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Don Bosco - Il pontificato di S. Marcellino e di S. Marcello papi e martiri
IL PONTIFICATO DI S. MARCELLINO E DI S. MARCELLO PAPI E
MARTIRI
pel sacerdote BOSCO GIOVANNI
O
La lett. dell'alfabeto indica il num. de' fascic, delle vite dei Papi.
TORINO.
TIP. DELL'ORAT. DI S. FRANC. DI SALES.
1864. {1 [1]} {2 [2]}
INDEX
Nozioni topografiche intorno alla città di Roma.........................................................................3
Colli aggiunti a Roma antica che fanno parte di Roma moderna................................................6
Capo I. Diocleziano e Massimiano imperatori. - Galerio e Costanzo Cloro Cesari. - Elezione di
s. Marcellino. - Sue prime fatiche Apostoliche...........................................................................8
Capo II. S. Marcellino amministra la cresima a s. Maurizio ed a' suoi compagni, e raccomanda
loro la costanza nella fede............................................................................................................9
Capo III. S. Grisogono e S. Anastasia (2)..................................................................................10
Capo IV. Decima persecuzione.................................................................................................11
Capo V. Moltitudine di martiri. – Coraggio del giovane Pietro................................................12
Capo VI. Terme di Diocleziano. - S. Marcellino con s. Ciriaco e s. Sisinio.............................13
Capo VII. Martirio di Saturnino, di Sisinio, Papia e Mauro......................................................14
Capo VIII. Ultime fatiche di s. Marcellino. Suo Martirio.........................................................15
Capo IX. Osservazione sul pontificato e sulla supposta caduta di s. Marcellino......................16
Capo X. Trista fine di Diocleziano e di Massimiano.................................................................17
Capo XI. Galerio e il Romano impero. - Principii di s. Marcello. - Suoi provvedimenti pel
bene della Chiesa.......................................................................................................................17
Capo XII. Patria di s. Emidio. - Sua venuta in Milano, e a Roma.............................................19
Capo XIII. Il Pontefice consacra Emidio vescovo, e lo manda a governare la chiesa d’ Ascoli,
dove lavorando per la fede è coronato del martirio...................................................................20
Capo XIV. Martirio di s. Ciriaco e de' suoi compagni..............................................................20
Capo XV. S. Marcello consacra in Chiesa la casa di santa Lucina. - È condannato a servire alle
bestie..........................................................................................................................................21
Capo XVI. Trista fine di Carpasio e de' suoi compagni............................................................22
Capo XVII. Culto verso s. Marcello. - Grazie e miracoli dopo morte a di lui intercessione
operati........................................................................................................................................23
Capo XVIII. Una muta acquista la loquela, ed una donna cieca ricupera la vista.....................24
Appendice sui martiri della Legione Tebea...............................................................................24
S. Solutore, Avventore ed Ottavio. Traslocamento delle loro reliquie..................................25
Altri martiri Tebei in Torino ed in Altessano........................................................................26
Soldati Tebei martirizzati nel Canavese................................................................................26
Tebei martirizzati nel Monferrato..........................................................................................26
Altri paesi santificati dal sangue di soldati Tebei..................................................................27
S. Alessandro e suoi compagni..............................................................................................28
Indice.........................................................................................................................................28
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Nozioni topografiche intorno alla città di Roma
A maggior chiarezza della storia de' Papi credo opportuno dare un cenno intorno ai nomi,
ai luoghi e ai più celebri edifizi di cui spesso occorre far menzione in questi racconti.
Pertanto a ciascun fascicolo, che tratti de' sommi Pontefici, si farà precedere un
ragguaglio delle cose e de' monumenti più memorabili di Roma antica confrontandoli coi
moderni e dandone quella più popolare spiegazione che sarà possibile. Siccome poi taluno forse
desidererà d'istruirsi più copiosamente sopra certe materie {3 [3]} qui appena accennate: così
saranno poste le citazioni de' fatti e degli autori principali, da cui quelle nozioni furono ricavate,
e ciò a favore di chi volesse consultarli. Io tratto volentieri questa materia perchè parlo di luoghi
di presenza veduti coi propri occhi e di cose che ho minutamente osservate; e per questo lato il
lettore può essere sicuro della veracità dei racconti.
Qui comincierò a dare un breve cenno sopra la topografia di Roma antica, ovvero darò
una breve descrizione de' luoghi ove fu edificata Roma notando gli edifizi più memorabili che in
progresso di tempo furono ivi costrutti.
Tevere. - Questo fiume entra nella città di Roma circa 18 kilometri prima di versare le sue
acque nel mare Mediterraneo, seguendo una linea diritta; ma almeno 30 girando secondo le sue
molteplici tortuosità. Esso separa dal rimanente della città tutta quella parte di Roma che si
appella Trastevere, in cui è compreso tutto il {4 [4]} lungo dorso del Gianicolo, il Vaticano, il
Castel s. Angelo ed il mausoleo di Adriano. Anticamente fu chiamato Albula dal colore
biancastro tendente al ceruleo che ha presso Roma, quando non è intorbidato dalle pioggie. Ma
allora che le pioggie lo ingrossano, le sue acque diventano da prima rossastre e quindi gialle. Da
questo derivò il nome di Flavus con cui fu anche chiamato dagli antichi e di Biondo dai moderni.
Il nome di Albula gli si volle cangiato in quello di Tevere da un certo Tiberio o Tiberino
re d'Alba Lunga, il quale nel traversarlo vi rimase annegato. Questo fiume forma entro i recinti di
Roma un'isola detta Tiberina od isola di s. Bartolomeo.
Isola di s. Bartolomeo. - L'origine di quest'isola rimonta fino al tempo dell'ultimo re di
Roma. Dopochè i Tarquinii per le loro scelleraggini furono cacciati dal trono, e rimasero
scoperte e dissipate le congiure da loro ordite coi popoli vicini per rientrare, il Senato volle
troncare ogni relazione con quella famiglia. Decretò che tutti i beni appartenenti alla medesima
fossero confiscati, concessi al popolo, e che la messe di farro e di grano, che biondeggiava nel
campo fra la città ed il Tevere, e che fu poi detto campo Marzio, venisse tagliata e gettata nel
fiume. Vari banchi di sabbia presentava {5 [5]} allora il fiume per la scarsezza delle acque.
Quelle messi tagliate e gettate in grossi mucchi nel fiume incontrarono a pie' del Campidoglio
uno di questi banchi e furono arrestate. Altre materie galleggianti insieme con sabbia si
fermarono colà a poco a poco, finchè indurandosi formarono un'isola, la quale andò sempre
crescendo. Si copri poi di boscaglie e diventò permanente (Dionisio lib. V e XIII, Livio libro II, V
e Plutarco). Presentemente è tutta coperta da caseggiati pieni di abitanti, e si suole appellare
isola di s. Bartolomeo dal nome di questo Apostolo, le cui ceneri furono ivi trasportate e
collocate in un tempio al medesimo dedicato.
Colli di Roma. - Roma antica era fondata sopra sette colli i quali giaciono sulla riva
sinistra del Tevere. Essi erano più alti e dirupati di quello che sono oggidì, perchè parte per la
mano degli uomini, che gli ha fatti più praticabili, parte per le rovine degli edifizi che
riempierono le valli, hanno i colli molto variato d'aspetto. Per farci un'idea della figura di Roma
sopra questi colli notiamo che uno di essi è quasi posto come centro, e gli altri, che gli stanno
intorno facendo corona, ti rendono una figura, la quale più che ad ogni altra, si avvicina a quella
d'un ferro da cavallo. {6 [6]} Il colle che è nel centro coronato dagli altri sei chiamasi Palatino,
gli altri sono il Capitolino, Aventino, Celio, Esquilino, Viminale e Quirinale.
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Palatino. - Questa parola si vuole derivata da Palatium città di un popolo antico dei
contorni di Roma detto Aborigene.
La parola Palatium o Palation secondo la sua origine greca significa mucchio, tumulo di
piccole cose riunite insieme. Tale per appunto era l'aspetto che presentava questo colle e la città
dello stesso nome. Su di esso erano i palazzi degli Imperatori, che furono rovinati.
Sul Palatino Roma ebbe i suoi principj da Romolo, il quale ne determinò i confini con un
solco, che egli formò intorno del colle secondo il rito etrusco.
Capitolino, o Capitolio, o Campidoglio. - Sorge questo colle vicino al Palatino. Esso
dapprima ebbe nome Saturnio; perchè secondo una tradizione il re Saturno vi fondò una città e
fu il primo della dinastia degli Aborigeni. Dopo fu chiamato Tarpeio da una vergine Romana.
Essendo guerra tra Romolo fondatore di questa città e Tazio re dei Sabini, Tarpeia apri le porte
della cittadella situata sopra questo colle ai nemici {7 [7]} ed in ricompensa fu da loro uccisa,
precipitata dall'alto della rupe. Finalmente fu chiamato in latino Capitolium, o mons capitolinus,
perchè ai tempi di Tarquinio re di Roma gettandosi le fondamenta di un tempio dedicato a Giove
si trovò la testa di un uomo sepolto chiamato Tolio. Da caput Tolii, parola latina, si formò con
istrana corruzione la parola odierna Campidoglio. (Veggansi su tali nomi e su tali origini quanto
ne scrissero Varrone, Dionisio e Livio)
Questo colle è ancora oggidì coperto di edifizi pubblici e di case private; nulladimeno la
rupe originale in vari luoghi apparisce in modo che si può asserire dopo tanti secoli non aver
cangiato configurazione. Le sommità di questo colle ebbero diversi nomi che tuttora conservano.
La occidentale ossia più vicina al Tevere fu designata col nome di arx la cittadella; perchè venne
a questo uso destinata dai Romani. Oggi la dicono monte Caprino, perchè nei tempi antichi,
essendo rimasta deserta, fu destinata a stanza di capre. Una parte di essa rivolta con precipizi
verso il Tevere fu designata col nome speciale di saxum la rupe. Prese poi l'aggiunto di rupe
Tarpeia, poichè da essa fu precipitata la vergine di questo nome. Da codesta rupe solevansi {8
[8]} di poi precipitare tutti i traditori della patria. In fine fu anche detto Carmenta perchè
pendeva sul sepolcro di Carmenta madre di un famoso guerriero detto Evandro.
L'altra cima dopo la edificazione del tempio di Giove ebbe propriamente il nome di
Campidoglio, perchè quivi è il luogo dove s'innalzò il tempio di Giove e trovossi il Capo di
Tolio; questo nome fu poi comunicato a tutto il monte come abbiamo detto. Il seno che è fra le
due cime, in cui trionfa oggi la statua a cavallo dell'imperatore Marco Aurelio, fu chiamato da
alcuni Intermonzio parola che indica spazio fra due monti. Questo colle essendo forte per natura
a cagione de' suoi dirupi, non vasto per estensione e prossimo al Palatino fu dopo questo il primo
ad essere cinto di mura per formare la cittadella di Roma. Esso venne successivamente abbellito
con fabbriche, e fin dalla morte di Romolo contavansi le case abitate da questo fondatore, quelle
di Tazio re dei Sabini, l'asilo apertovi ai malfattori, e l'edifizio destinato a radunare il Senato ed il
popolo. Numa Pompilio secondo re di Roma vi eresse una statua al falso Dio Termine, e così di
seguito gli altri re lo abbellirono con vari monumenti.
Questo è quel monte celeberrimo sopra {9 [9]} del quale i Romani tenevano le loro
pubbliche adunanze. Di qui davasi legge a tutto il mondo, quivi riunivasi il Senato, e poi
costringevansi i cristiani a sacrificare ai falsi Dei. Sulla cima dove esisteva il famoso tempio di
Giove oggidì è la chiesa di S. Maria di Aracoeli.
Vie del Campidoglio. - Abbiamo già notato che il Campidoglio era la rocca di Roma
antica e ne formava la fronte verso il Campo Marzio;quindi è chiaroche da quella parte non solo
non si poteva salire, ma a maggior sicurezza si fecero lavori onde potesse resistere a qualunque
assalto. Oggi per altro non è così; imperciocchè avvi un cammino coperto che lo unisce al
palazzo di Venezia. Tra le diverse salite praticabili avvi la scala in marmo che conduce alla
Chiesa d'Aracoeli costruita con frammenti antichi l'anno 1348. Ma lasciando le salite moderne ci
atteniamo a tre antiche, che possono ajutare l'intelligenza degli atti dei Ss. Martiri.
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Anticamente vi erano tre sole scale cioè una chiamata i 100 gradi perchè dell'altezza di
circa 100 piedi. Èssa a più riprese fasciava tutto il lato del colle, che domina il foro intersecando
le altre due ed andava a terminare presso la rupe Tarpeia. I suoi scalini sono tagliati nel mezzo
{10 [10]} della rupe stessa. Siccome poi alcuni di essi conducevano al ripiano del carcere, di cui
adesso parleremo prendevano il nome di scale gemonie dai gemiti che necessariamente
dovevano mandarsi da coloro che erano forzati a salirle o per essere gettati nel carcere o
precipitati dalla rupe. Su queste stesse gemonie esponevansi i cadaveri degli uccisi in carcere e di
là strascinavansi con uncini nel Tevere attraverso della piazza o foro, a fine d'incutere terrore.
Spettacolo orrendo cui dovettero subire alcuni Imperatori stessi! La seconda scala era chiamata
Clivo Capitolino, la quale terminava nel solco che suole dai moderni appellarsi Intermonzio. La
terza Clivo Sacro così chiamata dalla pace conchiusa in quel luogo fra Romolo e Tazio re dei
Sabini. La salita sacra era eziandio quella per la quale il trionfatore dal foro andava al
Campidoglio.
Carcere Mamertino. - Abbiamo notato che per tre strade soltanto salivasi al
Campidoglio, cioè per quella dei cento gradi, del Clivo Capitolino, del Clivo Sacro, e che i cento
gradi nella loro prima parte formavano le così dette scale gemonie. Fra queste scale ed il Clivo
Sacro era il carcere di cui parliamo, che oggi ancora {11 [11]} in parte esiste cangiato in cappella
perchè fu santificato dai Ss. Apostoli Pietro e Paolo, fu teatro dei miracoli e strepitose
conversioni da loro operate. Si designa col nome di S. Pietro in carcere.
Questa prigione fu costrutta da Anco Marzio quarto re di Roma circa l'anno 137 della
città. Avendo egli grandemente accresciuta la popolazione di quella capitale cogli abitanti delle
città conquistate sopra i Latini a fine d'intimorire i malfattori lo edificò nel centro di Roma.
(Livio lib. CXXXIII) Questo carcere prese il nome di lui da Marcio fu detto Mamers anche quel
re; quindi Mamerco, ed infine Mamertino. Lo stesso nome a cagione della vicinanza fu
comunicato ad una via detta per conseguenza Mamertina.
