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Don Bosco - Cenni sulla vita del giovane Luigi Comollo [2a edizione]
CENNI SULLA VITA DEL GIOVANE LUIGI COMOLLO MORTO NEL
SEMINARIO DI CHIERI AMMIRATO DA TUTTI PER LE SUE RARE
VIRTÙ
scritti dal Sacerdote GIOVANNI BOSCO SUO COLLEGA
TORINO, 1884
TIPOGRAFIA E LIBRERIA SALESIANA
S. Pier d'Arena - Lucca - Nizza Marittima - Marsiglia
Montevideo - Buenos-Aires. {1 [1]}
INDEX
AL LETTORE.............................................................................................................................2
Capo I. Patria e genitori di Luigi Comollo - Sua fanciullezza - Primi tratti di virtù..................2
Capo II. Sua prima Confessione - Prima Comunione - Suo desiderio di farsi Ecclesiastico......4
Capo III. Va a studiare a Chieri - La fama di sue virtù precorre in questa città Fatto eroico di
pazienza - Varii attestati di sua commendevole condotta. - Esempi pratici................................6
Capo IV. Vari fatti edificanti - Sua amenità nel parlare - Riguardi nel discorrere di religione -
Onomastico del suo professore - Fuga dei pubblici spettacoli - Sua allegria nel bruciare un
cattivo libro - Sua deliberazione di abbracciare lo stato Ecclesiastico........................................8
Capo V. Preparazione - Vestizione chiericale - Parole di sua madre........................................10
Capo VI. Entra in Seminario - Sua bella massima - La voce del campanello - Rispetto ed
obbedienza ai suoi superiori - Sua pazienza in un insulto - Sue conversazioni - Sua tenera
divozione....................................................................................................................................12
Capo VII. Modestia degli occhi e mortificazione de' suoi sensi - Sue penitenze - Sue vacanze -
Sua ritiratezza - Sua prima predica - Buoni effetti di essa.........................................................14
Capo VIII. Presagi di sua morte - La vista delle campagne - Parole dirette al Cav. Fassone -
Ultimo sguardo alla patria - Parole del padre - Rientra in Seminario - Straordinario suo
fervore........................................................................................................................................16
Capo IX. Suoi pensieri sul paradiso - Suo raccoglimento nella preghiera - Meditazioni
sull'inferno - Gli esercizi spirituali............................................................................................18
Capo X. Sintomi di sua malattia - Giudizi di Dio - Sogno spaventoso - La tranquillità..........18
Capo XI. Ultima Confessione - Il Santo viatico - Avvisi al suo amico - Divozione alla B. V. -
Scelta dei buoni compagni - Si raccomanda agli amici affinchè preghino per lui....................21
Capo XII. Aumenta la violenza del male - È visitato dai suoi genitori - Parole loro indirizzate -
Riceve l'Olio Santo - Sua preghiera a Maria - Sue ultime parole - Sua preziosa morte............23
Capo XIII. Costernazione per la morte del Comollo - Si ottiene di seppellirlo in Chiesa -
Discorso del Teologo Arduino - Solenne sepoltura...................................................................26
Capo XIV. Santa memoria di Litigi Comollo in Seminario - Sua modestia e purità di costumi -
Comparsa ad una camerata di compagni...................................................................................27
Capo XV. Favori celesti che si assicurano ottenuti ad intercessione del Comollo - Liberazione
da grave tentazione - Da grave malattia - Relazione del geometra G. B. Paccotti....................28
Indice.........................................................................................................................................31
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Don Bosco - Cenni sulla vita del giovane Luigi Comollo [2a edizione]
AL LETTORE
Siccome l'esempio delle azioni virtuose vale assai più di qualunque elegante discorso,
così non sarà fuor di ragione un cenno sulla vita di un giovanetto, il quale in breve periodo di
tempo praticò sì belle virtù da potersi proporre per modello ad ogni fedele cristiano, che
desideri la salute dell'anima propria. Qui non ci sono cose straordinarie, ma tutto è fatto con
perfezione a segno, che possiamo applicare al giovane Comollo quelle parole dello Spirito
Santo: Qui timet Deum nihil negligit; Chi teme Dio nulla trascura di quanto può contribuire ad
avanzarsi nelle vie del Signore. {3 [3]}
Quivi sono molti fatti e poche riflessioni, lasciando che ciascuno applichi per se quanto
trova adatto al suo stato.
Tutto quello, che qui si legge, fu quasi tutto tramandato a scritti contemporaneamente
alla sua morte, e già stampato nel 1844; e mi consola assai di poter con tutta certezza
promettere la verità di quanto scrivo. Sono tutte cose pubbliche da me stesso udite e vedute o
apprese da persone, della cui fede non avvi luogo a dubitare.
Anzi i Superiori, che in quel tempo reggevano il seminario di Chieri, vollero eglino stessi
leggere e correggere ogni più piccola cosa, che non fosse abbastanza esatta.
Giova notare che questa edizione non è riproduzione delle precedenti, ma contiene molte
notizie, che allora sembravano inopportune a pubblicarsi, ed altre che pervennero più tardi a
nostra cognizione.
Leggi volentieri, o lettor cristiano, e se ti fermerai alquanto a meditare quel che leggi,
avrai certamente di che dilettarti, e farti un tenor di vita veramente virtuosa. {4 [4]}
Che se scorrendo questo scritto ti sentirai animato a seguire qualcheduna delle accennate
virtù, rendine gloria a Dio, al quale, mentre lo prego ti sia ognor propizio, queste poche pagine
unicamente consacro {5 [5]}
Capo I. Patria e genitori di Luigi Comollo - Sua fanciullezza - Primi
tratti di virtù.
Nella diocesi di Torino, nel fertile paese di Cinzano e nella borgata detta Apra, ebbe i
suoi natali il nostro Luigi Comollo il 7 Aprile 1817. I suoi genitori furono Carlo1 {7 [7]} e
Giovanna Comollo, ambidue di professione contadini. Sebbene di condizione non molto agiata
essi avevano peraltro quei beni, assai più delle ricchezze pregevoli, quali sono la virtù e il timor
di Dio. Il nostro Luigi sortì dalla natura un' anima buona, cuore arrendevole, indole docile e
mansueta, cosicchè, giunto appena all'uso di ragione, tosto si videro allignare in lui quei primi
semi di virtù e divozione, che mirabilmente si andarono perfezionando in tutto il corso della vita.
Come potè apprendere a pronunziare i santi nomi di Gesù e di Maria, li ebbe ognora quali oggetti
di tenerezza e riverenza. Non mostrava mai {8 [8]} quella nausea o svogliatezza nel pregare, che
1 Carlo Comollo nativo eziandio di Cinzano, era un vero modello dei padri di famiglia. In tutte il corso della sua vita
non cercò mai altro che il necessario sostentamento per la sua famiglia, adoperandosi con tutte le forze onde poterla
mettere così all' onore del mondo e vivere nel santo timor di Dio. Nelle sue contrarietà era sempre tranquillo come
se nulla gli fosse accaduto, tanta era la sua rassegnazione al voler di Dio. Sapeva farsi amare da tutti, caritatevole per
quel che potava verso i bisognosi, alieno dai litigi, non superbo, non vinolento, non iracondo, ma parco nel bere,
modesto nel suo vestire e nel parlare, non portava mai odio con nessuno; amava e stimava tutti come se stesso. Fu
più anni consigliere municipale e finalmente venne eletta sindaco. In questa carica non ha mai risparmiato alcuna
sollecitudine che potesse contribuire al pubblico bene di sua patria, e fu sempre considerato da tutti come amico e
padre de' suoi patriotti. In una parola era il vero seguace di suo fratello il compianto rettore Comollo. Finalmente,
dopo non lunga ma penosa malattia colla gioia sul volto, munito di tuatti i conforti della nostra santa cattolica
religione, placidamente si addormentò nella pace del Signore nel mese di settembre l'anno 1862 in età di oltre a 70
anni.
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è propria dei fanciulli; anzi quanto più erano prolungate le preghiere, tanto più erane allegro e
contento. È più volte avvenuto, che, terminate le solite orazioni, diceva alla madre sua: «
Mamma, ancora un Pater in suffragio delle povere anime del Purgatorio. » Imparò con facilità a
leggere e scrivere, e poichè la carità aveva piantato salde radici nel tenero suo cuore, così egli si
servì ben tosto di quella prima istruzione a proprio e altrui spirituale vantaggio. Ne' giorni festivi,
mentre quelli di sua età andavano qua e là a trastullarsi, egli, raccoltine alcuni insieme, si
tratteneva coi medesimi leggendo, o spiegando loro quel tanto che sapeva, oppure raccontando
un qualche edificante esempio. Questo gli procuro la stima e il rispetto de' suoi coetanei in guisa,
che, lui presente, niuno ardiva prorompere in parole sconcie, o men che oneste. Che se ciò
inavvedutamente avveniva, tosto l'un l'altro avvertiva: « Zitto c'è Luigi che sente. »
Sopraggiungendo egli ogni discorso men buono era interrotto. All'udire parole disdicevoli ai
buoni costumi o alle cose di religione: « Non parlar così, tosto coll'ammirabile sua affabilità
diceva, {9 [9]]} questo non istà bene nella bocca di un giovane Cristiano. »
Un suo patriotta compagno della sua giovinezza raccontò e depose quanto seguo. « Ho
passato più anni della mia vita col giovane Comollo, e sebbene ei fosse un santerello ed io un
vero dissipato, tuttavia egli mi soffriva e mi dava spesso degli avvisi, che mi sono tuttora
altamente impressi nella mente. Un giorno io lo invitai a spendere danari nel giorno della festa
del paese.
- Che vuoi fare dei soldi, egli mi chiese, e in che spenderli?
- In comperarmi dei confetti.
- Ma io non ne ho.
- Non sai come provvederne?
- No, io nol saprei.
- Aspettare che tuo padre non veda e poi prenderli dalla sua saccoccia.
- E quando egli lo sappia come se la passeranno le mie spalle e le mie orecchie?
- Oh tuo padre nol saprà mai. E poi bisogna essere coraggiosi; del resto possiamo far
niente.
- Non possiamo far niente di male e questo lo desidero di cuore. {10 [10]}
- Non parliamo così. Fatti dei quattrini, compreremo dei confetti, li mangeremo
allegramente, e tuo padre ne saprà nulla.
- O che tu mi burli, o che vuoi tradirmi. Lo sappia o non lo sappia mio padre, se io rubo
divento un ladro. Dato che mio padre nol sappia, potrò evitare i castighi di lui, ma non quelli di
Dio, il quale vede tutto in cielo, in terra ed in ogni luogo. - Il pensiero che Dio vede tutto e che si
trova in ogni luogo mi ha servito di ritegno in tante occasioni. Più volte ero sul punto di lasciarmi
strascinare a commettere mancanze in casa mia ed altrove, ma pensando che Dio mi vedeva e
che poteva punirmi sull' istante, mi nasceva tosto in cuore ribrezzo al male e me ne asteneva. »
Secondochè esigeva la condizione sua, Comollo conduceva bestiami al pascolo, ma
sempre lontano da persone di sesso diverso, e con libretti spirituali tra le mani, che leggeva da sè
solo o con altri. Invitare i suoi compagni alla preghiera, raccontare loro curiose istorielle, cantare
con essi delle laudi sacre erano i modi pratici, con cui Luigi teneva i suoi {11 [11]} piccoli amici
in allegria e li allontanava dal male. Con questo tenor di vita mentre edificava gli altri col buono
esempio era l'ammirazione delle persone provette, le quali stupivano a tanta virtù in un
giovanetto di prima età.
« Io aveva un figlio, afferma un padre, di cui non sapevo che farmi: l'aveva trattato con
dolcezza e con rigore, e tutto indarno. Mi venne in mente di mandarlo con Luigi, se mai gli fosse
riuscito di renderlo alquanto docile, e più non mi fosse cagione di disgusto. Il mio monello
dapprima mostravasi ritroso a frequentare chi poco secondava le sue mire, ma ben presto,
allettato dalle attrattive di Luigi, divenne amico e compagno delle sue virtù in guisa, che al
presente dimostra ancora la morigeratezza e la docilità, che ebbe da quell'anima buona
succhiata.»
Singolare era l'obbedienza verso i suoi genitori. Da suo zio Comollo, dotto ecclesiastico e
parroco di Cinzano, egli aveva imparato questa obbedienza la quale abbraccia, sostiene e
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conserva tutte le altre virtù; perciò ad ogni cosa egli proponeva sempre quanto l'obbedienza {12
[12]} proponeva. Pronto e attento a quanto veniva dai genitori ordinato pendeva ansioso da ogni
lor cenno, studiandosi con tutta sollecitudine di prevenire anzi i loro comandi. Era la
consolazione e la gioia della casa paterna. Quando al sopravvenire di qualche siccità, grandine o
perdita di bestiami i suoi parenti mostravansi afflitti, Luigi era colui che li confortava a prendere
come favore del Signore quanto accadeva. « Di questo avevamo bisogno, egli diceva;
ogniqualvolta la mano del Signore ci tocca, ci usa sempre tratti di bontà; è segno che si ricorda di
noi, e vuole che noi eziandio ci ricordiamo di Lui. »
Non era mai che si allontanasse dai suoi genitori senza l'espressa loro licenza, di cui era
gelosissimo osservatore. Una volta andò nella città di Caselle a visitare alcuni parenti con
limitato permesso. Allettati essi dall' amabilità del suo edificante parlare, non gli permisero di
partirsi per tempo. Del che ebbe tale rincrescimento, che si ritirò in disparte a piangere nel
vedersi costretto a disubbidire, e, come giunse a casa, tosto dimandò perdono della disubbidienza
suo malgrado commessa. {13 [13]}
Si allontanava alle volte dalla presenza altrui, ma a fine di ritirarsi in qualche cantuccio
della casa a pregare, o far meditazione. « Più volte il vidi, mi afferma una persona che fu con lui
allevata, mangiare in fretta, sbrigarsi di alcune occupazioni impostegli, e mentre altri godevano
un po' di ricreazione, sotto qualche pretesto andarsi, a nascondere in un fosso da vite, se era in
campagna, sul fenile, se era in casa, ed ivi trattenersi in preghiere vocali, o leggere libretti divoti
ed imparare racconti edificanti, che egli leggiadramente ripeteva ai suoi amici. » Tanto è vero,
che anche fra le glebe Iddio sa guidare i rozzi e gli indotti per le sublimi vie della santità.
Capo II. Sua prima Confessione - Prima Comunione - Suo desiderio di
farsi Ecclesiastico.
A questi bei segni di virtù andavano strettamente uniti i veri caratteri di divozione ed una
grande tenerezza per le cose di religione. La qual cosa dimostrò fin da che fece la sua prima
confessione. I suoi genitori si occupavano di lui {14 [14]} come di un prezioso gioiello, che Dio
aveva loro affidato, e sebbene non toccasse ancora i sette anni già l'avevano istruito intorno a
tutto quello, che è necessario per fare una buona confessione. Parecchi giorni prima che facesse
tale atto di pietà pregava più del solito e stava molto ritirato. Il mattino della confessione fece un
accurato esame di sua coscienza; di poi andò a presentarsi al confessore. Quando si trovò nel suo
cospetto, richiamando alla memoria il gran pensiero che il confessore nel tribunale di penitenza
rappresenta lo stesso Gesù Cristo provò tale confusione, congiunta colla riverenza a quel
Sacramento, tale apprensione per le sue colpe (se pur aveva colpa), sì grave dolore dei suoi
peccati, che proruppe in un profluvio di lagrime, ed ebbe bisogno di conforto a dar principio e
continuare la sua confessione.
Con pari edificazione degli astanti fece la sua prima comunione. Si può dire che appena
ebbe l'uso di ragione si adoperò con tutti i mezzi a lui possibili a prepararsi degnamente a
ricevere questo augusto Sacramento; ma la quaresima precedente a quella sua grande festa fu
passata in continuo esercizio di cristiana pietà. I dieci {15 [15]} giorni più prossimi al suo gran
giorno, come egli soleva chiamarlo, passolli in vero ritiro con suo zio, senza più trattare con altra
persona fuori del suo confessore. Avendo più volte udito a predicare che Dio ricompensa
grandemente le opere di carità che si fanno verso ai poveri, volle egli pure farne una speciale.
« Caro zio, gli disse un giorno dei suoi esercizii, a forza di risparmi voi sapete che mi
sono messi insieme tre franchi. Se voi siete contento io li userò a comperare un paio di pantaloni
ad un giovanetto che dimora qua vicino. Egli forse non potrebbe venire a fare la sua pasqua,
perchè ne ha un paio tutti rotti. » Il buon zio ne fu commosso, acconsentì a fare quella spesa, ma
il giorno della comunione diede pari somma al caro nipote, affinchè la conservasse per quell'uso
che egli avesse giudicato migliore.
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Da quel tempo in poi tanto si affezionò ai Sacramenti della confessione e comunione, che
nell'accostarvisi provava consolazione grandissima; nè mai lasciava sfuggire occasione senza che
ne approfittasse. A questo riguardo soleva dire ad un confidente compagno: « La confessione e la
comunione furono i miei sostegni in tutti gli anni {16 [16]} pericolosi di mia giovinezza. » Ma
comunque frequente gli si permettesse l'uso della comunione, tuttavia non potendo saziare il
fervente amore, onde ardeva pel suo Gesù, trovò modo di provvedervi bellamente colla
comunione spirituale. Al quale proposito quando, divenuto chierico, trovavasi nel Seminario,
udivasi più volte a dire: « Fu per l'insigne opera di s. Alfonso, che ha per titolo: Visite al SS.
