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Don Bosco - Il cristiano guidato alla virtù ed alla civiltà secondo lo spirito di S. Vincenzo de’Paoli [2a edizione]
IL CRISTIANO GUIDATO ALLA VIRTÙ ED ALLA CIVILTÀ
SECONDO LO SPIRITO DI S. VINCENZO DE’PAOLI
Opera che può servire a consacrare il mese di luglio in onore del medesimo Santo
PEL SACERDOTE GIOVANNI BOSCO
EDIZIONE SECONDA
TORINO, 1876
TIPOGRAFIA E LIBRERIA SALESIANA
SAN PIER D’ARENA
Ospis. di s. Vinc. de’Paoli
NIZZA MARITIMA
Patronato di s.Pietro.{1}
PROPRIETÀ LETTERARIA {2}
INDEX
Al lettore......................................................................................................................................3
Cenni storici intorno alla vita di S. Vincenzo de’ Paoli...............................................................3
Giorno primo. Carattere di S. Vineenzo de’Paoli........................................................................5
Giorno secondo. Sua imitazione di Gesù Cristo..........................................................................7
Giorno terzo. Sua carità verso de’mendici...................................................................................9
Giorno quarto. Amove del Santo verso Dio...............................................................................11
Giorno quinto. Sua carità verso de’condannati alle galere........................................................13
Giorno sesto. Servigi resi dal Santo ad ogni grado di persone..................................................16
Giorno settimo. Conversioni operate da S. Vincenzo de’Paoli..................................................19
Giorno ottavo. Della sua dolcezza.............................................................................................22
Giorno nono. Delle sue divozioni particolari.............................................................................26
Giorno decimo. Dell’eguaglianza del suo spirito......................................................................27
Giorno decimoprimo. Bell’umiltà di s.Vincenzo de’Paoli........................................................29
Giorno decimosecondo. Della sua fede.....................................................................................31
Giorno decimoterzo. Delle sue massime...................................................................................33
Giorno decimoquarto. Sua mortificazione.................................................................................35
Giorno decimoquinto. Sue occupazioni.....................................................................................38
Giorno decimosesto. Sua pazienza............................................................................................40
Giorno decimosettimo. Sua povertà...........................................................................................42
Giorno decimottavo. Sua prudenza............................................................................................44
Giorno decimonono. Sua purità.................................................................................................45
Giorno vigesimo. Sua gratitudine..............................................................................................47
Giorno vigesimoprimo. Suo rispetto verso i superiori ecclesiastici..........................................48
Giorno ventesimosecondo. Suo attaccamento e figliale ossequio al Sommo Pontefice............50
Giorno vigesimoterzo. Suoi ritiri spirituali................................................................................53
Giorno vigesimoquarto. Sua semplicità.....................................................................................55
Giorno vigesimoquinto. Della sua confidenza in Dio................................................................57
Giorno vigesimosesto. Della sua condotta.................................................................................58
Giorno vigesimosettimo. Sue missioni......................................................................................60
Giorno vigesimottavo. Suo zelo per la gloria di Dio e per la salvezza delle anime..................63
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Giorno vigesimonono. Del suo disinteresse e del suo distacco dai beni della terra..................64
Giorno trentesimo. Sua preziosa morte......................................................................................66
Giorno trentesimoprimo. Elogio per la festa del Santo.............................................................67
Al glorioso S. Vincenzo de’ Paoli..............................................................................................70
A Vincenzo de’ Paoli..................................................................................................................71
Indice.........................................................................................................................................71
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Al lettore
Lo scopo di quest’operetta è di proporre a tutti i fedeli un modello di vita cristiana nelle
azioni, nelle virtù e nelle parole di s. Vincenzo de’Paoli.
Esso porta per titolo: Il Cristiano guidato alla virtù e alla civiltà secondo lo spirito di s.
Vincenzo de’Paoli, perche questo Santo avendo quasi percorse tutte le condizioni basse ed
elevate della umana società non fu virtù che in questi diversi stati non abbia fatto risplendere. Si
aggiungono quelle parole alla civiltà, perche egli tratto colla più elevata e più ingentilita classe
d’uomini, e con tutti seppe praticare quelle massime e quei tratti che a cittadino {3} cristiano,
secondo la civiltà e prudenza del Vangelo, si addicono.
Secondo lo spirito di s. Vincenzo de’Paoli, perche quanto si esporra nel decorso di queste
considerazioni e letteralmente ricavato dalla vita di lui e dall’opera intitolata: Lo spirito di san
Vincenzo de’Paoli, inserendovi solo alcuni detti della sacra scrittura sopra cui si fondano tali
massime.
Si comincia col dare un cenno sulla vita del Santo, e questo formerà come l’indice di
que’concetti che verranno con maggior corredo di circostanze sviluppati.
Intanto quel Dio che suscitò un Vincenzo qual fiaccola luminosa a portare la luce della
verità fra popoli barbari ed ingentiliti, quel Dio che volle togliere dalla plebe un uomo abbietto
per collocarlo sopra il trono de’suoi principi, affinchè colle sue eroiche virtù facesse cangiare di
aspetto la Francia e l’Europa insieme; quel Dio faccia che la stessa carità, lo stesso zelo si
riaccenda { [4]} negli ecclesiastici affinchè indefessi adoperinsi per la salute delle anime; si
riaccenda eziandio nei popoli a segno che illuminati dalle virtù del Santo, eccitati e mossi dal
buon esempio de’sacri ministri corrano a gran passi per quella strada, che alla vera felicità
l’uomo conduce: al Paradiso{ [5]} { [6]}
Cenni storici intorno alla vita di S. Vincenzo de’ Paoli
S. Vincenzo nacque l’anno 1576 nel villaggio appellato Poy vicino a’Pirenei, Diocesi di
Acqus, da genitori poveri, ma pii ed onorati, i quali si guadagnavano il pane co’lavori campestri.
Egli pure da fanciullo fu impiegato a guardare gli armenti. Sao padre rilevando la buona indole
del figliuolo e la sua inclinazione allo studio, fece ogni sforzo per mantenerlo alle scuole nella
vicina città d’Acqus. Nello spazio di quattro anni tanto profittò nelle scienze, che a diciassette
anni venne ricevuto in casa di un avvocato in qualita di maestro di due suoi figliuoli.
Mentre coltivava lo spirito di que’fortunati allievi, si senti dal Signore chiamato al
ministero Ecclesiastico. Onde ricevuti gli ordini minori, previo consenso e gradimento del suo
padre, si trasferi prima in Tolosa, poscia in Saragozza. In queste celebri Università impiegò sette
anni a studiare la teologia { [7]} dogmatico–morale. Quindi promosso al suddiaconato,
diaconato, e consacrato Sacerdote venne provveduto di un beneficiò con cura d’anime. Ma
essendogliene contrastato il possesso volentieri cedette ogni sua ragione al concorrente, non solo
perche sapeva essere cosa disdicevole ad un servo di Dio il litigare, ma molto più perche
riputandosi egli per principio di umiltà inabile a portarne il grave peso, stimo sua grande fortuna
l’esserne scaricato.
Per qualche importante affare dovette Vincenzo recarsi a Marsiglia, d’onde s’imbarcò alla
volta di Narbona, antica città di Francia. In questo cammino cadde preda de’corsari che lo
condussero schiavo in Barbaria, dove servi diversi padroni. Finalmente la Provvidenza dispose,
fosse venduto ad un rinnegato della città di Nizza marittima. Aveva costui una moglie turca, la
quale cooperò a’misericordiosi disegni di Dio per trarre il marito dall’apostasia, e liberare nel
medesimo tempo Vincenzo dall’indegna schiavitù.
Questa donna, certamente da Dio inspirata, era curiosa di sapere quali fossero i misteri e
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la morale dei cristiani, e di quando in quando veniva dove il Santo lavorava coltivando la terra.
Rapita dalle dolci istruzioni, e dal racconto, che Vincenzo le andava facendo della grandezza,
della bontà e della giustizia del solo vero Dio; mossa altresi { [8]} per alcuni inni e laudi
spirituali, che egli cantava, si affezionò talmente alla Religione Cattolica, che l’abbracciò ella
stessa e risolse il marito ad abbandonare la setta Maomettana e ritornare nel seno della Chiesa.
Vincenzo raddoppiava le sue preghiere, i digiuni e le austerità, e non lasciò d’insinuarsi
colle sue esortazioni nello spirito del suo padrone sinchè venne il momento favorevole, che tutti
e tre se ne fuggirono insieme sopra un piccolo vascello. Con prospero vento giunsero sulle coste
delle Gallie il 28 giugno 1607. Andarono quindi in Avignone, ove ebbero caritàtevole ospitalità
presso Monsignore Vicelegato, che poscia seco li condusse a Roma. Provveduto al bisogno dei
due compagni ed avendo conosciuta la prudenza e la santita di Vincenzo qual caritàtevole prelato
il trattenne presso di sè, trattandolo con affetto e generosità.
Soddisfatto ch’ebbe alla sua divozione nella capitale del mondo cristiano coll’essersi
raccomandato al Principe degli Apostoli, e con aver fatta la visita ai più celebri santuarii della
capitale del mondo cristiano, ringraziò il suo benefattore e ritornò a Parigi. Cola sotto la
protezione e direzione del celebre Cardinale Pietro Berulli, fondatore della Congregazione
dell’Oratorio, accettò la carica di precettore de’figliuoli dell’Ammiraglio delle galere. { [9]} Se
ne stava il servo di Dio in questa illustre famiglia raccolto e ritirato, non ingerendosi mai in altre
occupazioni, se non in quelle del suo dovere, ne mai compariva alla presenza del padrone, se non
chiamato. Ciascuno l’amava, e l’onorava qual angelo di pace, e qual uomo disceso dal Cielo.
Rendutasi notoria la sua virtù, il Monarca lo nominò cappellano delle galere, ed egli tanto
più volentieri gradi questo impiego, in quanto che somministrava al suo zelo un largo campo di
guadagnare anime a Dio.
Ritrovando quei galeotti più oppressi dalla gravezza de’loro peccati, che dal peso delle
loro catene, si diede con industriosa bontà a conversare famigliarmente seco loro, ed instruirli nel
dogma e nelle massime del Vangelo, a soccorrerli con sussidii temporali, onde in breve si vide in
essi maggior pazienza, rassegnazione, ed un notabile miglioramento del costume.
Era con essi tanto benigno ed affabile, che quei poveri carcerati andavano a gara di
confessarsi da lui. Egli compativali tutti, e li ascoltava con tenerezza, e verso loro praticava tanti
uffici di carità, che non sentivano le pene de’loro travagli, ed i cuori più duri restando ammolliti,
tutti lo veneravano come loro affezionatissimo padre, pronti a seguirne i consigli e i voleri.
Da san Francesco di Sales venne Vincenzo { [10]} eletto per superiore, e direttore delle
figlie del’Instituto, sotto l’immediata protezione di Maria Vergine SS. della Visitazione, ed in
trentott’anni di governo mantenne fiorente l’osservanza religiosa. Anzi colla fermezza e soavita
lo accrebbe di modo, che il santo Prelato non pote a meno di esternare la sua allegrezza dicendo,
che non poteva trovare ne uomo più savio ne Sacerdote più degno di Vincenzo. Dimostrò mai
sempre un parzialissimo interesse per la felicità de’contadini, per la salute delle loro anime.
Affinchè poi non mancassero gli operai per istruirli e portarli sul sentiero del buon costume, gli
riusci di erigere e stabilire una Congregazione di Preti secolari, con voto dalla Santa Sede
approvato, di recarsi di borgata in borgata, di villaggio in villaggio, predicando la divina parola,
ammaestrando nella dottrina cristiana la gente di campagna senza pretendere, ne ricevere da
questa retribuzione o corrispettivo di sorta alcuna. Il qual istituto e comunemente detto dei
Lazzaristi o dei Missionarii e fu solennemente approvato dal Sommo Pontefice Urbano VIII
l’anno 1632.
Cooperò efficacemente Vincenzo a far fiorire ed accrescere la disciplina nel Clero: per
sua sollecitudine si posero in buon ordine i Seminari, in vigore le conferenze teologiche morali,
gli esercizi spirituali da { [11]} premettersi alle sacre Ordinazioni, al qual effetto voleva, che
stessero sempre aperte le case della congregazione.
Essendo il Re Ludovico XIII passato agli eterni riposi assistito da Vincenzo nelle ultime
agonie, la Regina Anna d’Austria voile che egli fosse uno de’quattro Consiglieri da lei nominati
per gli affari Ecclesiastici. La maggior sua premura, che abbia spiegato in questo onorevolissimo
ufficiò, fu di persuadere l’importanza, che ai Vescovadi, alle Abazie ed alle Parochie si
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promovessero persone degne, e capaci di adempierne con frutto i doveri annessi a tale parte del
sacro ministero.
Provarono gli effetti del suo caritàtevole cuore i fedeli, che gemevano in ischiavitù presso
le barbare nazioni: i bambini esposli ed abbandonati, le vergini e le monache disperse e
pericolanti, le donzelle per miseria alle volte esposte a far male, e le donne di cattiva vita, i
carcerati, i pellegrini, gl’infermi, i mentecatti, gli artigiani invalidi: in somma Vincenzo per
consolare la travagliata umanità non la perdonò a fatiche, a stenti, a sante industrie. Dispensò
copiosissimi sussidi, fondò ospizi, ed altre pie società che ancor in oggi sussistono a fronte della
vertigine de’malevoli.
Era poi estremamente nemico d’ogni lode, applauso e stima, e se qualcheduno ne dava
{ [12]} indizio, sapeva subito contrapporvi parole, ed azioni d’umiliazione e disprezzo di se
medesimo.
Un personaggio qualificato voleva un giorno accompagnarlo nel prendere da lui congedo
sino alla porta: non s’incommodi, gli disse, perche io sono figliuolo di un povero contadino, ed
in mia gioventù ho condotto al pascolo le pecore e gli armenti.
Un’altra volta una buona femmina lo chiamò col titolo di Monsignore, a cui il Santo,
povera donna, rispose, voi mi conoscete assai male, e v’ingannate all’ingrosso: imperciòcchè io
sono un vaccaro, figliuolo di un contadino.
Un suo nipote venne a visitarlo; il portinaio ne diede l’avviso a Vincenzo, il quale scese
subito le scale e abbracciatolo strettamente lo prese per la mano, l’introdusse in casa, poscia
chiamati i preti della Congregazione, loro disse: Questo mio nipote, che voi ben vedete in abito
cosi meschino e dispregevole, si e il più civile, e gentil uomo della sua famiglia. Ne pago di
questo voile seco lui uscire in pubblica piazza.
Si dimostrò il Santo in ogni occasione pieno di umiltà, di semplicità, e di rettitudine;
abborrì di continuo gli onori, le dignità, le ricchezze, gli agi mondani; riponeva tutte le sue
delizie nella mortificazione e nella pratica di quelle virtù, che lo potevano { [13]} rendere più
gradito alla Divina Maestà.
Dalla penitenza e dalle malattie estenuato finì i suoi giorni in Parigi l’anno 1666
ottantesimo quinto della sua vita.
Tale si è in compendio la vita di S. Vincenzo de’Paoli, le cui virtù noi andremo
considerando in quest’operetta. Ogni fedel cristiano avra di che specchiarsi; l’ecclesiastico
trovera una norma nell’operare, una guida per seguire. Il secolare trovera un padre che lo ama,
che lo anima al bene, lo avverte perche fugga il male, lo conforta nelle pene, lo modera nelle sue
prosperità. In somma trovera quel grand’uomo che si fece tutto a tutti per guadagnare tutti a
Gesù Cristo.{ [14]}
Giorno primo. Carattere di S. Vineenzo de’Paoli.
Il carattere dell’uomo si deve considerare sotto tre aspetti; in quanto al corpo, al cuore ed
allo spirito. Onde noi per farci una idea esatta di Vincenzo lo considereremo relativamente al
corpo, al cuore, ed allo spirito.
Quanto al corpo. La sua statura era mediocre ma ben proporzionata, avea il capo grosso,
la fronte ampia, gli occhi vivaci, lo sguardo dolcissimo, il portamento grave e un’aria di affabilità
sortita dalla natura ma abbellita dalla virtù. Nelle sue maniere e nel suo contegno manifestavasi
quella ingenua semplicità, che annunzia la pace e la rettitudine del cuore. Il suo temperamento
era bilioso e sanguigno, e la sua complessione molto robusta. Andando da Marsiglia in Narbona
fu fatto schiavo, e ferito con un colpo di freccia da’corsari, che s’impadronirono { [15]}
dell’equipaggio francese. Il soggiorno fatto in Tunisi aveva sensibilmente alterata la sua
complessione, poichè dopo il suo ritorno in Francia pativa assai l’impressione dell’aria, e in
conseguenza molto soggetto agl’incomodi della sanità.
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Quanto al cuore. Avealo nobile, generoso, tenero, liberale, compassionevole, costante
negl’improvvisi accidenti, intrepido quando si trattava dell’obbligo suo: sempre in guardia contra
le seduzioni degli onori, sempre aperto alla voce dell’indigenza, per cui non mai mostrò
freddezza o mal animo, anzi pare che egli solamente sia vissuto a sollievo dei bisognosi, a
soccorso degl’infelici. Questa bontà di cuore lo strinse in amicizia con tutti quelli, che
professavano di amare solidamente la virtù. Nulladimeno Egli aveva un impero così assoluto
sulle proprie passioni, che appena lasciava scorgere ch’Egli n’avesse. Padre tenero, ma regolato
nella sua tenerezza, aveva ugualmente a cuore qualunque de’figli della sua congregazione; e
nella sua famiglia, benchè numerosa, non vi fù mai chi desse gelosia a’suoi fratelli. Si può con
sicurezza accertare, da molto tempo non essere stato uomo impegnato al par di lui in ogni sorta
d’affari. Obbligato a trattare cor. persone di ogni specie, d’ogni condizione, esposto
incessantemente ad occasioni le più pericolose, conservò la sua { [16]} vita non solamente
lontana da ogni sospetto, ma universalmente applaudita.
Quanto allo spirito. Avealo molto esteso, circospetto, atto a grandi cose, e difficile ad
essere sorpreso. Allorchè Egli si applicava seriamente in un affare ne penetrava tutte le relazioni,
e ne discopriva tutte le circostanze piccole o grandi: ne prevedeva gl’inconvenienti e le
conseguenze, evitava quanto il poteva di manifestare al momento il suo parere; avanti di
esprimerlo pesava le ragioni favorevoli ed opposte, consultava Dio colla preghiera e conferiva
con coloro che per esperienza erano in grado di comunicargli de’lumi. Questo carattere
assolutamente opposto a tutto ciò chè ha nome di precipitazione lo tenne lontano da ogni passo
falso; e gli aprì la strada a far gran bene. Ne già si affannava o si spaventava dalle difficoltà degli
affari; anzi li seguitava con forza di spirito superiore ad ogni ostacolo, vi si applicava con una
sagacità illuminata, ne portava il peso, le cure, la lentezza con una tranquillità di cui solo le
grandi anime sono capaci. Allorchè gli conveniva trattare qualche materia importante, Egli
ascoltava con molta attenzione quelli che parlavano senza giammai interromperli, e se qualcuno
gli troncava il discorso, Egli fisso in quell’alto principio di umiltà e di civiltà, di tacere quando
altri parla, si fermava al momento,{ [17]} e finchè non avesse cessato di parlare osservava il
silenzio. Quando poi si cessava di parlare egli tosto prendeva il filo del proprio discorso con una
presenza di spirito ammirabile. I suo raziocini erano giusti, pieni di nerbo e precisi, si esprimeva
con una certa eloquenza naturale propria a commuovere e a trar seco coloro, che l’ascoltavano,
sapeva tutto, quando si trattava di condurli al bene. Esponeva le quistioni più difficili con tanto
ordine, con tale chiarezza, massimamente circa le materie spirituali ed ecclesiastiche, che faceva
maravigliare i più esperti. Consumato nella grand’arte di accomodarsi a tutti i caratteri e di
eguagliarsi a tutte le capacità Vincenzo balbettava coi fanciulli, e parlava il linguaggio della più
sublime ragione coi perfetti. Nelle discussioni poco importanti l’uomo mediocre si credeva a
livello con lui nel maneggio dei più grandi affari; i più belli ingegni del suo secolo non lo
trovaron mai inferiore ad essi.
Il sant’Uomo era nemico del parlare ambiguo e tortuoso, diceva le cose come le pensava,
ma la sua sincerità nulla aveva che ferisse la prudenza.
Egli sapeva tacere quando credeva inutile il parlare, ne gli sfuggiva parola che indicasse
asprezza o poca stima o poca carità per qualsivoglia persona. In generale il suo carattere era
{ [18]} alieno dalle singolarità, dalle imitazioni e dalle novità, Egli aveva per principio che,
quando le cose vanno bene, non bisogna cangiarle facilmente sotto pretesto di migliorarle.
Seguitava le usanze e i sentimenti comuni, principalmente in materia di Religione. “Lo spirito
umano, diceva, e pronto ed irrequieto; gli spiriti vivaci e più illuminati non sono sempre migliori
se non sono de’più circospetti: si cammina sicuramente seguitando le pedate impresse dalla
moltitudine de’Saggi.”
Non si fermava all’esterno delle cose, ma ne esaminava la natura, il fine e le dipendenze,
e per una squisitezza di buon senso, che dominava in lui, distingueva perfettamente il vero dal
falso, il buono dal cattivo ed il migliore dal mediocre, anche quando si presentava a lui sotto le
stesse forme ed apparenze. Da ciò nasceva in lui un talento singolare per discernere gli spiriti, e
una si grande penetrazione per cogliere le buone e le cattive qualità di coloro de’quali era
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obbligato a rendere ragione, che il signor Tellier, cancelliere di Francia, non ne parlava che con
ammirazione.
Vincenzo conducevasi in modo da far dire di lui ch’era esatto osservatore d’ogni maniera
di giustizia. Nemico delle parzialità nella distribuzione de’benefizi, fu veduto rimproverare in
pieno consiglio la scelta di { [19]} un prelato, ed il successo fece conoscere che egli aveva ben
ragione di opporvisi. Zelante per la riputazione del prossimo, se qualche volta era costretto udir
parlare degli altrui difetti, aveva una santa destrezza per cancellarne l’impressione, dicendo della
persona colpevole tutto il bene che era a sua cognizione. Esatto fino allo scrupolo sopra i più
piccoli danni che aveva potuto cagionare, s’imputava sino i casi fortuiti. Il suo cocchiere avendo
impensatamente rovesciato alcuni pani, Vincenzo, per timore che fossero meno vendibili, feceli
pagare al momento. Potrei citare altri fatti di questo genere, ma essi potrebbero sembrare troppo
minuti a chiunque non sa che il Figlio d’Iddio li autorizza, allorchè ha lodato il dono di un
bicchier d’acqua fresca ed una elemosina di due oboli.
Quel servo d’Iddio non era simile a quei favoriti, che fanno commerciò e mettono a
profitto le grazie del Principe, vendendoben caro ciò che nulla loro costa. Il Governatore d’una
città ragguardevole lo prego di largli qualche buon ufficiò alla corte, e gli promise, per
impegnarvelo che sosterrebbe i Missionari del luogo, lo stabilimento dei quali era contraddetto
da persone assai potenti. “Vi serviro potendolo, rispose Vincenzo, ma per ciò che riguarda
l’affare dei Signori della Missione, vi prego di lasciarlo { [20]} in mano di Dio; preferisco
ch’essi non siano nella vostra città, piùttosto, che vederveli col favore e coll’autorità degli
uomini.”
Nemico della discordia e de’litigi si sforzava di conciliare gli animi. Dal momento ch’ei
sapeva esservi due famiglie al punto d’inimicarsi, subito adoperavasi a tutte guise per
rappacificarle. Diceva che un litigio era un boccone di dura digestione, e che il.migliore non vale
un accomodamento. “Noi litighiamo il meno che possiamo, scriveva ad un de’suoi che
spontaneamente si era inoltrato in un affare ch’era ito a male; e quando noi siamo costretti a
litigare, ciò avviene dopo aver preso consiglio tal di dentro e al di fuori; amiamo meglio perdere
del nostro, che scandalizzare il prossimo.” Ciò non ostante Dio ha permesso ch’egli avesse
alcune liti, ne guadagnasse, e ne perdesse, ma la Provvidenza voleva formare di lui un modello
per tutti gli stati; e quello de’litiganti ha bisogno di grandi esempi. La sua condotta era
ammirabile nelle liti. Allegava tutto ciò ch’era favorevole per la parte contraria, senza nulla
omettere, e faceva risaltare le lor ragioni tanto bene, e forse assai meglio di quel che avrebbe
fatto lo stesso avversario. Riguardava le sollecitazioni quali mezzi poco conformi all’equità;
diceva che un giudice il { [21]} quale tema Dio non ha alcun riguardo; che egli stesso quando era
nel consiglio della Regina non faceva nessun conto delle raccomandazioni, e si contentava di
esaminare se la cosa richiesta era giusta o no. Risparmiava l’interesse di coloro che l’attaccavano
più assai del proprio, e pagò pure una volta le spese di una lite che aveva guadagnato; di più
nudrì i litiganti, li alloggiò, e loro diede il denaro per tornarsene a casa.
Per ultimare il suo ritratto bastera aggiungere. ch’egli si era proposto Gesù Cristo a
modello; attingeva nel Vangelo tutta la sua morale, tutta la sua civiltà, tutta la sua politica. Tale
era, a giudizio di coloro che al suo tempo eran più tenuti in pregio e più in grado di ben
conoscerlo, e benchè grande sia l’idea che ne abbiam dato, si vedrà in seguito nel corso di
quest’operetta, non aver noi fatto altro che tenuemente accennare il complesso di sue virtù.
Frutto. Un divoto atteggiamento della persona, la riserbatezza nel parlare sono le due basi
sopra cui noi possiamo formarci un carattere cristiano e religioso, procurando però che le parole
e le azioni sia no sempre regolate secondo le massime del Vangelo.{ [22]}
Giorno secondo. Sua imitazione di Gesù Cristo.
Il nostro divin Salvatore avea detto a tutti i fedeli cristiani, che colui il quale segue i suoi
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passi non cammina nelle tenebre, ed è sicuro di avere un giorno il lume di vita eterna. Perciò
invitava tutti a seguirlo, proporselo per modello d’umiltà e di mansuetudine, Persuaso Vincenzo
che il discepolo non è perfetto se non quando rassomiglia al suo maestro si prefisse di averlo
continuamente dinanzi agli occhi. Lo esprimeva nelle parole, nelle azioni, seguitando, per quanto
ad un mortale e concesso, le vie penose che ci ha insegnato il Salvatore. Lo esprimeva
ne’consigli ch’era obbligato di dare, procurando di non darne alcuno cho il Figlio di Dio potesse
disapprovare; Pesprimeva colla sua fermezza, calpestando l’amor proprio ed il timore di vedere
riprovata la sua condotta da coloro, che amanola gloria degli uomini più di quella di Dio; colla
sua sottomissione, ricevendo il bene ed il male con perfetta indifferenza; col suo zelo per la
salvezza delle anime, risoluto di correre, e di far correre in traccia della pecorella smarrita per
sino alle porte dell’inferno, se poteva sperare di riacquistarla;{ [23]} colle sue mortificazioni e
colla sua povertà sempre coll’attenzione rivolta a quel Dio pendente, a cui ne’suoi giorni mortali
mancò una pietra ove posare il capo. Finalmente l’esprimeva cosi bene in tutta la sua condotta
che un sacerdote, il quale ebbe la sorte di godere della sua dimestichezza per lo spazio di
cinquant’anni, confessò di non averlo mai udito a dire parola o fare cosa alcuna, che non fosse in
ordine a Dio.
Un celebre Dottore avendo dimandato a qualcuno che aveva conosciuto particolarmente
il Santo, quale era stata la sua propria, e particolare virtù, rispose, ch’era l’imitazione di Gesù
Cristo, che il Divin Salvatore era stato la sua regola inconcussa ed il libro da lui consultato in
tutte le sue azioni. Avrebbe potuto soggiungere ch’egli l’apriva a’dotti del pari che agl’ignoranti,
ai re egualmente che a’sudditi. Luigi XIII ne fece la prova nell’ultima sua malattia. Quel principe
fece venire a se Vincenzo. Il Santo per annunziargli la morte, che una malintesa politica
nasconde quanto può agli occhi dei grandi del secolo, gli disse avvicinandosegli: “Sire, colui che
teme Dio si trova bene negli ultimi momenti: Timenti Dominum bene erit in extremis.” Questa
introduzione non sorprese un re assuefatto a nudrirsi colle più belle massime della Sacra
Scrittura, e terminando la sentenza tranquillamente { [24]} rispose: Et in die defunctionis suae
benedicetur. Sembrava che due cose occupassero quel principe; la conversione dei protestanti e
la elezione alle dignità ecclesiastiche, di cui se ne suol fare una gloria in vita, ma spesso
amareggia il cuore in punto di morte.
Scorgendo dalla sua camera il luogo ove le sue ceneri dopo la sua morte devono essere
riunite a quelle de’suoi predecessori, disse: Io non uscirò di qui che per andare cola. Vincenzo
non lo perdette mai di vista duranti gli ultimi giorni di vita. Lo confortò ad elevare lo spirito ed il
cuore a Dio, dove gli stavano preparati troni e ricchezze assai più durevoli che le terrene non
sono. Quel principe, il quale vedeva con occhio intrepido approssimarsi l’ultimo suo momento,
dimandò al nostro Santo quale era il miglior modo di prepararsi alla morte: “Sire, rispose
Vincenzo, si e d’imitare quello con cui Gesù Cristo si preparò alla propria, e di sottomettersi
interamente e perfettamente, come egli fece, alla volonta del Padre celeste.” Non mea voluntas
sed tua fiat. O Gesù, ripigliò quel monarca cristianissimo, e spirò con questi boni sentimenti fra
le braccia del nostro Santo, il giorno in cui trenta anni addietro era salito sul trono.
Così Vincenzo ebbe ognor presente il Figlio d’Iddio per servirsene di modello; ed { [25]}
appunto per ricopiare più esattamente Gesù Cristo annichilato fuggiva fino l’ombra di
ostentazione! pubblicava ovunque la bassezza de’suoi nafali, si qualificava per ignorante, e
detestava la pompa delle parole ed il fasto della mondana eloquenza.
“Nostro Signor Gesù Cristo, soleva dire, poteva dare un grande splendore alle sue azioni,
ed una sublime virtù alle sue parole; non volle farlo; fece anche di più, poichè per confondere
maggiormente il nostro orgoglio colle sue ammirabili umiliazioni, ha voluto die i suoi discepoli
facessero assai più di quel cbe egli non fece. E perche ciò? perche volle essere superato nelle
azioni pubbliche, per ispiccare nelle più abbiette e nelle più umili di cui gli uomini non
conoscono il pregio, volle i frutti dell’Evangelio, e non volle le acclamazioni del mondo. Ed oh!
perche non seguitiamo l’esempio di quel Divin Maestro? Percheè cediamo sempre il vantaggio
agli altri? perchè non scegliamo il peggiore ed il più umiliante per noi, essendo questo
certamente il più gradito agli occhi del nostro Signore, unico scopo a cui dobbiamo tendere? Da
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quest’oggi adunque risolviamo di seguirlo e di offerirgli i piccoli sacrifizi. Diciamogli, e
diciamolo a noi stessi... Fra due pensieri che potranno venirmi alla mente, io non produrrò
all’esterno che il minore per umiliarmi,{ [26]} e riterro nascosto il più bello per fame un
sacrifizio a Dio nel secreto del mio cuore. Si, e una verità del Vangelo, che nostro Signore non si
compiace maggiormente quanto nell’umiltà del cuore e nella semplicità delle parole e delle
azioni. Ivi risiede il suo spirito e invano lo cercheremmo altrove. Se volete dunque trovarlo, fa
dimestieri rinunciare all’affettazione ed al desiderio di comparire, alla pompa dello spirito non
che a quella del corpo, e infine a tutte le vanità e a tutte le soddisfazioni della vita.” Per tal
maniera Vincenzo seguitava il gran modello della vera virtù, il fonte di ogni santita, l’Uomo Dio
Cristo Gesù.
Siccome l’uomo e nato per amar Dio e far del bene al suo simile, cosi noi vedremo tutti i
pensieri di Vincenzo intenti a questi due oggetti, Dio per amarlo, prossimo per beneficarlo.
Transibat benefaciendo.
Frutto. Bisogna risolversi ad imitare Gesù Cristo e seguirlo ne’patimenti; altrimenti non
verremo giammai a partecipare della sua gloria. Qui vult gaudere cum Christo oportet pati cum
Christo.{ [27]}
Giorno terzo. Sua carità verso de’mendici.
La virtù che caratterizza essenzialmente il cristiano e la carità. L’uomo privo di questa
virtù, dice s. Gioanni, è come un corpo morto incapace di agire. Motivo per cui san Paolo la
chiama la più bella e la maggiore di tutte, come quella che solleva l’uomo allo stato di angelo.
Questa virtù fu indivisibile a tutte le azioni di Vincenzo. Cominciò si per tempo l’esercizio della
carità, che si può dire la compassione essere nata con lui. Se gli avveniva d’incontrare qualche
persona bisognosa, sentivasi tutto commosso, e donava quanto aveva per soccorrerla. Talvolta
privavasi de’propri alimenti per darlo ai poveri; ed avendone un tal di trovato uno, che gli parve
estremamente povero, gli diede trenta soldi; somma, a vero dire, modica in se stessa, ma assai
considerevole per un fanciullo, che aveva impiegato lungo tempo ad accumularla a poco a poco.
Tali furono nel piccolo Vincenzo (non toccava ancora i dodici anni) i primi saggi di una
carità, che doveva in seguito operare si grandi prodigi. Accenneremo qui di passaggio come il
servo di Dio stabilì ospedali, confraternite di carità ed assemblee di signore, { [28]} e con questi
diversi mezzi riuscì a procurare ad un numero infinito di poveri, sani ed infermi, i soccorsi di cui
abbisognavano: ma quello che si può dire con tutta verità si e, che le sue grandi opere, tanto utili
a’miserabili, sussistono ancora oggidi. Bastano per dimostrare quale sia stata la carità di
Vincenzo de’Paoli parecchi pii stabilimenti che fanno tanto onore alla Francia, all’Italia, anzi il
suo spirito maravigliosamente rinasce e si propaga in ogni luogo. La città di Torino si gloria di
un ricovero sotto gli auspizi di S. Vincenzo, dove più centinaia di poveri, storpi, mentecatti,
orfanelli, infermi, sordomuti ecc, trovano sollievo alle loro indigenze.
Sta scritto del Santo Giobbe, “che giammai ricusò a’poveri ciò che desideravano; che non
fece invano aspettar la vedova, non mangio mai da solo il pane, il quale divise coll’orfanello; ne
trascuro di soccorrere colui, che non avendo abiti moriva di freddo, ne il povero era privo di
vestimenti.” E questo il ritratto di Vincenzo. Sente che la meta degli abitanti di Paleso sono
ammalati, che muoiono dieci o dodici al giorno, che quel luogo avrebbe bisogno di un scerdote {
[29]} e d’ogni sorta di viveri. All’istante fa partire a sue spese quattro de’suoi preti con un
chirurgo, ed invia quasi tutti i giorni una vettura carica di farina, di vino, di carne e di altre
derrate; vi irapiega quanto danaro egli ha, e quando non può più dar nulla, sollecita la carità di
persone potenti. Appena ebbe provveduto a bisogni di Paleso, le innondazioni della Senna
presentano alla sua carità un campo di non minore estensione. Gli abitanti di una città non
potendo uscire dalle loro case si trovano ridotti ad estremi tanto più grandi, quanto che non
possono spedire alcuno a chiedere soccorso. Ma Vincenzo, mediante la conoscenza che aveva
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della situazione di quel villaggio, previde quel che era pur troppo accaduto, e, senza aspettare
avvisi più certi, spedì sul momento una carretta carica di pane. Fece lo stesso il di seguente, e
finchè dur& lo straripamento, continuò ad inviar loro dei soccorsi; intantoche due dei suoi
missionari, esponendosi sopra alcuni batelli, andavano in tutte le strade di quel paese,
distribuendo i viveri agli abitanti, i quali dalle finestre delle loro case ricevendo i soccorsi
rendevano al Signore grazie solenni. La carità di Vincenzo non si limitò ai bisognosi o poveri
della campagna; quelli eziandio della città e de’sobborghi di Parigi non ebbero minor parte alla
sua compassione { [30]} ed alle sue elemosine. Senza parlare di molti orfanelli che in vari tempi
ricevette ed alimentò a San Lazzaro, dei viandanti a’quali faceva distribuire pane o danaro; delle
persone cui la vergogna impediva di domandare, ma che la sua carità facevale cercare e scoprire,
ed alle quali inviava segretamente elemosine in danaro od in viveri, secondo la differenza de’loro
bisogni; d’un gran numero di poveri cui faceva dare degli abiti; de’prigionieri a’quali andava a
far l’istruzione; della caritatevole pratica che introdusse (la quale sussistetuttora ) di ricevere tutti
i gjorni a mangiare alla sua mensa due poveri vecchi; fece fare fin dal principio della sua
Congregazione una distribuzione di pane, di minestre, di carni a molte famiglie che mandavano a
chiederne; ed in seguito una simile distribuzione a tutti i poveri che si presentavano talvolta fino
al numero di ottocento. Del resto per far conoscere tutto il pregio della carità di Vincenzo
bisogna riflettere, che nel tempo in cui la casa di San Lazzaro soffrì i maggiori danni dalle
truppe, le quali nelle turbolenze di Parigi avevano consumato o rapito tutto quanto poteva servire
alla vita, nel tempo stesso che vari de’suoi poderi erano stati saccheggiati e rovinati, faceva
distribuire tutti i giorni le sue elemosine pubbliche. Per altro non aveva egli imitato la condotta
{ [31]} de’prudenti del secolo, che hanno costume di riserbar qualche somma per gli accidenti
imprevisti; avrebbe creduto diffidare della divina Provvidenza, e quando aveva tutto dato, il suo
unico spediente era di prendere ad imprestito per proseguire la buon’opera.
Dopo sì grandi effetti della sua carità niuno sarà più sorpreso nell’udire ciò che ora
racconteremo. Un soldato, che non conosceva affatto, avendolo pregato di riceverlo presso di se
per alcuni giorni, ed essendovisi ammalato, Vincenzo lo fece mettere in una camera con fuoco, e
per due mesi gli fece prestare da uno de’fratelli della sua Congregazione tutti i servigi di cui
abbisognava fino al suo perfetto ristabilimento. Un carrettiere avendogli esposta la perdita fatta
de’suoi cavalli, gli fece dare sull’istante dieci doppie. Un’altra volta aveva appena ricevuti 40
scudi che li diede sul memento ad un povero uomo che trovavasi in gran bisogno. Allorche
trovava de’ poveri sdraiati nelle strade, li metteva nella carrozza, di cui era costretto a servirsi per
le molte sue infermità, e li conduceva a qualche albergo. Quando moriva qualche poveronelle
vicinanze della casa di San Lazzaro, procurava delle vesti per seppellirlo. Qualora avveniva che
si volessero fare delle spese a carico dei debitori o de’coloni che non pagavano i loro debiti, egli
adoperavasi perchè { [32]}venisse loro danaro onde trarli d ۥimpacciò. Quindi ben con ragione
era chiamato Padre de ۥpoveri. Questo titolo conveniva a Vincenzo non solamente per la
prontezza, e per l’estensione e per la perseveranza della sua carità, ma anche per i sentimenti di
tenerezza e di umiltà con cui l’accompagnava. “Sono angustiato per la nostra Comunità, diceva
un giorno, ma essa non mi commove tanto quanto i poveri. Come faranno essi? Vi confesso che
ciò mi e di peso e di dolore.” Tale era la sua compassione verso de’poveri, e si può benissimo
non essere sorpresi di trovarla in un uomo, che faceva tanto per loro; ma non si potrà sentire
senza sorpresa, che Vincenzo de’Paoli sopraccaricato di affari, e non camminando che con pena,
sia disceso dalla sua camera per distribuire l ۥelemosina ad alcune povere donne, alle quali aveva
promesso di mandarla, e che si sia inginocchiato dinanzi a loro, pregandole a perdonargli per
averle dimenticate per qualche tempo.
Frutto. Noi non possiamo di non ammirare tutti questi tratti luminosi di sviscerata carità e
non sentirci stimolati a fare altrettanto. Procuriamo che questi non siano solo movimenti del
cuore ma risoluzioni pratiche; e alla prima occasione mostriamoci sensibili e nel tempo stesso
benefici al nostra simile, che ci dimanda aiuto. { [33]}
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Giorno quarto. Amove del Santo verso Dio.