Servio Tullio altro re di Roma aggiunse a questo un altro carcere inferiore sotterraneo,
detto perciò Tulliano. (Varrone De lingua latina lib. IV)
Questo principalmente, come il Baratro in Atene ed il Ceada in Isparta, era destinato ai
rei di Stato, che non potevansi per politica punire pubblicamente, come anche ai re e condottieri
delle nazioni vinte portati in trionfo. Ivi alcuni erano lasciati morire di fame, altri strangolati.
Si calavano i condannati nel carcere superiore {12 [12]} per un buco fatto in mezzo alla
volta. Nei pavimento di questo vi era un altro buco pel quale venivano calati nell'inferiore. I
condannati pertanto di un carcere vedevano l'altro, udivano le strida ed i lamenti di quei che in
essi erano dal carnefice tormentati o messi a morte; e durante la notte erano risvegliati dallo
strepito delle porte di ferro, che chiudevano l’apertura, allora che o per qualche nuovo reo o per
qualche esecuzione schiudevansi. Oggidì dal carcere superiore discendesi nell'inferiore per una
scaletta moderna composta di 11 scalini. In questo vedesi un altare, una colonna di granito, alla
quale dicesi che venissero legati i rei, ed una sorgente d'acqua fatta scaturire da S. Pietro a fine di
battezzare i Ss. Processo e Martiniano custodi della prigione.
Aventino. - Vicino al colle Palatino quasi dalla parte opposta al Campidoglio verso
l'estremo di Roma sorge il colle Aventino. Anticamente chiamavasi Murio, dal nome dato alla
Dea Venere, detta mirtea pel mirto pianta a lei sacra. A quella divinità fu un maestoso tempio
consacrato su questo monte.
Nei tempi posteriori, ancora più antichi della fondazione di Roma, gli fu dato {13 [13]} il
nome di Aventino da Aventino re di Alba Lunga, città poco distante da Roma, che fa su questo
colle sepolto. Esso è il più alto dei sette colli.
Celio. - Ad un altro lato del Palatino verso Oriente s'innalza il Celio. Lo scrittore latino
Tacito ne' suoi annali dice, che il nome antico di questo colle fu querquetulano dalle piante di
querceti le quali lo vestivano, e che poscia fu chiamato Celio da un certo Cele Vibenna
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condottiero Etrusco venuto in soccorso dei Romani, ivi posto ad abitare co' suoi dal re Tarquinio
Prisco.
Questo colle comincia dal Palatino e si estende con lunga coda fin presso la chiesa di S.
Croce all'estremo limite di Roma antica: oggidì si suol appellare Letterano dal maestoso palazzo
di un antico romano detto Plauzio Laterano. Questo edifizio diede eziandio il nome alla celebre
basilica di S. Giovanni in Laterano che quivi esiste.
Esquilino. - Ad Oriente eziandio del Palatino, ma tendente più verso settentrione, cioè
verso il centro di Roma, innalzasi l'Esquilino detto anche semplicemente Esquilia, perchè varia è
l'ortografia colla quale incontrasi scritto. La sua {14 [14]} vera etimologia viene da Esculus,
eschio albero che porta una specie di ghiande, che un tempo ne copriva le cime ed era sacro
principalmente a Giove.
Questo colle dividesi in due parti che distaccansi da una specie di ripiano generale verso
occidente ossia il centro di Roma. Ambedue hanno una configurazione che si avvicina a quella
del triangolo; non sono tuttavia eguali in estensione: maggiore è quella posta di fronte al Celio,
sulla quale è celebre la chiesa di S. Pietro in vinculis e di S. Martino: l'altra è minore; ivi è la
basilica Liberiana o di S. Maria Maggiore.
La prima di queste due parti è detta monte Appio, perchè, secondo il celebre scrittore
latino Varrone, un certo Appio condusse in Roma dei soldati Tusculani, mentre il re Tulio Ostilio
faceva guerra coi Vejenti ed accampossi nel piano detto Carina vicino a questa parte del colle
Esquilino.
La seconda è chiamata Cispio da un altro condottiero della città di Agnani. Venuto egli a
Roma nella stessa occasione, ivi si accampò a difesa di quella parte dell'Esquilino, che è rivolta
al vico Patrizio verso il colle Viminale.
Questo colle è il più alto de' sette come ne è il più esteso in superficie. {15 [15]}
Viminale. - Di là dall'Esquilino Cispio verso occidente formando con tutto l’Esquilino la
parte più grossa della figura di un ferro da cavallo prolungasi a foggia di lingua il colle Viminale.
Egli trasse questo nome dai vimini o vinchi, specie di pianticelle, che lo coprivano.
Quirinale. - Il Quirinale è l'ultimo dei sette colli di Roma-antica. Esso si avvicina al
Palatino dalla parte opposta al Celio. La sua configurazione presenta molte gobbe. Se ne
nominavano specialmente quattro, che traevano nome da altari consacrati agli Dei. Una è la
Quirinale pell'altare dedicato al Dio Quirino. Da questo avrebbe preso il nome tutto il colle. Ma
altri vogliono che Quirinale derivi dai Quiriti, i quali venuti a Roma quivi si accamparono. Su
questa cima dove vi era il tempio di Quirino ora esiste una chiesa dedicata al vero Dio. Un'altra
era chiamata Salutare dall'altare della Dea Salute. Questa punta venne spianata per fare il
giardino Pontificio al tempo di papa Urbano ottavo.
Una terza cima era detta la Marzia dall'altare di Marte. Venne anche demolita per ordine
del papa Urbano, ed ora avvi il giardino dell'antica famiglia Colonna. Finalmente la quarta è la
Lariale nome attribuito a Giove. {16 [16]}
Questo colle si ravvisa ancora nella punta esistente nel giardino Aldobrandini. Su questo
colle si innalza il gran palazzo apostolico, altra abitazione dei sommi Pontefici, che viene anche
chiamato palazzo Quirinale.
Gli antichi celebravano nel mese di dicembre in onore dei sette colli di Roma una grande
solennità e la dicevano Settemonzio; V. Festo.
Colli aggiunti a Roma antica che fanno parte di Roma moderna.
Oltre i sette colli finora descritti sorgono presentemente entro le mura di Roma altre
colline. Di queste alcune sono artificiali, cioè formatesi coll'andare del tempo per mano
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dell'uomo; altre naturali ossia già esistenti anticamente, ma soltanto nei tempi più moderni
racchiuse entro le mura della città.
Pincio. - Fra i colli naturali avvi il Pincio, che sorge al confine di Roma moderna a
mezzodì.
Esso era anticamente chiamato degli orti a cagione dei sontuosi orti fattivi da
Sallustio, da Lucullo e Domizio. {17 [17]}
La sua forma è quella di un V e trovasi tra il Quirinale ed il Campo Marzio. Il nome di
Pincio lo derivò dalla famiglia Pinciana che sopra di esso aveva un magnifico palazzo. (Varrone
lib. III)
Una parte soltanto di questo colle è compresa nel recinto di Roma, l'altra è coperta di
vigne e di amene villeggiature. L'altezza sua è superiore a qualunque dei sette colli primitivi.
Dei monti artificiali entro il recinto di Roma il primo è il Giordano. Trae egli questo
nome da un certo Giordano Orsini, che vi pose la sua residenza.
Citorio. - Altro fra i colli artificiali numerasi il Citorio. Questa denominazione non è
anteriore al secolo XV.
Questo colle si formò dall'ammasso delle rovine dell'anfiteatro di Statilio Tauro e di altre
fabbriche circonvicine.
Si sa che gli anfiteatri di Roma antica erano edifizi che servivano pei pubblici spettacoli
in cui combattevano uomini contro ad uomini, oppure uomini con fiere. Essi erano di una
grandezza smisurata. Un solo poteva contenere fino ad ottanta mila spettatori seduti.
L'anno in cui rovinò l'anfiteatro di Statilio non è certo, ciò deve essere accaduto {18
[18]} dopo il secolo quarto dell'era volgare. (V. Catalogo degli edifizi della nuova regione di
Rufo)
Il nome di Citorio probabilmente derivò da Tauro di cui era l'anfiteatro, o da citare;
perchè su di esso convocavasi il popolo a fare le votazioni.
Questo colle per gli staccamenti di terreno caduto ai piedi del monte, e per la mano degli
uomini che hanno procurato di farlo ogni giorno più agiato, ha una superficie assai estesa.
I suoi limiti sono segnati dalla via di Campo Marzio e dal lago della impresa via in
Lucina, via del Corso, palazzo Colonna e piazza di Monte Citorio.
Cenci. - Questo colle è così chiamato dal palazzo della famiglia Cenci, che vi aveva vaste
possessioni. Egli è tutto formato dalle rovine del teatro Balbo. Questo teatro fu fatto edificare
con molta magnificenza da un certo Cornelio Balbo dietro esortazione di Augusto. Il Cenci è
meno vasto del Citorio, ed è circondato verso occidente dalla via della Martella; verso mezzodì
da quella di S. Bartolomeo de' Vaccinari ed in parte da quella della Fiumara; verso oriente dalla
piazza detta delle scuole e da quella di S. Maria del {19 [19]} pianto; verso settentrione dalla via
di S. Maria in Cacaberis, dove si unisce nuovamente con quella di Martella.
Sevelli. - Il monte Sevelli ebbe eziandio il nome dalla famiglia che lo possedeva, e che vi
fabbricò un palazzo nel secolo decimo terzo sugli avanzi del teatro di Marcello.
Anche egli come i due precedenti si alzò sulle rovine di una fabbrica colossale antica,
come è il teatro Marcello.
Questo era stato edificato da Ottaviano Augusto in nome del suo nipote Marcello che gli
diede il nome.
Nei bassi tempi i Pierleoni lo montarono a fortezza; indi i Sevelli sulle giacenti rovine
innalzarono l'attuale abitazione. Verso la parte più conservata del teatro, sogliono radunarsi i
montagnuoli. Da ciò prese il nome di Montanaro.
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Testacio. - Il Testacio giace nella pianura a mezzodì dell'Aventino, cioè tra la riva sinistra
del Tevere e l'Aventino. Dalla base sino al vertice è composto di un ammasso di rottami di vasi
usuali di terra cotta; i quali dagli antichi erano chiamati Testa. Da ciò il nome di Testacio al
monte quasi come dire formato di testa.
L'epoca di questo enorme accumulamento {20 [20]} di frantumi di anfore e di dolii, che
ha una circonferenza di circa un miglio e centocinquanta piedi d'altezza, è ignota come ignota è
la cagione che lo produsse. È probabile che non sia anteriore al quarto secolo.
Altri colli. - Sulla sponda destra del fiume Tevere, sui confini di Roma moderna, avvi un
gran dorso di monte, che domina tutta la riva del fiume pel tratto di oltre quindici miglia. Parte di
questo dorso sono il Vaticano, il Gianicolo, il Monte Mario ed il Monte Verde. Alle sue falde
avvi il palazzo Vaticano.
Vaticano. - Sono due le principali opinioni intorno alla derivazione del nome Vaticano.
Secondo Gellio questo colle era stato così chiamato dai vaticinii che i pagani credevano ricevere
sopra quel monte da un loro Dio. Ma S. Agostino (De Civitate Dei lib. IV, CVIII) tiene
l'etimologia data da Varrone, e dice che il nome di Vaticano viene da un Dio dei gentili.
Credevasi che questo Dio aprisse la bocca ai bambini; siccome la prima voce che mandano fuori
è la sillaba va da cui deriva la parola vagire, così quel nume o genio era chiamato vagitano.
Questa parola si corruppe e diede luogo a quella di Vaticano. {21 [21]} Lo stesso nome si
comunicò poi al monte dove dicevasi avere dimora quella divinità.
Questo colle come tutto il rimanente del dorso nominato di sopra, è composto di
deposizioni ammassate dal mare.
Notiamo a questo riguardo, che il luogo dove l'anno 750 prima dell'era volgare fu
edificata Roma, era molti anni addietro occupato dal Mediterraneo. Le acque si ritirarono di poi
lasciando quello spazio molto irregolare coperto di acque stagnanti. Tale ritiramento del mare
credesi avvenuto,circa 1500 anni avanti di G. C.
Sul dorso di questo monte è fondata la magnifica basilica del principe degli apostoli S.
Pietro. Essa è in parte sopra le fondamenta dell'antico tempio d'Apollo. Un argomento è questo
della divina provvidenza, poichè donde si cercavano già le risposte degli Dei menzogneri, ora il
vicario ai Dio, il sommo Pontefice rende al mondo gli oracoli della verità. Avvi anche il palazzo
che abitarono quasi sempre i sommi Pontefici.
Gianicolo. - Il Gianicolo è l'altra parte del lungo dorso bagnato dal Tevere. Ebbe il suo
nome dal Dio Giano. Secondo la tradizione questo Dio abitò sopra il Gianicolo, fondò una città
di rimpetto a Saturnia {22 [22]} e la chiamò Antipoli o Gianicola. (Virg. Eneid. lib. VIII, v. 356)
Fra il colle Gianicolo ed il Vaticano, avvi una valle dove raccogliendosi delle acque
formavasi una palude. In sulle rive di questa fu martirizzato il più grande uomo del mondo, il
vescovo dei vescovi, il pastore dei pastori, il primo vicario di G. C., il primo sommo Pontefice,
S. Pietro. Quivi egli fu crocifisso col capo all'ingiù non reputandosi degno di imitare in tutto il
suo divino Maestro. {23 [23]}
Capo I. Diocleziano e Massimiano imperatori. - Galerio e Costanzo
Cloro Cesari. - Elezione di s. Marcellino. - Sue prime fatiche
Apostoliche.
Diocleziano era nato in Salona città della Dalmazia, siccome abbiamo già altrove
raccontato. I suoi talenti militari lo portarono ai primi gradi della milizia e nell'anno 284 veniva
proclamato imperatore. Ora convien notare, come da circa tre secoli per mancanza di una legge,
che regolasse la successione al trono, gl'imperatori per lo più erano assassinati per mano o per
ordine di qualche pretendente alla medesima dignità. Quindi continui {25 [25]}assassini e
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lunghe guerre intestine. Diocleziano a fine di porre un qualche rimedio a tanti mali, essendo
privo di prole maschile, adottò per figlio e dipoi associò all'impero il famoso generale
Massimiano che al pari di lui prese il nome d'imperatore. Questi due principi si nominarono
ciascuno un Cesare ovvero un erede al trono nella persona di due celebri generali di nome
Costanzo Cloro, l'altro Galerio. Costoro si divisero le sollecitudini e le cure del governo delle
Provincie soggette al loro padre adottivo, cioè a queill’imperatore che li aveva creati Cesari.
Costanzo fu il Cesare di Massimiano, e Galerio il Cesare di Diocleziano. In questo modo era
assicurata la successione al trono, e alla morte di un imperatore gli doveva per legge succedere
chi dal defunto era stato designato per successore creandolo Cesare.