Sacramento, che imparai a fare la comunione spirituale, la quale posso dire essere stata il mio
conforto in tutti i pericoli, cui andava soggetto negli anni che fui vestito da secolare. »
Alla comunione spirituale e sacramentale univa frequenti visite alle chiese, dove sentivasi
talmente compreso dalla presenza di Gesù, che ben sovente giungeva a passarvi ore intere,
sfogando i suoi fervorosi e teneri affetti.
Spesso era mandato in chiesa a far quelle cose di cui gli si dava incombenza, spesso egli
medesimo vi si recava sotto pretesto di avervi che fare, ma non ne usciva mai senza prima
trattenersi alquanto col suo Gesù, e raccomandarsi alla cara sua madre Maria. Non correva
solennità, non si faceva catechismo o predica, non si dava {17 [17]} benedizione, nè altra
funzione aveva luogo in chiesa, a cui egli non intervenisse con animo allegro e contento a prestar
quei servizi di cui fosse capace. Ma qualcheduno farà le maraviglie dicendo: Onde mai un
giovanetto di sì tenera età apprese a praticare sì rare virtù? Ne do pronta risposta. Egli aveva uno
zio di nome Giuseppe Comollo, di felice memoria, prevosto di Cinzano, anima veramente buona,
che nulla aveva di mira se non il bene delle anime alla sua cura affidate. Egli amava questo suo
nipote, e questi amava lui teneramente. Sicchè il nostro Luigi, diretto nelle cose spirituali e
temporali da sì prudente e pio direttore, ne andava copiando le virtù di mano in mano che
cresceva negli anni.
L'essere il Comollo alieno affatto dalle ragazzate che son proprie della giovanile età,
sofferente e tranquillo a checchè potessegli a cadere, affabile cogli eguali, modesto e rispettoso
con chiunque gli fosse superiore, ubbidiente con tutti, dato alla divozione, prontissimo nel
prestare quei servigi, che in Chiesa gli erano permessi e che erano compatibili colla sua età, tutto
faceva presagire che il Signore lo destinava a stato di maggior perfezione. Egli ben penetrato
della {18 [18]} grande importanza, che si deve porre nella elezione dello stato, più volte avea
consultato il suo zio prevosto, cui confidava ogni segretezza del suo cuore, e avutane risposta per
quanto potevasi conoscere, averlo Iddio chiamato allo stato ecclesiastico, ne rimase al sommo
contento, essendo pur tale il suo vivissimo desiderio. Suo zio al vedere rampollo sì vigoroso, che
prometteva sì bei frutti, volle secondarlo nelle sue sante risoluzioni. Chiamatolo pertanto a sè un
giorno:
- Hai dunque, gli disse, ferma volontà di farti prete?
- È appunto questo che io desidero e niente altro, rispose.
- E perchè?
- Perchè essendo i preti, quelli che aprono il paradiso agli altri, spero che lo potrò poi
anche aprire a me stesso.
A questo fine fu mandato a fare il corso di grammatica ossia di terza ginnasiale nella città
di Caselle presso di un Sacerdote di nome Strumia. Perfezionando colà sempre più le virtù che
ovunque lo facevano conoscere per modello di vita cristiana, fu pure ivi della più grande
ammirazione a tutti quelli, che in qualche modo {19 [19]} ebbero occasione di conoscerlo.
Testimoni oculari raccontano con meraviglia un particolare progresso nello spiritò di
mortificazione. Già da piccolino soleva far fioretti alla Madonna coll'astinenza di qualche
porzione di cibo o di frutta, che gli si dava per companatico: « Questo, diceva, bisogna regalarlo
a Maria. » Qui in Caselle andò più avanti; oltrecchè offriva ogni settimana digiuni a Maria, nei
pranzi stessi e nelle cene, sovente sotto specioso pretesto, si toglieva da tavola nel meglio del
mangiare. Bastava portare a mensa qualche pietanza di special suo gusto perchè non ne
mangiasse, e questo sempre per amor di Maria.
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Don Bosco - Cenni sulla vita del giovane Luigi Comollo [2a edizione]
« Il Comollo, scrive il professore Strumia, fu per me una meraviglia ambulante. Con un
aspetto angelico, sempre allegro, sempre attento ai suoi doveri, era la delizia di tutti in
ricreazione, modello di studio e di moralità in ogni cosa; ma la sua sobrietà non era di un
fanciullo bensì di una persona attempata e consumata nella virtù. »
Questo tenor di vita contribuì efficacemente all'avanzamento nello studio e nella pietà,
perchè è un fatto da lunga esperienza comprovato, {20 [20]} che la sobrietà nei giovani, e
segnalamente negli studenti, riesce di gran giovamento alla sanità corporale ed assai al bene
dell'anima.
Capo III. Va a studiare a Chieri - La fama di sue virtù precorre in
questa città Fatto eroico di pazienza - Varii attestati di sua
commendevole condotta. - Esempi pratici.
Sul cominciare dell' anno scolastico 1835, tempo in cui io frequentava le scuole nella
città di Chieri, mi trovai casualmente in una casa di pensione, ove si andava parlando delle buone
qualità di alcuni studenti. « Mi fu detto, prese a narrare il padrone di casa, mi fu detto che a casa
del tale vi deve andare uno studente santo. » Io feci un sorriso prendendo la cosa per facezia. « È
appunto così, soggiunse, ei deve essere il nipote del Prevosto di Cinzano, giovine di segnalata
virtù. »
Non feci gran caso allora di queste parole, sinchè un fatto molto notevole me le fece assai
bene ricordare. Erano già più giorni da che io cedeva uno studente (senza saperne il nome) {21
[21]} che dimostrava tanta compostezza nella persona, tale modestia camminando per le vie, e
tanta affabilità e cortesia con chi gli parlava, che io ne era del tutto maravigliato. Crebbe questa
maraviglia allorchè ne osservai l'esattezza nello adempimento dei suoi doreri, e la puntualità
colla quale interveniva alla scuola. Ivi appena giunto si metteva al posto assegnato nè più si
muoveva, se non per fare cosa, che il proprio dovere gli prescriresse.
Egli è consueto costume degli studenti di passare il tempo d'ingresso in ischerzi, giuochi,
e salti pericolosi e talvolta immorali. A ciò pure era invitato il modesto giovanetto; ma esso si
scusava sempre con dire che non era pratico, non aveva destrezza. Nulla di meno un giorno un
suo compagno gli si avvicinò, e colle parole e con importuni scuotimenti voleva costringerlo a
prender parte a quei salti smoderati che nella scuola si facevano. « No, mio caro, dolcemente
rispondeva, non sono esperto, mi espongo a far brutta figura. » L'impertinente compagno,
quando vide che non voleva arrendersi con insolenza intollerabile gli diede un gagliardo schiaffo
sul volto. Io raccapricciai a tal vista, e {22 [22]} siccome l'oltraggiatore era d'età e di forze
inferiore all' oltraggiato, attendeva che gli fosse resa la pariglia. Ma l' offeso aveva ben altro
spirito: egli rivolto a chi l'areva percosso, si contentò di dirgli: « Se tu sei pago di questo, vattene
pure in pace che io ne sono contento. » Questo mi fece ricordare di quanto avevo udito, che
doveva venire alle scuole un giovanetto santo, e chiestane la patria e il nome, conobbi essere
appunto il giovane Luigi Comollo, di cui avevo sì lodevolmente inteso a parlare nella pensione
del fu Marchisio Giacomo.
Da un cuore così ben fatto, da una condotta così ben regolata è facile argomentare, come
il Comollo si diportasse in fatto di studio e di diligenza, ed io nol saprei meglio esprimere che
colle parole stesse del benemerito suo e mio Professore, il quale si degnò di scrivermi del
seguente tenore2: {23 [23]} « Benchè il carattere e l'indole dell' ottimo giovane Comollo possano
essere meglio noti a V. S. che l'ebbe per condiscepolo, e potè più da vicino osservarlo, tuttavia
assai di buon grado le mando in questa lettera il giudizio ch'io me n' era formato infin d'allora,
quando l'ebbi a scolare pel corso dei due anni 1835 e 1836 nello studio dell' Umanità e della
2 Professore del Comollo era il T. Bosco Giovanni da Chieri, dottore in Lettere e Filosofia nell'Accademia militare
di Torino e Professore di Sacra eloquenza nella regia Università. Ora travagliato da gravi incomodi non cessa di
rendersi benemerito della scienza e della Religione.
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Don Bosco - Cenni sulla vita del giovane Luigi Comollo [2a edizione]
Retorica nel Collegio di Chieri. Esso fu giovine d'ingegno e fregiato dalla natura di un' indole
dolcissima. Coltivò con ammirabile diligenza lo studio della pietà, e sempre si mostrò
attentissimo ad ogni insegnamento, ed era così scrupoloso e vigilante nell' adempimento del suo
dovere, che non mi ricordo di averlo mai avuto a rimproverare della benchè minima negligenza.
Nol vidi mai altercar con alcuno dei suoi compagni; il vidi bensì a rispondere alle ingiurie ed alle
derisioni coll'affabilità e colla pazienza. Egli poteva essere proposto per esemplare ad ogni
giovane per la intemerata sua condotta, per l'ubbidienza, per la docilità; onde io meco stesso
m'aveva fatto un ottimo augurio, allorchè seppi che era entrato nella carriera Ecclesiastica. Io lo
guardava come destinato a confortare la vecchiaia del venerando {24 [24]} suo zio, il degno
Prevosto di Cinzano, che lo amava teneramente, ed aveva così di buon' ora saputo seminare nel
cuore di lui tante rare e singolari virtù. Mi giunse perciò oltremodo dolorosa la notizia della sua
morte, e solo mi confortai nel pensiero che in breve tempo aveva con le sue virtù compiuta
anticipatamente una lunga carriera. Forse Iddio lo volle a sè chiamare con immatura morte,
perchè lo vedeva oltre la sua età provveduto di buoni meriti, e noi dobbiamo in ciò venerare la
divina volontà.
« Ella mi chiede che io le dica qualche singolarità in lui osservata; ma quale cosa potrò io
dirle che sia più singolare della sua uniformità e costanza in una età che è tanto leggiera, e vaga
di novità e mutazioni? Dal primo giorno che entrò nella mia scuola sino all' ultimo pel corso di
due anni egli fu sempre a se stesso uguale, sempre buono, e sempre intento ad esercitare la virtù,
la pietà, la diligenza »... Così il suo Professore.
Nè queste belle doti erano meno esercitate fuori di scuola. « Io conobbi, dice il padrone
di sua pensione, nel giovane Comollo il complesso di tutte le virtù proprie non solo dell' età sua,
{25 [25]} ma di persona lungo tempo nelle medesime esercitata. D'umore sempre uguale ed
allegro, imperturbabile ad ogni avvenimento, non dava mai a conoscere quello che fosse di
special suo gusto. Mostrandosi sempre contento di quanto se gli offriva, non mai si udì da lui
proferire: Questo è troppo insipido, oppure fa molto caldo, o molto freddo; non mai si udì dalla
sua bocca una parola meno che onesta, o non moderata. Parlava volentieri di cose spirituali, e se
qualcuno metteva fuori discorso o racconto spettante alla religione, esigeva sempre che si
parlasse con massima riverenza e rispetto dei sacri ministri. Amantissimo del ritiro, non mai
usciva senza licenza de' suoi medesimi padroni, dicendo il tempo, il luogo, e il motivo per cui si
assentava. In tutto il tempo, che dimorò in questa casa, fu di grande stimolo per gli altri a vivere
da virtuosi, e riuscì a tutti di gran dispiacere allorchè dovette cambiar luogo per vestire l'abito
clericale, e recarsi nel Seminario, privandoci colla sua persona di un raro modello di virtù. » Io
pure posso dire lo stesso, giacchè in varie occasioni, che gli parlai, o trattai insieme, non l'udii
mai a querelarsi delle vicende del tempo, {26 [26]} o delle stagioni, del troppo lavoro, o del
troppo studio; anzi qualora avesse avuto un po' di tempo libero, tosto correva da qualche
compagno per farsi rischiarire alcune difficoltà, o conferire per cose spettanti allo studio o alla
pietà.
Non minore era V'impegno per le osservanze religiose, e per la vigilanza in tutto ciò che
riguardava alle cose di pietà. Ecco quanto scrive il signor Direttore spirituale delle scuole, che di
certo potè intimamente conoscerlo3.
« Mi ha richiesto la S. V. di darle notizie di un figliuolo, del quale mi è carissima la
memoria, perciò dolcissima cosa il risponderle. Non è il giovane Comollo Luigi, uno di quelli, in
cui riguardo io debba usare espressioni evasive, o di cui io tema esagerare nel rendergliene la più
lodevole testimonianza. Ella ben sa che appartenne ad una classe fra le altre distinta di studenti
dati alla pietà, ed allo studio, ma tra questi brillava e primeggiava il nostro Comollo. Mi
rincresce che ci tocchi lamentare la morte {27 [27]} del Prefetto delle scuole, il professore
Robiola, il quale e dello studio, e della regolarissima sua condotta anche fuori di collegio
potrebbe dirci molte cose di gloriosa rimembranza. Quanto a me, oltre il poterla assicurare di non
avere mai avuto motivo di rimproverare alcuna mancanza, nemmeno leggiera, posso asserirle,
3 Direttore spirituale del Collegio di Chieri, allora era il signor D. Calosso Francesco, ora Canonico Priore
beneficiato della Collegiata, persona tutta dedita alle opere di zelo e di pietà.
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Don Bosco - Cenni sulla vita del giovane Luigi Comollo [2a edizione]
che, assiduo alle congregazioni, compostissimo, sempre attento alla divina parola, devotissimo
nell'assistere alla santa Messa ed ai divini uffizi, frequente ai santi Sacramenti della confessione
e comunione, veramente diligentissimo ad ogni dovere di pietà, esemplarissimo in ogni atto di
virtù, l'avrei di buon grado proposto a tutti gli altri studenti qual luminoso specchio e raro
modello di virtù. Per quanto lo comportava la sua classe, l'anno di Retorica fu nominato a carica,
la quale si concede solamente a' studenti più distinti per pietà e studio. Si desiderava allora, e si
desidera ancora al presente un giovane studente, d'indole e costumi simile al Comollo Luigi.
Ricordava nel suo nome il nostro s. Luigi, e molte sue virtù andava ricopiando nei fatti.
« Non mi si domandò mai notizia di altro studente, che più volentieri io abbia resa di {28
[28]} questa; posso dirle tutto il bene possibile in un giovane. Raptus est, ne malitia mutaret
intellectum ejus. Spero che ora in cielo preghi per me. » Sin qui il Direttore spirituale del
pubblico Ginnasio e Liceo di Chieri.
Il dotto professore Robiola allora Prefetto delle scuole ossia Delegato governativo sopra
gli studi nella città di Chieri ci lasciò pure questa onorevole memoria intorno al Comollo. « Io
desidererei che questo meraviglioso giovanetto serva di modello a tutti gli studiosi dei nostri
tempi. »
Da queste relazioni ognuno può di leggieri arguire come la condotta del Comollo fosse
un complesso di virtù piccole, ma compiute in guisa, che lo facevano universalmente ammirare
quale specchio di singoiar virtù. Io aggiungo qui ancora alcune cose da me particolarmente
osservate nella sua condotta esterna. Terminati appena gli esercizi di pietà, che nei giorni festivi
avevano luogo nella cappella della Congregazione, per lo più gli studenti andavano al passeggio
od a qualche altro divertimento. Ma il Comollo persuaso di poter fere a meno di questi
passatempi, tosto recavasi al Catechismo dei fanciulli solito {29 [29]} a farsi nella Chiesa di S.
Antonio. Ad esso, come pure a tutte le altre sacre funzioni, divotamente interveniva. O fosse
beneficio dell' indole felice sortita dalla natura, o merito di virtù acquistata col domare se stesso,
pareva che in lui fosse affatto estinta quella stessa curiosità ed ansietà di vedere ed ascoltare
generalmente comune a tutti quelli, che dai villaggi vengono nella città, il che d' altronde è
proprio dell' età giovanile. Il suo andare e venire dalla scuola era tutto raccoglimento e modestia,
nè mai andava qua e là vagando o collo sguardo o colla persona, eccetto che per prestare il
dovuto rispetto ai superiori, alle chiese, a qualche immagine o pittura della Beata Vergine. Non
succedeva mai che passasse innanzi a questi oggetti religiosi senza scoprirsi il capo per
venerazione. Più volte nell'accompagnarlo mi avvenne di vederlo levarsi il cappello senza
saperne la ragione; ma guardando poscia attento, scorgeva quinci o quindi in qualche muro
dipinta l'immagine della Madonna.
Era ormai sul finir del corso di Retorica, quando io l'interrogava sulle cose più curiose, o
sui monumenti più ragguardevoli della città, {30 [30]} ed egli rispondeva di non ne essere punto
informato, come se fosse forestiero. Come, gli diceva io, tante persone partono di lontano per
venir a vedere la rarità di Chieri, e tu ci dimori e non ti dài nemmeno pensiero di visitarle? - Eh
mio caro, diceva scherzando, ciò che non giova per domani, mi do poca premura di cercarlo
oggi; volendomi con ciò significare che se tali rarità avessero contribuito ai beni eterni, che
formavano il suo domani, non le avrebbe trascurate.
