferito che in Colosso, ove abitava Filemone, erano insorte
questioni a motivo di alcuni falsi predicatori che volevano obbligare alla circoncisione ed alle
cerimonie legali tutti i gentili che venivano alla fede. Di più erano giunti ad introdurre un culto
superstizioso degli angeli. Paolo, come Apostolo dei Gentili, informato di quelle pericolose
novità, scrisse una lettera che bisognerebbe esporre da Capo a fondo per gustarne la bellezza e la
sublimità de' sentimenti. Meritano però di essere notate le parole che riguardano alla tradizione. -
Le cose, egli dice, che mi stanno maggiormente a cuore, vi saranno dette {141 [307]}
verbalmente da Tichico e da Onesimo, che per tal fine sono a voi inviati. - Le quali parole
dimostrano come l'Apostolo aveva cose di grande importanza non scritte, ma che mandava a
comunicare verbalmente in forma di tradizione.
Una cosa che cagionò non lieve inquietudine al nostro Apostolo furono le notizie di
Efeso. Quando egli trovavasi in Mileto e convocò i primari pastori, aveva loro detto che per i
mali cui doveva sopportare, credeva che non avrebbero più veduto la sua faccia. La qual cosa
lasciò quegli affezionati fedeli nella massima costernazione. Il santo Apostolo fatto consapevole
della tristezza che travagliava gli Efesini, scrisse una lettera per consolarli.
Fra le altre cose raccomanda di considerare G. C. Capo della Chiesa e di tenersi a lui uniti
nella persona de' suoi apostoli. Raccomanda caldamente di star lontani da certi peccati che si
devono nemmeno nominare fra i cristiani. - La fornicazione, egli' dice, l'impurità e l'avarizia, non
siano neppure nominati tra voi. Cap. 5, vers. 3.
Indirizzando poi il discorso alla gioventù {142 [308]} dice queste affettuose parole:
«Figliuoli, ve lo raccomando per amor del Signore, siate ubbidienti ai vostri genitori: perchè è
cosa giusta. Onora il tuo padre e la madre tua, dice il Signore. Se tu osserverai questo
comandamento sarai felice e vivrai lungamente sopra la terra.»
Di poi parla così ai genitori: «E voi, o padri, non provocate all'ira i vostri figliuoli, ma
allevateli nella disciplina e nella istruzione del Signore. Voi, o servi, ubbidite ai vostri padroni,
come a Gesù Cristo, non per piacere agli uomini, ma per fare la volontà di Dio. Voi poi, o
padroni, fate altrettanto riguardo a' vostri servi, ponendo da parte l'asprezza, ricordandovi bene
che il vostro e il loro vero padrone è nei cieli; e che egli non è accettator di persone.»
Questa lettera fu portata ad Efeso da Tichico, quel fedele discepolo che con Onesimo
aveva portata la lettera scritta ai Colossesi.
Da Roma scrisse egli pure la sua lettera agli Ebrei, cioè ai Giudei della Palestina
convertiti alla fede. Il suo scopo era di consolarli e premunirli contro alle seduzioni di alcuni altri
Giudei. Dimostra {143 [309]} egli come i sacrifizi, le profezie, la legge antica eransi verificate in
G. C, e che a lui solo si deve rendere onore e gloria per tutti i secoli. Insiste di stare
costantemente uniti al Salvatore colla fede, senza la quale niuno può piacere a Dio; ma che
questa fede non giustifica senza le opere.
Capo XXIX. S. Paolo è messo in libertà. - Martirio di s. Giacomo il
Minore. Anno di Cristo 63.
Erano già scorsi quattro anni dacchè il santo Apostolo era tenuto in prigione; due li aveva
passati in Cesarea, due a Roma. Nerone l' aveva fatto comparire dinanzi al suo tribunale, e ne
aveva conosciuta l'innocenza; ma fosse per odio contro alla religione cristiana, o per non curanza
di quel crudele imperatore, egli aveva sempre rimandato Paolo in prigione. Finalmente si risolse
di donargli compiuta libertà. Il motivo di questa deliberazione si attribuisce comunemente ai
grandi rimorsi che quel tiranno provava per le nefandità {144 [310]} da lui commesse. Egli era
giunto fino a far assassinare sua madre. Dopo tali misfatti ne provava i più acuti rimorsi,
perciocchè gli uomini comunque scellerati non possono a meno di sentire in loro stessi i flagelli
della coscienza.