Diocleziano scelse per suo governo l'Oriente e andò a stabilire sua regolar dimora in
Nicomedia città dell'Asia {26 [26]} Minore, che ora dicesi Isnik-mid nella Natolia.
Massimiano suo collega ebbe la parte del romano impero che riguarda l'Occidente, in cui
è compresa l'Italia; e di questo novello impero fece capitali Milano e Treviri celebre città della
Germania.
Così Roma cessando di essere la capitale del mondo pagano diveniva libera capitale del
mondo cristiano. Nel quale fatto vediamo compiuta la grande profezia di Daniele quando vide il
misterioso sassolino cadere da un'alta montagna e ridurre in minuti pezzi la statua colossale. Il
sassolino era la santa ed umile religione di Gesù Cristo che doveva abbattere la colossale
monarchia del romano impero e con esso tutta la idolatria per fare posto alla Sede del Vicario di
Gesù Cristo e così dilatare liberamente il cristianesimo per tutti i paesi della terra.
Ma prima che la religione cristiana potesse liberamente esercitare il suo impero dovette
ancora sostenere la più sanguinosa delle battaglie nella {27 [27]} terribile persecuzione di
Diocleziano, mentre appunto la Chiesa di Gesù Cristo era governata da s. Marcellino. Questo
pontefice fu scelto dalla divina Provvidenza a reggere la chiesa forse nel tempo più diffìcile per
la religione. Era egli di nascita romano e suo padre si chiamava Projetto. Ajutato da una cristiana
educazione aveva per più anni faticato pel bene della religione. Egli erasi trovato presente al
martirio, alla morte di s. Cajo ed aveva prestato mano a dare sepoltura al cadavere di questo
coraggioso pontefice. Alla morte di lui la s. Sede rimase vacante soli undici giorni, dopo cui con
universale gradimento fu eletto il nostro Santo, che presso tutti era grandemente stimato per
dottrina, per zelo, santità e pei suoi miracoli. La sua elevazione al Pontificato avveniva il 3
maggio 296 l'anno 13 dell'impero di Diocleziano e di Massimiano. La vita del novello pontefice
fu molto simile a quella di s. Cajo suo antecessore.
Fatiche continue di ogni genere, carceri, {28 [28]} ospedali, cripte, catacombe erano
campo glorioso della sua carità, e luoghi ordinari di sua dimora. Ma i principali suoi sforzi erano
diretti a sostenere quelli che si trovavano in pericolo per la fede. Troppo lungo sarebbe esporre
ad una aduna le gloriose vittorie che dai martiri furono riportate durante il suo pontificato, noi
daremo cenno solamente di alcuni di cui si fa solennità speciale dalla Chiesa Cattolica in
determinati giorni dell'anno.
Capo II. S. Marcellino amministra la cresima a s. Maurizio ed a' suoi
compagni, e raccomanda loro la costanza nella fede.
Poco dopo la esaltazione di s. Marcellino al pontificato vennero a Roma i soldati della
legion Tebea guidati da s. Maurizio. Questa legione era così appellata perchè i soldati, che la
componevano, solevano coscriversi e radunarsi in Tebe celebre città dell'Egitto. {29 [29]}
Dovendosi intraprendere una grande guerra contro ad alcuni popoli della Gallia, detti Bagaudi,
Massimiano fece venire dall'Oriente quella legione che fra le milizie romane era tenuta per la più
forte, la più coraggiosa e la più fedele. Venendo in Italia que' soldati passarono in Gerusalemme,
ove parecchi i quali erano ancora catecumeni, ricevettero il battesimo per mano di s. Zambda
vescovo di quella città. V. Baronio, anno 297.
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Ripigliando poscia il loro cammino giunsero a Roma, come si disse, pochi mesi dopo la
elezione di s. Marcellino. Presentatisi al santo pontefice diedero al medesimo grandi segni di
venerazione, ma siccome non avevano ancora ricevuta la cresima, così lo supplicarono a volerla
loro amministrare. Accertatosi il Papa della necessaria instruzione loro conferì di buon grado
quel sacramento, che facendoli perfetti cristiani infondeva nei loro cuori queill’eroico coraggio
di cui dovevano fra breve dare luminosa prova. Compiuta la sacra funzione, {30 [30]} il santo
Pontefice prese a parlare loro così: Miei figliuoli, andate e fatevi ovunque conoscere degni
soldati di Gesù Cristo, pronti a morire quando che sia di spada piuttosto che contaminare la
purezza di quella fede che or ora avete ricevuta; V. Baronio luogo citato.
Da Roma traversarono l'Italia e valicando le Alpi Pennine, che ora diconsi gran s.
Bernardo, andarono a raggiungere l'imperatore Massimiano che col resto dell'esercito li
attendeva nelle vaste pianure del Vallese presso una città allora detta Ottoduro ed ora Martigny.
Compiutasi quella difficile guerra con esito felice, l'Imperatore riconcentrò tutti i suoi soldati
nelle medesime pianure del Vallese, e per dimostrare la sua gratitudine agli Dei decretò che tutti
i suoi soldati ad un giorno stabilito dovessero fare un sacrifizio a quelle stupide divinità, cui
follemente attribuivano le vittorie.
Tre cose esigeva l'Imperatore: fare un sacrifizio agli Dei; giurar fedeltà all'Imperatore
invocando i suoi idoli; {31 [31]} promettere di andar in cerca di cristiani per metterli a morte
come nemici degli Dei dell'impero. Appena Maurizio conobbe questa deliberazione giudicò di
allontanarsi co' suoi e si ritirò a dieci miglia in una città allora detta Agauno ed ora s. Maurizio a
pie' del gran s. Bernardo.
Massimiano diede tosto ordine severo che la legione Tebea fosse la prima ad intervenire
minacciando gli effetti del suo sdegno a chi non ubbidiva. Fu da tutti risposto: christiana
religione impedimur. Noi ne siamo proibiti dalla cristiana religione. Rinnovò la minaccia, ma
ebbe sempre la stessa risposta. Allora l'Imperatore comandò che i soldati Tebei fossero decimati,
cioè di ogni dieci fosse fatto morire uno tirato a sorte. La decimazione fu eseguita una volta e poi
un'altra; ma que' prodi soldati ben lungi dall'opporsi colla forza, si sottomisero con gioja alla
spietata carnifìcina, anzi i superstiti invidiavano la sorte de' compagni che avanti ai loro occhi
vedevano trucidare per la religione. {32 [32]} Siccome tutti erano fermi nella fede, così
l'imperatore ordinò che tutti fossero condannati a morte. Così fu. La intera legione, che era
composta di circa 6666 soldati, fu tutta condannata a perir di spada. Questo fatto compievasi il
23 settembre 2971.
Capo III. S. Grisogono e S. Anastasia (2).
Grisogono o Crisogono era un nobile e ricco cittadino di Roma che sotto al pontificato di
s. Marcellino impiegava le sue sostanze e le sue fatiche in favore della religione. Diocleziano,
quando ebbe la notizia dello zelo che questo fervoroso cristiano aveva per la fede, rimase
altamente sdegnato e lo condannò a morire di {33 [33]} lenta fame in prigione. Ma la divina
provvidenza dispose che il luogo di reclusione fosse vicino alla casa di un altro ricco e potente
romano di nome Publio. Costui era idolatra ed acerrimo nemico dei cristiani, ma la sua moglie,
di nome Anastasia, era fervorosa cristiana. Per qualche tempo essa potè ajutare Crisogono e
soccorrerlo di quanto gli occorreva pel vitto e per le altre necessità della vita. Ma quando Publio
seppe che sua moglie soccorreva Grisogono ed altri cristiani si sdegnò di lei, e fattala rinchiudere
in una prigione molto distante da quella di Grisogono le somministrava appena il cibo
indispensabile, perchè non morisse di fame.
Dall'oscurità della carcere Anastasia scrisse una stupenda lettera a s. Grisogono, in cui
esponeva i patimenti, a cui era condannata, e si raccomandava di pregare perchè o convertisse
suo marito, o almeno gli impedisse di proferire bestemmie contro al santo nome di Gesù Cristo.
1Si veda in fine del libro: Appendice sopra i Martiri della legione Tebea.
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Chiudeva la lettera con queste parole: Vale, serve Dei, {34 [34]} et memento mei. Dio ti salvi, o
servo di Dio e ricordati di me nelle tue preghiere.
S. Grisogono rispose esortando Anastasia a confidare in Dio, e non temere la malvagità
del mondo. Pugna strenue et vigilanter et fuge peccatum. Combatti da forte e fuggi il peccato,
unico male che un cristiano deve temere. Termina la lettera con queste parole: Vale in Domino,
et ora pro me. Sta bene nel Signore e prega per me.
Anastasia vedendosi ogni giorno diminuire il cibo e crescere i tormenti, scrisse un'altra
breve lettera a s. Grisogono in cui gli partecipava prossimo il suo martirio. Il nostro santo
rispose, che riponesse tutta la fiducia in Gesù Cristo, e che in ogni cosa si rassegnasse a' suoi
divini voleri, ma non essere ancor giunta l'ora di sua morte.
Di fatto suo marito fu dall'Imperatore incaricato di un'ambasciata presso ai Persiani;
quindi riserbò il supplizio ai nostri due carcerati dopo il suo ritorno. Ma alla metà del cammino
{35 [35]} egli cadde in grave malattia che in breve lo tolse di vita.
Dopo la morte del marito Anastasia fu posta in libertà; ma continuando nelle sue opere di
beneficenza venne di nuovo accusata e posta in prigione come cristiana e come fautrice de'
Cristiani. Il Prefetto di Roma la condannò ad essere sommersa nelle acque. A tale effetto fu posta
con molti altri fedeli sopra di una nave senza vele e senza pilota affinchè fosse sommersa nel
mare. Se non che coloro i quali non furono rispettati dagli uomini ragionevoli, lo furono dalle
creature insensate, dalle onde. La nave guidata soltanto da un vento favorevole andò a deporre
quei gloriosi confessori della fede sopra i lidi di un gruppo di piccole isole dell'Adriatico dette
Palmarie. Colà mettendosi a predicare le verità del Vangelo guadagnarono molti a Gesù Cristo.
Ma accusati di nuovo come cristiani furono tosto presi e sottoposti a molti interrogatorii e in fine
incoraggiati tutti {36 [36]} da s. Anastasia riportarono la palma del martirio il 25 dicembre 301.
Grisogono fu ancora tenuto prigione due anni, dopo i quali venne dall'Imperatore
chiamato nella città di Aquileia sotto apparenza di volergli far grazia e donargli la libertà.
L’Imperatore cominciò a parlargli così: Ti ho fatto venir qui, o Grisogono, non per
punirti ma per onorarti. In questo stesso momento ti conferisco la dignità di Prefetto colla
speranza di farti console a sola condizione che tu faccia un sacrificio agli Dei.
Grisogono rispose: Io, o principe, nell'intimo del mio cuore adoro un solo Dio creatore
del cielo e della terra, perciò non posso adorare gl'idoli tuoi, i quali ad altro non sono buoni che
condurre alla perdizione coloro che in essi pongono confidenza.
Diocleziano a quella risposta fu vivamente irritato e nel trasporto del suo furore comandò
che gli fosse immantinente tagliata la testa. La sentenza fu sull'istante eseguita. Era l'anno 302 il
24 novembre giorno in cui la Santa {37 [37]} Chiesa ne celebra la festa. S. Anastasia e s.
Grisogono sono assai celebri presso tutta l'antichità e furono annoverati tra quei pochi santi di
cui ciascun sacerdote fa special memoria quando celebra la s. Messa.
Capo IV. Decima persecuzione.
Erano già trascorsi diciott’anni del regno di Diocleziano e di Massimiano, durante i quali
i cristiani furono sempre perseguitati, ma quella persecuzione fino allora non era stata con legge
comandata e si può dire che si eseguivano soltanto con rigore le leggi emanate dagli altri
imperatori contro ai cristiani: leggi che tendevano piuttosto a farli prevaricare che a distruggere
la loro religione. Per la qual cosa le stragi fatte dei cristiani nei primi diciott'anni dell'impero di
Diocleziano si possono appellare una preparazione al terribile decreto di quella persecuzione che
di tutte le antecedenti fu più crudele, più {38 [38]} sanguinosa e che fece appunto chiamare
quell'epoca era dei martiri. Fu più grande il numero di quelli che riportarono la corona
del'martirio in questo tempo, che non fu in tutto il corso dei tre primi secoli della Chiesa. Ma
quanto più fu terribile la battaglia, tanto più furono gloriose le vittorie riportate dai soldati di
Gesù Cristo.
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Sul finire dell'anno 302 Diocleziano era con Galerio Cesare in Nicomedia. Costui portava
un odio implacabile ai cristiani, e più egli udiva a parlare delle loro virtù e della loro santità, più
sentivasi roso da invidia e da sdegno. È tempo di finirla colla genia de' cristiani, diceva
all'Imperatore; costoro sono gente ostinata e finchè ve ne sarà uno vi sarà sempre una radice di
sventura nel nostro impero. Diocleziano era di età avanzata, e sebbene anche egli detestasse la
cristiana religione, tuttavia egli aveva dovuto più volte ammirare e provare la fedeltà dei
cristiani. Ricordava le belle qualità di suo fratello s. Gabinio, de' suoi nipoti s. Cajo papa,
Claudio, Massimo con molti loro {39 [39]} compagni da lai condannati a morte. Ricordava
eziandio il senno di Cromazio prefetto di Roma, di Sebastiano Generale di sue truppe, ed altri
prodi fatti morire per la fede. Era eziandio recente il fatto della Legion Tebea, martirizzata dal
suo collega Massimiano. Collo spargimento di tanto sangue non aveva fatto altro che accrescere
il nume de' cristiani e privare l'impero di sudditi fedeli e di coraggiosi soldati. Nè l'imperatore
ignorava come sua moglie Serena, Valeria sua figlia e molti altri di sua corte, da lui molto amati,
erano cristiani. Per questi motivi non sapeva risolversi ad emanare novelli decreti di
persecuzione.
È cosa assai pericolosa, egli rispondeva a Galerio, il turbare ancora una volta la pace del
mondo e versare fiumi di sangue. D'altronde i supplizi non otterranno alcun risultato, perchè i
cristiani non dimandano che di morire.
Galerio allora convocò il consiglio di Stato e domandò il parere dei Ministri. Costoro per
non incorrere nello {40 [40]} sdegno di Galerio diedero il loro parere per la persecuzione.
Esitando tuttora l'Imperatore volle dare calma alle sue inquietudini col mandar a consultare
Apolline. L'Oracolo diede questa risposta: «I giusti sparsi sopra la terra mi impediscono di
parlare.» Fu dimandato ai sacerdoti di quell'idolo chi fossero i giusti, e ne ebbero risposta che
con quel nome erano designati i cristiani.