Capo IV. Vari fatti edificanti - Sua amenità nel parlare - Riguardi nel
discorrere di religione - Onomastico del suo professore - Fuga dei
pubblici spettacoli - Sua allegria nel bruciare un cattivo libro - Sua
deliberazione di abbracciare lo stato Ecclesiastico.
Quanto più il Comollo era alieno dalle curiosità e occupazioni temporali, tanto più era
informato ed istruito delle cose di Chiesa. Non facevasi esposizione delle quarant' ore od altra
pubblica religiosa funzione che egli nol sapesse, e, se il tempo glielo permetteva, non vi
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intervenisse. {31 [31]} Aveva il suo orario per la preghiera, lettura spirituale, visita a Gesù
Sacramentato, e ciò era scrupolosamente osservato. Alcune mie circostanze vollero, che per più
mesi mi recassi al Duomo appunto nell'ora in cui il nostro Luigi vi si recava a trattenersi col suo
Gesù. Piacemi pertanto descriverne l'atteggiamento. Ponevasi in qualche canto presso l'altare
quanto poteva, ginocchione, colle mani giunte, col capo mediocremente inclinato, cogli occhi
bassi, e tutto immobile della persona; insensibile a qualsivoglia voce o rumore. Non di rado mi
avveniva, che, compiuti i miei doveri, voleva invitarlo a venir meco per essere da lui
accompagnato a casa. Pel che aveva un bel far cenno col capo, passandogli vicino, o tossire,
perchè egli si movesse; era sempre lo stesso, finchè io non mi accostava scuotendolo. Allora,
come risvegliato dal sonno si moveva, e sebbene a malincuore aderiva al mio invito. Serviva
molto volentieri alla santa Messa anche nei giorni di scuola, quando poteva; ma nei giorni di
vacanza servirne quattro o cinque era per lui cosa ordinaria.
Benchè fosse così concentrato nelle cose di spirito non vedevasi mai rannuvolato in volto
{32 [32]} o tristo, ma sempre ilare e contento, colla dolcezza del suo parlare rallegrava tutti
quelli con cui trattava, ed era solito a dire che gli piacevano grandemente le parole del profeta
David: Servite Domino in laetitia: Servite il Signore in santa allegrezza. Parlava volentieri di
storia, di poesia, delle difficoltà della lingua latina o italiana, e questo in maniera umile e
gioviale sì, che, mentre proferiva il proprio sentimento, mostrava sempre di sottometterlo
all'altrui.
Aveva un compagno di special confidenza per conferire di cose spirituali. Il trattare e
parlare di tali argomenti con lui tornavagli di grande consolazione. Ragionava con trasporto dell'
immenso amore di Gesù nel darsi a noi in cibo nella santa comunione. Quando discorreva della
Beata Vergine, si vedeva tutto compreso di tenerezza, e dopo di aver raccontato, o udito
raccontare qualche grazia concessa a favore del corpo, egli sul finire tutto rosseggiava in volto e
alle volte rompendo anche in lagrime esclamava; « Se Maria favorisce cotanto questo miserabile
corpo, quanti non saranno i favori che sarà per concedere a pro delle anime di chi la {33 [33]}
invoca? Oh! se tutti gli uomini fossero veramente divoti di Maria, che felicità ci sarebbe in
questo mondo! »
Tale era la stima che aveva delle cose di religione, che non solo non poteva patire che se
ne parlasse con disprezzo, ma nemmeno con indifferenza. A me stesso una volta accadde che
scherzando mi servii di parole della Sacra Scrittura, e ne fui vivamente ripreso, dicendomi non
doversi faceziare colle parole del Signore.
Qui credo fare cosa grata, col raccontare alcuni episodii piacevoli e nello stesso tempo
edificanti avvenuti a questo modello della gioventù. La sua pietà e il suo buon cuore non mai
venne meno eziandio, quando trattavasi di dare qualche segno di gratitudine. Ciò fece
specialmente conoscere nell'onomastico del suo professore di Umanità o quarta ginnasiale, che
nel 1835 era il Dottore Giovanni Bosco. La carità, la pazienza, e le belle maniere con cui trattava
gli allievi, la sua sollecitudine per farli progredire nello studio e nella pietà, l'avevano fatto per
così dire l'idolo di tutta la sua scolaresca, dimodochè ognuno aspettava con impazienza il giorno
onomastico di lui, per fare quanto la gratitudine {34 [34]} poteva suggerire. Il nostro Luigi non
volle essere degli ultimi; Al mattino di qnel giorno 24 giugno egli andò per tempo a fare la
confessione e servì la santa Messa, in cui ricevette la S. Comunione. Questa offerta, queste
preghiere tornarono graditissime al caro professore; perchè, esso diceva, provengono dal più
virtuoso de' miei allievi.
Dal canto suo il professore non volle cederla in generosità. Egli fissò il prossimo giovedì
per fare con tutti i suoi allievi una passeggiata fino ai così detti prati di Palermo, che distano tre
chilometri da Chieri. Colà stava preparata una magnifica refezione. Sulle prime si lessero varie
composizioni ed il professore rispose più volte. Gli applausi, i battimani furono indescrivibili.
Seguì poscia la merenda in cui ciascuno mangiò e bavette a piacimento. Ben bevuti e ben
pasciuti si diedero a saltare, correre e cantare a più non posso.
Ma ad un certo punto della ricreazione si spande la voce che Comollo è scomparso. Si
temeva di lui qualche disgrazia, tanto più che pochi giorni prima era morto un giovane, annegato
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nelle acque della fontana Rossa a pochi passi {35 [35]} distante di colà. Tutti pertanto rimasero
pieni di spavento e si posero a fare indagini tutto all'intorno, ma inutilmente. In fine lo
ritrovarono in un sito che niuno si pensava. Era nascosto presso la vicina cappella tra un
cespuglio ed un pilastro della medesima.
- Comollo, gli fu detto, che fai tu qui? Tutti sono inquieti sulla tua sorte e ti cercano con
ansietà. Vieni.
Egli volse uno sguardo come chi è disturbato da una cara occupazione e rispose:
- Mi rincresce la vostra inquietudine, ma oggi io non aveva ancora recitato il Santo
Rosario, e desiderava di pagare questo tributo alla B. V.
Salutati i compagni e ringraziato il professore partirono ciascuno alla volta di Chieri.
Mentre traversavamo questa città giunti alla piazza detta del Piano ci siamo trovati vicino
ad un saltimbanco, che con giuochi e salti tratteneva gli oziosi e i buontemponi.
- Guarda qui un momento, dissero due compagni al Comollo; ascolta che belle cose!
Costui ce ne dice tante che ci fa ridere assai!
Il Comollo con una strappata si licenziò dai due poco delicati amici dicendo: - Costui dirà
{36 [36]} dieci parole per far ridere, ma l'undecima è cattiva e vi darà scandalo. Altronde mio
zio mi ha molto raccomandato di non mai fermarmi ad assistere nè ciarlatani, nè saltimbanchi, nè
bussolotti, nè altri pubblici spettacoli; perchè egli diceva: In questi luoghi uno può andare
coll'anima innocente, ma sarà un miracolo se ritorna in questo stato. -
Un giorno alcuni compagni vollero andar con lui nel ritorno dalla scuola. Ma per la via
passando di parola in parola finivano con discorsi che a lui non piacevano. Egli si pose ad
accelerare il passo per lasciarli addietro. Allora i finti amici dissero: - Giacchè hai tanta fretta
ricevi questo libro. Tu in esso troverai tanti belli esempi. -
Luigi lo prese, ma giunto a casa trovò che sebbene non fosse libro assolutamente proibito
era tuttavia certamente dannoso all' inesperta gioventù.
Senza sgomentarsi, come per divertirsi preparò una bella fiammata, poi chiamò la
padrona di casa, e gettando sul fuoco quel libro si mise a ridere, saltare, scherzare dicendo: -
Eccoti o libro! Tu volevi mandar me ad abbruciare, ed io brucio te. Sì! brucia pure su questo
fuoco, {37 [37]} che così per cagion tua io non andrò a bruciare nell'inferno. -
Ascoltava assai volentieri a parlare dei suoi compagni, dei suoi superiori ed anche in
generale dei preti. Ma quando alcuno voleva raccontare qualche cosa ad essi riguardante, tosto
premetteva o doversene parlar bene, o tacere affatto, perchè erano ministri di Dio. In simile guisa
andava il nostro Luigi preparandosi alla vestizione clericale, di cui parlava sempre con
venerazione e con gioia. « Possibile, soleva dire, che io miserabile guardiano di buoi abbia a
diventare prete, pastore delle anime? Eppure a niun'altra cosa mi sento inclinato: questo mi dice
il confessore, mel dice la volontà, solo i miei peccati mi dicono il contrario. Ne andrò a subire
l'esame, l'esito del quale mi sarà quale arbitro della volontà divina sulla mia vocazione. » Si
raccomandava anche spesso ad alcuni suoi colleghi che pregassero, perchè il Signore lo
illuminasse, e gli facesse conoscere se fosse o no chiamato allo stato ecclesiastico. Così fra la
stima dei compagni, fra l'amore dei superiori, onorato e tenuto da tutti qual vero modello d'ogni
virtù compiva il corso di retorica l'anno 1836. {38 [38]}
Capo V. Preparazione - Vestizione chiericale - Parole di sua madre.
La preparazione fatta dal Comollo prima di vestire l'abito chiericale può certamente
servire di norma ai giovani studiosi nel fare la scelta dello stato, e segnatamente a quelli che
aspirano allo stato Ecclesiastico. La vocazione o chiamata allo stato sacerdotale deve venire da
Dio, perciò un giovane non deve far conto di quanto possono consigliare i parenti nel loro
interesse temporale, o di quanto può suggerire la vanagloria e il desiderio di terrene comodità.
Volete accertarvi della vostra vocazione? Prima di ogni cosa sceglietevi un buon confessore, a
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lui aprite l'interno del vostro cuore; e per quanto vi è possibile non cangiatelo mai. Qualora poi
per qualche ragionevole motivo lo doveste cangiare, al momento della scelta dello stato apritegli
bene la vostra coscienza, di poi chiedete il suo parere, e voi tenendovi a quello certamente
seguirete la voce del Signore; perchè egli dice nel Vangelo: Qui vos audit, {39 [39]} me audit:
cioè chi ascolta la voce del direttore spirituale ascolta la voce di Dio; e ciò riguardo alle qualità
morali che sono la dote più essenziale, anzi indispensabile per un giovane, che intenda
abbracciare lo stato Ecclesiastico.
Un amico lo aveva interrogato sopra alcune cose spettanti la vocazione; egli rispose con
questa lettera.
« Mio Caro,
Tu mi chiedi come sia nato in me il desiderio di abbracciare lo stato Ecclesiastico, e quali
siano i mezzi per conoscere la vocazione e perseverare in questa. Non è cosa da me dettarti
consigli su cosa tanto importante, ma trattandosi di un amico mi aprirò con te in tutta confidenza,
narrandoti ciò che io stesso ho fatto. Oltre la propensione che fin da piccolo sentiva pel
Santuario, e la frequenza dei Sacramenti, gli esempi che avea continuamente sott'occhi del mio
buon zio prevosto mi erano di grande eccitamento. La semplicità del suo vivere, la santità dei
suoi costumi, la tranquillità sua in ogni più spinoso affare, il suo spirito di pietà, la sua carità per
i poverelli, la pace e l'allegrezza costante della {40 [40]} sua bell' anima, erano per me un
continuo stimolo a farmi migliore e ad amare quello stato, che esso aveva abbracciato.
E di lui mi giovai per procedere con sicurezza in quella via, nella quale il Signore mi
chiamava. Gli apersi tutto il mio cuore in confessione, non gli tenni segreta la menoma cosa che
riguardasse la mia coscienza, anzi gli diedi fin dalle prime volte ogni più ampia licenza di
servirsi a mio vantaggio, anche fuori di confessione, di quanto io gli avea confidato. Esso, da
quell'uomo prudente che era, potè così sempre guidarmi con sicurezza.
Due cose mai non omisi dietro suo consiglio. La meditazione e l'esame di coscienza tutti i
giorni. Ai giovani principalmente sembrano sul principio cose noiose. Ma se perseverassero per
un po' di tempo in queste due pratiche di pietà, oltre il vantaggio spirituale, ne proverebbero tale
consolazione e piacere da non lasciarle più. Per conoscere la mia vocazione aggiungeva ancora
tutte le mattine alle solite orazioni la seguente preghiera.
Eccomi ai vostri piedi, o Vergine pietosa, per impetrare da voi la grazia importantissima
{41 [41]} della scelta del mio stato. Io non cerco altro che di fare perfettamente la volontà del
vostro divin Figlio in tutto il tempo della mia vita. Desidero ardentemente di scegliere quello
stato che vie più mi renderà consolato, quando mi troverò al punto della morte. Deh! Madre del
buon Consiglio, fatemi risuonare all' orecchio una voce, che allontani ogni dubbiezza dalla mente
mia. A voi si aspetta, che siete la Madre del mio Salvatore, essere altresì la Madre della mia
salvezza; perchè se voi, o Maria, non mi partecipate un raggio del divin sole, qual luce mi
rischiarerà? Se voi non m'istruite, o Madre dell'increata Sapienza, chi mi ammaestrerà? Udite
dunque, o Maria, le mie umili preghiere. Indirizzatemi dubbioso e vacillante, reggetemi nella
retta via, che conduce all'eterna vita, giacchè voi siete unica speranza di virtù e di vita, i cui frutti
non sono altro che frutti di onore e di onestà. - Quindi conchiudeva con tre Pater, Ave e Gloria.
Ecco, o mio caro, quello che io ho fatto per non isbagliare la mia vocazione. Tu pure fa lo
stesso, ma apri soprattutto il cuore al tuo confessore, e la sua decisione abbila come una voce del
cielo. » {42 [42]}
In quanto poi alla scienza che è pure di tutta necessità dovete rimettervi al giudizio dei
vostri esaminatori, e riconoscere negli esami la volontà di Dio. Così fece il Comollo, quando si
trovò in somigliante congiuntura di sua vita.
Presentatosi egli pertanto all' esame e sortitone l'esito favorevole si andava preparando
alla clericale vestizione coi più vivi sentimenti di pietà e di fervore. Io non saprei come
chiaramente esprimere tutti gli affetti di tenerezza, che ebbe a provare in quella circostanza.
Pregava egli, faceva pregare altri per lui, digiunava, prorompeva sovente in lagrime, si tratteneva
molto in Chiesa, sicchè, giunto il giorno di sua festa, (così chiamava il giorno di sua vestizione
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chiericale) fece la sua confessione generale con una fervorosa comunione. Di poi contento come
se fosse sublimato alla più onorevole carica del mondo, tutto compreso dallo spirito di pietà e da
sentimenti religiosi, raccolto e modesto, che pareva un angiolo, fu insignito del tanto rispettato e
desiderato abito ecclesiastico. Tal giorno fu sempre per lui memorando, e soleva dire essersi il
suo cuore totalmente cangiato: di pensoso e rannuvolato essere divenuto tutto ilare {43 [43]} e
gioviale, e che ogni qualvolta rammentava quel giorno sentivasi inondare il cuore di tenera gioia.
Una lettera indirizzata ad un suo professore ci ha conservate le sante impressioni di quella
giornata.
Venne intanto il giorno dell' apertura del Seminario, dove egli puntualmente recandosi
doveva far campeggiare non istraordinarie, ma compiute virtù.
I giorni che trascorsero tra la vestizione e la partenza pel Seminario li passò nel ritiro e
nelle pratiche di pietà. I suoi genitori non cessavano di raccomandargli l'esatto adempimento dei
suoi doveri e la fuga dei cattivi compagni. « Caro Luigi, gli disse sua madre la vigilia della
partenza, tu parti pel Seminario ed io ti accompagno col pensiero e colla preghiera. Là avrai
superiori che sapranno guidarti pel cammino della virtù: sii loro ubbidiente. Ma per carità non
dimenticare il pericolo incorso in queste vacanze per un cattivo compagno. Ti sembrava buono,
noi tutti lo giudicavamo tale e ci siamo tristamente accorti che era un lupo da fuggire. Se mai ti
accadrà di incontrare compagni, che parlino con poco rispetto delle cose di {44 [44]} pietà, che
mormorino dei superiori o disapprovino le loro disposizioni, costoro non siano mai tuoi amici e
procura di star lontano da essi. »
Capo VI. Entra in Seminario - Sua bella massima - La voce del
campanello - Rispetto ed obbedienza ai suoi superiori - Sua pazienza
in un insulto - Sue conversazioni - Sua tenera divozione.
Giunto in Seminario, tosto si persuase che non basta il luogo per infondere la scienza e la
virtù, ma è necessaria una puntuale osservanza delle regole, e l'esatto adempimento de' proprii
doveri. Massima sollecitudine per i doveri di studio e di pietà, ardente desiderio di
mortificazione erano i pensieri che occuparono l'anima del Comollo in tutto il corso del
Seminario. Per non mai dimenticare se stesso, erasi scritto sopra un pezzo di carta, che teneva
sempre nel libro o nel quaderno, di cui giornalmente doveva servirsi: Fa molto chi fa poco, ma
fa quel che deve fare; fa nulla chi fa molto, ma non fa quello che deve fare. {45 [45]}
Egli aveva letto come Sant' Alfonso facesse voto di non perdere mai tempo. La quale
cosa eragli motivo di alta ammirazione, e studiatasi con tutto l'impegno d'imitarlo. Perciò fin dal
suo primo entrare nel Seminario si appigliò con tale diligenza alle cose di studio e di pietà, che
approfittava di tutte le occasioni, e di tutti i mezzi, che tendessero all'esatta occupazione del
tempo. Suonato il campanello, subito interrompeva checchè facesse per rispondere alla voce di
Dio (così chiamava il suono del campanello), che lo chiamava al suo dovere. Mi accertò più
volte, che, dato un tocco del campanello, gli era impossibile continuare ciò che aveva fra le
mani, perchè rimaneva tutto confuso e non sapeva più che si facesse. Tanto radicata era in lui la
virtù dell'ubbidienza.