Per bene apprezzare qual sia stato l’amore di s. Vincenzo verso Dio, sarebbe mestieri
conoscere tutta l’influenza dello Spirito Santo sul cuore di lui, e la fedele sua cooperazione
a’lumi che ne riceveva. Questa manifestazione cui Dio ha dato principio sulla terra, proponendo
le sue virtù al culto de’cattolici, non sara perfetta fino al giorno finale in cui rivelera il segreto
de’cuori. Nulladimeno trovasi in questo mondo, giusta l’espressione dell’apostolo s. Giovanni,
un indizio infallibile, il quale ci fa discernere se si ama Dio, e questo indizio e la costante
osservanza della santa sua legge. Vincenzo fu esatto nell ۥadempimento a tutti i doveri che essa
impone. Perfettamente unito al suo Dio, come tutto il suo esteriore indicavalo, ei regolava tutte le
sue azioni secondo i comandi di quella legge eterna, dalla quale emana ogni giustizia. La vita di
lui era un continuo sacrifizio che faceva a Dio degli onori, dei piaceri del mondo e delle sue
affezioni. Il suo cuore non provava mai una gioia cosi sensibile come quando lo rivolgeva verso
la gloria ineffabile che { [34]} Dio possiede in se stesso. Il più vivo dei suoi desideri era, che Dio
fosse più conosciuto, servito, adorato in ogni luogo da ogni creatura. Quanto faceva, diceva, non
aveva altro scopo, tranne quello d’inspirare in tutti questo Divino amore. Da ciò traevano origine
quelle tenere aspirazioni nelle quali prorompeva tratto tratto: “Oh Salvatore! oh mio Signore! oh
bont۟à Divina! oh mio Dio! e quando e che ci farete la grazia di essere tutti vostri, di non amare
che Voi solo?” Da ciò la cura che aveva di purificare la sua intenzione, e di rammentarsi
appartenere al Creatore le più piccole al pari delle più grandi azioni. Per piacere a Dio nelle cose
più grandi facevasi uno studio di piacergli nelle minime eziandio. Era egli a questo riguardo di
una vigilanza tale che a detta di coloro i quali l’osservarono più da vicino, per mancarvi meno di
lui bisognava non esser uomini. Da ciò nasceva l’energia delle sue parole, che penetravano sino
al fondo del cuore di chi l’ascoltava. Talche una signora avendolo inteso ragionare, niaravigliata
disse alla regina di Polonia: “Ebbene, signora, non possiam noi forse dire al pari de’discepoli di
Emmaus, che i nostri cuori provavano le fiamme dell’amor d’Iddio, mentre il signor Vincenzo ci
parlava? ve lo confesso, ho il cuore imbalsamato da quanto il sant’uomo ci ha testè { [35]} detto.
“Non vi è da stupire, rispose la regina, poichè e l’angel ciò o del Signore che apporta sulle sue
labbra gli accesi carboni dell’amor divino, il quale arde nel suo cuore.”
Fra la moltitudine di sacri ministri, che settimanalmente concorrevano alla sua
conferenza, diversi hanno attestato che vi andavano principalmente per avere la sorte di
ascoltarlo, e che ne partivano afflitti quando per modestia non aveva parlato. Eravi nelle parole
di lui non so quale unzione di Spirito Santo, che commoveva il cuore di tutti gli ascoltanti.
Alcuni di essi dicevano a’missionari: “Oh quanto siete voi felici di vedere e di udire tutti i giorni
un uomo si ripieno d’amor di Dio.” E in fatti quel sant’uomo faceva trascorrere le fiamme della
sua carità persino nell’anima di coloro, i quali conversavano con lui. “Non vi era, dice
l’Arcivescovo di Vienna nella sua lettera a Clemente IX (10 gennaio 1676), ne discorso, ne
lettura di divozione, che producesse tanta impressione, quanta ei ne faceva su coloro che
avevano la sorte d’intrattenersi con lui.” I fanciulli stessi che facilmente si annoiano de’seri
ragionamenti, avevano piacere di ascoltarlo. “Io era assai giovane, diceva Monsignore di Brienne
nella sua lettera al Sommo Pontefice (13 novembre 1705), quando cominciai a conoscere { [36]}
quel vecchio venerando, il quale aveva molta benevolenza per la mia famiglia, e ciò nulladimeno
aveva fin d’allora al pari degli altri un’idea tanto grande della sua santita, che una lunga serie
d’anni non basto a farmi dimenticare i suoi discorsi.”
Un peccatore ostinato nel vizio fu diretto ad un missionario, affinehe gl’inspirasse
migliori sentimenti. Non pote venirne a capo, giacehe in quell’uomo l’abitudine del male erasi
convertita in natura. Quel sacerdote lo presento a Vincenzo, in quella guisa a un di presso che si
presentava al Salvatore I’ossesso che i suoi discepoli non avevan potato guarire. Il servo di Dio
parla a quell’inveterato infermo di spirito, lo incalza, lo scuote, lo confonde, ed ha la
consolazione di veder cadere dagli occhi una parte di quella benda ond’era accecato. Tantosto
cominciansi a scoprire in lui le primizie di un uomo nuovo. Il figlio dell’iniquita geme sulle sue
catene, dimanda un ritiro ove possa liberarsene, lo fa con fervore, e sostiene costantemente le sue
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prime promesse. Ringrazia il suo liberatore e jubblica essere Vincenzo colui che gli aveva
cangiato il cuore.
Non contentavasi il Santo di avere un semplice amore di affetto verso Dio, e di concepire
alti sentimenti della sua bontà e gran desideri della sua gloria, ma rendeva questo { [37]} amore
di effetto, e come lo vuole San Gregorio, ne daya colle. operazioni delle prove: Probatio
dilectionis exhibitio est operis. Ed è perciò che il santo sacerdote esortava i suoi confratelli ad
amar Dio coll’impiego delle loro braccia e col sudore della loro fronte. “Poichè, sovente
soggiungeva, tanti atti d’amore d’Iddio e tanti altri affetti di un cuore tenero, comunque
buonissimi e desiderabili, rendonsi tuttavia sospetti se non sono congiunti alla pratica dell’amore
di effetto. Si glorifica il mio Padre celeste, dice il Salvatore, allorquando si raccoglie molto
frutto, e su di ciò appunto dobbiamo stare molto in guardia, posciache vi sono molti i quali
avendo l’esteriore ben composto ed il cuore ripieno di buoni sentimenti non vanno più oltre, e
trovandosi nell’oscasione di agire rimangonsi inerti. Si ingannano colla riscaldata loro
immaginazione, si contentano de’dolci colloqui che hanno con Dio nell’orazione, ne parlano
persino come se fossero angeli; ma allorquando trattasi di lavorare per amor di Dio, di
mortificarsi, d’istruire i poveri, di andar in traccia della pecorella smarrita, di sopportare
pazientemente le malattie o qualch’altra disgrazia, oimè, il coraggio manca e tutti si ritirano! No,
no, non c’inganniamo: Totum opus nostrum in operatione consistit. Appresi io questo da un gran
servo di Dio: { [38]} trovandosi quell’uomo al letto di morte, mi disse scorgere chiaramente in
quell’estremo che spesse fiate ciò che da taluni riguardavasi come contemplazioni, rapimenti di
spirito, estasi, movimenti anagogici come si appellano, unioni deifiche, non erano altro che
fumo, e che tutto ciò derivava o da una curiosità ingannatrice, o dagl’impulsi naturali di uno
spirito, il quale aveva qualche tendenza al bene; quando invece una buona azione e il verace
contrassegno dell’amore di Dio. Totum opus nostrum in operatione consistit. Insegna l’Apostolo
essere le sole buone azioni che ci accompagnano nell’altra vita. Riflettiamo pertanto su di ciò,
tanto più che a’nostri giorni vi sono molti i quali sembrano virtuosi, e lo sono in fatti,
nulladimeno sono inclinati ad una vita dolce e molle, anziche ad una divozione solida e
laboriosa. Paragonasi la Chiesa ad una gran messe la quale abbisogna di operai che lavorino.
Non c’e cosa tanto conforme col Vangelo quanto il radunare de’lumi e delle forze mediante
l’orazione, la lettura e la solitudine, e quindi far parte agli uomini di questo pascolo spirituale. E
un imitare ciò che si fece dal nostro Signore, e dopo lui dagli Apostoli; e un congiungere l’ufficio
di Marta con quello di Maria; e un seguire l’esempio della colomba, la quale digerisce la meta
del cibo che ha inghiottito, e indi { [39]} col proprio becco fa passare il rimanente in quello
de’suoi pulcini per nutrirli. Ecco in qual modo colle opere dobbiam testincare a Dio che lo
amiamo: Totum opus nostrum in operatione consistit.”
In conseguenza il sant’Uomo raffigurava sempre nostro Signor Gesù Cristo negli altri,
per eccitare con maggiore efficacia il suo cuore a prestar loro tutti i doveri della carità.
Considerava il divin Salvatore qual Capo della Chiesa nel Supremo Pontefice, qual Pontefice
ne’Vescovi, qual Principe dei pastori ne’Sacerdoti, qual Sovrano nei Re, qual nobile
ne’gentiluomini, qual giudice ne’magistrati ed altri ufflciali. Essendo nel Vangelo paragonato il
regno de’cieli ad un negoziante, egli considerava Dio come tale ne’commercianti, operaio negli
artigiani, povero ne’mendichi, infermo negli ammalati, agonizzante ne’moribondi. Vedendo per
tal modo Gesù Cristo in ogni stato, e rawisando in ogni stato una immagine del Redentore, che il
suo prossimo gli rappresentava, animavasi cosi ad amare e servire le creature del nostro Signore,
ed il nostro Signore in tutti. Esortava tutti coloro, cui parlava, a seguire queste massime, per
rendere più perfetta la loro carità verso Dio e verso gli uomini.
Finalmente aveva per principio di far tutto per amore d’Iddio e nulla per umani rispetti.
{ [40]} Essendo tale amore incompatible cogli umani rispetti, soffrir non poteva che si agisse a
fine di piacere agli uomini. Uno de’suoi missionari, il quale non avera stabile soggiorno in
Roma, credè a proposito, ad oggetto d’interessare vie più a suo pro i Cardinali, di cominciare
ne’loro dominii le missioni, di cui il Santo Padre avevagli lasciata libera la scelta. Vincenzo, cui
ne scrisse, gli rispose, un tale divisamento essere umano e contrario alla cristiana semplicità. “Oh
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Dio! ci preservi il Signore dall’operare alcuna cosa per fini cotanto bassi. La sua Divina bontà
richiede che non facciamo giammai del bene in nessun luogo per farci stimare, ma che abbiamo
Lui solo direttamente di mira in tutte le nostre azioni, e che nulla da noi si operi per umano
riguardo........Assicuratevi, che le massime del Figlio d’Iddio e gli esempli della sua vita privata
non sono sterili, essi producono a suo tempo il loro frutto, e chi opera in contrario, tutto riesce in
male.”
L’abborrimento che il servo di Dio aveva per le mire mondane lo fece prorompere un
giorno in uno di quei moti subitanei, i quali lasciano trasparire le abituali disposizioni del cuore.
Uno de’suoi erasi accusato in presenza degli altri di aver fatto qualche azione per riguardi umani.
Vincenzo afflitto in udire un missionario avere altre mire fuori { [41]} che Dio, “sarebbe meglio,
disse, essere gettato sovra acceso rogo coi piedi e colle mani legate, che il fare un’azione col fine
di piacere agli nomini.” Compiangeva la follia di coloro i quali, avendo solamente intenzioni
terrene, perdono quel tempo e quelle fatiche che riuscirebbero cotanto salutifere se elevati si
fossero fino a Dio.
“L’intenzione, dicevasi da lui, e l’anima delle nostre opere; essa ne aumenta sommamente
il pregio ed il valore; poichè siccome gli abiti d’ordinario non si stimano tanto per la stoffa di cui
si formano, quanto per li ricami de’quali vanno adorni, così non bisogna già contentarsi di fare
delle buone operazioni, ma e necessario illustrarle col merito di una santa intenzione, facendole
unicamente per piacere a Dio.”
Da questi principii purificati nasceva in lui un vivissimo desiderio di procurare la gloria
d’Iddio e di condurre tutti a partecipare di questi stessi sentimenti. Voleva die un vero discepolo
di Gesù Cristo rendesse conto a se stesso de’motivi i quali lo spingevano ad agire, e
interrogandosi prima di cominciare ognuna delle sue azioni, dicesse a se medesimo: Per qual
motivo intraprendi tu questa anzi che quell’altra cosa? E forse per soddisfarti, o per piacere ad
una debole creatura? Non e forse nell’unica mira di adempiere la volonta di Dio e di seguire
{ [42]} l’impulso del suo spirito? Quale vita condurremo noi, diceva a’suoi, se ci fosse dato di
contrarre la beata abitudine di voler tutto in Dio e tutto per Dio! La nostra vita avrebbe una
relazione maggiore con quella degli angeli, che con quella degli uomini; sarebbe in certo qual
modo tutta divina, poiche tutte le nostre azioni si farebbero coi movimenti dello Spirito Santo e
della sua grazia.”
Tutta la vita del Santo e una prova ch’egli agi costantemente in questo senso, e questa
prova verra confermata dalle grandi cose che andramo esponendo.
Frutto. Una limosina per amore d’Iddio; oppure un Pater, Ave e Gloria al Santissimo
Sacramento.
Giorno quinto. Sua carità verso de’condannati alle galere.
Benchè i bisogni de’poveri della campagna fossero il grande oggetto dello zelo di san
Vincenzo, non limitavasi per altro a questi; anzi può dirsi che quanto aveva l’impronta della
miseria era di sua pertinenza. Non aveva bisogno di sollecitazioni, ne di preghiere importune;
andava in cerca { [43]} de’più miserabili e si affrettava a sollevare quegli stessi, i quali non
avevano giammai pensato d’implorare il suo soccorso. Non cosi tosto ritornava dalle Missioni,
che per sollevarsi dalle fatiche inseparabili da si gravoso ministero, visitava gli ospedali e le
prigioni, e prodigava a’prigionieri ed ai malati tutti i servigi che poteva. La sua inclinazione
spingendolo sempre laddove trovavasi maggior quantità di piaghe da guarire, volle sapere
com’erano trattati i forzati a Parigi prima di esser condotti a Marsiglia. Lo fecero entrare nelle
più secrete prigioni; s’immaginava bensi di trovarvi molta miseria, ma assai più ne trovo di
quella ch’aveva creduto. Ecco un’idea in poche parole de’disgraziati rinchiusi in oscure e
profonde caverne: essi sono divorati da insetti schifosi, estenuati dal languore e dalla povertd, e
interamente trascurati quanto al corpo e quanto all’anima.
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Un trattamento si opposto alle regole del cristianesimo e dell’umanita stessa commosse
vivamente il santo Sacerdote. Non si dissimulo che il rimedio ad un si gran male costerebbe
molto. Da una parte si trattava di sollevare un gran numero di miserabili, dal1’altra bisoghava
raddolcire il loro stato senza sottrarli alla giustizia; inspirare un salutar timore de’giudizi di Dio
ad uomini che non ci avevano mai pensato, insegnare { [44]} ad una moltitudine di cuori ostinati
nella colpa a santiflcare coll’amore e colla pazienza quei medesimi patimenti, che
gl’inasprivano, e che erano per essi un’occasione cosi prossima e continua di bestemmia e di
disperazione. Per loro ventura non conosceva Vincenzo che cosa fosse difficolta qtfandosi
trattava di procurare la gloria di Dio, e di soccorrere gli afflitti.
Ripieno ancora delle emozioni cagionategli da quei tristi oggetti ne parlo col Signor
De’Gondi generale delle galere: gli rappresentò que’colpevoli appartenere a lui, e mentre
s’indugiava per condurli al luogo lor destinato, essere proprio della sua carità di non sofirire che
restassero senza consolazione; propose un mezzo onde assisterli corporalmente e spiritualmente.
Il signor De’Gondi lo approvo, e diede a Vincenzo pieno potere per eseguirlo.
Il sant’Uomo affittò una casa, ove riunì tutti i forzati dispersi nelle diverse prigioni della
città. Non avendo per questa buona opera altri fondi, tranne quelli della Divina Provvidenza,
mise in qualche modo a contribuzione quelli fra i suoi amici che erano in situazione di supplire
alla spesa. Il Vescovo di Parigi prese parte a’suoi disegni, e con un monitorio del 1° giugno
dell’anno 1618 ingiunse a’Parrochi, a’Vicari ed ai Predicatori della stessa città, di esortare i
{ [45]} popoli a concorrere ad una si santa impresa. Le sollecitudini che si diede Vincenzo non
furono inutili, il suo esempio fu seguito da molti, talmente che si vide in grado, dopo aver
rimediato ad una parte de’bisogni del corpo, di poter cominciare a mitigar quelli dell’anima.
Spesso visitava i forzati, e loro parlava di Dio con una forza piena di dolcezza, instruivali intorno
alle verità della fede ed alle loro obbligazioni; faceva loro sentire, che sebbene involontarie
fossero le loro pene, potevano essere sopportate in un modo da essere meritorie; aggiungeva
questa loro pazienza diminuirebbe la loro amarezza, e giustamente parlando, non vi erano vere
pene, se non quelle che devono castigare l’impenitenza finale per tutta l’eternità.
Questi discorsi fecero una grande impressione sopra uomini i quali non vi erano punto
assuefatti, e renduti eziandio più attenti dai buoni trattamenti, che di continuo ricevevano, si
videro molti segni di un dolore sincero. Le confessioni generali col tempo condussero al termine
ciò che le esortaziom avevano cominciato. Vincenzo ebbe la consolazione di veder uomini, i
quali avevano dimenticato Iddio per un lungo corso d’anni, appressarsi a’Santi Sacramenti con
disposizioni capaci di animare altresi le persune gia inoltrate nella virtù. { [46]} Questo
cangiamento mentre annunziava in un modo tanto sensibile la forza della mano dell’Altissimo
fece molto onore al nostro Santo, si in Parigi, si alla Corte. Non si poteva concepire come un sol
uomo potesse signoreggiarne tanti altri, ne con quale destrezza avesse potuto soggiogare cuori
naturalmente feroci, ne ove trovasse forze bastanti per sostenere, senza riposarsi un momento,
tante funzioni si varie e si pericolose. Difatto il santo Sacerdote trattenevasi ogni giorno per un
tempo eonsiderabile presso i forzati e rendeva loro servigi d’ogni specie. Le malattie contagiose
dalle quali erano qualche volta infetti non lo respingevano; anzi rinchiudevasi con essi per essere
più in agio di consolarli e di soccorrerli.
Quando altri affari, di cui,era sopraccaricato, lo chiamavano altrove, ne laseiava la cura a
due virtuosi ecclesiastici dal medesimo spirito animati. Essi alloggiavano in questo nuovo
spedale di forzati, vi celebravano la messa, e nudrivano ogni di la semente la quale il nostro
Santo aveva si felicemente gettata. Egli non li laseiava soli che il minor tempo possibile. Il suo
tesoro era in mezzo di questa terra nuovamente dissodata, il suo cuore vi era incessantemente
richiamato.
Il signor De’Gondi, egualmente sorpreso { [47]} ed edificato dell’ordine da Vincenzo
stabilito infra uomini i quali mai non ne aveano conosciuto, stabilì d’introdurlo in tutte le galere
del regno. Espose al Re la grande capacità e lo zelo del nostro Santo, e gli fece comprendere, che
col favore della Corte non mancherebbe di procurare in molti luoghi i vantaggi gia procurati a
Parigi. Luigi XIII acconsenti volentieri ad una proposizione si giusta e stabilì Vincenzo
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Cappellano Regio e generale di tutte le galere.
Nel 1622 Vincenzo andò a Marsiglia in soccorso de’forzati. Chi e pratico di questi luoghi
capisce che il solo nome dj forzato rappresenta assai spesso l’idea d’una moltitudine di scellerati,
i quali nel proprio delitto detestano la sola pena, che ne e la conseguenza. I quali dall’eccesso del
castigo resi insolenti e furiosi credono colle loro bestemmie contro Dio di vendicarsi de’cattivi
trattamenti ricevuti dagli uomini, simili in qualche modo a quegli angeli delle tenebre, i quali
puniti da Dio con tanto rigore, cangiano di luogo e di clima senza cangiar mai di situazione,
perche portanon ovunque la loro prigione, le lor catene, e le loro perverse disposizioni. Al primo
entrare in que’tetri luoghi trovavasi una parte di ciò che pud servire a formarsi un’idea
dell’inferno. Si vedeva un ammasso di sgraziati che soffrivano da disperati, e pronunziavano
{ [48]} il nome di Dio come lo pronunziano i demoni, ciòe per bestemmiarlo; che raddoppiavano
i loro supplizi, maledicendo quella mano la quale li percuoteva. Alla vista di questo spettacolo il
sant’Uomo si senti commosso, ma non stette contento ad una sterile compassione.
Qual tenero padre ando a visitare quegli infelici, ascoltava i loro lamenti con molta
pazienza, piangeva con chi piangeva, baciava le lor catene e le bagnava di lagrime, alle parole
univa per quanto il poteva l’elemosina, e con questa si apri la strada ai cuori. Parlo ancora agli
ufficiali ed impiegati, li indusse a trattare con maggior riguardi quegli uomini che soffrivano gia
assai. Le sue cure non riuscirono inutili, si vide più umanità da una parte, e più docilità dall’altra;
lo spirito di pace s’introdusse progressivamente, le doglianze si calmarono, i cappellani ordinari
poterono parlare liberamente d’Iddio, delle cose dell’anima, e conobbero che gli stessi forzati
sono altresi capaci di virtù.
Il Santo diede una Missione a Bordeaux, ove il sig. De’Gondi avendo condotto dieci
galere, Vincenzo scelse venti de’migliori operai evangelici e li distribui due a due in ogni galera.
Egli era presente dovunque; guadagno a Dio un maomettano, il quale fu sempre si riconoscente
alla grazia che il { [49]} sant’Uomo gli avea procurata, che l’onorava come padre. Ebbe il santo
la consolazione di vedere un gran numero di forzati convertirsi con tutta la sincerita del loro
cuore.
Si porto pure Vincenzo a Parigi dove procure lo stesso bene nelle prigioni instituendo un
ospizio pei forzati. La Divina Provvidenza 1ò aiuto mirabilmente inspirando una persona
virtùosa di legare sei mila lire di rendita al novello ospizio. Fu stabilito che il procuratore
generate avrebbe in perpetuo l’amministrazione temporale di questa specie di spedale, le Figlie
della carità sarebbero destinate al servizio de’disgraziati, e eopra tutto degli ammalati; che ogni
anno si darebbe ad alcuni preti determinati la somma di trecento lire, colla obbligazione di
rendere loro tutti i servizi spirituali che i preti della Missione avevano reso fino allora. Lo zelo di
questi virtuosi ecclesiastici non rallento quello del Santo per la salvezza de’forzati. Si adopero
grandemente afflnche di quando in quando si facessero delle missioni, soprattutto quando essi
erano in punto d’essere condotti alle galere, vale a dire precisamente in quel tempo, in cui essi
avevano maggior bisogno di rassegnazione, ed in cui era più opportuno il disporli a fare un
sant’uso delle loro pene.
La sua tenerezza per essi non limitossi solamente { [50]} a’servigi di cui parliamo, ma li
sollevò nel luogo stesso ove maggiormente soffrivano. Lo stato tristo di quelli tra i forzati che
ammalavano in Marsiglia l’avea commosso assai. Interamente abbandonati, sempre attaccati alle
loro catene, oppressi dai dolori, pressochè consunti dal fracidume e dall’infezione, quei cadaveri
tutt’ora viventi provavano gli orrori del sepolcro. Vincenzo non pote senza una profonda
emozione vedere uomini formati ad immagine di Dio, cristiani redenti dal sangue di Gesù Cristo,
ridotti a morire quali bestie.
Egli ricorse al Cardinale di Richelieu; gli rappresentò l’orribile stato in cui trovavansi i
forzati a Marsiglia nel tempo delle loro malattie, e la necessità di fondare un ospedale per l’oro.
Il Gardinale fece aggradire questo progetto al Re, il quale assegno in seguito a sostegno
dell’ospedale dodici mila lire di annua rendita sulle gabelle della provincia, e divenne in poco
tempo uno de’più comodi del regno. Vi si trovarono trecento letti, gli ammalati erano serviti da
altri forzati, i quali venivano sorvegliati da uomini liberi. I preti della Missione vennero
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incaricatidello spirituale. Questo stabilimento fu una sorgente di benedizioni pei forzati e per gli
stessi maomettani; poichè tocchi costoro dalla carità, che aveva il Santo per essi, rendevano
omaggio ad una Religione, che { [51]} in Gesù Cristo e per Gesù Cristo forma un popolo solo di
tutti i popoli dell’universo. La Duchessa di Aguillion aveva dato a’preti della Missione
quattordici mila lire, a condizione che quattro di loro s’incaricassero dell’istruzione de’forzati,
facessero ad essi delle missioni ogni cinque anni, allorchè le galere si trovassero a Marsiglia, o in
altra parte del regno. Così un solo prete, un povero prete metteva in movimento quanto lo stato
aveva di più grande per procurare a’disgraziati, che considerava come suoi fratelli, tutti i
soccorsi della più attiva carità.
”Il frutto della missione, scrisse il Vescovo di Marsiglia alla suddetta Duchessa, ha
superato ogni aspettazione. Si trovaron da prima degli spiriti ignoranti e così ostinati ne’lor
peccati e talmente irritati contra la loro misera condizione, da non volere a niun patto udir parlare
di Dio: ma poco a poco la grazia del Signore coll’opera dei Missionari ha siffattamente
ammollito il loro cuore, che mostrano al presente tanta contrizione, quanta ostinatezza
dimostravano per l’addietro. Sareste maravigliata, Signora, se conosceste il numero di quelli, che
passarono lunghissimi anni senza confessarsi. Ve ne furono di quelli che avevano trascorso
venticinque anni in questo stato, e protestavano di non voler far nulla fino a tanto che restassero
nella schiavitù; ma finalmente {52 [52]} Nostro Signore si è impadronito di loro, ed ha scacciato
Satana da quelle anime sulle quali aveva usurpato un grande impero. Lodo Dio d’avervi inspirato
un tanto bene (di fondare una missione); ed e l’arrivo di questi Missionari, che m’ha interamente
determinate a questa missione, che forse avrei differita ad altro tempo; e ciò non ostante sarebbe
forse accaduto che alcuni fra di essi sarebbero morti nel miserabile stato in cui erano. Io non vi
posso esprimere quante benedizioni questi poveri forzati danno a coloro, i quali procurarono loro
un soccorso cotanto salutare. Io cerco i mezzi onde possano continuare nelle buone disposizioni
in cui si trovano, vado ora ad accordare l’assoluzione a quattro eretici, che furono convertiti nelle
galere (per cura di Vincenzo); altri ve ne sono che hanno la medesima disposizione; poichè
queste cose straordinarie li commovono assai.”
In un’altra missione trenta eretici in circa fecero la loro abiura, un turco fu battezzato
sulla galera, altri nove lo furono egualmente ma con maggior solennità, nella Chiesa Cattedrale,
ove furono condotti come in trionfo alla vista di un gran popolo il quale benediceva Dio. I
disegno de’Missionari nel rendere solenne quell’azione, era di scuotere qualche altro turco, che
sembrava esitare. La conversione’di questi dieci mussulmani {53 [53]} era stata preceduta da
quella di altri sette battezzati dal Vescovo di Marsiglia. Quanto mai queste cose sono preziose
agli occhi di Colui, il quale lascia le novantanove pecore nel deserto, per correre dietro ad una
sola smarrita! Fecero i missionari di quando in quando delle missioni sopra le galere si a
Marsiglia, come a Tolone; tutte hanno impedito de’grandi mali, ed aumentarono il numero degli
eletti.
Frutto. Chi non può prestarsi per li detenuti, si presti per li schiavi del demonio,
animando e consigliando altri a lasciare il peccato e porsi in grazia di Dio.
Giorno sesto. Servigi resi dal Santo ad ogni grado di persone.
Vincenzo non ebbe minor amore pei religiosi, di quello che aveva per gli ecclesiastici
secolari. Ben lontano dal credere che l’umile loro stato fosse una ragione di stimarli meno,
trovava in esso de’motivi di una perfetta venerazione. Non imputava gia al corpo, per una
malignità tanto ingiusta quanto comune, la caduta di alcuni membri. Sapeva che coloro, i quali
nulla perdonano sarebbero molto da compiangersi {54 [54]} se fossero misurati in quel modo
ch’eglino misurano gli altri. Occupato come era dei suoi affari Vincenzo non si divertiva a
rintracciare i difetti di coloro, di cui non era incaricato; non vedeva que’difetti se non quando
colpivano gli occhi. Scongiurava i suoi per le viscere della carità di G. Cristo di rispettare tutti gli
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ordini stabiliti nella Chiesa, di sbandire da’loro cuori l’invidia, la gelosia e simili passioni, che
punto non si accordano coll’umiltà, ne colla carità, che devesi al prossimo. Da ciò emergevano
quelle belle parole che ripeteva sovente.”Amerei meglio perdere cento stabilimenti, che
impedirne un solo di qualunque altra comunità.”
La sua tenera affezione per i Regolari mostrossi soprattutto nello zelo che dimostrò nel
ricondurre all’osservanza primitiva del loro stato coloro i quali se n’erano allontanati più case
religiose sono un monumento glorioso dell’attività e dell’estensione della sua carità. Non la
ristrinse soltanto ad alcune comunità; ma la estese fino sopra case isolate ed anche sopra religiosi
in particolare. Nulladimeno il suo amore per lo stato monastico non era debole nè cieco. Non
approvava, senza avere solide ragioni, si passasse da un ondine ad un altro, voleva che ciascuno
si santificasse nella propria vocazione. {55 [55]}”Compatisco le vostre pene, scriveva ad an
regolare; abbiate pazienza, M. R. P., e chiedetela al nostro Signore, cui piace di esercitarvi. Egli
farà in modo che l’ordine in cui vi ha posto, rassomigliante ad un vascello agitato, vi guiderà
facilmente al porto. Non posso raccomandare a Dio, secondo il vostro desiderio, il pensiero che
avete di passare in un altro ordine, perchè mi sembra non sia conforme alla sua volontà.
Ovunque ci sono delle croci, e la vostra età inoltrata vi deve far evitare quelle, che trovereste
cangiando di stato.”
Su questo fondamento si può giudicare quanta gioia provasse vedendo un gran numero di
famosi monasteri ridivenire a’suoi tempi come erano stati ne’loro più bei giorni, e quanto dolore
risentisse nel vederne alcuni altri sacrificare la loro coscienza all’amore d’una falsa e colpevole
libertà. Fra i tanti servigi che il Santo ha prestati ad una infinita di monasteri, non si son mai
conosciuti se non quelli che non ha potuto occultare. Oltre quelli che rese all’ordine di Malta, pei
quali ricevè dal Gran Maestro Paolo Lascaris (discendente da’Conti di Ventimiglia e procedente
dagli antichi Imperatori di Gostantinopoli) una lettera di ringraziamento, fu abbastanza felice di
prestarne ai Reverendi Padri Minimi. Ed e in considerazione di questi servigi, che il Generale
{56 [56]} dei medesimi indirizzò a Vincenzo delle lettere d’associazione, che lo fanno
partecipare alle preghiere, ai sacrifizi, ai digiuni, alle indulgenze e a tutte le buone opere che si
facevano e che si farebbero in seguito in tutta l’estensione del suo ordine.
Quanto Vincenzo fece per introdurre l’osservanza e la disciplina presso i Religiosi, lo
fece con impegno anche maggiore per ristabilire o conservare una esatta disciplina nei monasteri
di vergini. Sapeva con s. Cipriano, che quanto più le vergini consacrate a Dio fanno onore alla
sua Chiesamediante la regolarità de’loro costumi, tanto più si rende necessario di fortificarle
contro alla loro propria fragilità, e non ignorava come il cattivo esempio contagioso ovunque, lo
fosse ancor di più presso persone più facili ad essere sedotte. Per questo motivo procurò sempre
loro delle Abadesse, e delle Superiore, le quali non dovessero la loro vocazione al sangue ne alla
carne, ma unicamente alla volontà di Dio.
Persuaso che il fervore o la decadenza delle comunità di vergini proviene ordinariamente
da chi è alla testa dei monasteri, fu sempre fermo a far nominare per Superiore quelle che erano
le più capaci, le più provate, le più esattea tutte le osservanze regolari. Cosi quando alcune
Abadesse, sotto pretesto di età o d’infermità dimandavano {57 [57]} per coadiutrici le loro
sorelle, le loro nipoti, od altre parenti, per le quali avevano troppo attaccamento, il sant’Uomo,
nemico dichiarato di tenerezze affatto mondane, non badava se non alla gloria d’Iddio e al bene
della comunità, e qualunque cosa si fosse fatta o detta era irremovibile su questo particolare.
Adduceva per ragione, che allorquando le abazie vengono a vacare in caso di morte, si ha la
libertà di scegliere delle religiose virtùose, e capaci di mantenere il buon ordine se vi è, e di
ristabilirvelo se manca; quando invece col mezzo di queste coadiutrici, una feligiosa, che ha poca
virtù, succede sovente ad un’altra, che ne aveva forse ben poco di più.
Le buone opere, di cui abbiamo finora parlato, non fecero dimenticare a Vincenzo le
flglie di San Francesco di Sales. Le visitò in vari tempi, e vidde con soddisfazione tutto ciò che
la divozione e l’unione hanno di più dolce e di più consolante. Quelle sante figlie hanno
confessato dappoi, la presenza di Vincenzo essere mai sempre stata per loro una sorgente di
grazia e di benedizioni; poichè aveva egli sopra tutto il raro dono di calmare le loro pene, e molte
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fra loro ch’erano in preda a gravi tribolazioni di spirito, se ne trovarano interamente liberate,
allorchè ebbero la fortuna di conversare con lui. Santa Francesca di Chantal confessò {58 [58]}
pure con riconoscenza, che i lumi ed i consigli di quel gran servo di Dio le avevano giovato
molto per la sua condotta particolare, e per quella dell’ordine suo.
La camera percorsa da Vincenzo e così vasta, che e quasi prodigiosa; contando anche per
poco i molti servigi prestati alle comunità d’uomini e di donne; quei soli resi agli eserciti ed ai
paesi che furono il teatro della guerra lo pongono a livello cogli uomini di misericordia, i quali
maggiormente onorarono la Chiesa, e beneficarono l’afflitta umanità. In una sanguinosa guerra
insorse una pestilenza per cui molti morivano privi de’conforti della religione. Vincenzo inviò
suoi missionari, i quali confortava con queste parole.”La peste serpeggia nell’esercito, scriveva
Vincenzo ad uno di loro; andate dunque, Signore, andate collo stesso spirito con cui s. Francesco
Saverio andò alle Indie, e ripprterete al pari di lui la corona da Gesù Cristo meritatavi col suo
sangue prezioso, la quale vi accordera, se onorate la sua carità.”
La fedeltà di que’degni ministri nel compiere il sacro ministero attirò le benedizioni del
cielo sui loro lavori; ne sostennero la fatica con molto coraggio. Nello spazio di pochi mesi
contavansi già quattro mila soldati che s’erano accostati al tribunale di penitenza con grande
effusione di lagrime; alcuni fra loro {59 [59]} furono altresi attaccati dalla malattia contagiosa,
ma Dio li conservi alla sua Chiesa per la salute delle anime.
In un’altra guerra moltissimi perivanodi miseria; ma Vincenzo pieno il cuore di carità e
colle lagrime agli occhi si presentò alla Regina e ad altre pie persone per ottenere caritatevoli
sussidi. Diede egli stesso l’esempio d’una santa e generosa liberalità. Salvdò la vita e spesso
l’onore agli abitanti di venticinque città, ed un numero infinito di borghi e di villaggi che erano
agli estremi. I malati riceverono da lui ogni maniera di soccorsi quali potevano aspettarsi dalla
paterna sua carità; procurò degli abiti ad un numero prodigioso di persone non solo del basso
popolo d’ogni eta e d’ogni sesso, ma ancora ad una quantità di nobili giovani, che erano in grave
pericolo; a moltissimi Religiosi, li cui monasteri erano stati saccheggiati; ad una quantità di
Vergini consacrate a Dio.
Il Santo adottò nella distribuzione delle elemosine tutte le misure d’una prudenza
consumata. Spedì dodici de’suoi Missionari pieni di zelo e d’intelligenza in diversi luoghi del
paese; associò loro alcuni fratelli della sua Congregazione, i quali conoscevano alcuni rimedi
contro alla peste ed erano abili in medicina ed in chirurgia; diede loro un lungo e saggio
regolamento, in virtù del {60 [60]} quale non potevano offendere i Vescovi, nè i parrochi, nè i
governi, nè i magistrati; prescriveva loro di consultarli a fine di evitare le sorprese, e di
proporzionare i soccorsi a’bisogni ed alla condizione di quelli, a cui dovevano essere distribuiti.
Il santo ardore, che comunicò alle migliori famiglie di Parigi, le indusse per verità a fare nel
corso di quasi vent’anni degli sforzi che la posterità durerà fatica a credere; ma il male essendo
pressochè universale e il bisogno quasi estremo, bisognava, se posso così esprimermi,
moltiplicare col buon ordine i soccorsi, i quali sebbene considerabilissimi in se stessi, non
lasciavano d’essere di molto inferiori a’bisogni di quel paese.
Basti solo quanto avvenne a Metz per molti altri fatti particolari che troppo lungo sarebbe
il numerare. Colà il numero dei poveri era somigliante ad un esercito d’infelici. Ogni mattino se
ne trovavano dieci o dodici morti, senza noverare coloro che sorpresi in siti appartati divenivano
preda delle bestie carnivore; perchè i lupi furiosi erano pur essi una delle piaghe, con cui Dio
percuoteva quel popolo disgraziato. Assuefatti a nudrirsi di cadaveri si vendicavano sui viventi
quando loro mancavano de’morti; assalivano in pieno giorno, mettevano a brani, divoravano le
donne ed i fanciulli; le borgate {61 [61]} ed i villaggi ne erano infestati orribilmente, entravano
perfino durante la notte nelle città dalle aperture delle mura, portavan via tutto quanto potevano
afferrare.
Notte e giorno il Santo Prete si occupava di quelle calamità e de’mezzi di provvedervi; e
vi provvide realmente. Fece passare in tutto il paese immense somme di danaro, stoffe, abiti,
coperte e in nessun tempo uomo alcuno meritò meglio di lui il nome di Padre de’poveri. La
Lorena deve di generazione in generazione trasmettere fino ai suoi più tardi nipoti la memoria,
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che la maggior parte di essi devono a lui l'esistenza perchè la salvò ai loro padri: questo appunto
riconobbero i magistrati di quasi tutte le città da lui soccorse. Ringraziarono il Santo a nome
de’loro fratelli, a un dipresso come san Paolo ringraziava Filemone per avere soccorsi nella loro
estrema miseria i servi di Dio: Quia viscera Sanctorum requieverunt in te.
Frutto. Se desideriamo che le nostre viscere si possano anche appellare viscera
Sanctorum viscere de’Santi, sia nostro impegno soccorrere il prossimo quando e travagliato dalla
necessità. Il demonio per ingannarci dice di pensare attentamente all’avvenire e conservarci
alcunchè pel caso d’inaspettato bisogno; ma questa è prudenza {62 [62]} mondana; il Signore ci
parla chiaramente, dicendo che colui il quale vuol essere suo vero discepolo deve dare a’poveri
tutto quanto gli sovravanza del necessario sostentamento. Quod superest date pauperibus.
Giorno settimo. Conversioni operate da S. Vincenzo de’Paoli.
Quando Vincenzo venne fatto schiavo, dopo molte vicende, fu a Tunisi venduto ad un
rinnegato di Nizza. Questo padrone impiegava Vincenzo a’lavori della terra, ed il Santo doveva
naturalmente credersi assai lontano dal riacquistare la sua libertà. Ciò nulladimeno era questo
tempo più vicino che nol pensasse; vale a dire per mezzo della conversione del suo padrone e
della sua padrona. La moglie di costui era maomettana; ma scorgendo nella modestia e nella
pazienza dello schiavo qualche cosa di grande, a cui non era assuefatta, andava frequentemente a
vederlo alla campagna ove lavorava, e gli faceva mille dimande sulla religione de’cristiani, sui
loro usi e sulle loro cerimonie. Un giorno gli comando di cantare le lodi del Dio che adorava. Un
uomo colmo dello spirito dei salmi, si rammentò senza pena di quelle commoventi parole, dal
dolore dettate a’flgli {63 [63]} d’Israele, allorchè erano prigionieri in Babilonia, come era egli
schiavo in Barberia. Cantò il salmo Super flumina Babilonis, e poscia la Salve Regina e simili,
per cui la maomettana fu estremamente commossa. Quindi le parlò dell’eccellenza della
religione cristiana.
Quella donna, sorpresa ed incantata di quanto aveva ascoltato, disse a suo marito, che
aveva gran torto di aver abbandonata la sua religione, la quale, sul racconto che Vincenzo le
aveva fatto, le sembrava la più buona, e perciò il Dio de’cristiani non meritava di essere
abbandonato.Un tale discorso nulla aveva di lusinghiero per un apostata; poichè se uno e padrone
di abbandonare la sua prima vocazione, non e per altro padrone di soffocare i gridi della propria
coscienza, ed il peccatore il più ostinato sente nel suo interno una voce importuna la quale parla
più forte di quella, che ferisce l’orecchio. Il nizzardo confuso nulla replieò, ma il dì seguente si
manifestò a Vincenzo, e l’assicurò essere pronto a salvarsi con lui. Il momento della partenza
non giunse che dieci mesi dopo; il padrone e lo schiavo salirono ambidue sopra un piccolo
battello, incapace egualmente o di resistere al furor del mare, o difendersi contro a’corsari. Per
poco fossero stati inseguiti o scoperti non potevano evitar la morte. In que’tempi il {64 [64]}
processo di due uomini, di cui uno facesse abiurare il maomettismo all’altro, era ben presto fatto:
erano impalati ambidue senz’altra formalità. Tutti questi pericoli non arrestarono i nostri
viaggiatori; posero la loro sorte nelle mani di Dio: invocarono quella a cui la Chiesa dà il nome
di Stella del mare; la loro speranza non fu delusa, e il 28 di giugno arrivarono in Francia e
andaronoin Avignone.