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Nerone adunque per acquetare in qualche maniera l' animo suo pensò di fare alcune opere
buone e fra le altre donare la libertà a Paolo. Fatto così padrone di se stesso il grande Apostolo si
valse della libertà per portare con maggior ardore la luce del Vangelo ad altre più remote nazioni.
Forse taluno dimanderà, che cosa abbiano fatto gli Ebrei di Gerusalemme quando si
videro Paolo tolto dalle mani. Lo dirò in breve. Eglino rivolsero tutto il loro furore contro a s.
Giacomo detto il minore, vescovo di quella città. Era morto il governatore Festo; il suo
successore non era ancora entrato in carica: i Giudei approfittarono di quell'occasione per
portarsi in folla dal sommo sacerdote, chiamato Anano, figlio di quell' Anna, e cognato di quel
Caifasso che avevano fatto condannare il Salvatore.
Riusciti a farlo condannare temevano {145 [311]} grandemente il popolo che lo amava
qual tenero padre e si specchiava nelle sue virtù; ed era da tutti nominato il Giusto. La storia ci
dice che egli pregava con tale assiduità che la pelle dei suoi ginocchi era divenuta come quella
del cammello. Non beveva nè vino nè altro liquore che potesse ubbriacare; era rigidissimo nel
digiunare, parco nel mangiare, nel bere e nel vestirsi. Ogni cosa superflua donavala ai poveri.
Malgrado queste belle qualità, quegli ostinati trovarono modo di dare alla sentenza
almeno apparenza di giustizia con un' astuzia degna di loro. D' accordo col sommo sacerdote i
Saducei, i Farisei, e gli Scribi fanno un tumulto, e corrono da Giacomo dicendo fra mille
schiamazzi: bisogna che tu immediatamente cavi di errore questo innumerevole popolo, il quale
crede che Gesù possa essere il Messia promesso. E poichè tu sei chiamato il Giusto tutti credono
in te, perciò monta sulla sommità di questo tempio, affinchè ognuno possa vederti e udirti e rendi
testimonianza alla verità.
Lo condussero adunque sopra di {146 [312]} un' alta loggia al di fuori del tempio, e
quando lo videro colassù, esclamarono con finzione: O uomo giusto, dicci qual cosa abbiasi a
credere di Gesù crocifisso. Il luogo non poteva essere più solenne. O rinnegare la fede, o
proferendo parola a favore di G. G. essere tosto messo a morte. Ma lo zelo del santo Apostolo
seppe trarre tutto il vantaggio da quella occasione.
«E perchè mai, egli esclamò ad alta voce, perchè m'interrogate voi sopra Gesù figliuolo
dell' uomo ed insieme figliuolo di Dio. Invano affettate voi di richiamare in dubbio la mia fede in
questo vero Redentore. Io dichiaro in faccia a voi che egli sta in cielo assiso alla destra di Dio
onnipotente, donde verrà a giudicare tutto il mondo.» Molti credettero in G. C. e nella semplicità
dell' anima loro cominciarono ad esclamare: Gloria al figliuolo di Davidde.
I Giudei ingannati nella loro aspettazione si misero furiosamente a gridare: egli ha
bestemmiato: sia sull'istante precipitato giù e tolto di vita. Corsero su immediatamente e lo
precipitaron sopra il lastrico della piazza. {147 [313]}
Non morì soll' istante, e potutosi rialzare posesi ginocchioni e ad esempio del Salvatore
invocava la divina misericordia sopra i suoi nemici dicendo: perdonate, o Signore, perciocchè
essi non sanno che cosa si facciano.
Allora i furibondi suoi nemici ad istigazione del Pontefice gli lanciarono addosso una
grandine di sassi, finchè vi corse uno che datogli un colpo di stanga sul Capo lo stese morto.