Non parlo dei superiori, ai quali ubbidiva con tutta prontezza e giovialità, senza mai
dimandar conto o ragione di ciò che gli era ingiunto. Agli stessi colleghi assistenti, anche agli
uguali mostravasi attento, docile ad ogni loro ordine, e consiglio, non altrimenti che ai superiori
medesimi. Dato il segno di studio, puntualissimo v'interveniva, e in raccolto atteggiamento {46
[46]} si applicava in maniera che a qualunque rumore, chiacchera, leggerezza, che da altri si
facesse, pareva fosse insensibile, nè punto più della persona si moveva, se non ad un novello
segno del campanello.
Un dì avvenne che un compagno, passandogli dietro, gettogli a terra il mantello. Esso si
contentò di fargli un semplice motto, acciocchè meglio si guardasse altra volta. Il compagno,
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dimenticando che era pur chierico, non badando che la carità comanda di sopportare i difetti
altrui, e di non oltraggiare il nostro simile, montò in collera e rispose con voce alterata, con
parole offensive e minacciose. Allora il Comollo, senza far conto degli insulti a lui diretti si
appoggiò di nuovo sullo scrittoio e tutto tranquillo continuò a studiare, come se niente a lui fosse
stato detto o fatto.
Nella ricreazione, nei circoli, nei tempi di passeggiata desiderava sempre discorrere di
cose scientifiche, anzi in tempo di studio soleva formarsi nella mente una serie delle cose, che
meno intendeva, per quindi tosto comunicarle in tempo libero ad un compagno, con cui avea
special confidenza, onde averne la spiegazione. In tali {47 [47]} trattenimenti co' suoi compagni
faceva sempre uso della lingua latina. Ciò gli tornava di grande vantaggio, perciocchè giunse a
maneggiare questa lingua nelle materie scolastiche con molta speditezza e con una famigliarità
meravigliosa. Egli sapeva animare le conversazioni con varie utili ricerche e racconti, ma
osservava costantemente quel non mai abbastanza encomiato tratto di civiltà di tacere quando
altri parla. Pel che non di rado avvenivagli di troncare a mezzo la parola per dar campo a che
altri liberamente parlasse.
Abborriva grandemente lo spirito di critica o di censura sulle persone altrui; parlava dei
superiori, ma sempre con riverenza e rispetto; parlava dei compagni, ma sempre con carità e
moderazione; parlava dell'orario, delle costituzioni o regolamenti del Seminario, degli
apprestamenti di tavola, ma sempre con espressioni di soddisfazione e di contento; di modo che
io posso con tutta schiettezza affermare, che nei due anni e mezzo che lo frequentai nel
Seminario, non lo intesi mai a proferire parola, che fosse contraria a quel principio che fisso
teneva nella sua mente: Degli altri o parlare bene {48 [48]} o tacere affatto. Qualora poi fosse
stato costretto a dare il proprio giudizio sui fatti altrui procurava sempre interpretarli nel senso
migliore, dicendo avere imparato da suo zio, che un'azione di cento aspetti, novantanove cattivi
ed uno buono, si doveva prendere sotto l'aspetto buono e giudicarla favorevolmente. Per
l'opposto parlando di se stesso taceva tutto quello, che poteva tornare in sua lode senza mai far
parola di carica, onore o premio a lui compartito, che anzi, avvenendo di essere lodato, metteva
la lode in facezia, abbassando così se stesso mentre altri l'esaltava.
Un compagno pieno di stupore nel rimirare un giovane cherico adorno di tante belle virtù,
gli disse un giorno: Certamente, Comollo, tu sei un santo. Esso senza far caso delle espressioni di
encomio prese due pezzi di pane, da noi piemontesi detto grissino, e ponendoseli a guisa di corna
sopra la testa, scherzando rispose: Ecco un santo, cioè un diavoletto.
Quei fiori di tenera divozione, onde noi l'abbiamo veduto adorno tra le glebe, nei pascoli
e negli studi, ben lungi dall'appassire cogli anni pervennero a mostrarsi in tutta la loro vaghezza
{49 [49]} e perfezione. Era bello a vedersi come il Comollo, dato il segno della preghiera o di
altra sacra funzione, accorreva immantinente colla più esatta diligenza, e, composto nella
persona e con edificante raccoglimento di tutti i suoi sensi, compieva le pratiche religiose; nè
mai in lui si ravvisò il minimo rincrescimento nel portarsi in cappella, o in altro luogo ad
assistere a' suoi religiosi doveri. Il mattino al primo tocco di campanello si alzava di letto, e,
aggiustato quanto era di dovere, recavasi un quarto d'ora prima degli altri in chiesa a preparare l'
anima sua per l'orazione.
Tutte le volte che i Seminaristi assistevano alle solenni funzioni di chiesa, non solevano
più recarsi a recitare la corona della B. V.; ma il Comollo non seppe mai astenersi da siffatta
speciale divozione, perciò terminate queste pubbliche funzioni, mentre ognuno passava il tempo
nella permessa ricreazione, egli con altro compagno si ritirava in cappella a pagare, come soleva
dire, i debiti alla sua buona Madre, colla recita del Santissimo Rosario. Nei giorni di vacanza e
particolarmente nelle ferie del SS. Natale, di carnovale, delle solennità Pasquali egli, anche {50
[50]} più volte al giorno, si allontanava dai comuni divertimenti, a fine di recarsi a recitare
quando i salmi penitenziali, quando l'ufficio dei defunti, o quello della B. V., e questo in
suffragio delle anime del purgatorio.
Sempre amante e devoto di Gesù sacramentato, oltre a frequenti visite e oltre a
comunicarsi spiritualmente, approfittava pure di tutte le occasioni per comunicarsi
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sacramentalmente, e ciò con grande edificazione di coloro, che trovavansi presenti. Premetteva
alla comunione un giorno di rigoroso digiuno in onore di Maria SS. Dopo la confessione non
voleva più parlare d'altro, che di cose riguardanti alla grandezza, alla bontà, all' amore del suo
Gesù, che desiderava ricevere nel dì seguente. Giunta poi l'ora di accostarsi alla sacra mensa io
lo scorgeva tutto assorto nei più alti e divoti pensieri. Composta la persona in santo
atteggiamento, a passo grave, cogli occhi bassi, dando anche in iscuotimenti di commozione
avvicinavasi al Santo dei Santi. Ritiratosi poscia a suo posto, pareva fosse fuor di sè, tanto
vivamente vedevasi commosso e da vita divozione compreso. Pregava, ma ne era interrotto da
singhiozzi, da interni gemiti e da {51 [51]} lagrime; nè poteva acquetare i trasporti di tenera
pietà, se non quando, terminata la Messa, si cominciava il canto del mattutino. Avvertito più
volte a frenare quegli atti di esterna commozione, come quelli che potevano offendere l'occhio
altrui: « Mi sento, rispondevami, mi sento tale piena di affetti e di contento nel cuore, che, se non
permetto qualche sfogo, mi pare di essere soffocato. Nel giorno della comunione, (diceva altre
volte), mi sento ripieno di dolcezza e di gaudio, che non so nè capire nè spiegare. » Da ciò
ognuno vede chiaramente, come il Comollo fosse avanzato nella via della perfezione giacchè
quei moti di amor di Dio, di dolcezza, di contento per le cose spirituali sono un effetto di quella
fede viva, e carità infiammata, che altamente gli stava radicata nel cuore e costantemente lo
guidava nelle sue azioni. {52 [52]}
Capo VII. Modestia degli occhi e mortificazione de' suoi sensi - Sue
penitenze - Sue vacanze - Sua ritiratezza - Sua prima predica - Buoni
effetti di essa.
A questa divozione interna andava strettamente congiunta un'esemplare mortificazione di
tutti i suoi sensi esteriori. Modesto qual era negli occhi spesso gli avveniva di far passeggiate in
giardini o in ville, senza che egli avesse minimamente veduto le cose più notevoli, che tutti gli
altri avevano ammirato. Non vagava mai qua e là collo sguardo, ma cominciato col suo
compagno qualche buon discorso in lingua latina attento il continuava, non mai badando a
checchè occorresse. Talvolta accadde che dopo il passeggio interrogato se avesse visto suo
padre, che pur gli era passato vicino, e l'aveva salutato, rispondesse di non averlo veduto.
Sovente era visitato da alcune sue cugine di Chieri, e questo gli era di grave cruccio, dovendo
trattare con persone di altro sesso; onde appena detto quello che la {53 [53]} convenienza e il
bisogno volevano, raccomandando loro con bella maniera di venirlo a trovare il meno possibile,
tosto da loro si licenziava. Richiesto alcune volte, se quelle sue parenti (colle quali trattava con
tanto riserbo) fossero grandi o piccole, o di straordinaria avvenenza, rispondeva che all'ombra gli
parevano alte, che più oltre nulla sapeva, non avendole mai rimirate in faccia. Bello esempio
degno di essere imitato dalla gioventù, e particolarmente da quelli, che aspirano o già si trovano
nello stato ecclesiastico!
Le azioni più semplici e indifferenti divenivano per lui mezzi opportuni ad esercitare la
virtù. Era assuefatto d'incrocicchiar l'una coll'altra le gambe e di appoggiarsi col gomito, quando
gli veniva bene a mensa o nello studio o nella scuola. Per amor di virtù anche di questo si volle
correggere, e per riuscirvi pregò istantemente un amico di ammonirlo ed anche imporgli qualche
penitenza ogni qual volta l'avesse veduto nelle succitate posizioni. Di qui procedeva quella
esteriore compostezza per cui in chiesa, nello studio, in iscuola o in refettorio innamorava ed
edificava chiunque il rimirasse. {54 [54]}
Le mortificazioni circa il cibo erano quotidiane: d'ordinario quando più sentivasi bisogno
di far colezione, era appunto allora che se ne asteneva. A mensa era parco al sommo: beveva
poco vino, e quel poco adacquato. Talvolta lasciava pietanza e vino, contentandosi di mangiare
pane inzuppato nell'acqua, sotto lo specioso pretesto che gli tornava meglio per la corporale
sanità, ma in realtà era per ispirito di mortificazione. Difatto, avvertito che tale modo di nutrirsi
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Don Bosco - Cenni sulla vita del giovane Luigi Comollo [2a edizione]
poteva cagionargli male di capo o di stomaco, rispondeva: « A me basta che non possa nuocere
all'anima. » Nel sabato di ogni settimana digiunava per amor della B. V.; e nelle altre vigilie, nel
tempo quaresimale, anche prima che fosse per età tenuto, digiunava con tale rigore, e prendeva
cibo in sì poca quantità, che un compagno, il quale eragli accanto a mensa, ebbe a dire più volte
che il Comollo voleva uccidersi. Questi sono i principali atti di penitenza esterna che mi son noti,
dai quali lieve cosa sarà argomentare quello che ei nudrisse in cuore, e come l'animo del
Comollo fosse di continuo occupato in teneri affetti d'amor di Dio, di viva carità verso il
prossimo, e di ardente desiderio di patire per amor di Gesù Cristo. {55 [55]}
« La vita, che il Comollo tenne nel Seminario, diede sempre (così depone un suo
superiore)4 ottima e santa idea di lui, mostrandosi in ogni occorrenza esattissimo nei suoi doveri
si di studio come di pietà, esemplare affatto nella sua morale condotta, così che tutto il suo
contegno dimostrava un'indole la più docile, ubbidiente, rispettosa e religiosa. »
Egli era piacevole nel parlare, perciò chiunque avesse tristezza alcuna, conversando con
lui ne rimaneva consolato. Era così modesto, edificante nelle parole e nei tratti, che anche i più
indiscreti erano obbligati a riconoscere in lui uno specchio di modestia e di virtù. Un suo collega
soleva dire, che il Comollo era per lui una continua predica; che era un miele, il quale raddolciva
i cuori, e gli umori anche i più bizzarri. Un altro disse più volte che voleva adoperarsi a tutta
possa per farsi santo, e per riuscirvi avea deliberato di seguire le tracce del Comollo; e benchè si
vedesse di gran lunga indietro {56 [56]} la quel modello di virtù, nulladimeno era assai contento
di quel tanto che veniva in sè ricopiando.
Il tempo di vacanza per lui in quanto alla morale, sua condotta era quello stesso del
Seminario. Assiduo ai ss. Sacramenti, frequente alle sacre funzioni, puntuale nel fare il
Catechismo ai ragazzi in chiesa (il che faceva vestito ancor da borghese), ed anche per le vie
ogni volta gli avveniva di incontrarne.
Ecco come egli stesso esprime il suo orario in una lettera diretta ad un amico. « Ho già
passato circa due mesi di vacanze, i quali anche con questo gran caldo mi hanno fatto assai bene
per la corporale sanità. Ho già studiato quegli avanzi di logica e di etica, che si sono omessi nel
decorso dell'anno; leggerei volentieri la storia sacra di Giuseppe Flavio, che mi suggerisci, ma ho
già incominciato a leggere la storia delle eresie, onde verrà a mancarmi il tempo. Spero che ciò
farò un altr'anno. Del resto la mia stanza è tuttora l'ameno paradiso terrestre; quivi entro salto,
rido, studio, leggo, canto, e non vi vorrebbe altro che te per far la battuta. A mensa, in
ricreazione, a passeggio sempre mi godo la {57 [57]} compagnia del caro mio zio, il quale
sebbene cadente pegli anni è sempre giulivo e lepido, e mi racconta ognor cose una più bella
dell'altra, che mi contentano all'estremo.
Ti attendo pel tempo stabilito, stammi allegre; e se mi vuoi bene prega il Signore per me,
ecc. »
Affezionatissimo quale era a tutte quelle cose, che riguardavano l'ecclesiastico ministero,
godeva molto quando vi si poteva occupare, chiaro segno che il Signore lo chiamava allo stato, a
cui aspirava. Suo zio prevosto per coltivare sì prezioso terreno, e secondare l'ottima inclinazione
del nipote, l'incaricò di fare un discorso in onore di Maria SS. Egli esprime a quest'uopo i suoi
sentimenti in altra lettera scritta al solito amico.
« Debbo significarti un affare, che da un canto mi consola, dall' altro mi confonde. Mio
zio mi diede incombenza di fare un discorso sulla gloriosa Assunzione di M. V. L'essere eccitato
a parlare di questa cara Madre mi riempie di gioia il cuore. Dall'altro canto, conoscendo la mia
insufficienza, veggo pur chiaro quanto io sia lungi dal saperne tessere condegnamente {58 [58]}
gli encomi. Checchè ne sia, appoggiato all'aiuto di colei, di cui debbo favellare, mi dispongo ad
ubbidire; l'ho già scritto, e mediocremente studiato; lunedì sarò da te onde l'ascolti a recitare, e
mi faccia le osservazioni, che stimerai a proposito sia riguardo al gesto, sia riguardo alla materia.
Raccomandami all'Angelo Custode pel buon viaggio.....Addio. »
4 Il T. Arduino da Carignano, allora prof. di teologia, di poi canonico prev. vic. For. della Collegiata di Giaveno ed
ora già passato alla vita eterna.
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Io tengo presso di me questo discorso, nel quale, quantunque siasi servito di accreditati
autori, nulla di meno la composizione è sua, e vi si scorgono espressi tutti quei vivi affetti, di cui
ardeva il suo cuore verso la gran Madre di Dio. Nello esporlo poi vi riuscì mirabilmente. « Sul
punto di comparire alla presenza del popolo, scriveva egli, io mi sentii mancare la forza e la
voce, e le ginocchia non mi volevano più reggere. Ma tostochè Maria mi porse la mano, divenni
vigoroso e forte; di maniera che lo cominciai, lo proseguii sino alla fine senza il minimo intoppo;
questo fece Maria, io non già; sia lode a Lei. »
Di lì a qualche mese essendomi recato a Cinzano, richiesi che se ne dicesse del Chierico
Comollo {59 [59]} e della predica da lui fatta. Tutti mi rispondevano con parole di encomio.
Suo zio diceva di veder l'opera di Dio manifestata nel suo nipote: - Predica da santo, mi diceva
taluno. Oh, esclamava un altro, pareva un angelo da quel pulpito, tanto era modesto e franco nel
ragionare! Altri: Che bella maniera di predicare... - Ciò dicendo ne ripetevano alcuni sentimenti e
perfino le stesse parole, che fisse ancora avevano nella memoria.
Senza dubbio sarebbe stato grande il bene, che avrebbe fatto nella vigna del Signore un
coltivatore di così buona volontà. Tale era l'aspettazione del vecchio suo zio, tale la speranza dei
genitori, tale il desiderio de' suoi compatrioti, de' suoi superiori, de' suoi compagni. Ma Iddio lo
vedeva già abbastanza maturo pel cielo. Ed affinchè la malizia del mondo non venisse a cangiare
il suo intelletto volle compensarne la buona volontà e chiamarlo a godere il frutto dei meriti già
acquistati e di quelli, che bramava grandemente di acquistarsi. {60 [60]}
Capo VIII. Presagi di sua morte - La vista delle campagne - Parole
dirette al Cav. Fassone - Ultimo sguardo alla patria - Parole del padre
- Rientra in Seminario - Straordinario suo fervore.