Allora Diocleziano si arrese a sottoscrivere il fatale decreto di esterminio dei cristiani
colla data 23 febbraio 303. Fra le altre cose si diceva quanto segue: «Le chiese dei cristiani
saranno tosto uguagliate al suolo; i loro libri consegnati alle fiamme. Ogni nostro suddito che
sarà riconosciuto cristiano sia immantinenti spogliato delle sue sostanze, dei suoi impieghi, delle
sue dignità, e sia condannato a morte senza distinzione di età, di sesso o condizione. Eglino
potranno essere citati e tradotti avanti ai tribunali, ma non potranno nè citare nè far tradurre gli
{41 [41]} altri. Anzi potranno nemmanco dimandare le cose rubate o riparazione di ingiuria o di
qualsiasi oltraggio. Gli schiavi fatti liberi ritorneranno schiavi per ciò solo che sono cristiani»
In forza di questo infernale editto i cristiani erano posti fuori della legge, cioè non
potevano più godere dell'appoggio delle autorità civili, si che ognuno poteva impunemente
insultare, disprezzare, spogliare, derubare un cristiano senza che egli potesse in modo veruno
difendersi.
Un decreto speciale comandava che tutti i libri riguardanti alla religione cristiana fossero
consegnati alle fiamme, pena la morte a quel cristiano presso cui si fosse trovato un libro che
trattasse della sua religione.
Un terzo decreto era diretto contro i Vescovi ed i Sacerdoti, i quali dovevano di
preferenza essere cercati e messi a morte. Massimiano confermò quanto il suo collega aveva
stabilito contro ai cristiani, perciocchè queste barbarie erano conformi alla sua naturale ferocia.
{42 [42]}
Capo V. Moltitudine di martiri. – Coraggio del giovane Pietro.
Crudeltà inudite e torture fino allora non mai immaginate furono messe in opera contro ai
cristiani. Nella Mesopotamia alcuni furono sospesi in aria col capo in giù e soffocati a lento
fuoco; nella Siria erano fatti arrostire nelle graticole infuocate; nell'Asia Minore e segnatamente
nelle Provincie del Ponto erano loro appuntate canne fra ugna e carne, poi si versava del piombo
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liquefatto sui loro corpi. In Egitto dopo averli tanagliati erano sbranati con pezzi di coccio; nella
Frigia un'intera città, i cui abitanti erano tutti cristiani, fu attorniata da un corpo di soldati con
ordine di appiccarvi il fuoco; pel che uomini, donne e fanciulli perirono fra le fiamme lodando ed
invocando il nome di Gesù Cristo. Eusebio vescovo di Cesarea testimonio oculare {43 [43]} e
scrittore di queste barbarie dice che le crudeltà usate contro i cristiani in questa persecuzione
sorpassano ogni umano linguaggio. Tutta la terra, dice il filosofo Lattanzio, dà Oriente ad
Occidente fu inondata di sangue cristiano2.
Ma Dio che non mai abbandona la sua Chiesa, la sostenne visibilmente in questa prova
terribile e portò il soccorso in proporzione del bisogno. La persecuzione incominciò dallo stesso
palazzo dell'imperatore dove molti fra i primi uffiziali erano cristiani. Furono adoperate tutte le
arti e tutti gli inganni per forzare que' prodi a far sacrifizio agli Dei; ma essi tollerarono intrepidi
lo sdegno del principe, la perdita delle loro dignità, i {44 [44]} tormenti più crudeli piuttosto che
commettere un'infedeltà verso il loro Dio. Fra gli altri è maravigliosa la costanza con cui un
giovane di nome Pietro sostenne tormenti che destano spavento al solo udirli. Spogliato esso de'
suoi abiti fu appeso ad una macchina che alzavalo in alto e poi di piombo era lasciato cader sul
suolo. Ammaccato ed infranto da queste cadute fu percosso con una moltitudine di colpi di
bastone che tutte gli contusero le membra, anzi gli fecero per tutto il corpo piaghe così profonde
che scoprivansi nude e peste le ossa. Allora gli fu versato per tutta la superficie del corpo sale e
aceto, senza che gli orribili dolori scuotessero minimamente il suo coraggio. Di poi gli vennero
appressati carboni accesi, e una graticola sulla quale fu fatta arrostire ogni parte del corpo una
per volta, e per rendere lungo questo orribile tormento era allontanato ad intervalli dal fuoco per
essere indi a poco di bel nuovo rimesso. Ma tutto questo raffinamento {45 [45]} di crudeltà fu
inutile; il santo Martire vincitore dei tormenti e del tiranno spirava su quel letto di dolori senza
che fessegli sfuggito il minimo lamento. Eusebio lib. 8, cap. 6.
Capo VI. Terme di Diocleziano. - S. Marcellino con s. Ciriaco e s.
Sisinio.
Mentre Diocleziano dimorando in Nicomedia si adoperava fortemente per distruggere la
religione cristiana Massimiano aveva adottata la medesima legge, i medesimi editti di
persecuzione del suo padre adottivo. Pel desiderio poi di fare cosa che al medesimo tornasse
gradita, Massimiano divisò d'innalzargli in Roma un maestoso edifizio, noto nella storia sotto il
nome di terme ovvero bagni di Diocleziano. I cristiani che non erano condannati alla morte erano
per lo più condannati alle terme. Questo lavoro era faticosissimo, dove in breve tempo quasi tutti
lasciavano la vita. {46 [46]} Si contano oltre a trentamila cristiani che riportarono il martirio nei
lavori di queste terme di Diocleziano.
Un fervoroso e ricco cristiano di nome Trasone, di cui abbiamo parlato nella vita di s.
Gajo, continuava ad impiegar le molte sue sostanze a favore di coloro che pativano fame e sete
lavorando nelle terme. Per non essere egli stesso scoperto faceva la sua carità per mezzo di
alcuni cristiani di nome Ciriaco e Sisinio.
Quando s. Marcellino seppe le belle opere di carità che si compievano li chiamò a sè, si
rallegrò con loro, lodò Trasone del suo distacco dalle ricchezze, lodò ed incoraggiò gli altri a
continuare nella loro carità. Postosi di poi a discorrere con Sisinio e Ciriaco conobbe che erano
molto instruiti nelle scienze ecclesiastiche, perciò li consacrò ambidue diaconi della Chiesa. Con
maggior fervore di prima continuarono i novelli ministri nell'esercizio della loro carità. Ma
qualche tempo dopo mentre nottetempo portavano ai condannati il vitto {47 [47]} che Trasone
2Questa orribile persecuzione fu pubblicata in occasione che da' Romani celebravansi le feste terminali ossia in
onore del Dio Termine. Lattanzio applica a quel giorno le parole di Virgilio come segue: IIIe dies primus lethi
primusque malorum causa fuit. De mart. pers. Quello fu il giorno in cui cominciarono le stragi ed ebbero origine
tanti mali.
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loro somministrava furono sorpresi dai soldati pagani e condotti al tribuno che li fece tosto
chiudere in prigione.
L'imperatore Massimiano oltre alla carcere li condannò a scavare terra e a portare pesi
d'ogni genere secondo il bisogno delle terme.
Tra coloro che già portavano acqua e sabbia per quei faticosi lavori eravi un attempato
cristiano di nome Saturnino. Egli aveva passata una lunga vita nell'esercizio delle virtù e di opere
di carità; ma per l'età sua avanzata non poteva più sostenere gravi fatiche e spesso cadeva sotto
gli enormi pesi da cui era gravato. Mossi a compassione di lui Ciriaco e Sisinio come più sani e
più robusti portavano i loro pesi e quelli di Saturnino. Tal caso essendo eziandio venuto a notizia
di Massimiano mandò a chiamare Sisinio e gli tenne questo discorso: Come ti chiami?
Sisinio: Io mi chiamo Sisinio povero peccatore e servo dei servi di Gesù Cristo. {48 [48]}
Massimiano: Che cosa andate cantando fra di voi cristiani?
Sisinio: Se tu conoscessi i nostri cantici, conosceresti eziandio il tuo Creatore.
Massimiano: E chi è cotesto creatore se non l'invicibile Ercole?
Sisinio: Fa vergogna il nominare Ercole o udire voi a parlarne.
Massimiano: Se tu hai vergogna a nominare i nostri Dei, io ho vergogna a nominare te
stesso. Basta quanto hai detto, scegli uno dei due, o che sacrifichi ad Ercole o che farò arrostire
le tue carni sopra ardente bragia.
Sisinio: È da molto tempo ch'io desidero questa gloria; se questo tempo è giunto io godo
grandemente perchè mi avvicino al possesso del più gran bene che uomo possa desiderare.
Massimiano allora mosso da sdegno consegnò i due diaconi al prefetto che li fece
chiudere nel carcere Mamertino, che è quella famosa sotterranea ed oscura prigione, dove furono
tenuti lungo tempo i santi apostoli Pietro e Paolo. {49 [49]} Intanto il Prefetto desideroso
d'interrogare anch'egli i nobili prigionieri comandò al capo dei carcerati di nome Aproniano, che
gli conducesse Sisinio. Ma appena questi penetrò colà dentro, tosto apparve una luce celeste e
dal mezzo della luce uscì una voce che diceva: Venite a me, o benedetti del mio celeste Padre,
ricevete il regno, che vi fu preparato dal principio del mondo. Approniano a quella vista
spaventato esclamò: Ti scongiuro per quel Gesù Cristo che tu predichi a non tardare di
amministrarmi il battesimo, affinchè io possa teco pervenire al possesso di quel regno glorioso di
cui è fatto promessa. Sisinio lo interrogò e per quanto comportava la brevità del tempo lo instrui
intorno alle verità della fede. Quando poi conobbe essere sufficientemente instruito lo battezzò.
Sisinio approffitando della notte e della libertà che Approniano come carceriere loro
poteva dare, andò coi suoi compagni a fare una visita al Pontefice. Godette molto s. Marcellino
{50 [50]} all'arrivo di que' fervorosi campioni della fede, e dopo di aver amministrato ad
Approniano il sacramento della Cresima, celebrò la santa Messa infra cui amministrò a tutti il
Corpo di nostro Signor Gesù Cristo.
Capo VII. Martirio di Saturnino, di Sisinio, Papia e Mauro.
Ritornati i santi Martiri nella prigione, vi passarono tutta la notte. Fattosi giorno
Approniano li condusse dal prefetto. Questi pensavasi di udir Approniano a proferir imprecazioni
contro ai cristiani, e vomitare bestemmie contro al nome di Gesù Cristo; ma fu il contrario. Udi
in vece queste parole: E fino a quando il demonio vi spingerà a maltrattare in tante guise i servi
di Dio? Il Prefetto maravigliato soggiunse: Come? sei anche tu forse cristiano? Approniano: Me
infelice! ho perduto i più bei giorni di mia vita! Dalle quali parole {51 [51]} fortemente mosso a
sdegno, il prefetto lo condannò alla morte dicendo: Se non togliamo costui di vita molti
periranno per cagion sua, e gli fece tagliare la testa. Per incutere vieppiù terrore negli astanti, la
sentenza fu sull’ istante eseguita. Mentre eseguivavasi la sentenza di morte contro ad
Approniano il Prefetto diceva a Sisinio e Saturnino: Se non farete sacrifizio agli Dei vi farò
egualmente perire in mezzo ai tormenti.
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Fatto poscia portare un turibolo pieno di fuoco con incenso, soggiunse: Fate
immediatamente un sacrifizio ai nostri Dei. Saturnino rispose: Il Signore Iddio riduca in polvere
gli Dei dei gentili. In quel momento e il turibolo e l’ incenso furono ridotti in minutissimi pezzi.
A quel miracolo due soldati di nome Mauro e Papia si posero ad esclamare: G. Cristo, che
adorano Sisinio e Saturnino, è il vero Signore Iddio. Il Prefetto altamente sdegnato cominciò dal
sottomettere Saturnino a molti e gravi tormenti; fece spezzare i denti con una pietra {52 [52]} a
Magro e a Papia, dipoi distese sopra le fiamme Sisinio e Saturnino. Dopo questi e molti altri
tormenti fu loro troncata la testa.
Soltanto la sentenza contro Papia e Mauro fu differita. Per la qual cosa essi ebbero tempo
di instruirsi convenientemente nelle verità del Vangelo e di ricevere il Battesimo e la Cresima dal
santo Pontefice. Dopo furono sottoposti alle sferzate ed alle bastonate, e sotto a quei colpi
spietati terminarono la vita.
Capo VIII. Ultime fatiche di s. Marcellino. Suo Martirio.
Molti altri ottennero la palma del martirio in questa terribile persecuzione. Celeberrimo
fu quello di santa Agnese. All’ età di soli dodici anni ella fu in mille guise insultata, flagellata,
minacciata. Ma ella rispose con celeste sapienza a tutte le obbiezioni che le facevano, e con una
serie {53 [53]} di prodigi Dio la liberò dagli ingoiti de' maligni e finalmente cinta della corona
dei vergini e dei martiri volava gloriosa al Cielo il 21 gennaio nel 304.
Il santo Pontefice Marcellino faticava giorno e notte a favore della fede. Ajutato da
parecchi fervorosi ecclesiastici si faceva tutto a tutti per guadagnare tutti a Gesù Cristo. Assistere
gli infermi, istruire gl’ igoranti, soccorrere le vedove e gli orfani, visitare e incoraggiare quelli
che nelle carceri pativano per la fede; animare alla costanza quelli che erano minacciati o
condotti al martirio, erano le ordinarie occupazioni del coraggioso Pontefice. Ma il suo zelo fu
appunto quello che lo palesò ai persecutori, che da lungo tempo andavano in traccia di lui.
Con altri arrestato venne condotto nelle carceri dove gli furono fatti patire tutti quei mali
che la barbarie seppe inventare. Ma il santo Pontefice tutto sopportò con ammirabile pazienza.
Tutto rassegnato ai voleri {54 [54]} di Dio, pregatalo instantemente perchè si degnasse di aprire
gli occhi ai persecutori ed avesse pietà della sua greggia.
Abbiamo negli atti che si conservano nei codici vaticani, che s. Marcellino mentre era
condotto al martirio ordinò, che il suo corpo fosse deposto in una cripta, ovvero in un cubicolo
del cimitero di s. Priscilla nella via Salaria presso al corpo di s. Crescentone. Egli era coronato
del martirio il 26 aprile 304, dopo aver governata la santa Sede otto anni meno sette giorni. Con
lui furono eziandio martirizzati i Ss. Claudio, Cirino e Antonino.
Tenne egli due volte la sacra ordinazione nel mese di dicembre, in cui ordinò quattro
sacerdoti e due vescovi che mandò al governo di alcune diocesi lungi da Roma. Fra i sacerdoti da
lui ordinati, di cui la storia ci conservò i nomi, fu s. Silvestro, che dopo aver lavorato per la
religione sotto a quattro Pontefici finalmente venne egli stesso innalzato {55 [55]} alla Sede
pontificia siccome a suo tempo racconteremo.