Colà il rinnegato diede tutti i contrassegni della più sincera conversione, e fu riconciliato
pubblicamente dal vice legato Pietro Montorio. Quel prelato lo fece ricevere nell’ospedale di s.
Giovanni d’Iddio, ove aveva fatto voto d’entrare, per far penitenza. Ivi si dedicò infatti al
servizio degli ammalati per sempre. La sua conversione fu opera del santo Sacerdote.
Una volta Vincenzo fu chiamato a confessare un contadino pericolosamente infermo.
Quel disgraziato aveva la coscienza aggravata da più peccati mortali, che un falso rossore gli
aveva sempre impedito di manifestare, e animato dalla dolcezza, colla quale era trattato dal suo
Direttore, si fece coe
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raggio e gli scopri que’falli secreti i quali non aveva giammai avuto la forza di palesare ad
alcuno. Il penitente alleggerito dal peso enorme, che l’opprimeva da parecchi anni, trasportato
dalla gioia esclamava: «Io {65 [65]} era dannato, se non avessi fatto una confessione generale a
causa de’gravissimi peccati, de’quali non aveva osato fare la confessione.” Egli dovette questi
buoni sentimenti al Servo di Dio, e la sua morte edificò molto coloro che ne furono testimoni.
Fra le conversioni in molte guise operate dal Santo e singolarmente strepitosa quella di
un nobile signore savoiardo. Ritiratosi costui in Francia aveva passato tutta la vita alla corte, e,
come per l’ordinario succede a coloro che la frequentano, ne aveva preso i sentimenti e le
massime. I duelli essendo allora la passione dominante delle persone qualificate, ed il mezzo più
proprio per acquistare quella falsa riputazione, di cui queste sono sì gelose, il nostro militare il
quale non sapeva perdonare nè dissimulare un’ingiuria, passava per uno de’più grandi duellisti
del suo secolo. È incredibile il numero degli omicidi da lui commessi. La riputazione di
Vincenzo essendosi ben presto dilatata, egli volle conoscere coi propri occhi un uomo, di cui si
raccontavano tante cose straordinarie. La parola del Santo fu per lui la spada a due tagli, di cui
parla la Scrittura; essa penetro nei nascondigli dell’anima sua; questo uomo che ne aveva fatti
tremare tanti altri, cominciò a temere egli stesso. La sua coscienza gli fece orrore, e per calmarla
si pose sotto la direzione del Santo. {66 [66]} Il suo ritorno a Dio fu sincero, e Vincenzo ebbe
difficoltà a moderare il suo fervore. Tutta la provincia dove abitava fu maravigliata vedendo un
uomo vendicativo, collerico all’eccesso, e che non conosceva altre leggi fuori quelle della
convenienza del secolo, abbracciare in meno di quindici giorni i più rigorosi esercizi d’una vita
perfettamente cristiana. Vendè sull’istante un vasto suo podere, e la somma ritratta impiegò parte
a fondare monasteri, parte a sollevare coloro i quali si trovavano nell'indigenza, ed avrebbe
venduto quanto possedeva, se Vincenzo per giusti titoli non l’avesse impedito. Condusse tutta la
sua vita in modo affatto esemplare. Finalmente poco tempo prima di morire vestì l’umile abito di
san Francesco. Quell’abito di penitenza gli sembrò più glorioso di tutte le dignità, di cui era stato
rivestito. Non vi fu alcuno il quale dubitasse, che la morte di lui non fosse preziosa agli occhi del
Signore.
Il santo Sacerdote non limitò il suo zelo a coloro che s. Paolo chiamò i domestici della
fede; lo estese altresi a coloro i quali le nuove eresie avevano separato dalla Chiesa. Uno
de’primi, di cui imprese la conversione, fu un certo Reinier, presso del quale egli aveva
alloggiato. Era questi un giovine signore, a cui i suoi parenti avevano trasmesso i loro errori con
un considerabile {67 [67]} patrimonio, e perciò una grande facilità di immergersi in ogni sorta di
disordini: egli ne usava senza riguardo. Vincenzo sull’esempio del Salvatore, il quale conversava
volentieri co’pubblicani e che aveva cura maggiore de’malati che de’sani, s’insinuò
insensibilmente nel suo animo; fece a lui comprendere il pericolo nel quale i suoi cattivi costumi
e la sua eresia esponevano l’eterna sua salvezza; lo separò a poco a poco dalla compagnia dei
libertini che l’assediavano, finalmente gli rappresentò co’modi i più vivi, che se il libertinaggio
s’accorda bene con una religione, la quale facesse Dio autore del peccato, non s’accorda per altro
colla vera religione di Gesù Cristo. Le parole dell’uomo di Dio lo scossero finalmente. Il
cangiamento inopinato della sua condotta destò inquietudini ne’ministri di sua setta; un uomo
ricco è un oggetto prezioso per li settari, le cui sostanze aiutano la fazione, e il suo nome ne
aumenta il numero. Si mise dunque tutto in opera per trattenere un uomo il quale diveniva
sospetto soltanto per essere divenuto più virtùoso; ma i rimproveri e le sollecitazioni furono
inutili. La grazia operava, e il nuovo proselito, dopo aver rinunciato alle sue sregolatezze, abiurò
l’eresia, menando il resto di sua vita in opere di cristiana pietà.
La conversione di Reinier fu seguita di {68 [68]} molte altre, ma non ve n’ebbe alcuna
che facesse più rumore di quella de’figliuoli di un certo Garone, perchè non ve ne fu alcuna più
contrastata. Il loro padre era uno de’più zelanti partigiani della religione pretesa riformata, il
cangiamento di Reinier suo cognato lo aveva irritato, ma quando si avvide che si disingannarono
anche i suoi figli, allora più non ebbe ritegno. Mise in opera tutto quanto l’autorità paterna ha di
più atto per fare impressione; minacciò di diseredarli, citò Vincenzo alla camera di Grenoble,
mise in movimento e i suoi amici, e i suoi ministri. Tutto fu inutile, poiche non v’e forza né
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potenza che possa prevalere contra i disegni di Dio. Tutti i suoi figli si convertirono. Il
disgraziato padre ne morì di cordoglio, ma la sua stessa morte rianimò la fede nella sua famiglia.
Il primogenito dei suoi figli entrò nell’ordine di s. Francesco; la figlia si fece religiosa; gli altri
restarono nel secolo e vi diedero grandi esempi di carità, di disinteresse, e soprattutto di zelo per
la gloria d’Iddio.
Alcun tempo dopo il nostro santo Sacerdote entrò in disputa con tre eretici. Propose a
costoro i dommi della Chiesa in tutta la loro semplicità. Ascoltava con pazienza le loro
obbiezioni e le sciòglieva con quella precisione ch’era propria del suo ingegno, il che è oggetto
tuttora d’ammirazione nelle {69 [69]} sue lettere, e nelle sue conferenze. alla sesta conferenza
due si arresero e dopo essere stati assai felici per conoscere la verità, furono assai generosi di
abbracciarla e fame una pubblica professione; non fu però così del terzo.
Questi sebbene di grande ingegno era uno di coloro, i quali colgono con avidità tutto ciò
che sembra favorire le loro prevenzioni, e non si degnano di ascoltare quanto potrebbe loro
aprire gli occhi; hanno molta sagacità per moltiplicare le obbiezioni, ma non bastanti lumi per
discernere il falso, anche quando questo si fa conoscere; finalmente s’iznmaginano la loro
condotta essere superiore ad ogni attacco, perchè vedono ciò che v’ha di difettoso nella condotta
altrui. Tale era l’uomo col quale Vincenzo ebbe a trattare; si credeva molto sapiente, pretendeva
dommatizzare, viveva assai male. Nulladimeno si faceva un argomento di partito della cattiva
vita dei cattolici, ed ogni giorno ritornava al conflitto con nuove difficoltà. Eccone una che fa
vedere quanto sarà terribile il giudizio, che Dio eserciterà sopra i cattivi sacerdoti, e con quanto
grande equità, secondo la sentenza di Ezechiello, vendicherà sull’indolenza de’pastori la perdita
delle pecore loro confidate.
”Voi pretendete, Signore, che la Chiesa di Roma sia guidata dallo Spirito di Dio, diceva
l’eretico al nostra Santo, ma questo {70 [70]} appunto è ciò ch’io non posso credere; poichè da
una parte si vedono i Cattolici della campagna abbandonati a Curati viziosi ed ignoranti, senza
essere istruiti de’loro doveri, senza che la maggior parte sappiano neppure che cosa sia la
cristiana religione, e dall’altra si veggono le città ripiene di preti e di monaci che nulla fanno, e
ciò non ostante lasciano quella povera gente nell’ignoranza spaventosa, per cui si perdono tutti i
giorni; e voi vorreste persuadermi che ciò sia guidato dallo Spirito Santo? Io non lo crederò mai
più.”
Il servo d’Iddio fu afflitto di vedere un eretico giustificare la sua ribellione contro alla
Chiesa colla condotta di coloro stessi, la cui vita dovrebbe essere tanto edificante da farvi entrare
il pagano e l’infedele. Concepì di nuovo e l’estensione del bisogno spirituale de’popoli della
campagna e la necessità di soccorrerli. Tuttavia per non lasciar senza risposta una difficoltà, la
quale in fondo nulla aveva di solido, e in certo modo potrebbe essere tanto concludente contro
a’protestanti, quanto contro a’Cattolici, Vincenzo dissimulando il male quanto potè farlo,
replicò, che vi erano ancora in molte parrocchie buoni Curati e buoni Vicari; che fra gli
ecclesiastici ed i religiosi che abbondano nelle città, ve n’erano di quelli i quali impiegavano il
loro ministero nelle carceri {71 [71]} e negli ospedali. Altri andavano a catechizzare e predicare
nelle campagne; fra quei che non uscivano da’loro monasteri, alcuni erano occupati a pregar Dio
ed a cantare le sue lodi notte e giorno, altri servivano utilmente il pubblico componendo dotte
opere, insegnando a’popoli la cristiana dottrina, e amministrando i sacramenti; aggiunse essere
esagerato il numero di quelli che erano chiamati dissoluti, e che coloro che fossero tali di fatto,
non impiegando come doveano il tempo, e non adempiendo alle loro obbligazioni, erano uomini
particolari, soggetti all’errore, veramente membri della Chiesa, perchè essa racchiude nel suo
seno la paglia ed il buon grano, ma che questi non formavano già la Chiesa, anzi all’opposto
resistevano allo Spirito Santo, il quale la governa. Terminò spiegando ciò che intendono i
Cattolici quando insegnano la Chiesa essere diretta dallo Spirito Santo, e fece vedere questa
direzione riguardare l’intero corpo e il capo stesso della Chiesa che non può ingannarsi nelle sue
decisioni, ed anche i particolari i quali non possono smarrirsi, allorchè seguitano i lumi della fede
e le regole della giustizia cristiana.
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Una risposta tanto giusta avrebbe dovuto soddisfare colui al quale era fatta; pure egli non
si arrese e sostenne sempre l’ignoranza de’popoli e il poco zelo de’preti esser una {72 [72]}
prova infallibile che la Chiesa Romana non era guidata dallo spirito di Dio. Vincenzo per
impedire non si facessero più simili obbiezioni fece dare una missione. Sparsasi la voce per tutto
quel paese, il nostro eretico prese ad esaminare con tutta l’attenzione d’un uomo prevenuto gli
esercizi che vi si facevano; assistè alle prediche ed a’catechismi; vide la cura che si prendevano
d’insegnare a chi era nell’ignoranza le verità necessarie alla salvezza; ammirò la carità colla
quale si adattavano alla debolezza ed alla incapacità dei più grossolani per rendere loro
intelligibile ciò ch’essi dovevano credere, e far loro bene intendere quanto doveano porre in
pratica. Finalmente fu testimonio della conversione d’un gran numero di peccatori. Colpito da
tutti questi oggetti disse al Santo:”Ora vedo che lo Spirito Santo guida la Chiesa Romana, poichè
in essa si prende cura dell’istruzione e della salvezza de’poveri contadini. Io son pronto ad
entrarvi quando a voi piacera che vi sia ricevuto.”
Vincenzo avendogli dimandato se non aveva più alcuna difficoltà o dubbio:”No, rispose,
io credo tutto ciò che mi avete detto, e sono disposto a rinunciare pubblicamente a tutti i miei
errori.”
Il nostro santo Sacerdote per assicurarsi vie più dell’integrità della fede del suo proselito
{73 [73]} lo interrogò sopra alcuni articoli che sono controversi fra noi ed i protestanti, e sopra
quelli sui quali era sembrato più lontano. Fu il Santo soddisfatto delle risposte di lui, e riconobbe
con gioia che egli aveva ritenuto ciò che gli si era insegnato. Fu fissato il giorno per dargli
l’assoluzione della sua eresia. La radunanza era numerosa, perchè il popolo era stato avvisato
della cerimonia; ognuno ringraziava Iddio del ritorno della pecorella smarrita, rallegrandosi di
vederla correre da se stessa all’ovile; ma questa gioia santa venne turbata da un accidente
impensato.
Vincenzo avendo dimandato pubblicamente a quell’uomo se perseverava nella
risoluzione d’abiurare i suoi errori, rispose, a dir vero, che vi perseverava, ma soggiunse che una
nuova difficoltà sorgeva nel suo spirito all’occasione d’un’immagine di pietra assai mal formata
rappresentante la santa Vergine, nella quale, diceva egli indicandola col dito, non poteva credere
esistesse qualche virtù. Il Santo rispose che la Chiesa non insegnava vi fosse qualche virtù in
quelle immagini materiali; che Dio poteva bensì loro comunicarne, e loro ne comunicava, come
aveva fatto altre volte alla verga di Mose che operava tantimiracoli, ma che per se stesse non
avevano forza, nè potere; del resto questo domma della nostra fede era sì conosciuto nella
Chiesa, che i fanciulli {74 [74]} stessi potevano spiegarglielo. Il santo Sacerdote chiamò al
momento uno de’più istruiti, dimandò a lui ciò che dobbiamo credere circa le sante immagini. Il
fanciullo rispose essere cosa buona l’averne, e di render loro l’onore dovuto, non a causa della
materia di cui sono formate, ma perchè ci rappresentano nostro Signore, la sua gloriosa Madre e
gli altri Santi i quali regnano nel cielo, e avendo eglino trionfato del mondo ci esortano con
queste mute figure a seguire la loro fede ed i loro buoni esempi. Vincenzo fece risaltare questa
risposta, e se ne servi per far confessare a quell’eretico che la difficoltà, la quale lo aveva
soffermato, nulla aveva di solido. Il protestante si arrese di buona fede, abiurò i suoi errori alla
presenza di grande moltitudine, e perseverò fino alla morte nel cattolicismo. L’ordine ed i
particolari di questa conversione restarono sempre profondamente impressi nella memoria del
nostro Santo, perchè la cura che si prendeva d’istruire gli abitanti della campagna n’era stato il
principale motive
Frutto. Chiunque ha persone a sè affidate procuri siano istruite nella verità delle fede, e
dove scorge negligenza, si armi di santo zelo affinchè si tolga l’ignoranza delle verità della
religione, e si toglieranno in tal modo altresì i disordini del peccato. {75 [75]}
Giorno ottavo. Della sua dolcezza.
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Questa virtù sì propria a cattivare i cuori, forse più d’ogni altra costò a S. Vincenzo. Nato
bilioso e con uno spirito vivace era naturalmente inclinato alla collera. Si affaticò da principio a
reprimerei movimenti destatisi nell’animo suo, ma la violenza che si faceva internamente
traspariva al di fuori da un’aria scortese e malinconica. Fece su di sè uno studio ben serio; vide
quale cosa gli mancava ed ebbe ricorso al Signore, il quale solo può colla sua grazia riformare la
natura. Si animò sull’esempio di s. Francesco di Sales, la cui estrema dolcezza lo colpì al primo
trattenimento avuto con lui; finalmente a forza di vigilanza divenne sì dolce e sì affabile, che
sarebbe stato in questo genere il primo uomo del suo secolo, se il suo secolo non avesse avuto il
santo Vescovo di Ginevra.”Vedendo il signor Vincenzo, diceva Fénélon, si crederebbe vedere
san Paolo scongiurare i Corinti colla dolcezza e colla modestia di Gesù Cristo.”
Costa ben poco il praticare la dolcezza riguardo a coloro, i quali l’esercitano con noi: i
pagani lo fanno egualmente; ma praticarla {76 [76]} con coloro che ci offendono, ci
contraddicono e nulla ascoltano, si è l’effetto di una virtù eroica, virtù praticata da s. Vincenzo
de’Paoli. Ebbe egli a trattare e sovente nello stesso giorno con persone educate e con altre rozze
ed ignoranti; con persone di spirito e con uomini grossolani, con gente scrupolosa e con
orgogliosi filosofi; in una parola con quanti possono immaginarsi dal trono dei Re fino alla
capanna de’pastori, e con tutti esercitava quel maraviglioso tratto di civiltà evangelica di farsi
tutto a tutti per guadagnare tutti a G. C., richiamando dovunque si trovava l’idea del Salvatore
quando conversava cogli uomini.
Giammai si vide un’alterazione sul suo volto, un’asprezza nelle sue parole, un segno di
noia nel suo esteriore; fu veduto interrompere il suo colloquio con persone di qualità per ripetere
fino a cinque fiate la stessa cosa a chi non la comprendeva, e dirgliela l’ultima volta con tanta
tranquillità, come la prima; senz’ombra d’impazienza fu veduto ascoltare povere persone, che
mal parlavano ed a lungo; fu veduto lasciarsi interrompere trenta volte in un giorno da
scrupolosi, che sempre ripetevano la stessa cosa in termini differenti, ascoltarli fino alla fine con
una pazienza inalterabile; scriver loro qualche volta di propria mano quanto aveva loro detto, e
spiegare la {77 [77]} cosa più a lungo qualora non la intendevano bene; finalmente interrompere
il suo uffizio o il suo sonno per non mancare all’occasione di fare un sacrifizio, il quale costa
talvolta assai ad un uomo occupato in tanta diversità di cose. Particolarmente cogli eretici la
dolcezza gli sembrava più necessaria. Diceva che nelle contestazioni vive, colui contro del quale
si disputa, e che da principio e persuaso di ciò che dice, se si accorge che si voglia prevalere su
di lui, allora si prepara non già a riconoscere la verità, ma a combatterla; questa disputa in vece
di entrare nel suo spirito chiude ordinariamente la porta del suo cuore, mentre la dolcezza e
l’affabilità l’avrebbero aperta; che l’esempio di s. Francesco di Sales era una prova palpabile di
questa verità, poichè quel prelato, sebbene abilissimo nella controversia, aveva guadagnati più
eretici colla sua dolcezza che non per mezzo della scienza. A questo proposito il Cardinale di
Perron era solito dire, che quanto a lui si sentiva bensi di convincere i novatori, ma soltanto
Monsignor di Ginevra sapeva convertirli. ”Finalmente, soggiungeva, non ho mai veduto nè
inteso che alcun eretico siasi convertito colla forza della disputa, o per la sottigliezza degli
argomenti, ma sì bene colla dolcezza; tale e la forza di questa virtù per guadagnare gli uomini a
Dio.” {78 [78]} Il servo di Dio era altresi persuaso potersi soltanto colla dolcezza ricavar frutto
dalle missioni di campagna.”Rendetevi affabili all’assemblea de’poveri, questo e consiglio della
Scrittura: Congregationi pauperum affabbilem te facito. Tale deve essere la nostra regola, diceva
a’suoi; senza questo la povera gente si allontanerà, e non oserà avvicinarsi a noi; ci
riguarderanno come persone o troppo severe o troppo gran signori per loro; Così l’opera di Dio
cadrà, e noi non potremo soddisfare ai disegni che egli ha sopra di noi. Se Dio accordò qualche
benedizione alle nostre prime missioni, si è osservato esser questo avvenuto per aver trattato
amichevolmente con ogni classe di persone, e se è piaciuto a Dio di servirsi del più miserabile
degli uomini per la conversione di alcuni eretici, hanno confessato eglino stessi esser questo per
la dolcezza e la cordialità avuta verso di loro. I forzati, coi quali ho coabitato, non si guadagnano
in altra maniera; ed allorchè m’e accaduto di parlare loro aspramente, ho guastato tutto; al
contrario allorchè li ho lodati della loro rassegnazione, ed ho compatito ai loro patimenti, quando
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ho detto che erano felici di fare il loro purgatorio in questo mondo, quando ho baciato le loro
catene, si è allora che mi hanno ascoltato, hanno glorificato Dio, e si sono posti {79 [79]} in
istato di salvezza. Vi prego d’aiutarmi a ringraziare Dio e a dimandargli, che si compiaccia di
mettere tutti i missionari in quest’uso di trattare dolcemente il prossimo in pubblico ed in privato,
ed anche i peccatori ostinati, senza usare in alcun tempo rimproveri o parole aspre contro di
chicchessia.”
Il Santo fondava la sua dolcezza sopra due principii; l’uno era la parola e l’esempio del
Salvatore, e l’altro la conoscenza dell’umana debolezza. In quanto al primo principio, diceva la
dolcezza e l'umiltà essere due sorelle, che si uniscono molto bene insieme; Gesù Cristo averci
insegnato ad unirle quando ha detto: Imparate da me che sono dolce ed umile di cuore; e queste
parole sono state sostenute da’suoi esempi. Perciò il Salvatore ha voluto avere de’discepoli
grossolani e soggetti a vari difetti per insegnare a coloro che sono in dignità la maniera con cui
devono trattare quelli di cui hanno la direzione; nè potersi vedere la dolcezza ch’egli ha praticato
nel corso della sua passione senza essere portati a quella virtù; come quando ha dato il nome di
amico al perverso Giuda traditore, e soffrì senz’alcun lamento le crudeltà di una sbirraglia che lo
sputacchiava nel viso, ed insultava a’suoi dolori. ”Oh Gesù mio Dio, esclamava, qual esempio
per noi {80 [80]} che abbiamo preso ad imitarvi! Che lezione per coloro i quali nulla vogliono
soffrire o che s’inquietano e si inaspriscono allorchè soffrono!”
Quanto al secondo principio Vincenzo diceva che e proprio all’uomo di fallire, come è
proprio dei rovi di aver delle spine pungenti; che il giusto stesso cade sette volte, ciòe molte
volte; che lo spirito al pari del corpo ha le sue malattie; che essendo sovente un uomo da se
stesso un grande esercizio di pazienza, non e cosa strana che egli eserciti quella degli altri; e che,
come ha osservato s. Gregorio il Grande, la vera giustizia conosce la compassione, e non
conosce collera, né trasporti; quindi egli conchiudeva, che fa bisogno di dolcezza in tutte le
vicende della vita; le parole che ci feriscono sono sovente piuttosto impeti della natura che
indisposizioni del cuore; i più saggi non sono esenti dalle passioni: e queste passioni strappano
loro qualche volta certe espressioni delle quali si pentono un momento dopo; in qualunque luogo
uno sia deve sempre soffrire, ma che potendosi nello stesso tempo meritare, è molto utile il fare
provvigione di dolcezza, poichè senza questa virtù si soffre senza merito ed anche con pericolo
della salvezza.
”La dolcezza, aggiungeva il Santo, ha tre principali atti. Il primo di questi atti {81 [81]}
reprime i movimenti della collera e gli impeti di quel fuoco che turba l’anima, sale al volto e ne
cangia il colore. Un uomo dolce non lascia di sentire una prima emozione, perchè i movimenti
della natura prevengono que’della grazia; ma sta fermo affinchè la passione non trionfi, e se
comparisce in lui, suo malgrado, qualche alterazione nel suo esteriore, si rimette ben presto e
rientra nello stato naturale; allorchè è constretto di riprendere, di castigare, segue la via del
dovere, e non mai quella dell’impeto: in ciò imita il Figlio d’Iddio che chiamo s. Pietro satanno;
che nella stessa occasione trattò dieci o dodici volte i giudei di ipocriti; che rovesciò le tavole
de’negoziatori; che tutto ciò fece con una perfetta tranquillità, mentre un uomo senza dolcezza
avrebbe fatto per collera.”
Il secondo atto della dolcezza consiste in una grande affabilità, in quella serenità di volto
che rassicura chiunques’avvicina. Certe persone con aria ridente ed amabile contentano tutti, e
dal primo istante sembrano offerirvi il loro cuore e chiedere il vostro; altre all’opposto si
presentano con un aspetto riservato, il cui viso arido, accigliato spaventa e sconcerta. I missionari
che per vocazione sono obbligati a trattare colla povera gente di campagna, cogli ordinandi ed
esercitandi, devonoprocurare di formarsi {82 [82]} queste maniere insinuanti, le quali cattivano i
cuori. Senza questo non faranno mai frutto, e saranno come una terra secca altro non producendo
se non cardi selvatici.
”Finalmente il terzo atto della dolcezza consiste nello sbandire dal proprio spirito le
riflessioni che seguono pur troppo le pene che ci vennero cagionate, o i cattivi servigi che ci
furono resi. Bisogna allora assuefarsi a distogliere il proprio pensiero dall’offesa, a scusare
quello da cui proviene, a dire a se stesso ch’egli ha operato con precipitazione, e che un primo
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movimento l’ha trasportato; soprattutto non bisogna aprir bocca per rispondere a coloro stessi
che altro non cercano se non d’inasprirci. Devonsi egualmente trattare con dolcezza coloro che
hanno meno riguardi per noi, e se giungessero ad oltraggiarci sino a darci uno schiaffo, bisogna
offerire a Dio e soffrire per amor suo questo ingiurioso trattamento; devonsi ancora trattenere
gl’impeti della collera e preferire ad ogni altro linguaggio quello della dolcezza, perchè una
parola di dolcezza può convertire un ostinato, quando all’opposto una parola aspra e capace di
desolare un’anima. Io non mi sono servito in vita mia che tre sole volte di parole ruvide per
riprendere gli altri; e quantunque avessi creduto da principio di aver qualche ragioned’usare in
tal modo, me ne sono {83 [83]} sempre pentito in appresso, perchè ciò mi è riuscito molto male,
quando all’opposto ho sempre ottenuto colla dolcezza ciò che desiderava.”
La dolcezza, la quale alletta sempre, aveva presso il sant’uomo un non so che di schietto,
di spiritoso e di saggio ch’era difficile il resistervi. Un di essendo con diverse persone
qualificate, una di queste disse fra le altre imprecazioni, che bramava di essere portato via dal
diavolo. A queste parole Vincenzo abbracciandola gentilmente gli disse sorridendo: ”ed io,
Signore, io vi lasciò con Dio, perchè sarebbe un gran danno che il demonio vi possedesse.”
Queste poche parole edificarono la compagnia, e commossero tanto colui al quale si
dirigevano, che promise d’astenersi da simile foggia di parlare.
La dolcezza del santo Sacerdote non indeboliva punto lo spirito di fermezza e di vigore,
di cui un uomo suo pari non poteva essere sprovvisto. ”Niuno, diceva, e più costante nel bene di
coloro che fanno professione di dolcezza; queglino al contrario che si lasciano trasportare dalla
collera, e dalle loro passioni, sono d’ordinario molto incostanti. I primi sono simili a quei fiumi
che scorrono senza fracasso, ma abbondano sempre, nè inaridiscon mai; i secondi somigliano ai
torrenti: come questi da principio {84 [84]} fanno un fracasso terribile, ma la loro forza passa col
loro straripamento; essi non vanno che per ghiribizzo, e perciò vanno molto male. Che hassi
dunque a fare per riuscire nelle cose di Dio? Seguire da per tutto l’esempio di Dio medesimo;
andare, come fece egli stesso, fortemente al suo scopo, ma andarvi per istrade piene di soavità e
di dolcezza: Attingit a fine usque ad finem fortiter, et disponit omnia suaviter.
Vincenzo accoppiava la forza alla dolcezza, egli non cercava altro appoggio che la virtù,
nè altra politica che la sua fede; sosteneva la verità fino in mezzo alla Corte; ne prometteva mai
ciò che la sua coscienza non gli permetteva di mantenere. Resisteva saldo alle più potenti
sollecitazioni; la riconoscenza stessa e la tenerezza lo trovavano sempre inesorabile: nè mai gli
avvenne in vita sua di dire un si quando il suo dovere l’obbligava al no. Potremmo produrre gran
numero di testimonianze, ma valga per tutte quella di Monsignor Fénélon Arcivescovo di
Cambrai. Egli dice nella sua lettera a Clemente XI: ”che il discernimento degli spiriti e la
fermezza del coraggio furon doni che brillarono nell’Uomo di Dio, in grado che si durerebbe
pena a crederlo; che nel dar consiglio non ebbe riguardo alcuno all’odio nè al furore de’grandi,
ma unicamente agli interessi della Chiesa.” {85 [85]}
Alcuni fatti danno altresi a conoscere, Vincenzo de’Paoli non avere avuto sulla terra altro
timore fuori quello di Dio. Leggiamo che egli, superiore a tutte le regole della prudenza umana,
andò a trovare un padre non per felicitarlo sulla nomina di suo figlio all’Episcopato, ma per
iscongiurarlo a non permettere che quel figlio occupasse una dignità di cui non era degno.
Leggiamo che ricusò a signore di altà nobiltà ed anche a principesse l’ingresso nel monastero
delle figlie, di cui era superiore; che accettava volentieri sopra di sè tutto ciò che questi rifiuti
hanno d’odioso, perciò esponendosi a tutti i risentimenti. Parecchi tratti consimili provano come
Vincenzo dovette, a guisa degli antichi Profeti, essere un muro di bronzo, e averne la fermezza,
senza allontanarsi nulladimeno dalla strada della dolcezza.
Frutto. Imparino i padri e le madri e gli altri superiori a reprimere que’trasporti di collera
che li signoreggiano; piuttosto usino affabilità e dolcezza colle persone loro affidate, soprattutto
quando trattasi di dar consigli in fatto di religione; e si vedrà che le loro correzioni e i loro avvisi
saranno assai più efficaci. {86 [86]}
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Giorno nono. Delle sue divozioni particolari.
Vincenzo aveva un’altissima idea della Maestà infinita di Dio; l’aspetto d’un uomo
annichilato ch’egli assumeva negli esercizi di religione; i vocaboli pieni di rispetto di cui si
serviva quando si trattava di parlare di Dio; l’ardente zelo col quale si sforzava di comunicare
agli altri i sentimenti propri, erano altrettante prove delle disposizioni del suo cuore. Abbenche
andasse a letto molto tardi, si alzava regolarmente a quattr’ore, e ciò con tanto fervore, che il
secondo tocco della campana non lo trovo giammai nella stessa positura, in cui lasciavalo il
primo. Cominciava la giornata con offerire a Dio i suoi pensieri, le sue parole, le azioni sue in
unione di quelle di Gesù Cristo: faceva in seguito la meditazione; poi recitava egli stesso ad alta
voce le litanie del santo nome di Gesù. Di la andava o a confessarsi (il che sovente accadeva,
poichè come l’attesto uno de’suoi Direttori, non poteva nemmeno soffrire l’apparenza del
peccato), o a fare la sua preparazione per la santa Messa. Si può dire che in questa grande azione
serviva di modello a’sacerdoti più esatti. Pronunciava {87 [87]} tutte le parole in una maniera sì
distinta e sì affettuosa, che ben faceva scorgere come il suo cuore si accordava col suo labbro. La
sua modestia, il tuono con cui proferiva le parole, che rammentano al sacerdote i propri falli e la
propria dignità; la serenità del suo volto allorchè si volgeva al popolo per annunziargli la pace e
la benedizione del Signore; in una parola tutto ciò che si vedeva in lui quanto all’esteriore, era
atto a far impressione sopra coloro, che ne sono meno capaci; sembrava di vedere un Angelo
all’altare. Ad eccezione dei tre primi giorni de’suoi ritiri annuali, ne’quali vi e uso nella
congregazione di astenersi dal celebrare, egli diceva la Messa tutti i giorni; e finchè potè stare in
piedi giammai la tralasciò neppure in viaggio. Le sue indisposizioni ordinarie non glielo
impedivano punto, ed aseendeva all’altare colla piccola febbre, che abitualmente lo molestava.
Il suo amore per l’Agnello che fu immolato per la redenzione dell’uomo lo induceva
qualche volta ad ascoltare ed anche a servire una seconda Messa dopo aver detta la sua. Fu
veduto quel venerabile vecchio all’età di più di settantacinque anni, ed in un tempo in cui molto
faticoso gli era il camminare, farsi un onore di compire le funzioni di accolito.”E benvergognosa
{88 [88]} cosa, diceva egli, per un ecclesiastico costituito pel servizio degli altari che in sua
presenza altre persone senza carattere facciano l’uffizio di lui.
La sua divozione non appariva. meno negli uffizi solenni; all’udirlo cantare e salmeggiare
in coro, sarebbesi preso per un Serafino anzichè per un uomo. Voleva si cantasse posatamente,
cogli occhi fissi sul proprio libro, e senza guardare ne a dritta, nè a manca. Sebbene avesse una
tenera e singolare divozione per tutti i misteri di nostra santa fede, quei della SS. Trinita e
dell'Incarnazione, che sono la sorgente degli altri tutti, furono per lui l’oggetto d’un culto più
particolare. Bisognerebbe avere una parte della sua divozione per dare qualche idea di quella
ch’egli aveva pel SS. Sacramento dell’amore di un Dio che vuole essere co’suoi, ed esservi fino
alla morte. Entrato nel luogo santo, che Gesù Cristo onora di sua presenza, egli restava sempre
prostrato in ginocchio e in un contegno si umile che indicava sarebbesi volentieri abbassato fino
al centro della terra per attestare maggiormente il suo rispetto. Osservando la sua modestia,
ognuno avrebbe potuto dire ch’egli vedeva Gesù Cristo co’propri occhi. Evitava di parlare nelle
chiese, e se qualcuno voleva dirgli una parola, fosse anche un vescovo od un principe {89 [89]}
procurava di condurlo al di fuori e lo faceva con tanta grazia e garbatezza, che niuno poteva
offendersene. Quando andava in città salutava avanti la sua partenza il padrone di casa (era
questa la sua espressione), ed allorchè era di ritorno, lo salutava di nuovo; e queste pratiche le ha
lasciate a’suoi. Un uomo sì pieno d’amore per l’adorabile Sacramento de’nostri altari era
estremamente sensibile agli oltraggi, che al suo tempo gli vennero fatti dall’eresia e dalla militare
licenza. Penitenze, lagrime amare, mortificazioni, doni considerabili fatti a diverse chiese, tutto
mise in opera per riparare a quegli attentati sacrileghi; ne abbisognavano sì enormi scandali per
affliggere il sant’uomo. Non avrebbe potuto vedere uno de’suoi salutare il SS. Sacramento in
modo superficiale; paragonava coloro che non facevano che una mezza genuflessione alle
marionette, le cui riverenze sono senz’anima e senza spirito. Non è già ch’egli facesse consistere
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la pietà in questi segni esteriori, ma sibbene per essere persuaso questi segni esteriori trovarsi
sempre ove regna la divozione.
Alla tenera divozione che Vincenzo ebbe pel Figlio, aggiungiamo quella ch’ebbe per la
sua santa Madre. Per celebrare degnamente le feste della Regina del cielo digiunava la vigilia
con tutti quelli di sua casa. {90 [90]} Il giorno della festa officiava solennemente e proponeva
a’suoi figli gli esempi di virtù, che rappresentava il mistero onorato dalla Chiesa. In qualunque
parte si trovasse, fosse anche presso d’un principe, all’istante che udiva suonare l'Angelus,
s’inginocchiava, ad eccezione del tempo pasquale e delle domeniche, per recitarlo con più
rispetto. All’esempio di s. Bernardo invocava sempre la Stella del mare in mezzo alle tempeste,
da cui la vita nostra e si sovente agitata.”Ognuno de’giorni nostri, diceva, e segnato
coll’impronta della protezione di Quella, che si compiace di esser nostra Madre, quando
vogliamo essere suoi figli.” Per ben convincersi Vincenzo de’Paoli essere stato zelante servo di
Maria, basta notare che fece tutto ciò che dipendeva da lui per estendere e perfezionare il culto di
Lei. Sotto questo aspetto impegno i suoi figli ad onorarla tutti i giorni di loro vita, ad imitarne
per quanto potessero le virtù, a farla rispettare da tutti coloro a’quali avessero occasione di
annunciare le sue grandezze, il suo potere presso Dio, e la sua tenerezza pei peccatori. In tutte le
missioni o fatte in persona o per mezzo di altri desidero sempre che s’istruissero i fedeli circa la
riconoscenza e l'amore che devono avere per quella sublime Creatura, la quale quantunque
infinitamente inferiore a Dio, non cede {91 [91]} che a lui solo. Finalmente di tante compagnie,
assemblee ed associazioni di cui fu l’Istitutore, non ve ne è alcuna, che egli non abbia posta sotto
la protezione speciale della santa Vergine.
La sua divozione per la Madre del Figlio di Dio e per gli altri Santi, partivano tutte dallo
stesso principio, cioè dal desiderio di glorificare Dio nella persona di coloro che egli stesso ha
voluto glorificare. Onorava particolarmente gli Apostoli i quali ebbero la felicità di vedere e di
toccare colle loro mani il Verbo fatto carne, e che sigillarono col loro sangue le parole della vita.
Aveva ognor in pensiero la presenza del suo Angelo custode a cui ogni giorno indirizzava
qualche preghiera. Questa pratica lasciò pure a’suoi figli; ed il mettersi in ginocchio nell’entrare
o nell' uscire dalle loro camere ha per secondo fine di far loro onorare l’Angelo, che Dio ha
iricaricato di vegliare alla loro custodia.
La sua affezione per s. Giuseppe era assai simile a quella che ebbe santa Teresa per quel
degno Sposo della Madre di Dio. Lo assegnò per Patrono a’suoi seminari interni Si felicitò col
Superiore di Genova perchè era ricorso alla mediazione di quel glorioso Patriarca, per procurarsi
degli operai capaci di coltivare la vigna del Signore. E gli augurò che nelle sue spedizioni {92
[92]} apostoliche s’insinuasse a’popoli di avere confidenza in quel custode fedele della Madre
Immacolata di Gesù: son queste sue proprie espressioni. Non dobbiamo omettere qui il servo di
Dio essersi fatta una legge di sollevare colle sue preghiere e sopratutto col sacrifizio della Messa
le anime del purgatorio. Esortava sovente i suoi a questo dovere di pietà. ”Quei cari defunti,
diceva, sono membri vivi di Gesù Cristo; sono animati dalla sua grazia ed assicurati di
partecipare un giorno alla sua gloria; a questi titoli siamo obbligati ad amarli, a servirli, ad
assisterli a tutta possa.” Vincenzo dimenticava ancor meno i benefattori della sua congregazione;
stabilì che si dicesse in loro suffragio in comune il salmo De profundis tre volte al giorno, cioè ai
due esami particolari che precedono la refezione, ed all’esame generale della sera; ed e cosa
assai bella il vedere una numerosa comunità non portarsi mai a prendere il suo nutrimento, se
non dopo aver pregato per coloro che li hanno beneficati.
Frutto. Chi vuole acquistare il vero spirito di divozione, mostrì gran rispetto e grande
riverenza per le cose di religione, guardandosi bene dal parlarne per burlarsene o screditarle. {93
[93]}
Giorno decimo. Dell’eguaglianza del suo spirito.
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Quella situazione del corpo e dell’anima, per cui un uomo, qualunque cosa succeda, resta
sempre tranquillo, sempre simile a se stesso, “è meno, dice Vincenzo, una virtù particolare, che
uno stato il quale suppone il complesso di tutte le virtù. È questo un raggio, uno zampillo che
sgorga all’esterno dalla pace e dalla bellezza dell’interne” Un cristiano che a forza di travagli, di
mortificazione, di uniformità agli ordini di Dio, è giunto a questo segno, padroneggia se stesso, e
persevera tranquillo in tutti i casi della vita. Checchè se gli possa dire o fare, nulla lo scuote. Sia
pure oppresso dagli affari, abbia dalla mano di Dio i colpi meno previsti, sia dimenticato,
disprezzato, schiacciato da coloro, che ha amato e ricolmato di onori, il suo cuore è sempre nello
stesso stato, la sua fronte egualmente serena, le sue parole dirette sempre dalla moderazione, la
voce stessa non cangia tuono e sembra essere anticipatamente ciò che saranno un giorno gli eletti
in quello stato felice, ove non esiste più alterazione ne vicissitudine. {94 [94]} Questo ritratto e
quello del nostro Santo; da’suoi più teneri anni fino all’ultima vecchiezza la sua divozione, la sua
religione, la sua carità non si smentirono mai. Non si videro in lui quelle interruzioni di virtù,
quegli oscuramenti di fervore quali si scorgono tanto frequenti negli uomini; camminava sempre
d’egual passo nella via della perfezione, attirando con se tutti coloro che si trovavano sul suo
cammino.
