Don_Bosco-Valentino_o_la_vocazione_impedita


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Don Bosco - Valentino o la vocazione impedita
VALENTINO O LA VOCAZIONE IMPEDITA
EPISODIO CONTEMPORANEO
esposto dal sacerdote
BOSCO GIOVANNI
TORINO.
Tip. dell'Oratorio di s. Franc. di Sales
1866. {1 [179]}
PROPRIETA' DELL' EDITORE {2 [180]}
INDEX
Capo I. La madre di famiglia.......................................................................................................2
Capo II. Primo anno di Collegio..................................................................................................3
Capo III. Le vacanze....................................................................................................................4
Capo IV. Nuovo Collegio. Ritorna alla pietà...............................................................................5
Capo V. La vocazione..................................................................................................................7
Capo VI. Le difficoltà..................................................................................................................8
Capo VII. Una guida fatale..........................................................................................................9
Capo VIII. Le amarezze di Osnero............................................................................................10
Capo IX. Ultime notizie di Valentino........................................................................................11
Capo X. Morte di Mari..............................................................................................................13
Divota preghiera nelle presenti calamita' della Chiesa.............................................................15
Indice.........................................................................................................................................16
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Capo I. La madre di famiglia.
Intraprendo a scrivere un fatto vero, ma che riferendosi in parte ad uomini viventi, io
stimo bene di tacere i nomi delle persone e dei luoghi cui le cose raccontate si riferiscono. Erano
due genitori di età alquanto avanzata e non avevano che un solo figliuolo chiamato Valentino
erede unico delle vistose loro sostanze. La madre, buona cristiana, era tutta intenta a dar una soda
educazione al figlio. Ella stessa gli fece da maestro molti anni. Fin da fanciullino gl'insegnò le
preghiere, il piccolo catechismo coi primi elementi {3 [181]} di lettura e scrittura. Ben istruita
dalla scienza e dall' esperienza poneva le più vive sollecitudini a tener il figlio lontano dall'ozio e
dai discoli. « Caro Valentino, soleva dirgli, non mai dimenticarti che l'ozio è il padre di tutti i
vizi, e che i cattivi compagni conducono se stessi e chi li segue alla rovina: guai a te se ti
lasciassi dominare da questi due nemici fatali. » La buona genitrice aveva qualche ostacolo nella
persona del marito. Osnero, tale è il nome del marito, uomo pieno di cortesia e di onestà, faceva
del bene a chi poteva, del male a nessuno. Ma un errore non leggero gli dominava il capo.
S'immaginava di poter ridurre suo figlio ad essere virtuoso ed onesto cittadino senza farlo prima
buon cristiano. « Caro Valentino, gli diceva talvolta, sii buono e sarai sempre amato ed onorato
da tutti. L'onore, la stima, il buon nome, non devono mai essere dimenticati in questo mondo. »
Nella sua tenera età Valentino non rifletteva molto agli avvisi paterni. Per correggere e
nobilitare gli ammaestramenti {4 [182]} del marito, la virtuosa madre andava spesso ripetendo al
suo Valentino: « Mio figlio, ricordati che Dio vede tutto. Egli benedice i giovanetti virtuosi nella
vita presente e li premia nell'eternità; al contrario maledice gli empi, loro abbrevia la vita, e li
punisce nell'altro mondo con un supplizio eterno. » Ogni mattino lo prendeva per mano, lo
conduceva in chiesa, gli dava l'acqua benedetta, gli additava il modo di far bene il segno della
croce: lo faceva mettere in ginocchioni accanto a lei: gli apriva il libro di divozione e segnava le
preghiere utili per accompagnare la Santa Messa. Nei giorni festivi poi l'aveva sempre seco alla
Messa, al Catechismo, all'istruzione e alla benedizione. Quando occorreva di condurlo a ricevere
i Santi Sacramenti lo preparava alcuni giorni prima, lo accompagnava fino al confessionale.
Dopo la confessione lo assisteva a fare il ringraziamento, aggiungendo quegli avvisi che una
buona ed affezionata madre sa trovare opportuni pei suoi figli. Ella provava gran dispiacere
qualora {5 [183]} l'avesse veduto porsi a mangiare senza fare prima e dopo il cibo il segno della
Santa Croce colla breve preghiera che da' buoni cristiani si suol fare in questa occasione. Un
giorno Valentino se ne dimenticò e la madre lo rimproverò acremente. « Caro Valentino, gli
disse, pensa che soltanto gli animali irragionevoli si mettono ingordamente a mangiare senza
riflettere da chi ricevono l'alimento. Noi riceviamo la vita e il cibo dal Signore, perciò dobbiamo
essergli in ogni tempo riconoscenti, ma specialmente quando facciam uso di questi suoi benefizi:
cioè quando ci serviamo del cibo per conservare la vita medesima. » Sebbene Valentino
apparisse qualche volta sbadato non dimenticava nessuno degli amorevoli avvisi che l'affettuosa
madre studiava di seminare nel tenero di lui cuore. Affinchè poi il figlio non fosse talvolta
annoiato, sapeva a tempo opportuno temperare la pietà con amene ricreazioni. Trastulli,
passeggiate, regali, piccoli oggetti per giuocare, talora anche confetti e commestibili erano le {6
[184]} cose con cui la buona genitrice soleva incoraggiare e ricompensare la diligente condotta
del figlio. Così la madre diveniva padrona del cuore del figlio, mentre esso provava le più care
delizie nel passeggiare, nel parlare, nel trattenersi con lei.
Ma un gran disastro incolse Valentino nella perdita della madre quando appunto
cominciava ad averne maggior bisogno.
Toccava appena i dodici anni allora che l'amata genitrice fu colpita da grave malattia che
in pochi giorni la privò di vita. Ella ricevette con somma fretta gli ultimi conforti della religione:
di poi chiamò Valentino al suo letto, e gli indirizzò queste ultime parole: « Caro Valentino, io ti
debbo lasciare nell'età più pericolosa. Ricordati di fuggire l'ozio ed i cattivi compagni. Chiunque
ti consigli cose contrarie al bene dell'anima, abbilo per nemico, e fuggilo come un serpente
insidiatore. Io non ti sarò più madre in terra, spero di aiutarti dal cielo; per l'avvenire tua madre
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sarà la Madonna Santissima, {7 [185]} pregala spesso, essa non ti abbandonerà, Dio ti
benedica.....
La violenza del male la impedi di oltre parlare, e pochi minuti dopo era già cadavere.
Valentino fu addoloratissimo per quella perdita, e passò più mesi travagliato da tale
malinconia che la stessa sua esistenza era in pericolo. Solamente potè trovare qualche
consolazione nel fare preghiere, limosine, penitenze, ascoltare molte messe in suffragio
dell'anima della compianta genitrice. Nè mai la dimenticò nelle varie e gravi vicende cui
soggiacque nel corso della vita.
Capo II. Primo anno di Collegio.
Osnero sentì anch'egli la grave perdita della moglie specialmente per l'educazione del
figliuolo, di cui egli non poteva gran fatto occuparsi. Affari di amministrazione, mercati, fiere,
talvolta partite al caffè ed all'osteria non {8 [186]} gli permettevano di occuparsi dell'educazione
del figlio.
Valentino aveva già compiuto il corso elementare e nel paese nativo non essendovi classi
superiori era mestieri mandarlo in un collegio per fargli proseguire gli studi.
Fu scelto un luogo molto rinomato, dove si diceva che la scienza, la civiltà, la moralità,
faceva maravigliosi progressi. Le divise, i pennacchi, i cappelli bordati incantavano gli allievi ed
i parenti dei medesimi.
Valentino acconsenti alla proposta, e andò ad intraprendere un nuovo tenor di vita in
collegio. Prima provò qualche difficoltà ad abituarsi. Invece della voce di una madre tenera
aveva un direttore affabile sì, ma deciso nel comandare, severo nel pretendere, rigoroso in ogni
ramo di disciplina. Cionondimeno Valentino seppe guadagnarsi l'affezione de' suoi novelli
superiori e si applicò di buon animo all'adempimento de' suoi doveri.