Molti fedeli vennero trucidati con questo Apostolo e sempre per la medesima causa cioè in odio
del cristianesimo. V. Eusebio Stor. Ec.
Capo XXX. Altri viaggi di s. Paolo - Scrive a Timoteo e a Tito - Suo
ritorno a Roma - Anno di Cristo 68.
Sciolto s. Paolo dalle catene della prigione volse il cammino verso quei luoghi ove aveva
divisato di andare. Egli adunque andò nella Giudea a vedere gli Ebrei; ma vi si fermò poco
perchè quegli ostinati davano già opera a riaccendere {148 [314]} la primitiva persecuzione.
Andò a Colosso secondo la promessa fatta a Filemone. Si recò a Candia dove predicò il Vangelo
e dove ordinò Tito vescovo di quell'Isola. Ritornò nell'Asia a visitare le chiese di Troade, a
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Iconio, a Listri, a Mileto, a Corinto, a Nicopoli, a Filippi. Da questa città scrisse una lettera al
suo Timoteo che aveva ordinato vescovo di Efeso.
In questa lettera l'Apostolo gli dà parecchie regole per la consacrazione dei vescovi e dei
sacerdoti, e per l'esercizio di molte cose riguardanti alla disciplina ecclesiastica. Quasi nello
stesso tempo scrisse una lettera a Tito, vescovo di Creta e gli dà quasi i medesimi avvisi dati a
Timoteo, e lo invita a venirlo presto a vedere.
Si crede comunemente che egli sia andato a predicare nella Spagna e in molti altri luoghi.
Impiegò cinque anni in missioni e fatiche apostoliche. Ma i fatti particolari di questi viaggi, le
conversioni per sua cura operatesi ne' varii paesi non ci sono conosciute. Diciamo solo con s.
Anselmo «che il santo Apostolo corse dal mar Rosso fino all'Oceano {149 [315]} portando
ovunque la luce della verità. Egli fu come il sole che illumina tutto il mondo dall' oriente all'
occidente sicchè piuttosto a Paolo era mancato mondo e popoli da convertire, che Paolo sia
mancato ad alcuno degli uomini. Questa è la misura del suo zelo e della sua carità.» Mentre
Paolo era occupato nelle fatiche dell' apostolato, seppe che in Roma era scoppiata una fiera
persecuzione sotto all'impero di Nerone. Paolo s'immaginò tosto il bisogno grave di sostenere la
fede in simili occasioni, e prese immediatamente il cammino verso Roma.
Giunto in Itana egli trovò ovunque pubblicati i bandi di Nerone contro ai fedeli. Sentiva i
delitti e le calunnie loro imputate; ovunque vedeva croci, roghi e altri generi di supplizi preparati
ai confessori della fede, e ciò raddoppiava in Paolo il desiderio di trovarsi presto tra que' fedeli.
Giuntovi appena, come colui che offeriva a Dio se stesso, si diede a predicare nelle pubbliche
piazze, nelle sinagoghe tanto ai Gentili quanto agli Ebrei. A questi che si erano quasi sempre
dimostrati ostinati predicava imminente l' adempimento delle profezie {150 [316]} del Salvatore,
con cui era predetta la distruzione della città e del tempio di Gerusalemme colla dispersione di
tutta quella nazione. Suggeriva però un mezzo onde evitare i divini flagelli, cioè convertirsi di
cuore e riconoscere il loro Salvatore in quel Gesù che avevano crocifisso.
Ai Gentili predicava la bontà e la misericordia di Dio che li invitava a penitenza; che
perciò lasciassero il peccato, mortificassero le passioni e abbracciassero il Vangelo. A tale
predicazione confermata da continui miracoli gli uditori venivano in folla a chiedere il
Battesimo. Così la Chiesa perseguitata col ferro, col fuoco e con mille terrori compariva più bella
e più fiorente e accresceva ogni dì il numero de' suoi eletti.