Per eccesso di barbarie il corpo del s. Pontefice e quello de' suoi compagni furono esposti
al pubblico disprezzo e si lasciarono trenta giorni senzadio niuno potesse dar loro sepoltura.
Finalmente s. Marcello notte tempo e coll’ ajuto di alcuni zelanti cristiani riusci a portar via quei
cadaveri. Il corpo di s. Marcellino fu portato a seppellire nel luogo da lui a s. Marcello ordinato.
La sepoltura fu fatta solenne, e vi prese parte tutto il clero Romano portando lumi in mano,
cantando inni sacri al Signore e facendo preghiere certamente in suffragio dell’ anima di lui, che
per altro era già volata al cielo.
Da questo fatto apparisce quanto sia antico l’ uso praticato dalla Chiesa cattolica di portar
lumi, cantar inni sacri, fare preghiere nell’ accompagnare i cadaveri alla tomba. {56 [56]}
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Don Bosco - Il pontificato di S. Marcellino e di S. Marcello papi e martiri
Capo IX. Osservazione sul pontificato e sulla supposta caduta di s.
Marcellino.
Alcuni parlando di questo santo Poutefice hanno fatto un nome solo tra Marcellino e
Marcello, che ne fu il successore quasichè il primo sia nome diminutivo del secondo. Ma tutti gli
Scrittori latini e i più accreditati scrittori greci stabiliscono due pontificati uno diverso dall’ altro;
descrivono le azioni, il tempo del pontificato in guisa che per niun modo possono convenire alla
medesima persona. Perciò la Chiesa cattolica appoggiata sopra la autorità della storia tramandata
dai più remoti tempi fino a noi fa due solennità con ufficiatura, con messa e lezioni distinte da
leggersi in tempo diverso. La festa di s. Marcello si celebra ai 16 gennaio, quella di s. Marcellino
ai 26 aprile.
Altra cosa si suol notare di s. Marcellino ed è una supposta caduta nell’ idolatria. Ecco la
cosa come è raccontata. Nella persecuzione di Diocleziano {57 [57]} spaventate dai tormenti, a
cui i martiri erano assoggettati, offerì incenso agli idoli. Ma poscia pentito andò a Sinoessa, ove
in un concilio di 300 vescovi confessò il suo peccato. Niuno per altro osò condannarlo dicendo la
prima Sede non poter essere giudicata da nessuno. Allora Marcellino ritornò a Roma agitato dai
rimorsi, presentossi all’ Imperatore, lo rimproverò intrepidamente della sua crudeltà, e così
ottenne il martirio.
Ma i migliori storici sostengono che quel fatto è intieramente favoloso. Natale
Alessandro fa una dissertazione per provare che quel fatto è del tutto falso. La caduta di
Marcellino, egli dice, è una favola inventata dai Donatisti in odio del Papa. Teodoreto chiama
Marcellino uomo forte che nella persecuzione si condusse maravigliosamente.
S. Agostino parla di questo fatto rispondendo all’ eretico Petiliano come segue: «Che
bisogno avvi di confutare le accuse portate da Petiliano contro {58 [58]} ai vescovi di Roma che
egli copre di calunnie e d’ imposture con un accanimento incredibile? Egli accusa Marcellino di
aver consegnato i libri santi ai gentili e offerto incenso agli idoli; ma un rimprovero che è
fondato sopra niente, può egli stabilire a suo favore la colpa di quello? Petiliano assicura che egli
è stato sacrilego, ed io rispondo che esso è innocente. Perchè dovrò io mettermi a trattare la
difesa di uno quando l’ accusa è destituita di ogni prova e di ogni fondamento?» Quanto poi al
concilio di Sinoessa esso non ha mai esistito, come niuno seppe mai ove sia esistita una città di
questo nome. Inoltre in tempo della terribile persecuzione di Diocleziano come era mai possibile
poter venire a concilio 300 vescovi? I dotti scrittori, Pagi, Tillemont, Berti e Benedetto XIV
vanno d’ accordo nell’ asserire essere una vera favola l’ apostasia di s. Marcellino3.{59 [59]}
3 Il racconto della caduta di Marcellino essendo riferito eziandio dal Breviario romano, si suol domandare percnè
non si corregge. Si risponde coll’ autorità di Benedetto XIV il quale dice il Breviario essere di grande autorità presso
ai cattolici ma non tale da non potersi disputare contro specialmente nei fatti storici. I sommi Pontefici hanno già
dimostrato più volte il desiderio ed il bisogno di correggere alcuni tratti storici del Breviario, ma o la brevità del
pontificato o le turbolenze suscitate contro alla Chiesa nol permisero. Quindi la Chiesa permette queste lezioni del
Breviario, perchè sono semplici letture che non riguardano nè ai dogmi, nè alla disciplina, nè ai costumi, aspettando
che gli studi storici abbiano con certezza depurati certi fatti e certi detti non abbastanza fondati. D’ altra parte poi si
deve notare che la Chiesa approva cose contenute nel Breviario che in se stesse esprimono una verità, sebbene vi
possa talvolta esservi sbaglio intorno alla persona cui si riferiscono. Onde in questi casi sarebbe approvata la
leggenda ovvero le cose contenute nel Breviario senza definire da chi siano state dette o fatte.
I protestanti fanno molto rumore sulla caduta di s. Marcellino dicendo: Se il Papa offerì incenso agli idoli,
dove è l’ infallibilità del Papa cotanto vantata dai cattolici? Si risponde col cardinale Bellarmino. Ancorchè fosse
vera la caduta di questo o di altri pontefici, niente potrebbesi inferir contro l’ infallibilità del Papa, perchè con quel
fatto avrebbe peccato personalmente, ma non avrebbe insegnata alcuna cosa contra alla fede. Lib. 4 de Rom. p.
Onde diceva già Tertulliano che questa sarebbe colpa privata di chi vive nel mondo, ma non di chi predica
la fede. - Vitium conversationis non praedicationis. Capo 23 de prescript.
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Capo X. Trista fine di Diocleziano e di Massimiano.
Appena Diocleziano sottoscrisse il sanguinoso editto di persecuzione tosto cominciarono
a cadere sopra di lui gravi flagelli. Galerio che lo aveva {60 [60]} spinto a perseguitare i
cristiani, dopo gli si rivoltò contro minacciandolo di morte se non abdicava. Perciocchè Galerio
spingendo il sovrano a maltrattare i sudditi cristiani sperava di avere con ciò’ un pubblico
pretesto a fargli abdicare l’ impero. Allora Diocleziano stanco per l’ età e per le fatiche sostenute
in tempi di pace e in {61 [61]} tempo di guerra, costretto dallo stesso suo figlio adottivo,
rinunciò al trono e si ritirò in Salona città posta sulle rive dell’ Adriatico. Ma la mano di Dio che
pesava sopra di lui lo accompagnava ovunque. La sua salute si alterò in modo che perdette quasi
interamente l’ uso della ragione, e ne conservò soltanto quel poco che gli bastava per sentire il
peso delle miserie e dell’ avvilimento della sua condizione. Intanto lo assale un umor bilioso che
lo divora. Languente, tristo, agitato da perpetue inquietudini non pigliava quasi più alimento di
sorta, non riposava il giorno, non dormiva la notte. Sovente rompeva in forti gemiti, si vedeva
spessissime volte a lacrimare con tutta la debolezza di un fanciullo. Oppresso dalle pene, o
meglio dai colpi della celeste vendetta, si abbandonò alle più violente agitazioni, e cieco nella
sua frenesia si percuoteva da se medesimo, si voltolava a terra mettendo speventevoli grida.
Finalmente bramando di terminare una vita infelice con una {62 [62]} presta morte si lasciò
disperatamente morire di fame.
Poco dissimile fu la morte di Massimiano suo genero e suo emulo nella barbarie e
crudeltà. Egli adottò le medesime leggi, i medesimi editti che Diocleziano aveva emanato, quindi
non solo nelle parti d’ Oriente, dove comandava Diocleziano, ma in tutto l’ Occidente dove
governava Massimiano infuriò la persecuzione. Ma dovette anch’ egli provare gli effetti dell’ ira
di Dio. Costretto a rinunciare al trono, andava viaggiando dall’ Italia nelle Gallie e dalle Gallie
nell’ Italia, ora fingendo di volere davvero abdicare al trono, ora eccitando sedizioni contro a chi
pretendeva all’ impero. Ma tramando insidie contro il suo genero Costantino il grande fu
rinchiuso in una prigione. Per grazia speciale messo in libertà formò tosto il reo disegno di
uccidere nel letto il suo generoso benefattore. A tale effetto andò nottetempo, ma invece di
Costantino mise a morte uno sciagurato eunuco postovi {63 [63]} in luogo del genero. Nell’ atto
che consumava il suo delitto, Costantino apparve attorniato dalle sue guardie, fece imprigionare
l’ assassino con facoltà di eleggersi qual genere di morte volesse. Massimiano, trascelse quello di
essere strangolato e lo pose colle proprie mani in esecuzione.
Cosi terminarono la loro vita questi due famosi Imperatori: ambidue celebri per virtù e
valore militare; ambidue lodati per la destrezza nel maneggiare le cose politiche; ambidue dati ai
vizi della crapula e dell’ intemperanza; ambidue crudeli persecutori dei cristiani. La divina
giustizia permise che prima della loro morte provassero in gran parte gli spasimi, le umiliazioni, i
patimenti che eglino stessi avevano fatto soffrire ai martiri di Gesù Cristo. V. Latt. de mart, pers
{64 [64]}
Capo XI. Galerio e il Romano impero. - Principii di s. Marcello. - Suoi
provvedimenti pel bene della Chiesa.
Galerio oltre all’ odio grande che nutriva contro ai cristiani aveva l’ ambizione di voler
regnare solo. Invece di intendersi con Costanzo Cloro, che doveva succedere a Massimiano, egli
creò Cesari un generale di nome Severo ed un suo nipote di nome Massimino. Costanzo per
evitare la guerra civile approvò i novelli Cesari; ma poco dopo esso essendo morto, le sue truppe
si radunarono ed innalzarono al trono suo figlio Costantino il grande. Esso per altro si contentò
del titolo di Cesare, mentre Severo era proclamato imperatore. Ma il governo arbitrario e
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tirannico di Galerio provocò una rivoluzione in Roma dove fu proclamato imperatore Massenzio
figliuolo di Massimiano.
Mentre succedevano questi scompigli s. Marcello assunse il governo della Chiesa universale.
Egli era nato {65 [65]} in Roma, suo padre si appellava Benedetto, ed aveva gii faticato molto
pel bene della Chiesa dorante il governo di vari pontefici.
Quando s. Marcellino era condotto al martirio avendo incontrato Marcello gli indirizzò
queste parole: Non temere i sanguinosi decreti di Diocleziano, temi soltanto Iddio, egli sarà
sempre con te.
Questo Marcello fu il successore del medesimo Pontefice. La Sede pontificia era stata
vacante circa sette mesi ed il 21 novembre del 304 fu innalzato alla santa Sede mentre tuttora
infuriava la persecuzione ordinata da Diocleziano. Onde si può dire che cominciò il suo papato
coll’ andarsi a nascondere nelle catacombe per potere con qualche libertà trattare le cose della
Chiesa4.{66 [66]}
Sia a motivo delle passate persecuzioni, sia perla lunga vacanza della Sede pontificia le
cose della religione erano sossopra. Nella medesima città di Roma a stento i fedeli potevansi
radunare nelle tombe o nelle grotte per assistere ai divini misteri. Già s. Evaristo aveva divisa
Roma in venticinque rioni o quartieri, a ciascuno dei quali deputò un sacerdote incaricato della
cura dei cristiani e dei gentili che avessero abbracciato la fede; ma quei sacri ministri erano stati
o mandati in esilio o martirizzati, le loro abitazioni atterrate, i libri abbruciati; sicchè non
appariva quasi più traccia di quanto aveva quel Pontefice stabilito, s. Marcello approfittando del
tempo in cui il Romano impero era agitato per l’ abdicazione degli imperatori Massimiliano e
Diocleziano e per le discordie insorte tra i varii pretendenti, si occupò colla massima
sollecitudine in quel tratto di tempo almeno in apparenza pacifico per consolidare la disciplina
ecclesiastica e riordinare le cose o distratte {67 [67]} o sconvolte dalla persecuzione. Divise
nuovamente la città di Roma in venticinque parochie come in altrettante diocesi; deputò a
ciascuna un prete che più tardi prese il nome di cardinale. Ad esso aggiunse altri sacri ministri
come altrettanti viceparoci ovvero coadiutori. Fissò di poi le attribuzioni, cui dovevano tendere
le loro sollecitudini. Era speciale ufficio di essi amministrare il sacramento della penitenza e
della santa Eucaristia; celebrare la santa Messa, conferire il battesimo a quelli che erano
sufficientemente instruiti; instauro i fanciulli; aver cura delle vedove e degli orfani; far conoscere
il vangelo ai gentili; soccorrere e confortare quelli che si trovavano in bisogno od erano condotti
al martirio. V. Burio in s. Marcello.
Inoltre durante la persecuzione avveniva che non si poteva dare la sepoltura ai cristiani a
segno, che spesso i corpi degli stessi martiri giacevano delle settimane e talvolta dei mesi senza
che si potessero seppellire, siccome {68 [68]} avvenne del corpo di s. Marcellino e dei suoi
compagni, s. Marcello consacrò certi siti e li destinò ad uso di cimiteri; uno specialmente fu
edificato nella via Salaria destinato ad accogliere i corpi di coloro che morivano per la fede.
Taluno farà maraviglia leggendo come il Papa in tempo di sanguinosa persecuzione abbia
potuto mandare ad effetto opere pubbliche, quali sono cimiteri e chiese. È facile rispondere.
Mentre ardevano accanite guerre, come si disse, per la successione degli Imperatori non
si badava molto alle cose di religione.
Di più Massenzio, che ebbe il governo di Roma, sul principio del suo regno vedeva di
buon occhio i cristiani e concesse loro diversi favori. Alcuni pretendono che siasi anche fatto
instruire nella fede per divenire cristiano. Ma coll’ andare del tempo, dando esecuzione alle leggi
de' suoi antecessori, divenne egli pure feroce persecutore dei cristiani. V. Bar. 309. {69 [69]}
Ordinate così le cose interne di Roma portò il suo pensiero alle esterne. Persuaso che dai buoni
ecclesiastici dipende il progresso della religione, di questi si occupò eziandio con grande zelo.
Oltre a quelli che erano e in Roma e fuori di Roma consacrati dagli altri vescovi, tenne egli
stesso più volte la sacra ordinazione in cui consacrò venticinque sacerdoti, due diaconi, e vent’
4 Gli atti del martirio che corrono sotto il nome di s. Marcello sono scritti dai notai ovvero scrittori della Chiesa
Romana. Vedi Boll. 16 gennaio Una parte però si riferisce a s. Marcellino, è l’ altra a s. Marcello. Vedi Baronio,
anno 304.