Non è mio scopo di esporre cose che io giudichi soprannaturali; io intendo soltanto di
raccontare i fatti quali sono avvenuti, lasciando ognuno in libertà di farne quel giudizio che gli
paia migliore.
Nelle vacanze autunnali dell'anno 1838, mi sono recato a Cinzano per concertare alcune
cose spettanti al vicino anno scolastico. Un bel giorno uscii a passeggio col Comollo sopra un
colle, donde scorgevasi vasta estensione di prati, campi e vigne. - Vedi Luigi, presi a dirgli, che
scarsezza di raccolti abbiamo quest' anno! Poveri contadini! Tanto lavoro e quasi tutto invano!
- È la mano del Signore, egli rispose, che pesa sopra di noi. Credimi, i nostri peccati ne
sono la cagione. {61 [61]}
- L'anno venturo spero che il Signore ci donerà frutti più abbondanti.
- Lo spero anch' io, e buon per coloro che si troveranno a goderli.
- Su via, lasciamo a parte i pensieri malinconici, per questo anno pazienza, ma l'anno
venturo avremo più copiosa vendemmia e faremo miglior vino.
- Tu ne beverai.
- Forse tu intendi continuare a bere la solita tua acqua?
- Io spero di bere un vino assai migliore.
- Che cosa vuoi dire con ciò?
- Lascia, lascia.....il Signore sa quel che si fa.
- Non dimando questo, io dimando che cosa vuoi dire non quelle parole: Io spero di bere
un vino assai migliore. Vuoi forse andartene al paradiso?
- Sebbene io non isperi di andare dopo morte al paradiso se non per pura misericordia del
Signore, tuttavia da qualche tempo mi sento un sì vivo desiderio di andare a gustar l'ambrosia dei
Beati, che parmi impossibile che siano ancora lunghi i giorni di mia vita. - Questo diceva {62
[62]} il Comollo colla massima ilarità di volto, in tempo che godeva ottima sanità, e si preparava
per ritornare in Seminario.
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Quasi le medesime cose manifestò nella occasione in cui venne a Torino. Sul finire dello
stesse vacanze si recò nella capitale, e dimorò più giorni in casa di una persona di molto buon
giudizio5, da cui rilevo e trascrivo le seguenti parole « Noi fummo tutti grandemente edificati
dalla modestia di quel buon Luigi. Cortese, affabile, semplice inspirava pietà in ogni sua azione,
ma specialmente quando pregava, pareva un altro San Luigi. Era nostro piacere grande che si
fosse trattenuto ancora qualche giorno con noi, ma ei se ne volle assolutamente partire. Nell' atto
che si licenziava: - Addio, gli dissi, forse non ci vedrem più.
- No... no, rispose egli, non ci vedrem più.
- Non è però a tuo riguardo che parlo così, io replicai, ma per la mia età già di molto
avanzata, che anzi voglio, e te lo auguro, che tu venga a dir Messa nuova. {63 [63]}
Allora egli con parole franche e risolute: - Oh! rispose, io non dirò Messa nuova; l'anno
venturo ella vi sarà ancora, ed io non vi sarò più. Preghi intanto il Signore per me: addio. -
Queste ultime parole, pronunziate con tanta franchezza da persona cotanto amata, ci lasciarono
vivamente commossi, e sovente andavamo dicendo: Chi sa? che quel buon Luigi sappia di dover
morire? Quando poi ci fa partecipata la dolorosa notizia di sua morte, pieni d'ammirazione
esclamammo: Troppo bene ei la previde! »
A questo racconto io vi presto tutta credenza, essendomi stato riferito da più persone
colla stessa precisione di sentimenti e di parole.
Finite queste ultime vacanze e messosi in via per recarsi in Seminario, era giunto a un
luogo, ove progredendo perdeva di vista il suo paese. Ivi soffermatosi stava rimirando la patria
con una serietà insolita. Suo padre fece alcuni passi verso di lui dicendo: - Che fai Luigi? Non sei
bene in sanità? Che guardi?
- Io sono in buona sanità, mi sento bene, ma non posso togliere lo sguardo da Cinzano.
- Che guardi adunque? ti rincresce forse di recarti in Seminario? {64 [64]}
- Non solo non mi rincresce, ma desidero di arrivare al più presto in quel luogo di pace;
quel che guardo si è il nostro Cinzano, che lo rimiro per l'ultima volta. - Richiesto di nuovo se
non istesse bene in salute, se volesse ritornare a casa: - Niente, niente, rispose; sto benissimo,
andiamo allegri, il Signore ci aspetta. - Queste parole, dice suo padre, le abbiamo più volte in
famiglia ripetute, ed ogni qual volta passo in quel sito, anche presentemente, a stento posso
trattenere le lagrime. - Il presente ragguaglio fu a me e ad altri riferito prima della morte del
Comollo.
Nonostante tutti questi presentimenti del fine del suo vivere mortale, che il Comollo
aveva in più circostanze esternati, con la solita sua pacatezza, con aria sempre uguale e
imperturbata ripigliò seriamente i suoi studi e continuò esemplare nelle pratiche di pietà.
All'esame semestrale conseguì (come l'anno antecedente) un premio di sessanta lire, che in
ciascun corso ogni anno si suole assegnare a colui, che più si distingue nello studio e nella pietà.
Sebbene egli dimostrasse la medesima sollecitudine nell'adempimento dei suoi doveri, la
medesima giovialità {65 [65]} ed allegria nel ragionare e nel fare la ricreazione, tuttavia io
scorgeva un non so che di misterioso nella sua condotta. Lo vedevo oltre l'usato attento nella
preghiera e in tutti gli altri esercizi di pietà. In quel tempo in Seminario non si aveva la comodità
di fare la S. Comunione se non alla Domenica. Ciò rincresceva al Comollo, e per soddisfare in
qualche modo la sua divozione, al giovedì chiedeva di potersi recare a servire qualche messa
nella Chiesa di S. Filippo annessa al Seminario. Per ciò fare era d'uopo perdere la ricreazione e la
colezione; ma egli si sottometteva di buon grado a queste privazioni, giudicandosi assai bene
ricompensato dalla comunione che comodamente faceva nel servir la S. Messa.
Voleva sovente discorrere dei martiri del Tonchino. « Quelli, diceva, sono veramente
pastori del gregge di Gesù Cristo, i quali danno la loro vita per la salvezza delle pecorelle
smarrite. Quanta gloria sarà loro riservata in paradiso. » Altre volte esclamava: « Oh potessi
almeno, quando sarò per partire da questo mondo, sentirmi dal Signore un consolante, euge,
serve bone, vieni servo fedele! » {66 [66]}
5 Casa del fu Cav. Fassone, intendente al regio Parco de' tabacchi.
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Capo IX. Suoi pensieri sul paradiso - Suo raccoglimento nella
preghiera - Meditazioni sull'inferno - Gli esercizi spirituali.
Con grande trasporto di gioia discorreva del paradiso; e fra le belle cose, che soleva dire,
una fu questa: « Quando mi trovo solo e disoccupato o quando non posso prendere sonno lungo
la notte allora mi metto a fare le più amene passeggiate. Suppongo trovarmi sopra un'alta
montagna, dalla cui cima mi sia dato scoprire tutte le bellezze della natura. Contemplo il mare, la
terra, i paesi, le città, con quanto di più magnifico esiste in essi; levo quindi lo sguardo pel sereno
cielo, miro il firmamento, che tutto di stelle tempestato forma il più maraviglioso spettacolo. A
questo vi aggiungo ancora l'idea di una soave musica, che a voce ed a suono taccia echeggiare di
lieti evviva valli e monti, e deliziando la mente con questa mia immaginazione, mi volgo in altra
parte, alzo gli occhi, ed eccomi innanzi la città di Dio. La miro all'esterno, poscia me le avvicino
e penetro dentro; qui pensa {67 [67]} tu alle cose, che senza numero io fo passare a rassegna. »
Proseguendo nella sua passeggiata raccontava cose le più curiose ed edificanti, che nella
sua mente faceva passare a rassegna nelle varie sessioni del Paradiso.
Fu pure in quest'anno che gli cavai il segreto di pregare senza distrazione. « Vuoi sapere,
dicevami, come io mi metta a pregare? Ella è un'immagine tutta materiale che ti farà ridere.
Chiudo gli occhi, e col pensiero mi porto entro una grande sala, il cui soffitto è sostenuto da
innumerevoli colonne, adornata nella maniera più squisita, e in fondo alla quale si alza un
maestoso trono, sovra di cui suppongo stare assiso Iddio nella sua infinita maestà; dopo di lui
tutti i cori dei Beati comprensori. Questa immagine materiale mi serve maravigliosamente per
sollevare il mio pensiero all'infinita Maestà Divina, dinanzi a cui mi prostro e con tutto il rispetto
a me possibile fo la mia preghiera. »
Questo dimostra, secondo le regole dei maestri di spirito, quanto la mente del Comollo
fosse staccata dalle cose sensibili, e quanto ei fosse padrone di raccogliere le facoltà della mente
{68 [68]} sua per trattenerla a spirituali colloqui con Dio. La quale cosa segna un alto grado di
perfezione.
In quest'anno medesimo, mentre ascoltava la S. Messa ne' giorni feriali, soleva leggere le
meditazioni sull'inferno del P. Pinamonti, intorno a che l'udii più volte a dire: « Nel decorso di
quest'anno lessi sempre in cappella meditazioni sull'inferno, le ho già lette, e le leggo di nuovo, e
benchè trista e spaventosa ne sia la materia, tuttavia vi voglio persistere, affinchè considerando
l'intensità di quelle pene, mentre vivo, non le abbia ad esperimentare sensibilmente dopo morte.»
Nel corso della quaresima (1839), coi sentimenti della più viva divozione fece altresì i
santi spirituali esercizi. Dopo di essi, quasi più nulla si dovesse aspettare in questo mondo,
asseriva, che il più grande di tutti i favori; che il Signore possa concedere al cristiano, è quello
degli esercizi spirituali. « Ella è la grazia più grande, diceva con trasporto ai suoi compagni, che
Dio possa fare ad un cristiano, accordargli tempo, onde disponga delle cose dell'anima con piena
cognizione, con tutto l'agio, e con soccorso di circostanze sì favorevoli, quali sono meditazioni,
{69 [69]} istruzioni, letture, buoni esempi. Oh! quanto siete buono, Signore, verso di noi! che
ingratitudine non sarebbe mai per chi non corrispondesse a tanta bontà di un Dio! »
Capo X. Sintomi di sua malattia - Giudizi di Dio - Sogno spaventoso -
La tranquillità.
Mentre io intraprendo a raccontare le cose riguardanti all' ultima infermità e alla morte
del Comollo, stimo bene di ripetere che quanto quivi espongo è quale fu scritto durante la sua
malattia e immediatamente dopo la morte: cose tutte lette e rivedute dai superiori del Seminario,
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e dai compagni che ne furono testimoni oculari, prima che si mandassero alle stampe. I quali tutti
asseriscono non aver trovata parola non conforme alla verità. È pur bene di notare che un'anima
innocente e adorna di tante virtù, quale era quella del Comollo, direbbesi nulla dover paventare
l'avvicinarsi dell'ora della morte. Eppure ne provò anch' esso grande apprensione. Ah se le anime
buone temono cotanto al doversi {70 [70]} presentare al cospetto del divin Giudice a rendere
conto dello loro azioni, che mai sarà, o lettori, che mai sarà di chi non pensa ad altro, che a
godere i piaceri della vita! che terribile momento sarà mai quello per l'uomo peccatore!
Ora passiamo al racconto. Era il mattino del 25 marzo 1839, giorno della SS. Annunziata,
quando io nell'andare in cappella incontrai pei corridoi il Comollo, che mi stava aspettando.
Come l'ebbi interrogato del buon riposo, rispose francamente essere per lui spedita. Ne fui molto
sorpreso, stante che il giorno avanti avevamo passeggiato buon pezzo insieme lasciandolo in
perfetta salute. Chiestala ragione d'un tal parlare; « Sento, rispose egli, sento un freddo che
m'occupa tutte le membra, mi duole alquanto il capo, lo stomaco è impedito; del male corporale
però poco mi do pena, quello che mi atterrisce (ciò diceva con voce commossa) si è il dovermi
presentare al gran giudizio di Dio. » Esortandolo io a non volersi così affannare, essere queste
certamente cose serie assai, ma per lui remote, e avere ancora molto tempo a prepararsi,
entrammo in chiesa. Ascoltò ancora la S. Messa, dopo la quale venne sorpreso da uno sfinimento
di forze, per {71 [71]} cui dovette tosto mettersi a letto. Terminate che furono le funzioni di
cappella, mi recai a visitarlo nel proprio dormitorio. Appena mi vide fra gli astanti, fece segno
che me gli appressassi, come se avesse a manifestarmi cosa di grande importanza, e così prese a
dire: « Mi dicesti, che era cosa remota, e che eravi ancor tempo a prepararmi prima d'andarmene,
ma non è così; sono certo che debbo presentarmi presto al cospetto di Dio; poco tempo mi resta a
dispormi; vuoi che tel dica chiaramente? Abbiamo da lasciarci. » Io lo esortava tuttavia a non
inquietarsi, e non affannarsi con tali idee. « Non m'inquieto, interrompendomi disse, nè mi
affanno, solo penso che debbo andare al gran giudizio, e giudizio inappellabile, e questo agita il
mio interno. » Quelle parole mi afflissero assai; perciò ogni momento desiderava sapere delle sue
nuove, e ogni volta che io lo visitava, mi ripeteva sempre la stessa espressione: Si avvicina il
tempo che debbo presentarmi al divin giudizio; dobbiamo lasciarci. Talmente che nel decorso di
sua malattia mi furono non una, ma più di quindici volte ripetute. Lo che sin dal primo giorno di
malattia manifestò anche {72 [72]} a più altri suoi colleghi nell'occasione, che da loro era stato
visitato. Disse pure che il suo male sarebbe inteso al rovescio dai medici, che operazioni e
medicine non gli avrebbero prodotto verun giovamento; come di fatto avvenne. Queste cose che
dapprima io attribuiva a mero timore dei giudizi divini, al vedere poi che si andavano avverando
di tratto in tratto, le palesai ad alcuni compagni, quindi allo stesso nostro signor Direttore
Spirituale, il quale, benchè sulle prime ne facesse poco conto, rimase poi molto maravigliato
dacchè ne vide gli effetti6.
Frattanto il Comollo si stette il lunedì febbricitante coricato; il martedì e mercoledì
passolli fuori di letto per altro sempre tristo e melanconico, assorto nel pensiero dei giudizi
divini. Alla sera del mercoledì si pose di nuovo a letto come infermo per non levarsi più. Fra il
giovedì, venerdì, sabato di quella settimana (santa) gli furono fatti tre salassi, prese varie
medicine, {73 [73]} ruppe in copioso sudore, ma senza ricevere alcun giovamento. Il sabato a
sera, vigilia di Pasqua, andatolo a visitare: « Poichè, mi disse, dobbiamo lasciarci e tra poco io
debbo presentarmi al giudizio, avrei caro che tu vegliassi meco questa notte. » Il Direttore D.
Gius. Mottura, scorgendo l'infermo camminare di male in peggio, mi concedette assai volentieri
che passassi presso di lui la notte, che era quella del 30 marzo precedente al solenne giorno di
Pasqua. « State attento, mi disse il Direttore, e se vi accorgete di grave pericolo chiamatemi
tosto. Notate eziandio ogni particolarità della malattia, e sappiatene ragguagliare il medico
domani. » Alle otto la febbre facevasi più violenta; alle otto e un quarto l'assalì un accesso di
febbre convulsiva sì gagliardo, che gli tolse l'uso della ragione. Sulle prime faceva un lamento
6 Direttore Spirituale del Seminario di Chieri era in quel tempo il sig. D. Giuseppe Mottura, creato di poi canonico
dell'insigne collegiata di Giaveno, in età assai avanzata. Questo degno Ecclesiastico dopo una vita onorata finiva i
suoi giorni con morte edificante nel 1876.
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prolungato, come se fosse stato atterrito da spaventevole oggetto o da tetro fantasma. Da lì a
mezz'ora tornato alquanto in sè, e guardando fisso gli astanti, gridò ad alta voce: Ahi giudizio!
Quindi cominciò a dibattersi con forze tali, che cinque o sei che eravamo astanti appena lo
potevamo trattenere in letto. {74 [74]
Tali dibattimenti durarono per ben tre ore, dopo i quali ritornò in piena cognizione di se
stesso. Stette lunga pezza pensieroso come occupato in seria riflessione, quindi deposta quell'aria
di mestizia e di terrore, che da più giorni dimostrava pei giudizi divini, comparve tutto placido e
tranquillo. Parlava, rideva, rispondeva a tutte le interrogazioni, che gli venivano fatte assegno
che l'avremmo quasi giudicato in regolare condizione di salute. Gli fu chiesto da che provenisse
un tale cangiamento, essendo poco prima così tristo ed ora tanto gioviale ed afabile. A quella
dimanda mostrossi alquanto imbarazzato a rispondere; di poi, rivolto qua e là lo sguardo se da
nissuno fosse udito, prese a parlare sotto voce con uno degli astanti: - Fin ora paventai di morire
pel timore del giudizo divino; questo tutto mi atterriva; ma ora son tranquillo, nulla più temo per
le seguenti cose, che in amichevole confidenza ti racconto. Mentre era estremamente agitato pel
timore dei giudizi divini, parvemi in un istante essere trasportato in una profonda ed ampia valle,
in cui l'agitazione dell'aria e le bufere di un vento furioso toglievano forza e vigore a chiunque
colà capitava. {75 [75]} Nel centro di questa valle era un grande abisso a guisa di larga e
profonda fornace, onde uscivano fiamme avvampanti. Di quando in quando vedeva anime, delle
quali alcune riconobbi, cadere là entro, e a quel tonfo globi immensi di fuoco e di fumo si
sollevavano verso il cielo... A tale vista spaventato mi posi a gridare per timore di dover
precipitare in quella spaventosa voragine. Perciò mi voltai all'indietro per fuggire, ed ecco una
innumerevole turba di mostri di forma orribile e diversa, che tentavano urtarmi in queir abisso...