A questa prima eguaglianza bisogna aggiungere quella ch’egli ebbe nell’esecuzione di un
si gran numero di sante imprese, che effettuò pel bene della Chiesae dello Stato. Senza posa egli
fu applicato al servizio dei poveri, all’istruzione de’popoli, a’mezzi di perfezionare lo stato
ecclesiastico. Non abbandonò mai un’opera buona quando volle incominciarne una migliore, le
sostenne e le seguitò tutte fino alla fine. Le contraddizioni, le traversie, le persecuzioni
fortificarono il suo coraggio in vece di smuoverlo. Volle costantemente ciò che credette Dio
volesse da lui, ma lo volle con quella pace che solamente possedono le anime grandi.
La sua eguaglianza lo seguitò fino nell’ineguaglianza degli impieghi che esercitò; gli
onori non cangiarono i suoi costumi, ne la sua condotta esteriore. L’aria della Corte da cui tanti
restano abbagliati, non fece alcuna impressione in lui. I cortigiani, i prelati, {95 [95]} gli
ecclesiastici ed altre persone gli rendevano per istima grandi onori; egli li riceveva con profonda
umiltà e con molta dolcezza. Un Vescovo trovandolo così umile, così disposto a rendere servigio
a tutti coloro che abbisognavano di lui, come lo era avanti d’essere chiamato alla Corte, lo
dipinse con queste due parole che racchiudono un gran senso: il signor Vincenzo è sempre il
signor Vincenzo. Ma nulla fece meglio conoscere l’eguaglianza del suo spirito quanto le
disgrazie che sopportò. Questi scogli sì funesti alla virtù di tanti altri non servirono che a dare un
nuovo lustro alla sua. Fece egli più perdite nello spazio di dieci o dodici anni, di quello che
ordinariamente se ne facciano in un secolo. Molte delle sue case non avendo altre rendite fuori di
quelle stabilite sopra i sussidi straordinari, gli mancavano questi talvolta per uno o due
quadrimestri, talvolta per un’annata intera: veniva a sapere che un podere era stato saccheggiato;
inoltre la morte gli mieteva in breve tempo talvolta sette od otto de’suoi operai, e ciò ne’paesi
ove era difficile ed anche impossibile il sostituirne degli altri. In tutte queste occasioni, che
seguendosi da vicino sogliono far perdere l’equilibrio del nostro animo, non si udiva dire che
queste parole: Sia lodato Iddio; bisogna sottometterci alla sua volontà, accettare {96 [96]} tutto
ciò che a lui placerà d’inviarci.
Abbiamo alcuni tratti notabili sull'eguaglianza del suo animo. Ricevette una volta alla
distanza di due passi dalla sua casa uno schiaffo da un uomo che aveva urtato in passando. Il
Santo essendosi gittato a’piedi di colui, che l’aveva si oltraggiosamente trattato, gli presentò
l’altra guancia dimandandogli perdono. Gli abitanti del sobborgo che erano stati testimoni
dell’insulto e che avevano molto rispetto per Vincenzo come pel loro padre, si affollarono
intorno a lui. Al primo segno ch’egli avesse fatto, il suo ingiusto aggressore sarebbe stato posto
nelle prigioni; ma quello stesso uomo, sia che fosse stato spaventato dalla moltitudine, che alto
gridava, sia che la profonda umiltà del santo Prete gli avesse fatto sentire l’indegnità della sua
azione, si gettò a sua volta a’piedi del Santo dimandandogli perdono. Un signore che era andato
a chiedergli per suo figlio un benefizio, non avendolo potuto ottenere, lo trattò molto male sulla
soglia della sua casa in presenza di tutti coloro che ivi si trovavano: ”Avete ragione, signore, gli
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disse il sant’Uomo gettandoglisi a’piedi, io sono un disgraziato ed un peccatore.” Quel signore
sorpreso di quest’atto inaspettato fece un salto e gettossi nella sua vettura. Il Santo si alzò, {97
[97]} corse dietro a lui e lo salutò. Quanto è penosa alla natura umana una tale condotta! Quale
virtù si richiede per formarne il piano! Quanta eguaglianza d’animo per eseguirlo! Ma quante
risse, quante discordie si estinguono con tale procedere!
Frutto. Chi non si cura di acquistare questa eguaglianza e questa tranquillità di spirito
non avrà mai con se lo spirito del Signore; Non in commotione Dominus.
Giorno decimoprimo. Bell’umiltà di s.Vincenzo de’Paoli.
Sono pochi i Santi che abbiano spinto l’umiltà si oltre come Vincenzo.”Un virtuoso
ecclesiastico disse, che giammai si è trovato sulla terra ambizioso, che abbia avuto tanta frenesia
per conseguire la stima e l’innalzamento o la gloria, quanto ardore ebbe il santo Uomo per
l’abbiezione, pel disprezzo e per tutto ciò che si può immaginare di più proprio ad umiliare e
confondere.” Per giudicare quanto questo ritratto fosse veritiero, basta riflettere che Vincenzo si
riguardò sempre come un uomo per niente adattato a trattare le cose del Signore. Riguardava gli
onori a lui resi come una di {98 [98]} quelle piaghe, colle quali Dio colpisce i suoi nemici;
perciò ben lungi dal giustificarsi quando era accusato, si metteva subito dalla parte de’suoi
censori. Aveva Parte di trovarsi colpevole allorchè era innocentissimo; condannava i suoi più
leggieri difetti con maggior rigore di quello che gli altri non condannavano i loro più gravi
disordini. Il Figlio di Dio quantunque sia sempre stato lo splendore della gloria del Padre e
l’immagine di sua sostanza, pure ha voluto essere riguardato come l’obbrobrio degli uomini ed il
rifiuto della plebe. Erano questi i sentimenti, comunque contrari alla natura, ch’egli formava e
nudriva di se stesso; e ciò che sorprende vie più si è che, malgrado il bene fatto e gli applausi
ricevuti, giammai li perde di vista. Quando arrivò a Parigi, si fece nominare semplicemente
Vincenzo e non de’Paoli, temendo di essere riguardato come persona illustre alla Corte ove la
nascita rappresenta alle volte la parte migliore del merito, pubblicò di essere il figlio d’un povero
contadino. Se a questi tratti che lo caratterizzano gia abbastanza, si aggiunge che Vincenzo
preferiva un merito comune ad un merito brillante; ch’era sua regola di non farsi conoscere altro
che dal lato più debole, e di scegliere sempre fra due pensieri il più ordinario ed il meno proprio
a farlo risaltare, sarà difficile di non riconoscere {99 [99]} che, per trovare la vera umiltà sulla
terra, bisognava cercarla in Vincenzo de’Paoli.
Diffatto non si presentò mai occasione alcuna di umiliarsi, che non la cogliesse con
trasporto, o piuttosto la cercasse quando non gli si offeriva spontanea. Un giorno mentre
accompagnava un ecclesiastico alla porta di san Lazzaro, una povera donna credendo acquistarsi
benevolenza gli disse: Monsignore, fatemi elemosina. ”Oh donna mia, le rispose Vincenzo, mi
conoscete assai male, perchè io non sono che il figlio di un povero contadino.” Un’altra
avendogli detto collo stesso fine, ch’essa era stata fantesca della signora sua madre, il Santo
rispose d’innanzi a tutti coloro, che erano presenti:”Mia buona donna, voi mi prendete per un
altro; mia madre non ebbe mai domestica, avendo ella stessa servito, ed essendo la moglie, come
io sono il figlio di un povero contadino.”
Ma non solo dal lato della nascita Vincenzo faceva spregio di se stesso, eziandio da
quello dello spirito e del cuore si sfigurava fino a travisarsi. ”Sono più di trent’anni, scriveva alla
Superiora d’un monastero della Visitazione, che ho l’onore di servire le vostre case di Parigi, ma
oimè! non sono per questo divenuto migliore, io che dovrei aver fatto un così gran progresso
nella virtù, {100 [100]} alla vista di quelle anime incomparabilmente sante...... Vi supplico
umilmente di aiutarmi a dimandar perdono a Dio del cattivo uso che ho fatto di tutte le sue
grazie.
”Vi offerirò a Dio, poichè me l’ordinate, disse un giorno ad una persona che erasi assai
raccomandata alle sue preghiere, ma più di tutti ho bisogno io stesso del soccorso delle anime
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buone, attese le grandi miserie che aggravano il mio spirito, e che mi fanno riguardare le buone
opinioni che si hanno di me, come un castigo della mia ipocrisia, la quale fa che sia creduto
tutt’altro di quel che sono. Oimè! io sono inutile ad ogni bene, ed atto soltanto ad ogni male.”
Uno de’suoi avendogli scritto, che il Superiore ch’egli aveva spedito in una delle sue case
non era bastantemente fornito di bei modi nel trattare necessarii al luogo della sua destinazione,
Vincenzo, dopo avergli molto lodato quel superiore, la cui solida virtù valeva assai più della
urbanità di molti altri, non tralasciò di mettere se stesso alla censura. ”Ed io come son fatto?
come è che fui sofferto finora nell'incarico che ho, essendo il più ridicolo, il più rustico ed il più
sciocco di tutti e non saprei dire sei parole di seguito senza lasciar travedere che non ho punto di
spirito, ne di giudizio; ma il peggio si è che{101 [101]} non ho alcuna virtù che m’avvicini alle
persone con cui debbo trattare?”
Vincenzo parlava del corpo intero della sua congregazione a un dipresso come parlava di
sè; tutte le comunità gli sembravano sante e rispettabili, e, a udir di lui, la sua nemmeno meritava
di essere nominata. Uno de’suoi preti fece sua volontà stampare un ristretto dell’instituto,
de’progressi e dei lavori della congregazione. Vincenzo se ne lamentò con lui stesso: “Fu
stampato nelle vostre parti il ristretto del nostro instituto. Io n’ebbi un dolore tanto sensibile, che
non ve lo posso esprimere, essendo cosa affatto opposta all’umiltà il pubblicare ciò che siamo, e
ciò che facciamo...Se v’è qualche bene in noi e nella nostra maniera di vivere, ciò che spetta a
Dio, e tocca a lui il manifestarlo se lo giudica conveniente. Ma quanto a noi, che siamo poveri,
ignoranti e paccatori, dobbiamo nasconderci come inutili ad ogni bene, e come indegni che si
pensi a noi. Si è perciò che Dio mi ha fatto la grazia di star fermo fino al presente, per non
acconsentire che si facesse stampare cosa alcuna, la quale tendesse a far conoscere e stimare la
compagnia, benchè ne sia stato vivamente sollecitato, ed ancor meno avrei permesso la stampa
d’una cosa che riguarda l’essenza e lo spirito, la nascita ed i progressi, {102 [102]} le funzioni
ed il fine del nostro insituto. Volesse Iddio che dovesse ancora formarsi. Ma poichè non v’ha più
rimedio non dirò più oltre; vi prego solamente di nulla fare mai più che riguardi la compagnia
senza prima avvertirne.”
Se la carità lo avesse permesso, Vincenzo avrebbe lodato chiunque avesse denigrato la
sua congregazione, più di chi avesse cercato di farle onore. Un magistrato ingannato da falsi
rapporti, avendo detto in una pubblica adunanza che i preti di s. Lazzaro facevano ormai poche
missioni, e ciò in un tempo appunto in cui anzi ne facevano assai, il Santo contento di
giustificarsi colle opere, non volle permettere schiarimenti, nè apologie. Andò forse più oltre,
allorchè una famiglia potente, per vindecarsi che le fosse stato rifiutato un vescovato, inventò
contro di lui una calunnia sì ben colorita, che arrivò fino alla regina. Quella saggia Principessa
gli dimandò, ridendo, se sapeva d’essere accusato della tal cosa. A periccolo di passare per un
colpevole, il servo di Dio si limitò a rispondere essere un gran peccatore; e Sua Maestà avendo
soggiunto che doveva giustificarsi, “Sonosi dette ben altre cose contro nsotro Signore, rispose, e,
non si è punto giustificato. Io son felice di essere trattato come lui fu il Figlio di Dio: le
umiliazioni sono le grazie più grandi che il {103 [103]} Signore possa accordare agli uomini. Gli
applausi devono farci gemere, essendo scritto: guai quando gli uomini vi appludiranno: Vae, cum
benedisxerint vobis homines. “
Sebbene avesse gran cura d’inspirare a’suoi l’amore di tutte le virtù, l’umiltà è senza
dubbio una di quelle, di cui fece vie più rilevare l’importanza. “Nulla v’ha più giusto, diceva, del
disprezzo che si ha per se stesso: per poco che un uomo consideri a sangue freddo la corruzione
di sua nature, la leggerezza del sue spirito, le tenebre del sue intelletto, lo sregolamento della sua
volontà, l’impurità de’suoi affetti; per poco che calcoli le sue produzioni e le sue opere a fronte
del Santuario, troverà che tutto e degno di disprezzo, che nelle più sante azioni d’un ministro
evangelico v’è motivo di confondersi; che nella maggior parte di esse si conduce male e quanto
al modo, e sovente quanto al fine; che se non vuole adularsi, si riconoscerà di gran lunga più
perverso degli altri uomini.”
A questi motivi che impiegava in molte occasioni, l’uomo di Dio ne faceva succedere
altri che ricavava dall’esempio de’grandi uomini, tanto de’primitivi tempi, quanto de’moderni. S.
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Paolo pubblicò in tutta la terra che aveva avuto la disgrazia di bestemmiare contro Dio, e di
perseguitare {104 [104]} la sua Chiesa: sant’Agostino palesò i peccati segreti della sua gioventù;
Vincenzo aggiungeva che coloro, cui Dio preservò da cadute si vergognose, non furono perciò
meno umili; che s. Francesco di Sales parlava del mondo qual uomo che ne disprezza tutte le
vanità; che Il Sig. Cardinale di Bérulle costumava dire essere molto bene il tenersi bassi; gli stati
più abbietti essere i più sicuri, e trovarsi un non so che di maligno nelle condizioni alte e distinte;
perciò appunto i Santi aver sempre sfuggite le dignità, e che nostro Signore disse, parlando di se
stesso, ch’era venuto al mondo per servire, non per essere servito. Finalmente diceva, dietro
l’insegnamento di G. C, che colui il quale s’innalza sarà abbassato; che la vita del Figlio di Dio
non fu che un’umiliazione continua, che l’amò fino alla fine e che dopo la sua morte volle essere
rappresentato nella sua Chiesa sotto la figura di un reo attaccato alla croce: con questo c’insegna
anche oggidì, il vizio opposto all’umiltà essere uno de’più grandi mali che si possono concepire,
che aggrava gli altri peccati, e rende perverse quelle azioni che tali non sarebbero in se stesse
corrompendo le migliori e le più sante. Trovava una prova luminosa di quest’ultima verità nella
parabola del fariseo e del pubblicano del Vangelo. Sì, continuava {105 [105]} a dire,
quand’anche fossimo scellerati, se ricorriamo all’umiltà ci farà essa divenire giusti, quand’in
vece se fossimo pari agli Angeli, se siamo sprovveduti d’umiltà, le nostre virtù non avendo
fondamento, non potranno sussistere..... Ognuno di noi imprima ben bene questa verità nel suo
cuore, che per quanto si supponga virtuoso, se non ha umiltà, non e che un fariseo superbo, o un
missionario abbominevole. Oh Salvatore Gesù Cristo! diffondete sui nostri spiriti quei lumi
celesti che vi fecero preferire gl’insulti alle lodi: infiammate i nostri cuori di quei santi affetti che
ardevano nel vostro, e che vi fecero cercare la gloria del vostro Padre celeste nella vostra propria
confusione; fate colla vostra grazia che rigettiamo tutto ciò che non ha per mira il vostro onore e
il nostro disprezzo; fate che rinunciamo una volta per sempre agli applausi degli uomini
ingannati e ingannatori, ed alla sciòcca immaginazione del buon successo delle nostre azioni.
Frutto. Satana per la superbia fu cacciato dal Cielo, e condannato alle pene eterne
dell’Infemo. O mio Dio, aiutatemi ad esser umile, di poter soffrire ed operare ogni cosa
spregievole in faccia al mondo per piacere a Dio e meritarmi la sua misericordia. {106 [106]}
Giorno decimosecondo. Della sua fede.
La fede e il fondamento delle virtù cristiano, la base della salvezza e l’alimento di cui il
giusto si nutre sulla terra: Justus ex fide vivit, dice il Signore. Vincenzo temeva fino l’ombra di
ciò che poteva alterare la sua fede: sapeva che quanto più essa è semplice, tanto più è grata a
Dio; non la fondava sugli umani raziocinii, nè sulle sottigliezze filosofiche, ma sull’autorità della
Chiesa. “Siccome, diceva, meno si vede il sole quanto più in esso si fissa lo sguardo, per egual
maniera meno si crede colla fede quanto più si vuol ragionare sulle verità della Religione. Per
credere basta che la Chiesa parli, non è possibile che manchiamo sottomettendoci ad essa. La
Chiesa è il regno d’Iddio, spetta adunque alla Provvidenza l’indicare a’Pastori che la governano
la strada che devono tenere, e il non permettere di seguirne un’altra che conduca all’errore. “
Queste disposizioni inspiravano al servo di Dio un giusto allontanamento da quegli spiriti
inquieti e curiosi, i quali si compiacciono {107 [107]} di sofisticare sui nostri Misteri, e
sembrano volerli comprendere. L’alta idea che aveva della fede lo induceva a comunicarla, per
quanto era in lui, a coloro sopratutto che n’erano maggiormente mancanti. Da ciò i suoi
catechismi e le istruzioni che fece si sovente a’poveri, d’ordinario tanto trascurati; da ciò la sua
attenzione a bene imprimere questi stessi sentimenti in quelli fra i suoi amici, che credeva più
acconci ad esercitare questo dovere di carità; da ciò lo stabilimento della congregazione, vale a
dire di un corpo di operai evangelici destinati a far nascere e a coltivare il germe della fede nelle
terre le più sterili; da ciò il santo diletto col quale pubblicava il bene che facevano altre
compagnie, che un occhio geloso avrebbe riguardato come rivali. “Il Padre Eudes, diceva egli,
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quel buon Padre, con alcuni altri sacerdoti che aveva seco condotti dalla Normandia, è venuto a
Parigi a dar una missione, che ha fatto molto strepito e molto frutto: il concorso era
grandissimo... Noi non abbiamo parte alcuna a questo bene, perchè siam dedicati al povero
popolo della campagna: abbiamo soltanto la consolazione di vedere che i nostri piccoli lavori
hanno eccitato l’emulazione d’una quantità di buoni operai, che li esercitano con maggior grazia
di noi.” {108 [108]}
Che fede! che umiltà! diciamo pure l’una e l’altra, poichè quando la fede e tanto viva,
come lo era in Vincenzo, non va mai disgiunta da profonda umiltà.
Se il sant’Uomo ebbe la purità della fede, n’ebbe ancor la pienezza: ne viveva come ne
vive l’uomo giusto: animava essa le sue azioni, le sue parole, le pie affezioni, i suoi pensieri. Sul
livello della fede regolava i suoi giudizi, formava i suoi progetti, eseguiva le sue imprese. Ciò
che la maggior parte degli uomini fanno o per movimento naturale o per umani principii, egli lo
faceva a motivo e sulle regole della fede. Un disegno autorizzato da ragioni d’una saggià politica
non era di suo gradimento se non autorizzato dalle massime del Vangelo, o non poteva riferirsi
ad un fine soprannaturale. Era convinto che se gli affari di Dio riescono talvolta a male o a poco,
egli è perchè coloro, i quali ne sollecitano l’esecuzione, si appoggiàno troppo sopra ragioni
umane. “No, no, disse egli un giorno, non sono che le sole eterne verità che sono capaci di
riempire il nostro cuore e di guidarci con sicurezza. Credetemi pure, non fa d’uopo che di
appoggiàrci validamente sopra qualcuna delle perfezioni d’Iddio, come sarebbe sulla sua bontà,
sulla sua Provvidenza, sulla sua immensità, non bisogna, dico, che stabilirsi {109 [109]} ben
bene su questi fondamenti divini per divenire perfetti in breve. Non intendo già dire, che non sia
eziandio ben fatto di convincerci con forti ragioni, che possano sempre servire, ma bisogna
valercene subordinatamente alle verità della fede. L’esperienza c’insegna che i predicatori, i
quali parlano conforme ai lumi della fede, operano sulle anime più di coloro che riempiono i
sermoni di umani ragionamenti e d’argomenti filosofici; perchè i lumi della fede sono sempre
accompagnati da una certa unzione tutta celeste che si spande ssgretamente nel cuore degli
uditori, e da ciò si deve giudicare quanto sia necessario, tanto per la nostra propria perfezione,
quanto per procurare la salvezza delle anime, di assuefarci a seguire sempre ed in tutto i lumi
della fede. “
L’uomo di Dio seguiva sì universalmente questi santi lumi, che erano per lui quella
lucerna accesa la quale guidava tutti i passi del Re profeta: Lucerna pedibus meis verbum tuum,
et lumen semitis meis. Col favore di questa fiaccola, che risplende nei luoghi più oscuri, vedeva
negli oggetti sensibili ciò che gli occhi del corpo non potevano scorgere. “Se io considero,
diceva, un contadino o una povera donna secondo il suo esteriore e ciò che sembra proporzionato
al loro spirito, appena troverei in {110 [110]} loro la figura e lo spirito di esseri ragionevoli,
tanto sono essi grossolani e materiali; ma se gli osservo coi lumi della fede, vedro che il Figlio di
Dio, il quale voile essere povero, ci viene rappresentato da questi poveri; vedrò che non aveva
quasi più la figura d’uomo nella sua passione; vedrò che da’gentili riputavasi un insensato e
consideravasi qual pietra di scandalo da’Giudei; vedrò infine che malgrado tutto ciò egli si
qualifica il predicatore de’poveri: Evangelizare pauperibus misit me. Oh mio Dio! quanto mai
sembrano i poveri degni di disprezzo, allorchè si esaminano secondo il sentimento della carne e
del mondo ma quanto è bello osservarli considerati in Gesù Cristo, e nella stima ch’ei ne ha
fatta! “
Per farci ognor più chiara idea della vivezza di sua fede gettiamo uno sguardo sopra le
altre sue virtù, e dalla eccellenza e moltiplicità dei frutti di esse conosceremo la forza ed il vigore
della radice che li produsse.
Frutto. La fede senza opere non vale a niente; facciamo dunque opere di fede. Opera di
fede si è credere che vi è un Dio, cui dobbiamo servire con tutte le forze dell’anima e della mente
nostra; credere che vi è un inferno, quindi tener da noi lontano il peccato {111 [111]} mortale,
che solo ci può entro precipitare; credere che v’è un paradiso, perciò praticare la virtù per
giungerne un giorno al possesso.
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Giorno decimoterzo. Delle sue massime.
Il pensiero della morte e il mezzo più efficace per farci fuggire il male ed animarci al
bene. Questo pensiero suggeriva Vincenzo per sostegno della virtù; tuttavia non voleva che
occupasse la mente sino al pericolo d’alterare la confidenza cristiana. “È cosa molto salutare il
pensare all’ultima sua ora, diceva ad una persona che ne aveva grande apprensione, il Figlio di
Dio l’ha raccomandato; ma questo pensiero deve avere le sue regole ed i suoi limiti; non è
necessario, nè meno espediente, che l’abbiate di continuo presente; basterà che ve ne occupiate
due o tre volte al giorno, senza fermarvi lungamente su di esso; neppure dovete soffermarvi su di
esso in caso che continui a darvi troppa inquietudine. “
“Lo spirito umano, diceva parlando degli errori, è pronto e irrequieto, i caratteri più
vivaci e più illuminati non sono sempre i migliori, se non sono in pari tempo i più {112 [112]}
guardinghi: cammina sicuramente colui che non travia dalla strada seguita dalla maggior parte
de’saggi.”
Il santo era nemico delle precipitazioni; e soleva dire che la celerità nelle deliberazioni
conduce a’passi i più falsi; ma quando aveva deciso era tanto pronto nell’esecuzione, quanto era
stato lento e circospetto nell’esame. Allora, sia che l’evento riuscisse o no favorevole, era
tranquillo, appoggiato sulla dottrina de’Padri, i quali insegnano che il saggio non deve giudicare
delle cose dal successo, ma dall’intenzione e dalla proporzione de’mezzi; e che un affare ben
combinato può riuscire male, mentre che un altro azzardato temerariamente finisce talora in
bene.
La dottrina del Vangelo era l’unica regola della sua vita. “Dicendosi dottrina di Gesù
Cristo, ripeteva egli, è come si dicesse una rupe inconcussa. Le verità eterne sono seguite
infallibilmente, e rovinerà il cielo piuttosto che venga a mancare la dottrina di Gesù Cristo.“
Sull’articolo della discrezione diceva che i demoni si prendono giuoco delle buone opere
palesi e divulgate senza necessita, e che somigliano a mine non turate, le quali fanno rumore e
non producono effetto. Consigliando a’suoi penitenti il santo esercizio della presenza divina, il
servo di Dio diceva {113 [113]} che nulla bisognava fare in privato di ciò che non si oserebbe
fare in privato di ciò che non si osserebbe in una pubblica piazza, perchè la presenza d’Iddio
doveva produrre sui nostri spiriti impressione maggiore di quella, che produrrebbe la vista di
tutte le creature riunite.
Bisogna, secondo Vincenzo, cogliere il momento opportuno per fare una correzione
fraterna. Io non so se i figli del secolo gli perdoneranno la seguente massima: essere preferibile
di trovarsi in preda agl’insulti ed alla rabbia dell’inferno, piuttosto che vivere senza croci e senza
umiliazioni. Riguardava come esposto ad un prossimo pericolo di perdersi un uomo, cui ogni
cosa riesce bene e che non ha contraddizione alcuna da sopportare.
“L’orazione è necessaria a coloro che si consacrano al servizio degli altari, quanto al
soldato la spada. Un edifizio, di cui Dio non è l’architetto, non puo sussistere lungamente. Una
comunita che osserva con esattezza il silenzio e estremamente fedele a tutte le altre sue
costituzioni; quando invece in quella ove ognuno parla a talento, d’ordinario non si osservano nè
regole, nè ordine. “
La grande massima del Santo intorno alla vocazione era, che spetta a Dio solo il
scegliersi i suoi Ministri, e che le vocazioni prodotte dall’artifizio, e mantenute da una specie di
mala fede, disonorano il gregge {114 [114]} moltiplicandole. Per evitare il primo di questi due
difetti si fece una regola inviolabile di non mai eccitare alcuno per determinarlo ad entrare nella
sua congregazione, e proibì a’suoi di fare sollecitazioni a questo scopo. Ogni passo in questo
genere gli sembrava un delitto, e lo riguardava quale attentato contro a’disegni d’Iddio; neppure
soffriva che si facessero propendere coloro stessi che dimostravano averne l’inclinazione; in
quelle occasioni faceva loro osservare che un impegno di tanta importanza esige molte
riflessioni, perciò bisogna pensarvi con maturità ed al cospetto d’Iddio; essere per un particolare
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una ben piccola fortuna il divenir missionario, ma essere un punto capitale per tutto il corpo di
non avere di quelli che non siano legittimamente chiamati. I Certosini e molti altri Ordini, che
esigevano da’loro postulanti che passassero alcuni giorni a San Lazzaro, per consultare Dio nel
ritiro, avevano ragione di far conto sulla sua probità. Il distogliere qualcheduno da un ordine, al
quale era ehiamato, parevagli un furto, un sacrilegio. “Cercando di appropriarci quello che Dio
non ci vuol dare, diceva a’suoi, non faremo che contrariare la sua santa volontà, ed attirare su di
noi la sua indegnazione. Spetta al Padre di famiglia la scelta de’suoi operai. Un missionario
presentato dalla {115 [115]} paterna sua mano farà da se solo più bene di quello ne farebbero
molti altri, la cui vocazione fosse men pura. Dobbiamo dunque da una parte pregare il Signore,
che mandi nel suo campo uomini capaci di farne la raccolta, e dall’altra porre tanto studio nel
ben vivere, che i nostri esempi siano per loro un incentivo a lavorare con noi, se Dio ve li
chiama.” Per evitare il secondo difetto, che partecipa di ciò che le leggi qualificano di dolo e di
mala fede, il Santo non imitò già coloro i quali non presentano alla gioventù che dei flori del
noviziato, e non palesano le spine se non quando ha oltrepassato l’ultimo stadio della carriera.
Nulla v’ha nel piano del noviziato che possa abbattere la natura, ma vi ha tutto quello ch’e
necessario per far sentire il peso delle obbligazioni, che ne sono il termine. Non si esigono in
esso cilizi, nè catene, nè cinture di ferro, nè discipline, nè altri digiuni fuori di quelli che
obbligano tutti i fedeli, ma in contraccambio vi si vuole ciò che ordinariamente costa molto di
più, vale a dire una grande separazione dal mondo, una vita ritiratissima, molta umiltà, grande
mortificazione, estrema vigilanza su di se stesso, fedelta inalterable per tutti i propri doveri, e se
possibil fosse, un fondo inesauribile di quella santa unzione, che deve sostenere un giorno e
consolare {116 [116]} uomini pel proprio stato dedicati a tutto ciò che il ministero ha di più
penoso e di più ripugnante. Voleva che i missionari fossero pronti a dare la loro vita per amore di
Gesù Cristo, come egli ha dato la sua per la salvezza di tutti. “Vedonsi ogni giorno, diceva loro,
de’negozianti che per un guadagno mediocre attraversano i mari esponendosi ad un’infinita di
pericoli. Avremo noi minor coraggio di loro? Le pietre preziose di cui eglino vanno in traccia
valgono forse più delle anime che sono l’oggetto de nostri sudori, delle nostre fatiche, de’nostri
viaggi?”
A’religiosi che brigano per le dignità ecclesiastiche diede il Santo una bella lezione nella
persona di uno che a lui si raccomandava. Un celebre religioso che aveva predicato con successo
sui primi pergami del regno gli presentò i suoi prolungati lavori, l’austerità della sua regola, la
diminuzione delle sue forze, ed il timore che aveva di non poter continuare più a lungo a prestare
i servigi che aveva fino allora resi alla Chiesa; soggiunse aver pensato ad uno spediente, per cui
avrebbe potuto ancora lavorare con vantaggio; che la dignità episcopale lo dispenserebbe dal
digiuno e dalle altre austerita del suo ordine, e lo metterebbe in grado di predicare con maggior
vigore e frutto; che faceva capitale {117 [117]} della sua amicizia per fargli ottenere la nomina
dal Re. Il servo di d’Iddio fece intendere a quel religioso l’idea, da cui era inebbriato, essere una
tentazione del demonio: e dopo avergli testificato l’alta stima che professava al suo ordine e a lui
particolarmente, gli disse che col successo con cui onorò le sue funzioni Dio aveva manifestato
di volerlo appunto nello stato da lui abbracciato, e non esservi apparenza che volesse farnelo
uscire: che se Dio lo destinava all’episcopato avrebbe saputo trovare i mezzi di farvelo pervenire,
senza ch’egli lo prevenisse.
“Ma, soggiunse ancora Vincenzo, troverei qualche cosa a ridire sul farvi avanti voi
stesso; voi non avreste motivo di sperare le benedizioni del cielo in un cangiamento il quale non
può essere desiderato nè procurato da un’anima veramente umile come la vostra. Inoltre
privando il vostro ordine di un uomo che lo sostiene co’suoi esempi, che gli dà il credito colla
sua erudizione e che n’è una delle principali colonne, gli fareste un torto considerevole. Aprendo
questa porta porgereste occasione ad altri o di sforzarsi d’uscire dal loro ritiro, o almeno di
concepire disgusto per gli esercizi di penitenza; al pari di voi troverebbero dei pretesti per
addolcire che rigori salutari: perchè la natura si stanca {118 [118]} delle austerità, e se consulta
se stessa, dirà che sono eccessive, che bisogna moderarsi per vivere lungamente e servire vie più
a Dio, laddove nostro Signore dice: Chi ama l’anima sua la perderà e chi l’odia la salverà.
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Voi sapete meglio di me, reverendo Padre, tutto ciò che si può dire su di questo proposito,
e non oserei di palesarvi il mio modo di pensare se non me lo aveste comandato. Ma forse voi
non porgete attenzione alla corona che vi è preparata. Oh, Dio! quanto sarà bella! Avete già tanto
operato per meritarvela, e forse ben poco vi rimane più a fare. È necessaria la perseverenza nel
cammino in cui siete entrato, cammino che conduce alla vita. Avete di già superato le più gravi
difficoltà; dovete dunque farvi corraggio e sperare che Dio vi concederà la grazia di vincere le
minori.” Per tale modo Vincenzo troncava ogni germe d’ambizione e persino di quella che,
nascosta sotto i colori del bene, seduce qualche volta uomini pieni di virtù e di lumi.
Vincenzo combatteva con tutte le sue forze la maldicenza e la gelosia, crudeli passioni le
quali non le perdonano al merito domestico, nè al merito straniero. Diceva che i dardi
dell’invidia e della detrazione non feriscono il cuore di quali contro cui sono scagliati, se non
dopo di aver trapassato da parte a parte il cuor di Gesù Cristo. {119 [119]} Coloro che si
approssimano alla santa comunione col fervore di Zaccheo non devono biasimare coloro i quali
se ne allontanano coll’umiltà del pubblicano. Nulladimeno la lunga sua esperienza intorno
a’maravigliosi effetti dell’Eucaristia lo spingeva a sollecitar ognuno di mettersi in grado di
riceverla degnamente e frequentemente. “Avete un poco mal fatto, scriveva ad una persona sua
penitente, ritirandovi oggi dalla santa comunione per la pena interna che avete provato. Non
vedete voi ch’è una tentazione, e con ciò la date vinta al nemico di questo adorabilissimo
Sacramento! Pensate forse divenire più capace e meglio disposta ad unirvi a nostro Signore
allontanandovi da lui? Oh! siate sicura che se aveste un tal pensiero, v’ingannereste a partito.
Non bisogna dunque meravigliarsi se andiamo perdendo nelle virtù quando ci allontaniamo dalla
santa Comunione. Una donna di merito aveva da molto tempo per pratica, dietro il consiglio del
suo direttore, di comunicarsi due volte la settimana. La curiosità, e non so quale bizzarro
desiderio di perfezione, la indussero a cangiare di confessore; la frequente comunione fu il primo
peccato di cui egli volle che si correggesse. Così la signora si comunicò da principio una volta la
settimana; fu in seguito rimessa alla quindicina {120 [120]} e poi finalmente al mese. Tutto il
frutto che ricavò da questa privazione fu che a poco a poco lo spirito di vanità, d’impazienza, di
collera e di altre passioni s’impadronirono di lei. Le sue imperfezioni si moltiplicarono e si trovò
alfine in una situazione molto deplorabile. Ne cercò la causa e la trovò ne’consigli del nuovo
direttore; consigli perniciosi, poichè produssero effetti cotanto cattivi. Quella signora con miglior
consiglio ripigliò l’abbandonata sua pratica, convinta ormai che per comunicarsi spesso bisogna
ben vivere, come per ben vivere bisogna comunicarsi sovente. Nella frequenza dei divini Misteri
trovo il riposo della sua coscienza ed il rimedio a tutti i suoi difetti.”
Frutto. Del prossimo parlar bene o tacere affatto.
Giorno decimoquarto. Sua mortificazione.
Se è glorioso di seguire il Signore bisogna pur confessarlo che nulla costa maggiormente
alla natura; poichè il primo passo che debbono fare coloro che vogliono seguir {121 [121]} Dio,
quello si e di rinunciar a se stessi e portare la loro croce. Il Santo trovava questo assai difficile,
ma lo fece in tutti i momenti di sua vita; e colla più esatta verità si è detto di lui, che all’ombra
d’una vita comune la mortificazione interna ed esterna pratico costantemente.
Per mortificazione interna quella intendo la quale ha per oggetto immediato il giudizio, la
volontà, le inclinazioni del cuore, e le tendenze le più dolci della natura. Per mortificazione
esterna intendo quella che crocifigge tutti i sensi.
La sua mortificazione interna si ravvisa sensibilmente nella riforma che fece del suo
naturale. Si può ben combattere la propria natura, che quasi sempre ricompare. Se vien raffrenata
nelle occasioni prevedute, si svela nelle subitanee; sono pochi gli uomini i quali, studiando un
altro uomo, almeno al lungo andare non iscoprano in lui ciò che non avevano scorto da prima.
Vincenzo aveva naturalmente l’aspetto severe ed alquanto aspro; nulladimeno seppe si ben
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violentarsi che fu sempre considerate da quanti lo conobbero qual modello di dolcezza e di
affabilità. Riguardava egli stesso questo cangiamento come una specie di miracolo e lo attribuiva
alla compassione di chi lo aveva avvertito di prendere un aspetto meno cupo e meno austero.
Combatteva {122 [122]} con tanta forza l’amor proprio che giudicando di lui dalle sue
apparenze sarebbesi dubitato se da qual lato fosse figlio di Adamo; nulla occultava di ciò che
potesse farlo disprezzare; nascondeva quanto poteva ridondare a sua gloria. Il Segretario del Re
era stato schiavo in Algeri e sapeva che Vincenzo eralo stato in Tunisi. Raccontando egli
volentieri le sue avventure al Santo, avrebbe gradito assaissimo gli raccontasse le proprie. Lo
metteva espressamente in argomento per farlo parlare, ma confessa nella sua deposizione che
non potè mai ottenere una sola parola su questa materia. Venti fiate ebbe occasione di parlarne in
onorevoli assemblee, e venti fiate stette in silenzio.
Quella specie d’indifferenza che sembrò avere pei suoi parenti era in lui l’effetto della più
viva e della più perseverante mortificazione. “Pensate forse, diceva a qualcheduno che lo
esortava a giovar loro, pensate forse che non ami i miei parenti? Io provo per essi tutti i
sentimenti di tenerezza e di affetto come qualunque altro può avere per li propri, e questo amor
naturale mi sollecita molto di assisterli; ma devo operare secondo i movimenti della grazia e non
secondo quelli della natura, e pensare a’poveri più abbandonati senza arrestarmi a’vincoli
dell’amicizia e della parentela.{123 [123]} Devo imitare il Salvatore, il quale in una pubblica
occasione sembrò non conoscere nè madre nè fratelli, e riguardare nel1’impiego delle mie
elemosine come miei parenti più prossimi non già quelli che lo sono diffatti, ma bensì quelli i
quali hanno maggior bisogno di essere sollevati. Ohime! i miei parenti non sono essi molto
felici? e possono forse trovarsi in uno stato migliore di quello in cui eseguiscono la sentenza di
Dio, la quale ordina che l’uomo guadagni il pane col sudor della sua fronte?” Il Santo seguiva
questi principii anche quando avrebbe assolutamente potuto allontanarsene. Un suo amico gli
diede cento doppie per i suoi parenti: l’uomo di Dio non le rifiutò, ma disse al benefattore che la
sua famiglia poteva vivere com’era vissuta fin allora; quel nuovo soccorso non servirebbe a
renderla più virtuosa, anzi credeva che una buona missione fatta nella loro parrocchia avrebbe
maggior valore al cospetto di Dio e degli uomini. Quell’amico si arrende a tali ragioni; ma il
Santo non trovò l’occasione d’eseguire il progetto; le guerre civili che sopraggiunsero
desolarono la Guienna; i parenti di Vincenzo de’Paoli furono de’più malconci, ogni cosa fu loro
tolta, e alcuni persino vi perdettero la vita. Il sant’Uomo riconobbe allora essere stato per una
particolare disposizione della Provvidenza {124 [124]} che non avesse potuto dare quella
missione. Benedisse Iddio per una protezione sì speciale e visibile. Fece partire con tutta fretta il
soccorso che il cielo aveva preparato alla sua famiglia. E questo è il solo benefizio temporale che
fece a’suoi parenti Vincenzo per torglierli dalla miseria; Vincenzo cui sarebbe stato facilissimo di
procurar loro una vita comoda.
Prova della mortificazione interna del nostro Santo è la perfetta sua eguaglianza di
spirito. Ei l’ebbe in grado eminente. La sua storia ne somministra delle prove tali che si avrebbe
difficoltà a trovare nella vita dei più gran santi. L’abbiamo veduto tranquillo nelle turbolenze
della guerra come in seno della pace; nelle malattie come nella più florida sanità; ne’buoni
successi come nei più disgustosi avvenimenti. Per giungere fino là bisogna in qualche modo non
vivere più, o non vivere, come s. Paolo, che della vita di Gesù Cristo. Bisogna aver sepolto
l’uomo vecchio con tutti i suoi desideri, bisogna non conoscere più inclinazione nè tendenza.
Non fu già cosi della sua mortificazione esteriore; benchè abbia usata tutta la precauzione
per nasconderne una parte, e per travisarne l’altra, fu bastantemente conosciuto per giudicarlo
degno di avere un posto nei numero de’più illustri penitenti. {125 [125]} Ecco ciò che si rileva
dal processo di sua canonizzazione.
Vincenzo non si coricava quasi mai che verso mezzanotte, perchè i grandi e molteplici
affari de’quali era sopraccaricato non gli permettevano di farlo prima. Il suo letto consisteva in
un cattivo pagliericcio: sano o infermo alzavasi regolarmente a quattro ore del mattino. Al suo
svegliarsi si disciplinava: un fratello, la cui stanza era attigua alla sua, assicurò non aver mai
tralasciato questo esercizio in dodici anni che fu suo vicino. A questa austerità ne aggiungeva
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altre per chiedere a Dio delle grazie particolari per calmare la collera in tempo delle pubbliche
calamità. Il cilizio, i braccialetti, le cinture con punte erano anch’essi strumenti di cui usava
famigliarmente; ma il cilizio particolare di cui soleva servirsi e che esiste tuttora, fa tremare
coloro perfino che sono più abituati alla mortificazione. Del resto, a caso soltanto si scoprì il
grado e la misura della sua penitenza, perchè era tanto premuroso di tenerla occulta, quanto
ardente in praticarla.