Che più? S. Paolo spinse tant' oltre il suo zelo e la sua carità che giunse a guadagnare un
certo Proclo intendente del palazzo imperiale, e la medesima moglie dell'imperatore. Costoro
abbracciarono con ardore la fede e morirono martiri. {151 [317]}
Capo XXXI. S. Paolo è di nuovo messo in prigione - Scrive la seconda
lettera a Timoteo - Suo martirio - Anno di Cristo 69-70.
Con s. Paolo era eziandio venuto a Roma s. Pietro, che da 25 anni ivi teneva la sede della
cristianità. Esso era eziandio andato altrove a predicare la fede, e come fu informato della
persecuzione suscitata contro ai Cristiani ritornò tosto a Roma. Lavorarono di comune accordo i
due principi degli Apostoli finchè Nerone indispettito per le conversioni che eransi fatte nella sua
corte, e più ancora per la morte ignominiosa toccata al mago Simone (come raccontammo nella
vita di s. Pietro) ordinò che fossero col massimo rigore ricercati s. Pietro e s. Paolo e condotti
nella carcere Mamertina appiè del colle Capitolino. Nerone aveva in animo di far tosto condurre
i due Apostoli al supplizio, ma ne fu distolto da affari politici e da una congiura tramata contro di
lui. Di più egli aveva deliberato {152 [318]} di rendere glorioso il suo nome tagliando l'istmo di
Corinto che è una lingua di terra larga circa 9 miglia Questa impresa non si potè effettuare, ma
lasciò un anno di tempo a Paolo per guadagnare ancora anime a Gesù Cristo.
Egli riuscì a convertire molti prigionieri, alcune guardie ed altri ragguardevoli
personaggi, che per desiderio d' istruirsi o per curiosita l'andavano ad ascoltare; perciocchè s.
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Paolo durante la sua prigionia poteva essere liberamente visitato, e scriveva lettere ove ne avesse
conosciuto il bisogno. Egli è dalla prigione dì Roma che scrisse la seconda lettera a Timoteo.
In questa lettera l' Apostolo annunzia vicina la sua morte, dimostra vivo desiderio che lo
stesso Timoteo andasse a lui per assisterlo, essendo quasi da tutti abbandonato. Questa lettera si
può chiamare testamento di s. Paolo; e fra le molte cose somministra eziandio una delle maggiori
prove in favore della tradizione. Quello che tu hai udito da me, gli dice, procura di farlo
intendere ad uomini religiosi e capaci d'inculcarlo agli {153 [319]} altri dopo di te. Dalle quali
parole apprendiamo che oltre la dottrina scritta vi sono delle altre verità non meno utili e certe
che devono essere trasmesse da voce in voce con una successione non interrotta per tutti i tempi
avvenire.
Dà poi molti utili avvisi a Timoteo per la disciplina della Chiesa, per conoscere varie
eresie che si andavano seminando fra i Cristiani. E per mitigare la ferita che la novella di sua
morte imminente gli avrebbe cagionato lo incoraggisce così: non ti contristare per me, anzi, se
mi vuoi bene, rallegrati nel Signore. Io ho combattuto da buon soldato, ora ho terminato il mio
corso, ho mantenuta a Cristo la fede. Nel resto nulla più mi rimane a desiderare se non la corona
di gloria che il Signore Iddio giusto giudice mi renderà in quel'giorno, quando io consumato il
sacrificio di mia vita, mi presenterò a lui. Tal corona non solo renderà a me, ma a tutti quelli che
con opere buone si preparano a riceverla in quella sua venuta.
Paolo ebbe nella sua prigione un conforto da un certo Onesiforo. Essendo costui venuto a
Roma ed avendo inteso {154 [320]} che Paolo, suo antico maestro e padre in Gesù Cristo, era in
carcere, io andò a trovare e si offerì di servirlo. L'Apostolo provò grande consolazione di così
tenera carità e scrivendo a Timoteo gli fa molti elogi e gli prega da Dio larga ricompensa.
«Faccia Dio, gli scrive, misericordia alla famiglia di Onesiforo, il quale lungamente mi ha
servito, e non si recò a vergogna di vivere meco nelle catene; il Signore gli usi in quel gran
giorno quella stessa misericordia che usò verso di me. Nè queste sono le sole sue opere buone; tu
ben sai quanti servigi egli mi abbia già prima prestato in Efeso.»