Allora gridai più forte vie più atterrito, senza sapere che mi facessi, e mi segnai col segno della
S. Croce. A quell'atto religioso tutti quei mostri volevano chinare il capo, ma non potendo si
contorcevano scostandosi alquanto da me. Tuttavia non poteva ancora fuggire e allontanarmi da
quel malaugurato luogo; allorchè vidi una moltitudine di uomini armati, che a somiglianza di
forti guerrieri venivano in mio soccorso. Essi assalirono vigorosamente quei mostri, alcuni dei
quali rimasero sbranati, altri giacquero stesi a terra, altri si diedero a precipitosa fuga. Liberato
da quel pericolo, presi a camminare per quella {76 [76]} spaziosa valle, finchè giunsi ai piè di
un' alta montagna, su cui solo si poteva salire per una scala. Ma questa aveva gli scalini tutti
occupati da grossi serpenti, pronti a divorare chiunque vi ascendesse. Eppure non v’era altro
passaggio che quello, ed io non osava avanzarmi temendo essere da quei serpenti divorato. Quivi
abbattuto dalla stanchezza e dagli affanni, privo di forze, già veniva meno, quando una donna ch'
io giudico essere la comune nostra Madre, vestita in gran pompa, mi prese per mano e fecemi
rizzare in piedi dicendo: « Vieni meco. Hai lavorato in mio onore e mi hai tante volte invocata,
pertanto è giusto che ora ne abbi la dovuta mercede. Le comunioni fatte in mio onore ti meritano
lo scampo dal pericolo, in cui ti ha posto il nemico delle anime. » Intanto Ella mi fe' cenno di
seguirla per quella scala. Come essa pose piede sugli scaglioni, tutti quei serpenti voltavano
altrove la mortifera loro testa, nè si volgevano verso di noi, se non quando eravamo alquanto da
loro lontani. Giunti in cima a quella scala, mi trovai in deliziosissimo giardino, dove io vidi cose,
che non mi sono giammai immaginato che esistessero. {77 [77]} Quando, fui in sicuro la
benefica Signora mi aggiunse queste parole: « Ora sei in salvo. La mia scala è quella che deve
condurti al sommo bene. Animo, figlio mio, il tempo è breve. Quei fiori che formano sì bello
ornamento in questo giardino sono raccolti dagli angioli, con cui ti vanno intrecciando una
corona di gloria a fine di collocarti tra i miei figli nel regno dei cieli. » Ciò detto disparve. Queste
cose, conchiuse il Comollo, appagarono talmente il mio cuore e mi resero così tranquillo, che
ben lungi dal temere la morte, io desidero che venga presto, a fine di potermi unire cogli angioli
del cielo per cantare le lodi del mio Signore. - Sin qui l'infermo.
Checchè se ne voglia dire del sovraesposto racconto, il fatto fu che quanto grande era
prima il suo timore di comparire innanzi a Dio, altrettanto di poi manifestavasi il suo desiderio
che giugnesse quello istante. Non più tristezza o malinconia in volto, ma tutto ridente e gioviale
voleva sempre cantare salmi, inni o laudi spirituali. {78 [78]}
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Don Bosco - Cenni sulla vita del giovane Luigi Comollo [2a edizione]
Capo XI. Ultima Confessione - Il Santo viatico - Avvisi al suo amico -
Divozione alla B. V. - Scelta dei buoni compagni - Si raccomanda agli
amici affinchè preghino per lui.
Sebbene lo stato della malattia del Comollo apparentemente sembrasse assai migliorato,
tuttavia sul fare dell'alba ho stimato di avvertirlo essere cosa buona che in quel giorno ricevesse i
ss. Sacramenti, occorrendo appunto la solennità di Pasqua. « Volentieri, ripigliò, e poichè dicono
che il Signore risuscitò dal sepolcro in circa a quest'ora (erano le quattro e mezzo del mattino)
vorrei che altresì risuscitasse nel mio cuore coll'abbondanza delle sue grazie. Non ho alcuna cosa
che m'inquieti la coscienza, nulladimeno, atteso lo stato in cui mi trovo, ho piacere di parlare un
momento col mio confessore prima di ricevere la santa comunione »7. {79 [79]}
La è pur questa cosa degna di osservazione; un giovane vissuto nel secolo, sul vigore di
sua età, persuaso doversi fra poco presentare al divin giudizio, dire francamente non sentirsi la
minima inquietudine di coscienza... essere tranquillo. È forza dire che ben regolata sia stata la
sua vita, puro il cuore e pura l'anima sua.
Lettor mio, sia questo fatto di eccitamento a me ed a te a regolar fin d'ora le partite
dell'anima nostra, onde possiamo in quello estremo di vita dire anche noi: Ho nulla che faccia
pena alla mia coscienza. Ce lo conceda Iddio!
Spettacolo poi veramente edificante e maraviglioso fu la sua comunione. Terminata la
confessione, fatta la preparazione per ricevere il SS. Viatico, già il signor Direttore, che ne era il
ministro, seguito dai seminaristi, entrava nella infermeria; quando al suo primo comparire
l'infermo tutto commosso cangia colore, muta d'aspetto, e pieno di santo trasporto esclama: « Oh
bella vista... Giocondo vedere...! Mira come isplende quel sole! Quante belle stelle gli fanno
corona! Quanti prostrati a terra l'adorano e non osano alzare la chinata fronte! Deh! lascia {80
[80]} che io vada ad inginocchiarmi con loro, e adori anch'io quel non mai veduto sole. » Mentre
tali cose diceva, voleva rizzarsi, e con forti slanci tentava portarsi verso il SS. Sacramento. Io mi
sforzava a fine di trattenerlo in letto; mi cadevano lagrime di tenerezza e di stupore; e non sapeva
che dire, nè che rispondergli. Ed egli vie più si dibatteva onde portarsi verso il SS. Viatico; nè
s'acquetò finchè non l'ebbe ricevuto. Dopo la comunione, tutto concentrato nei più affettuosi
sentimenti verso Gesù, stette alcun tempo immobile, quindi, dando in novelli trasporti di gioia: «
Oh!... portento d'amore, esclamava! Chi mai son io per essere fatto degno di tesoro sì prezioso!
Oh! esultino pure gli Angeli del cielo, ma con più di ragione ho io di che rallegrarmi, giacchè
Colui, che gli Angeli prostrati mirano rispettosamente svelato in Cielo, io lo custodisco nel seno:
Quem Coeli capere non possunt, meo gremio confero: magnificava Deus facere nobiscum: operò
il Signore con me le sue maraviglie, e fui ripieno di celeste gioia e di divina consolazione: Et
facti sumus laetantes. » Queste e molte altre simili giaculatorie continuò a pronunziare per buon
tratto di {81 [81]} tempo. Infine abbassata la voce, chiamommi a sè e mi pregò a non parlargli
più d'altro che di cose spirituali, dicendo essere troppo preziosi quegli ultimi momenti, che gli
restavano ancor di vita, e doverla tutta impiegare a glorificare il suo Dio; perciò non darebbe più
alcuna risposta, qualora fosse interrogato intorno ad altre cose.
Difatto in tutto il tempo di que' convulsivi dibattimenti se veniva richiesto intorno a cose
temporali vaneggiava; se intorno a cose spirituali dava le più sode risposte.
Crescendo ognor più il male, i parenti giudicarono di fare un consulto di parecchi valenti
medici, che proposero rimedi ed eseguirono varie operazioni: insomma si operò quanto l'arte dei
medici e dei chirurghi poteva suggerire, ma tutto senza effetto, avverandosi così ogni cosa nel
modo e colle circostanze dal Comollo prenunziate.
7 Confessore regolare del Comollo era il sig. Don Bagnasacco, canonico di felice memoria della onorevole collegiata
di Chieri. Ne' due anni di collegio, e ne' due anni e mezzo di Seminario egli aveva sempre frequentato il medesimo
confessore.
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Don Bosco - Cenni sulla vita del giovane Luigi Comollo [2a edizione]
Intanto l'infermo, apparendo assai prostrato di forze, e palesando tendenza al sonno, si
lasciò alquanto riposare. I Seminaristi erano andati alle sacre funzioni del Duomo. Dopo breve
riposo si svegliò e trovandosi solo col solito amico {82 [82]} prese a parlargli così: « Eccoci, o
caro amico, eccoci al momento, in cui noi dobbiamo per alcun tempo lasciarci. Noi pensavamo
di confortarci nelle vicende della vita, aiutarci, consigliarci in tutto quello, che ci avrebbe potuto
giovare alla eterna nostra salvezza. Non era scritto così nei santi e sempre adorabili voleri del
Signore. Tu mi hai sempre aiutato nelle cose spirituali, nelle cose scientifiche ed anche
temporali, ed ora ti ringrazio. Dio te ne rimeriti. Ma prima di lasciarci ascolta alcuni ricordi di un
tuo amico. L'amicizia non importa solo di far quanto l'amico richiede mentre vive, ma di
eseguire altresì quello che a vicenda si è promesso da effettuarsi dopo la morte. Perciò il patto,
che abbiamo fatto colle più obbliganti promesse, di pregare a vicenda a fine di poterci salvare,
non solo voglio che si estenda sino alla morte dell'uno o dell'altro, ma di ambidue; onde finchè tu
condurrai i tuoi giorni quaggiù, prometti e giura di pregar per me. » Benchè in udir tali parole,
asserisce l'amico, mi sentissi forzato a piangere, pure frenai le lacrime e promisi nel modo
richiesto quanto voleva. « Or bene, proseguiva l'infermo, ecco quello che io posso dire a tuo
riguardo: Non {83 [83]} sai ancora se brevi o lunghi saranno i giorni di tua vita; ma checchè ne
sia sull'incertezza dell'ora della morte, n' è certa la venuta; perciò fa in maniera, che tutto il tuo
vivere altro non sia che una preparazione alla morte, al giudizio... Gli uomini pensano di quando
in quando alla morte, credono che verrà quell'ora da essi non voluta, ma non vi si dispongono,
perciò allorachè se ne appressa il momento rimangono agitati anzi spaventati per l'imbarazzo
grande, in cui si trovano nel sistemare le partite dell'anima. E chi muore in mezzo a tale
confusione fa temere assai della sua eterna perdizione. Felici coloro che passando i giorni in
opere sante e pie si trovano apparecchiati per quel momento. Se poi sarai chiamato dal Signore a
divenir guida delle anime altrui, inculca mai sempre il pensiero della morte, del giudizio, il
rispetto alle chiese, poichè si vedono pur troppo anche persone di grado distinto, che hanno poca
riverenza alla casa di Dio; perciò alle volte avviene che un uomo della plebe, una semplice
donniciuola stia colle più sante disposizioni, mentre il ministro del Santuario vi sta svagato senza
riflettere che si trova nella casa del Dio vivente! {84 [84]}
« Siccome poi per tutto il tempo che militiamo in questo mondo di lacrime, non abbiamo
patrocinio più possente che quello di Maria Santissima, devi perciò professarle una speciale
divozione. Oh! se gli uomini potessero essere persuasi del contento che arreca in punto di morte
la divozione a Maria, tutti a gara cercherebbero nuovi modi, con cui renderle speciali onori. Sarà
pur dessa, che col suo figlio tra le braccia formerà la nostra difesa contro il nemico dell'anima
nostra all' ora estrema. Si armi pur tutto l'inferno contro di noi, con Maria in nostra difesa, nostra
sarà la vittoria. Guardati per altro bene dall' essere di quei tali, che recitando a Maria qualche
preghiera, oppure offrendole qualche mortificazione, credono essere da lei protetti, mentre
conducono vita scostumata. Invece di essere divoti di questa fatta, è meglio non esserlo, perchè
se si mostrano tali, è puro effetto d'ipocrisia per essere favoriti nei loro cattivi disegni, e quello
che è più, se fosse possibile, farle approvare la loro vita sregolata. Sii tu sempre dei veri divoti di
Maria coll' imitare le virtù di lei, e proverai i dolci effetti di sua bontà e del suo amore. {85 [85]}
« Aggiungi a questo la frequenza dei Sacramenti della confessione e comunione, che
sono i due strumenti, ossia le due armi, colle quali si superano tutti gli assalti del comun nemico,
e tutti gli scogli di questo burrascoso mare del mondo. Procura di avere un confessore fisso: a lui
apri il tuo cuore, a lui ubbidisci, e in lui avrai una guida sicura per la strada che conduce al cielo.
Ma, ohimè! quanti si vanno a confessare senza alcun frutto: confessioni e peccati, peccati e
confessioni: ma nessuna emendazione. Ricordati pertanto, che il sacramento della Penitenza è
appoggiato sopra il dolore e sopra il proponimento, e dove manca una di queste essenziali
condizioni, diventano nulle o sacrileghe tutte le nostre confessioni.
« Avverti finalmente con chi tratti, parli, e chi frequenti. Non parlo già delle persone di
sesso diverso, od altre persone secolari, che siano per noi d'evidente pericolo, le quali si devono
affatto evitare; ma parlo degli stessi compagni, chierici, ed anche seminaristi. Alcuni di essi sono
cattivi, altri non sono cattivi, ma non molto buoni, altri poi sono veramente buoni. I primi si
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devono assolutamente evitare, coi secondi {86 [86]} soltanto trattare qualora ne sia il bisogno,
senza stringere alcuna famigliarità; gli ultimi poi si devono frequentare, e questi sono quelli, da
cui si riporta utilità spirituale e temporale. Egli è vero, che son pochi, ma appunto per questo
devesi usare massima cautela nel cercarli, e trovati frequentarli, formando con essi quella
spirituale amicizia, dalla quale si ricava tanto profitto. Coi buoni sarai buono, coi cattivi sarai
cattivo.
« Una cosa ho ancora da dimandarti, di cui ti prego cordialmente. Quando andrai al
passeggio, e passando presso il luogo di mia tomba udirai i compagni a dire: Qui sta sepolto il
nostro collega Comollo, allora tu suggerisci in prudente maniera a ciascheduno da parte mia, che
mi recitino un Pater ed un Requiem. In tal guisa io sarò dalle pene del purgatorio liberato. Molte
cose ti direi ancora, ma il male prende forza, e m'opprime, perciò raccomandami alle preghiere
degli amici, prega il Signore per me, Iddio ti accompagni e ti benedica, e ci rivedremo quando
egli vorrà. »
Questi sentimenti esternati in quei momenti in cui si manifesta tutto l'intrinseco del cuore
{87 [87]} formano il vero ritratto dell'animo suo. Il pensiero delle massime eterne, la frequenza
dei Sacramenti, tenera divozione verso la B. V., fuggire i compagni pericolosi, cercare quelli, da
cui sperava ricavare qualche giovamento per le cose di studio, o di pietà, formavano lo scopo di
tutte le sue azioni.
Capo XII. Aumenta la violenza del male - È visitato dai suoi genitori -
Parole loro indirizzate - Riceve l'Olio Santo - Sua preghiera a Maria -
Sue ultime parole - Sua preziosa morte.
Sulla sera del giorno di Pasqua apparve così prostrato che appena poteva articolare e
pronunciare qualche parola, quando fu sorpreso da nuovo e più violento accesso di febbre,
accompagnato da dolorose convulsioni, sicchè a stento si poteva trattenere. Ma la nostra santa
cattolica religione produce tali impressioni sul cuore delle anime buone, che al medesimo
Comollo servì di spediente efficacissimo per acquetarlo. Comunque {88 [88]} fuori di sè, o
agitato dalla violenza del male, dettogli appena: Comollo, per chi bisogna soffrire? Egli subito
rinvenendo tutto gioviale e ridente, « Per Gesù Crocifisso, » rispondeva.
In simile stato, senza mai proferire un lamento per l'atrocità dei dolori, passò la notte e
quasi intiero il giorno susseguente. In questo frattempo fu visitato da' suoi genitori, i quali
conobbe appieno, e raccomandò loro di rassegnarsi alla divina volontà. Queste parole furono
pungenti strali al cuore dell'addolorata sua madre, la quale tanto amava un figlio così amabile, e
da cui ella pure era tanto amata. - Luigi, ella disse, frenando le lagrime, non ti pare di star
meglio? Fa coraggio.
- Sì, cara madre, mi sento un po' meglio, ma di qui a poco spero di star benissimo. È
questo il tempo del coraggio! Speriamo nel Signore.
- Tuo zio prevosto ti saluta e prega e fa pregare per te.
- Salutate mio zio. Sì, caro zio, quanto mai vi ringrazio del bene che mi avete fatto. Se
non mi sono lasciato strascinare dai perversi compagni lo debbo a voi. Quanto mai di cuore vi
ringrazio. {89 [89]}
Dopo una piccola pausa ripigliò: - Io godo grande consolazione nel vedervi qui, o cari
genitori. Vi domando perdono dei dispiaceri, che vi ho cagionati colle mie disobbedienze.