Attento ai comandi, puntuale all'orario della scuola e dello studio non {9 [187]} perdeva
bricciolo di tempo. Ma trovò un gran vuoto nelle pratiche di pietà. Fino allora soleva ogni
mattina ascoltare la santa messa; ogni sera faceva con sua madre un po' di lettura spirituale; si
confessava regolarmente ogni quindici giorni, ed andava a fare la comunione ogni volta che il
confessore glielo permetteva.
In collegio non era più così. Non si faceva nè meditazione, nè lettura spirituale; le
preghiere si recitavano in comune ma una sola volta al giorno, stando in piedi e con grande
fretta. Alla messa gli allievi intervenivano solamente nei giorni festivi, le confessioni avevano
luogo una sola volta all'anno, alla Pasqua di risurrezione.
Queste cose cagionavano grande angustia nel cuore di Valentino. Inoltre pel passato le
sue orecchie non avevano mai udito parole men dicevoli; ma coi novelli compagni si usava ogni
libertà nel parlare, ogni frizzo immodesto era tollerato, anzi le cose erano a tal punto che libri e
giornali osceni correvano liberamente dall'uno all'altro {10 [188]} allievo. Spaventato a quei
pericoli Valentino scrisse a suo padre una lettera in cui lo ragguagliava minutamente dei pericoli
dell'anima sua, facendo notare quanto la vita di collegio fosse per lui perniciosa. Ma in questa
lettera si censurarono non poco la disciplina e l'andamento del collegio perciò il direttore stimò
di ritenerla e non mandarla al suo indirizzo. Qualche tempo dopo Osnero andò a vedere il figlio
che allora gli potè esporre liberamente le sue afflizioni. Il padre ne fece poco conto e disse che
non bisogna darsi in preda agli scrupoli; bensì vivere spregiudicato. « Se non puoi pregare,
confessarti e andare ogni giorno alla messa, gli diceva, potrai poi ricompensare tutto in tempo
delle vacanze. Ora procura di imitare i tuoi compagni più allegri e fa in modo di imitarli nella
vita felice. » Valentino aveva un carattere dolce e un'indole molto pieghevole, laonde alle parole
del padre si calmò e senza badare a quello che sarebbe per avvenire di lui si pose a leggere libri e
{11 [189]} giornali d'ogni genere. Si associò indistintamente ad ogni sorta di compagni
prendendo parte ai loro discorsi qualche volta indifferenti, di rado buoni, spessissimo cattivi.
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Erano scorse poche settimane ed egli non solo non provava più ripugnanza per quel biasimevole
tenor di vita, ma cercava con ansietà ogni mezzo di dissipazione. Non è caso di notare che in
quella vita disordinata non pensò più nè a confessarsi nè a comunicarsi. Malgrado per altro
quella vita dissipata non poteva mai cacciarsi di mente i ricordi della madre, e provava gravi
rimorsi perchè non li metteva in pratica. Una sera tra il rincrescimento del male che faceva e del
bene che trascurava ne rimase talmente commosso che diede in dirotto pianto. Ciò non ostante
continuò nella vita disordinata. L'unica cosa che non ha mai dimenticato fu una preghiera per
l'anima di sua madre che recitava ogni sera prima di porsi a letto.
Ma gli studi come andarono? Se non c'è moralità gli studi vanno male. Di mano in mano
che Valentino prendeva {12 [190]} gusto alla vita spregiudicata, come avevagli detto il padre,
provava ripugnanza allo studio; sicchè gli ultimi cinque mesi di quell'anno furono affatto perduti.
Nell'esame semestrale aveva ancora ottenuti buoni voti, e il padre dimostrò la sua soddisfazione
regalandogli un bell'orologio. Ma nell'esame finale si ebbe un risultato sfavorevole e non fu
promosso a classe superiore. A quella notizia Osnero provò grave dispiacere e pel danaro
consumato inutilmente e per l'anno di studio perduto. Ciò tanto più gli doleva, perchè il suo
Valentino sempre erasi fatto onore nelle classi percorse, e sapeva che una mediocre diligenza gli
avrebbe bastato perchè venisse onoratamente promosso.
Capo III. Le vacanze.
Ma i dispiaceri di Osnero crebbero assai quando Valentino ritornò dal collegio. Vide suo
figlio entrare in casa {13 [191]} senza quasi nemmeno salutarlo. Volendo fargli qualche
osservazione sul cattivo esito de' suoi studi, ebbe questa risposta: « Ho fatto quello che ho
potuto, niuno può pretendere di più, e se avessi saputo di ricevere rimbrotti sarei nemmeno
venuto a casa. » La sera stessa del suo arrivo andò a letto senza più recitare le solite preghiere, nè
fare il segno della santa croce. Il mattino invece di andare a messa e servirla con gusto e piacere
come in passato, egli dormi fino ad ora molto tarda. Di poi fatta colezione volle subito recarsi a
far partita con alcuni compagni la cui frequenza eragli stata rigorosamente proibita dalla defunta
genitrice. Un giorno suo padre voleva condurlo seco a passeggio, ma Valentino si rifiutò dicendo
avere un appuntamento coi suoi compagni, perciò non potere andare con lui. Il leggendario de'
Santi, per tanti anni suo libro prediletto, non voleva nemmeno più aprirlo. In vece per lettura
favorita aveva alcuni romanzi osceni che un {14 [192]} amico gli aveva regalati prima di partire
dal collegio.
Osnero rimase stordito pel cangiamento di suo figlio, e sebbene pel passato non si fosse
mostrato molto amante della pietà, amava tuttavia che il figlio si conservasse religioso per
conservarlo buono. Gli venne in mente di condurlo dal suo prevosto, cui per lo avanti era sempre
stato affezionatissimo, ma Valentino si rifiutò dicendo che dal prevosto ognuno deve recarsi a
Pasqua per confessarsi, e non per cagionare disturbo lungo l'anno con visite inopportune. Un
giorno mentre Valentino si tratteneva con alcuni compagni gli passò il prevosto vicino, ma egli
volgendo la faccia altrove finse di non vederlo e voleva andarsene senza neppure salutarlo. Il
prevosto osservò tutto, ma simulando di non accorgersene si avvicinò. « Mio Valentino, gli
disse, hai fatto buon viaggio, stai bene, tuo padre è in salute? Egli allora confuso restituì il saluto
in fretta, ed asserendo che sarebbe poi {15 [193]} passato a fargli visita continuò cammino e
discorso co' suoi amici.
Oltre a ciò Osnero si accorse che Valentino aveva contratto alcune pericolose abitudini
quali sono mentire, giuocare e rubare in casa.
Pieno di dolore l'afflitto padre disse un giorno a Valentino:
- Mio caro figlio, quale cosa mai produsse in te un così fatale cangiamento?
- Voi mi avete detto di non lasciarmi dominare dagli scrupoli, e di vivere spregiudicato,
io credo di avervi ubbidito.
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- Io non intendeva questo...
- Ma io ho inteso così, e se non mi volete in casa, io so dove andare.
Osnero lo avvisò, lo corresse più volte e lo sottopose anche ad alcuni castighi, ma senza
frutto, perciocchè un giorno risposegli un' insolenza, altra volta fuggì, e dimorò tre giorni fuori di
casa.
Ad Osnero sembrava impossibile che nello spazio di soli dieci mesi suo figlio così
religioso, ubbidiente' ed affezionato {16 [194]} fosse a tal segno cangiato da rispondere con
baldanza al padre, non voler più sapere di religione, e divenuto un ladro domestico. Era già sul
punto di prendere la disperata risoluzione di farlo chiudere in una casa di punizione, ma non
volendo che il nome di carcere correzionale macchiasse l'onore della famiglia si appigliò a più
mite consiglio.