Intanto Nerone ritornò da Corinto tutto indispettito perchè l'affare dell'istmo non era
riuscito. Si pose con rabbia maggiore a perseguitare i Cristiani; e il suo primo alto fu di far
eseguire la sentenza di morte contro a s. Paolo. Primieramente egli fu battuto colle verghe, e
mostrasi ancora in Roma la colonna a cui era legato quando sostenne quella flagellazione. È vero
che con essa egli perdeva il privilegio di cittadinanza romana, ma acquistava il diritto di cittadino
del cielo, perciò provava la più grande gioia nel {155 [321]} vedersi rassomigliato al suo divin
maestro. Questa battitura era l'apparecchio per essere di poi decapitato.
Paolo era condannato a morte perchè aveva oltraggiato gli Dei; per questo solo titolo era
permesso di tagliare la testa ad un cittadino romano. Bella colpa! essere riputato empio perchè in
luogo di adorare i sassi ed i demonii si vuole adorare il solo vero Dio e il suo figliuolo Gesù
Cristo. Dio gli aveva già prima rivelato il giorno e l'ora della sua morte; per la qual cosa provava
una delizia già tutta celeste. Cupio, andava esclamando, cupio dissolvi et esse cum Christo.
Desidero di essere svincolato da questo corpo per unirmi a G. C. Finalmente da una masnada di
sgherri egli fu tratto di prigione e condotto fuori di Roma per la porta che dicesi di Ostia e
facendolo camminare verso una palude lungo il Tevere, giunsero ad un luogo chiamato acque
Salvie circe tre miglia lontano da Roma.
Raccontano che una matrona, chiamata Plautilla, moglie di un Senatore Romano, al
vedere il santo Apostolo malconcio nella persona e condotto a morte si pose {156 [322]}
dirottamente a piangere. S. Paolo la consolò dicendole: non piangere, io ti lascierò tal memoria
di me, che ti sarà molto cara. Dammi il tuo pannolino. Ella glielo diede. Con questo pannolino
furono al Santo bendati gli occhi prima di essere decapitato. E per ordine del Santo fu da pia
persona restituito sanguinoso a Plautilla che lo serbò come reliquia.
Giunto Paolo al luogo del supplizio piegò le ginocchia e colla faccia innalzata al Cielo
raccomandò a Dio l'anima sua e la Chiesa; di poi chinò il Capo e ricevette il colpo della spada
che glielo troncò dal busto. L' anima sua volò a trovare quel Gesù che da tanto tempo bramava di
godere.
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Don Bosco - Vita di S. Paolo apostolo
Gli angeli lo accolsero e lo introdussero fra immenso giubilo a partecipare della felicità
del cielo. Egli è certo che il primo a cui egli dovette render grazie fu santo Stefano al quale dopo
Gesù era debitore della sua conversione e della sua salvezza. {157 [323]}
Capo XXXII. Sepoltura di s. Paolo - Maraviglie operate alla sua tomba -
Basilica a lui dedicata.
Il giorno che s. Paolo fu fatto morire fuori di Roma alle acque Salvie fu lo stesso in cui s.
Pietro riporto la palma del martirio a pie del monte Vaticano il 29 giugno; essendo s. Paolo in età
d' anni 65. Il Baronio, che chiamasi padre della Storia Ecclesiastica, racconta come la testa di s.
Paolo appena tagliata dal corpo grondò latte in luogo di sangue. Due soldati alla vista di tal
miracolo si convertirono a G. C. La sua testa poi cadendo a terra fece tre salti, e dove toccò la
terra zampillarono tre fonti di acqua viva. Per conservare viva memoria di questo glorioso
avvenimento fu innalzata una chiesa le cui mura racchiudono queste fontane, le quali ancora
oggidì chiamansi fontane di s. Paolo. V. Baronio an. 69-70.