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un vescovi che mandò ad occupare diverse diocesi lungi da Roma. Tra questi vescovi merita di
essere specialmente nominato s. Emidio che dal s. Pontefice fu inviato ad Ascoli celebre città
dell’ Umbria. V. Boromio a. 309.
Capo XII. Patria di s. Emidio. - Sua venuta in Milano, e a Roma5.
S. Emidio era nato in Germania in una città vicina la fiume Reno. {70 [70]}
Dopo aver compiato gli stadi delle scienze profane, giunse a conoscere la santità della religione
cristiana, la quale abbracciò e professò fervorosamente. Gli autori di sua vita raccontano una
moltitudine di maraviglie operate in sua patria e ne' suoi viaggi. Noi trasceglieremo solamente
quelle cose, che hanno più stretta relazione col pontificato di s. Marcello. Mosso da divina
inspirazione, egli parti con tre compagni detti Euplo, Valentino e Germano. Giunto in Milano si
pose a predicare la fede, ed essendo stata conosciuta la sua grande scienza e le rare sue virtù,
venne ordinato sacerdote dal vescovo di quella città. Ivi dimorò tre anni esercitando
specialmente il suo sacerdotale ministero in una chiesa già esistente sotto il nome di s. Nazario
{71 [71]} e Celso. Ma il nemico del genere umano invidioso del bene che Emidio operava, eccitò
contro di lui una turba di gentili, che coprendolo di villanie e di oppressioni lo cacciarono fuori
della città. La chiesa milanese celebra ogni anno il 20 gennaio questa persecuzione del santo
sostenuta per la fede di Gesù Cristo. Allora Emidio continuò il suo cammino alla volta di Roma,
dove giunto, andò a prendere alloggio in casa di un soldato detto Graziano. Aveva costui una
figliuola da cinque anni gravemente inferma. Ogni spesa, ogni cura dell’ arte era tornata inutile.
Quando intese che quei forestieri sapevano di medicina, sentissi il cuore pieno di fiducia per la
guarigione di sua figlia. Disse loro pertanto: Io ho una figlia unica, la quale da cinque anni
patisce flusso di sangue; nulla giovarono le cure dei medici, nemmanco le arti e i rimedii dei
nostri indovini; se mai voi la potete guarire, vi darò una vistosa somma di danaro, e vi
acquisterete un nome che vi renderà {72 [72]} ricchi, cari e gloriosi più di ogni altro medico di
questa città.
Emidio: noi siamo medici, come ti abbiamo detto, e possiamo guarire in un momento la
tua figliuola purchè si faccia cristiana. Accondiscese il soldato, e nell’ atto che dava alla figliuola
col battesimo la salute dell’ anima, le restituiva in pari tempo la perfetta primiera sanità
corporale.
Sparsa la voce di questo miracolo si portarono molti altri infermi che tutti furono
miracolosamente guariti. Pei miracoli che si operavano, per le predicazioni che si facevano molti
gentili vennero alla fede. In un sol giorno 650 ricevettero il battesimo, altro giorno 1030.
Alla vista di tanti gentili che venivano alla fede, i sacerdoti idolatri gli si rivoltarono
contro con minaccia di fare uccidere Emidio e i suoi compagni dalla moltitudine se non uscivano
di città. Ma un angelo del Signore apparve notte tempo ad Emidio ed ai suoi compagni, parlando
con chiara voce in questo modo: Non voler {73 [73]} temere i tormenti dei carnefici, Dio è con
voi, alzatevi presto di letto; andate dal papa Marcello, egli vi additerà quanto dobbiate fare. A
questo ordine divino Emidio coi compagni andò immediatamente dal. Pontefice. Come fu alla
presenza di lui Emidio cominciò a parlare cosi: 0 Padre universale e mediatore tra Dio e gli
uomini, la cui lingua chiude ed apre la porta del Cielo, vieni in nostro ajuto, perciocchè noi
siamo gravemente perseguitati perchè non vogliamo negare Gesù Cristo. S. Marcello con parole
di compiacenza prese loro a parlare così: Di che paese siete voi? In che cosa io potrei ajutarvi?
Quale è l’ ufficio vostro in questa città?
Emidio rispose: Noi siamo nati e stati nudriti nella Germania; ci siamo portati a Roma
guidati dallo spirito di orazione, ed avvisati da un Angelo siamo venuti qui ai piedi tuoi. Io sono
5 Fra i molti cbe scrissero diffusamente di s. Emidio citiamo il P. Paolo Appiani nella vita di questo santo. Vghelli
Italia sacra, v. l. Gli atti di s. Emidio attribuiti a s. Valentino discepolo del Santo. Da questi autori ricaviamo quanto
andremo brevemente esponendo di questo Santo.
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un peccatore di nome Emidio, insignito della dignità sacerdotale. Fui ordinato in Milano nell’
oratorio dei santi Martiri Nazario e Celso. Colà predicai {74 [74]} per tre anni il Vangelo. Ma a
motivo della sanguinosa persecuzione mossa in quella città ai servi di Dio fui costretto di fuggire
e venire a Roma. Ora co' miei compagni sono qui a' piedi tuoi chiedendoti ajuto e consiglio. Da
tre giorni desidero parlarti, ma i molti affari cui tu devi dar sesto me l’ hanno impedito.
S. Marcello gli rispose: Ho udito a raccontare molte cose di te, e so quanto hai fatto in
questa nostra città; ora per avere tempo a discorrere e conoscere meglio la volontà del Signore
credo bene che tu passi con me questa notte, domani poi dirò quello che dovrai fare.
Capo XIII. Il Pontefice consacra Emidio vescovo, e lo manda a
governare la chiesa d’ Ascoli, dove lavorando per la fede è coronato
del martirio.
S. Marcello si trattenne molto tempo a colloquio con s. Emidio, e scorgendo in esso
scienza, prudenza e {75 [75]} santità necessarie pel capo di una diocesi, pensò di .consacrarlo
vescovo. Volle egli stesso compiere quella funzione con grande concorso di sacerdoti e di
semplici fedeli e lo consacrò vescovo della chiesa di Ascoli, ed ordinò diacono Euplo di lui
discepolo. Dategli quindi alcune regole di prudenza necessarie per quei calamitosi tempi, lo inviò
alla sua diocesi. Molti romani lo pregarono a voler ancora rimanere qualche tempo presso di loro
per dare guarigione ad alcuni infèrmi; ma egli loro rispondeva: Non posso appagarvi, perciocchè
io debbo ubbidire agli ordini del mio Pastore, e del mio padrone Marcello papa. È meglio
ubbedire che fare sacrifizio Non potendolo trattenere più a lungo, lo pregarono almeno di
accettare varii oggetti preziosi in oro, in argento, e raccomandandosi tutti alle sue sante
preghiere, il lasciarono partire. Ma parecchi suoi amici e molti altri da lui beneficati il vollero
accompagnare fino ad Ascoli in numero di oltre a mille persone. Entrato in quella città si pose a
{76 [76]} predicare la fede di Gesù Cristo operando molti miracoli. La qual cosa fu cagione che
molti vennero alla fede. Guadagnò molti gentili, distrusse molti templi degli Dei, altri purificò e
consacrò al vero Dio. Così in breve tempo non solamente in Ascoli, ma in tutte le città del
Piceno e dell’ Umbria facevasi risuonare il nome di Gesù Cristo. Il governatore della città, di
nome Polimio, mosso a sdegno perchè una moltitudine di pagani abbracciava la fede, e la sua
stessa figliuola erasi fatta cristiana, ordinò al nostro santo di cessare dalla predicazione. Al quale
comando ricusando il santo di ubbidire, il governatore lo fece incatenare, e lo condannò al taglio
della testa. Affinchè poi il popolo non si rivoltasse contro di Polimio fece segretamente eseguire
la barbara sentenza il 5 agosto. Intanto una ricca e nobile matrona timorata di Dio, raccogliendo
il sangue del nostro Martire, ne riempi tre piccoli vasi di vetro, di cui uno mandò a s. Marcello
papa. Il Pontefice ricevette quella preziosa reliquia {77 [77]} in un momento in cui infieriva
grandemente la persecuzione, in cui egli stesso doveva essere al Signore sacrificato.
Capo XIV. Martirio di s. Ciriaco e de' suoi compagni.
Poco dopo la notizia della morte di s. Emidio, il santo Pontefice dovette assistere al
martirio di Ciriaco e de' suoi compagni. Di essi abbiamo già parlato nella vita di s. Marcellino,
qui daremo ancora un cenno sulla loro preziosa morte.
Questo santo aveva avuto la gloria di liberare da grave malattia s. Artemia figlia di
Diocleziano e s. Iopia figlia del re di Persia. Finalmente dopo lunghi e crudi tormenti fu
condannato ad essere strascinato davanti alla vettura dell’ Imperatore. S. Marcello commosso
alla vista dei grandi tormenti che al suo caro discepolo si facevano patire, si presentò
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coraggiosamente {78 [78]} dall’ Imperatore e gli disse: eh! abbi pietà dei servi di quel Dio che
essi pregano ogni giorno per te e pel tuo impero! Fu sempre gloria dei Romani umiliare i superbi
e sollevare gli umili. E tu non voler degenerare. Deh! mira quanti innocenti oppressi, quante
crudeltà verso coloro che sono mansueti come agnelli! l’ opprimere in simile guisa gli inermi e
gli innocenti è un’ infamia al nome romano, è un’ abbominazione a' suoi principi.
Massenzio lasciò che il Pontefice liberamente parlasse. Ma dopo saltò sulle furie e
condannò tosto s. Marcello alla flagellazione. Diede poscia ordine che Ciriaco fosse esposto ad
ogni sorta di tormenti. L’ esecuzione della sentenza fu affidata al vicario di Roma di nome
Carpasio.
Desideroso esso di vedere quel Ciriaco di cui aveva udito a raccontare tante maraviglie lo
fece co' suoi compagni condurre alla sua presenza, quindi gli disse: Perchè disprezzate voi i
comandi dei vostri principi e {79 [79]} non volete far sacrifizi agli immortali nostri dei?
Risposero: Noi ci offriamo di cuore in sacrifizio al Signor nostro Gesù Cristo e non
possiamo ad altri sacrificare.
Carpasio: fate senno ed eseguite gli ordini miei, e. specialmente tu, o Ciriaco, con questa
tua bianca canizie dovresti essere persuaso e star a' miei comandi. Che se per tua mala ventura ti
mostrassi ostinato, io saprò ben modo di fartela ringiovanire. Ciò detto fece fondere della pece in
una grossa pentola, e comandò che fosse versata bollente sul capo di Ciriaco. Il coraggioso
confessore della fede non altro disse che queste parole: Ti rendo grazie, o Signore, che ci fai
degni di entrare nelle porte del Cielo. Finalmente egli con Largo, Smaragdo e Crescenziono dopo
di essère stati sottoposti a tormenti di ogni genere, compierono il martirio coll’ essere loro
troncata la testa il 15 febbraio un’ anno prima del martirio di s. Marcello. {80 [80]}
Capo XV. S. Marcello consacra in Chiesa la casa di santa Lucina. - È
condannato a servire alle bestie.
Otto giorni dopo il martirio di s. Ciriaco e suoi compagni, venne s. Marcello con s.
Lucina al luogo dove erano i loro cadaveri. Avvoltili in un lenzuolo li unse con aromi, e
nottetempo li pose sopra di un pavone, che è una specie di piccolo feretro, quindi accompagnato
da alcuni fervorosi cristiani, li trasportò in un podere della medesima Lucina in distanza di sette
miglia da Roma nella via di Ostia che presentamente dicesi di s. Paolo.
Questa Lucina impiegava le molte sue sostanze nel soccorrere i cristiani specialmente
quelli che pativano per la fede. Desiderando di ispropriarsi di tutto e farne compiuto sacrifizio al
Signore, per mano del sommo Pontefice fecit donationem de facilitate sua {81 [81]} ex omnibus
Sanctae Ecclesiae Catholicae. Cioè fece donazione di ogni suo avere alla Santa Chiesa Cattolica,
perchè anche in quei calamitosi tempi, la Chiesa aveva già i suoi possessi rispettati dalle stesse
leggi pubbliche; queste leggi erano state bensì annullate da Diocleziano nell’ impero d’ Oriente,
ma erano poi tollerate nell’ impero d’ Occidente dove comandava Massenzio.
Una largizione cosi vistosa fece grande rumore in Roma; quando poi la notizia giunse all’
Imperatore, ne fu altamente sdegnato e condannò Lucina all’ esilio. La santa Eroina si sottomise
con gioia alla crudele sentenza, ma prima di partire pregò s. Marcello a voler consacrare in
chiesa la propria di lei casa. Con sommo gradimento il Pontefice appagò i pii desideri della Santa
e fece la sacra funzione con quella maggior solennità che i tempi permettevano. Di più il sommo
Pontefice reputando quel luogo molto comodo ai cristiani, andava sovente nella novella chiesa a
celebrare la santa {82 [82]} Messa, fare istruzioni al popolo ed amministrare la santa comunione.
Ma l’ Imperatore giudicando forse tal cosa fatta in suo dispetto, mandò i suoi soldati a profanare
il santo luogo, lo empiè di animali e lo cangiò in un catabalo ovvero stalla pei giumenti, che in
Roma solevansi mantenere in luoghi determinati ad uso pubblico. Per manifestare poi speciale
rabbia contro s. Marcello, fecelo condurre alla sua presenza minacciandolo delle più gravi
sciagure, se non rinunziava alla dignità di vescovo di Roma.
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Il coraggioso Pontefice rimproverò l’ Imperatore della crudeltà usata contro ai servi di
Dio osservando che, quanto egli ed i cristiani facevano, era tutto scevro di colpa e diretto al
pubblico bene; perciò nessuna minaccia, nessun male del mondo avrebbegli fatto rinunziare al
glorioso titolo di vescovo di Roma, e di vicario di Gesù Cristo. Massenzio senza più dire cacciò
il santo dalla sua presenza e lo condannò a servire in quella medesima casa di Lucina da lui
consacrata al divin culto {83 [83]} e dall’ Imperatore ridotta in una stalla.
Quella casa, dice l’ autore della vita di s. Marcello, servì a lui e di carcere e di esilio; ma
contento di patire per amore di Gesù Cristo si prestava volentieri al basso servizio di quegli
animali. Il suo vitto era pane ed acqua, il suo letto un puro pavimento, il suo vestito un sacco con
cilicio. Colà offerendo se stesso in sacrifizio pregava Iddio ad aver pietà della sua Chiesa ed
infondere coraggio in quelli che erano condotti al martirio. Mortificazioni, veglie, digiuni erano
le sue occupazioni, finchè in modo inaspettato venne tolto per forza da quella stalla siccome
siamo per raccontare.
I suoi chierici e molti altri fedeli addolorati perchè il capo della cristianità fosse
condannato a lavori cotanto umilianti e penosi vennero notte tempo e sia che ciò facessero per
vie e porte sconosciute, sia che ingannassero la vigilanza delle guardie, fatto fu che tolsero s.