« L'anno scorso, diceva tra se, io ho voluto scegliere un collegio troppo alla moda, mi
sono lasciato allucinare dalle apparenze che non infondono nè scienza, nè moralità. Voglio
cercare altro collegio dove la religione sia in modo eccezionale insegnata, raccomandata e
praticata. Bisogna pur troppo confessarlo, senza religione è impossibile educare la gioventù. Ma,
come potrò risolvere Valentino ad entrare in un collegio di questa fatta, adesso che già contrasse
tante pessime abitudini? »
Si avvicinava la fine di Ottobre, ed era giuocoforza deliberare intorno al luogo da
scegliersi per Valentino.
Un giorno Osnero per disporre l'animo {17 [195]} del figlio a secondare il suo
divisamento, lo condusse a fare una partita di campagna; ordinò un pranzo che sapeva tornare di
suo gusto, gli fece alcuni regali, lo accarezzò, gli prodigò diverse promesse analoghe a dimande
da lui fatte. Alla sera poi giunti ambidue a casa il padre lo chiamò in sua camera, e gli parlò così:
- Caro Valentino, ti ricordi ancora di tua madre?
- Si che mi ricordo e me ne ricorderò sempre, nè mai vado a letto senza fare qualche
preghiera per l'anima di lei.
- Le porti ancora qualche affezione?
- Moltissima, e come potrò dimenticare una madre così buona e così degna d'essere
amata?
- Faresti tu una cosa che sia a lei di gradimento e a te di grande vantaggio?
A quelle parole Valentino senti commuoversi il cuore, le lagrime cominciarono a
spuntargli sugli occhi, di poi dando in dirotto pianto si strinse al collo d' Osnero dicendo: - Caro
{18 [196]} padre, voi sapete di quanto sia debitore a mia madre, e quanto io l' abbia amata in
vita; se ella ancora vivesse, io mi lancerei nell'acqua e nel fuoco per ubbidirla, voi volete
propormi cosa a lei cara? Mio padre, parlate, dite pure, io sono pronto a fare qualunque sacrifizio
che possa tornare a lei gradito.
- Valentino, io vorrei proporti un collegio che tua madre prima di morire mi aveva
nominato, un collegio dove tu possa studiare e praticare la pietà come appunto facevi nei giorni
felici della compianta tua madre.
- Caro padre, lo sono nelle vostre mani; tutto quello che voi sapete far piacere a mia
madre, piace anche a me, e sono pronto a fare qualunque sacrifizio per eseguirlo.
Capo IV. Nuovo Collegio. Ritorna alla pietà.
Osnero non si pensava di poter così presto risolvere il figlio a quella mutazione, {19
[197]} e la riconobbe come una benedizione del Cielo. Affinchè poi l'indugio non generasse
difficoltà, volle il dì seguente condurlo dal direttore del proposto collegio per trattarne
l'ammessione.
Il direttore fu non poco maravigliato alla prima comparsa di Valentino. Abiti nuovi e fatti
con eleganza, un cappellotto alla calabrese, un cannino in mano, una catenella luccicante sul
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petto, una lisciata spartita dei capelli azzimati erano le cose che pronosticavano lo spirito di
vanità che già regnava nel cuore del nostro Valentino. Il padre si accordò facilmente intorno alle
condizioni di accettazione, di poi supponendo aver altro a fare lasciò il figlio solo a discorrere
col direttore. Alla vista d'un giovanotto così atteggiato quel direttore non giudicò opportuno
parlargli di religione, ma discorse soltanto di passeggiate, di corse, di ginnastica, di scherma, di
canto, di suono. Le quali cose facevano bollire il sangue nelle vene al vanerello allievo al solo
udirne parlare. Ritornato poi il padre, {20 [198]} appena potè discorrere liberamente con
Valentino, « che te ne sembra, gli disse, ti piace questo luogo, che ne dici del direttore? »
- Il luogo mi piace assai, il direttore sembra tutto di mio genio, ma ha una cosa che mi è
affatto ripugnante.
- Che mai, dimmelo, siamo ancora in tempo a provvedere diversamente.
- Tutto in lui mi piace ma egli è un prete, e questo me lo fa mirar con ribrezzo.
- Non bisogna badare alla qualità di prete: piuttosto bada al merito ed alle virtù che lo
adornano.
- Ma venir con un prete vuol dire pregare, andarsi a confessare, andarsi a comunicare. Da
alcune parole che egli mi disse parmi che già conosca i fatti miei.... basta.... Ho promesso,
manterrò la parola, il resto vedremo.
Pochi giorni dopo Valentino entrò nel nuovo collegio. Il padre giudicò d' informare il
nuovo direttore di quanto era avvenuto del figlio e come nutrisse tuttora una grande affezione
verso la defunta genitrice. Separato dai {21 [199]} compagni, distolto dalle cattive letture, la
frequenza dei buoni condiscepoli, l'emulazione in classe, musica, declamazione, alcune
rappresentazioni drammatiche in un teatrino, fecero presto dimenticare la vita dissipata che da
circa un anno conduceva. Il ricordo poi della madre fuggi l'ozio ed i cattivi compagni, gli
ritornava sovente alla memoria. Anzi con facilità ripigliò l' antica abitudine alle pratiche di pietà.
La difficoltà era nel poterlo risolvere a fare la sua confessione. Aveva già passati due mesi in
collegio. Si erano già fatte novene, celebrate solennità, in cui gli altri allievi procurarono tutti di
accostarsi ai Santi Sacramenti: ma Valentino non si potè mai risolvere a confessarsi. Una sera il
direttore lo chiamò in sua camera e memore della grande impressione che faceva sopra il suo
cuore la memoria di sua madre, prese a dirgli così: « Mio buon Valentino, sai di quale
rimembranza ti è la giornata di domani? » - Si che lo so. Dimani è anniversario della morte di
mia madre. {22 [200]} O madre amatissima, potessi una sola volta vedervi, od almeno una volta
ancora udire la vostra voce!
- Faresti tu dimani una cosa che sia di gradimento a lei e di grande vantaggio a te stesso?
- Oh se lo farei! Costasse qualunque cosa!
- Fa dimani la tua santa comunione in suffragio dell' anima di lei, e le recherai grande
sollievo qualora ella si trovasse ancor nelle dolorose fiamme del purgatorio.
- Io la fo volentieri, ma per fare la comunione bisogna che io mi confessi..... Se per altro
questo piace a mia madre lo farò, e se lo giudica a proposito io mi confesso subito in questo
momento da lei.
Il direttore che altro non aspettava, lodò il divisamento, lasciò che si calmasse la
commozione, di poi lo preparò e con reciproca consolazione lo confessò; e il di seguente
Valentino si accostò alla santa comunione facendo molte preghiere per l'anima della compianta
genitrice. {23 [201]}
Da quel giorno la vita di lui fu di vera soddisfazione al suo direttore che non perdette più
di vista il figliuolo spirituale che aveva acquistato.
Conservava ancor Valentino alcuni libri parte proibiti, parte dannosi ai giovanetti, e li
portò tutti al direttore perchè li consegnasse alle fiamme dicendo: « Io spero che bruciando essi
non saranno più cagione che l'anima mia bruci nell'inferno. »
Conservava eziandio alcune lettere degli antichi compagni colle quali gli davano parecchi
cattivi consigli; ed egli le ridusse in altrettanti pezzi.
Ripigliò di poi gli studi, scrisse sopra la coperta dei libri i ricordi di sua madre, fuga
dall'ozio e dai cattivi compagni.
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Mandò quindi una lettera di buon capo d'anno al padre che provò grande consolazione nel
vedere il figlio ritornato ai pensieri che per tanti anni aveva nutriti. Così passò il tempo di
ginnasio.
Richiamando alla memoria come nella casa paterna vi erano parecchi {24 [202]} libri e
giornali cattivi scrisse Valentino tante lettere a suo padre, seppe tanto accarezzarlo soprattutto in
tempo di vacanza, fecegli tante promesse, che lo risolse a disfarsi di tutto. Inoltre per alcuni
frivoli pretesti il padre mangiava grasso nei giorni proibiti. Valentino col suo contegno, con
parole, raccontando esempi, e facendone umile richiesta al padre, riuscì a farlo desistere,
inducendolo ad osservar le vigilie comandate dalla Chiesa appunto come deve fare ogni buon
cristiano.