Molti viaggiatori (v. Cesari e Tillemont) si recarono sul luogo per essere testimoni {158
[324]} di questo fatto, e ci assicurano che quelle tre fonti da loro vedute e gustate hanno un gusto
come di latte. In quei primi tempi era grandissima la sollecitudine dei Cristiani per raccogliere e
seppellire i corpi di coloro che davano la vita per la fede. Due donne chiamate una Basilissa,
l'altra Anastasia studiarono il modo e il tempo di avere il cadavere del santo Apostolo, e di notte
gli diedero sepoltura due miglia lungi dal luogo ove aveva sofferto il martirio, a distanza di un
miglio da Roma. Nerone per mezzo delle sue spie conobbe l' opera di carita di quelle pie donne e
questo bastò perchè le facesse morire troncando loro le mani, i piedi, di poi la testa.
Quantunque i Gentili sapessero che il corpo di Paolo era stato seppellito dai Fedeli non
poterono però mai saperne il luogo. Ciò era solamente nòto ai Cristiani, i quali lo tenevano
segreto come il più caro tesoro, e gli rendevano quel maggior onore che potevano. Ma la stima
che i Fedeli avevano di quelle reliquie giunse a tale che alcuni mercanti d'Oriente venuti a Roma
tentarono di rubarle e portarsele nel loro paese come appartenenti {159 [325]} ad un uomo del
loro paese. Segretamente lo sotterrarono nelle catacombe due miglia distanti da Roma,
aspettando tempo propizio per trasportarlo. Ma nell'atto che volevano compiere il loro disegno,
si levò un orribile temporale con lampi e fulmini terribili, sicchè furono costretti di abbandonare
l'impresa. Saputasi tal cosa, i Cristiani di Roma andarono a prendere il corpo di Paolo e lo
portarono al suo primo luogo lungo la via di Ostia.
Al tempo di Costantino il grande fu fabbricata una basilica superba ad onore e sopra il
sepolcro del nostro apostolo. In ogni tempo Re, e Imperatori, dimentichi della loro grandezza,
pieni di timore e di venerazione si recarono a quel sepolcro per baciare la cassa che raccoglie le
ossa del santo Apostolo.
Gli stessi Romani Pontefici non si accostavano nè sì accostano al luogo della sua
sepoltura se non pieni di venerazione, e non mai permisero che alcuno spiccasse particella di
quelle ossa venerande. Varii principi e re ne fecero vive istanze; ma niun Papa giudicò di poterli
soddisfare. Questa grande riverenza era molto accresciuta {160 [326]} dai continui miracoli che
a quel sepolcro si facevano. S. Gregorio Magno ne riferisce molti e assicura che niuno entrava in
quel tempio a pregare se non tremando. Quelli poi che avessero osato di profanarlo e tentato di
trasportarne anche una piccola particella erano da Dio puniti con manifesta vendetta.
Gregorio XI fu il primo che in una pubblica calamità quasi costretto dalle preghiere e
dalle istanze del popolo di Roma prese il Capo del Santo, lo levò in alto, lo mostrò alla
moltitudine che piangeva di tenerezza e di divozione, e sull'istante lo ripose donde lo aveva tolto.
Ora il Capo di questo grande Apostolo è nella chiesa di S. Giovanni di Laterano, il
rimanente del corpo fu sempre conservato nella basilica di S. Paolo lungo la via di Ostia un
miglio da Roma.
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Anche le sue catene furono soggetto di divozione presso i fedeli cristiani. Per contatto di
quei ferri gloriosi si operarono molti miracoli, e i più grandi personaggi del mondo riputarono
sempre reliquia preziosa il poter avere un po' di limatura di quelle. {161 [327]}
Capo XXXIII. Ritratto di S. Paolo. - Immagine del suo spirito. -
Conclusione.
Affinchè rimanga meglio impressa la divozione verso di questo principe degli Apostoli
giova dare un' idea del suo corpo e del suo spirito.