Ogni giorno, ed anche negli inverni più rigidi, impiegava tutte le mattine più di tre ore
nell’orazione, nel prepararsi a celebrar la santa messa e nel ringraziamento. Stava in ginocchio
sul nudo pavimento senza aver mai permesso si coprisse con una stuoja {126 [126]} il posto in
cui aveva costumanza di collocarsi; nemico e quasi carnefice del suo corpo, malgrado
l’enflagione delle sue gambe e una febbre quartana che lo coglieva due tempi dell’anno, lavorava
con tanta esattezza come se avesse goduto della miglior sanità. Oltre i digiuni prescritti dalla
Chiesa, e da’quali giammai si dispensò, digiunava ordinariamente due volte per settimana, nè le
sue infermità, nè la sua vecchiezza poterono fargliene tralasciare l’abitudine. Il suo nutrimento fu
sempre dei più comuni; non vi era alcuna differenza fra lui e l’ultimo de’suoi nè per la quantità,
nè per la qualità dei cibi; sceglieva sempre a preferenza nella sua porzione il meno appetente, e
per timore di allettare la sensualità, la quale s’insinua dovunque, spargeva sugli alimenti una
polvere amara che rendevagli disgustosi. In qualsivoglia luogo si trovasse, beveva e mangiava
pochissimo, non già per mancanza d’appetito, ma perchè erasi fatta una legge di non mai
soddisfarlo. Allorchè trovavasi alla seconda mensa, si frammischiava a’domestici perchè gli
fossero dati come ad essi gli avanzi della prima; se giungeva dopo che erasi sparecchiato, e che
si era levato il vino, non mai ne dimandava e si contentava d’acqua pura, malgrado non vi fosse
chi avesse maggior bisogno di lui di acquistare delle forze. Per {127 [127]} quanto tardi
ritornasse in casa per pranzare, fossero anehe due o tre ore pomeridiane, era sempre digiuno.
All’età di oltre 60 anni digiunava nella quaresima più rigorosamente di un uomo robusto
nel fiore della sua età. Il merluzzo, l’aringa e gli altri salumi erano il suo nutrimento, come lo
erano per la comunità. Si tentò d’ingannarlo servendolo alla seconda tavola con pesce fresco in
luogo del pesce salato ch’erasi dato a’suoi fratelli, ma quell’innocente artifizio fu ben presto
scoperto da un uomo, che l’amore della mortificazione rendeva vigilante. S’informava di ciò che
erasi dato agli altri, e bisognava trattarlo al pari di essi, altrimenti nulla avrebbe mangiato. alla
sera un tozzo di pane, una mela e dell’acqua tinta di vino formavano la sua cena. Qualche volta
benchè non giorno di digiuno e di astinenza se giungeva a casa un po’tardi, si ritirava senza
mangiare.
Non impiegando la sua lingua che per raccomandare la virtù, combattere il vizio, dava
ascolto a’discorsi che tendevano al bene. La sua regola era di chiudere l’orecchio alle vane
curiosità, alle notizie inutili, e molto più a quelle che potevano offendere la carità. Per ciò che
concerne il gusto, avevalo assoggettato fino ad un punto straordinario. Il freddo ed il caldo, il
buono ed {128 [128]} il cattivo erano per lui cose indifferenti. Ci sono poche persone delle quali
non si possa dire che preferiscano un genere di alimenti ad un altro; Vincenzo, qualunque fosse
lo studio che avessero fatto del suo appetito i figli di lui impegnati a conservarlo, nol poterono
mai ravvisare: prendeva a lunghi sorsi e a varie riprese le medicine più amare e più disgustose, e
non mangiava se non perchè e ingiunto all’uomo di non lasciarsi morir di fame.
Soleva dire che la vera mortificazione non la perdona nè all’anima, nè al corpo; che
sacrifica il giudizio, la volontà, i sensi, le passioni, le inclinazioni le più dolci e le più naturali: il
giudizio, conducendo l’uomo a stimare le proprie idee meno delle altrui; la volontà, facendole
seguire l’esempio del Salvatore, il quale nell’intero corso di sua vita non fece mai la propria, ma
sempre quella del suo celeste Padre: quae placita sunt ei facio semper: i sensi, tenendoli soggetti
a Dio, e sopratutto vegliando attentamente sulla curiosità di vedere e di udire, curiosità tanto
pericolosa e che ha tanta forza da distogliere lo spirito da Dio, le stesse inclinazioni naturali, e
principalmente quella che domina in molti di conservare la sanità erano per lui l’oggetto di
mortificazione. “Perchè, andava dicendo, tale immoderata sollecitudine di star bene, {129 [129]}
l’eccessivo timore di soffrire qualche incomodo, che scorgesi in alcuni, i quali ripongon ogni
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loro attenzione alla cura della loro misera vita, impediscono grandemente di servire a Dio,
togliendo la libertà di servire a Gesù Cristo. Oh! miei fratelli, noi siamo i discepoli di quel Divin
Salvatore; e nulladimeno egli ci trova simili a schiavi incatenati; ed a chi? ad un po’di salute.....
O mio Salvatore, dateci la grazia di liberarci da noi stessi; fate, se pur vi piace, che abbiamo in
odio noi medesimi, per amarvi con maggior perfezione. Voi che d’ogni perfezione siete la
sorgente, come siete il nemico mortale della sensualità, dateci lo spirito di mortificazione e la
grazia di resistere sempre all’amor proprio, ch’e il germe di tutte le nostre sensualità.”
Nemico implacabile della sensualità la combatteva fino nelle apparenze. “Non trovasi
vizio, diceva a’suoi figli, che più di questo sia opposto allo spirito che deve animarvi, e sia più
capace a farvi perdere il gusto delle vostre funzioni. Un missionario deve vivere come se non
avesse corpo, e non deve temere nè il caldo, nè il freddo, nè le malattie, nè la fame, nè altre
miserie della vita. Egli deve stimarsi felice di soffrire qualche cosa per Gesù Cristo, e se fugge i
travagli, la fatica e gl’incomodi, {130 [130]} è indegno del suo nome, e a nulla può servire. Un
piccolo numero di preti che avranno rinunciato a’loro corpi ed alle loro soddisfazioni faranno
maggior bene di quello che ne farà una folla d’altri, i quali non hanno timore più grande di quello
d’indebolire la propria salute. Costoro si credono saggi, e la loro saggezza è carnale; sono spiriti
di carne. Guai a colui che fugge le croci, perchè ne trovera altre tanto pesanti che lo
opprimeranno.”
Frutto. Fate quest’oggi qualche astinenza in onore di Maria Santissima.
Giorno decimoquinto. Sue occupazioni.
Vincenzo che si riguardava qual servo inutile era talmente occupato da mattino a sera,
che la sua vita era una continuazione di opere buone. Un altro uomo laborioso, meno sostenuto
dalla grazia avrebbe soggiaciuto sotto quella moltitudine di affari. Non si può concepire come un
uomo soggetto ad infermità, senza mai tralasciare i suoi esercizi di divozione, abbia potuto
soddisfare tante occupazioni sì disparate; ultimare un sì gran numero di affari, che non avevano
connessione tra di loro; rispondere {131 [131]} ad ana quantità prodigiosa di lettere che riceveva
da ogni parte, e assistere con attenzione le due compagnie che aveva institute.
Non ci rimane più che una piccola parte delle lettere che scriveva in Francia, in Italia, in
Barberia e ne’paesi ancor più lontani, ed esse sono nulladimeno in sì gran numero, che fa
spavento la loro moltitudine, e la varietà delle materie, sulle quali era obbligato a rispondere.
Vescovi, Abati de’più.distinti, Direttori illuminati lo consultavano sovra cose tanto delicate
quanto importanti. Principesse gli dimandavano delle missioni per le loro signorie, soccorso che
non rifiutava giammai. Ora è la congregazione di propaganda, che scongiura di spedire i suoi
figli al Gran Cairo; ora se gliene dimandano per i paesi stranieri; ora una madre afflitta che
da’confini del Regno, ove la sua carità l’aveva fatto conoscere, lo prega d’interessarsi per un
figlio, che schiavo in Algeri è in pericolo di perdere o la vita, o la fede. Un giorno è un rinnegato
che da Algeri s’indirizza a lui, per trovare nella sua carità i mezzi di riparare alla sua apostasia;
un altro è una Abadessa che, disanimata dalle difficoltà del governo, non sa qual partito prendere.
Oggi è un giovane che, trascorsi alcuni mesi di noviziato, è tentato di ritirarsi dal chiostro. {132
[132]} Domani saranno i Nunzii Bagni o Picolomini che, a voce, o in isoritto, bramano avere il
suo parere sopra diversi articoli che riguardano o il bene particolare delle Diocesi, o il ben
generate della Chiesa. Sovente saranno saggi religiosi che ricorrono a lui, come ad un padre
sempre pronto ad aiutarli, sia nella riforma de’loro ordini, sia in altri affari spinosi. Nel mattino
sarà il capo d’augusta compagnia che combinera con lui cose che la politica vorrebbe riprovare,
ma che l’equità e la religione approveranno sempre. Alla sera sarà un missionario che ha bisogno
d’essere confortato nel suo stato o di essere ricondotto al primiero fervore. Qualche volta saranno
virtuosi preti i quali non conoscono sollievo nè riposo, e di cui bisogna moderare lo zelo perchè
possa continuare più a lungo. Del resto quelle lettere innumerevoli sono tutte ricolme dello
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spirito di colui che le scriveva.
L’umiltà, la dolcezza, il disinteresse, la saggezza, la rettitudine, la carità, la sottomissione
a tutte le volontà di Dio, sono il marchio uniforme, col quale vengono contrassegnate.
Durante sua vita la casa di san Lazzaro fu sempre quella ch’era al tempo degli ultimi
giudici d’Israello la casa del Profeta: era come un oracolo a cui tutte le persone {133 [133]} che
meditavano intraprendere qualche buona opera, accorrevano da ogni parte per attignere ne’lumi
dell’Uuomo di Dio i consigli di cui abbisognavano. Oltre le assemblee ordinarie, alle quali
assisteva esattamente tre volte per settimana, era frequentemente chiamato per elezioni di prelati,
di dottori, di superiori di comunità e di altre persone d’ogni condizione, sia per fermare il corso
di qualche grave disordine, sia all’oggetto di stabilire un buon governo, sia per ricondurre la pace
in un monastero o in una famiglia. Perciò, eccettuato il tempo ch’egli consacrava al ritiro
annuale, usciva quasi tutti i giorni per opere di carità, che lo toglievano alla sua solitudine.
Ritornato a casa, dopo aver recitato il suo uffizio in ginocchio, ascoltava coloro de’suoi o degli
esteri, i quali desideravano parlare con lui. Se a queste serie occupazioni si aggiungono quelle
procurate da diverse case della sua congregazione, quella delle figlie della carità, e delle religiose
della Visitazione, delle quali ebbe, finchè visse, una cura particolare, si potrà forse non convenire
che i suoi anni furono pieni, e che non ebbe alcun di quei mesi vuoti, che la Scrittura condanna?
Desta sorpresa l’udir parlare di grandi occupazioni, quando si tratta di un uomo che si
avanza a gran passi verso l’eternità. {134 [134]} Ciò nondimeno il nostro Santo, comunque
sopraccarico fino al giorno che precede la vigilia della sua morte, lo disimpegnò con una
precisione ed una presenza di spirito ammirabile. Radunava sovente gli ufficiali della sua casa ed
i suoi assistenti: parlava a tutti riuniti o ad ognuno in particolare, secondo che esigevano le
circostanze, si faceva render conto dello stato degli affari, e ne deliberava con essi. Regolava le
missioni, destinava ad esse quelli che erano più adatti, e concertava con loro la maniera con cui
bisognava agire per farle riuscire. Faceva per le altre compagnie, delle quali era incaricato,
quanto faceva per la sua propria’congregazione. Inviava alcuni suoi preti per rappresentarlo
ne’luoghi ove non poteva più trasferirsi, e quando si trattava di qualche affare importante, dava
loro una lezione sì esatta che non avevano, se volevano essere sicuri del successo, che ad
ubbidire. Giudicando di lui dalle sue risposte credevasi nelle provincie la sua salute fosse sempre
a un di presso nel medesimo stato, ed è perciò che riceveva una infinità di lettere, alle quali non
tralasciava mai di rispondere. Sebbene scrivesse sopra ogni argomento, scriveva più volentieri in
favor della miseria e dell’indigenza: si osservò le ultime sue lettere riguardare in tutto a’bisogni
ed al sollievo de poveri. {135 [135]} Nel trambusto delle occupazioni ed in mezzo alle
importunità d’una folla di persone di ogni condizione che l’assediavano, si scorgeva sempre
l’uomo di pace e di consolazione. Conciliava sì bene l’uffizio di Marta con quello di Maria, che
allorquando sembrava maggiormente occupato, si riconosceva ancor meglio che lavorava per
Dio e sotto gli occhi di Dio. Se a tante occupazioni si aggiungono gli esercizi di divozione, si
vedrà che conosceva il prezzo del tempo. Sarebbesi fatto uno scrupolo di perderne un solo
istante, e così raddoppiava i suoi anni innanzi a Dio. Era l’ultimo di tutti nell’andare al riposo
notturno, e durante il giorno era quasi sempre occupato a pregare, a ricevere o a dare consigli, a
formare deliberazioni o ad eseguirle. I suoi preti avevano dopo ogni pasto un’ora circa di
ricreazione, egli in vece ben rare volte ne profittava perchè aveva ordinariamente qualche cosa
premurosa da fare. Finalmente, quantunque accordasse a coloro che gli parlavano, e sopratutto
agli stranieri, il comodo per dirgli tutto ciò che era d’uopo, era per altro attentissimo ad eliminare
i discorsi inutili: evitava le digressioni fino nelle assemblee di divozione, alle quali interveniva
per li poveri. Tanto preciso nelle sue parole, quanto giusto nelle sue idee riconduceva al punto
essenziale coloro che {136 [136]} se n’erano allontanati, ma lo faceva con tanta grazia, che
niuno trovava a ridire. Possedeva una forza di spirito infaticabile per applicarsi a’più grandi
affari, e la più sorprendente facilità di abbandonare tutto in favore dei deboli e dei semplici che
venivano ad interromperlo.
In ciascun giorno degli ultimi anni di sua vita, per disporsi alla morte, recitava le
preghiere degli agonizzanti colla raccomandazione dell’anima, e alla sera si metteva in grado di
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rispondere al Divin Giudice, nel caso che quella notte stessa gli fosse piaciuto di chiamarlo al
suo tribunale supremo.
Frutto. Un atto di contrizione per dimandare a Dio perdono del tempo perduto
promettendo di essere puntuali nell’adempimento dei nostri doveri, e di occupare santamente
tutti que’giorni di vita che Dio ci vorrà ancora concedere.
Giorno decimosesto. Sua pazienza.
La pazienza è uno de’mezzi sicuri per giungere a salvamento delle anime nostre. In
patientia vestra possidebitis animas vestras, dice il Signore. Questa massima era {137 [137]} sì
altamente radicata nel cuor di Vincenzo che languiva di afflizioni quando non aveva tribulazioni
nella propria persona o in quella de’suoi figli. “La nostra congregazione, diceva loro, nulla
soffre, tutto le va bene; e Dio, senza farle provare traversia, nè agitazione, la benedice in ogni
modo. Questa gran calma mi dà qualche inquietudine, perche è proprio d’Iddio l’esercitare
coloro che lo servono e di permettere tribulazioni a coloro che lo amano. Dicesi di s. Ambrogio,
che avendo inteso dal padron di una casa, in cui egli entro in uno dei suoi viaggi, come non
sapeva che cosa fosse afflizione, ne usci frettoloso, dicendo a coloro che lo accompagnavano:
Usciamo di qui, perchè la collera di Dio è prossima a cadere su questa casa. Cadde infatti,
perchè il fulmine la rovesciò dopo alcuni momenti, schiacciando sotto le sue rovine tutti coloro
che vi erano. D’altra parte io vedeva alcune compagnie agitate che soffrirono orribili
persecuzioni, e diceva fra me stesso: ecco come Dio ci tratterebbe se fossimo saldi nella virtù;
ma conoscendo la nostra debolezza ci nutre col latte a guisa di piccoli fanciulli, e permette ogni
cosa ci vada propizia, quasi senza che noi ce ne ingeriamo. Ho dunque ragione di temere non
essere noi accetti a Dio, nè degni di soffrire qualche cosa per amor suo. “{138 [138]} Ciò che il
Santo diceva alla sua comunità radanata, lo diceva al superiore d’una delle sue case, che gli
aveva manifestato essergli di pena il governarla. “Ohimè! signore, credereste forse di trovarvi
bene senza soffrire? Non sarebbe forse più desiderabile di avere un demonio in capo che essere
senza alcuna croce? Sì, perchè in quello stato il demonio non porterebbe all’anima alcun
nocumento: ma nulla avendo da soffrire, nè l’anima, nè il corpo sarebbero conformi a Gesù
Cristo paziente: eppure questa conformità è la prova della nostra predestinazione. Perciò non vi
stupite delle vostre pene, giacche il figlio di Dio le ha scelte per la nostra salvezza. Non è forse
consolato il nostro cuore vedendosi fatto degno innanzi a Dio di soffrire servendolo? Certamente
dovete ringraziarlo particolarmente e siete obbligato di domandargli la grazia di farne buon uso.
Bisogna condursi a Dio per infamiam, et bonam famam. La sua divina bontà ci usa misericordia
quando si compiace di permetterci di cadere nel biasimo e nel pubblico disprezzo: io non dubito
che non abbiate ricevuto con pazienza la confusione derivata da ciò ch’è occorso. Se la gloria del
mondo non è che un fumo, lo stato contrario è un bene solido, quando è sopportato come
conviensi: spero che riceverete {139 [139]} un gran bene da questa umiliazione. Dio voglia
mandarcene tante da poterci meritare di piacergli: bisogna desiderare ardentemente di avere delle
eroci, e dirò con s. Francesco Saverio: Ancor più, Signore, ancor più.” La pazienza del Santo
ne’mali, o piuttosto il suo amore ai patimenti, non risplenderono giammai come nelle sue
malattie. Un missionario commosso dallo stato in cui vedeva quel venerabile vecchio esclamò in
un primo movimento: O Signore, quanto sono molesti i vostri dolori! “E che? rispose vivamente
il Santo ammalato, qualificate voi di molestia l’opera di Dio e ciò ch’egli ordina, facendo soffrire
un miserabile peccatore qual io sono? Dio vi perdoni ciò che avete detto, perchè non parlasi così
nel linguaggio di Gesù Cristo. Non è forse giusto che il colpevole soffra; e non apparteniamo
forse più a Dio che a noi stessi? La malattia è uno stato quasi insopportabile alla natura, ed e
nulladimeno uno de’più possenti mezzi di cui Dio si vale per richiamarci al dovere, per
allontanarci dall’affezione al peccato e per ricolmarci de’suoi doni e delle sue grazie. Si è in
questo modo che le anime si purificano, e quelle prive di virtù trovano un mezzo efficace onde
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acquistarne: non potrebbesi rinvenire uno stato più proprio per praticarla. Appunto nelle malattie
la {140 [140]} fede si esercita mirabilmente, in esse la speranza sfavilla con maggior splendore;
la rassegnazione, l’amor di Dio e tutte le virtù trovano un’ampia materia d’esercizio.”
Vincenzo era soggetto ad una leggera febbre, che durava anche quattro o cinque giorni, e
qualche volta quindici e più, e sebbene in questo frattempo patisse assai, pure continuava ad
occuparsi de’suoi esercizi e de’suoi affari.
A questa febbre si aggiungeva due volte all’anno una febbre quartana, e nulla più la
curava di quella; in un caso eguale avrebbe fatto trasportare all’infermeria l’ultimo de’suoi figli,
ma egli non vi andava, e fu soltanto all’età di 80 anni trascorsi che la debolezza del corpo
cominciò a far vacillare alquanto la vivacità e la forza del suo coraggio; perciò bisogna
confessare che il resto della vita del Santo non fu d’allora in poi che una complicazione di mali.
Nel 1656 ebbe una febbre continua per alcuni giorni che terminò con una grande flussione in una
gamba; allora suo malgrado fu costretto di rimaner a letto per qualche tempo. Si profittò di quella
occasione per fare che alloggiasse in una camera col fuoco, perchè fino allora non era stato
possibile di determinarvelo.
Quel debole sollievo gli divenne ben presto più che mai necessario: l’enfiagione {141
[141]} delle sue gambe si dichiarò in un modo sì violento che, per sopportarne i dolori, gli fu
necessaria tutta la pazienza dei Santi. Il male fece rapidi progressi; si portò alle ginocchia:
finalmente una delle sue gambe si aprì al nodo del piede destro. Due anni dopo vi si formarono
nuovi ulceri, ed il dolore del ginocchio aumentando sempre, non fu più possibile al servo di Dio,
dopo il principio dell’anno 1659, uscire di casa. Continuò nulladimeno per qualche tempo a
discendere per trovarsi all’orazione colla sua comunità e dire la santa messa in chiesa; ma verso
la fine di quell’istesso anno più non pote discendere, e gli fu mestieri di celebrare nell’oratorio
dell’infermeria. Qualche tempo appresso le gambe gli mancarono talmente che non potè più
ascendere all’altare; fu dunque costretto di contentarsi d’ascoltare la messa, e l’ascoltò diffatti
fino al giorno del suo decesso.
A queste infermità abituali se ne aggiunse un’altra, la quale lo tormentò sì crudelmente,
che era costretto esclamare con S. Bernardo: Signore, se trattate così i vostri amici nel tempo
stesso della misericordia, che farete mai a’vostri nemici nel tempo che destinate alle vostre
vendette?
Lo stato in cui il Santo era ridotto gli fece bastantemente conoscere che il termine della
sua camera non era molto lontano {142 [142]} tuttavia con si osservava in lui per ciò che
concerne lo spirito nè decadimento, nè alterazione. Il male che rattrista sempre coloro che
soffrono molto e lungamente, sembrava che facesse un effetto contrario in lui. Coloro, tanto
esteri, quanto famigliari, i quali venivano a visitarlo in tutte le ore della giornata, trovarono
sempre in lui un volto sereno e ridente, quel tuono di voce e quelle maniere piene di dolcezza che
guadagnano i cuori. Allorquando gli chiedevano notizie del suo male, ne parlava in maniera da
far credere che fosse cosa da poco: mutava poi discorso, e dalle sue pene, che bramava si
dimenticassero, passava a quelle di coloro che parlavano con lui per compatirli. Quando
l’intensità del dolore si faceva sentire con maggior violenza, non uscivano dalla sua bocca che
queste parole pronunciate sempre con molta tenerezza: Ah! mio Salvatore! mio buon Salvatore!
Fissava in seguito gli occhi sull’immagine di Gesù Cristo attaccato alla croce che aveva fatto
collocare dirimpetto a sè, e ivi attingeva nuove forze per sopportare il suo male. Sentimenti sì
religiosi erano appoggiati sovra principi cristiani. Cominciava Vincenzo dal considerare nella
vita del Salvatore, che quel gran modello soffrì le prove le più forti; che l’odio contro di lui lo
condusse finalmente al Calvario. {143 [143]} Il secondo principio che rendevalo si tranquillo in
mezzo alle più violenti prove era, da un lato, che le pene non ci accadono se non per volontà di
Dio, secondo l’espressione di un Profeta: Si est malum in civitate, quod non fecerit Dominus;
dall’altro, che Dio non affligge i suoi servi se non perchè ha su di essi de’disegni di misericordia.
Da ciò conchiudeva, coloro che soffrono essere cari al cielo, e più cari assai quando ricevono
desolazioni sopra desolazioni, e pene sopra pene. Un giorno solo di tentazione, diceva, produce
più meriti che molti anni di tranquillità; un’anima che si trova sempre nel riposo e simile a quelle
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acque stagnanti che divengono limacciose ed infette: al contrario l’anima esercitata dalla
tribulazione rassomiglia a que’fiumi che scorrono fra le rupi e gli scogli, le cui acque son più
dolci e più cristalline. Le croci non solamente insegnano la pazienza, ma anche la compassione
verso del prossimo, e Gesù Cristo ha sofferto tanto affinchè nella sua persona avessimo un
Pontefice, che potesse aver compassione delle nostre infermità.
Finalmente l’ultimo suo principio era quello di s. Paolo: cioè Dio non permette mai che
siamo afflitti o tentati al di la delle nostre forze; ma ci aiuta colla sua grazia a cavar frutto dalle
pene e dalle contraddizioni, {144 [144]} che noi dobbiamo sopportare. Sosteneva queste pene e
queste contraddizioni essere come pegno de’più felici successi. Ed invero aveva cento volte
provato che le missioni e gli altri esercizi della sua congregazione non avevano mai proceduto
meglio come quando costavano maggiormente alla natura, ed e appunto ciò che gli fece dire in
occasione d’una grave tribulazione di alcuni suoi preti, che se ne facevano quell’uso che gli
Apostoli fecero delle persecuzioni che soffrivano, abbatterebbero il demonio con que’medesimi
mezzi che impiegava contro di essi.
Frutto. Vacciamoci coraggio a patire per amor di Dio; che se ci riempie di allegrezza il
pensare alla grandezza del premio preparato, non ci deve atterrire quanto soffrir dovremo per
andarne al possesso. Gesù mio, ricevete a vostra maggior gloria e a vantaggio mio spirittiale tutte
quelle pene a cui andrò soggetto prima della mia morte.
Giorno decimosettimo. Sua povertà.
Quanto più il cuore dell’uomo si distacca dalle cose della terra, altrettanto si avvicina a
quelle del cielo e diviene vero seguace {145 [145]} di Gesù Cristo. Indi nasce lo spirito di
povertà, il quale propriamente consiste nello staccarci dalle cose del mondo e servirsene solo in
quanto conducono alla vera felicità. Vincenzo, sebbene prima di conoscere i disegni di Dio su di
lui avesse qualche ragione di pensare al suo stabilimento, ha confessato che sentiva nel suo
interno non so qual segreto movimento, che facevagli desiderare di nulla avere di proprio e di
vivere in comunità. Dio gli accordò l’una e l’altra. Si vide Padre di numerosa famiglia, e se lo
stato in cui la Provvidenza lo collocò non fu incompatibile con una vera proprietà, seppe
nondimeno renderlo compatibile con una rigorosissima povertà. Era sua regola prendere per se
ciò che vi era di più cattivo portava i suoi abiti per tanto tempo quanto poteva valersene, ovvero
prendeva quelli di già usitati da altri all’incirca della sua statura, onde averne de’nuovi il meno
che fosse possibile. La necessità in cui si trovò di andare frequentemente alla corte, nulla cangio
del solito suo tenore di vita. Si presentava al re in quel modo con cui compariva dinanzi alla sua
comunità. Il cardinale Mazzarino prendendolo un giorno per la cintura ch’era alquanto lacera:
Vedete, disse al circolo della regina, come il signor Vincenzo vien vestito alla corte, e 1a bella
cintura {146 [146]} che porta.” Forse al punto di sua morte questo ricco ministro avrebbe voluto
poter cangiare anima e fortuna cob quel povero prete.
Il nutrimento corrispondeva al vestiario, l’alloggio corrispondeva ad ambidue. Per ciò che
concerne il nutrimento, nessuna distinzione esisteva fra lui ed i suoi, tranne quella di una austera
astinenza. Egli era contento quando mancavagli qualche cosa, e poteva pranzare cogli avanzi e
col rifiuto di un altro. Teneva una simile condotta nelle sue malattie; infermo com’era, credevasi
proibito ciò che non era permesso a’suoi fratelli; l’esempio di s. Francesco Savesrio che
mendicava il pane, gli sembrava ammirabile. L’esercitò qualche volta nelle campagne, ove
violentato dalla fame, privo di danaro, perchè d’ordinario non ne portava seco, si presentava a
qualche contadino dimandando un tozzo di pane per amor di Dio. Comunque sobrio negli
alimenti facevasi un rimprovero eziandio di quei pochi, non vedendo in sè che quel servo inutile,
il quale non ha alcun diritto al suo nutrimento, e perciò ripeteva quella espressione a lui sì
famigliare, che gli conveniva sì poco: Ah! sciagurato, tu non hai certamente guadagnato il pane
che mangi.
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Il suo alloggio era il più semplice che {147 [147]} si possa immaginare: una camera
senza camino, un letto senza cortine, un pangliericcio senza materasso, una tavola senza tappeto,
mura senza alcun drappo, due sedie di paglia, una sola immagine di carta, un crocifisso di legno,
ecco tutti i mobili della sua stanza. Nella sua deposizione il primo medico del re, quando vide un
uomo di tanto merito e di tanta riputazione alloggiato così miserabilmente, attonito asserì che
non aveva altri mobili se non quelli di cui assolutamente non poteva fare di meno.
Lo spirito di povertà lo seguiva dovunque; se aveva bisogno di scaldarsi nell’inverno,
risparmiava quanto poteva le legna a profitto de’poveri; se faceva fare degli ornamenti per la sua
chiesa, voleva, ad’eccenzione di quelli di giorni più solenni, fossero della stofa più comune; se ai
vecchi mobili che non potevano più servire, se ne sostituivano degli altri di maggior, prezzo
facevagli togliere. Gli averi della casa, diceva, sono il patrimonio de’poveri; noi ne siamo gli
economi e non i padroni, e tutto ciò che non ci è necessario sarà materia di un gran rendiconto.
Noi non siamo claustrali perchè si è creduto bene che non lo fossimo, ed anche perchè non siamo
degni di esserlo, ma non è per questo men vero, che la povertà sia il nodo della comunità, e
particolarmente della nostra; è appunto questo {148 [148]} nodo che, sciogliendola da tutte le
cose della terra, l’unirà perfettamente a Dio. Ohimè! Che diverrà questa compagnia se da accesso
alla cupidigia di que’beni, cui l’Apostolo dice essere la radice di tutti i mali?...Se questa
disgrazia accadesse, come si vivrà fra di noi? Si dirà: abbiamo tante milla lire di rendita; or ci
convieni di starcene un poco in riposo, perchè mai lavorar tanto? abbandoniamo la povera gente
di campagna, lasciando che i loro paroci n’abbiano cura, se così lor piace; viviamo agiatamente
senza darci tante pene, ed è così che l’ozio terrà dietro allo spirito di avarizia; non ci occuperemo
più di altro che conservare ed aumentare i beni temporali, e cercar la propria soddisfazione.
Allora si potrà dare l’addio a tutti gli esercizi della missione, e alla missione stessa, perchè non
ce ne saranno più. Basta leggere le storie, e si troveranno infiniti esempi da’ quali risulta che le
richezze e l’abbondanza dei beni temporali furono sempre la causa della perdita non solo di molti
ecclesiastici, ma eziandio delle intere comunità, e che per non avere conservato fedelmente il
loro primo spirito di povertà, sono cadute nel colmo della disgrazia.
Uno de’suoi preti gli rappresentò un giorno i bisogni della sua casa. Che cosa fate, gli
dimandò il santo, quando mancate ancora {149 [149]} del necessario? Ricorro a Dio, rispose
l’altro. Ebbene replicò Vincenzo eccovi ciò che produce la povertà; essa ci fa pensare a Dio,
quando invece lo dimenticheremmo se avessimo tutto ciò che ci è necessario. Per questo appunto
provo una grande allegrezza, che la povertà volontaria e reale si pratichi in tutte le nostre case.
C’è sotto questa povertà una grazia nascosta, la quale non conosciamo; Ma, ripigliò quel
missionario, procurate del pane agli altri poveri e trascurate i vostri? Prego Dio, gli disse l’Uomo
del Signore, di perdonarvi queste parole. Voglio credere che le abbiate proferite con tanta
semplicità, ma sappiate che non saremo giammai cosi ricchi come quando saremo simili a Gesù
Cristo.
Questi consigli appoggiati ai grandi esempi di chi li suggeriva fecero un’impressione sì
grande sul cuore de’suoi figli che, generalmente parlando non v’era sulla terra cosa alcuna che
gli attirasse. Vincenzo non fu mai grande encomiatore de’suoi, soprattuto quand’erano presenti.
Un giorno dopo aver loro detto che un uomo, il quale ha il vero spirito di povertà, nulla teme,
tutto può, e, va dovunque, non potè fare a meno di render loro giustizia, dicendo: Che mediante
la misericordia di Dio quello spirito si trovava nella congregazione; bisognava perciò pregare
Iddio di mantenervelo, e credersi {150 [150]} felici di morir poveri sull’esempio del Salvatore,
che cominciò da una mangiatoia e terminò sulla croce.
Frutto. Pensiamo adesso a far buon uso delle ricchezze, altrimenti esse saranno altrettante
spine che ci addolorerarino in punto di morte. Non saremo mai così ricchi come quando saremo
simili a Gesù Cristo, il quale per altro aveva nemmeno un palmo di terra ove riporre il suo capo.
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Giorno decimottavo. Sua prudenza.
La prudenza cristiana consiste nel servirci de’mezzi presenti onde procurarci un bene
futuro. Vincenzo diceva che questa deve sempre tendere ad un fine, ciòe a Dio solo. Essa sceglie
i mezzi, e regola le azioni e le parole e fa tutto con maturità, peso, numero e misura. Essendo
buono il suo scopo, lo sono parimente i suoi motivi. Essa consulta la ragione, ma perchè sovente
sono deboli i lumi della ragione, consulta con maggior sicurezza le massime della fede
insegnateci da Gesù Cristo, perchè sa che il cielo e la terra verranno meno, ma le parole di lui
saranno eterne. {151 [151]}
Per operare in conseguenza di questi principii, il Santo allorchè era consultato sopra un
affare, sollevava il suo spirito a Dio per implorare la sua assistenza: invitava pure coloro che
ricorrevano per consiglio ad unirsi a lui, affinchè Dio facesse conoscere la sua volontà sulle cose
intorno a cui dovevasi deliberare. Ascoltava quindi con molta attenzione ciò che gli si
proponeva, lo pesava a suo bell’agio, ed affinchè niuna circostanza gli sfuggisse, davasi premura
di ben conoscere quanto era necessario. Se trattavasi d’affare di grandi conseguenze, dimandava
tempo a pensarvi, e consigliava frattanto di raccomandarlo a Dio. Era contentissimo che si
prendesse consiglio da altri; lo dimandava egli stesso molto volentieri e pregiava assai l’altrui
parere, perchè la giustizia e la carità vogliono sempre essere unite. Finalmente quando era
costretto a dire il proprio sentimento, lo faceva in un modo sì giudizioso e sì lontano dallo stile
decisivo, che facendo tutto ciò che giudicava più a proposito, lasciava alle persone la libertà di
determinarsi da per stesse. Quando veniva importunato a dire assolutamente il suo parere, lo
esprimeva con precisione e senza mai intaccare coloro che non pensavano come lui. Dopo di ciò
facevasi legge di due cose: di custodire sotto il sigillo d’una segretezza inviolabile {152 [152]}
ciò su cui era stato consultato, e di restar fermo nelle risoluzioni che aveva preso.
Conformandosi a regole così giuste, era ben difficile che facesse de’passi falsi; perciò fu
sempre riguardato fino alla sua morte come l’uomo il più prudente del suo secolo. Durante la sua
vita, la casa di s. Lazzaro fu una specie di centro in cui si riunivano le persone, che pensavano di
rendere qualche servizio considerevole alla Chiesa, o al prossimo. Vescovi, Magistrati, Paroci,
Dottori, Religiosi, Abati, Superiori di comunità, tutti accorrevano a lui come all’oracolo del suo
tempo.
L’alta stima che si aveva di sua prudenza indusse il santo Vescovo di Ginevra e la
venerabile Madre di Chantal a pregarlo di accettare la direzione del primo loro monastero di
Parigi. Fu la riputazione di questa medesima prudenza che indusse Luigi XIII a chiamarlo presso
di sè, in tempo in cui era molto essenziale l’essere ben consigliato. Fu la saviezza de’pareri dati a
quel Re moribondo, e di cui tutta la Corte fu sommamente edificata, che impegnò la Regina
madre a chiamarlo a presiedere a’suoi consigli. Per dare una giusta cognizione della estensione
della prudenza di quel grand’Uomo, bisognerebbe seguirlo dal primo momento in cui entrò nella
casa di Gondi fino al giorno del suo decesso. Il lettore vi supplirà {153 [153]} facilmente
rammentando la saviezza de’regolamenti fatti in diverse occasioni; de’mezzi scelti per far
riuscire quel gran numero di stabilimenti, di cui fu l’autore; delle costitazioni date alla sua
congregazione; della condotta tenuta nelle turbolenze politiche del regno, e dei pareri che il suo
impiego e la carità l’obbligavano di dare. Noi ne ripeteremo un solo esempio.
Un gran predicatore, di elevato lignaggio, faceva al Santo frequenti visite, e ne aveva le
sue ragioni. Vincenzo fu avvisato che colui pensava male circa la fede, e che aveva poca
religione, od almeno che comportarasi qual persona che non ne ha molta. Vincenzo per farlo
rientrare in sè stesso gli disse: Signore, essendo voi dotto e gran predicatore, vorrei dimandarvi
un consiglio. Ci accade qualche volta nelle nostre missioni, di trovare delle persone che non
credono le verità della nostra religione, e ci troviamo imbarazzati sul modo di operare onde
persuaderle. Vi prego a dirmi ciò che pensate potersi fare da noi in simili occasioni per indurle a
credere le cose della fede.
Questa dimanda non piacque all’abate, che rispose con qualche emozione: Perchè mi
chiedete voi questo? — Si è, replicò Vincenzo, perchè i poveri si rivolgono ai ricchi per essere
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assistiti nelle loro bisogne {154 [154]}; ed essendo voi molto istruito e noi ignoranti, non
possiamo far cosa migliore che indirizzarci a voi all’oggetto d’imparare ciò che non sappiamo.
Queste parole calmarono l’ecclesiastico e, non mancandogli spirito, disse al Santo, che quanto a
se vorrebbe provare le verità della fede 1o. colla Scrittura, 2°. coi Ss. Padri, 3°. con qualche
raziocinio. 4o. col consenso universale dei popoli cattolici de’secoli andati, 5°. col suffragio di
tanti Martiri che sparsero il loro sangue per la confessione di quelle medesime verità, 6°.
finalmente con tutti i miracoli operati da Dio per confermarle.
Quand’ebbe terminato, Vincenzo, dopo averlo assicurato che quel metodo gli sembrava
buono, lo pregò di mettere in iscritto con semplicità e senza eleganza ciò che aveva detto, e
d’inviarglielo. L’abate non mancò, e alcuni giorni dopo egli stesso consegno il suo scritto
all’uomo di Dio. Sono molto consolato, gli disse Vincenzo, di conoscere in voi così buoni
sentimenti; per giustificarvi mi varrò delle prove che avete posto nelle mie mani. Stenterete forse
a credere che alcune persone vi accusano di pensare male sopra i misteri della fede; ma poichè
sapete stostenere così bene la religione, dovete vivere non solamente in un modo che vi metta al
coperto, da ogni sospetto, ma che possa eziandio edificase il {155 [155]} pubblico. Un uomo
qualificato come voi è più d’ogni altro obbligato a dare buon esempio. La virtù congiunta alla
nascita può paragonarsi ad una pietra preziosa, che incassata nell’oro ha maggior splendore di
quello se lo fosse nel piombo.” Sembrò che un discorso tanto saggio facesse il suo effetto;
almeno fu approvato dall’abate, che promise di conformarvi la sua condotta. Soprattutto sapeva
sì bene cogliere il momento opportuno per dare un ricordo, e lo dava in termini si misurati, che
attirava la confidenza in vece di respingerla. La Superiora d’un monastero della Visitazione
diceva, Vincenzo aver tanta prudenza ed un raziocinio sì esteso, che nulla sfuggiva a’suoi lumi, e
che negli affari i più oscuri, i più inviluppati, scieglieva sempre il partito migliore.
Aggiungeremo a questa testimonianza quella di quattro insigni personaggi, i quali
deposero nel processo verbale della Canonizzazione che Vincenzo era un uomo di spirito assai
esteso, e molto abile nel maneggio degli affari; che appunto per questo un gran numero di
persone illustri inducevansi a ricorrere a lui per avere i suoi consigli; che la sua bontà e la sua
umiltà lo renderano eguale con tutti coloro coi quali trattava; che i più dotti nol trovavano
inferiore a loro quando discutevano con lui {156 [156]} gli affari i più importanti.....Che
Vincenzo si conduceva in tutto con tanta prudenza, che coloro stessi, cui giustizia e ragione
obbligava ad essere pienamente contrarii, non potevano lagnarsi di lui. Tale fu il giudizio che
diedero del servo di Dio i primi uomini del suo secolo; e ciò viene in appoggio delle deposizioni
che fecero in suo favore migliaia di testimoni di una classe inferiore, ma che non meritano perciò
minore credenza.
Frutto. Sarà prudente quel cristiano, il quale tiene aggiustati gli affari dell’anima. Sarà
parimenti prudente colui che opera e dà consiglio secondo le massime della religione; ma guai a
chi è solamente prudente per le cose del mondo e negligenta quelle dell’anima. Costoro si
troveranno altamente delusi in punto di morte.