Capo V. La vocazione.
Valentino aveva passato cinque anni in collegio colla massima soddisfazione del genitore
e de' suoi superiori. Da prima incontrava qualche difficoltà per abituarsi alla nuova disciplina,
ma riflettendo che quello era il tenore di vita già praticato con sua madre ne {25 [203]} fu assai
contento e ne provava continua allegria. In tempo di vacanza era eziandio di grande conforto e di
piacere al genitore che quanto più si andava avanzando alla vecchiaia, tanto più concentrava i
suoi affetti e le sue speranze nel caro suo figlio. Intanto Valentino percorreva già l'ultimo anno di
Ginnasio con una condotta che lasciava niente a desiderare, e in tutti quei cinque anni non parlò
mai di vocazione. Aveva più volte dimandato al direttore del collegio a qual cosa lo consigliava
di appigliarsi compiuto che avesse il Ginnasio. « Sta buono, gli rispondeva, studia, prega, e a suo
tempo Dio ti farà conoscere ciò che sarà meglio per te.
- Che cosa debbo praticare, affinchè Dio mi faccia conoscere la mia vocazione?
- S. Pietro dice che colle buone opere noi possiamo renderci certi della vocazione e della
elezione dello stato.
Alla pasqua del quinto anno del ginnasio dovendosi cominciare gli esercizi spirituali egli
disse che in quest' occasione {26 [204]} desiderava trattare della sua vocazione e sebbene da
qualche tempo si sentisse grande propensione allo stato ecclesiastico, tuttavia temeva di esserne
impedito dalla sua cattiva condotta passata. Si presentò pertanto in quei giorni al direttore, e
tenne seco lui un colloquio, che noi abbiamo trovato scritto fra le sue carte; eccolo:
Valentino. Quali sono i segni che manifestano essere o non essere un giovane chiamato
allo stato ecclesiastico?
Direttore. La probità dei costumi, la scienza, lo spinto ecclesiastico.
- Come conoscere se vi sia la probità dei costumi?
- La probità dei costumi si conosce specialmente dalla vittoria dei vizi contrarii al sesto
comandamento e di ciò bisogna rimettersi al parere del confessore.
- Il confessore già mi disse che per questo canto posso andare avanti nello stato
ecclesiastico con tutta tranquillità. Ma e per la scienza? {27 [205]}
- Per la scienza tu devi rimetterti al giudizio dei superiori che ti daranno gli opportuni
esami.
- Che cosa s'intende per ispirito ecclesiastico?
- Per ispirito ecclesiastico s'intende la tendenza ed il piacere che si prova nel prendere
parte a quelle funzioni di chiesa che sono compatibili coll'età e colle occupazioni.
- Niente altro?
- Vi è una parte dello spirito ecclesiastico che è d'ogni altra più importante. Essa consiste
in una propensione a questo stato per cui uno è desideroso di abbracciarlo a preferenza di
qualunque altro stato anche più vantaggioso e più glorioso.
- Tutte queste cose trovansi in me. Mia madre desiderava ardentemente che mi facessi
prete, ed io era più ansioso di lei. Ne fui avverso per due anni, per quei due anni che voi sapete:
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ma al presente non mi sento a nissun'altra cosa inclinato. Incontrerò alcune difficoltà da parte di
mio padre che mi vorrebbe in una carriera civile, {28 [206]} ma spero che Dio mi aiuterà a
superar ogni ostacolo.
Il direttore gli fece ancora osservare che il farsi prete voleva dire rinunziare ai piaceri
terreni; rinunziare alle ricchezze, agli onori del mondo, non aver di mira cariche luminose, esser
pronto a sostenere qualunque disprezzo da parte dei maligni, e disposto a tutto fare, a tutto
soffrire per promuovere la gloria di Dio, guadagnargli anime e per prima salvare la propria. «
Appunto queste osservazioni, ripigliò Valentino, mi spingono ad abbracciare lo stato
ecclesiastico. Imperciocchè negli altri stati avvi un mare di pericoli, che trovansi di gran lunga
inferiori nello stato di cui parliamo. » Ma le difficoltà dovevano appunto incontrarsi dalla parte
del padre.
Capo VI. Le difficoltà.
Al mese di maggio di quell' anno Valentino scrisse al padre una lettera {29 [207]} in cui
gli manifestava la sua deliberazione e gliene chiedeva il consenso. « Mio padre, diceva, ho
attentamente esaminata la mia vocazione, ho dimandato consiglio ai miei superiori e
specialmente al confessore; dopo cui ho deliberato di abbracciare lo stato ecclesiastico. So che
voi mi amate, e desiderate il mio vero bene, perciò spero che ne sarete al par di me contento.
Quando io era fanciulletto mia madre mi condusse avanti un altare della Madonna, che è nella
nostra chiesa, e dopo ripetute preghiere, ho più volte udita a dire: Maria, fate che questo mio
figlio sia sempre vostro, e se non si oppone al bene dell'anima sua fatene uno zelante sacerdote.
Spero che il desiderio di mia madre sarà anche il vostro. »
Alla lettura di questa lettera Osnero restò afflittissimo. Egli aveva una vistosa fortuna;
Valentino era unico erede, e atteso il suo ingegno non ordinario, il suo amore alla fatica, la
vivacità del carattere, la bontà e la pieghevolezza dell' indole se gli {30 [208]} presentava
davanti una delle più brillanti carriere civili. Perciò i affezionato genitore desiderava che si
appigliasse a qualche carriera nel secolo e fosse per così dire il bastone della sua vecchiaia, il
sostenitore del suo nome e della sua famiglia. Scrisse una lettera in cui si mostrava adirato e
pentito di averlo messo in quel collegio, criticava quei superiori di averlo educato troppo nella
religione, gli comandava di venire immediatamente a casa con proibizione di non mai più
parlargli di vocazione. Ma riflettendo alle gravi conseguenze che quella lettera avrebbe potuto
produrre, non la spedi, e ne scrisse un'altra più mite del tenore seguente.
« Amato figlio. Dalla tua lettera conosco che tu intendi abbracciare lo stato ecclesiastico.