Marcello da quella stalla e lo restituirono in libertà. Tutta la Chiesa godeva grandemente {84
[84]} della libertà riacquistata dal suo capo; ma quella consolazione fu di breve durata,
imperocchè saputa la cosa l’ Imperatore ordinò che fosse di nuovo con gran diligenza ricercato e
stretto fra catene ricondotto in quella stalla di prima. Colà gli furono a segno diminuiti i cibi ed
accresciute le fatiche, i dispregi, le oppressioni, che in breve dovette soccombere. Cosi egli
consumato dalla fame, dalla sete, dalle infermità, dalle vigilie, dai digiuni il 16 gennaio 309
lasciava la stalla cui era stato condannato e volava a godere la gloria del paradiso, e invece di
animali andava a godere la compagnia degli Angeli e dei Santi per tutti i secoli dei secoli. Il suo
corpo fu tolto di notte da un sacerdote di nome Giovanni il quale in compagnia di altri sacerdoti
e di altri fedeli lo portarono ad essere seppellito nel cimitero di s. Priscilla nella via Salaria tre
miglia lungi da Roma.
Questo santo Pontefice si suole dipingere con due chiese tra le mani e con due Imperatori
prostrati a' suoi {85 [85]} piedi. I due Imperatori si credono Massimiano e Massenzio da lui
superati colla eroica sua fermezza nella fede e nei patimenti. Le due chiese poi sono la casa di s.
Lucina da lui consacrata, e la casa di s. Ciriaco dove egli consacrò un fonte battesimale. V.
Molano in natalibus sanctorum.
Capo XVI. Trista fine di Carpasio e de' suoi compagni.
Gli atti che riferiscono il martirio di s. Marcello, di s. Ciriaco e dei suoi compagni, dopo
di avere esposto i loro patimenti e la loro morte gloriosa, raccontano la trista fine di Carpasio
vicario di Roma, che con inudito accanimento si era studiato di tormentare i servi del Signore. Il
fatto è raccontato come segue: Quando Massenzio seppe l’ esecuzione della sentenza per parte di
Carpasio, lo mandò a chiamare per essere informato della {86 [86]} disputa e della morte cui
soggiaquero i nostri santi. L’ Imperatore si mostrò talmente suddisfatto, che Carpasio giudicò
potergli in quel momento dimandare la casa abitata da s. Ciriaco. Questa casa era stata donata
alcuni anni prima al nostro Santo dall’ imperatore Diocleziano perchè aveva liberato Artemia sua
figlia da mortale infermità. Di buon grado Massenzio appagò il desiderio di Carpasio
concedendogli la casa con tutto il mobilio , che nella medesima aveva lasciato s. Ciriaco.
Quando Egli vi andò al possesso fece una gran festa invitando una moltitudine di arnia a
prenderci parte. Fra le altre cose ebbe caro un luogo dove s. Ciriaco aveva edificato un fonte
battesimale, che s.Marcello medesimo aveva consacrato. Colà s. Ciriaco soleva battezzare coloro
che venivano alla fede. Carpasio per incrudelire contro i servi del Signore, che già erano defunti,
e per disprezzo della cristiana religione cangiò quel battistero in un bagno, ad deridendam legem
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christianorum. Che più? volendo {87 [87]} condurre l’ empietà all’ estremo cangiò quella casa
in un pubblico ridotto, a guisa che si commettevano in quel bagno le più orribili nefandità. Ma
guai a chi disprezza le cose del Signore, egli stringe una spada a due tagli! facendosi spesso colà
convegno di gente di buon tempo e scostumata; e Carpasio godendo di quel turpe guadagno, ne
fu con molti suoi amici terribilmente colpito dalla mano del Signore. Un giorno mentre con molti
compagni usciva dal bagno in numero di venti, come colpiti da un fulmine, caddero morti sull’
istante. A quel colpo terribile quelli, che rimasero in vita o fuggirono o si diedero a trarre fuori i
cadaveri degli estinti tra cui lo stesso Carpasio per condurli a sepoltura. Questo fatto servi
efficacemente ad accrescere il numero dei fedeli. Da quel giorno istesso fu chiuso il bagno e quel
luogo diventò oggetto di timore dalla parte dei gentili, e di venerazione da parte dei cristiani. {88
[88]}
Capo XVII. Culto verso s. Marcello. - Grazie e miracoli dopo morte a di
lui intercessione operati.
Il corpo di questo santo Pontefice fu sepolto, come si è detto, nel cimitero di s. Priscilla.
Colà cominciò a farsi grande concorso di gente. Circa l’ anno 550 il suo corpo fu portato entro la
città di Roma, ma molte parti vennero concesse ad altri paesi.
Celebre è la reliquia concessa ai religiosi di Altomonte nel Belgio; eccone in breve la
storia. V. Ursione presso i Boll. 16 Jan.
Circa l’ anno 650 essendosi terminato un vasto edifizio destinato per abitazione di
monaci, vennero chieste alcune reliquie al sommo Pontefice Martino I per onore e gloria del
convento. Come reliquia insigne e preziosa fu donata la maggior parte del corpo di s. Marcello. Il
vescovo di quella città ed il re del Belgio, di {89 [89]} nome Dagoberto, furono compresi dalla
più grande allegrezza. Il re volle che ogni cosa si facesse a sue spese, e il vescovo si adoperò
affinchè il trasporto fosse effettuato colla massima venerazione e solennità. Chiuse e sigillate in
un’ urna d’ argento quelle reliquie furono per molti secoli in Altomonte oggetto di venerazione e
di benedizione. Ma per le molte guerre, pel passaggio di eserciti, per invasione di gente straniera,
caddero in dimenticanza a segno, che nemmen più sapevasi in qual sito riposassero.
Per altro la divina Provvidenza dispose che fossero novellamente scoperte e fatte oggetto
di culto pubblico l’ anno 1054. Questo ritrovamento è in ogni anno con festa speciale celebrato il
giorno 8 settembre, giorno in cui avvenne la gloriosa scoperta, che per quei popoli fu pegno di
molti celesti favori.
Noi ne esponiamo soltanto alcuni ricavati dal mentovato Ursione autore contemporaneo e
superiore di quel convento. All’ occasione che furono {90 [90]} scoperte quelle reliquie, egli
dice, fu fatta una grande solennità con molto concorso di fedeli. Fra l’ immensa moltitudine
venne eziandio condotta una giovine sordomuta dalla nascita. Mossa da viva fede e dalla
speranza di guarire corre a prostrarsi vicino all’ urna del Santo e non colla voce, ma coi gemiti e
cogli affetti del cuore sta immobile, supplicando e attendendo la grazia ad intercessione del
Santo. In quel momento il Cielo, che prima erasi coperto di dense nuvole, si fa sereno e la chiesa
appare tutta irradiata di viva luce. Allora la fanciulla tutta festevole si alza, volge lo sguardo
verso la moltitudine e con universale ammirazione si mette a parlare, intende e ascolta chi le è
vicino e con loquela spedita risponde a chi le indirizza il discorso. Il fatto vien riferito al vescovo
e la notizia gli è comunicata mentre appunto predica al popolo le glorie di s. Marcello. Si fa
chiamare la stessa giovinetta e in presenza di tutti ella stessa racconta il prodigio. Una
moltitudine di quelli {91 [91]} che l’ avevano conosciuta sordomuta dalla nascita, confermano la
veracità del fatto.
Il vescovo commosso non sa esprimere altrimenti la gioia del suo cuore che intonando ad
alta voce un solenne Te Deum che viene dal popolo con voci di allegria cantato. Dopo di che il
vescovo celebrò la Santa Messa e comparti a tutti la santa benedizione.
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La fama di quel miracolo si diffuse celeramente nei vicini paesi, sicchè da tutte parti si
faceva ricorso a s. Marcello per ottenere favori celesti. Fra gli altri fu una donna di Gomigni.
Aveva costei soltanto la somiglianza umana, del resto era tutta attratta in modo che tra mani,
piedi e il resto del corpo faceva una specie di gomitolo. Da tre anni giaceva in quel miserabile
stato. I parenti l’ avevano inutilmente sottomessa a molte cure mediche raccomandandola
eziandio in molte occasioni al Signore. Alla notizia poi delle maraviglie che si operavano da s.
Marcello, ella supplicò i parenti a {92 [92]} volerla anche condurre a quel medico maraviglioso.
Colà portata col più vivo affetto del cuore pregò e la sua preghiera giunse a s. Marcello che la
porta al trono di Dio, e le ottiene pronta guarigione. In un momento i piedi e le mani prendono
forma e movimento regolare, si alza da se stessa, ringrazia il Santo e co' suoi piedi camminando
va a raccontare ovunque la maraviglie che Dio aveva operato ad intercessione del suo celeste
benefatore.
Capo XVIII. Una muta acquista la loquela, ed una donna cieca
ricupera la vista.
La moltitudine di grazie e di miracoli che ad intercessione di s. Marcello ogni giorno si
operavano, traevano gente da tutte parti. Ma molti o per distanza, o per mancanza di mezzi non
potendosi recare ad Altomonte, domandarono al vescovo di permettere che le prodigiose reliquie
{93 [93]} fossero portate in altri paesi. Il vescovo accondiscese. Interviene il clero secolare e
regolare con popolo in numerabile, lunga schiera di fanciulli precedono ed altri seguono il sacro,
deposito. Ovunque passa la divota processione il Santo segna il cammino con grazie e prodigi.
Ad una città, allora detta Alcinio ed oggidì Auchin, avvenne quanto segue. Era un fanciullo di
sette anni muto dalla nascita, ed era come senza lingua. La madre piena di fede lo condusse
presso l’ urna che era portata processionalmente. La madre col figlio piange, geme e prega Ma la
sua preghiera fu breve, imperciocchè pochi istanti dopo il muto acquista la loquela e l’ udito, si
alza, ascolta gli altri e si mette a parlare raccontando così col fatto le maraviglie del santo
Pontefice.
Da Auchin la processione continuò verso la città di Sonegia che oggi dicesi Songiez,
segnando ovunque il passaggio con nuove maraviglie. Finalmente dopo altre fermate ed altre
grazie vennero riportate ad Altomonte. {94 [94]} Quivi continuarono ogni giorno innumerevoli i
celesti favori.
Una donna cieca da più anni soleva recarsi a tutti quei Santuari ove udiva ottenersi grazie
speciali. Ma sempre inutilmente; essa doveva ottenere il premio della sua fede in Altomonte. Va
di fatto presso l’ urna di s. Marcello e fervorosamente lo prega a volerla liberare dalla dolorosa
sciagura della cecità. Anche qui furono brevi le preghiere, imperciocchè tosto la cieca si accorse
essere svanito il dolore degli occhi, e di avere acquistata la vista più sicura e più perfetta che
prima non aveva. Col cuore pieno di gioia e di gratitudine corre immantinente a raccontare il
miracolo operato ai religiosi di quel Santuario che si radunano con grande folla di popolo, quindi
unanimi ringraziano il Signore cantando lodi a Dio Padre onnipotente che ad intercessione del
suo servo fedele S. Marcello papa e martire abbia concesso e conceda tanti celesti favori a' suoi
devoti. {95 [95]}
Appendice sui martiri della Legione Tebea
Gli atti dei Martiri della legione Tebea furono quasi subito scritti dai contemporanei, le
memorie si conservarono con varii monumenti. Ma s. Eucherio vescovo di Lione nella fine del
quarto e sul principio del quinto secolo temendo che quelle preziose notizie andassero perdute, le
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raccolse e compilò la storia che si conservò fino ai nostri tempi. Questi Ss. Martiri sono con
solennità speciale onorati in molti paesi della cristianità, s. Maurizio è da molti secoli il
principale protettore della Real casa di Savoia. Il duca Amedeo avendo rinunziato al trono, nel
{96 [96]} desiderio di procacciarsi gloria innanzi a Dio, si ritirò nel monastero di Ripaglia vicino
a Ginevra. Aveva secolui sei cavalieri decisi come lui di menare vita solitaria. Li appellò soldati
di s. Maurizio. Portavano sul petto una croce d’ oro, usavano abiti semplici simili a quelli dei
pellegrini. Amedeo diede loro le regole, e fondò due case l’ una per loro, l’ altra per canonici
regolari incaricati dell’ ufficio divino. Tale fu l’ origine dell’ ordine militare di s. Maurizio.
Emanuele Filiberto lo istituì come è al presente e papa Gregorio XIII lo approvò e lo
confermò nel 1572.
Le reliquie di s. Maurizio andarono soggette ad alcune vicende che a noi giova conoscere
perchè fanno parte della storia patria.
La città di Agauno era passata sotto il dominio dei Principi di Savoia quando il Re di
Francia mosse guerra a Carlo Emanuele padre di Emanuele Filiberto. Si venne a patti, e fra gli
articoli del trattato di pace uno fu che il duca di Savoia acconsentisse di cedere la sovranità {97
[97]} di Agauno ovvero s. Maurizio; ma che sarebbero trasportate a Torino le reliquie di s.
Maurizio. Il duca inviò il vescovo d’ Aosta a chiedere le dette reliquie. Ma quegli abitanti
ravvisando in quelle sacre ceneri un tesoro incomparabile si opposero arditamente. Si offrirono
pronti, anzi giurarono di perdere piuttosto le loro vite che lasciarsi levare quella sorgente di
benedizioni. Il vescovo d’ Aosta li minacciò di pene severe, ma inutilmente. In fine per evitare
disordini maggiori si dovettero dividere le reliquie. La divisione si fece colla spada stessa del
Santo. Una metà trasportata a Torino fu prima depositata nella chiesa dei Padri cappuccini della
Madonna di campagna, dipoi con grandissima solennità trasportata alla cattedrale della città; sì
venerano tuttora nella Reale cappella della SS. Sindone.
Le feste che si celebrarono in questa occasione durarono tre giorni. Il duca Carlo
Emanuele ordinò che il 22 settembre fosse per sempre festivo vietando in esso ogni genere di
lavoro. {98 [98]} Sebbene consti dalle memorie antiche che la strage fatta della legione Tebea
fosse universale, e s. Eucherio attesti essersi veduta la spaziosa pianura di Agauno coperta dai
corpi dei s. martiri; tuttavia non tutti vennero in quel giorno uccisi. Alcuni, o perchè forse si
trovassero lontani od anche secondo il consiglio evangelico del Salvatore fossero da quel luogo
fuggiti, furono salvi per allora. La qual cosa servì maravigliosamente a recare altrove la dottrina
cristiana e riportarono poco dopo la palma del martirio. Le nostre contrade furono da Dio fra le
altre predilette sebbene alcuni passassero anche in Isvizzera od in altre parti.
Io andrò accennando brevemente i diversi paesi che furono dal sangue di questi martiri
consecrati.