- Figlio mio, tu non hai bisogno di perdono; fosti sempre la nostra consolazione.
- Voi siete troppo buoni. Vi ringrazio ancora di tutto ciò che avete fatto e sofferto per me.
Io mi raccomando alle vostre preghiere. Non dimenticatemi! Se mio zio fosse qui lo vedrei con
tanto piacere.
- Se avesse potuto sarebbe volato al tuo fianco. Ma siamo nelle feste di Pasqua. Esso non
può lasciar la parrocchia.
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- Oh caro zio, non potrò più vedervi in terra, ma ho piena fiducia di vedervi in cielo. E
voi, madre mia diletta, ditelo voi al mio zio prevosto, ditegli che io lo attendo in paradiso.
- Luigi caro, ripigliò la madre mischiando le parole a copiose lagrime, ti ricorderai anche
di me e di tuo padre?
- Sì, amati genitori; voi mi avete sempre dati buoni esempi; vi ho amati in vita e se
morendo sarò accolto, come spero, dalla divina {90 [90]} misericordia non mancherò di invocare
incessantemente i celesti favori sopra di voi.
La dolente genitrice non potè più trattenere i singhiozzi e diede in dirottissimo pianto.
- Madre amata! egli soggiunse: Non piangete, o miei genitori. Dio vuole così; coraggio,
coraggio! Al cielo il nostro cuore!... Al cielo le nostre consolazioni!... Al cielo!... Addio o cara
madre! Addio o amato padre! A rivederci nella beata eternità. -
Di quando in quando si metteva a cantare con voce ordinaria e così sostenuta che l'avreste
giudicato in perfetto stato di salute. Il suo canto era il Miserere, le litanie della Madonna, l'Ave
maria Stella e laudi spirituali. Ma siccome il cantare di troppo lo prostrava si cercò di suggerirgli
qualche preghiera; così egli cessava di cantare, per recitare quello che gli veniva suggerito.
Alle sette di sera 1° aprile, andando le cose ognora peggio, il Direttore spirituale stimò
bene amministrargli l'Olio Santo. Cominciata appena tale sacra funzione l'infermo parea
perfettamente guarito, rispondeva opportunamente a quanto abbisognava, talchè il sacerdote
ebbo a dire essere {91 [91]} cosa del tutto singolare, che mentre pochi momenti prima pareva in
agonia, potesse con tanta precisione far l'assistente al ministro, rispondendo a tutte le preci e
responsori, che in quella amministrazione occorrono. Lo stesso avvenne alle undici e mezzo,
quando il signor Rettore, al vedere che un freddo sudore cominciava coprirgli il pallido volto, gli
compartì la papale benedizione8.
Amministrati così tutti i conforti di nostra santa cattolica religione, non pareva più un
infermo, ma uno che stesse in letto per riposo; era pienamente consapevole di se stesso, con
animo pacato e tranquillo; tutto allegro ad ogni momento innalzava fervorose giaculatorie a Gesù
Crocifisso, a Maria Santissima, ai Santi; onde il signor Rettore ebbe a dire: « Egli non abbisogna
che altri gli raccomandi l'anima, essendo sufficiente per se medesimo. » A mezza notte, con voce
assai robusta intuonò l'Ave maris Stella, e continuò quest'inno sino all' ultimo versetto, senza
desistere, {92 [92]} nonostante che i compagni lo pregassero a non istancarsi. Era tanto assorto
in se stesso e traspariva dal suo volto tale un'aria di paradiso da sembrare un angiolo. Un' ora
dopo la mezzanotte del 2 aprile dimandò ad uno degli astanti, quanto tempo vi era ancora; gli fu
risposto: - Vi è ancor mezz'ora.
- C'è ancora di più, soggiunse l'infermo.
- Sì, ripigliò l'altro credendo che vaneggiasse; ancor mezz'ora poi andremo alla
ripetizione.
- Eh mio caro, ripigliò l'infermo sorridendo, bella ripetizione!... V'è altro che ripetizione.-
Richiesto da un compagno, se sarebbesi ricordato di lui quando fosse in paradiso, rispose;
- Mi ricorderò di tutti, ma in modo particolare di quelli, che mi aiuteranno ad uscir presto
dal purgatorio. -
Un altro compagno gli domandò se non gli rincrescesse di lasciare il mondo, i parenti gli
amici.
- No..., no... Non mi rincresce; mio padre e mia madre li vedrò presto in cielo; gli Angioli
santi saranno i miei amici in eterno.
- Che cosa ti consola di più in questo momento? {93 [93]}
- Aver fatto qualche cosa per amore di Maria e l'aver frequentato la santa comunione. -
Ad un' ora e mezzo, benchè conservasse sempre la solita serenità nel volto apparve talmente
estenuato di forze, che sembrava mancargli il respiro. Rinvenuto poscia un tantino, raccolto
quanto avea di vigore, con voce tronca, cogli occhi elevati al cielo proruppe in questi accenti: «
Vergine santa, Madre benigna, cara madre del mio amato Gesù, Voi, che fra tutte le creature sola
8 Il Rettore del Seminario era il Teologo Sebastiano Mottura, Canonico, Arciprete della Collegiata di Chieri. Ivi in
età di 83 anni terminava i suoi giorni nel 1876.
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foste degna di portarlo nel vostro immacolato seno, deh! per quell'amore, con cui l'allattaste, lo
stringeste amorosamente fra le vostre braccia, per quel che soffriste allorchè gli foste compagna
nella sua povertà, allorchè lo vedesti fra gli strapazzi, sputi, flagelli, e finalmente spasimare
morendo in croce; deh! per tutto questo ottenetemi il dono della fortezza, viva fede, ferma
speranza, infiammata carità, con sincero dolore de' miei peccati; ed ai favori, che mi avete
ottenuti in tutto il tempo di mia vita, aggiungete la grazia, che io possa fare una santa morte. Sì,
cara Madre pietosa, assistetemi in questo punto che sto per presentare l'anima mia al divin
giudizio; presentatela Voi {94 [94]} medesima nelle braccia del vostro divin Figlio; che se tanto
mi promettete, ecco io con animo ardito e franco, appoggiato alla vostra clemenza e bontà
presento per le vostre mani quest' anima mia a quella Maestà Suprema, da cui spero conseguire
misericordia. »
Queste furono le precise parole da lui pronunciate con tanta enfasi e penetrazione, che
commossero tutti gli astanti, sino a trarre loro le lacrime.
Terminata questa fervorosa preghiera, pareva venir sorpreso da un letargo mortale, onde
per tenerlo in sentimento gli dimandai se sapeva qual età avesse s. Luigi, quando morì: alla qual
dimanda scossosi: « S. Luigi, rispose, aveva ventitrè anni compiuti, e io muoio che non ne ho
ancora ventidue. » Vedendo venirgli meno il polso, m'accorsi appressarsi il momento che egli
dovea abbandonare il mondo ed i suoi compagni; perciò presi a suggerirgli quel tanto, che
venivami a proposito in simili circostanze. Ed egli tutto attento a ciò che gli si diceva, col volto e
colle labbra ridenti, conservando l'inalterabile sua tranquillità, fissi gli occhi nel Crocifisso, che
stretto teneva fra le mani giunte innanzi al {95 [95]} petto, si sforzava di ripetere ogni parola che
gli veniva suggerita. Circa dieci minuti prima del suo spirare, chiamò per nome uno degli astanti,
e, « se vuoi, gli disse, qualche cosa per l'eternità, io... addio me ne parto. Gesù e Maria metto
nelle vostre mani l'anima mia. » Queste furono lo ultime sue parole. Quindi per la durezza delle
labbra e la spessezza della lingua non potendo più colla voce pronunziare le giaculatorie
suggerite, le componeva e lo articolava colle labbra.
Eranvi altresì due diaconi Don Sassi e Don Fiorito, che gli leggevano il proficiscere, il
quale terminato, mentre gli si raccomandava l'anima alla Vergine Santissima, agli Angeli onde
fosse da loro offerta nel cospetto dell' Altissimo, nell' atto, che si pronunciavano i santi nomi di
Gesù e di Maria, sempre sereno e ridente in volto, movendo egli un dolce sorriso a guisa di chi
resta sorpreso alla vista di un maraviglioso e giocondo oggetto, senza fare alcun movimento,
l'anima sua bella si separò dal corpo volando, come piamente si spera, a riposare nella pace del
Signore. Il suo felice transito avvenne alle due dopo mezzanotte, prima che {96 [96]} sorgesse
l'aurora del due aprile 1839, in età d'anni 22 meno cinque giorni. Così morì il giovine chierico
Comollo Luigi, il quale seppe gettare nel suo cuore i semi della virtù nelle più rozze occupazioni,
coltivarli in mezzo alle lusinghe del mondo, perfezionarli con due anni e mezzo circa di
chiericato, facendoli venire a tutta maturazione con una penosa malattia. E mentre ognuno si
stimava fortunato di averlo chi per modello, chi per guida nei consigli, altri per amico leale, egli
tutti lasciò nel mondo per andarci a proteggere in cielo.
Parrebbe sulle prime che un'anima sì buona, sì cristianamente vissuta come il nostro
Comollo, non avrebbe dovuto paventare tanto i giudizi divini. Ma, se ben si osserva, questa è la
condotta ordinaria che tiene Iddio co' suoi eletti, i quali, al pensiero di doversi presentare al
rigoroso divin tribunale, ne rimangono pieni di timore e di spavento; ma Dio corre a suo tempo
in loro soccorso, e invece che lo spavento del peccatore continua in agitazioni, rimorsi e
disperazione, quello dei giusti si cangia in coraggio, confidenza e rassegnazione, che produce nel
loro cuore la più dolce allegrezza. Questo è veramente {97 [97]} il punto, in cui Iddio fa gustare
al giusto il centuplicato delle opere buone, secondo la promessa del Vangelo, con raddolcire le
amarezze della morte colla pacatezza e tranquillità di animo, di contento e di gaudio interno che
ravviva la fede, conferma la speranza, infiamma la carità a segno, che il male per dir così perde
la sua violenza, e vi sottentra un saggio anticipato del godimento di quel bene, che Iddio sta per
compartir loro in eterno. Il che deve stimarsi guiderdone sufficiente ai travagli della vita,
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confortarci a tollerarli con rassegnazione, e a regolare tutte le azioni nostre secondo i divini
precetti.
Capo XIII. Costernazione per la morte del Comollo - Si ottiene di
seppellirlo in Chiesa - Discorso del Teologo Arduino - Solenne
sepoltura.
Fattosi giorno e sparsasi la voce della morte del Comollo, tutto il Seminario rimase nella
più grande costernazione. Diceva taluno: In quest ora Comollo è già in paradiso a pregare {98
[98]} per noi; un altro: Quanto bene previde la sua morte! questi: Visse da giusto, morì da
santo; quegli: Se dagli uomini si può giudicare che un'anima partendo dal mondo voli al
paradiso, certamente ciò si può affermare del Comollo. Quindi ognuno andava a gara per avere
qualche cosa che fosse stata di sua pertinenza. Taluno fece il possibile per avere il suo crocifisso,
altri per avere divote immagini: altri poi si stimavano grandemente contenti di possedere qualche
suo librettino, e fuvvi persino chi, non potendo avere altro, prese il suo collare, onde conservarsi
stabile memoria di tanto amato e venerato collega.
Il Rettore del Seminario, mosso pur egli dalle singolari circostanze che accompagnarono
la morte di lui, comportando a malincuore che il suo cadavere fosse portato al cimitero comune,
appena giorno si recò a Torino dalle autorità civili ed ecclesiastiche, da cui ottenne che fosso
sepolto nella chiesa di s. Filippo annessa al Seminario medesimo.
Il professore della conferenza del mattino Don Prialis cominciò la scuola all' ora solita,
ma venuto il tempo di spiegare, rimirando la mestizia {99 [99]} che tutti gli uditori avevano
dipinta in fronte, fu egli pure talmente commosso, che prorompendo in lacrime e singhiozzi,
dovette intralasciare la scuola, non avendo più forza di continuarla.
L'altro professore il Teologo Arduino la sera venne pure nella scuola, ma invece della
solita spiegazione fece un patetico discorso sulla morto del Comollo, nel quale discorso diceva
essere ben giusto il dolore, che ognuno esternava per la perdita di sì amato compagno, ma
doversi dall'altro canto ognuno di noi rallegrare nella dolce speranza, che una vita sì edificante,
una morte sì preziosa dovesse averci procurato un protettore in cielo. Esortò tutti a proporselo
per modello di virtuosa e costumata chiericale condotta. Definì inoltre in varie maniere la sua
morte; morte di un giusto, morte preziosa negli occhi del Signore, e fluì con raccomandarci che
ne serbassimo sempre cara memoria, e procurassimo imitarne le virtù.
Il mattino del 3 aprile coll'intervento di tutti i Seminaristi, di tutti i superiori, del signor
Canonico Curato cogli altri Canonici e col clero, fu il cadavere portato processionalmente per
{100 [100]} la città di Chieri, e dopo lungo giro accompagnato con funerei cantici e pie
preghiere alla suddetta chiesa di s. Filippo. In quel momento cadeva dirotta pioggia a segno che
le vie della città erano inondate ed infangate. Ciò nulla di meno una folla immensa accompagnò
il feretro colla massima divozione e raccoglimento. Giunti in Chiesa con lugubre musica, con
pomposo apparato si cantò messa dal signor Direttore presente cadavere; terminata la quale,
venne deposto in una tomba preparatagli vicino allo steccato che ne tramezza la balaustrata,
quasi che quel Gesù Sacramentato, verso cui mostrò tanto amore e col quale sì volentieri si
tratteneva, vicino pure lo volesse anche dopo morte.
Sette giorni dopo fecesi un solenne funerale con gran pompa e col più maestoso apparato
di addobbamenti e di lumi.
Questi furono gli ultimi onori resigli dai suoi colleghi, i quali oltremodo dolenti niente
risparmiarono a favore di un compagno a tutti carissimo. {101 [101]}
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Capo XIV. Santa memoria di Litigi Comollo in Seminario - Sua
modestia e purità di costumi - Comparsa ad una camerata di
compagni.
Ella è verità innegabile che la memoria delle anime buone non finisce colla loro morte,
ma il loro esempio viene tramandato a' posteri con utilità. Una malattia e una morte
accompagnata da tanti segni di viva fede e da sentimenti di virtù e di pietà risvegliò eziandio in
molti Seminaristi il desiderio di imitare Comollo. Perciò non pochi s'impegnarono a seguitare gli
avvisi e i consigli loro dati mentre ancora viveva, altri a tener dietro a' suoi esempi e virtù, di
modo che alcuni alunni, i quali prima non mostravano gran fatto di vocazione allo stato cui
dicevano aspirare, dopo questa morte si posero con le più ferme risoluzioni per divenire modelli
di perfezione.
« Egli fu appunto alla morte del Comoilo, dice un suo compagno, che mi sono risoluto di
menare una vita da buon chierico, per divenire santo ecclesiastico; e quantunque tale
determinazione {102 [102]} sia stata finora inefficace, nulladimeno non mi rimango, anzi voglio
addoppiare vie più ogni giorno l'impegno. » Nè queste furono solamente risoluzioni di primo
movimento, ma continua ancora oggidì a farsi sentire il buon odore delle virtù del Comoilo.
Onde il Rettore del Seminario poco tempo fa mi assicurò che « il cangiamento di moralità
avvenuto nei nostri Seminaristi alla morte del Comollo continua ad essere tuttodì permanente. »
Nel decorso di questo ragguaglio poco si parlò della virtù della modestia che era appunto
quella, la quale in modo particolare caratterizzava il Comollo. Un esterno così regolato, una
condotta tanto esatta, una compostezza sì edificante, una mortificazione sì compita di tutti i sensi
e principalmente degli occhi, fanno arguire che abbia posseduta una tale virtù in grado eminente.
Ed a me pare non dire troppo, se affermo e nutro costante opinione, che egli abbia portata
all'altra vita la bella stola dell'innocenza battesimale. Questo io argomento non solo dalla
scrupolosa riserbatezza nel trattare, o parlare con persone di sesso diverso; ma molto più da certe
materie teologiche, che egli niente affatto comprendeva, {103 [103]} da certe interrogazioni che
talvolta faceva, il che mostrava la sua semplicità e purezza. Mi conferma in questa opinione ciò
che rilevai dal suo Direttore di spirito, il quale, dopo lungo discorso meco fatto sul Comollo,
conchiuse, che aveva egli conosciuto in lui un angioletto di costumi, che fervoroso e divoto di s.
Luigi sempre si studiava d'imitarne le virtù. Difatto tuttavolta che di questo santo faceva parola
(oltrechè gli offriva mattina e sera special preghiera), parlavano sempre con trasporto di gioia;
anzi gloriavasi perchè ne portava il nome. « Son Luigi di nome, diceva, ah! potessi pure un
giorno essere Luigi di fatti. » Che se studiavasi di seguire le virtù di san Luigi, gli avrà
certamente tenuto dietro in quella, che di tal santo è la caratteristica, il candore e la purità di
costumi.