Questa deliberazione è immatura, la tua età ti rende incapace di conoscere quello che tu risolvi di
fare. Tu devi dipendere da me, e non da altri. Io sono tuo padre, io solo posso e voglio renderti
felice. Le sostanze in casa non ti mancheranno, {31 [209]} una luminosa carriera ti si va
preparando, un lieto avvenire ti attende. Ma non badare ad altro che a tuo padre. Fammi pronta
risposta, e dimmi sinceramente quello che pensi e che vuoi fare. »
Valentino lesse la lettera, e con tutta tranquillità rispose al padre così:
« La vostra lettera conferma la grande affezione che avete sempre avuta per me. Voi, o
padre, volete la mia felicità, e questa felicità io la vedo nello stato ecclesiastico. Nissun onore,
niuna carriera, nè mai altra ricchezza potrà rendermi felice fuori dello stato ecclesiastico. Padre
mio, Iddio del Cielo e della terra è mio e vostro padrone. Se egli mi volessse suo ministro
vorreste voi opporvi? La dignità del sacerdote non è superiore a tutte le dignità della terra? Se ci
assicurassimo la salvezza dell' anima, non avremmo guadagnato il più gran tesoro che uomo
possa guadagnare sulla terra? Vi assicuro per altro, che qualunque cosa io faccia non sarò
giammai per abbandonarvi. Finchè vivrò, {32 [210]} nulla risparmierò per confortare la vostra
età, amarvi e rispettarvi e procurarvi una vita felice. »
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Don Bosco - Valentino o la vocazione impedita
Osnero comprese che colle opposizioni non avrebbe guadagnato nulla sull' animo del
figlio, quindi giudicò meglio dissimulare ogni suo divisamente e attendere le vacanze. Perciò gli
scrisse che aveva con piacere ricevuta la sua lettera, si facesse animo e che terminati i suoi esami
fosse tosto andato a casa. Del resto avrebbero poi parlato di presenza e si sarebbero di ogni cosa
intesi alla fine dell' anno scolastico. Valentino con esito felicissimo subì i suoi esami, ma non
sapeva risolversi di andare a casa per timore che il padre continuasse ad opporsi alla sua
vocazione. Osnero dal suo canto non vedendo il figlio, venne egli stesso a prenderlo per condurlo
in vacanza. Qui ci fu una scena assai commovente. Valentino desiderava che prima di partire il
padre gli assicurasse il sospirato consenso di farsi prete; questi nulla voleva promettere, e l'altro
non voleva nulla {33 [211]} risolvere. In fine Osnero prese questo temperamento dicendo: « Se
la tua vocazione ti viene dal cielo, io non voglio oppormi e ti do il mio pieno ed assoluto
consenso. Ma siccome io temo che tu non conosca quello che fai, così io voglio che venga a
casa; e dopo alcuni giorni di vacanza ci apriremo liberamente il nostro cuore, quindi se perseveri
nello stesso volere ti lascierò pienamente libero, anzi niente risparmierò per favorirti e secondarti
nel nobile tuo disegno. »
A quelle parole, a quelle promesse Valentino si arrese. Nel congedarsi dal collegio il
direttore gli indirizzò queste parole: « Mio buon Valentino, una gran battaglia ti aspetta. Guardati
dai cattivi compagni e dalle cattive letture. Abbi sempre la Madonna per madre tua e ricorri
spesso a lei. Fammi presto sapere delle tue notizie. » Valentino molto commosso tutto
promettendo parti col padre alla volta della patria. {34 [212]}
Capo VII. Una guida fatale.
La più trista sventura che possa cogliere un giovanetto è una mala guida; di essa pur
troppo fu vittima anche il nostro Valentino. Mi trema la penna in mano mentre scrivo, e non
crederei a me stesso se la verità del racconto non escludesse ogni dubbio. Quell' infortunio possa
almeno servire di ammonimento ad altri.
Giunto Valentino alla casa paterna fu lasciato alcuni giorni in balìa di se stesso, senza che
gli fosse fatta parola di vocazione. Intanto il padre accecato dal desiderio che suo figlio dovesse
divenire il sostegno del suo nome e dello stipite della famiglia, voleva a qualunque costo indurlo
a cangiar progetto intorno alla vocazione e per riuscire si appigliò al diabolico divisamento di
affidarlo ad un uomo di guasti costumi, affinchè insegnasse la malizia al povero suo figlio. Padre
infelice, per la speranza di un misero {35 [213]} temporale vantaggio rovina la casa, l'onore, il
corpo, l'anima propria e del figlio!
Osnero adunque affidò Valentino ad un certo Mari, affinchè lo conducesse in mezzo al
mondo, glielo facesse bene conoscere, dipoi deliberasse intorno alla sua vocazione. Questo Mari
era uomo alquanto attempato, il quale aveva passata la vita ne' passatempi e ne' vizi, che
solamente la sua età costringeva di abbandonare. Osnero disse dunque: « Mio caro Mari, voi
siete sempre stato un amico sincero della mia famiglia; ora ho cosa di molto rilievo da
raccomandarvi. Il mio Valentino vuol farsi prete, io non voglio.....Voi già mi capite, prendetelo
seco voi, fatelo viaggiare, vedere, godere quanto vi è nel mondo. Ciò che spenderete è tutto a
mio conto, abbiate soltanto cura della sua sanità. »
« Lasciate far da me, rispose Mari sorridendo, comprendo tutto, voi non potevate
scegliere persona più capace per quest'impresa, io procurerò di contentare il figlio e rendere a voi
il {36 [214]} servizio che desiderate. » Partirono, e nel partire Mari si adoperò che Valentino
seco non avesse alcun libro di divozione; laonde per fargli passare la noia del cammino gli
andava raccontando mille storielle di frati, di preti, di monache; da prima indifferenti, di poi
andò avanti grado per grado in cose invereconde. Quindi gli somministrò libri di materie oscene
che a prima vista Valentino rigettò con orrore; ma che poco a poco cominciò a leggere per
passatempo, di poi per curiosità, e non era ancora scorso un mese quando il povero Valentino
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Don Bosco - Valentino o la vocazione impedita
erasi già abituato ad ogni genere di lettura e discorsi. Una sola parola di un amico forse in quel
momento l'avrebbe ritratto dalla rovina, ma quell' amico non l'ebbe. Così il perfido Mari dopo di
avere fatto girare l'infelice Valentino per alberghi, giuochi, caffè, balli, teatri, dopo averlo fatto
viaggiare in varii paesi e città, finalmente riusci a sedurlo e per colmo di sventura ingolfarlo in
quel vizio che S. Paolo vuole che sia nemmen nominato fra {37 [215]} i cristiani. Valentino
vedeva l'abisso verso cui camminava e sul principio ne sentiva i più acuti rimorsi. Cercò più
volte di andarsi a confessare; ma la scelerata guida ne lo ha sempre impedito. Una sera voleva a
qualunque costo recarsi presso un convento di cappuccini e Mari gli fece sbagliare la strada e lo
condusse in una casa di perversione. Valentino fu dolente e provò tale rincrescimento e giunse a
tal segno di disperazione che era per precipitarsi giù da una finestra del terzo piano dell'albergo,
se Mari non fosse corso a rattenerlo per gli abiti. « In quel momento, disse più tardi Valentino, io
giudicava che la morte fosse un male minore dei rimorsi di coscienza, da cui era in quell'istante
travagliato. » Ma questi rimorsi non durarono molto. Quasi insensibilmente Mari abituò
Valentino ai cattivi discorsi, ad ogni lettura perversa, e richiamando alla memoria il buon tempo
goduto nel primo anno di collegio si abbandono ad ogni sorta di vizio, anzi dopo sei mesi di vita
disordinata {38 [216]} non solamente non faceva più opposizioni a Mari, ma di buon grado lo
secondava in ogni suo malvagio volere. Vedendo le cose a questo punto, persuaso così di avere
compiuta la diabolica sua missione, Mari ricondusse Valentino al padre.
- Credo avervi servito, disse Mari salutando Osnero.
- Vi ringrazio, Mari, voi siete sempre stato un amico di mia famiglia, ed ora avrete un
motivo di più alla mia gratitudine.
- Padre, disse Valentino correndo ad abbracciarlo, padre, io sono tutto ai vostri cenni.
- Non ti farai più prete?
- No certamente, farò qualunque altra cosa, ma non prete.
- Sia benedetto il Cielo, io sono un padre fortunato. Dimani voglio invitare tutti i miei
amici a festeggiare il tuo ritorno.
Osnero era come colui che cammina tranquillo sopra un terreno coperto di fiori
ignorando che sotto ai medesimi vi sia un abisso profondo, nè sarebbesi {39 [217]} giammai
immaginato che il ritorno di Valentino dovesse per lui essere presagio d'immensi mali.
Capo VIII. Le amarezze di Osnero.
Osnero fu consolato assai alla notizia che suo figlio non pensava più allo stato
ecclesiastico; ma non rifletteva che il tempo passato con Mari l'aveva condotto ad abbominevoli
dissolutezze. Valentino non parlò più di sacramenti, si diede alle cattive letture, ai giuochi,
all'intemperanza, e ad altri vizi detestabili. Ma dove prendere danaro per soddisfare a tante
passioni? Da prima il padre ne somministrava, ma quando esso glielo negò, Valentino cominciò
per mettere a pegno il suo orologio, di poi a vendere alcuni abiti e parecchi sacchi di frumento.
Un giorno riuscì anche ad aprire un forziere del padre e gli involò una borsa piena di pezzi d'oro.