Giorno decimonono. Sua purità.
È facile il comprendere che un uomo, il quale non agognava che la mortificazione di
Gesù Cristo, mortificava la sua carne colla più austera penitenza, e facile il comprendere,
ripetero, che un uomo di tal fatta {157 [157]} aveva un grande impero sopra sè stesso. Malgrado
ciò, era vigilante, timido, come se avesse veduto a’suoi fianchi l’angelo di Satana, che
schiaffeggiava san Paolo. Per rendere nulli gli assalti di quel crudel enemico delle anime, si fece
di buon’ora una legge delle cinque regole seguenti, dalle quali non mai si allontanò.
La prima era di non far visita ad alcuna donna, fosse anche delle signore della sua
assemblea, se non quando lo esigeva la gloria di Dio.
Oltre l’essere assai conciso ne’trattenimenti colle persone del sesso femminile era
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estremamente modesto. I suoi sguardi non erano mai fissi su di esse, nè dinotavano leggerezza;
teneva gli occhi bassi senza sforzo e senza affettazione, così che rassomigliava ad un angelo
piuttosto che ad un uomo. Essendo decrepito e più che ottuagenario, non mai si trovò da solo a
solo con una donna, nè in sua casa, nè presso di quella. Ovunque aveva un compagno, il quale
aveva ordine di non mai perderlo di vista. Se si parlava con lui di affari di coscienza, quello
stesso compagno se ne stava alquanto in disparte, ma sempre in. modo di vedere ciò che
facevasi. Una nobile signora avendogli fatto visita a s. Lazzaro, quegli che era incaricato di
venire con lui al parlatorio si ritirò per rispetto e chiuse la porta; il Santo {158 [158]} lo richiamò
al momento stesso, gli fece conoscere il suo fallo e gli proibì di allontanarsi; lo stesso fece in
molte occasioni consimili.
Quantunque dovesse bene spesso trattare con persone che avevano bisogno di
consolazione, non servivasi per addolcire l’amarezza del loro cuore che di parole e di massime
della Sacra Scrittura: ignorava quelle espressioni affettuose che non potrebbero guarire un male
se non producendone un altro. Voglio credere, diceva, parlando d’una lettera troppo tenera, sulla
quale era stato consultato, voglio credere che la persona, la quale vi scrisse così teneramente, non
pensi esservi male; ma bisogna confessare che la sua lettera è capace di colpire un cuore, che vi
fosse disposto o meno forte del vostro. Degnisi il Signore di preservarci dalla frequenza di una
persona che può somministrare qualche piccola alterazione al nostro spirito.
Finalmente sapendo che la purità somiglia a quegli specchi di cui un soffio leggero
appanna lo splendore, era sì circospetto nelle sue conversazioni, che non poteva esserlo di più.
Lo stesso vocabolo Castità non gli sembrava bastantemente espressivo; vi sostituiva quello di
Purità, che presenta un senso più esteso. Trattavasi forse di frenare il disordine di quelle {159
[159]} vittime del libertinaggio che colla loro perdita cagionano. quella di tanti altri? Non le
indicava che coll’espressione di povere creature, e la loro incontinenza con quella di disgrazia.
Una frase libera lo faceva arrossire, e se poteva farlo, rimproverava sull’istante coloro che
l’avevano proferita alla sua presenza.
Mediante queste precauzioni rigorose, sebbene calunniato su diversi punti al pari del
Divin suo Maestro, la sua riputazione non mai fu intaccata sull’articolo della purità, come non lo
fu quella del Salvatore. All’opposto fu riguardato, e ben meritò di esserlo, come uno de’più
grandi zelatori della castità. Si sa che nelle missioni ha sottratto ad un pericolo imminente una
quantità di giovinette e di donne ch’erano in procinto di cedere alle vive e premurose
importunità; nelle provincie desolate dalla guerra ne ha vestito e nudrito un numero prodigioso,
che la miseria e la fame avrebbero forse strascinato a gravi disordini; la Lorena, ove il suo nome
non perirà giammai, gli e debitrice dell’onore delle sue vergini, che fece venire a Parigi a
drappelli, le quali per interposizione delle signore della sua assemblea, trovarono un asilo presso
a pie persone. Finalmente fu sotto gli auspizi di lui, che due sante ed illustri vedove aprirono le
loro case a migliaia di {160 [160]} colombe che versavano in gravissimi pericoli, e a cui un
giorno solo di dilazione avrebbe costato la perdita dell’innocenza. Queste stesse colombe,
sebbene ritirate, avevano, secondo lui, bisogno di essere diligentemente invigilate, e perciò
voleva che non si perdessero mai di vista.
Se Vincenzo fu sì attento a conservare la purità nelle persone estranee, qual non doveva
essere il suo zelo per quella de’suoi figli? Confesso candidamente, che se non si conoscesse la
corruzione del cuore umano, si crederebbe che avesse spinto all’eccesso le precauzioni. Un
parroco gli domandò se quando visitava le ammalate doveva avere con sè compagno. Oh Gesù!
gli rispose, guardatevi ben bene dal non averlo. Quando il Figlio di Dio ordinò che gli apostoli
andassero a due a due, vedeva senza dubbio grandi mali se gli avesse inviati soli. Or chi vorrà
derogare ad usanza ch’egli ha introdotta fra i suoi e che la compagnia ha sempre osservato?
L’esperienza ha fatto conoscere ad un gran numero di comunità di religiose essere necessario che
la porta dell’infermeria sia aperta e le cortine del letto aperte nei monasteri, quando i confessori
amministrano i Sacramenti e stanno presso le ammalate, a causa degli abusi che ebbero luogo in
quei tempi e in quei luoghi. Consultato da un sacerdote di cuore retto e semplice se, per
conoscere la {161 [161]} gravezza del male di una donna ammalata per amministrarle
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all’opportunità i Sacramenti, poteva toccarle i polsi, il servo di Dio rispose: Bisogna
assolutamente astenersi da questa pratica; lo spirito maligno può valersi dell’occasione per
tentare la stessa moribonda; il demonio in quell’ultimo passo si serve di ogni arma per
procacciarsi un’anima: la vigoria delle passioni può rimanere, sebbene quella del corpo sia
infiacchita. Dovete rammentarvi dell’esempio di quel Santo, che essendosi separate dalla moglie
col consenso di lei, non volle permetterle che lo toccasse nella sua ultima malattia, ed esclamò
con quanta voce gli restava, che il fuoco covava tuttora sotto la cenere. Del resto se volete
conoscere i sintomi di una morte vicina, pregate il medico ed il chirurgo o qualche altra persona
ivi presente di rendervi questo servigio.
Il Santo esigeva l’astinenza non solamente dalle azioni permesse, ma da quelle eziandio
le quali sono buone e sante, allorchè, a giudizio di coloro che vi dirigono, possono somministrare
qualche sospetto; poichè fra tutti i sospetti giusti od ingiusti non ve n’è alcuno che rechi un colpo
più funesto ad un sacerdote, alle sue virtù, a’suoi impieghi, di quello che sparge delle nubi sulla
purità de’suoi costumi; e ciò che prescriveva in questo genere a’suoi ecclesiastici, {162 [162]} lo
consigliava a’secolari. Se non vi è male, diceva, nell’intrattenersi da solo a solo con persone di
sesso diverso, si dà sempre motivo di pensare che ve ne sia; d’altronde il mezzo migliore di
conservare la purità, si è di evitare le occasioni che potrebbero macchiarla. Giudizioso per altro
canto non soffriva che alcuno si avesse a spaventare male a proposito per un diluvio di folli
immaginazioni che passano per la mente, e da cui non vanno esenti ne anche le anime più pure.
Non bisogna, scriveva ad uno de’suoi, che rechinvi stupore le tentazioni che avete; è questo un
esercizio che Dio v’invia per umiliarvi e farvi temere; ma riponete in lui una piena confidenza.
La sua grazia vi basta, purchè fuggiate le occasioni, e che riconosciate d’aver bisogno del
soccorso. Assuefatevi a nascondere il vostro cuore nelle sacre piaghe di Gesù Cristo ogni qual
volta sarà assafito da queste impurità: quell’asilo è inaccessibile al demonio.
Frutto. Chi vuole conservare la preziosa virtù della purità fugga rigorosissimamente il
trattare famigliarmente con persone di sesso diverso. Fugga altresi qualunque siasi discorso che
possa avere sinistra interpretazione sulla materia di cui parliamo. {163 [163]}
Giorno vigesimo. Sua gratitudine.
La mancanza di gratitudine benchè vizio comune, oltraggia e la Divinità, ch’è il principio
d’ogni bene, e gli domini di cui essa si serve per ispargere su di noi le sue liberalità. Vincenzo
ebbe per questo sciagurato vizio tutto l’orrore che ne deve avere un cuore ben fatto. Avrebbe
voluto, se fosse stato possibile, proporzionare la sua gratitudine verso Dio non solo ai beni che
riceveva da lui, ma a quelli eziandio che hanno ricevuto e ricevono giornalmente tutte le
creature. Lo ringraziava dei favori a loro compartiti dal principio del mondo, di quelli che
continua a far loro, e sopratutto delle buone opere di sui la sua grazia è stata la sorgente. La
protezione che Dio accorda alla sua Chiesa, a’suoi pastori ed a coloro che lavorano per
moltiplicarne i figli: i frutti che producono nel suo seno le comunità ben regolate, il felice
successo de’ritiri, delle conferenze, dei seminari e delle missioni: la prosperità de’Re e dei
Principi cristiani; la estinzione de’nemici della Religione; in una parola ogni avvenimento atto a
procurare la gloria {164 [164]} di Dio e l’utilità della cattolica religione era l’argomento
ordinario della sua gratitudine. Fu inteso a dire che bisogna impiegare tanto tempo a ringraziare
Dio di un benefizio ricevuto quanta se ne impiegò per dimandarglielo. La gratitudine, diceva, è
un tributo che Dio esige dalla creatura; ed e per facilitare i mezzi di soddisfare a questo dovere
che istitui nell’antica legge de’sacrifizi di ringraziamento, e nella nuova legge quello
dell’Eucaristia, che deve rammentarci le maraviglie da lui operate per amor nostro.
L’ingratitudine è un peccato che inaridisce la sorgente delle grazie; Gesù Cristo se ne lagnò
quando di dieci lebbrosi guariti non ne vide ritornar addietro che un solo per testificargli la sua
riconoscenza. Se dalla gratitudine, che il Santo ebbe verso Dio, passiamo a quella ch’ebbe verso
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gli uomini, vedremo in essa pure l’eccellenza del suo cuore. Il servo di Dio che meritava tanti
riguardi, s’immaginava di non meritarne alcuno; ed a ciò si deve in parte attribuire che fosse sì
commosso pei più piccoli servigi che gli rendevano. Un fanciullo che gli indicasse la strada, un
fratello che gli accendesse la lucerna o facesse ancor meno per lui, era sicuro di esserne
ringraziato. Qualunque fosse il profitto che si ritraeva nell’intrattenersi con lui, era grato a coloro
che andavano a ritrovarlo. {165 [165]} “Vi ringrazio, diceva ad alcuni, che non disprezziate la
vecchiezza;” ad altri: “che abbiate avuto la pazienza di sopportarmi ed ascoltarmi.”
Lo spirito di gratitudine che lo dominava era la sola cosa capace di fargli dimenticare
l’austerita delle regole prescrittesi. Camminando un giorno cadde in un fiume, e sarebbesi
affogato se un prete che l’accompagnava non si fosse slanciato nel fiume per trarnelo. Questo
giovane missionario, che aveva molto fervore, lo perdè insensibilmente: abbandonò la sua
vocazione malgrado tutto ciò che Vincenzo pote fare per trattenerlo. Appena giunto a casa sua
trovò delle contraddizioni, alle quali non era preparato, e delle croci non prevedute. Si vide
oppresso da affanni e da amarezze, abbandonando uno stato a cui Dio l’aveva chiamato.
Sull’esempio del figlio prodigo risolvè di ritornare al padre suo; gli chiese perdono e gli scrisse
molte lettere affinche lo ricevesse in alcuna delle sue case. Vincenzo non gli rispose. Quel prete
giustamente afflitto raddoppia le sue istanze e gli fa sapere chiaramente essere perduto per
sempre se non gli stende una mano soccorrevole. Il Santo che diffidava della conversione d’un
uomo volubile, gli rappresentò la pazienza che si era usata verso di lui, il poco conto che ne
aveva fatto, ed i giusti {166 [166]} motivi di temere che si pentisse di bel nuovo del suo
pentimento stesso, e conchiuse che non si doveva ricevere. Una risposta sì austera fu un colpo di
fulmine per quell’ecclesiastico; fece un ultimo sforzo attaccando Vincenzo nella parte più
sensibile, vale a dire dal lato della gratitudine. “Signore, gli disse, io vi ho una volta salvato la
vita del corpo, salvate a me quella dell’anima.” Alla lettura di quelle parole il cuore del
Sant’Uomo fu commosso: l’occasione d’esercitare una preziosa virtù congiunta alla
perseveranza di colui, in cui favore doveva esercitarsi, lo determinò all’istante. Rispose perciò:
Venite, signore, che sarete ricevuto a braccia aperte. Al momento stesso che quell’ecclesiastico si
disponeva a partire, si ammalò, nè fu più possibile di salvarlo. Felice d’aver fatto dal canto suo
quanto da lui dipendeva per riparare il suo fallo e d’aver sentiti i rimorsi che d’ordinario si
trascurano in vita e sono per lo più causa di disperazione al punto di morte!
Qualche volta oltrepassò i limiti delle sue forze; un giorno fece un dono di due mila
franchi ad un uomo che trovavasi nel bisogno, e che aveva beneficato qualcuna delle sue case.
Prese cura particolare d’una povera donna, la quale aveva servito due sppestati della casa di San
Lazzaro nel tempo {167 [167]} in cui i missionari vi furono stabiliti: provvide al suo nutrimento
e ne pagò l’alloggio per trent’anni. Finalmente, oltre spingere la gratitudine quanto poteva,
riguardava e voleva che ognuno de’suoi tenesse come fatto a se stesso ciò che veniva fatto a
qualcheduno di loro. Egli e per questo che, avvisato avere alcuni religiosi data sepoltura
onorevole ad uno de’suoi preti morto fra di loro, diede alla sua comunità, per argomento di
conferenza spirituale, la necessita della gratitudine, a fine d’indurre i suoi figli a pregar Dio per
quei religiosi e dimandargli la grazia e lre occasioni di rimunerare quel benefizio. E in tal modo
che il sant’Uomo possedeva la gratitudine in un grado eminente.
Frutto. Tre atti di carità per dimostrare la nostra gratitudine verso Dio, e quando
riceviamo qualche favore dal nostro prossimo, siamo riconoscenti soprattutto qualora il favore
ricevuto sia spirituale.
Giorno vigesimoprimo. Suo rispetto verso i superiori ecclesiastici.
Vincenzo amava ed onorava lo stato ecclesiastico in ogni sua parte. Rispettava Gesù
Cristo nella persona de’Pastori, che lo rappresentano sulla terra. {168 [168]} Relativamente
a’Vescovi non vi era per lui cosa impossible se trattavasi di ubbidir loro; era si assuefatto ad
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onorare nelle loro persone il potere e la maestà di Colui di cui tengono luogo, che non vedeva in
essi se non ciò che poteva renderli rispettabili a’suoi occhi. Non aveva bisogno di sollecitazioni o
di preghiere per indursi a servirli, ed aveva maggiore attività per gli affari di loro, di quello ne
avesse per li suoi; logorava, per cosi dire, il suo credito a forza d’impiegarlo per loro, ne si
stancava di raccomandarli alla Regina, al Cardinale ministro, al Cancelliere ed a quei Magistrati
che avevano maggiore autorità. Perciò i Vescovi del suo tempo lo riguardavano quasi tutti come
un padre ed un amico, il quale impiegava tutta la sua influenza per promuovere quanto poteva
loro tornare di qualche vantaggio presso le autorità dello stato. Induceva il clero ed i popoli a
rispettare il loro sacro carattere come si conviene; li riceveva presso di se come tanti angeli e
come tanti ambasciatori del Dio vivente. I calori dell’estate, il freddo dell’inverno non
gl’impedivano mai di partire senza indugio al loro primo invito. Finalmente era verso di loro
qual servo che va e viene, secondo gli e ordinato di andare o venire. Le sue lettere sono un
monumento eterno del rispetto che ebbe per l’ordine episcopale. I medesimi {169 [169]}
sentimenti di rispetto ebbe riguardo al elero secondario. La sua massima era di fare del bene a
tutti, e di non far male ad alcuno; ma quando si trattò de’ministri di Dio, la estese per quanto gli
fu possibile. Chiunque era investito del sacro carattere e per fino chiunque portava i segni
esteriori del chericato, era sicuro di trovare appo di lui un’accoglienza iavorevole, un sollievo
alle sue pene, una mauo sempre pronta a rasciugare le, sue lagrime. Collocava secondo la loro
attitudine quelli che erano degni di qualche impiego: non permetteva che i suoi parlassero male
di quelli de’quali non potevano parlar bene. Secondo lui la cattedra di verità era fatta per inveire
contro ai disordini non già del pastore, che ciò facendo s’inasprisce senza convertirsi, ma contra
il popolo, che si nasconde nella folla, e che sente meno l’amarezza del calice, perchè la divide
con molti. Un missionario più zelante che prudente mancò un giorno a questa regola; il Santo
fece un viaggio di sei leghe per andare a chiedere perdono ad alcuni ecclesiastici, verso de’quali
il predicatore aveva usato poco riguardo. Che grande unione e concordia vi sarebbe a’nostri
tempi nel clero se queste massime fossero tuttora praticate!
Non si dee già credere che, divenuto un novello Elia, Vincenzo dissimulasse qualora
dovesse {170 [170]} parlare. Ma aveva imparato da S. Francesco di Sales, che la delicatezza
ecclesiastica esige dei grandi riguardi, e, generalmente parlando, le vie della dolcezza sono le
prime, che bisogna tentare. Infatti la carità congiunta all’unione delle sue parole gli procurò
numerosi acquisti.
Per essere esauditi da lui non occorrevano estranee protezioni, o visite moltiplicate. Quel
grande amatore del Sacerdozio di Gesù Cristo trovava nel solo carattere Sacerdotale una ragione
sufficiente per intenerirsi. Un Sacerdote sconosciuto ed ammalato gli domandò qualche soccorso.
Vincenzo lo ricevè con bontà, lo alloggiò, lo nudrì, gli fece somministrare convenienti medicine,
e lo ritenne fin tanto che ebbe ricuperata la salute. Un altro, che faceva il suo ritiro a San
Lazzaro, si ammalò. Il Santo n’ebbe tutta la cura immaginabile: il male durò lungamente, ma la
carità durò più del male. Quando l’ammalato fu ristabilito, Vincenzo gli fece dare una sottana, un
breviario, alcuni effetti e dieci scudi per aiutarlo a vivere. Un terzo, obbligato ad un viaggio, e
non avendo mezzi per far le spese, si diresse al servo di Dio. Quell’Uomo di misericordia gli
somministrò tutto ciò di cui aveva bisogno, fino i calzari, oltre a venti scudi.
La sua carità sacerdotale non venne mai meno, e quantunque abbia speso oltre un {171
[171]} milione in ornamenti, biancherie, vasi sacri, abiti, libri e riparazioni di chiese, pure non
crede di aver fatto abbastanza. Trovavansi perciò pochi ecclesiastici nel regno, i quali non gli
rendessero quella giustizia che egli ricusava a sè stesso. Se Giuseppe fu riguardato qual salvatore
dell’Egitto, Vincenzo fu riguardato qual salvatore de’pastori e de’preti; la cosa era talmente
conosciuta, che quando, per la infelicità dei tempi, ce n’era una prodigiosa quantità, tutti
solevano andare difilati a san Lazzaro. Coloro che non potevano andarvi, confidando nella sola
sua riputazione, si dirizzavano a lui dal fondo delle loro provincie. La sua memoria vi era
benedetta e ovunque risuonavano le sue lodi. Un missionario, percorrendo la Sciampagna,
incontro in un borgo il paroco del luogo, che gli dimandò chi era. “Sono missionario, rispose il
viaggiatore.” A questa parola il paroco si slancia al suo collo, lo abbraccia teneramente, lo
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conduce in sua casa, gli narra i grandi servigi spirituali e temporali che il Santo ha reso a tutto il
paese, ed aggiunge, mostrando la sottana che aveva indosso, et hac me veste contexit: parole che
furono dette a s. Martino sul proposito del povero che avea ricoperto, e più di due’mila
ecclesiastici avrebbero potuto fare l’uso che ne fece quello di cui parliamo. {172 [172]} Frutto.
Ogni fedele cristiano si adoperi per amare, rispettare le disposizioni dei superiori ecclesiastici, e
guardiamoci dall’essere di quelli che, avendo spesa la loro vita in tutto altro studio, che in
materia ecclesiastica, si fanno leciti di censurare detti o fatti delle autorità della Chiesa,
bestemmiando così quelle cose che la loro ignoranza non capisce. Guardatevi, dice il Signore,
guardatevi dall’intaccar i sacri ministri con fatti o con parole: Nolite tangere Christos meos:
perchè quanto si fa o si dice contro di loro, lo e parimenti contro di me stesso; Qui vos spernit,
me spernit.
Giorno ventesimosecondo. Suo attaccamento e figliale ossequio al
Sommo Pontefice.
Il nostro divin Salvatore prima della sua gloriosa Ascensione volle in questa terra
costituire un suo Vicario visibile, che quale supremo Capo governasse la Chiesa, conservando
tutti i fedeli uniti tra loro coi vincoli della stessa fede ed ubbidienza. Questa unità dimandò Gesù
Cristo al suo eterno Padre nella vigilia della sua passione dicendo: {173 [173]} Ti prego, o
Padre, non solamente per questi, ma anche per coloro che, ascoltando la loro parola, crederanno
in me, affinchè siano tutti una cosa sola; come tu sei in me, o Padre, ed io in te; onde creda il
mondo che tu mi hai mandateo(S. Gio. c. 17 e 21).
Nè avrebbe in altro modo potuto ciò ottenersi, se non si fosse stabilito da Dio un sol
Rettore e Giudice che infallibilmente definisce le controversie, ed a cui tutti dovessero
sottoporsi; come dice s. Gerolamo: Propterea unus eligitur, ut, capite constituto, schismatis
tollatur occasio.
Perciò nei sacri Vangeli Gesù paragona la Chiesa ora ad un regno, del quale consegna a
Pietro le chiavi, simbolo della suprema Potestà di governare e reggere i sudditi; ora ad un ovile,
dove Pietro viene dichiarato pastore delle pecore e degli agnelli, cioè dottore e guida di tutti i
vescovi e di tutti i fedeli; ora ad una casa cui mette per fondamento e sostegno san Pietro, al
quale dice: Tu sei Pietro e sopra questa pietra edificherò la mia Chiesa; ma assicura che quella
sarà rupe stabile ed inconcussa da sempre sostenere la Chiesa sì, che tutti gli sforzi dell’inferno
non possano prevalere giammai contro di essa. Portae inferi non praevalebunt adversus eam. Il
che porta che la potesta suprema di Capo visibile {174 [174]} necessaria al buon governo della
Chiesa così fondata non si estingua colla morte di s. Pietro; ma si debba trasmettere in tutti i
successori suoi, in virtù dell’assistenza promessa a questa Chiesa da Gesù per tutti i giorni infino
alla consumazione de’secoli. Ecce enim Ego vobiscum sum omnibus diebus usque ad
consummationem saeculi. In quanto poi al giudicio del Sommo Pontefice nelle cose di fede e di
morale il Salvatore assicurò che non sarebbe mai caduto in errore. Ho pregato per te, o Pietro,
disse G. C. affinchè la tua fede non venga mai meno e tu quando ti sarai riavuto conferma nella
fede i tuoi fratelli.
Ecco perchè tutti i santi Padri ed i Concili generali professarono sempre ciò che
l’universale Concilio di Firenze solennemente proclamò in questi termini “e definiamo che la
santa Apostolica Sede, ed il Romano Pontefice tiene il Primato nell’universo orbe; che è il
successore del B. Pietro principe degli Apestoli, e vero vicario di Gesù Cristo, e Capo di tutta la
Chiesa; ed a Lui nella persona del B. Pietro consegnata da N. S. Gesù Cristo la piena Potestà di
pascere, reggere e governare la Chiesa universale” Dottrina confirmata ultimamente
dall’Ecumenico Concilio Vaticano nella solenne definizione dell’Infallibilità Pontificia. {175
[175]} Questa fu la causa di quella singolare divozione e caratteristico attaccamento al Romano
Pontefice, che professò Vincenzo nella sua lunga camera Apostolica, non solo per mettere al
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sicuro se stesso, ma ancora preservare gli altri dal cader nell’errore, o per condurre i traviati nella
via della verità.
Fu in Roma nei primi anni del suo sacerdozio; trent’anni dopo ricordava ancora con
piacere quei beati giorni che aveva passato la ov’è il centro del Cattolicismo, il Capo della
Chiesa militante, dove ripogano le reliquie dei due principi degli Apostoli Pietro e Paolo, che ivi
sino alla morte predicarono la fede di Gesù Cristo. E ripeteva che questa considerazione l’aveva
intenerito in modo da fargli cadere copiose lacrime dagli occhi.
Egli soleva dire a’suoi e ad altre persone di confidenza: Pin dalla mia gioventu ho sempre
avuto spavento di trovarmi un giorno awolto negli errori di una nuova dottrina senza
avvedermene, la quale insieme con questi che vanno in cerca di novità, mi rapisse la fede e mi
facesse naufragare nel peccato dell’infedeltà. Ma, soggiungeva, abbiamo il Papa; “Egli e
l’oracolo della verità, e noi docili a’suoi insegnamenti non isbaglieremo la strada. Bisogna pregar
sempre, affinchè Dio ci doni quella semplicità e sommessione di giudizio con la quale si devono
abbracciare {176 [176]} le determinazioni dei Sommi Pontefici; e ci preservi dallo spirito di
orgoglio e presunzione di coloro che troppo sentendo della propria sufficienza ricusano di
sottomettersi.
Permise la divina Provvidenza per raffinare ed assodare maggiormente la fede di
Vincenzo, che ne’suoi tempi sorgessero in Francia e si sostenessero con gran calore nuove
opinioni, colle quali sotto pretesto di spiegare le dottrine dei SS. Padri ed in ispecie di S.
Agostino, si mirava con industria diabolica a distaccare i fedeli dagli insegnamenti e dall’autorità
del Vicario di Gesù Cristo. Ed i mestatori fingendo amicizia cercarono più volte d’insinuare le
loro novità perfino nella mente del santo. Vincenzo impegnò i più dotti Teologi a confutare
quelle opinioni, opponendo alle medesime le dottrine emanate in proposito dai Concili o dai Papi
perchè servissero a premunire gl’incauti.
Ma vedendo che l’agitazione andava crescendo e portavano lo scandalo nelle scuole,
nelle famiglie private, minacciando eziandio le case religiose; il sant’Uomo si raccomandò ad
alcuni Vescovi della Francia affinchè d’accordo con tutti gli altri prelati si facesse un ricorso alla
Sede Apostolica perchè rimediasse più prontamente e con maggior efficacia a’quei disordini.
Intanto egli {177 [177]} per animar tutti ad attendere dal Papa la riunione delle menti e dei cuori,
andava insinuando le seguenti massime:
“Il Papa è il Capo della Chiesa, a cui tutti i membri debbono aver relazione; a Lui
dobbiamo ricorrere per essere assicurati nei dubbi e nelle agitazioni.”
“Non vi è riunione da farsi nelle diversità e contrarietà di sentimenti in materia di di fede
e di religione se non rimettendoci ad un terzo, che non può essere altri fuori del Papa, in
maneanza di Concili generali.” “Quando poi il Sommo Pontefice avrà deciso una dottrina, non
c’è più altra via da prendere che sottoporre i lumi del proprio spirito e riunirci tutti in una
medesima fede con una vera e sincera sommessione al Capo della Chiesa.”
“Quelli che non vogliono così rinnirsi non possono mai formare una riunione; mentre la
menzogna non può accordarsi colla verità; e non rimane più altro che pregare per la loro
conversione.”
“Nemmeno è cosa straordinaria, aggiungeva, che negli antichi Concili non siano stati tutti
di un medesimo sentimento; il che sempre più dimostra il bisogno che il Papa abbia cognizione
delle controversie; mentre essendo egli il Vicario di Gesù Cristo, è il Capo di tutta la Chiesa, e
per conseguenza il Superiore dei Vescovi.” {178 [178]} “I santi ed antichi Prelati erano soliti di
ricorrere a lui per consiglio anche quando erano congregati; come vediamo nelle opere dei SS.
Padri e negli annali ecclesiastici.”
“Il prevedere poi che non si approverà il suo giudizio, ciò non devesi nè presumere nè
temere; che anzi serve per discernere i veri figli della chiesa dagli ostinati.”
Pareva che alcuni desiderassero un Concilio generale perchè con maggiore solennità
decidesse sulle nuove opinioni di quel tempo e gli erranti più facilmente si sottomettessero. Ma il
Santo rispondeva: “Lo stato presente degli affari non consiglia di radunare un Concilio
universale; e poi si sa il tempo che vi abbisogna, e quanto ce ne volle per l’ultimo che fu fatto; il
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rimedio sarebbe, troppo tardi per un male così pressante. È necessario ricorrere subito al Papa pel
gran disordine che s’introduce nelle famiglie, nelle città e nelle Università. Egli è un fuoco che
quotidianamente s’infiamma, che altera gli animi, e minaccia la Chiesa d’irreparabile
desolazione qualora non si rechi pronto rimedio. Chi sarà capace di rimediarvi? Non altri
certamente che la S. Sede. Il Concilio di Trento nella sua ultima Sessione rimette alla Santa Sede
la decisione delle difficoltà che nasceranno su quanto ha decretato. Or se la Chiesa si “ritrova in
un Concilio universale canonicamente {179 [179]} riunita come quello; e se lo Spirito Santo
conduce la medesima Chiesa, come non se ne può dubitare; perchè non si potrà seguire la luce di
questo Spirito, che dichiara il modo da tenere in simili occasioni, cioè di ricorrere al Sommo
Pontefice? Differire questo ricorso sarebbe togliere a molte persone dotte, e d’insigne pietà il
merito dell’obbedienza, che hanno protestato di rendere ai decreti del Santo Padre subito che
verranno pubblicati. Essi non desiderano che conoscere la verità.”
Approvarono e lodarono i Vescovi Francesi i disegni del Santo, i quali non miravano che
ad assecondare il loro zelo; fecero il ricorso al Papa, affinchè come Dottore universale della
Chiesa volesse pronunziare la sentenza sulle nuove dottrine e manifestasse agli erranti la verità.
Non è a dire quanto Vincenzo se ne sia mostrato consolato; tanto più quando nel 1653 venne
pubblicata ed arrivò a Parigi la Costituzione del Papa Innocenzo X che condannava le teorie false
di quei dottori Giansenisti i quali avevano suscitata tanta discordia nella Francia.
Appena ebbe lette le decisioni del Vicario di Gesù Cristo, il Santo impiegò le prime cure,
secondo che l’ordine della carità il richiedeva, per mantenere i membri della sua congregazione e
gli altri nella {180 [180]} purità della fede e della dottrina cattolica. A tal uopo parlò ad essi
molte volte nelle adunanze della comunità per far loro conoscere quanto fossero obbligati a Dio
di averli preservati dalle false dottrine capaci di corrompere e perdere l’intiera Congregazione.
Raccomandò ad essi di alzar preci al Cielo per la pace della Chiesa, per l’estirpazione dei nuovi
errori, e per la conversione di quegli infelici che erano stati ammorbati. Proibì di leggere i libri di
tali novatori, e di sostenere direttamente od inlirettamente qualunque opinione che potesse in
qualche modo favorirli, o si discostasse anche per poco dalle decisioni del Papa.
Avendo provveduto in tal guisa alla conservazione e sicurezza de’suoi, estese il suo zelo a
procurare lo stesso bene a molte comunità religiose, che preservò, co’suoi consigli e colla sua
caritatevole meditazione, dalla peste dei condannati errori.
Non dimenticò gli erranti. Si recò a far visita a superiori di comunità religiose e ad altre
persone di riguardo, e di più zelanti, per supplicarli a contribute per quanto fosse loro possibile
alla conciliazione degli spiriti ed a piegare all’obbedienza i ritrosi trattandoli con tutto il rispetto
e la carità possibile. Trattenevasi egli stesso coi medesimi a lungo, parlando confidentemente e
con grande testimonianza di stima e di affetto. {181 [181]} Quando poi sul cader del 1656 fu
pubblicata una nuova Costituzione del Papa Alessandro VII che confermava e spiegava quella
d’Innoeenzo X, Vincenzo spinto dal suo zelo ordinario, reiterò le stesse visite ed istanze verso
colore che ancor non si erano sottomessi alle decisioni del Vicario di Gesù Cristo.
Eravi un dottore della Sorbona che non poteva risolversi a staccarsi dalle dottrine del
Giansenismo; la Costituzione d’Innocenzo X l’aveva molto commosso; ma non Si decideva a
fare la sua intiera sottomissione. Vincenzo per aiutarlo a togliersi quei dubbi e quelle perplessità
di animo lo accolse a fare un po’di ritiro nella sua casa di s. Lazzaro. Quel signore dopo avere
ascoltato tutti i pensieri e le ragioni che gli venivano esposti, dichiarò essere nella
determinazione di abbandonare le sue opinioni, purchè il Papa volesse dargli schiarimenti sopra
alcuni dubbi che gli restavano; i quali espose in una lettera umiliata a sua Santità. Vincenzo
gliene procurò la risposta molto favorevole che soavemente lo disponeva a riprovare la
condannata dottrina.
Quando poi il Santo vide quest’uomo ancor titubante perchè schiavo del rispetto umano
finì con dirgli: “ma che volete di più, Signor mio? Aspettare che Dio vi mandi un Angelo per
illuminarvi? Non dovete sperarlo; {182 [182]} Egli vi rimette alla Chiesa; e la Chiesa radunata a
Trento vi rimette alla S. Sede. Aspettare che s. Agostino torni a spiegarsi? Nostro Signore ci dice
che se non si crede alle Scritture, molto meno si crede a quello che i morti risorti ci diranno. E
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qualora fosse possibile che s. Agostino tornasse al mondo, egli si sottoporrebbe ancora, come
fece altre volte, al Sommo Pontefice.”
Tale era la stima e l’attaccamento di s. Vincenzo de’Paoli alla Sede Apostolica, la quale
veniva riguardata da lui con s. Cipriano, siccome il Sole posto da Gesù Cristo in mezzo al
mondo, affinche tutti illumini coi suoi raggi e faccia scorgere la via nella verità che conduce alla
vita.
Ora sarebbe superfluo estendersi a dimostrare come in Vincenzo fosse uguale
sottomissione al Papa anche nelle cose disciplinari; imperocchè considerandolo egli quale
Vicario di Gesù Cristo e Sommo Pastore di tutta la Chiesa con piena potestà di governare,
condurre e ridurre il suo gregge non poteva non essergli obbediente in tutto con perfetta
sommissione d’intelletto e di volontà. Basti aggiungere che il santo finchè visse non cessò
d’inculcare ai suoi figliuoli spirituali la pratica della regola, che lasciò scritta in questi termini:
“obbediremo esattamente ai nostri superiori {183 [183]} considerando in ciascun d’essi nostro
Signore, e nostro Signore in loro; e principalmente al Sommo Pontefice, cui obbediremo con
tutto il rispetto, fedeltà e sincerità possibile.
Frutto. Proponi l’esatta osservanza dei precetti di s. Chiesa, approvando quanto il Papa
approva e condannando quelle cose che il papa condanna.
Giorno vigesimoterzo. Suoi ritiri spirituali.
Niuno aveva fino allora intrapreso in questo genere ciò che Vincenzo eseguì. I più gran
Santi degli ultimi secoli avevano dovuto gemere sulla corruzione che regnava nel cristianesimo.
Esortavano i fedeli a pesare tutte le loro azioni sulla bilancia della verità ed a riflettere
profondamente sull’eternità che si avanza celeremente, ma era riserbato a Vincenzo di procurar
loro in questo parIlcolare delle felicita che non avevano ancora avuto, e togliere ai non facoltosi,
ciòe al maggior numero, i pretesti o reali o immaginari di cui sogliono servirsi per velare la loro
negligenza e la loro insensibilità. A fine di giungere a questo bisoghava non solo somministrar
loro dei {184 [184]} direttori capaci di commoverli co’loro discorsi e di ben guidarli nel
tribunale di penitenza, ma eziandio risparmiar loro la spesa. Essa si conta per nulla comunque
rilevantissima ella sia, allorchè trattasi de’propri piaceri, ma si riguarda come eccessiva, tuttochè
assai modica, se dee impiegarsi per la salvezza eterna. Questa riflessione indusse Vincenzo a
dividere la sua casa, i suoi mobili e tutto ciò che poteva avere con chi avesse voluto profittarne
per riconciliarsi con Dio. Simile a quel padre di famiglia, di cui si parla nel Vangelo, costringeva
in certo qual modo i buoni ed i cattivi ad assidersi alla sua mensa. Per unica ricompensa chiedeva
che i giusti si santificassero vie più, e che coloro i quali non lo erano facessero ogni sforzo per
divenirlo. La faroa di una condotta si disinteressata si divulgò in Parigi e nelle provincie, ed in
pochi mesi la casa di san Lazzaro fu quanto mai frequentata. Era uno spettacolo il vedere nello
stesso refettorio signori della prima sfera, ed uomini del più infimo stato; laici e persone
vincolate nel chericato; magistrati e semplici artigiani; padroni e domestici; finalmente vecchi
che correvano a piangere sul passato, e giovani che venivano a cercare di preservarsi contra i
pericoli dell’avvenire. Per sostenere un’impresa di questa natura e ritrarne tutto il {185 [185]}
frutto che poteva produrre, erano necessari un gran cuore e molti lumi.
Tale fu il piano generale che Vincenzo si formò; per eseguirlo in un modo utile a coloro
che facevano il ritiro, e trasmetterlo d’età in età fino a’suoi più tardi successori, si sforzò per
dimostrare agli uni ed agli altri il prezzo della grazia che Dio metteva nelle loro mani.
Rappresento agli esercitandi (è questo il nome che si dà a coloro che fanno gli esercizi spirituali)
che l’unico fine del ritiro e di distrurre il regno del peccato, di riformare l’uomo interamente e di
rinnovare l’uomo interiore, fargli aprire gli occhi sui doveri propri del suo stato e sulle sue
ohbligazioni personali; finalmente di fissarlo solidamente in una vera carità che unisca a Dio il
suo cuore e tutte le potenze dell’anima sua, in modo che possa senza offendere la verità,
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esclamare coll’Apostolo: Non son più io che vivo, ma e Gesù Cristo che vive in me.
Per non omettere cosa alcuna di quanto poteva contribuire al buon successo de’ritiri, il
servo di Dio esigeva che coloro, ai quali assegnava la guida di questi ritiri, prendessero per
materia de’loro sermoni non già de’soggetti capaci di rallegrare lo spirito e di ricreare
l’immaginazione, ma bensì le verità principali dell’eterna salvezza; in una parola quelle che un
buon {186 [186]} cristiano non deve dimenticar mai, e non può’rammentare senza divenir
migliore. Perciò il fine pel quale Iddio ci ha creati, le grazie che abbiamo da lui ricevute, le
grandi lezioni che ci ha dato Gesù Cristo suo Figlio, i soccorsi che ci ha preparati nei Sacramenti,
le disposizioni che sono necessarie per accostarvisi; l’orrore del peccato, le conseguenze funeste
che trae seco, la vanità del mondo e de’suoi giudizi, le illusioni del nostro proprio cuore; le
tentazioni della carne, la malizia e gli artifizi dell’antico serpente, la brevità della vita,
l’incertezza del momento della morte, i formidabili giudizi di Dio, l’eternità felice o disgraziata:
queste verità ed altre consimili erano in allora, e sono anche oggidì il soggetto ordinario e
de’sermoni di colui che dirigeva il ritiro, e della meditazione di coloro i quali fanno gli esercizi.
In questo modo vengon disposti ad esaminare attentamente le loro coscienze, a fare delle buone
confessioni generali, oppure se l’hanno già fatta supplire con una rivista esatta su tutto ciò che vi
potrebbe essere stato di difettoso nelle ultime; e formarsi un regolamento di vita dal quale non si
dovrà allontanare se non quando non si potrà fare altrimenti; e soprattutto a stabilire delle
risoluzioni ferme di evitare il male e di praticare il bene. Il Santo, temendo che dopo la sua morte
{187 [187]} i preti della sua congregazione oppressi dal lavoro, e stanchi dalla spesa di tanti ritiri
gratuiti, non si rallentassero insensibilmente, si sforzò di premunirli contro a questo genere di
tentazione. Rappresentò loro che la casa nella quale erano radunati serviva altre volte al ritiro dei
lebbrosi, e neppur uno di que’che vi erano ammessi guariva; e che attualmente vi si ricevevano
delle persone attaccate da una lebbra assai più pericolosa di quella del corpo, o per dir meglio,
persone già morte, e per misericordia Divina, un gran numero ricuperava la sanità e la vita; che
nostro Signore vi operava ancora ogni giorno, per rapporto a’peccatori, ciò che aveva fatto con
Lazzaro risuscitandolo; ch’essi avevano l’onore d’essere gli strumenti, di cui esso valevasi, per
questa grande operazione. Ah!, esclamò, qual motivo di vergogna se questo luogo, il quale ora è
come una piscina salutare, in cui tanta gente viene a lavarsi, divenisse un giorno una cisterna
corrotta a causa del rilassamento e dell’ozio di coloro che l’abiteranno! Preghiamo Dio che
questa disgrazia non accada. Preghiamo la SS. Vergine, la quale desidera la conversione del
peccatore, che colla sua intercessione l’allontani da noi. Preghiamo il grande amico del Figlio di
Dio, San Lazzaro, che si compiaccia d’essere sempre il protettore di questa casa, e {188 [188]}
che le ottenga la grazia di perseverare nel bene che ha cominciato.