Qui sembrami opportuno di osservare che la ragione, per cui la morte del Comollo fece sì
grande impressione, furono due apparizioni del medesimo seguite dopo la sua morte. Io mi
limito ad esporne una di cui fu testimonio un intero dormitorio, avvenimento che ha destato
rumore dentro e fuori del Seminario. Questa visita straordinaria venne fatta ad un compagno, col
quale {104 [104]} esso Comollo era stato in amicizia mentre viveva. Ecco in qual modo lo stesso
compagno narra il fatto. « Nelle nostre amichevoli relazioni, seguendo ciò che avevamo letto in
alcuni libri, avevamo pattuito fra di noi di pregare l'un per l'altro, e che colui, il quale primo
fosse chiamato all'eternità, avrebbe portato al superstite notizie dell'altro mondo. Più volte
abbiamo la medesima promessa confermata, mettendo sempre la condizione, se Dio avesse ciò
permesso e fosse stato di suo gradimento. Simil cosa allora si fece come una puerilità, senza
conoscerne l'importanza; tuttavia tra di noi si ritenne sempre sul serio quale sacra promessa e da
mantenersi. Nel corso della malattia del Comollo si rinnovò più volte la medesima promessa, e
quando egli venne a morire se ne attendeva l'adempimento, non solo da me, ma eziandio da
alcuni compagni che ne erano informati.
« Era la notte del 4 aprile, notte che seguiva il giorno della sua sepoltura, ed io riposava
cogli alunni del corso Teologico in quel dormitorio che dà nel cortile a mezzodì. Ero a letto, ma
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non dormiva e stava pensando alla fatta promessa, e quasi presago di ciò che doveva accadere
ero {105 [105]} in preda ad una paurosa commozione. Quando, sullo scoccare della mezzanotte,
odesi un cupo rumore in fondo al corridoio, rumore che rendevasi più sensibile, più cupo, più
acuto mentre si avvicinava. Pareva quello di un carrettone, di un treno di ferrovia, quasi dello
sparo di un cannone. Non saprei esprimermi se non col dire che formava un complesso di fragori
così vibrati e in certo modo così violenti, da recare spavento grandissimo e togliere le parole di
bocca a chi l'ascoltava. Ma nell'atto che si avvicinava lasciava dietro di sè rumoreggianti le
pareti, la volta, il pavimento del corridoio, come se fossero costrutti di lastre di ferro scosse da
potentissimo braccio. Il suo avvicinarsi non era sensibile in modo da potersi misurare il
diminuirsi delle distanze, ma lasciava un' incertezza quale lascia una vaporiera, della quale talora
non si può conoscere il punto ove si trova nella sua corsa, se si è costretti a giudicare dal solo
fumo che si stende per l'aria.
« I Seminaristi di quel dormitorio si svegliano, ma niuno parla. Io era impietrito dal
timore. Il rumore si avanza, ma sempre più spaventoso; è presso al dormitorio; si apre da sè
violentemente {106 [106]} la porta del medesimo; continua più veemente il fragore senza che
alcuna cosa si veda, eccetto una languida luce, ma di vario colore, che pareva regolatrice di quel
suono. Ad un certo momento si fa improvviso silenzio, splende più viva quella luce, e si ode
distintamente risuonare la voce del Comollo che, chiamato per nome il compagno tre volte
consecutive, dice:
- Io sono salvo!
« In quel momento il dormitorio venne ancora più luminoso, il cessato rumore di bel
nuovo si fa udire di gran lunga più violento, quasi tuono che sprofondasse la casa, ma tosto cessò
ed ogni luce disparve. I compagni balzati di letto fuggirono senza saper dove; si raccolsero
alcuni in qualche angolo del dormitorio, si strinsero altri intorno al prefetto di camerata, che era
D. Giuseppe Fiorito da Rivoli; tutti passarono la notte, aspettando ansiosamente il sollievo della
luce del giorno.
Io ho sofferto assai e fu tale il mio spavento, che in quell'istante avrei preferito di morire.
Di qui incominciò una malattia, che mi portò all'orlo della tomba e mi lasciò così male andato di
sanità, che non ho potuto più riacquistarla so non molti anni dopo. » {107 [107]}
Lascio a ciascheduno dei lettori a fare di questa apparizione quel giudizio che egli
crederà, avvertendo però che dopo tanti anni sono oggigiorno ancora fra i vivi alcuni testimoni
del fatto. Io mi contento di averlo esposto nella sua interezza, ma raccomando a tutti i miei
giovani di non fare tali convenzioni, perchè, trattandosi di mettere in relazione le cose naturali
colle soprannaturali, la povera umanità ne soffre gravemente, specialmente in cose non
necessarie alla nostra eterna salvezza.
Capo XV. Favori celesti che si assicurano ottenuti ad intercessione
del Comollo - Liberazione da grave tentazione - Da grave malattia -
Relazione del geometra G. B. Paccotti.
Pare che qui sia opportuno parlare di alcuni favori celesti, che ad intercessione del
Comollo furono ottenuti. Sebbene io di questi conservi esatta memoria, chiuderò questo
comunque siasi ragguaglio con tre soli fatti, ai quali atteso il {108 [108]} carattere e la dignità
delle persone che li affermano parmi potersi prestare tutta credenza.
Il primo riguarda ad una persona, che fu liberata da grave tentazione. Costei molto
impegnata pel servizio di Dio era da lungo tempo tentata: ora con un mezzo, ed ora con un altro
era sempre riuscita a vincere la tentazione. Un giorno poi fu sì gagliarda, che pareva omai avervi
sgraziatamente a soccombere, e quanto più cercava d'allontanare le cattive idee dalla sua
fantasia, tanto più vi correvano. Secca, arida non poteva muoversi a pregare; quando volgendo lo
sguardo sopra un tavolino, vide un oggetto che apparteneva al Comollo, e che conservava qual
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grata memoria di lui. « Allora mi posi a gridare, afferma la persona medesima, se tu sei in
paradiso, o virtuoso Luigi, e se mi puoi favorire presso il Signore, pregalo, che mi liberi da
questo terribile frangente. Gran cosa! dette appena tali parole, quasi fossi mutata in un' altra,
cessò del tutto la non voluta tentazione, e mi trovai tranquilla. D'allora in poi non tralasciai più
d'invocare in mio soccorso quell'angioletto di costumi nei miei bisogni, e ne fu ognor favorita. »
{109 [109]}
L'altro fatto io lo scrivo tal quale mi viene esposto da chi ne fu l'attore, e testimonio
oculare. « Un mattino fui chiamato in tutta fretta a raccomandare al Signore l'anima di un mio
amico, il quale pativa l'ultima agonia. Là giunto, lo trovai veramente qual erami stato raffigurato.
Privo dell'uso dei sensi e della ragione, aveva gli occhi acquosi, le labbra dure, e bagnate di
freddo sudore, le arterie sfinite e mancanti sì, che avresti detto tra pochi minuti dovesse mandare
l'ultimo respiro. Lo dimandai più volte, ma senza pro. Non sapendo più che fare, dirotte mi
cadevano le lacrime; e in tal frangente venutomi in mente il Chierico Comollo, di cui eranmi
state riferite tante belle virtù, volli, a sfogo del mio dolore, invocarlo. Orsù, dissi, se tu puoi
qualche cosa presso il Signore, pregalo, che sollevi quest' anima addolorata, e sia libera dalle
angosce di morte. Questo dissi, e il morente tosto lasciando cadere l'estremità del lenzuolo, che
stretto teneva tra' denti, si riscosse, e cominciò a parlare, quasi non fosse stato ammalato. Il suo
miglioramento fu tale, che, passati otto giorni, l'infermo si trovò totalmente guarito da una
malattia, che esigeva più mesi di convalescenza, {110 [110]} e potè ripigliare le sue primiere
occupazioni. »
L'ultimo fatto io stimo bene di esporlo tale quale fu scritto dalla persona, che ha ricevuto
il celeste favore, e che dichiara di riconoscerlo dal Signore ad intercessione del Comollo. È
questi il signor Paccotti Gio. Battista, geometra e proprietario a Cinzano, testimonio oculare
delle ammirabili virtù praticate dal Comollo in questo paese.
Ecco il tenore della relazione.
Molto Rev. Signore,
Cinzano, 16 settembre 1847.
Secondo la promessa fatta nello scorso autunno alla S. V. M. Rev., la quale si fa premura
di registrare i fatti storici succeduti prima e dopo la morte del chierico Luigi Comollo, mi reco a
dovere, sebben tardi, di renderla informata d'un fatto, che mi successe nell'anno 1845, rinnovato
nel 1846 e parimente nell'ora scorso mese di agosto corrente anno 1847.
Molestato da certa acuta malattia, la quale da molti anni ad una certa data stagione
dell'anno {111 [111]} viemmaggiormente inviperiva, con maggior violenza ne fui sorpreso nel
mese di ottobre e novembre 1845, a segno che malgrado tutti i suggerimenti dell'arte medica, e
specialmente immaginati dai celebri sig. Cavalieri Professori Riberi e Gallo, senza far parola di
varii altri di egual merito, la cosa ciò nonostante rendevasi sempre peggiore ed insopportabile, tal
che già dichiaravasi irrimediabile.
In una notte adunque di detto mese di novembre 1845, come dissi, giacendo in letto
secondo il solito, e quasi sfinito, più seriamente che mai pensavo al tristo caso in cui mi trovavo
ridotto, ed al fine a cui io mi vedevo esposto; ed addormentandomi alquanto sul far del giorno,
dopo una trista notte passata, non so se svegliato o che me lo credessi, il fatto si è che mi sentii
pronunziare all'orecchio: E perchè non pensi a Luigi Comollo, il quale ti potrebbe aiutare in
questa tua critica circostanza? E nient' altro intesi se non che mi trovai realmente svegliato.
Fatto adunque serio riflesso a queste parole, e ritenuto che la condotta di questo
degnissimo chierico fu sempre irreprensibile, anzi d'esempio {112 [112]} a tutti gli altri, risolsi
fra me stesso di ricorrere al medesimo invitandolo col dirgli: « Se adunque voi, o Luigi, siete fra
i Beati, procurate di ottenermi dal Signore la guarigione, ed io m'obligo di rendere di ciò
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informato il sig. D. Bosco, acciò, unitamente alle altre particolarità a vostro riguardo descritte,
unisca eziandio la presente sempre a vostro maggior decoro. »
Ciò detto rimasi alquanto più tranquillo, e quindi all'indomani mi trovai presso che libero
da una malattia, per cui credevo di dover soccombere, o per lo meno diventare una persona
d'incomodo o d'aggravio alla famiglia.
Intanto restituitomi finalmente in perfetta salute, tra i negozi, e gli affari di mia
professione di misuratore, dimenticai totalmente l'adempimento di quanto al chierico Luigi
Comollo promisi di eseguire. Ma nell'anno successivo, cioè nell'autunno 1846, si rinnovò
intempestivamente e con più rigore la mia malattia; ed allora sì che mi rammentai dell'obbligo
assuntomi. Infatti rinnovando la stessa promessa con essermi tosto dalla S. V. M. Rev.
presentato, libero come prima mi trovai dall'affezione sopravvenutami... Ma siccome la S. V. M.
Rev. {113 [113]} in certo modo mi obbligò di farle la narrazione genuina del fatto occorsomi, ed
io, dopo averne accettato l'incarico, non l'ho poi eseguito, incontrai la terza volta e pochi giorni
sono la stessa malattia; la quale facendosi ogni giorno più seria, opinai ciò derivare dal non aver
adempito all'obbligo assuntomi... Ed invero avendo ieri rinnovato la mia protesta col dire che se
oggi mi sentivo meglio, avrei senza ritardo esposto alla S. V. M. Rev. il fatto intiero occorsomi,
ottenni per ben la terza volta un notabile miglioramento, e posso dire esservi tutta la certezza di
guarigione d'una malattia, della quale sicuramente l'arte medica non m'avrebbe al certo potuto
liberare.
E siccome la mia guarigione intieramente la riconosco e la debbo all'intercessione del
chierico Luigi Comollo, mi reco a premura di pregare la S. V. M. Rev. di voler pubblicare questo
vero e sincero fatto a me occorso a maggior gloria di Dio, ed affinchè per l'avvenire il rispetto e
la venerazione verso questo modello di virtù, Luigi Comollo, cresca sempre più presso tutti, e
specialmente presso di quelli i quali, ebbero in vita la fortuna di conoscerlo. {114 [114]}
Ecco quanto posso e deggio accertare nell'atto che ho l'onore, ecc.
Di V. S. M. Rev.
Devmo Umilmo Servitore
PACCOTTI GIO. BATT.
Dal fin qui esposto ognuno facilmente comprende come le virtù del Comollo, quantunque
non siano straordinarie, sono peraltro nel loro genere singolari, e compiute, di modo che parmi si
possa proporre per esemplare a qualunque persona sia secolare, sia religiosa; avendo per certo,
che chi sarà seguace del Comollo, diventerà giovine virtuoso, chierico esemplare, vero e degno
ministro del Santuario.
Mentre però noi ammiriamo le virtuose azioni del Comollo, voglio che fermiamo i nostri
pensieri su quella divina religione, che forma si bei modelli di virtù. Egli è proprio della sola
Cattolica Religione aver dei Santi e degli uomini segnalati in virtù; essa sola abbonda di mezzi
che confortano l'uomo in tutti i bisogni della vita; essa lo istruisce e lo guida nella giovinezza pel
{115 [115]} sentiero della verità; lo conforta co' Sacramenti, colla parola di vita nell'età adulta;
raddoppia le sollecitudini nelle malattie, nulla tralasciando di quanto può contribuire al bene
spirituale ed eterno, ed anche al bene temporale; essa sola lo conforta in punto di morte, nella
morte o dopo morte.
O Religione Cattolica, Religione santa, Religione divina! Quanto sono grandi i beni che
tu procuri a chi ti pratica, a chi in te spera e in te confida! Quanto sono fortunati quelli, che si
trovano nel tuo seno e ne praticano i precetti!
Intanto, o lettore; mentre ammiriamo le virtuose azioni degli eroi del Cattolicismo,
rendiamo i più vivi ringraziamenti a Dio, che per tratto di sua bontà ci ha creati e conservati nella
santa Cattolica Religione; e in pegno di gratitudine mostriamoci zelanti osservatori dei precetti di
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questa nostra Religione divina; ma non cessiamo di supplicare di cuore Iddio ad usarci un gran
tratto di misericordia, a conservarci in questa Religione fino agli ultimi momenti di vita.
Allora, lettor caro, sarà pure un gran contento per noi, e quando l'anima nostra
abbandonerà {116 [116]} tutte le cose terrene a fine di presentarsi per la prima volta alla
Suprema e Divina Maestà, saremo certi di sentirci anche noi il dolce invito annunciato da Gesù
Cristo nel Vangelo: « Vieni, o servo fedele, vieni, tu fosti a me fedele in vita, ora vieni ad essere
coronato di gloria in cielo, ove godrai in eterno il gaudio del tuo Signore: Intra in gaudium
Domini tui. »
Il Signore Iddio conceda questa grazia a me che scrivo, a te che leggi, e a tutti i fedeli
cristiani. Così sia.
FINE.
V. nulla osta alla stampa.
Torino. 7 marzo 1884.
CUMINO DOMENICO Prov. Gen. {117 [117]}
Indice
Al Lettore
Capo I - Patria e genitori di Luigi Comollo - Sua fanciullezza - Primi
tratti di virtù.
Capo II - Sua prima Confessione - Prima Comunione - Suo desiderio di
farsi Ecclesiastico
Capo III - Va a studiare a Chieri - La fama di sue virtù precorra in
questa città - Fatto eroico di pazienza - Varii attestati di sua
commendevole condotta - Esempi pratici
Capo IV - Vari fatti edificanti - Sua amenità nel parlare - Riguardi nel
discorrere di Religione - Onomastico del suo professore - Fuga dei
pubblici spettacoli - Sua allegria nel bruciare un cattivo libro - Sua
deliberazione di abbracciare lo stato Ecclesiastico
Capo V - Preparazione - Vestizione chiericato - Parole di sua madre
Capo VI - Entra in Seminario - Sua bella massima - La voce del
campanello - Rispetto ed obbedienza ai suoi superiori - Sua {118
[118]} pazienza in un insulto - Sue conversazioni - Sua tenera
divozione
Capo VII - Modestia degli occhi e mortificazione de' suoi sensi - Sue
penitenze - Sue vacanze - Sua ritiratezza - Sua prima predica - Buoni
effetti di essa
Capo VIII - Presagi di sua morte - La vista delle campagne - Parole
dirette al Cav. Fassone - Ultimo sguardo alla patria - Parole del padre -
Rientra in Seminario - Straordinario suo fervore
Capo IX - Suoi pensieri sul paradiso - Suo raccoglimento nella
preghiera - Meditazioni sull'inferno - Gli esercizi spirituali
Capo X - Sintomi di sua malattia - Giudizi di Dio - Sogno spaventoso -
La tranquillità
Capo XI - Ultima Confessione - Il Santo viatico - Avvisi al suo amico -
Divozione alla B. V. - Scelta dei buoni compagni - Si raccomanda agli
amici affinchè preghino per lui
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Capo XII - Aumenta la violenza del male - È visitato dai suoi genitori -
Parole loro indirizzate - Riceve l'Olio Santo. - Sua preghiera a Maria -
Sue ultime parole - Sua preziosa morte
Capo XIII - Costernazione per la morte del Comollo - Si ottiene di
seppellirlo in Chiesa - Discorso del Teologo Arduino - Solenne
sepoltura
Capo XIV - Santa memoria di Luigi Comollo in Seminario - Sua
modestia e purità di costumi - Comparsa ad una camerata di compagni
Capo XV - Favori celesti che si assicurano ottenuti ad intercessione del
Comollo - Liberazione da grave tentazione - Da grave malattia -
Relazione del geometra Gio. Batt. Paccotti
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98 {119 [119]}
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