Il padre {40 [218]} si accorse allora del cattivo punto cui era stato condotto il figlio e per tentare
di allontanarlo dai compagni e dallo stesso Mari pensò di mandarlo a fare il corso di filosofia in
una città. Ma non era più a tempo. Valentino si diede ad una vita disordinata. Impiegava il
danaro della pensione in partite di bigliardo; quando non ebbe più danaro contrasse uno e poi un
altro mutuo che Osnero pagò per non vedere suo figlio tradotto avanti ai tribunali dei malfattori.
L'afflitto padre malgrado la sua cadente età intraprese più volte il viaggio fino a quella città,
pregò, avvisò suo figlio, gli raccomandò di ritornare alla religione, alla vita felice che un tempo
godeva.
- Padre, rispondeva Valentino, le lezioni di Mari producono il loro effetto, mi è
impossibile tornare indietro. So che sono per la strada della rovina, ma bisogna andare avanti.
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Don Bosco - Valentino o la vocazione impedita
- Caro Valentino, disse il padre piangendo, dammi ascolto. Vieni a casa, fa quello che
vuoi, purchè abbandoni la cattiva strada per cui ti {41 [219]} sei messo. Questa tua vita ti
conduce al disonore, alla miseria, all'infamia, e conduce me anzi tempo alla tomba. Valentino lo
guardò fisso, e come volesse dire essere quello per colpa sua soggiunse: « Perchè mi avete
impedita la vocazione? » Ciò detto abbandonò il padre in mezzo di una piazza, andò da un
sensale per contrarre un altro mutuo maggiore dei primi, poi ritornò ai suoi tristi compagni.
Quest' atto fu come un colpo di spada al cuor di Osnero. Conobbe allora la conseguenza fatale di
una vocazione impedita, detestò la conoscenza del perverso Mari, deplorò il momento in cui gli
aveva affidato il suo caro Valentino, ma fu pentimento senza frutto. Nell' eccesso del dolore si
mise a piangere, ed andava per le vie di quella città esclamando: « Se mai potessi far tornare a
casa il mio Valentino sarei contento che si facesse prete, frate, e qualunque altra cosa, purchè
tornasse indietro dalla via del disonore! Padre infelice, figlio sventurato! che tristo avvenire si
prepara mai per te! » {42 [220]}
Giunto a casa supplicò il suo paroco a dargli lume e consiglio: il paroco provò a scriver
lettere a Valentino, che nulla rispose. Supplicò alcuni amici che abitavano nella medesima città
affinchè volessero tentare i mezzi estremi per richiamare il figlio dalla via del libertinaggio. Ma
mentre queste cose si trattavano giunse la notizia che Valentino si era associato ad alcuni
malandrini i quali lo fecero prender parte ad una delle più nefande azioni. Fu sorpreso sull'atto
del delitto e coi perversi compagni tradotto in carcere. Osnero non potè sostenere quel colpo
fatale: la sua età, la sensibilità del suo cuore parvero trarlo fuori di senno. Cadde svenuto sulle
braccia d'alcuni amici che erano accorsi per recargli conforto. Ritornato in sè un momento, «
Maledetto Mari, esclamò, me sventurato, figlio infelice! Io vado a rendere conto a Dio.....di una
vocazione impedita. »
Ciò detto cadde nuovamente in deliquio e sorpreso da fremito violento spirò. {43 [221]}
Capo IX. Ultime notizie di Valentino.
Morto Osnero i creditori di Valentino vollero essere tutti pagati, perciò si dovette vendere
ai publici incanti parte delle sostanze paterne. L' altra parte venne devoluta al fisco che per dare
corso ai processi, pagare i mutui fatti, indennizzare alcuni cui Valentino aveva cagionato grave
danno, mandò a fondo ogni sostanza. Di Valentino erasi soltanto saputo come tradotto da uno ad
un altro carcere, la sua causa era giudicata assai grave, la sua stessa vita in pericolo, di poi
passarono più anni senza che niuno avesse potuto avere sentore di lui. Finalmente per posta
giunse al direttore del collegio, dove egli aveva fatto il ginnasio, una lettera, in cui dava
ragguaglio della condanna a lui toccata con alcune notizie che credo bene di mettere qui per
intiero: {44 [222]}
Sempre amato Sig. Direttore.
Chi vi scrive è un vostro antico ed una volta a voi caro allievo che ora è un condannato ai
lavori forzati. Inorridite, perdonatemi e leggete. Quando partii da voi per recarmi in vacanza col
povero mio genitore aveste la bontà di darmi alcuni ricordi che avrebbero fatto la mia fortuna, se
gli avessi posti in pratica; ma stolto che fui, li ho trascurati con irreparabile mio danno. Mi
diceste di scrivervi presto. Ma un poco per colpa, un poco per impotenza nol feci mai. Ora mi è
dato di farvi pervenire una lettera per mano sicura, e perciò compio il mio dovere, e verso nel
vostro paterno cuore le amarezze dell'animo mio, come già un tempo depositava ogni segreto
della mia coscienza - Che tristi fatti succedettero dopo la nostra separazione! L'infelice mio
padre per impedirmi la vocazione mi affidò ad un uomo scellerato, che con modi scaltri e
seducenti mi ingolfò in ogni sorta di vizi. {45 [223]}
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Don Bosco - Valentino o la vocazione impedita
I rimorsi, l'orrore al male mi hanno sempre accompagnato, ma non potei mai risolvermi a
ritornare indietro. L' ultimo delitto, inoridisco a dirlo, fu un assassinio. O cielo! che nefanda
parola! Un vostro allievo che riportò il primo premio di moralità; che voleva abbracciare lo stato
ecclesiastico oppure percorrere una luminosa carriera nel secolo, ora è costretto di coprirsi della
più nera infamia e chiamarsi assassino. Ascoltate. Dopo aver passato alcuni anni nel giuoco e nei
bagordi io mi trovava oppresso dai debiti ed inseguito dai creditori. Colla speranza di guadagno
aveva passata una notte nel giuoco con alcuni ribaldi. Quando trovandoci tutti senza danaro uno
di loro propose d'introdurci in una casa mentre il padrone dormiva, e commettere un furto.
Ognuno guardò fisso in volto il male augurato consigliere e tremò a quella detestabile proposta,
giacchè appartenevano tutti ad onesta famiglia, ma niuno ardì fare osservazioni - Con false
chiavi e con qualche rottura eravamo già penetrati in una {46 [224]} camera, scassinata una
cassa di ferro, già poste le mani sopra una vistosa somma di danaro, allora che svegliandosi il
padrone, « ai ladri, ai ladri si mette a gridare, ai ladri, » gridano i servitori, e tosto danno di piglio
a stanghe, bastoni, tridenti od altro che cadde loro nelle mani. Uno dei miei compagni per frenare
le grida di spavento e per difendersi sconsigliatamente sparò una pistola che andò a colpire un
braccio della moglie del padrone che giaceva tuttora in letto ammalata. Alle grida che si
andavano da ogni angolo elevando tentammo di fuggire, ma non fummo più a tempo. La forza
pubblica si era impadronita di tutte le uscite e noi in numero di cinque cademmo nelle mani de'
gendarmi. La povera ammalata sia per la ferita toccata, sia pel male che già aveva, o per lo
spavento che provò rimase convulsa e nel giorno seguente cessò di vivere. Intanto fummo tutti
condotti prima in una di poi in altra prigione. Finalmente dopo due anni uno fu condannato ai
lavori forzati a {47 [225]} vita, io e gli altri tre ad anni quindici della medesima pena. Ora sono
qui da tre anni; in vista della mia buona condotta mi vennero già condonati due anni. Chi sa che
qualche favorevole avvenimento non mi procuri altra diminuzione di pena!