Vincenzo rammentava pure a’missionari i buoni effetti del ritiro che avevano veduto coi
loro propri occhi. Con questi motivi gli animava a non badare a pena, nè a spesa, e diede loro su
questo degli esempi più possenti ancora delle parole. Aumentò il numero di coloro che dovevano
fare gli esercizi spirituali; più avanzava in età vie più, cosa rara ne’vecchi, diveniva santamente
prodigo. La sua carità non aveva più limiti, e finalmente ando tant’oltre, che ammise quanti
esercitandi si potevano ricevere. A conto fatto, risulta che negli ultimi venticinque anni di sua
vita furono più di venti mila le persone che fecero ritiro nella sua casa; vale a dire, che se ne
ammettevano oltre ad ottocento tutti gli anni. È vero che qualcheduno pagava la sua spesa in
tutto od in parte, ma il maggior numero nulla dava.
Accadendo talvolta che le persone virtuose non pensano sempre tutte egualmente, vi
furono alcuni fra i missionari i quali credettero trovare dell’eccesso nella carità del santo.
Andando in questo modo, dissegli un giorno il fratello incaricato della spesa, la casa soccombera,
perchè ammettete un numero troppo grande di esercitandi. Il sant’Uomo gli rispose: Mio fratello,
questo {189 [189]} facciò, perchè essi voglion salvarsi. Un altro gli rappresentò che in quella
moltitudine di esercitandi ve n’erano alcuni che non lo facevano per profittarne; e che altri vi
venivano in cerca del nutrimento del corpo piuttosto che di quello dell’anima; ma quel degno
imitatore della carità di Gesù Cristo gli rispose, essere gia molto agli occhi della fede e della
religione che una parte degli esercitandi ritraesse dal ritiro il frutto che se ne deve ricavare; e che
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il nudrire un uomo, il quale si trova nel bisogno, e sempre una elemosina gratissima a Dio; che,
se all’oggetto di non essere sorpresi da coloro le cui mire non sono pure, si facessero troppe
difficoltà nel1’ammettere coloro che si presentano, si respingerebbe qualcuno sul quale lo Spirito
Santo ha dei disegni di misericordia, e che finalmente, a forza di voler penetrare i motivi che li
facevano agire, si soffocherebbe in molti le primizie della grazia divina che li chiama a lui; si
spiegò su di questo in una maniera si precisa, che fu facile lo scorgere non solamente che era
deciso, ma che v’era, si può dire, strascinato da un impulso superiore. Se avessimo, diceva,
ancora trenta anni di vita, e ricevendo quelli che si presentano per fare gli esercizi spirituali
dovessimo quindici, non dovremo perciò tralasciare di ammetterli. {190 [190]} Se costava
assaissimo al nostro Santo il sostenere un’impresa sì onerosa, bisogna convenire che ne fu, anche
durante la vita, al centuplo ricompensato. Allorchè la sua congregazione cominciò a dilatarsi,
quelle delle sue case che ne avevano i mezzi, fecero, per suo ordine, nei luoghi ove erano situate,
i medesimi esercizi che faceva a Parigi quello di San Lazzaro. Vide egli stesso’che i ritiri
spirituali producevano ovunque dei beni inesprimibili. Ricevette su di ciò un numero prodigioso
di lettere che lo felicitavano per le benedizioni che Dio accordava al suo zelo. Sacerdoti,
Parrochi, Vescovi, Cardinali, tutti lo ringraziavano per aver loro facilitato una pratica, la quale
giornalmente santificava pastori e popoli. La pratica degli esercizi spirituali, passò da san
Lazzaro in un buon numero di diocesi. Alcuni prelati i quali quando erano ancora semplici
ecclesiastici, si erano posti sotto la direzione di Vincenzo, santificati eglino stessi col mezzo dei
ritiri, impresero di santificare i loro ecclesiastici co’medesimi esercizi. Uno fra di loro scriveva al
servo d’Iddio, che aveva attualmente nella sua casa episcopale trenta sacerdoti che facevano il
ritiro con molto frutto.
Non fu solo in Francia che Dio benedisse i ritiri: la mano di lui accompagno i missionari
anche nell’Italia. Il cardinale Durazzo {191 [191]} che col suo zelo onorava la porpora Romana,
non ebbe tosto stabiliti in Genova, ov’era arcivescovo, i preti della missione, che volle
esperimentare se avrebbero fatto tanto bene riguardo agli ecclesiastici, quanto n’avevano fatto
nelle campagne riguardo a’popoli della sua diocesi. Gli effetti furono oltremai maravigliosi. Lo
spirito d’umiltà e di compunzione vi dominava talmente, che si durava fatica a moderarne lo
slancio. Siamo qui come nella valle di Giosafat, disse in quella occasione uno di que’signori
ognuno vi fa la confessione delle sue miserie. Felici coloro che con quella confusione anticipata
potransi mettere in grado di evitare quella del gran giorno del Signore. Il cardinal Durazzo, che
credeva appena ciò che vedeva co’propri occhi, non potè frenare le lagrime; ringraziò mille volte
il primo autore di tutti quei beni, e coloro che gli servivano di strumento. Tanti buoni risultati
rendevano il Santo fermo a non permettere innovazioni nella sua casa circa i ritiri. Le disgrazie
de’tempi non hanno alterato punto la pratica di quella buona opera.
Frutto. Proponiamo in quest’anno di ritirarci a fare gli esercizi spirituali; e qualora le
nostre occupazioni nol permettessero, spendiamo almeno un giorno per aggiustare gli affari di
nostra coscienza nel modo che desideriamo trovarci in punto di morte. {192 [192]}
Giorno vigesimoquarto. Sua semplicità.
Il divin Salvatore nel mandare i suoi apostoli a predieare il s. Vangelo disse loro: siate
semplici come colombe e prudenti come il serpente. Egli fu a questa scuola che Vincenzo imparò
quella meravigliosa semplicità che lo rese caro agli idioti e rispettabile ai sapienti del secolo. S.
Vincenzo, dice Bossuet, fu un uomo di ammirabile semplicità.
Infatti ebbe sempre in orrore que’detti equivoci, quelle dissimulazioni, quelle vie
tortuose, per mezzo delle quali coloro stessi che le condannano in ispeculativa, sanno trarsi
d’impaccio quando si trovano nell’imbarazzo: se gli si proponeva una cosa che gli sembrasse
poco giusta, diceva così alla buona, che non poteva incaricarsene. Se come succedeva qualche
volta, dopo d’essersene incaricato, altre cure più pressanti gliela facevano perdere di vista:
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semplice ed umile ad un tempo diceva che la sua miseria era tale, che non vi aveva più pensato.
Se veniva ringraziato per un favore a cui aveva contribuito, lo confessava con tutto candore. In
una parola, se non {193 [193]} diceva ogni verità, perchè non tutte le verità devono dirsi,
neppure diceva cosa che fosse anche poco in opposizione al vero. Raccomandando a’suoi la
semplicità ha fatto senza volerlo il ritratto della propria.
Diceva che la semplicità è un dono il quale ci guida direttamente a Dio ed alla verità
senza fasto, senza finzioni, senza umano rispetto, senza mira del proprio interesse. Un uomo
semplice ha soltanto Dio per suo scopo, e non vuol piacere che a lui: non parla contro il proprio
sentimento, non opera fuori delle regole della schiettezza e della rettitudine cristiana: se non
manifesta tutti i suoi pensieri, perchè la semplicità è una virtù discreta che non può essere
contraria alla prudenza, ha cura,di evitare nelle sue parole tutto ciò che potrebbe far credere al
prossimo aver egli nello spirito o nel cuore, ciò che non vi ha realmente.
La semplicità nelle istruzioni che si fanno al popolo era un articolo sul quale insisteva
sovente. Non si possono leggere le lettere sue, nè le sue conferenze, senza scorgere quanto
temeva che i suoi figli avessero la disgrazia di allontanarsene per farsi, come molti predicatori,
un nome con discorsi pomposi. Egli raccomandava a’suoi di sbandire dai loro sermoni quanto
potrebbe partecipare dello spirito mondano di affettazione, {194 [194]} di vanità. Fra le molte
ragioni adduceva che, siccome le bellezze naturali hanno maggiori attrattive delle artificiali o
adornate di falsi colori, così i sermoni semplici e comuni sono ricevuti assai meglio di quelli, che
sono affettati e ripuliti con artifizio. Studiatevi di predicare, diceva, come fece Gesù Cristo. Quel
Divin Salvatore, essendo il Verbo e la Sapienza del Padre eterno, poteva, se avesse voluto,
parlare de’nostri più sublimi misteri con termini che fossero a loro proporzionati. Sappiamo
nondimeno che ha parlato semplicemente ed umilmente per adattarsi al popolo e darci il modello
e la forma di spargere la sua santa parola. Quel gran Maestro, trovandosi al momento di spedire i
suoi Apostoli a predicare il Vangelo, raccomandò loro la semplicità della colomba, come una
delle virtù di cui avevano maggior bisogno, sia per attirare sovra di sè le grazie del cielo, sia per
disporre gli uomini ad ascoltarli ed a credere loro. Quelle parole non riguardano solamente gli
Apostoli, ma son dirette a tutti coloro che sono destinati dalla Provvidenza alla conversione delle
anime. Perciò, signori, dovete farne l’applicazione a voi stessi. Dio ripone il suo piacere
nell’intrattenersi coi semplici; Cum simplicibus eius: cammina con essi e li fa andare avanti con
sicurezza. {195 [195]} Infatti ai semplici soltanto è concesso lo istruirsi alla scuola di nostro
Signore: la sua dottrina è un enigma pei sapienti e pei prudenti del secolo, come lo dichiarò egli
stesso: Confiteor tibi, Pater,...... quia abscondisti haec a sapientibus et prudentibus et revelasti
ea parvulis. Finalmente lo spirito di religione si trova più ordinariamente fra i semplici che non
presso le pergone del gran mondo, Vincenzo inviando uno de’suoi preti in una provincia: Voi
andate, gli disse, in un paese, in cui dicesi che gli abitanti siano per la maggior parte fini ed
astuti. Se ciò è vero, il maggior mezzo di essere loro utile si e quello d’agire con essi con grande
semplicità; perchè le massime del Vangelo sono interamente opposte a’modi di agire del mondo;
e andando voi pel servizio di nostro Signore, dovete altresì condurvi secondo il suo spirito, ch’è
uno spirito,di semplicità e di rettitudine. Quel missionario regolò la sua condotta sulla scorta di
un parere così saggio, e la popolazione incantata del candora di lui offerì al nostro Santo un
bellissimo stabilimento: fu questo accettato perchè colà vi era luogo a fare del bene. Vincenzo vi
spedì per primo Superiore un uomo che, a molto ingegno riuniva una perfetta semplicità; ma non
v’è forse cosa che sia tanto propria a far conoscere {196 [196]} fin dove giungeva la delicatezza
del Santo su queste materia, quanto la lettera seguente. È questa una risposta ch’egli diede ad
uno de’suoi, che avevagli scritto essere il suo cuore tutto per lui. Io vi ringrazio della vostra
lettera, gli disse, e del vostro gradito dono. Il vostro cuore è troppo buono per essere posto in
cattive mani come le mie, e so bene che voi non me lo date, se non perchè io lo rimetta a nostro
Signore al quale appartiene, è all’amore del quale volete che tenda incessantemente. Questo
amabile cuore appartenga dunque d’oggi innanzi unicamente a Gesù Cristo, e gli spetti
pienamente per sempre nel tempo e dell’eternità. Pregatelo, ve ne scongiuro, che mi faccia
partecipare del candore e della semplicità del suo cuore. Sono queste virtù tali, che io ne ho
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grandissimo bisogno, e di una eceellenza affatto incomprensibile.
Frutto. Siamo sempre schietti nel parlare e nel trattare col prossimo procurando di evitare
ogni sorta di bugie; esse, oltre l’offesa d’Iddio, sono contrarie alla civiltà: e ci disonorano davanti
agli uomini. {197 [197]}
Giorno vigesimoquinto. Della sua confidenza in Dio.
Il Signore ci dice che chi confida in Lui non rimarrà confuso; e s. Paolo diceva che da se
solo non era buono a niente, ma coll’aiuto di Dio egli diveniva onnipotente. Omnia possum in eo
qui me confortat. Dal che Vincenzo animato intraprese delle cose, che i Principi stessi non
avrebbero osato, e sostenere degli stabilimenti che sembravano disperati. La provvidenza di Dio
era il suo conforto, e questo Dio fedele nelle sue promesse giammai gli mancava. Quando gli si
proponeva un affare, fatto sicuro venisse da Dio metteva in uso tutti i mezzi atti a farlo riuscire;
ma era ben diverso da quelli che si mettono in moto, e vi mettono tutti coloro che incontrano. La
filosofia dell’uomo di Dio era più placida, perchè veniva da una sorgente più elevata; lasciava
operare Dio, ed aspettava da lui il grado ed il momento del successo. Se qualcuno per ragioni di
prudenza umana gli rappresentava non esservi apparenza alcuna d’ultimare ciò ch’erasi
cominciato. “Lasciamo fare nostro Signore, diceva, e opera sua: ed essendo a lui piaciuto di
darcene il pensiero, teniamo {198 [198]} per certo che lo perfezionerà nel modo a lui più
gradevole; sarà nostra guida e nostro aiuto in un lavoro al quale ci ha egli stesso invitati.
Cominciato un affare colla persuasione esser cosa di Dio, e Dio volerlo da lui, non
temeva spese ne travagli, ne difficoltà; gli ostacoli non servivano che a rincorarlo, nulla lo
spaventava. Venti volte gli fu rappresentato che le spese necessarie pel nutrimento delle persone
che ogni settimana facevano il ritiro a san Lazzaro mettevano la casa in pericolo di soccombere:
Egli sempre rispose: che i tesori della Provvidenza erano inesauribili, che la diffidenza
disonorava Dio, e che la sua congregazione si sarehbe piuttosto distrutta per le ricchezze, non
mai per la povertà.
Un giorno, alla vigilia di un’ordinazione, il procuratore tutto inquieto venne a dirgli che
non aveva un soldo per fare la spesa. Oh! qual buona notizia, sclamò Vincenzo, Dio sia
benedetto: è questo il momento che bisogna far conoscere se abbiamo confidenza in Dio. Disse
una cosa consimile ad un avvocato del parlamento, il quale in un ritiro che fece a San Lazzaro,
sorpreso di vedere tanta gente nel refettorio, gli dimandò ove prendeva di che provvedere ad un
sì gran numero di bocche domestiche e straniere. Non è già che Dio facesse dei {199 [199]}
miracoli continui in favore di Vincenzo, e che all’opportunità accorresse in soccorso della sua
indigenza; si vide ridotto a nudrire sè ed i suoi con pane d’orzo e d’avena; ma riguardava quegli
accidenti passeggieri quali prove che entrano nell’ordine della Provvidenza.
La confidenza che animava il servo di Dio nel tempo della carestia, lo fortificava ancora
nelle afflizioni che gli sopraggiungevano, sia nella sua propria persona, sia in quella de’suoi figli.
Era sì persuaso che questa confidenza in Dio deve essere una delle principali virtù di un
missionario, che ne fece il soggetto di molte conferenze spirituali; propose in esse l’esempio
d’Abramo, a cui Dio aveva promesso di popolare tutta la terra per mezzo d’un figlio che gli
aveva dato, e che gli ordinava nulladimeno d’offerire in sacrifizio. Ammirate la sua confidenza,
diceva: Abramo non s’inquieta di ciò che succederà: egli spera che tutto andrà bene, perchè Iddio
v’è di mezzo. E perchè non avremo noi la stessa speranza, se lasciamo a Dio la cura di ciò che ci
riguarda, e se preferiamo ciò che ci comanda ad ogni altra considerazione? Non sarà dunque ben
fondata la nostra speranza, diceva altrove Vincenzo, che Dio somministrerà quanto c’è
necessario? Non vedete forse che gli augelli non seminano e non mietono? ciò {200 [200]} non
ostante Dio prepara loro la tavola, ovunque accorda loro le vestimenta e da nudrirsi; egli estende
anco la sua provvidenza sulle erbe de’campi, e perfino i gigli hanno degli ornamenti sì magnifici
che Salomone in tutta la sua gloria non n’ebbe mai di consimili. Ora se Iddio provvede in tal
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modo gli augelli e le piante, perchè non vi abbandonerete a lui? la vostra industria è dessa un
espediente più sicuro della sua bontà?
Vincenzo raccomandava ancora questa confidenza in Dio alle figlie della carità, le quali,
a motivo de’pericoli d’ogni specie a cui sono esposte, debbono maggiormente diffidaro di se
stesse e confidare molto in Dio. Annunciava loro il soccorso Divino in una maniera si decisiva,
che si sarebbe creduto avesse delle segrete ragioni di fidarsi sopra una speciale provvidenza. Dio
aveva di gia fatto conoscere ch’egli vegliava alla guardia di quelle figlie virtuose. Ah! mie figlie,
diceva il Santo in occasione che una di esse era rimasta salva in mezzo alle rovine di un edifizio,
qual motivo non avete voi per confidare in Dio? Leggiamo nell’istoria che un uomo fu acciso in
mezzo ad una campagna per la caduta d’una testuggine che un’aquila lasciò cadere sul suo capo;
e vediamo in oggi una figlia della carità uscire senza lesione alcuna di sotto ai rottami di una
casa rovesciata fino dai {201 [201]} suoi fondamenti. Non è questa una prova sensibile colla
quale Dio fa conoscere che voi siete a lui care? Oh! mie figlie, siate sicure che quando
conserviate ne’vostri cuori la santa confidenza Dio vi conserverà in qualunque siasi luogo
possiate trovarvi. Vincenzo fece un giorno una piccola riprensione ad una persona la quale,
nell’idea che la compagnia delle sue figlie non potesse sussistere senza di lui, si era mostrata
alquanto inquietà per una malattia da cui era stata colta. Oh! donna di poca fede! perchè
non’avete maggiore confidenza nella condotta e nell’esempio di Gesù Cristo? Il Salvatore del
mondo si riposava in Dio suo Padre per lo stato di tutta la Chiesa, e voi per un pugno di figlie,
che la sua provvidenza ha visibilmente suscitate e riunite, pensate che vi mancherà.
Questo tesoro di confidenza in Dio gli serviva per pacificare coloro che erano tentati di
disperare. Un personaggio di condizione elevata trovandosi in una pericolosa situazione gli
dimandò qualche rimedio al male che lo straziava. Il Santo gli rispose: Che Dio non permette
sempre a’suoi di discernere la purezza del loro interno fra i movimenti della corrotta natura,
affinchè si umiliino senza posa, e che il loro tesoro essendo così nascosto, e in maggior
sicurezza. S. Paolo aveva veduto delle maraviglie {202 [202]} in cielo, ma perciò non si
riguardava come giustificato, perchè vedeva in sè stesso troppe tenebre e troppi combattimenti
interni. Aveva nulladimeno una tale confidenza in Dio, che credeva nulla esservi al mondo
capace a separarlo dalla carità di Gesù Cristo. Quest’esempio deve bastervi, signore, per restare
in pace in mezzo alle vostre oscurite, e per avere un’intera confidenza nell’infinita bontà di
nostro signore, il quale volendo perfezionare l’opera della vostra santificazione, v’invita ad
abbandonarvi fra le braccia della sua provvidenza.
Frutto. La confidenza in Dio non esclude la nostra cooperazione, perciò facciamo quanto
dal nostro canto possiamo, e il Signore farà colla sua bontà quello che noi non possiamo. Una
visite al SS. Sacramento.
Giorno vigesimosesto. Della sua condotta.
Due oggetti occuparono tutta la vita di Vincenzo, la sua propria santificazione, e quella
del prossimo. Cominciò da sè stesso e continuò pel prossimo, poichè sapeva che un ministro di
Gesù Cristo è stabilito per produrre del frutto; ma la condotta ch’egli tenne, operando alla
salvezza de’suoi fratelli, {203 [203]} merita bene che se ne espongano i prineipali caratteri. Essa
fa sempre accomgagnata da una grande sapienza. Un uomo, fra le cui mani erano passati tanti
affari importanti, avrebbe avuto almeno nella sua vecchiaia il diritto di riposare sulla propria
esperienza: ma egli solo ignorava la giustezza del suo spirito, l’estensione de’suoi talenti, la
saviezza delle misure che aveva prese. Vincenzo al declinare de’suoi giorni era tanto timido e
riserbato come all’età di quaranta anni. Nulla intraprendeva senza ricorrere a Dio per mezzo di
fervide preghiere; volentieri ascoltava e secondava il sentimento degli altri. Questa legge che il
Santo s’era imposta di deliberare, di consultare, di ponderare lungo tempo il pro ed il contro, lo
rendeva alquanto lento a determinarsi; ma quando una risoluzione era presa, non vi era modo di
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variarla: riguardava qual tentazione ogni pensiero di abbandonare un progetto saggiàmente
concertato. Credeva che Dio non si lagnerebbe di un uomo, che potrebbe rispondergli: Signore,
io vi ho raccomandato quest’affare, mi son consigliato, e questo è tutto quanto poteva fare per
conoscere la vostra volontà. La circospezione fu un’altra qualità della sua condotta. Egli era
nemico dichiarato di tutto ciò che sentiva di presunzione, nè amava di rispondere prima di aver
preso {204 [204]} tempo a rifiettere su ciò che venivagli proposto. Quando la forza delle
circostanze l’obbligava a decidere senza dilazione, implorava il Divino soccorso, e non dava
ordinariamente alcuno scioglimento che non avesse per appoggio la Sacra Scrittura, o qualche
azione del Salvatore; ne trovava sempre qualcheduna che aveva relazione col soggetto su cui era
consultato. Il timore di gravarsi la coscienza de’falli altrui, o di errare ne’disegni di Dio, lo
rendeva molto cauto qualora trattavasi di determinare una persona ad un offizio anziche ad un
altro. Quantunque avesse sopra i suoi figli un’autorità ben grande, pure non voleva mai formare
da sè solo la destinazione di quelli che inviava ne’paesi lontani. Non sceglieva per le missioni
straordinarie che coloro, al cuore de’quali Iddio aveva parlato, e cui aveva fatto conoscere che
richiedeva da loro questo grande sacrifizio. La grazia di dare un addio eterno alla propria
famiglia, a’più teneri amici, non era accordata che a quelli che la sollecitavano per molto tempo
e con ardore, ed e perciò che il Santo giudicava prudentemente che un uomo chiamato da Dio fa
maggipr frutto di molti altri, la cui vocazione e meno libera e meno pura. Questi saggi riguardi
non degeneravano in debolezze, nè in una molle condiscendenza, e diceva che, siccome i cattivi
{205 [205]} successi della guerra s’attribuiscono a’Generali degli eserciti, per egual modo il
decadimento delle comunità deve attribuirsi a’Superiori; che i più cattivi sono coloro che, per
piacere a’loro confratelli e farsi amare, tutto dissimnlano e lasciano correre le cose come vanno;
ch’egli aveva veduto una comunità delle più regolari che vi fossero nella Chiesa decadere in
meno di quattro anni per la indolenza e la viltà d’un Superiore. Se dunque, conchiudeva, tutto il
bene di una comunità dipende da’Superiori, si deve ben pregar Dio per essi come incaricati da
Dio, ed in obbligo a render conto di tutti quelli che sono sotto la condotta loro. Questa fermezza
del Santo si estendeva su tutti i punti della sua regola, e non e già nelle sole case della
congregazione che voleva fosse inviolabilmente osservata, ma raccomandava eziandio che non si
trascurasse, per quanto fosse possibile, nelle missioni e ne’viaggi: prescriveva perciò certe
pratiche per compensare in qualche modo quelle, che riescono difficili fuori della comunità.
Allorquando vari preti viaggiavano insieme, ne destinava uno fra di essi ad avere la direzione
degli altri, e far osservare la regola.
La fermezza del sant’Uomo non lo rendeva molesto, nè imperioso. Severo per sè stesso
era tutto bontà verso gli altri, e {206 [206]} procurava di contentarli in tutto ciò che potevano
ragionevolmente aspettarsi da lui. Se ricusava qualche cosa, era sempre con pena, e ciò non già
perchè egli fosse il padrone, ma unicamente perchè non poteva accordarla. Esponeva le ragioni
del suo rifiuto, e da che queste più non sussistevano, si rammentava la dimanda fattagli. Si
serviva sempre, dice uno de’suoi, di parole molto obbliganti, non impiegando mai la voce di
comando, ne altri simili detti, che facessero scorgere il suo potere e la sua autorità, ma usando
bensì delle preghiere: io vi prego, signore, di fare questo, o quello, ecc. Quando io partiva per
qualche viaggio, o ne ritornava, mi trovava, come tutto imbalsamato da’suoi amplessi e dalla
cordiale accoglienza che mi faceva. Le sue parole, tutte piene di una certa unzione spirituale,
erano sì dolci, e nello stesso tempo sì efficaci, che induceva a fare tutto quello che voleva senza
alcuna resistenza.
La maniera colla quale s’insinuava nelle pene di colore che soffrivano era propria ad
inspirar coraggio. 1ò vi compatisco nella vostra situazione, scriveva ad un Superiore stanco del
suo offizio; ma non dovete spaventarvi delle difficoltà, ed ancor meno lasciarvi abbattere, poichè
se ne trovano ovunque, e basta che vivano insieme perchè {207 [207]} due uomini siano in
contraddizione. Se foste solo, verreste di peso a voi di che esercitare la vostra pazienza; tanto è
vero che la miserabile nostra vita è piena di croci. Io lodo Dio del buon uso, che sono persuaso
voi fate delle vostre. Ho troppo conosciuto quanta saviezza e quanta dolcezza risiede nel vostro
spirito per dubitare che vi manchino in queste disgustose occasioni. Se non riuscite a soddisfare
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tutti, non bisogna perciò ve ne diate fastidio, perchè neppure lo stesso nostro Signore lo ha fatto.
I bisogni della sua compagnia avendolo obbligato a separare due preti che vivevano in una santa
unione, Io non dubito punto scriveva ad uno di questi, che la separazione da questao caro e
fedele amico non vi sia dolorosa; ma rammentatevi, che il Signor nostro si separò dalla propria
Madre, e che i suoi discepoli, dallo Spirito Santo così uni dagli altri pel servizio del Divin
Maestro. In breve tutti coloro che erano sotto la sua direzione non venivano afflitti da qualche
male ch’egli non ne soffrisse più di quelli.
Persuaso che un Superiore non esige ragionevolmente se non ciò che pratica pel primo, si
trovava esattamente a quegli esercizi della sua comunità che costano di più, e sopratutto
all’orazione della mattina. {208 [208]} La sua perfetta esatezza davagli diritto di esigere
altrettanto da’suoi inferiori. Lo voleva sopratutto da quegli che incaricava degli condotta degli
altri. Praesint ut prosint. Diceva, che quelli i quali non hanno regola, nè sono esemplari,
mancano di una qualità essenziale al governo; e che un uomo, benchè provveduto di ingegno per
dirigere gli altri, non è adattato ad essere Superiore di una casa, nè Direttore d’un seminario, se
non è esatto agli esercizi della regola. A fine di rendere la sua condotta utile a tutti coloro
de’quali aveva la direzione, affaticavasi da principio a distrurre in essi il peccato, e ciò che
poteva condurveli; a questo oggetto stabilì il suo seminario interno, e ne fece una scuola di virtù,
ove le persone di ogni età, che v’erano ammesse, trovavano negli esercizi della vita spirituale
de’mezzi sicuri per distruggere l’uomo vecchio, e divenire nuove creature in Gesù Cristo. La
disubbiedienza era il difetto che meno perdonava ad un seminarista, e se non si emendeva, per
quante altre buone qualità ei possedesse, lo congedava. Secondo il suo parere un uomo troppo
attaccato alla propria volontà è un nemico della fanciulezza evangelica, la quale sola ha diritto al
Regno de’cieli, ed è incapace di quella santa abnegazione che deve essere la prima virtù
de’discepoli del Salvatore. {209 [209]} Uscendo dal seminario destinava allo studio della
teologià ed anche della filosofia coloro, le cui idee su queste materie abbisognavano di essere
rinnovate. Dava loro de’maestri adattati a nudrire il fervore formandogli alla scienza. Non eravi
cosa che tanto temesse, quanto il vedere un giovine studente scemare in fervore a misura che
cresceva in cognizioni, o perdere il tempo in vane ed inutili curiosità. Diceva a questo proposito
che il passaggio dal seminario agli studi e troppo pericoloso; come un vetro che dal calore del
forno passa in un luogo freddo, corre rischio di rompersi, così un giovine il quale da un luogo di
raccoglimento, di vigilanza e di preghiera passa al tumulto di una scuola, corre rischio di sviarsi.
Desiderava che tutti i missionari avessero tanta scienza, quanta n’ebbe S. Tommaso, purchè
avessero ancora l’umiltà di quel santo Dottore; diceva che l’orgoglio perde i grandi ingegni come
ha perduto gli Angeli, che la scienza senza l’umiltà era sempre stata perniciosa alla Chiesa. La
conclusione de’suoi consigli era che si mettesse la gioventù in grado di essere utile al prossimo,
perchè vi eran pochi operai, ed i popoli della campagna si dannavano per mancanza d’istruzione.
{210 [210]} Frutto. Se abbiamo la scienza senza l’umiltà, non saremo giammai figliuoli d’Iddio,
ma bensì figli del padre della superbia, del demonio. Un Pater ed Ave a s. Vincenzo perchè ci
aiuti a seguire i suoi esempi.
Giorno vigesimosettimo. Sue missioni.
Le missioni sono esercizi pubblici in cui con istruzioni semplici ma robuste e patetiche si
procura d’indurre i popoli a piangere i 1oro peccati e ripararli con una sincera penitenza, ed a
vivere santamente in avvenire. Questi esercizi per produr frutto richiedono ordine e precauzioni
per rapporto a’pastori, di cui in certo qual mode si tien luogo per un dato tempo; per rapporto
a’popoli che si devono istruire senza aggravarli; e per rapporto agli operai stessi, che per
santificare gli altri hanno bisogno di zelo, di carità, o, per meglio dire, di tutte le virtù. Vincenzo
formò il suo piano in un modo adattato a soddisfare a queste diverse obbligazioni.
Riguardo a’pastori, oltre il permesso del Vescovo, di cui non si può far a meno, nulla
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intraprendeva mai senza il gradimento {211 [211]} de’paroci. Quando un paroco permette la
missione nella sua parochia, uno dei missionari ne fa l’apertura ed annunzia con un discorso la
visita misericordiosa che Dio si dispone di fare al suo popolo, la moltitudine di grazie che e
pronto ad accordare a chi se ne renderà degno col convertirsi a lui; la disgrazia di coloro che
ricusassero di ascoltare la sua voce, e la necessità di cominciare all’istante a rompere i lacci del
peccato. Alcuni giorni dopo i missionari si presentano al luogo indicato, ed immediatamente
danno mano all’opera; ogni giorno fanno tre sorta d’istruzioni pubbliche; una predica che si fa di
buon mattino affinchè le persone povere non perdano punto il tempo consacrato al lavoro; un
piccolo catechismo che si fa ad un’ora dopo mezzodì, e la sera dopo il tramontare del sole un
gran catechismo. La predicazione deve essere solida ma naturale. Non si trattano in essa quelle
idee metafisiche, la cui discussione serve soltanto a fare onore all’ingegno di colui che parla.
L’importanza della salvezza eterna, i fini ultimi, la contrizione, il perdono delle ingiurie, la
restituzione, l’enormità del peccato, la durezza del cuore, l’impenitenza finale, la falsa vergogna,
la ricaduta, la maldicenza, l’invidia, l’intemperanza, e altri simili disordini che s’insinuano più
facilmente nelle campagne; il buon uso della {212 [212]} povertà e delle afflizioni, la
santificazione delle domeniche e feste, la necessità ed il modo di pregare, di frequentare i
Sacramenti, d’assistere al sacrifizio della messa, l’imitazione di nostro Signore, la divozione
verso la SS. Vergine, la felicità della perseveranza: in una parola tutto ciò che deve fare un
cristiano per incamminarsi a Dio; tutto ciò che deve evitare per essere felice dopo la sua morte,
più di quello lo fu durante la sua vita: ecco l’argomento più ordinario delle prediche.
Il catechismo ha per oggetto la spiegazione de’principali articoli della fede e delle verità
della religione maggiormente necessarie; perciò in esso si tratta del mistero della SS. Trinità,
dell’incarnazione del Figlio di Dio, del prezzo col quale si e compiaciuto di riscattarci; si parla
dei comandamenti di Dio e della Chiesa, de’Sacramenti, del simbolo, dell’orazione domenicale e
della salutazione Angelica. L’esposizione di queste differenti materie vien regolata sulla durata
della missione ed a proporzione della intelligenza degli uditori. Ognuno di quelli che hanno
lavorato alla loro salvezza si mette in grado di dir loro, lasciandogli, ciò che disse s. Paolo
a’fedeli di Mileto; Io vi cito per testimoni, che sono innocente della vostra perdita; ho fatto tutto
ciò che dipendeva da me per impedirla. {213 [213]} Il gran catechismo che si fa dal pergamo e
destinato all’istruzione delle persone adulte; perciò se ne fa un altro per i fanciulli. S’invitano fin
dal primo giorno con una esortazione famigliare a recarvisi esattamente; si dan loro gli avvisi di
cui hanno bisogno per profittarne; si parla ad essi in un modo proporzionato alla loro poca
intelligenza, si ricavano da’principi della fede delle conseguenze proprie a formare o a rettificare
i loro costumi; vengono animati con ricompense che devono essere il premio della saviezza e
della loro assiduità. Questo importante esercizio è terminato con santi cantici; la divozione vi
guadagna doppiamente, poichè la dottrina cristiana s’insinua in un modo piacevole, e le
pericolose canzoni sono dimenticate.
Tosto che il popolo sembra commosso dalle verità annunziate, si prende posto al
confessionale: ivi s’impiegano parecchie ore ogni giorno tanto al mattino quanto alla sera.
Visitare e consolare gli ammalati, fare una correzione fraterna a’peccatori impenitenti, sopire le
dissenzioni domestiche, riconciliare i nemici, insegnare a’maestri ed alle maestre di scuola a ben
soddisfare ai loro obblighi, stabilire l’associazione delia cariti a sollievo de’poveri; in una parola
impedire il male e fare tutto il bene che si può: ecco ciò che il Fondatore della {214 [214]}
Missione si propose, e che esegui nel corso della vita.
Quando uno ha soddisfatto a’bisogni principali della gente adulta, si dispongono alla
prima comunione coloro che sono giudicati capaci di esservi ammessi. Ai soccorsi che a questo
scopo si son loro prestati nel corso della missione si aggiunge, la vigilia di quel gran giorno, una
esortazione viva e tenera, propria a preparare quei giovani cuori a rieevere l’Agnello
immacolato, e seguita all’indomani da un’altra che precede immediatamente la comunione. In
quel giorno in cui la meno animata divozione si risveglia alla vista di un buon numero di
giovanetti pieni di fede e di amore, si chiude d’ordinario la missione. Vien questa terminata con
una processione solenne in rendimento di grazie, i piccoli fanciulli, che senza essere capaci di
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comunicarsi lo son pur troppo di offendere Iddio, hanno parte a’frutti della missione: s’inspira
loro un santo orrore al peccato, si ammaestrano ad egsere modesti in chiesa, si fa loro concepire
dolore pe’loro falli, e non potendosi far meglio, s’insegna loro almeno a confessarsi in progresso
colla necessaria sincerità e confidenza.
Riguardo a’missionari Vincenzo esigeva da essi fede viva e perfetta confidenza in Dio
per non cedere alle pene ed alle contraddizioni {215 [215]}, dalle quali il loro ministero e
sovente combattuto; mortificazione a tutta prova per sostenere la lunghezza del lavoro,
gl’incomodi dell’abitazione ed il rigore delle stagioni; pazienza invincibile per sopportare la
rustichezza grossolana di coloro che sono il principale oggetto delle loro cure; semplicità piena
di prudenza per istruirli e guidarli a Dio; indifferenza grandissima riguardo agl’impieghi,
a’luoghi, ai tempi ed alle persone, per non aver altra volontà che quella di Dio; finalmente umiltà
profonda edolcezza inalterabile sopratutto quando trattasi di eretici.
Porremo termine a questo capitolo coll’analisi di un discorso che Vincenzo fece ai suoi
intorno alla necessità delle missioni. Dopo di aver stabilito con s. Paolo che ognuno deve
camminare sulle pedate della sua vocazione, disse che le missioni sono l’impiego principale
della sua congregazione, che non si è incaricata de’seminari e della cura degli ordinandi se non
pel bisogno di preparare degli uomini propri a conservare i frutti delle missioni, e che in ciò ha
imitato i guerrieri, i quali, per non perdere una fortezza conquistata a viva forza, pongono in essa
buone guarnigioni; che per animarsi a fare delle buone missioni devono pensare che un’interna
voce intima ad ognun di essi: Uscite, Missionari, andate {216 [216]} colà dove io v’indirizzo:
eccovi delle povere anime che vi aspettano: la loro salvezza dipende in parte dalle vostre
predicationi e da’vostri catechismi.... Che risponderemo a Dio, proseguiva il Santo, se per colpa
nostra accadesse che qualcheduna di quelle povere anime morisse e si dannasse? Non avrebbe
forse ragione di rimproverarci esser noi in qualche modo la causa di sua perdizione per non
averla assistita quando era in nostro potere di farlo? E non avremo forse motivo di temere che
Dio ce ne chiedesse conto all’ora di nostra morte? All’opposto se corrispondiamo fedelmente alle
obbligazioni della nostra vocazione, non avrem forse ragion di sperare che Dio aumentera di
giorno in giorno sopra di noi le sue grazie, benedirà i nostri lavori, e finalmente tutte quelle
anime, le quali col mezzo del nostro ministero avran conseguita l’eterna salvezza, renderanno
testimonianza a Dio della nostra fedeltà nell’adempimento delle nostre funzioni?
Dopo di aver dedotto dal testo evangelico: Evangelizare pauperibus misit me, che la
santificazione de’poveri fu una delle principali funzioni del Salvatore, dimostra a’suoi preti
quanto sarebbe per essi pericoloso il trascurare questi membri sì abbietti agli occhi degli uomini,
ma sì preziosi a quelli di Dio: applica ad essi quelle {217 [217]} parole di s. Ambrogio: Si non
pavisti, occidisti. Parole, dice egli, vere quando trattasi del nutrimento dell’anima anche più di
quando riguardano soltanto quello del corpo; e ne conchiude, che un missionario deve tremare se
a causa dell’età, o sotto pretesto d’infermità, si rallenta e dimentica che Dio pone in lui la
salvezza de’poveri, perchè la salvezza dei poveri e un affare di cui si e incaricato presso Dio.
Il Santo si obbietta in seguito in nome di coloro che si prendono troppa cura della
conservazione della loro sanità, che il lavoro delle missioni può abbreviare i loro giorni. Ma
replica, qual uomo, al pari di s. Paolo, non bramoso che della morte per essere più presto unito a
Gesù Cristo: E che? sarà forse una disgrazia per colui che viaggia in un paese straniero lo
accelerare il suo cammino, e lo approssimarsi alla patria? sarà forse una disgrazia per un’anima
fedele andare a vedere e possedere il suo Dio? e finalmente sarà forse una disgrazia
pe’missionari andare più presto a godere la gloria che il Divin Maestro ha loro comprato co’suoi
patimenti e colla sua morte? E che? temeremo forse di veder succedere una cosa che non
sapremmo desiderare abbastanza, e che accade sempre troppo tardi? Or quel che dico a’miei
preti, lo dico eziandio a quelli che nol sono. Si miei fratelli, siete {218 [218]} al pari di noi
obbligati a lavorare per la salvezza de’poveri; potete farlo a modo vostro ma siete a ciò obbligati,
essendo con noi membri di un medesimo corpo, in quel modo che tutti i membri del sacro corpo
di Gesù Cristo hanno cooperato ognuno per la sua parte all’opera della Redenzione, poichè se il
suo capo fu trafitto dalle spine, i piedi furono forati da’chiodi, e se dopo la Risurrezione quel
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sacro capo fu coronato di gloria, i piedi vi hanno partecipato. Cosi parlava il sant’Uomo, e dalla
prima sua missione fino alla morte non cangiò mai. Diceva che si sarebbe creduto assai felice, se
avesse potuto terminare la sua vita accanto ad un cespuglio lavorando in qualche villaggio. Molti
ecclesiastici commendevoli per iscienza, per divozione, per qualità, tratti dal suo esempio si
associarono a’suoi lavori. Chi potrà, esclama lo scrittore di sua vita, concepire la moltiplicità
de’beni che ne provennero per la gloria di Dio e per l’utilità della sua Chiesa? Chi potrà dire
quante persone, che vivevano in una colpevole ignoranza delle cose della salvezza, sono state
istruite nelle verità che erano obbligati di sapere? Quanti altri, la cui vita marciva nel peccato, ne
vennero strappati col mezzo di buone confessioni generali? Quanti odii sradicati, quante usure
sbandite, quanti matrimoni nulli convalidati, quante {219 [219]} restituzioni fatte, quanti
scandali tolti? Ma eziandio quanti esercizi di religione, e quanta pratiche di carità stabilite in
luoghi, ove il nome di carità e di religione sembrava sconosciuto! Quante elemosine fatte da
persone che fino allora erano sembrate inaccessibili alla misericordia! Quante anime per
conseguenza santificate, e che in vece della gloria di cui godono oggidì nel seno di Dio sarebbero
in mezzo dei demoni nell’inferno!