S. Solutore, Avventore ed Ottavio. Traslocamento delle loro reliquie.
I santi Solutore, Avventore ed Ottavio si credono Torinesi incorporati {99 [99]} nella
legion Tebea quando quà passava. Scampati alla decimazione vennero in Torino a predicare la
religione cristiana. Qui furono scoperti dai satelliti di Massimiano, e condannati a morte. S.
Solutore potè sfuggire, ma raggiunto a Caravino nel Canavese fu trucidato.
Una santa matrona, Giuliana d’ Ivrea, avendo ciò saputo dagli stessi carnefici, dissimulò
la cosa ma andò subito in traccia del corpo di s. Solutore nel luogo indicato. Come l’ ebbe
trovato se lo prese seco e montò in cocchio alla volta di Torino. Ivi giunta trovò eziandio le
reliquie dei santi Avventore ed Ottavio, le uni a quelle di s. Solutore che avea seco condotto, e li
seppellì in un Tempio dei Gentili da lei comperato e cangiato in Chiesa. È questa la prima chiesa
di cui si abbia memoria in questa città. S. Giuliana dopo morte fu nello stesso luogo seppellita.
Questo oratorio fu di poi magnificamente ampliato, e divenne più tardi il famoso monastero di s.
Solutore proprio nel sito dove fu edificata la cittadella di Torino. Ma nell’ anno mille
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cinquecento {100 [100]} trenta sei, i Francesi essendosi impadroniti di questa città il monastero
fu distrutto, le reliquie dei ss. Solutore, Avventore ed Ottavio con quelle di s. Giuliana e di s.
Gozzelino abate di quel monastero, furono dapprima trasportate nell’ Oratorio di s. Andrea ora
Chiesa della Consolata. Intanto fu edificata una nuova chiesa nel centro della città dove furono
trasportate le sudette reliquie, che dai nostri santi dicesi tuttora chiesa dei santi martiri.
Altri martiri Tebei in Torino ed in Altessano.
Coi ss. Solutore, Avventore ed Ottavio erano anche venuti in Torino i ss. Giuliano e
Bisurio della stessa legione. Credesi che il martirio di questi ultimi sia avvenuto presso la Dora.
Scavando alcuni contadini in vicinanza dell’ antico castello di Altessano, paese poco distante da
Torino, in una possessione scoprirono un sepolcro ed in esso un cadavere, un calice ed un libro.
Avvisato di ciò il paroco accorse e trovò {101 [101]} nel libro descritto il martirio di un soldato
della legione Tebea, s. Marchese ivi sepolto. Quivi fu dapprima edificata una cappella, in
appresso quelle reliquie furono trasportate nella parodiale dove se ne celebra la festa ogni anno il
20 giugno.
Soldati Tebei martirizzati nel Canavese.
S. Besso soldato Tebeo fuggendo venne a nascondersi nel canavese nelle montagne di
Val Soana vicino a Pont, dove predicando il Vangelo fu perseguitato e precipitato giù da un alto
monte, sicchè credevasi morto. Ma dalla divina provvidenza conservato andò al di là della Dora
Baltea sul monte presso Vittumulo che prese poi il nome del Santo, e chiamasi della Bessa, tra il
Canavese ed il Biellese. S. Besso fini i suoi giorni in questa montagna e fu sepolto non lungi
dalla Dora Baltea, dove le sue reliquie stettero nascoste finchè fu data la pace alla Chiesa. Nel
secolo IX furono trasportate in Eugenia {102 [102]} oggidì Ozzegna. Nel principio del secolo
undecimo il Re Arduino le fece trasportare nella cattedrale d’ Ivrea.
Vicino al sito dove fu martirizzato s. Besso era già accaduto il martirio di un altro soldato
Tebeo, s. Secondo. Le reliquie di s. Besso furono di là trasportate alla Novalesa e nel 906 in
Torino con quelle dell’ abate s. Valerico; che si venerano al presente nella cattedrale.
Altri soldati della legion Tebea riportarono la corona dei martiri nel Canavese come s.
Giovenale e s. Tegolo. Giovenale si portò nel luogo di Andrato, e qui fu per opera dei Sacerdoti
di Apolline martirizzato. Nel giorno dell’ Ascensione i popoli dei dintorni di Andrato si portano
processionalmente a venerare il loro s. martire Giovenale. S. Tegolo fu martirizzato, ma il suo
sepolcro restò ignoto finchè venne rivelato a s. Veremondo vescovo d’ Ivrea che nel 1005 ne
trasferì le reliquie nella sua cattedrale e lo acclamò patrono della città con festa il 25 ottobre.
{103 [103]}
Tebei martirizzati nel Monferrato.
S. Candido con alcuni suoi compagni fuggì nel Monferrato. Ma i persecutori, che lo
inseguivano, lo raggiunsero in Murisengo presso Casale. Ivi incontrò il martirio. La sua festa si
celebra il giorno 11 di marzo.
Un compagno di s. Candido si crede che fosse s. Quirico , il quale venne anche
martirizzato in Murisengo. La sua festa è celebrata dagli Astigiani il 46 giugno.
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Un altro dei compagni di s. Candido fu s. Defendente di cui cade la festa il 2 gennaio.
Egli soffri il martirio presso Casale che allora si chiamava Seduta.
Vi fu un altro s. Defendente appartenente alla stessa legione che credesi martirizzato
vicino al fiume Rodano.
Altri paesi santificati dal sangue di soldati Tebei.
S. Valerio fuggito dalla strage si rifugiò presso i popoli stabiliti nei dintorni dove adesso
è Alessandria; ma {104 [104]} arrestato presso Lu diede gloriosamente la vita.
Le sue reliquie sono venerate nella parochia di quel paese il 22 gennaio.
Nel paese di Caramagna si venerano le reliquie dei ss. martiri Asterio, Abondio e
Desiderio i quali fuggiti dalla morte si portarono a predicare Gesù Cristo in questo paese dove
raggiunti furono uccisi.
Questo stesso paese venerava ancbe s. Cesario, Longino, Mauro e Demetrio, le cui
reliquie peraltro andarono smarrite.
Alla distanza di due miglia circa da Fossano è situato un villaggio che appellavasi
Urbano ed era città considerabile dei popoli Vagienni. Ivi si rifuggì s. Albano e quivi ebbe il
martirio lasciando al paese il proprio nome ed il titolo alla parochia. Prima che fosse edificata la
città di Fossano esisteva in sua vece un villaggio detto Romanisio. Qui vennero due soldati tebei
Alverio e Sebastiano e vi riportarono anch’ essi la palma del martirio. Le loro reliquie furono per
lungo {105 [105]} tempo ignorate; ma nell’ anno 1427 gli abitanti udirono il 26 gennaio una
gran melodia, che pareva provenisse di sotto terra: continuando cosi alcuni giorni vi attrasse
molta gente. Si fece scavare la terra e si trovarono due cassette ben ornate, e ben chiuse con
lastre di ferro. Dentro avevano le ossa di s. Asterio e s. Sebastiano che furono con solennità
trasportati nella collegiata di s. Giovanni e proclamati per santi tutelari e compatroni della città.
A Dronero presso Cuneo nella valle di Macra vennero a rifugiarsi s. Costanzo, Vittorio,
Costantino, Dalmazzo e Ponzio ove furono martirizzati. Contemporaneamente a questi ebbe il
martirio s. Fiorenzo. Vuole la tradizione che il luogo bagnato da questo sangue fosse nella
provincia e Diocesi di Mondovì in un montuoso villaggio che si denomina la Bastia. Da quella
parochia si celebra annualmente in onore di lui l’ uffizio e la messa il 14 di giugno.
È situata nella valle del Po nella provincia {106 [106]} di Saluzzo una piccola terra
chiamata Grisolo, perchè anticamente vi si estraeva dell’ oro. Ivi è tradizione costante che sia
stato martirizzato e sepolto s. Chiaffredo o Gioffredo. Per molto tempo non si conobbero le sue
reliquie. Finalmente alcuni contadini arando la terra ne scoprirono il sepolcro. Si eresse in questo
sito una chiesuola, ed il Signore vi operò molte maraviglie. Nel secolo XVI per togliere queste
reliquie alla profanazione degli eretici si deliberò sotto Carlo Emanuele I di trasportarle nella
Rocca di Revello. Tutto era disposto per la traslocazione; ma gli abitanti di Grisolo si opposero.
Dopo molte alterazioni si conchiuse di lasciar in Grisolo una coscia ed una mano, ed il resto
trasportato in Revello. Di qua furono poi trasportate in parte nella cattedrale di Saluzzo dove se
ne celebra la festa il 6 dicembre.
S. Valeriano discese dalle rive del fiume Rodano e venne nelle montagne di Cumiana
presso Pinerolo. Nei dintorni di questo paese, di Piossasco, di {107 [107]} Frossasco e sulla
sponda del torrente Chiusola catechizzava i gentili, ed amministrava il Battesimo. Perseguitato or
di qua or di là fu raggiunto nella valle di Susa tra Borgone e Chiavrie vicino alla Dora Riparia, e
diede la vita fra quei popoli che divoti del suo nome gli eressero altari e cappelle assai
frequentate. Il giorno della festa è il 14 aprile in cui fu martirizzato, ma il maggior concorso al
suo santuario osservasi nel lunedì dopo la festa di Pasqua.
I compagni di Valeriano nella fuga furono s. Desiderio e s. Glorio. S. Desiderio, diverso
da quello che si venera in Carmagnola, ebbe il martirio poco lontano da Borgone. La sua festa
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cade il 25 luglio. S. Giorio si festeggia il 26 aprile giorno in cui ottenne la palma del martirio
presso Pinerolo sulla riva del torrente Chisone.
S. Alessandro e suoi compagni.
S. Alessandro unitamente con Cassio, Severino, Secondo e Luinio (suoi valorosi
commilitoni) vennero alla volta {108 [108]} d’ Italia e si fermarono a Milano. Qui riconosciuti
cristiani furono arrestati e chiusi in carcere dove convertirono molti infedeli. Frattanto
Massimiano sceso in Italia per ritornare a Roma si fermò in Milano dove seppe molte cose dei ss.
confesori. Li fece tradurre alla sua presenza, li sollecitò con promesse e con minacce a rinunziare
alla loro fede; ma vedendoli costanti li fece ricondurre in carcere per determinare quale atroce
supplizio loro si dovesse. Durante la notte alcuni cristiani li sottrassero alle guardie e li posero in
libertà. Camminando alla volta di Como giunsero in quella città nel momento che una gran
moltitudine di gente con sospiri e lagrime accompagnavano un defunto alla sepoltura.
Alessandro li ferma e restituisce loro il defunto vivo e sano. Massimiano intanto consapevole di
questa fuga, e tutto acceso di rabbia ne ordina la ricerca. S. Alessandro è arestato vicino a Como
in un luogo appellato il Boschetto e strascinato all’ Imperatore il quale ordinò che dopo aspri
tormenti {109 [109]} gli fosse mozzato il capo. Giunto al luogo del supplizio, mentre genuflesso
stava aspettando l’ ultimo colpo il littore vien preso da insolito terrore: gli tremano le gambe, le
sue braccia sono irrigidite ed intanto grida che un uomo di sembiante divino gli proibisce di
eseguire il suo uffizio. Gli sottentrano altri carnefici; ma indarno; perciò fu ricondotto in carcere.
Il Signore, che voleva dare ad altro paese le sue preziose reliquie, di bel nuovo gli porge mezzo
di sottrarsi, ed egli si avviò alla città di Bergamo. Per via dovendo passare un fiume si fa il segno
della s. Croce ed ecco il passaggio asciutto.
Giunto nella città si mette a predicare la gloria di Dio finchè di bel nuovo è arrestato. Qui
era il luogo in cui doveva ricevere la corona a benefìzio di quei di Bergamo che ora lo venerano
patrone; fu decapitato il giorno 26 agosto.
Rimase il suo corpo insepolto per tutto quel dì. Ma pervenutane la notizia a s. Grata
cospicua matrona di {110 [110]} quella città e già discepola del santo recossi a dargli sepultura
in un sepolcro di marmo che avea per se stessa preparato, e dove riposa nella chiesa a lui
intitolata. In tutti questi martiri si verifica la grande verità de' libri santi, che mentre le anime dei
giusti godono gloriosi la felicità del cielo, le loro ossa sono venerate e riconosciute sorgenti di
benedizioni; e la lero memoria è in benedizione di secolo in secolo per tutte le generazioni. {111
[111]}
Con approvazione ecclesiastica {112 [112]}
Indice
Nozioni topografiche intorno ailla citta' di Roma .
pag 3
Colli aggiunti a Roma antica che fanno parte di Roma moderna
17
Capo I Diocleziano e Massimiano imperatori - Galerio e Costanzo Cloro
Cesari - Elezione di s Marcellino - Sue prime fatiche Apostoliche
25
Capo II S Marcellino amministra la cresima a s Maurizio ed a' suoi
compagni, e raccomanda loro la costanza nella fede .
29
Capo III S Grisogono e s Anastasia .
33
Capo IV Decima persecuzione .
38
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Don Bosco - Il pontificato di S. Marcellino e di S. Marcello papi e martiri
Capo V Moltitudine di martiri - Coraggio del giovane Pietro
Capo VI Terme di Diocleziano - S Marcellino con s Ciriaco e s Sisinio .
Capo VII Martirio di Saturnino, di Sisinio, Papia e Mauro
Capo VIII Ultime fatiche di san Marcellino - Suo martirio
Capo IX Osservazione sul pontificato e sulla supposta caduta di s
Marcellino
Capo X Trista fine di Diocleziano e di Massimiano .
Capo XI Galerio e il Romano impero - Principii di s Marcello - Suoi
provvedimenti pel bene della Chiesa .
Capo XII Patria di s Emidio - Sua venuta in Milano e a Roma .
Capo XIII Il Pontefice consacra Emidio vescovo e lo manda a governare la
chiesa d’ Ascoli, dove lavorando per la fede è coronato del martirio .
Capo XIV Martirio di s Ciriaco e de' suoi compagni
Capo XV S Marcello consacra in {114 [114]} Chiesa la casa di s Lucina - È
condannalo a servire alle bestie .
Capo XVI Trista fine di Carpasio e de' suoi compagni
Capo XVII Culto verso s Marcello Grazie e miracoli dopo morte a di lui
intercessione operati
Capo XVIII Una muta acquista la loquela, ed una donna cieca ricupera la
vista .
43 {113 [113]}
pag 46
51
53
57
60
65
70
75
78
pag 81
86
89
93
Appendice
Sui MARTIRI DELLA LEGIONE TEBEA
S Solutore, Avventore ed Ottavio Traslocamene delle loro reliquie .
Altri martiri Tebei in Torino ed in Altessano .
Soldati Tebei martirizzati nel Canavese
Tebei martirizzati nel Monferrato
Altri paesi santificati dal sangue di soldati Tebei
S Alessandro e suoi compagni
96
99
101
102
104
ivi
108 {115 [115]}
{116 [116]}
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