O caro padre dell' anima mia, chi l'avrebbe mai immaginato che un vostro allievo, il
quale accolse con tanto piacere i vostri avvisi, e fu tante volte confortato dalle vostre carezze
dovesse un giorno diventare, orrendo a dirsi! un galeotto? Ora ascoltate dove andarono a
terminare tutte le agiatezze di mia famiglia ed in quale condizione io mi trovo. Da mattino a sera
condannato a duri e faticosi lavori senza altro compenso che continui strapazzi e non di rado
sonore vergate. Il mio letto è un duro saccone; una scodella di minestra al sale, un po' di pane e
di acqua sono il mio alimento quotidiano. Ma questo è niente. L'odio poi, il disprezzo, le
imprecazioni, le oscenità, le bestemmie che orrende e continue ci suonano all'orecchio {48
[226]} rendono questo luogo simile all'inferno. Il disonore portato alla famiglia, l'infamia, di cui
ho coperto il mio nome, il tristo mio avvenire, la morte anticipata all'amato mio genitore sono
rimorsi che mi agitano giorno e notte. Forse voi direte: Come hai tu potuto diventare tanto
scellerato, mentre per cinque anni fosti cotanto buono con noi? Io non sono mai stato, nemmeno
adesso non sono un scellerato. Io sono un giovane infelice, uno sventurato, ma non perverso.
L'opposizione fatta dal padre alla mia vocazione, una guida infame mi condussero prima alla
frequenza di perversi compagni, di poi all'abisso in cui mi trovo. Ma la religione fu sempre meco
ed in ogni malvagia azione non potei mai dimenticare quella parola che con tanta bontà mi avete
più volte fatto risuonare all'orecchio: Se perdi l'anima tutto è perduto, se salvi anima tutto è salvo
in eterno. Ora conosco le enormità de' miei delitti, adoro la mano del Signore che mi ha percosso
e accetto {49 [227]} i miei mali in penitenza de' miei misfatti. Non so quale sia per essere il
futuro mio destino; ma se mai potrò un giorno uscir dal luogo del disonore, correrò
immediatamente ai vostri piedi; i vostri consigli saranno la norma delle mie azioni per tutta la
vita; anzi ho ferma speranza che nella vostra grande bontà sarete per darmi presso di voi una
qualunque siasi occupazione comunque vile, purchè io possa lavorare, far penitenza e salvarmi
l'anima. Vogliate intanto raccomandare caldamente ai genitori di giovani studenti di aprire
l'occhio se dove mettono i loro figli ad educare vi sia religione e moralità, nè mai si oppongano
alla scelta della loro vocazione. Ma non cessate mai di raccomandare due cose speciali a' miei
antichi compagni o ad altri giovanetti che si trovassero tuttora sotto alla vostra paterna disciplina,
che: 1° Fuggano i cattivi compagni come nemici funesti che conducono anima e corpo alla
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Don Bosco - Valentino o la vocazione impedita
rovina; 2° Nel decidere della loro vocazione ci pensino seriamente e dopo la preghiera si tengano
{50 [228]} ai consigli di una guida pia, dotta e prudente. Qualora per altro incontrassero
difficoltà da parte dei genitori non seguano il mio esempio, si acquietino, preghino, insistano
presso ai parenti con pace e tranquillità, fino a tanto che vengano tolti gli ostacoli e possano
compiere le cose che sono secondo l'adorabile volontà del Signore.
Pregate Dio perchè mi conceda la grazia di poter ancora rivedere l'amato vostro cospetto
per essere guidato dai paterni vostri consigli, riparare i miei scandali con una vita cristiana finchè
per la grande misericordia del Signore mi sia dato di abbandonare l'esiglio e la valle del pianto
per quindi volare in seno al Creatore per lodarlo e benedirlo in eterno.
Capo X. Morte di Mari.
Mari erasi trovato anch'egli presente alla morte di Osnero, e quando esso {51 [229]}
lanciogli contro quella maledizione, lo fissò con uno sguardo così minaccioso e truce che ne
rimase tutto atterrito. Pareva che quello sguardo gli volesse dire: Mari, tu sei cugione delle mie
sciagure, e della mia morte. E sebbene la vera causa del suo male fosse Osnero medesimo,
perciocchè egli non avrebbe mai dovuto affidare suo figlio ad un uomo scostumato, per altro è
vero altresì che Mari fu lo strumento fatale di quella iniquità, nè mai avrebbe dovuto aderire
all'inconsiderata proposta di un amico con mezzi così empi e nefandi. Ora dovete notare che
Mari vantavasi per uomo spregiudicato in fatto di religione, non aveva mai dato segno di paura,
nè pei vivi, nè pei morti; tuttavia dopo la mòrte di Osnero gli pareva che il terribile sguardo di lui
lo accompagnasse giorno e notte. Fu talvolta veduto lasciare il pranzo e fuggire spaventato, come
diceva, dal tetro aspetto di Osnero che lo minacciava.
Non di rado notte tempo svegliavasi gridando e chiamando i suoi servi perchè {52 [230]}
accorressero ad allontanargli lo spettro o l'ombra di Osnero. Quest'ombra, questo spettro credo
fossero niente altro che i rimorsi della coscienza i quali sono sentiti anche dai più malvagi.
Mari stesso non potendo persuadersi che ciò non fosse trasporto di fantasia, giudicò di
trovare qualche sollievo nei giuochi, nelle feste da pranzo, nelle partite cogli amici, ma non
riusci a migliorare la sua sorte, perciocchè appena ritornava a casa, gli spettri, le ombre, le
immaginazioni lo atterrivano più che mai. Uno dei suoi antichi amici gli suggerì un giorno di
andare a chiedere qualche buon consiglio dal paroco. « I preti, gli diceva, hanno certi segreti o
consigli o benedizioni, come dicono essi, che spesse volte sono efficacissimi a calmare le interne
desolazioni. » Mari non era famigliare nè col paroco, nè con altri preti, ma soleva trattare tutti
con gentilezza e con grande cortesia; nè aveva mai mostrato contro al suo prevosto alcuna
avversione se non quella che un uom mondano suole avere {53 [231]} pei ministri della
religione. Ritardò ciò non di meno alcuni giorni finchè vedendo ognor più crescere le sue pene,
ed i suoi affanni, si deliberò di fare la proposta visita al suo paroco. Quell'uomo di Dio lo accolse
con tutta bontà, e discorrendo ascoltò la relazione delle angustie e dei mali di Mari. In fine il
buon pastore cercava di calmarlo facendogli osservare essere quello un effetto della profonda
impressione cagionata dalla perdita dell'amico Osnero. Di poi stringendo affettuosamente a Mari
la mano, disse: « Tuttavia, o caro Mari, io credo di proporvi un rimedio efficacissimo pei vostri
mali, e che vi apporterà un sensibile vantaggio.
- Sì parlate, io farò e prenderò il rimedio che sarete per suggerirmi, io vi ho sempre
stimato assai, ed ho in voi molta confidenza.
- Voi pel passato non avete badato gran cosa alla religione. Le gravi vostre occupazioni
forse ve ne hanno distolto. Ora ascoltate la voce del vostro pastore, preparatevi, fate una buona
confessione, {54 [232]} e in questo voi troverete un potente sollievo ai vostri mali.
A queste parole inaspettate Mari cangiò di colore in volto dando un severo sguardo al
paroco, di poi pigliando il cappello si alzò in piedi. « Signor prevosto, sono vostro servo, queste
non sono cose da proporsi a Mari. - Ciò detto tutto pien di collera immantinenti partì.
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Don Bosco - Valentino o la vocazione impedita
Giunto a casa con sua grande sorpresa trovò una lettera inviatagli da Valentino. In quella
gli rimproverava nel modo più duro e risentito le perfide insinuazioni con cui l'aveva messo per
la via del disonore e della desolazione. « I vostri perversi consigli, terminava la lettera,
condussero la mia casa alla rovina, mandarono il caro mio padre anzi tempo alla tomba, e di un
onesto giovanetto faceste un galeotto. »
Questi rimproveri furono un colpo di fulmine all'abbattuto animo di Mari, sicchè vie più
sembravagli di essere inseguito dallo spettro di Osnero, e dal rimorso di aver fatto infelice
Valentino. {55 [233]} Cadde quindi nella inedia a segno che aveva a noia ogni sorta di cibi, e in
breve si trovò ridotto ad una estrema debolezza. Febbri, infiammazioni degli intestini, ed una
specie di ulcerazioni, furono come le conseguenze dei mali già esistenti.