Frutto. Non lasciamo mai di andare alla predica ne’giorni festivi. Che se il nostro stato
non comporta di occuparci nel sacro ministero, recitiamo cinque Pater alle piaghe di Gesù Cristo
a fine di ottenere che niuno di quelli che muoiono in questo giorno vada all’inferno.
Giorno vigesimottavo. Suo zelo per la gloria di Dio e per la salvezza
delle anime.
Passa un legame necessario fra lo zelo della gloria di Dio e quello della salvezza delle
anime. Chi mai dovrassi riguardare come uomo divorato dallo zelo della casa di Dio? domanda s.
Agostino. Si è colui, risponde lo stesso Dottore, che desidera ardentemente {220 [220]}
d’impedire che Dio sia offeso; fa riparare quelle offese, le quali non ha potuto prevenire; e
quando non può giungere allo scopo di farle piangere da coloro che le hanno commesse, piange e
geme di veder Dio disonorato. Su questo fondamento bisogna convenire che Vincenzo ebbe in
altissimo grado il doppio zelo di cui parliamo. Quanto finora dicemmo prova il suo unico scopo
essere stato di distruggere il peccato e che in tutte le sue opere sempre attese a procurare la gloria
di Dio e la santificazione del prossimo. Il suo zelo fu saggio, illuminato, invincibile e scevro da
ogni motivo d’interesse; dimostreremo questi quattro punti con prove di fatto.
In primo luogo il suo zelo fu saggio, non mai violento; correggeva coloro che si
trovavano sotto la sua guida perchè era obbligato di farlo; ma nelle sue riprensioni non si
ravvisava quell’amarezza che svela il capriccio e la parzialità. Aveva il mirabil dono di dare dei
pareri qual uomo che combatte un male attuale e vuole prevenire un male che si potrebbe fare in
progresso. Nelle missioni egli tuonava contro al delitto, ma dopo avere spaventato il peccatore
gli inspirava confidenza. Senza lusingare l’empio, aveva per lui i riguardi che una madre ha per
suo figlio. Parlando a’grandi del secolo non alterava punto la verità; ma {221 [221]} questa
verità sì sovente odiosa la faceva passare alle ombre del rispetto, della tenerezza, e dell’alta idea
che si ebbe sempre della sua probità.
Lo zelo di Vincenzo era pur anche illuminato. Le massime del Vangelo, l’autorità
de’Padri, le decisioni de’più celebri dottori furono le sue guide. Ve ne sono forse delle più
sicure? Per tal modo si allontand sempre in fatto di morale e dal rigorismo, e dalla rilassatezza.
Un gran fondo di buon senso, le sue relazioni amichevoli con tutti i migliori della facoltà di
teologia di Parigi, la sua attenzione a ricorrere a Dio ne’suoi dubbi, in una parola tutte le sue
buone disposizioni di grazia e di natura lo condussero per quel cammino sicuro che sta in una
giusta distanza dagli estremi.
Il suo zelo fu ancora invincibile; quale forza e costanza non ha dovuto avere un uomo che
sollevò e fece sollevare per un sì lungo corso d’anni vaste provincie, li cui bisogni rinascevano
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giornalmente? Un uomo che, per provvedere a’poveri di parecchi ospedali, ebbe a superare
difficoltà d’ogni genere; un uomo che oppresso dalle infermità e nell’età di 80 anni faceva delle
missioni, predicava, confessava, catechizzava i fanciulli; un uomo che, quando trattavasi della
gloria d’Iddio e della salvezza delle anime, non temeva difficoltà, non perdonava {222 [222]} a
fatica, non risparmiava a spesa. Oh! signori, scriveva per incoraggiare i suoi figli a lavorare con
zelo, se la congregazione che si trova ancora sul suo nascere, ha avuto il coraggio di fare tante
missioni, tante conferenze, tanti ritiri, tante riunioni, tanti viaggi per li poveri, di stabilire tanti
seminari, tante associazioni di carità, e d’abbracciare tutte queste differenti occasioni per servir
Dio, farà certamente qualche cosa di più, allorchè il tempo le avrà dato delle forze, purchè sia
fedele alla grazia della sua vocazione. Se la salvezza di un’anima sola merita che per procurarla
espongasi la vita temporale, sarebbe cosa indegna l’abbandonarne un sì gran numero per evitare
qualche spesa.
Finalmente il suo zelo fu disinteressato. Ben lontano dal passare i mari o dal percorrere le
campagne all’oggetto di mietervi il temporale de’popoli, rendeva loro a proprie. spese tutti i
servigi che dipendevano da lui. Neppur voleva che nelle missioni si accettasse l’elemosina delle
messe, che dicevansi per loro: voleva che si distribuisse agli ammalati da que’medesimi che la
presentavano. Se un paroco ricco offeriva la sua mensa, era proibito di accettarla. Un missionario
che lavora coll’altrui borsa non e meno colpevole di un cappuccino che tocchi il danaro. Io vi
prego una volta per sempre {223 [223]} di non far mai missioni se non che a spese della vostra
casa.
A questo primo genere di disinteresse Vincenzo ne congiungeva un altro più difficile e
molto men comune. Sciolto dallo spirito di gelosia, contro di cui molti, che percorrono la stessa
camera, non stanno sempre in guardia, il suo zelo era simile a quello di Mose. Al pari di lui
desiderava che tutti avessero lo spirito del Signore, vedeva i loro successi colla santa gioia dei
figli di Dio, li pubblicava ovunque, e rendeva loro de’servigi, i quali la maggior parte di essi non
mai conobbero. Per far risaltare i loro lavori s’induceva perfino a diminuire i propri. Nella sua
congregazione non ravvisava se non spigolatori poco abili, che seguono da lungi i grandi
mietitori, e che per trovar grazia innanzi a Dio dovevano credere che i loro piccoli manipoli di
spighe non venissero accettati che col favore dell’abbondante raccolta degli altri. Ma se quel
grand’uomo ha detto col Saggio di aver procurato di raccogliere quei pochi grappoli che
sfuggono a’vendemmiatori, la Chiesa nel suo uffizio gli fa dire in oggi che malgrado ciò ha
riempiuto lo strettoio: Et quasi qui vindemiat, replevi torcular. Il lettore l’ha potuto conoscere fin
qui: le massime e lo spirito del servo di Dio si sono sostenute fino al presente in {224 [224]}
tutta la loro integrità fra i missionari. Questo basti per far conoscere che lo zelo di Vincenzo fu
saggio, illuminato, invincibile e disinteressato.
Frutto. Una limosina ad un povero fanciullo; e non potendo farla si vada ad ascoltare una
messa per ottenere dal Signore la conversione di tante anime che giacciono miseramente
nell’ignoranza delle verità del Vangelo.
Giorno vigesimonono. Del suo disinteresse e del suo distacco dai
beni della terra.
Un signore che aveva dato un fondo di quattromila lire per le missioni, cadde nel
bisogno: come Vincenzo ne fu informato, gli scrisse di prendersi la rendita del dono che aveva
fatto, aggiungendo che se questa non bastava, gli avrebbe novellamente ceduto il capitale; e per
indurlo a dichiarare il suo pensiero con maggiore libertà, gli fece sapere non essere questa la
prima volta che operava in tal modo. Alcuni anni dopo avendo temuto che uno dei benefattori
della sua congregazione, che si diceva molto a male ne’suoi affari, si rimproverasse la sua
propria liberalità, Vi supplico, gli disse {225 [225]} Vincenzo, di far uso degli averi della nostra
campagna come se fossero vostri. Siamo pronti a vendere per voi tutto ciò che abbaimo, e fino i
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nostri calici: non faremo con ciò se non quello che ordinano i santi canoni, cioè di rendere al
nostro fondatore nel suo bisogno quello ch’egli ci ha dato nella sua abbondanza, e ciò che vi
dico, signore, lo dico innanzi a Dio, e come lo sento nel fondo del cuore.
Un gran numero di signore di primo ordine offerto al santo Sacerdote la somma di
seicentomila lire per fabbricare una nuova chiesa, non volle accettarla, ed allegrò per ragione che
erano troppo grandi allora i bisogni dei poveri, ai quali si doveva prima d’ogni cosa provvedere.
Gli fu mossa una lite, e tutti dicevano essere ingiusta; nulladimeno Vincenza la perdette.
Alla prima notizia ch’egli n’ebbe, scrisse ad un suo amico: I buoni amici si partecipano il bene
ed il male che loro accade; e siccome voi siete uno de’migliori che noi abbiamo, non posso non
comunicarvi la perdita fatta della lite e del podere, non già come un male che sia avvenuto, ma
come una grazia fattaci da Dio, affinchè voi vi compiacciate aiutarci a ringraziarnelo. Io appello
grazia di Dio le afflizioni ch’egli c’invia, soppartutto quelle {226 [226]} che sono bene ricevute;
ora la sua bontà infinita avendoci disposti a questa privazione innanzi ch’ella fosse ordinata, ci
ha fatto consentire a quest’accidente con una intera rassegnazione, ed oso dire con tanta gioia
come se ci fosse stata favorevole. Sembrerebbe questo un paradosso a chi non fosse tanto avanti,
come voi lo siete, nelle cose del cielo, ed a chi non sapesse che la conformità al piacere di Dio
nelle avversità è un bene maggiore di tutti i vantaggi temporali. (Lettera a Desbardas della
camera de’conti)
Sparsa la novella della sentenza, un gran numero de’più indigni avvocati impegnarono il
sant’Uomo as interporre l’appello, uno fra gli altri l’assicurò ch’esso era infallibile, e si offerse
non solamente a patrocinare senza retribuzione, ma ancora ad indennizare la casa di s. Lazzaro se
avesse per la seconda volta la disgrazia di soccombere. Malgrado queste sicurezze Vincenzo non
volle appellarsi: Quantunque siamo assicurati, scriveva al sucitato amico, di essere ben fondati
col prevvederci ad interporlo: 1o perchè otto avvocati che abbiamo consultato congiuntamentee
separatamente prima della sentenza che ci ha spossessati, ci avevano sempre assicurati che il
nostro diritti era infallibile; {227 [227]} ciò non ostante la corte ha giudicato diversamente: tanto
e vero che le opinioni sono varie, e che non bisogna mai appoggiarsi sui giudizi degli uomini. 2°
Una delle nostre pratiche nelle missioni essendo di comporre le differenze del popolo, vi sarebbe
a temere che se la compagnia si ostinasse in una nuova contestazione con questo appello, che e il
rifugio de’più gran litiganti, Dio non ci togliesse la grazia di lavorare per gli accomodamenti. 3°
Noi daremmo un grande scandalo, dopo un gindizio sì solenne, litigando per distruggerlo;
saremmo biasimati per troppo attacco ai beni, rimprovero solito a farsi agli ecclesiastici, e
facendoci nominare ne’magistrati, noi faremmo torto alle comunità, e saremmo causa a’nostri
amici di scandalizzarsi di noi. 4° Noi abbiam motivo di sperare, che se il mondo ci toglie qualche
cosa da una parte, Dio ce ne accordera dall’altra. Lo abbiamo provato dacchè la corte ci ha tolto
il possesso di quella terra, perchè Dio ha permesso che un consigliere della medesima camera
ove siamo stati giudicati, ci lasciasse morendo, quasi altrettanto. Finalmente per dirvi ogni cosa,
ho gran pena d’andare contro il consiglio di nostro Signore, il quale non vuole che, chi prende a
seguirlo, si metta a litigare, e se l’abbiamo fatto è solo perchè non poteva in coscienza
abbandonare {228 [228]} un bene di comunità, di cui non aveva che l’amministrazione, senza
fare il possibile per conservarlo: ma ora che Dio mi ha scaricato di questa obbligazione con una
sentenza sovrana che ha reso inutili le mie cure, penso dobbiamo qui fermarci.
Sebbene gli occhi de’più illuminati del suo secolo l’abbiano trovato grande in ogni cosa,
non l’hanno forse giammai trovato più grande di quando lo hanno osserrato nel suo distacco
assoluto da’beni della terra. In qualità di segretàrio di stato, dice un celebre personaggio, fui in
grado di avere una stretta relazione col signor Vincenzo. Egli ha fatto più opere buone in Francia
in favore della religione e della Chiesa che qualunque altro a mia cognizione; ma ho
particolarmente osservato che al consiglio di coscienza, ov’era egli l’agente principale, non mai
si parlò de’suoi interessi, nè di quelli della sua congregazione, e nemmeno di quelli delle cose
ecclesiastiche che aveva stabilite. Impiegava il suo credito in favore di tutti coloro che ne
credeva degni; e quanto a lui si era tolto dal catalogo di chi poteva sperar qualche grazia. I suoi
parenti più prossimi nulla ebbero da lui. Sovente fu sollecitato a favorire i suoi nipoti; rispose
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sempre ch’egli amava meglio vederli vangar la terra, che vederli beneficiari. Il che ha fatto dire
che, secondo le {229 [229]} idee del mondo, nell’essere ciò che era stato alla corte, aveva
perduto più di quello avesse guadagnato. Se avesse dimandato per se la casa di s. Giuliano,
certamente l’avrebbe ottenuta, ma non penso che a farla avere a coloro a’quali oggi appartiene.
Un anno di preghiere e d’istanze non potè determinare Vincenzo a prendere la casa di s. Lazzaro,
ed allorchè gli fa contrastata voleva abbandonarl; e l’arrebbe di fatto lasciata se non gli fosse
stato provato che non poteva ciò fare in coscienza.
Un ecclesiastico gli recò cinquecento scudi; ma Vincenzo, benchè ridotto ad un estremo
bisogno, li rifiutd, dicendo che duemila poveri ch’erano ammalati ne avevano anche maggior
bisogno di lui. Il procuratore regio in una delle più grandi citta del regnogli diede, avanti
d’entrare nella sua congregazione, una possessione di cui era padrone; ma Vincenzo la restituì
a’suoi parenti perchè questa donazione non era stata da loro gradita.
Il distacco del santo Sacerdote si estendeva fino alla sua congregazione, e non avrebbe
voluto fare, nè soffriva che i suoi facessero un sol passo per procurargli i migliori soggetti od i
più bei stabilimenti; la massima di lasciar fare tutto a Dio, d’abbandonarsi a lui senza riserva, di
seguire e non già di prevenire la sua provvidenza, si {230 [230]} ripete sì spesso nelle sue
lettere, che si vede non averla mai perduta di vista.
Seguito egli lo stesso metodo per le figlie della carità. Non solamente non avrebbe voluto
ch’erigessero degli stabilimenti, ma voleva di più che fossero disposte a sacrificare quegli stessi
che avevano. Le ritirò da un luogo dove erano state chiamate perchè non vi avrebbero pututo
restare senza cagionare delle contestazioni.
Frutto. Pensiamo a diminuire qualche spesa domestica per darla a’poveri, specialmente in
questi tempi in cui si rende tanto grave il bisogno di soccorrere persone bisognose di ogni età e
di ogni condizione.
Giorno trentesimo. Sua preziosa morte.
Due sono le cose che sogliono turbare in punto di morte; i peccati della vita passata, e il
dover comparire davanti al Divin giudice. Noi spesso vediamo uomini ridersi della morte e
burlare chi con opere buone vi si prepara. Ma costoro medesimi trovandosi in quello estremo di
vita, in quel momento che cessa la finzione e si parla delle cose come si conoscono in se stesse,
allora sentono {231 [231]} il rimorso del bene trascurato e del male operato e si vede l’infelice
mortale dare nelle agitazione, nelle smanie, e talvolta nella disperazione. Per costoro la morte è il
peggiore di tutti i mali. Delle anime buone non è così: più si avvicina il finir della vita, più cresce
in loro il desiderio di andarsi ad unire a quel Dio che hanno amato e servito. Se qualche volta
Iddio permette che anche le anime buone all’idea di doversi presentar al riguroso suo tribunale
ne rimangono di timore e di spavento ripiene, Egli stesso corre in loro soccorso, le conforta, le
riempie di corraggio, di confidenza, di rassegnazione; la morte di costoro è preziosa negli occhi
del Signore: pretiosa in conspectu Domini mors sanctorum eius.
Vincenzo niente aveva a temere; tutto aveva a sperare. Egli trovavasi alla fine de’suoi
giorni con una vita condotta nell’inocenza e nella pratica delle più elevate virtù. Era sfinito di
forze, ma forze tutte consumate in opere di carità, nelle prigioni, negli ospedali, nelle carceri, nel
predicare, confessare, catechizzare. Poteva egli dire ciò che diceva s. Pietro al suo divin maestro:
ho fatto quanto mi camandaste, perciò qual premio mi volete dare? Nell’accorgersi che si andava
vicinando l’ora sua, ne parlava con umiltà e con desiderio di andar presto a vedere il suo Dio.
Alle {232 [232]} volte diceva a’suoi: fra pochi giorni il cadavere di questo vecchio peccatore
sarà posto sotterra, ridotto in polvere, e voi lo calpesterete. Altre volte refiettendo al numero
de’suoi anni esclamava: Oh Signore, io vivo troppo lungamente; già non mi emendo, e i miei
peccati si vanno coll’età moltiplicando.
Tutta la vita di lui fu una continua preparazione alla morte, nulladimeno negli ultimi anni
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si dispose a questo gran passaggio con maggior fervore. Faceva gli esercizi spirituali, pregava,
faceva pregare altri per lui. Ogni sua parola, ogni pensiero, ogni azione as altro non tendeva che
all’anima, a Dio, all’eternità. Era maturo pel cielo. Cadde in una malattia, per cui più non
pigliava sonno nè notte, nè giorno. Il che giudicando foriere di sua morte, per modo di scherzo
diceva: Il fratello sta aspettando la sorella. Non potendo più celebrare la santa messa continuò ad
udirla e a fare la s. Comunione tutti i giorni fino alla vigilia di sua morte. In tale giorno, dopo di
avere soddisfatto a’soliti esercizi di pietà, si trovò talmente sfinito di forze, che fu costretto a
farsi portare dall’Oratorio in sua camera, dove fu assalito da un letàrgo che pronosticava il fine
prossimo de’suoi giorni. Esaminato lo stato del male, il medico disse non esservi più romedio, nè
speranza di {233 [233]} vita. Si licenziò pertanto da Vincenzo, il quale con bocca ridente
gl’indirizzo alcune parole di ringraziamento, senza pero poter finire di pronnnziarle.
Uno de’sacerdoti più anziani della casa gli chiese la benedizione per se e per tutti quelli
della congregazione, tanto presenti quanto assenti. Fece egli uno sforzo per alzare alquanto la
testa e proferire le solite parole della benedizione; ma dopo averne proferite distintamente
alcune, mancandogli le forze, prosegui il restante sotto voce. La sera gli fu amministrata
l’estrema unzione; e passo tutta la notte in una dolce, tranquilla e continua applicazione a Dio.
Gli astanti acoorgendosi che aveva particolare divozione a quelle parole del Salmista: Deus, in
adiutorium meum intende; Domine, ad adiuvandum me festina: mio Dio porgetemi pronto aiuto;
Signore, venite presto in mio soccorso: spesso gli replicavano la parte del primo versetto, ed egli
tosto rispondeva Domine, ad adiuvandum me festina. Un ecclesiastico lo pregò di dare a lui e a
tutti gli ecclesiastici della conferenza la sua benedizione, affinchè niuno declinasse dalla via
diretta per la quale avevali indirizzati. Vincenzo con sentimento di umiltà rispose: Quel Dio che
cominciò l’opera buona saprà conservarla. Quinci a poco tutto assorto in celesti pensieri, senza
fare alcuno {234 [234]} strepito, conservando la solita serenità di volto e tranquillità di spirito a
guisa di chi dolcemente piglia sonno, riposò nel Signore. Morì in Parigi nell’anno 85 di sua età il
27 settembre 1660.
Sparsa la notizia della morte di Vincenzo, udissi risuonare da ogni parte: è morto il Santo.
Piansero gli orfani, piansero le vedove, e tutti i poveri esclamarono con lagrime: e morto il
nostro padre, il nostro rifugio, il nostro sostegno. Sacerdoti, prelati, cavalieri, senatori e principi,
e assai più quelli della sua congregazione, furono inconsolabili. Ma i singhiozzi di dolore
cangiaronsi nella più tenera consolazione al pensare che perdendo un sostegno in terra avevano
acquistato un protettore in cielo.
Ecco la morte dei giusti; amati da Dio e dagli uomini, desiderati in terra e glorificati in
cielo; muore il giusto; e vuol dire che cessa di faticare in terra per regnare eternamente con Dio e
co’Santi in cielo. Ma bisogna persuaderci che in punto di morte si raccoglie il frutto del bene
operato nel corso della vita: chi avrà ben operato si aspetti una santa morte, principio di una
beata eternità, ma guai a chi non vi si prepara. Quae seminaverit homo haec et metet.
Frutto. Siamo in tempo a prepararci per morir bene perciò disponiamoci a fare di {235
[235]} mani o al più presto che potremo una buona confessione ed una santa comunione come se
fosse l’ultima di nostra vita.
Giorno trentesimoprimo. Elogio per la festa del Santo.
Dilectus Deo et hominibus. Pare difficile cosa il piacere a Dio ed agli uomini; perciocche
mentre uno studiasi di piacere a Dio per lo più incontra l’indignazione dei mondani, i quali punto
non capiscono le cose che al Signore riguardano. Tuttavia Vincenzo ebbe il doppio vantaggio di
essere amato da Dio e dagli uomini. Il Dator d’ogni lume ricolmo avevalo de’suoi più preziosi
favori. Una vita immacolata, una divozione sublime, una fede inconcussa, una prudenza
consumata, una pazienza superiore alle malattie le più acerbe, un coraggio infaticabile tra i santi
rigori della penitenza, un’umiltà nemica d’ogni ambizione, una mirabile facilità a perdonare le
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ingiurie, e uno zelo per la salvezza delle anime, cui niuna difficoltà poteva nè rimuovere, nè
disanimare; ecco i tratti caratteristici di Vincenzo. A queste doti aggiunger conviene l’amabile
sua franchezza, l’ingenua semplicità ognor guidata in lui dallo {236 [236]} spirito di saviezza, la
modestia accompagnata da una santa giocondità, la tenera compassione verso de’poveri, l’attenta
ed incessante applicazione per restituire il primiero suo fervore alla religione ed al clero l’antico
splendore. Tal fu Vincenzo: Dilectus Deo.
Nato per riparare a grandi mali, ei visse in un tempo in cui l’eresia e le guerre intestine
coperto avevano d’orrore e di desolazione la Francia intera. Da una parte scosso erasi il giogo
della religione, dall’altra più non rispettavasi l’autorità regia. I principi stessi che dovevano
frenare la moltitudine davanle il funesto esempio della rivolta. Le provincie divise in varie
fazioni stavansi armate le une contro alle altre. Laddove il calvinismo era riuscito a rendersi
preponderante, vedevansi rovinate le chiese, rovesciati gli altari, fugati i sacerdoti, oppure
barbaramente scannati, vilipesi e indegnamente calpestati i nostri più santi misteri, abolito il
santo sacrifizio degli altari. Qual non fu mai il rammarico di Vincenzo non trovando più la verità
sulle labbra degli uomini, eveggendo poltrire la maggior parte dei pastori in una colpevoli
inerzia, ed i popoli in una profonda ignoranza? Ma non si stette già egli ozioso spettatore di mali
cotanto gravi, che anzi ardentemente applicossi a scuotere lo {237 [237]} zelo de’pastori, ad
illuminare i popoli, a ristabilire la caduta disciplina. Dilectus Deo. Il primo mezzo da lui
impiegato fu quello delle missioni. Animate dallo spirito degli Apostoli egli sparse il Vangelo
ovunque guidavalo la Provvidenza, autorizzato dai principali pastori. Il successo corrispose ai
suoi lavori; riaccese lo zelo del clero, e dove non gli riuscì di risvegliarlo, vi suppliva per sè
stesso, e per mezzo di degni operai da lui chiamati a compagni. Per rendere più fecondo il suo
ministero associò a quello gli uffizi tutti della carità: credevasi risponsabile di tutto il bene che si
trascurasse di fare, e di tutto il male che si commettesse. Osservò che spesso le popolazioni delle
campagne non erano coltivate nè istruite; che gli stessi loro pastori lasciavanle languire
nell’ignoranza e nel disordine. Infiammossi lo zelo di lui a pro di quelle; si credè appositamente
spedito per annunziar loro il Vangelo, ed annunziollo con gioia tanto maggiore, quanto che trovò
preso di loro più semplice la fede, il cuore più docile. Percorse con incredibile fatica le borgate, i
villaggi, i più rimoti casali, i più inaccessibili luoghi. Colà penetrò in cerca delle anime, vili
bensì agli occhi degli uomini, ma preziose a quelli di Gesù Cristo. Insegnò loro i misteri di nostra
santa religione, le regole della cristiana morale, e {238 [238]} ricondusse alla casa paterna quei
figli prodighi. Dilectus Deo et hominibus.
Stabilitosi in Parigi, occupato in importanti incumbenze, non gli sfuggirono giammai di
mira i suoi amici, vale a dire i poveri. La tenerezza per loro parve nata con lui, rendevasi ad ogni
ora più attiva e più ingegnosa per iscoprire e sollevare i loro bisogni. Non havvi maniera di opere
di carità, per la quale non rinvenisse inesauribili mezzi. I vecchi curvi sotto il peso degli anni, gli
orfani, i trovatelli, i condannati alla galera, le intere provincie dalle guerre intestine ed estere
ridotte alla più orribile miseria, tutti trovarono in Vincenzo un padre, un liberatore. Agli uni
procurò la salute, la libertà agli altri, a questi una cristiana educazione, a quelli un onesto ritiro.
Per cura di lui sorsero in Parigi magnifici ospedali per servire di ricovero ai poveri che
ingombravano le vie di quella città. Non c’era bisogno che sfuggisse alla imm’ensa carità del
sant’Uomo, ed affinchè non mancasse cosa alcuna all’eroismo di opere così grandi, alla cura
delle anime quella ancora riuniva de’corpi. Dilectus Deo et hominibus.
Fu per tal modo Vincenzo uno di quegli uomini di misericordia, la cui divozione vivrà
mai sempre nei fasti della Chiesa. È Esso cui i re, i principi, i ministri, i vescovi {239 [239]}, i
magistrati, la nobiltà, il popolo riguardarono come il Santo del secolo. Egli fu il modello
de’pastori, il padre de’miseri, l’appoggio de’vescovi, il consigliere dei re, il riformatore del
clero, il difensore della Chiesa, l’anima di tutto ciò che durante la sua vita si fece di grande per la
gloria di Dio. Malgrado la povertà di cui faceva professione ha distribuito in vent’anni elemosine
straordinarie. Il suo zelo non conobbe confini tranne quelli imposti all’universo. Senza uscire di
Parigi metteva in movimento la Francia, la gran Brettagna, l’Italia e la Polonia. Dopo aver
saziato sott’ogni aspetto gli abitatori delle fredde Ebridi apportò nuove fiamme nei caldi climi, e
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si sforzò di santificare ad un tratto e lo schiavo d’Algeri, e l’indigeno del Madagascar. Egli e, le
cui virtù eressero i propri trofei dell’uno e dell’altro popolo; che in tempi ne’quali la moltitudine
de’peccatori sembrava minacciare la religione di totale rovina seppe sostenerla ad onta de’loro
sforzi. Aprì alla medesima le case della sua congregazione come altrettanti asili, ed in quelle essa
non solamente acquistò nuove forze, ma fece innumerabili conquiste. I cristiani, a cui
l’imbarazzo degli affari ed ancor più le proprie passioni, avevano chiuso gli occhi sulla gloria
della celeste loro origine, rinvennero in Vincenzo e ne’suoi figli {240 [240]} altrettante guide
illuminate, altrettanti medici caritatevoli, che insegnarono loro a porre in non cale i beni caduchi
della terra, ad apprezzare quelli del cielo. Coloro stessi che, apportando un cuore innocente in
quei santi ritiri, vi andavano a formare il piano di un’alta perfezione, trovavano in Vincenzo
mirabili esempi d’ogni virtù. Tali furono i frutti degli esercizi spirituali di dieci giorni che
Vincenzo stabili nelle sue case. Merce della solitudine, del silenzio, degli spirituali colloqui,
della preghiera, delle sante letture, la divozione si rianimò e continuamente prosegue a vie più
rinvigorirsi: Dilectus Deo et hominibus.
Ma principale cura del santo Sacerdote fu l’affaticarsi per la riforma del clero, persuaso
essere questo la sorgente, da cui la religione e la divozione si diffondono sui popoli. Per
contribuire a questa grande opera Vincenzo s’incaricò di preparare, asecondo delle disposizioni
de’vescovi, gli ordinandi al santo ministero. A tal fine non risparmiò spese nè fatiche per metterli
alla prova. Istruzioni, preghiere, tutto fu impiegato per animare gli aspiranti a’sacri ordini e
prepararli ad ascender all’altare coll’innocenza de’costunii e col profondo rispetto dovuto alle
sante funzioni. Degnossi Iddio di porre il nostro Santo in grado di fare qualche cosa di più,
preparando cioè {241 [241]} dei degni vegcovi per le chiese. Chiamato dalla regina madre Anna
d’Austria reggente del regno al consiglio di coscienza contribuì moltissimo a far innalzare degli
uomini apostolici alle primarie dignità della Chiesa; e si può asserire che il clero di Francia fu a
lui debitore del lustro, di cui risplendette. Che diremo poi delle conferenze sulla sacra Scrittura,
sulla disciplina ecclesiastiea, sui costumi de’pastori, delle quali Vincenzo fu il promotore? Che
diremo della moltitudine de’seminari di cui fornì lo stabilimento, cui diede dei regolamenti ed
arricchì di saggi direttori? Dilectus Deo et hominibus.
Le caritatevoli premure di lui tutto abbracciavano; la salute del corpo ugualmente che la
salvezza dell’anima formavano del pari l’oggetto di sue vigili cure. Si vedeva abbassarsi alle più
umili funzioni verso i poveri, ed esortare i moribondi con quella eloquenza dolce, insinuante,
persuasiva, che animata dalla carità per lo più trova la ricompensa nel buon successo. Alle riunite
loro fatiche sono appunto dovuti quegli stabilimenti che servono d’asilo alla miseria. Si videro
essi posteriormente crescere in gran numero, e mediante la beneficenza dei popoli, lo zelo
de’ministri e la tenera pietà de’pastori, si moltiplicano eziandio ai giorni nostri sotto la
denominazione di Ospizi di {242 [242]} carità. Nell’Italia, nella Francia, in tutta l’Europa sonvi
di tali pii stabilimenti, dove innumerevole quantità di poveri abbandonati trovano scampo alla
loro miseria spirituale e temporale. Per tacer di tante altre città, la sola Torino conta due ospedali
per fanciulli infermi: una casa per i trovatelli; un ricovero di mendici; parecchi ospizi di carità
per le persone adulte, sane od inferme; infine a’nostri giorni vediamo gloriosamente trionfare
l’opera colossale detta Piccola Casa della divina Provvidenza sotto gli auspizi di s. Vincenzo
de’Paoli, dove ogni sorta di miseria umana trova rifugio e sollievo. Tali sono i frutti della
semenza sparsa da s. Vincenzo de’Paoli, di quel grand’uomo caro a Dio ed agli uomini. Dilectus
Deo et hominibus.
Mentre noi ammiriamo le sante sue opere, adoperiamoci anche per imitar le sue virtù, e
saremo sicuri di venir anche noi cari agli uomini; ma quello che più importa diverremo cari a
Dio, il quale sapra largamente ricompensare ogni nostra azione col ricolmarci di benedizioni in
terra per renderci un di partecipi della gloria che i beati, in compagnia di Vincenzo, godono in
cielo per tutti i secoli de’secoli.
Frutto. Facciamo del bene mentre siamo in tempo; se poi nel lavorare per la gloria {243
[243]} di Dio ci toccherà sopportare fatica, tribulazioni di qualsiasi genere, diciamo con s. Paolo:
Ciò che soffro e cosa di un momento, ma il premio, la ricompensa che Dio mi darà in cielo
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durerà in eterno. {244 [244]}
Al glorioso S. Vincenzo de’ Paoli
Che nato in Francia l’anno 1576, sedendo sopra la cattedra di s. Pietro Gregorio XIII,
destinato alla custodia della paterna greggia, applicato agli studi, laureato in teologia, ordinato
sacerdote, fatto schiavo da’Barbari, venduto a tre padroni, l’ultimo apostata riconduce alla fede,
riceve in Roma secreti importantissimi per Enrico IV. Parroco zelantissimo e vigilantissimo
rifabbrica in Clichy senza spese de’parrocchiani la chiesa che provvede di mobili ed ornamenti,
passa a Chatillon in Bresse, riforma i disordini del clero, converte eretici, soccorre i poveri, e il
popolo traviato per l’errore riconduce sul sentiero della verità, ventottesimo abate di s. Leonardo
di Chaume nella casa di Filippo Emanuele de Gondi conte de Joigny, generale delle galere di
Francia, direttore di Francesca Margherita contessa di Silly, dama di gran virtù, aio illuminato
dei tre di lei figliuoli di {245 [245]} cui il primo Duca e pari di Francia, il secondo Cardinal di S.
Chiesa, muore il terzo in età di undici anni; regio elemosiniere delle galere di Luigi XIII, cui
assiste in morte, limosiniere della Regina vedova Anna d’Austria, suo consigliere per gli affari
ecclesiastici, fondatore e primo superiore generale della congregazione de’preti secolari della
missione e delle figlie della carità serve dei poveri, di varie compagnie di dame, di donne, di
fanciulle in servizio degl’infermi, primo promulgatore del Vangelo nell’isola di Madagascar per
mezzo de’suoi sacerdoti, instancabile operaio nella vigna del Signore, manda i suoi a predicare
per la Francia, Italia, Polonia, Scozia, Irlanda, Inghilterra, Barberia e le Indie, ristoratore
zelantissimo dell’onor del sacerdozio di G. C. ristabilisce il decoro del clero di Francia, ripara
l’ecclesiastica disciplina, fonda, promuove, dirige seminari per li chierici, apre scuola di Riti
Sacri in S. Lazzaro di Parigi, instituisce gli esercizi spirituali per gli ordinandi e conferenze per
gli ecclesiastici, gli promuove per ogni sorta di persone cui vuole aperte le case di sua
Congregazione, acerrimo oppugnator del vizio e dell’errore, difende con zelo i principii della
fede e della morale del Vangelo, ha in orrore le nuove nascenti eresie, sempre sommesso
all’autorità della Chiesa e del suo Capo successor {246 [246]} di s. Pietro, ne difende i diritti,
rispetta i Vescovi, ubbidisce ai loro decreti, padre comune de’poveri, vero amico de’miserabili
per cui soccorso spende oltre le molte limosine segrete più di vent’ottomilioni e ottocento mila
lire di Francia, fonda grandiosi Spedali, dentro e fuori del Cristianesimo, cinque in Parigi per gli
esposti, per li forzati, per gli artisti, per gli mendici, per li discoli e pazzerelli, uno per li
pellegrini nella terra di S. Regina diocesi di Autun, uno in Marsiglia per li forzati, uno nella città
d’Algeri per gli schiavi cristiani, promuove e coopera alla fondazione di vari Ospizi pel ricovero
di fanciulle, provvede di vitto cotidiano quindici mila poveri di Parigi e per trent’anni di
medicine e di alimenti a moltitudine grande d’infermi in Francia, in Savoia, in Italla e in altre
provincie più remote, rifugio di Ecclesiastici, di Religiose, di Dame, di Cavalieri costretti per
amor della fede di abbandonare la Scozia, l’Irlanda, l’Inghilterra, a tutti provvede ricovero, vitto
e vestito. Di tutti Vincenzo e padre, amico, consolatore, dispensa seicento mila lire ai popoli
della Champagne e della Lorena desolati dalla peste, dalla fame, dalla guerra, un milione e
seicento mila lire a quei della Lorena e dell’Ardesia, dodici mila scudi ai Maroniti del Libano,
riscatta più di mille {247 [247]} e ducento schiavi col prezzo d’un milione e ducento mila lire,
sostenta nello spirituale e nel temporale i Cristiani fra i Turchi in Tunisi, in Algeri, in Biserta, in
Cales, in Petriera, ristora, fornisce di arredi sacri molte chiese saccheggiate e rovinate per le
guerre in procellosi tempi da intestine guerre civili, al popolo francese agitato e oppresso
pacifico mediator tra lui e‘1 trono, buon ordine ridona, giustizia, sicurezza e pace lodato da s.
Francesco di Sales qual sacerdote di cui non conosceva nè il più degno nè il più prudente, avuto
in sommo pregio da s. Giovanna Francesca Fremiot de Chantal, scelto da entrambi in primo
superiore e confessore delle religiose della Visitazione di Parigi che assiste con carità, instruisce
con zelo, regola con prudenza per più di quarant’anni, amato da’sommi Pontefici, stimato da’più
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saggi Cardinali, rispettato da’più ragguardevoli personaggi, consultato come oracolo del secolo
da’Principi, Vescovi, Magistrati, Parroci, Dottori, Religiosi, Abati e Superiori di comunità,
benemerito di tutti gli Ordini regolari in Francia ne riforma varie Abazie e Monasteri di uomini e
di donne {248 [248]}
A Vincenzo de’ Paoli
Che sempre applicato per la gloria di Dio, salute delle anime, decoro del Sacerdozio,
soccorso de’poveri, afiabile con tutti, semplice, umile, retto, benemerito della Religione, della
Chiesa, dello stato, dell’umanità, pieno di meriti, di virtù, di santità, di anni muore in S. Lazzaro
di Parigi sotto il Pontificato di Alessandro VII, reggendo lo scettro in Francia Lodovico XIV,
onorato nelle esequie dalla presenza del Principe di Conti, della Duchessa di Aiguillon, di
Monsignor Piccolomini Arcivescovo di Cesarea Nunzio del Papa, di molti Prelati, Parochi,
Ecclesiastici, Abati, Religiosi, Cavalieri, Dame, annoverato tra i Beati da Benedetto XIII nel
1729, solennemente canonizzato in Roma da Clemente XII nel 1736, ammirato dappertutto come
eroe della Cristiana carità ed umiltà venerato con culto singolare dagli Ecclesiastici.
L’AUTORE A NOME DE’SUOI D1VOTI
QUESTO LIBBO DEDICA E CONSACRA. {249 [249]} {250 [250]}
Indice
AL LETTORE
Cenni storici intorno alla vita di S. Vincenzo de’Paoli
GIORNO I. Carattere di S. Vincenzo de’Paoli
GIORNO II. Sua imitazione di Gesù Cristo
GIORNO III. Sua carità verso de’mendici
GIORNO IV. Amore del Santo verso Dio
GIORNO V. Sua carità verso de’condannati alle galere
GIORNO VI. Servigi resi dal Santo ad ogni grado di persone
GIORNO VII. Conversioni operate da S. Vincenzo de’Paoli
GIORNO VIII. Della sua dolcezza
GIORNO IX. Delle sue divozioni particolari
GIORNO X. Dell’eguaglianza del suo spirito
GIORNO XI. Dell’umiltà di S. Vincenzo de’Paoli
GIORNO XII. Della sua fede
GIORNO XIII. Delle sue massime
GIORNO XIV. Sua mortificazione
GIORNO XV. Sue occupazioni
GIORNO XVI Sua pazienza.
GIORNO XVII. Sua povertà
GIORNO XVIII. Sua prudenza
GIORNO XIX. Sua purità
GIORNO XX. Sua gratitudine..164
GIORNO XXI. Suo rispetto verso i superiori ecclesiastici
GIORNO XXII. Suo attaccamento e figliale ossequio al Sommo Pontefice
GIORNO XXIII. Suoi ritiri spirituali
GIORNO XXIV. Sua semplicità
GIORNO XXV. Della sua confidenza in Dio
GIORNO XXVI. Della sua condotta
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Don Bosco - Il cristiano guidato alla virtù ed alla civiltà secondo lo spirito di S. Vincenzo de’Paoli [2a edizione]
GIORNO XXVII. Sue missioni
211
GIORNO XXVIII. Suo zelo per la gloria di Dio e per la salvezza delle anime 220
GIORNO XXIV. Del suo disinteresse e del suo distacco dai beni della terra
225
GIORNO XXX. Sua preziosa morte
231
GIORNO XXXI. Elogio per la festa del Santo
236
Al glorioso S. Vincenzo de’Paoli
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A VINCENZO DE’PAOLI
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Con permesso dell'autorità Ecclesiastica {252 [252]} { [253]} { [254]}
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