Paolo era di aspetto e di presenza non molto avvenente, siccome dice egli stesso. Era di
statura piccolo, di complessione forte e robusta, e ne diedero prove le lunghe e gravi fatiche da
luii sostenute nella sua carriera, senza essere mai stato ammalato ad eccezione dei mali
cagionatigli dalle catene e dalla prigionia. Solamente sul finire de' suoi giorni camminava
alquanto curvo. Egli aveva la faccia bianca, la testa piccola e quasi del tutto calva. Il che
dimostrava un carattere sanguigno e focoso. Aveva la fronte larga, sopracciglio nero e abbassato,
naso aquilino, barba lunga e fitta. Ma gli occhi suoi erano al sommo vivaci e brillanti, con un'
aria dolce che temperava l'impeto {162 [328]} de' suoi sguardi. Questo è il ritratto del suo corpo.
Ma che diremo del suo spirito? Noi lo conosciamo da' suoi scritti medesimi. Egli aveva
un ingegno acuto e sublime, animo nobile, cuore generoso. Era tale il suo coraggio e la sua
fermezza che traeva forza e vigore dalle stesse difficoltà e dai pericoli. Egli era versatissimo
nella scienza della religione Ebrea. Era profondamente erudito nelle sacre scritture, e tale scienza
aiutata dai lumi dello Spirito Santo e dalla carità di G. C. lo rese quel grande Apostolo che fu
soprannominato il dottore dei Gentili. S. Giovanni Grisostomo divotissimo del nostro santo
desiderava grandemente di poter vedere S. Paolo dal pulpito, perchè, egli dice, i più grandi
oratori dell'antichità sarebbero apparsi languidi e freddi in paragone di lui. Non occorre dire
alcuna cosa delle virtù di lui, giacchè quel tanto che abbiamo finora esposto non è altro che una
tessitura delle virtù eroiche, le quali in ogni luogo, in ogni tempo, e con ogni genere di persona
egli fece risplendere.
Per conclusione però di quanto abbiamo {163 [329]} detto di questo gran santo merita di
essere notata una virtù che egli ha fatto sopra ogni altra risplendere, la. carità verso il prossimo e
l' amor verso Dio. Egli sfidava tutte le creature a separarlo dall'amore del suo Divin Maestro. Chi
mi separerà, andava egli esclamando, dall'amor di G. C.? forse le tribolazioni o le angustie, o la
fame, o la nudita, o i pericoli, o le persecuzioni? No certamente. Io son certo che nè la morte nè
la vita, nè gli Angeli, nè i principati, nè le virtù, nè il presente, nè l'avvenire, nè alcuna creatura ci
potrà separare dall' amore di Dio che è fondato nel nostro Signor G. C. Questo è il carattere del
vero cristiano: essere disposto a tutto perdere, a tutto patire piuttosto che dire o fare la minima
cosa che sia contraria all' amor di Dio.
S. Paolo passò più di 30 anni di sua vita nemico di G. C; ma appena fu dalla sua celeste
grazia illuminato, si diede tutto a lui, nè mai più da lui si separò. Impiegò di poi oltre 36 anni
nelle più austere penitenze, nelle più dure fatiche, e ciò per glorificare quel Gesù che aveva
perseguitato. {164 [330]}
Cristiano lettore! forse tu che leggi ed io che scrivo, avremo passato una parte della vita
nell'offesa del Signore! Ma non perdiamoci di animo: avvi ancora tempo per noi; la misericordia
di Dio ci attende. Ma non differiamo la conversione perchè se noi aspettiamo a domani ad
aggiustare le cose dell' anima, corriamo grave rischio di non aver più tempo. S. Paolo faticò 36
anni nel servizio del Signore; ora da 1800 anni gode l'immensa gloria del cielo, e la godrà per
tutti i secoli. La medesima felicità è parimenti preparata per noi; purchè ci diamo a Dio mentre
abbiamo tempo e purchè siamo perseveranti nel santo servizio sino al fine. È nulla quello che si
patisce in questo mondo, ma è eterno quello che godremo nell' altro. Così ci assicura lo stesso S.
Paolo.