In quello stato compassionevole Mari cominciò a pensare seriamente ai casi suoi, e
accorgendosi che l'ulcerazione dei visceri estendevasi fino alla gola, ed una quantità di piccole
pustule invadevano la lingua che gonfiando sensibilmente lo minacciavano d'impedirgli la
loquela, non potè più illudersi della gravità del male. « Povero Mari, fu udito esclamare tra sè,
ogni cosa sta per finire per te, tu devi abbandonare il mondo, e dove andrai? Il tuo corpo al
cimitero, ma l'anima tua? Povero Mari! Se tu avessi pensato per tempo a questo momento,
quanto mai ora saresti confortato! » Dopo chiese una bibita che non potè inghiottire. Fece
allontanare i suoi servi ed i suoi amici per riposarsi un momento; ma appena potè gustare alcuni
istanti di sonno che {56 [234]} subito si svegliò gridando e chiamando aiuto.
« Miei cari, disse a' suoi amici, in questo momento m'apparve tremenda in sonno l'ombra
di Osnero, che mi rivelò prossima la morte e la comparsa che presto dovrò fare innanzi al
Giudice supremo. Forse non sarò più a tempo, tuttavia voglio fare ultima prova; andate tosto a
pregare il signor prevosto, ditegli che io sono vicino a morte, e che lo attendo al più presto
possibile. »
Il prevosto soleva andare ogni giorno a prender notizie di Mari, ma gli fu sempre vietato
di avvicinarsi al suo letto. In quel momento egli si trovava appunto alla porta di casa chiedendo
di entrare. Fu sull'istante introdotto dall'infermo.
- Signor prevosto, gli disse Mari commosso e maravigliato di vederlo così presto presso
di lui, perdonatemi le ingiurie che vi ho fatto, io vi ho oltraggiato . . .
- Non parlate di perdono, io non fui mai offeso da voi, io vi ho sempre {57 [235]} amato
e più vi amo adesso che mi fate il più grande piacere di ammettermi alla vostra presenza.
- Signor prevosto, soggiunse Mari rompendo in lagrime, posso ancora avere speranza di
salvarmi?
- Sì, caro Mari, la misericordia di Dio è infinita. Egli vi diede tempo, vi dà la volontà e
dispose che io qui mi trovassi per aiutarvi. Fatevi animo, voi siete nelle mani di un amico.
- Dio vorrà perdonare la moltitudine delle mie iniquità?
- Sì, Mari, io ve l'assicuro a nome di questo Salvatore, la cui bontà immensa vedete
rappresentata sopra questo crocifisso. » Ciò diceva, mostrandogli l'immagine di un crocifisso che
portava sempre seco nelle visite agli infermi.
- Che fare adunque?
- Una buona confessione.
- Non ne son più capace, le forze mi mancano.
- Non ve ne date pena, io sono il vostro prevosto, io vi aiuterò, rispondete solamente a
quanto vi dimando. {58 [236]}
Quindi con zelo e con carità gl'incominciò la confessione. Uno interrogava, l'altro
rispondeva, e dove Mari restava confuso, il prevosto con disinvoltura ammirabile faceva la parte
di confessore e di penitente. Ma che? dopo alcuni minuti Mari apparve così sfinito di forze e la
sua lingua gonfiò così sensibilmente, che gli si impediva quasi affatto di parlare. Ciò nondimeno,
non senza gravi difficoltà, potè terminare la sua confessione.
Compiuta la confessione Mari si mostrò molto più tranquillo, e in mezzo a' suoi mali
apparve con aria ilare quale da molti anni niuno l'aveva più veduto. Chiamati quindi i suoi
parenti ed amici fece uno sforzo e profferì queste ultime parole: « Ho dato scandalo,
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Don Bosco - Valentino o la vocazione impedita
perdonatemi, i miei mali e la mia morte siano in penitenza de' miei peccati. Mio Dio, vi
ringrazio, mio Dio misericordia. » Desiderava molto di ricevere il Viatico, ma le ulcerazioni
della gola e la gonfiezza della lingua ne lo impedirono. Visse ancora due giorni in quello stato di
angustia e {59 [237]} di patimento con piena cognizione, ma con piena rassegnazione ai divini
voleri, senza poter parlare. Il suo prevosto non lo abbandonò più nè giorno nè notte, e qualora
egli avesse tentato per qualche istante di allontanarsi Mari lo prendeva tosto per mano, gliela
baciava affettuosamente e lo invitava con segni di caldo desiderio a rimanere. Baciava spesso il
crocifisso, e ripeteva meglio che poteva le frequenti giaculatorie che di quando in quando gli
erano suggerite.
Poche ore prima che mandasse l'ultimo respiro, apparve molto agitato: voleva parlare e
non poteva, baciò il crocifisso, di poi portò gli occhi sopra gli astanti, e non potendo dire parole,
si mise a piangere. Gli astanti erano costernati perchè non potevano comprendere quello che
volesse esprimere e pensarono di portargli una penna con un foglio di carta per provare se mai
avesse potuto in qualche modo palesare i suoi pensieri.
Mari ne mostrò piacere, prese la penna e sorretto nella persona dai {60 [238]} suoi amici,
e appoggiando la mano sul braccio del prevosto scrisse queste parole: « Valentino, perdono dello
scandalo dato, vivi da buon cristiano e sarai felice in punto di morte. Io muoio pentito; la divina
misericordia sia per me e per te, ti attendo all'eternità. » Dopo lasciò cadere la penna e facendo
una specie di sorriso, come di chi ha soddisfatto ad un suo grande desiderio, si adagiò di nuovo
sul suo capezzale, entrando quasi subito in agonia, senza più dare alcun segno di cognizione. Il
prevosto che poco prima gli aveva amministrato l'Olio Santo allora gli comparti la benedizione
papale. Di poi mentre leggeva le preghiere del proficiscere l'anima di Mari lasciò di vivere nel
tempo per andare a cominciare la sua eternità dove speriamo avrà trovato misericordia nel
cospetto del Signore.
Con approvazione Ecclesiastica. {61 [239]}
Divota preghiera nelle presenti calamita' della Chiesa.
Dolcissimo Gesù, nostro divin Maestro! che sempre sventaste le nefande macchinazioni
con cui i Farisei frequentemente v'insidiavano, dissipate i consigli degli empi e di tutti coloro che
nella pusillanimità dello spirito cercano colle loro fallaci arguzie di adescare ed ingannare il
popolo. Col lume della vostra grazia rischiarate tutti noi vostri discepoli, affinchè non restiamo
corrotti dall' astuzia dei sapienti di questo secolo, che spargono dappertutto i loro perniciosi
sofismi per trarre anche noi nei loro errori. Concedeteci tale un lume di fede da {62 [240]} farci
conoscere le insidie degli empii, sicchè fermamente credendo i dogmi della vostra Chiesa,
costantemente rigettiamo i cavilli spacciati come assiomi.
Il Santissimo Signor nostro Pio, per divina Provvidenza Papa IX, il 22 di ottobre del
1866 benignamente concedeva cento giorni di vera indulgenza nella forma consueta della
Chiesa a coloro che piamente e divotamente reciteranno la presente orazione.
AL. CARD, BARNABÒ
Pref. della S. C. di Propaganda Fide. {63 [241]}
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Don Bosco - Valentino o la vocazione impedita
Indice
Capo I. La madre di famiglia
Capo II. Primo anno di collegio
Capo III. Le vacanze
Capo IV. Nuovo Collegio. Ritorna alla pietà
Capo V. La vocazione
Capo VI. Le difficoltà
Capo VII. Una guida fatale
Capo VIII. Le amarezze di Osnero
Capo IX. Ultime notizie di Valentino
Capo X. Morte di Mari
Divota preghiera nelle presenti calamità della Chiesa
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