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Con approvatone della Revisione Eeclesiastica. {165 [331]}
Indice
Capo I Patria, educazione di Saulo; suo odio contro ai Cristiani
Capo II Conversione e Battesimo di Saulo
Capo III Primo viaggio di Saulo - Ritorna a Damasco; gli sono
lese insidie - Va in Gerusalemme; si presenta agli Apostoli Gli
appare Gesù Cristo
Capo IV Profezia di Agabo-Saulo e Barnaba ordinati vescovi -
Vanno nell' isola di Cipro - Conversione del proconsole Sergio
Castigo del mago Elima - Gian Marco ritorna in Gerusalemme
Capo V S Paolo predica in Antiochia di Pisidia
Capo VI S Paolo predica in altre città - Opera un miracolo a
Listri dove di poi vien lapidato e lasciato per morto
Capo VII S Paolo miracolosamente risanato Altre sue fatiche
apostoliche Conversione di s Tecla
Capo VIII S Paolo va a conferire con s Pietro Assiste al concilio
di Gerusalemme 34
Capo IX Paolo si separa da Barnaba - Percorre varie città dell'
Asia - Dio lo manda in Macedonia A Filippi converte la famiglia
di Lidia
Capo X S Paolo libera una fanciulla dal demanio - È battuto
con verghe - Vien posto in prigione - Conversione del carceriere
{166 [332]} e della sua famiglia
Capo XI S Paolo predica in Tessalonica - Affare di Giasone -
Va a Berea ove e di nuovo disturbato dagli Ebrei
Capo XII Stato religioso degli Ateniesi - S Paolo nell' Areopago
- Conversione di s Dionigi
Capo XIII S Paolo a Corinto - Sua dimora in casa di Aquila -
Battesimo di Crispo e di Sostene - Scrive ai Tessalonicesi -
Ritorno ad Antiochia
Capo XIV Apollo in Efeso - Il Sacramento della Cresima S
Paolo opera molti miracoli - Fatto di due esorcisti Ebrei
Capo XV Sacramento della Confessione - Libri perversi bruciati
- Lettera ai Corinti - Sollevazione per la dea Diana - Lettera ai
Galati
Capo XVI S Paolo ritorna a Filippi - Seconda lettera ai fedeli di
Corinto – Va in questa città - Lettera ai Romani - Sua predica
prolungata in Troade - Risuscita un morto
Capo XVII Predica di s Paolo a Mileto - Suo viaggio fino a
Cesarea - Profezia di Agabo
Capo XVIII S Paolo si presenta a s Giacomo - Gli Ebrei gli
tendono insidie - Parla al popolo - Rimprovera il sommo
Sacerdote
Capo XIX Quaranta Giudei si obbligano con voto di uccidere s
Paolo - Un suo nipote scopre la trama - È traslocato a Cesarea
Capo XX Paolo dinanzi al governatore Felice - I suoi
accusatori e la sua difesa
Pag 3
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17
22
27
31
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Capo XXI Paolo dittanti a Festa.-Sue parole al re Agrippa
Capo XXII S Paolo è imbarcato per Roma - Soffre una terribile
burrasca, da cui è salvato co' suoi compagni
Capo XXIII S Paolo nell'isola di Malta; è liberato dal morso di
una vipera; è accolto in casa di Publio, di cui guarisce il padre
Capo XXIV Viaggio di s Paolo da Malta a Siracusa - Predica in
Reggio - Suo arrivo in Roma
Capo XXV Paolo parla agli Ebrei e predica loro G C -
Progresso del Vangelo in Roma
Capo XXVI S Luca - I Filippesi mandano sussidii a s Paolo -
Malattia e guarigione di Epafrodito - Lettera ai Filippesi -
Conversione di Onesimo
Capo XXVII Lettera di s Paolo a Filemone
Capo XXVIII S Paolo scrive ai Colossesi, agli Efesini ed agli
Ebrei
Capo XXIX S Paolo è messo in libertà - Martirio di s Giacomo
il Minore
Capo XXX Altri viaggi di s Paolo – Scrive a Timoteo e a Tito -
Suo ritorno a Roma
Capo XXXI S Paolo è di nuovo messo in prigione - Scrive la
seconda lettera a Timoteo - Suo martirio
Capo XXXII Sepoltura di s Paolo - Maraviglie operate alla sua
tomba – Basilica a lui dedicata
Capo XXXIII Ritratto di s Paolo - Immagine del suo spirito –
Conclusione
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